TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 537 di Mercoledì 16 dicembre 2015

 
.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   CATANIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la grappa è una bevanda spiritosa italiana ad indicazione geografica registrata nell'allegato III del regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all'etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose e che abroga il regolamento (CEE) n. 1576/89 del Consiglio;
   all'articolo 20 del suddetto regolamento è previsto che, entro il 20 febbraio 2015, per ogni indicazione geografica registrata nell'allegato III, gli Stati membri presentino una scheda tecnica alla Commissione europea;
   il decreto n. 5389 del 1o agosto 2011 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 228 del 30 settembre 2011) contiene appunto la scheda tecnica della «grappa» e prevede che tale denominazione sia «esclusivamente riservata all'acquavite di vinaccia ottenuta da materie prime ricavate da uve prodotte e vinificate in Italia, distillata ed imbottigliata in impianti ubicati sul territorio nazionale»;
   tuttavia, l'obbligo di imbottigliamento nella zona di produzione non ha mai trovato applicazione poiché, sin dal 2011, il Ministero continua ad emettere decreti di differimento dell'entrata in vigore di tale obbligo a causa di alcune perplessità avanzate dalla Commissione europea;
   la previsione è fortemente voluta dai produttori allo scopo di offrire la necessaria tutela ad un prodotto simbolo del made in Italy alimentare che, qualora esitato sfuso, rischia di essere snaturato, in quanto, oltre all'imbottigliamento, all'estero sono consentite importanti operazioni di vera e propria elaborazione, quali l'edulcorazione, la refrigerazione, la filtrazione e la diluzione della grappa, per citarne alcune, che rischiano di alterare le caratteristiche e la qualità dell'acquavite nazionale. Basti pensare, con riguardo alla diluizione, che ad una partita di grappa esportata sfusa a 80 gradi viene consentita la diluizione con un volume equivalente di acqua, ottenendo un volume doppio di quello spedito. Il paradosso è che seppure tutte le suddette operazioni sono effettuate fuori dal territorio italiano, il prodotto finito ottenuto all'estero può continuare a fregiarsi dell'indicazione geografica «grappa»;
   inoltre, l'indicazione geografica «grappa» è sottoposta ad un altissimo rischio di contraffazione, ad esempio nel caso di miscelazione con generica acquavite di vinaccia non italiana o altri distillati dai costi decisamente inferiori. Nel primo caso, la contraffazione non è riscontrabile dal punto di vista analitico, perché la matrice organica della materia prima è identica e pertanto non si può garantire l'autenticità del prodotto per il consumatore finale;
   i pronunciamenti della Corte di giustizia in materia di denominazioni di origine dei vini e dei prodotti agricoli e alimentari, come la sentenza sui vini Rioja e quelle sul Prosciutto di Parma ed il Grana padano, hanno chiarito come la misura relativa al confezionamento nella zona d'origine sia del tutto legittima, laddove sia introdotta allo scopo di salvaguardare la qualità, garantire l'origine e assicurare il controllo;
   lo stesso Parlamento, attraverso una risoluzione approvata dalla Commissione agricoltura e produzione agroalimentare del Senato della Repubblica in data 29 ottobre 2014 (n. 7-00138), ha impegnato il Governo «ad attivarsi nelle competenti sedi europee per la tutela delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose anche mediante l'ausilio dell'obbligo di imbottigliamento nel luogo di origine ove necessario» –:
   quali iniziative intenda promuovere per tutelare l'acquavite nazionale e al fine di dare applicazione alla disposizione prevista dalla scheda tecnica della grappa, di cui al decreto ministeriale n. 5389 del 2011, relativamente all'obbligo di imbottigliamento nella zona di produzione.
(3-01895)
(Presentata il 15 dicembre 2015)

   CAPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 2009 Philips ha acquisto il marchio Saeco e l'azienda che dal 1981 opera nella zona di Gaggio Montano, in provincia di Bologna;
   per il paese di Gaggio Montano la Saeco Philips equivale a ciò che era la Fiat per molte realtà italiane. Non si tratta di una mera azienda, ma di un'impresa che fornisce lavoro, e quindi reddito, ad un'intera comunità;
   quindi, quando si parla di esuberi in realtà come queste si crea un vero e proprio problema sociale che non può essere ignorato dalla politica, sia locale sia nazionale;
   la situazione della Saeco di Gaggio Montano è difficile da tempo. Infatti, già dalla fine del 2012 la multinazionale olandese Philips aveva posto la questione degli esuberi, a causa della contrazione del mercato, pur non attuando di fatto la minaccia di licenziamenti;
   nei giorni scorsi, però, la situazione è precipitata, avendo il 26 novembre 2015 Philips annunciato 243 esuberi di lavoratori della Saeco di Gaggio Montano;
   si tratta di un numero rilevante di lavoratori minacciati di licenziamento: poco meno della metà dei 558 lavoratori impiegati nello stabilimento gaggese;
   fonti sindacali affermano che la scelta della multinazionale olandese dipenda dalla volontà di spostare la produzione dall'Italia alla Romania, nazione considerata da Philips più adatta agli investimenti rispetto al nostro Paese;
   dati forniti dai sindacati, infatti, fanno notare come la Philips abbia fatto produrre alla Saeco di Gaggio Montano solo 130 mila macchine, mentre all'estero, in particolare in Romania, la produzione ha raggiunto quota 400 mila;
   appare, quindi, chiaro che la presunta crisi di produzione sostenuta da Philips per giustificare gli esuberi non esiste, altrimenti la produzione sarebbe calata ovunque, cosa che non è;
   la decisione di Philips apre una crisi che riguarda l'intera vallata, con il rischio di colpire in maniera «mortale» l'occupazione nella zona dell'appennino bolognese;
   infatti, intere famiglie dipendono dalla Saeco di Gaggio Montano, come fatto pubblicamente osservare dai sindaci dell'unione di comuni dell'appennino bolognese e dell'unione dei comuni dell'alto Reno, che si sono immediatamente schierati in difesa dei lavoratori a rischio licenziamento;
   il Ministro interrogato, il 1o dicembre 2015, ha annunciato che contatterà Philips per affrontare la situazione della Saeco di Gaggio Montano, convocando un tavolo per evitare che si perdano 243 posti di lavoro;
   si tratta di un'assicurazione importante ed apprezzabile, ma che è solo un primo, sia pure importante, passo in difesa di un'intera zona del nostro Paese minacciata dalle scelte di una multinazionale –:
   quali ulteriori iniziative, oltre a quelle annunciate, intenda intraprendere, per quanto di competenza, il Ministro interrogato per evitare la concretizzazione della minaccia dei licenziamenti annunciati da Philips, licenziamenti che, come detto, creerebbero una vera «bomba» sociale, mettendo in crisi tutto il sistema produttivo delle zone interessate e gettando nella disperazione intere famiglie che dal lavoro in Saeco dipendono per il loro reddito. (3-01896)
(Presentata il 15 dicembre 2015)

   FABBRI, BENAMATI, BOLOGNESI, DE MARIA, LENZI, MONTRONI, ZAMPA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Saeco s.r.l., azienda leader nel settore della produzione di macchine automatiche per caffè, nasce nel 1981 in Italia, a Gaggio Montano nei pressi di Bologna;
   Saeco, in più di 30 anni, ha prodotto più di 100 brevetti depositati, con frequenza di 10/15 nuovi progetti brevettati ogni anno attraverso 6 laboratori di ricerca, di cui uno certificato vde;
   dal 2009 la società viene acquisita dalla multinazionale olandese Royal Philips electronics;
   in data 26 novembre 2015 l'azienda annuncia senza preavviso formale di volere ridurre la forza lavoro di 243 unità su 558 dipendenti, con ciò provocando comprensibilmente l'immediata proclamazione dello stato di agitazione da parte dei sindacati;
   la suddetta decisione aziendale mette a rischio non solo un notevole numero di posti di lavoro, ma anche il futuro dello stabilimento e dell'intera comunità locale, che sarebbe colpita duramente da un così drastico e improvviso calo dei livelli occupazionali;
   Gaggio Montano è un comune dell'alto appennino bolognese, area già colpita duramente dalla deindustrializzazione, e l'impatto del ventilato provvedimento sarebbe devastante per tutta l'area dell'alto e medio Reno;
   il 2 dicembre 2015 si è tenuto un incontro, convocato dall'assessore alle attività produttive della regione Emilia-Romagna, Palma Costi, tra l'azienda e i sindacati, che però non ha dato spiragli positivi sulla vicenda degli esuberi;
   vista la complessità e la delicatezza della vicenda, la dimensione multinazionale della proprietà e la particolarità del territorio coinvolto nella crisi, si è deciso in tempi brevi di allargare il confronto sul piano nazionale e nella giornata del 3 dicembre 2015 il presidente della regione Stefano Bonaccini ha affrontato la questione con il Ministro interrogato, per valutare l'imminente convocazione di un tavolo ministeriale –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per arrivare alla definizione di un piano industriale che permetta la continuità produttiva, salvaguardando le ricadute occupazionali e minimizzando l'impatto socio-economico sulla comunità locale.
(3-01897)
(Presentata il 15 dicembre 2015)

   DI LELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sembra si stia consumando l'ultimo atto nell'area industriale di Acerra, che un tempo ospitava gli stabilimenti del colosso della chimica italiana, visto il fallimento del piano per il rilancio dell'ex Montefibre;
   a nulla sono servite le rassicurazioni e le promesse nei 10 anni di cassa integrazione e sacrifici: in questi giorni un'altra fetta dell'area industriale del napoletano rischia di chiudere i cancelli ed oltre 500 lavoratori rimarranno a casa;
   la Montedison fibre, dopo aver costretto i suoi dipendenti a lavorare a contatto con l'amianto fino a maggio 2004 (anno di chiusura dello stabilimento), lascia Acerra, «svendendo» rami aziendali ad altre 4 società;
   si ricorda che la Montefibre è un'industria chimica e tessile di rilievo europeo che è stata allocata sul territorio di Acerra, in area Asi, nel 1976. Tale azienda faceva parte del gruppo Montedison, nel 1984 passò ad Enimont e nel 1991, a seguito del fallimento di quest'ultima, le attività di Montefibre spa passarono sotto il controllo dell’Enichem, che le conferì alla controllata Enichem fibre;
   con un accordo tra Ministero e azienda si decise di assorbire i lavoratori Snia fibre nello stabilimento di Acerra, con incentivi all'esodo per gli operai presenti ed accompagnamento alla pensione. Il Governo pro tempore mise a disposizione circa tre miliardi di lire per la costruzione di un nuovo impianto denominato Nifa (Nuovo impianto filati Acerra), per favorire l'operazione; l'impianto venne realizzato in tempi brevi e le maestranze Snia pro tempore vennero in pochi anni riassorbite dal processo produttivo;
   poi nel 1996 vi fu l'acquisizione del gruppo Montefibre, controllata Enichem, da parte del gruppo Orlandi Finlane, a fronte di un investimento di 200 miliardi di lire;
   nel 2000 la Montefibre s.p.a. ha differenziato le sue attività dividendo Acerra in Ngp spa e Montefibre. Di fatto, lato chimico/energetico (DMT-Poly-CTE) e lato tessile Fiocco e IMFRA. Nel frattempo l'azienda ha smantellato gli impianti, in particolare, il Nifa è stato trasferito in un paese dell'Est europeo. Questo impianto è stato costruito per permettere l'inserimento degli ex lavoratori della Snia viscosa di San Giovanni a Teduccio;
   nel 2003 la Montefibre s.p.a., mediante un'operazione di scissione parziale, conferiva alla nascente società Ngp il ramo d'azienda relativo alla produzione polimero-poliestere con annessi servizi, quali: centrale termoelettrica, impianto biologico trattamento reflui e impianto di produzione utilities dello stabilimento di Acerra; alla Montefibre rimaneva la proprietà degli impianti fili e fiocco. Il personale relativo agli impianti scissi veniva conferito ad Ngp;
   nel gennaio 2004 Ngp s.p.a. annuncia la fermata e la dismissione dell'impianto Dmt del sito di Acerra (Napoli), espellendo dal ciclo produttivo circa 200 lavoratori diretti. La proprietà Orlandi ha dichiarato di dismettere il reparto Dmt e voler sostituire l'alimentazione della polimerizzazione con acido tereftalico, meno costoso e più facilmente reperibile sul mercato. Il tutto in 15-18 mesi, mettendo i lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria;
   due anni più tardi la società ha stretto un accordo con la spagnola La Seda de Barcelona e accetta la proposta di acquisto, da quest'ultima avanzata, del settore poliestere; nel biennio 2006-2008 Monteforte s.p.a. è entrata al 50 per cento nel capitale della cinese Jilin Jimont fiber co. ltd;
   da allora un sistema molto complesso di aziende si è riunito sotto il nome di Montefibre spa, vista, non solo, la differenziazione delle attività produttive, ma anche la cessione ad altre società di rilevanti rami di azienda;
   sta di fatto che diversi stabilimenti, tra cui Simpe s.p.a. e Ngp (società nata da uno spin off della stessa Montefibre), sono stati dichiarati falliti e sono state avviate le procedure di cassa integrazione per diverse decine di unità lavorative, ma a nulla sono serviti gli incontri con il Governo, le organizzazioni sindacali e i piani di rilancio;
   a nulla è servito anche l'annuncio, nel luglio del 2009, dell'accordo tra la regione Campania ed una serie di aziende, circa 20, tra cui la Montefibre, per la realizzazione del polo aerospaziale. Le lungaggini nella realizzazione di quest'ultimo, che, forse, avrebbe potuto cambiare la situazione, si intrecciano, da un lato, con le proteste dei lavoratori per il mancato pagamento della cassa integrazione e per il mancato decollo dell'accordo di programma e, dall'altro, con una gestione fallimentare della multinazionale, tanto che nel gennaio 2012 la La Seda de Barcelona annuncia la dismissione definitiva dell'impianto Simpe;
   la situazione gestionale si aggrava sempre più e accrescono le preoccupazioni dei lavoratori, i quali, non solo, sono costretti a scontare la totale inefficacia dei vari accordi via via sottoscritti, ma, nel dicembre del 2013, con la sospensione in borsa delle azioni della Montefibre, sono costretti a subire gli effetti nefasti della conseguente dichiarazione di messa in liquidazione –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato, per gli aspetti di propria competenza, abbia intenzione di porre in essere al fine di tutelare le centinaia di lavoratori che, a breve, si troveranno senza occupazione in un territorio già difficile, sia per quanto riguarda la prospettiva lavorativa, sia per quanto riguarda lo stato di degrado ambientale, scongiurando l'ennesima chiusura di sedi produttive che fanno capo a società multinazionali, che, per far quadrare i bilanci, a volte preferiscono delocalizzare, anziché trovare soluzioni ad un prosieguo dell'attività.
(3-01898)
(Presentata il 15 dicembre 2015)

   TAGLIALATELA, CIRIELLI, MAIETTA, NASTRI, RAMPELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI e TOTARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da notizie in possesso degli interroganti risulta che la società Garolla srl, titolare di una concessione per la gestione nel porto di Napoli di un impianto di stoccaggio di oli vegetali, realizzato su aree del demanio marittimo in forza degli atti concessori 133/5143 del 2007 e 152/7293 del 2014, sarebbe stata autorizzata dal Ministero dello sviluppo economico al cambio di destinazione di alcuni serbatoi allo stoccaggio di gasolio, per una capacità pari a oltre duemila tonnellate e alla movimentazione dello stesso gasolio attraverso le banchine 32, 43, 44 e 45;
   tale iniziativa appare agli interroganti di dubbia legittimità in quanto violerebbe l'articolo 15 del decreto ministeriale del 31 luglio 1934, il quale, con riferimento a porti quale quello di Napoli dotati di «bacini portuali separati e riservati esclusivamente al traffico dei liquidi infiammabili e combustibili», vieta la costruzione di stabilimenti e depositi costieri di oli minerali e loro derivati sulle altre calate;
   inoltre, l'iniziativa appare agli interroganti essere stata adottata in violazione anche dell'indirizzo approvato con riferimento all'ultimo piano regolatore del porto di Napoli, che prevede la delocalizzazione del traffico petrolifero al di fuori del porto, e della vigente ordinanza 28/89 della capitaneria di porto del compartimento marittimo di Napoli, che impone alle navi che trasportano prodotti liquidi infiammabili o combustibili di utilizzare esclusivamente gli ormeggi a tal fine espressamente previsti, tutti ubicati nella cosiddetta darsena petroli nella zona est del porto –:
   se le informazioni riportate in premessa corrispondano al vero e, se del caso, quali iniziative intenda assumere in merito. (3-01899)
(Presentata il 15 dicembre 2015)

   ALLASIA, FEDRIGA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 19 novembre 2014 è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che stabilisce lo schema standard di bando e le modalità di erogazione dei contributi previsti dall'articolo 6, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (cosiddetto decreto destinazione Italia), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, per la digitalizzazione delle imprese;
   i contributi, assegnati tramite la concessione di un voucher di importo fino a 10.000 euro, sono destinati alle micro, piccole e medie imprese per sostenere l'acquisto di software, hardware o servizi per la digitalizzazione dei processi aziendali e l'ammodernamento tecnologico;
   l'articolo 8 del citato decreto ministeriale rinvia ad un decreto direttoriale la definizione dei moduli da utilizzare per presentare la domanda di accesso al contributo e dei termini di apertura dello sportello telematico, oltre che l'indicazione del riparto su base regionale delle risorse finanziarie disponibili;
   per poter procedere all'apertura dei termini per la presentazione delle domande, oltre che alla fornitura delle informazioni di dettaglio e della modulistica, bisogna tuttavia attendere l'adozione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, che, come previsto dall'articolo 6, comma 2, del suddetto decreto-legge n. 145 del 2013, deve stabilire l'ammontare dell'intervento nella misura massima di 100 milioni di euro;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, dopo oltre un anno dall'emanazione del decreto da parte del Ministero dello sviluppo economico e a quasi oltre due anni dall'entrata in vigore dell'incentivo con decreto-legge, non ha ancora provveduto alla copertura finanziaria del provvedimento, lasciando inapplicata l'agevolazione fiscale di cui al citato articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 145 del 2013 –:
   se il Ministro interrogato intenda procedere, nel più breve tempo possibile, all'adozione del decreto ministeriale di cui al comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 145 del 2013, considerato il fatto che l'emanazione dello stesso è determinante ai fini della concessione dei voucher per la digitalizzazione delle piccole e medie imprese. (3-01900)
(Presentata il 15 dicembre 2015)

   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è oramai noto che la crisi bancaria che ha coinvolto negli ultimi anni i quattro istituti di credito, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara, Popolare Etruria e CariChieti e per i quali il Governo, dopo una lunga fase di amministrazione controllata e con l'ausilio dell'intero sistema bancario italiano, è intervenuto, discende da alcune concause che fanno da denominatore comune: incessanti perdite da capogiro, operazioni discutibili e crediti in forte sofferenza, concessi spesso con inoculata facilità;
   è ancora lungo l'elenco delle altre banche attualmente commissariate da Banca d'Italia: Bcc di Terra d'Otranto, Istituto per il credito sportivo, Cassa di risparmio di Loreto, Popolare dell'Etna, Popolare delle province calabre, Banca Romagna cooperativa, Bcc irpina, Banca padovana, Cassa rurale di Folgaria, Credito trevigiano, Banca di Cascina, Banca brutia;
   il Commissario europeo ai servizi finanziari Jonathan Hill ha dichiarato attraverso la stampa che i quattro istituti di credito, avviati alla procedura di risoluzione della crisi con il meccanismo recentemente varato, «vendevano alla gente prodotti inadatti ai clienti che probabilmente non sapevano cosa stessero comprando» e questo ha avuto «conseguenze personali per alcune persone in Italia», aggiungendo che «questo apre una questione più ampia di tutela dei consumatori»;
   si registra la presenza nel sistema di quasi 200 miliardi di euro di sofferenze che stanno in «pancia» alle banche italiane, il cui nodo è infatti nel valore. Le banche hanno già svalutato in media del 50 per cento i prezzi delle loro sofferenze. Per evitare nuove perdite le banche dovrebbero vendere appunto a 50 le loro sofferenze, ma i compratori non vanno oltre 20. I tempi di recupero sono talmente lunghi e aleatori che il possibile compratore per garantirsi un margine di profitto offre prezzi molti bassi. «La bad bank serve proprio a questo in realtà – dice Lea Zicchino di Prometeia –. A costituire un floor per i prezzi che consenta di creare un mercato che non c’è»;
   in tale scenario il 3 dicembre 2015 il neo presidente delle nuove banche nate dal suddetto salvataggio, Roberto Nicastro, ha dichiarato di voler diramare un sondaggio al fine di valutare il gradimento di una soluzione che contemplerebbe la loro cessione allo scopo di accorparle ad altre, essendo nel frattempo arrivate diverse manifestazioni di interesse in tal senso da altri istituti di credito ed operatori di private ed equity;
   l'istituto del «salvataggio interno», bail in, prevede che gli oneri del salvataggio di una banca in crisi gravino sui creditori interni in misura direttamente proporzionale al grado di rischiosità degli strumenti sottoscritti. Si parte dagli azionisti e dai titolari di altri strumenti assimilabili al capitale (come le azioni risparmio e le obbligazioni convertibili), per proseguire con gli obbligazionisti sempre secondo il grado di rischiosità (pagano prima i titolari di bond subordinati e poi quelli senior). Solo in ultima istanza, poi, potranno essere chiamati a rispondere anche i titolari di depositi per la parte eccedente la somma coperta dal fondo interbancario di garanzia: 100 mila euro. Ufficialmente la data di partenza è il 1o gennaio 2016;
   sussiste la necessità inderogabile di dare stabilità al sistema bancario e restituire immediatamente la massima fiducia a risparmiatori e investitori –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare ai fini di evitare il possibile verificarsi di nuove crisi bancarie e, soprattutto, il loro pesante ripercuotersi sui piccoli investitori. (3-01901)
(Presentata il 15 dicembre 2015)

   PESCO, ALBERTI, FICO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni sono accaduti diversi eventi legati alle gestioni di diversi istituti di credito e alla vigilanza attuata dalla Banca d'Italia e dalla Consob che destano notevoli perplessità tra i cittadini;
   nella fattispecie, la Banca d'Italia e il Governo hanno assunto atti ed iniziative sulla base delle disposizioni di cui al capo II del titolo IV del decreto legislativo n. 180 del 2015, rubricato «Riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale» (il decreto legislativo n. 180 del 2015 recepisce le direttive europee in materia di risoluzione delle crisi bancarie e di bail-in). Il suddetto capo II a sua volta rinvia alle disposizioni di cui alla sezione III del capo IV del titolo IV del medesimo decreto legislativo rubricata «Bail-in», che entrerà in vigore il 1o gennaio 2016;
   l'ultima crisi bancaria, che ha investito Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., Banca delle Marche s.p.a., Banca popolare dell'Etruria e del Lazio - Società cooperativa e Cassa di risparmio di Chieti s.p.a, prima commissariate e poi trasformate in nuove banche mediante un'operazione che, a detta degli interroganti, assomiglia molto ad un esproprio di fatto ai danni dei vecchi azionisti e obbligazionisti subordinati, ha suscitato uno sconvolgimento dei mercati e una generale perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del sistema bancario e finanziario soprattutto – guarda caso – verso tutte le banche di piccole dimensioni in linea con le richieste del Governatore delle Banca centrale europea che più volte si è espresso a favore di uno snellimento del numero di banche presenti sul territorio nazionale;
   difatti, il Governatore della Banca centrale europea sostiene la necessità di procedere ad una riduzione del numero delle banche, in particolar modo delle banche locali. A giudizio degli interroganti una gestione non sana e prudente e le crisi bancarie si evitano non favorendo le grandi banche – circostanza quest'ultima distorsiva della concorrenza – e, sulla base di quanto asserito, alla luce delle recenti indagini della magistratura, sarebbe opportuno correggere il deficit di vigilanza predisponendo misure finalizzate ad un corretto controllo della sana e prudente gestione degli istituti di credito;
   il Governo ha, inoltre, posto in essere azioni che, a giudizio degli interroganti, hanno sottratto, a molti cittadini, risorse economiche depositate presso istituti di credito di loro fiducia, probabilmente inconsapevoli che tale fiducia fosse mal riposta, screditando di fatto il settore bancario, tra l'altro in un momento particolare in cui i risparmiatori spaventati dal bail-in (prelievo forzoso) non hanno molta contezza su come mettere al sicuro i propri risparmi;
   il Governo, di fatto, sta addebitando le colpe solo sugli operatori del settore bancario e sugli investitori, tralasciando il fatto che Consob è responsabile dei controlli sui prospetti informativi dei prodotti offerti dagli istituti e delle relazioni degli istituti nei confronti dei mercati mobiliari, mentre Banca d'Italia avrebbe dovuto vigilare sulla sana e prudente gestione degli stessi. Gli organi di vigilanza dispongono in autonomia dei più ampi poteri discrezionali, ad avviso degli interroganti palesemente disattesi nel commissariamento dei quattro istituti di credito;
   il 13 dicembre 2015, a seguito degli accadimenti di cui sopra, anche il direttore generale della Banca d'Italia in una trasmissione televisiva ha ammesso pubblicamente qualche colpa asserendo in merito alla vigilanza che: «È una funzione che la legge ci ha assegnato da un po’ di anni e inizialmente l'abbiamo svolta con timidezza. Con il tempo abbiamo iniziato a capire che dovevamo investire di più nella tutela del cliente e nell'educazione»;
   il commissariamento è uno degli strumenti di vigilanza usati dalla Banca d'Italia e ultimamente la stessa istituzione è stata protagonista di diverse vicende che hanno fatto comprendere come spesso possa, a giudizio degli interroganti, avere fini diversi dalla tutela del sistema bancario: ne è la prova il fatto che molti istituti di credito sono stati penalizzati dall'azione dei commissari, come nei casi dell'amministrazione straordinaria intrapresa dalla Banca d'Italia nei confronti di Bene Banca Credito Cooperativo di Bene Vagienna, che ha comportato anche lo spostamento di liquidità dalla banca piemontese alla Banca Popolare di Vicenza. Così come il commissariamento della Banca Popolare di Spoleto, in quanto oltre alla vendita della banca umbra al Banco Desio per decisione dei commissari, il Consiglio di Stato ha disposto l'annullamento dello stesso commissariamento per eccesso di potere e per difetto di istruttoria, svolta a quanto pare in modo superficiale dal Ministero dell'economia e delle finanze; sullo stesso commissariamento sono in atto indagini da parte della procura della Repubblica di Spoleto nei riguardi di commissari e dei funzionari della Banca d'Italia tra cui lo stesso Governatore Ignazio Visco;
   ad oggi le banche discrezionalmente commissariate dalla Banca d'Italia sono 16 e ci si chiede se anche le restanti 12 avranno lo stesso epilogo di Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., di Banca delle Marche s.p.a., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio - Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti s.p.a, e soprattutto se probabilmente verranno acquisite dalle grandi banche, così come indicato dal Governatore della Banca centrale europea –:
   se si intendano assumere con urgenza le iniziative di competenza per la revoca dell'incarico al Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, e per la revoca dell'incarico di presidente della Consob affidato a Giuseppe Vegas.
(3-01902)
(Presentata il 15 dicembre 2015)

   BRUNETTA e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, il Governo ha adottato disposizioni urgenti per il settore creditizio e, in particolare, per fornire soluzione alla crisi di quattro banche in amministrazione straordinaria: Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Carichieti;
   l'operazione di salvataggio prevede la creazione di quattro società per azioni aventi per oggetto lo svolgimento dell'attività di ente-ponte con l'obiettivo di mantenere la continuità delle funzioni essenziali, precedentemente svolte dalle medesime banche e, quando le condizioni di mercato saranno adeguate, cedere a terzi le partecipazioni al capitale o i diritti, le attività o le passività acquistate, in conformità con le disposizioni del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180;
   le perdite patrimoniali sono state coperte azzerando capitale e bond subordinati e versando, inoltre, 1,7 miliardi di euro di capitali messi a disposizione dal neonato Fondo di risoluzione. Ulteriori 1,8 miliardi di euro il Fondo li ha messi per patrimonializzare le nuove banche. Il salvataggio ammonta complessivamente quindi a 3,6 miliardi di euro (pari a quasi la metà dei profitti totali che le banche italiane prevedono di contabilizzare nel 2015), interamente versati da più istituti al Fondo di risoluzione gestito da Banca d'Italia;
   il Governo ha richiamato l'urgenza di tale provvedimento, in quanto dal 1o gennaio 2016 entrerà in vigore la regola europea del bail-in, che prevede, in caso di dissesto di un istituto di credito e conseguente salvataggio, un costo anche per i correntisti con un deposito superiore ai 100.000 euro;
   se, da un lato, dunque, l'operazione si è resa necessaria per evitare l'applicazione delle nuove regole europee, dall'altro, occorre mettere in luce che la crisi dei quattro istituti di credito avrebbe potuto essere gestita seguendo un percorso diverso. Infatti, le banche avevano proposto di perseguire un piano di salvataggio volontario con fondi versati interamente dal sistema bancario nazionale; meccanismo che non avrebbe pesato in alcun modo su nessuna categoria: correntisti, azionisti e proprietari di bond;
   a questa soluzione, secondo quanto affermano il Ministro interrogato e Banca d'Italia, si sarebbe opposta la Commissione europea, ravvisando la fattispecie di «aiuti di Stato», malgrado non fosse previsto nessun intervento di capitali pubblici. Decisione che appare molto discutibile, dal momento che, a partire dal 2008, la crisi finanziaria ha generato un'espansione senza precedenti degli aiuti di Stato a favore delle banche. Tra il 1o ottobre 2008 e il 1o ottobre 2015, la Commissione europea ha adottato 450 decisioni di autorizzazioni di aiuti pubblici nazionali a favore delle banche. Si tratta di Germania, Francia, Inghilterra, Portogallo, Irlanda e Spagna che hanno beneficiato maggiormente dell'apertura europea agli aiuti di Stato. E appena nello scorso ottobre l'Unione europea ha dato il via libera all'ennesimo salvataggio nazionale di una banca tedesca, la HSH Nordbank di Amburgo;
   senza dubbio la proposta dello stesso Ministro interrogato di una «misura umanitaria volta a tutelare le fasce deboli di cittadini» che hanno perso i loro risparmi è stata a giudizio degli interroganti un implicito riconoscimento di responsabilità del Governo, che ha deciso di percorrere la strada del «Fondo di risoluzione nazionale» piuttosto che quella del «fondo interbancario di tutela dei depositi», e di chi doveva vigilare. Tanto più che al «fondo interbancario» è tornato il governo per finanziare il «Fondo di Solidarietà» di 100 milioni di euro istituito in un secondo momento per il ristoro degli obbligazionisti subordinati delle banche fallite;
   alla luce delle vicende riportate, l'obiettivo è innanzitutto quello di fare chiarezza: bisogna quindi verificare innanzitutto che gli istituti pubblici di vigilanza, Banca d'Italia e Consob, abbiano svolto correttamente e coerentemente il loro ruolo di garanzia per i risparmiatori, accertando le responsabilità e gli eventuali reati commessi dai consigli di amministrazione, dai direttori generali delle banche coinvolte e dai revisori dei conti, nonché dalle società di certificazione, che avrebbero certificato bilanci evidentemente in dissesto. Ma è, altresì, necessario chiarire la posizione del Governo alla luce degli interessi e dei conflitti di interesse in esso presenti, anche in riferimento alla normativa di cui alla legge n. 215 del 2004;
   è pertanto necessario verificare le fasi tecniche e i passaggi che hanno anticipato l'approvazione del decreto-legge n. 183 del 2015, i cui rilievi lasciano intravedere, ad avviso degli interroganti, ampi margini di opacità che hanno già innescato processi degenerativi;
   in particolare, tornando alle responsabilità dell'Esecutivo, va rilevato che la legge n. 215 del 2004 (recante «Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi») è molto chiara in merito agli obblighi di astensione in capo ai membri del Governo. Il riferimento è al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, il cui padre è stato per anni consigliere, e poi vice presidente, della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio (di cui lo stesso Ministro sarebbe azionista), ma anche al Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, in quanto andrebbe chiarita la posizione del padre, Tiziano Renzi, in merito ai rapporti finanziari intrattenuti con l'ex presidente della medesima banca;
   secondo quanto disposto dall'articolo 3 della medesima legge, è evidente, secondo gli interroganti, la sussistenza di un obbligo di astensione da parte del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Boschi e dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri Renzi nell'adozione del decreto-legge n. 183 del 2015, data «l'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio» di «parenti entro il secondo grado» –:
   se, in relazione all'approvazione, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro interrogato, del decreto-legge n. 183 del 2015 recante «Disposizioni urgenti per il settore creditizio», da parte del Consiglio dei ministri n. 93 del 22 novembre 2015, risulti che siano stati rispettati tutti i presupposti formali e sostanziali previsti dalle normative richiamate in premessa. (3-01903)
(Presentata il 15 dicembre 2015)

   DORINA BIANCHI, BOSCO, CALABRÒ, CERA, D'ALIA, GAROFALO, MAROTTA, MINARDO, MISURACA, PAGANO e SCOPELLITI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016, nel corso del suo iter parlamentare, si sta caratterizzando per un incisivo e costruttivo intervento del Parlamento;
   questo dato fa giustizia di tanti luoghi comuni sull'irrilevanza del Parlamento e su un presunto eccessivo e patologico protagonismo del Governo. Luoghi comuni che pure hanno avuto ampio corso nella stampa in questi ultimi mesi;
   ciò che viene ribadito è invece niente altro che il forte radicamento della democrazia parlamentare nel nostro Paese;
   ma ciò su cui occorre soffermare l'attenzione è che – pur nel difficile contesto in cui avviene l'approvazione di una legge di questo rilievo, contesto nel quale inevitabilmente trovano un loro legittimo spazio anche istanze territoriali e parziali – ciò che sta emergendo progressivamente sono anche alcune linee di politica economica di valenza generale, che irrobustiscono l'ispirazione originaria della manovra, decisamente orientata a rimettere in moto il motore della crescita dell'economia;
   per il gruppo di Area Popolare uno dei motivi maggiori di soddisfazione è la progressiva caratterizzazione di una politica nazionale per il Mezzogiorno d'Italia, cioè il recupero del Sud all'agenda della crescita del Paese;
   quella che il Parlamento sta affermando è una chiara volontà di aprire una fase nuova nella quale non si tratta più di sussidiare una parte del Paese, ma piuttosto di mettere in moto nuovi meccanismi che facciano dell'economia meridionale un elemento di traino e di impulso alla crescita dell'intero Paese, in un contesto economico internazionale e globale attraversato da profondi mutamenti;
   l'introduzione di un credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive nelle regioni del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo); l'estensione fino al 2017 dell'esonero contributivo alle assunzioni a tempo indeterminato in favore ai datori di lavoro privati operanti nelle stesse regioni; e soprattutto la misura innovativa di un meccanismo di quote riservate alle piccole e medie imprese del Sud su tutti gli incentivi statali: si tratta di tre misure che contribuiscono a qualificare la legge di stabilità per il 2016;
   Area Popolare, che ha ideato o sostenuto con convinzione queste misure, lo ha fatto nella consapevolezza che si tratta di una solida base di partenza, ma non di un punto di arrivo. Si tratta di interventi su cui il Governo sarà chiamato, nei prossimi mesi, a costruire una vera e propria politica economica di medio termine, come tassello necessario di quella agenda mediterranea che l'Italia ha ospitato e promosso con efficacia e credibilità con la Conferenza MED 2015 della scorsa settimana;
   in particolare, occorre saldare interventi di carattere intersettoriale, come quelli appena citati, con politiche industriali di settore che valorizzino le potenzialità economiche del Mezzogiorno nella logistica, nel turismo, nelle energie rinnovabili (con un'attualità resa ancora più marcata dagli esiti dalla COP 21 di Parigi), nella rigenerazione urbana e nell'economia digitale;
   inoltre, si tratta di saper saldare politiche industriali più efficaci e politiche infrastrutturali, con una visione moderna e orientata al futuro di tutto il sistema della viabilità nell'area baricentrica del bacino del Mediterraneo;
   in questo contesto appare indelebilmente marcato da pregiudizio ideologico il rifiuto di prendere anche semplicemente in considerazione il recupero, in chiave di crescita economica diffusa, di un'idea progettuale audace come quella del Ponte sullo Stretto di Messina; occorre prendere atto, anche qui con soddisfazione, che questo rifiuto pregiudiziale non appartiene alla cultura degli uomini che compongono questo Governo –:
   attraverso quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda valorizzare questi indirizzi normativi – ma ricchi di valenza politica più generale – riguardanti il ruolo, attuale e potenziale, del Mezzogiorno nelle politiche per la crescita, anche attraverso l'attivazione di meccanismi di monitoraggio dell'attuazione delle misure e del raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalle nuove norme. (3-01904)
(Presentata il 15 dicembre 2015)