TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 534 di Mercoledì 2 dicembre 2015

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA CURA DEI TUMORI RARI

   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione affari sociali, dopo aver svolto dal marzo al luglio 2015 un'indagine conoscitiva sulle malattie rare – che si è conclusa il 28 luglio con l'approvazione del documento conclusivo –, nel settembre scorso ha approvato alla unanimità una risoluzione, sul presupposto del documento conclusivo approvato a luglio, in cui sono contenuti alcuni impegni al Governo che costituiscono al tempo stesso una tutela per i malati e un forte incentivo alla ricerca. Si tratta di due finalità strettamente collegate tra di loro anche in funzione della prossima creazione degli ERN (European Reference Network). Le malattie rare, identificate dall'Unione europea come settore di sanità pubblica per cui è fondamentale la collaborazione tra gli Stati membri, fin dal 1999, con l'adozione della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1295, che adotta un programma d'azione comunitaria in tale ambito, sono state spesso oggetto di raccomandazioni comunitarie finalizzate all'adozione di programmi con obiettivi ampiamente condivisi. Il contesto in cui si collocano attualmente le malattie rare abbraccia infatti tutta l'Europa in una lunga sinergia di progetti come Europlan, Eurordis, Orphanet e dal prossimo 2016 le Reti di riferimento europee (ERN);
    come è emerso più volte durante le audizioni svolte nel corso della indagine conoscitiva, la scarsa consuetudine clinica e la scarsa disponibilità di conoscenze scientifiche, che derivano dalla rarità delle malattie, compresi i tumori rari, determina spesso lunghi tempi di latenza tra l'esordio della patologia e la diagnosi, nel caso delle malattie rare o diagnosi patologiche e trattamenti non idonei (nel caso dei tumori rari 1), incidendo negativamente sulla prognosi del paziente. Ma è proprio sul piano del diritto alla salute e più specificamente del diritto alle cure, che le richieste dei pazienti si fanno sempre più incalzanti e meno disposte alla rassegnazione nei confronti di un sistema burocratico a volte lento e farraginoso. L'Italia è stata presente fin dall'inizio in tutti gli organismi che si sono occupati di ricerca scientifica nel campo delle malattie rare a vari livelli: genetico, metabolico, farmacologico e assistenziale; dalla diagnosi precoce alla organizzazione della rete e dei servizi collegati, compresa l'integrazione tra le associazioni di malati. La competenza specifica e la disponibilità alla collaborazione del nostro Paese sono state oggetto di considerazione ed apprezzamento da parte di tutti i partner europei. E lo stesso è avvenuto in relazione ai tumori rari e alla rete di strutture di supporto che in questi anni si è andata formando, sia pure su base prevalentemente volontaristica;
    uno strumento di lavoro fondamentale in questo campo è infatti rappresentato proprio dalla rete, nelle sue diverse articolazioni e con i suoi obiettivi specifici. La Rete nazionale delle malattie rare, istituita in Italia nel 2001, prevedeva già da allora il Registro nazionale malattie rare (RNMR) e regolamentava l'esenzione da una serie di costi per le patologie inserite in una determinata lista, stabilita dal decreto ministeriale n. 279 del 2001. La lista da allora non è stata più aggiornata. All'istituzione della Rete nazionale delle malattie rare hanno fatto seguito due importanti accordi Stato-regioni, rispettivamente nel 2002 e nel 2007, dopo di che si è assistito ad un deciso rallentamento delle iniziative a favore di questi malati, considerati rari. L'assistenza ai malati rari richiede una serie molto complessa e articolata di interventi, che coinvolgono l'organizzazione, la programmazione e il finanziamento dell'intero sistema sanitario nazionale. Le difficoltà che i malati rari incontrano, per vedere soddisfatti i loro bisogni di presa in carico, dipendono da una molteplicità di fattori, quali la complessità delle azioni e degli interventi richiesti dalle specifiche patologie presentate dai pazienti, la necessità di coinvolgere un numero elevato di soggetti e specializzazioni per fornire loro un servizio adeguato, la differenza qualitativa che si registra nei servizi sanitari regionali del nostro Paese, nonché elementi strutturali, alcuni dei quali potrebbero essere fin da ora oggetto di azioni positive di miglioramento;
    l'Italia ha coordinato due progetti europei sui tumori rari, Surveillance of rare cancers in Europe (Rarecare) e Information network on rare cancers (Rarecarenet). Il primo, attraverso un processo di consenso, ha proposto la definizione di tumori rari ed ha prodotto una lista di 198 tumori rari. Il secondo progetto ha lavorato sulla definizione di centro di expertise per i tumori rari fornendo criteri generali e specifici per alcuni gruppi di tumori. Il Ministero della salute italiano ha supportato finanziariamente due progetti sui tumori rari, RITA (Surveillance of rare cancers in Italy) e RITA2 (Rare Cancers in Italy: surveillance and evaluation of the access to diagnosis and treatment), con gli obiettivi di fornire dati epidemiologici sui tumori rari in Italia e di raccogliere informazioni sulla qualità delle cure per alcuni tumori rari in Italia. Questi progetti sono stati basati sull'ampia collaborazione tra diversi esperti: patologi, oncologi, radioterapisti, chirurghi, epidemiologici, registri tumori di popolazione e volontariato oncologico (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia – Favo);
    i tumori rari condividono con le malattie rare l'aspetto della rarità, ma sono diversi per il fatto che si qualificano come tumori e in quanto tali appartengono ad una delle patologie più frequenti in Italia. Gli stessi tumori rari sono rari, se presi singolarmente, ma non sono tali se considerati cumulativamente. Il progetto Surveillance of rare cancers in Italy (RITA) ha infatti calcolato che i 198 tumori rari corrispondono a circa il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno in Italia (circa 1 tumore su 5 è un tumore raro);
    tra le principali differenze tra le malattie rare e i tumori rari se ne possono segnalare alcune per meglio comprendere la specificità dei due ambiti. I tumori rari sono tumori e quindi malattie sub-acute e vengono identificati in base all'incidenza ovvero al numero di nuovi casi/anno, mentre le malattie rare sono malattie croniche e quindi la prevalenza, che riflette il numero totale di casi in un determinato periodo nella popolazione, quantifica adeguatamente il peso che una malattia cronica ha a livello di popolazione. I tumori rari hanno una eziologia multifattoriale, mentre le malattie rare sono prevalentemente di origine genetica. I tumori rari hanno un andamento di tipo subacuto, caratterizzato da singoli eventi critici; mentre le malattie rare sono piuttosto malattie croniche, progressive e degenerative;
    nel loro insieme, i tumori rari costituiscono il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno. Fanno parte dei tumori rari tutta la famiglia dei tumori pediatrici, molti della famiglia dei tumori ematologici, dieci famiglie di tumori solidi dell'adulto. In pratica, vi sono dodici famiglie di tumori rari, che sono seguite da comunità diverse di medici, pazienti, istituzioni di riferimento. Sono sarcomi; tumori rari della testa e collo; tumori del sistema nervoso centrale; mesotelioma e timoma; tumori delle vie biliari; tumori neuroendocrini; tumori delle ghiandole endocrine; tumori rari urogenitali maschili; tumori rari ginecologici; tumori degli annessi cutanei e melanoma delle mucose e dell'uvea;
    per queste famiglie, l'oncologia, in Italia ed in Europa, ha creato tipi diversi di collaborazioni, da quelle per la ricerca clinica, a quelle che producono linee guida per la pratica clinica; dalle collaborazioni su progetti ad hoc, alle reti di sorveglianza epidemiologica, per concludere con le reti di pazienti. In considerazione di queste realtà già presenti e funzionanti in buona parte dei Paesi europei, è necessario creare più Reti di riferimento europee (ERN) sui tumori rari, corrispondenti alle dodici famiglie di tumori rari che afferiscono alle relative comunità di medici, pazienti, istituzioni che se ne occupano. Il governo italiano dovrebbe sostenere con decisione a livello europeo che le Reti di riferimento europee corrispondano alle esistenti comunità di clinici, ricercatori, istituzioni, pazienti, cioè alle dodici famiglie di tumori rari e che – perché funzionino – siano definiti ed accreditati ufficialmente i centri di riferimento che le costituiscono, secondo i criteri che le diverse comunità scientifiche di riferimento avranno prodotto;
    i dati epidemiologici relativi all'Italia sono stati raccolti nell'ambito del progetto RITA2 e si basano sui registri tumori di popolazione italiani dell'AIRTUM (htpp://www.registri-tumori.it/cms/it). Attualmente infatti non esiste un registro nazionale dedicato i tumori rari, diversamente da quanto avviene per le malattie rare per le quali il decreto n. 279 del 2001 ha istituito un registro nazionale presso l'Istituto superiore di sanità. Quindi per i dati epidemiologici sui tumori rari ci si avvale dei registri tumori, fonte affidabile grazie all'esperienza ultradecennale nel fornire correntemente i dati epidemiologici su tutti i tumori. Resta comunque il problema che sebbene l'AIRTUM sia impegnata nella produzione di una monografia dedicata ai tumori rari, tuttora questi tumori non appaiono ancora nelle statistiche correnti né in Italia né in altri Paesi europei. Appare quindi importante garantire un costante aggiornamento dei dati epidemiologici volto anche ad aumentare le informazioni di base raccolte sui tumori rari in modo da poterle utilizzare, ai fini sia di una adeguata programmazione dei servizi sanitari che per la valutazione del loro impatto;
    in Italia, le reti dell'Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (AIEOP) e del Gruppo italiano delle malattie ematologiche dell'adulto (GIMEMA) sostengono da anni la ricerca clinica, rispettivamente, nei tumori pediatrici e nei tumori ematologici, e contribuiscono a mantenere una buona qualità di cura tra centri di riferimento. Per quanto riguarda i tumori rari solidi dell'adulto (che corrispondono al 15 per cento di tutti i tumori rari e che sono molto meno presidiati da centri di riferimento specifici), dal 1997 la Rete tumori rari opera per migliorare la qualità di cura e diminuire la migrazione sanitaria attraverso la condivisione a distanza di singoli casi clinici;
    nel 2012 e nel 2013, gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale del servizio sanitario nazionale ne hanno incorporato il progetto, con lo scopo di far divenire la Rete tumori rari una «risorsa permanente del sistema sanitario nazionale», interfacciata con le reti oncologiche regionali, attraverso una governance ed un finanziamento centrali, in collaborazione con le regioni. Questa rete ha costituito un punto di riferimento importante per una migliore assistenza ai malati di tumori rari ma, contrariamente a quanto stabilito negli obiettivi di carattere prioritario per il 2012 e 2013, la Rete tumori rari non è stata confermata negli ultimi obiettivi di carattere prioritario, rendendo privo di un progetto formale l'unico punto di riferimento in rete per i pazienti italiani con tumori rari solidi dell'adulto;
    al contrario, la relazione finale del gruppo di lavoro sulla Rete tumori rari del Ministero della salute, istituito con decreto ministeriale 14 febbraio 2013, ha proposto una serie di azioni, condivise dal Ministro, tra cui la formalizzazione a livello Stato-regioni della predetta Rete;
    il decreto ministeriale 14 febbraio 2013 aveva istituito un gruppo tecnico di lavoro sui tumori rari, che ha consegnato al Ministero della salute le sue conclusioni nel maggio 2015. Il gruppo di lavoro ha lavorato con il mandato di fornire elementi di analisi, identificare criticità e definire proposte in merito a quattro obiettivi:
     a) fornire indirizzi per la progettazione e valutazione dei progetti regionali attuativi, nell'ottica di promuovere la collaborazione permanente tra i centri oncologici distribuiti su tutto il territorio nazionale;
     b) formulare proposte per il pieno raggiungimento degli scopi della rete (RTR), che attualmente ha carattere prevalentemente tecnico-professionale, frutto di un processo di aggregazione spontanea che non va disperso, ma va potenziato e reso fruibile da tutti coloro che ne abbiano bisogno;
     c) elaborare proposte per aumentare l'accesso ai farmaci nel trattamento dei tumori rari, rivedendo i requisiti normativi delle evidenze scientifiche necessarie per accedere all'uso compassionevole dei farmaci (decreto ministeriale 8 maggio 2003), e indispensabili per circoscrivere gli usi off-label nei tumori rari a centri clinici di documentata esperienza in tal senso;
     d) stabilire criteri e metodi per la classificazione nosologica dei tumori rari, facendo riferimento allo studio «Surveillance of rare cancers in Italy»: la definizione di tumore raro va basata sulla incidenza, che è il miglior indicatore di frequenza e i tumori vanno distinti in base a caratteristiche anatomo-patologiche (OMS);
    le criticità maggiori emerse nell'ambito della cura e del trattamento dei tumori rari solidi dell'adulto riguardano quattro aspetti concreti:
     a) la necessità di poter accedere in tempi ragionevoli ad una seconda diagnosi, perché la prima nel 40 per cento dei casi si rivela inidonea;
     b) la necessità di accedere obbligatoriamente ad un centro di riferimento per il trattamento chirurgico, che rappresenta il cardine della cura e che – se condotto senza esperienza specifica – compromette seriamente le probabilità di guarire del singolo paziente;
     c) la possibilità di accedere con la formula «per uso compassionevole» a farmaci che abbiano mostrato risultati di attività ed efficacia anche qualora non siano disponibili studi formali di fase seconda, o non vi sia un'iniziativa di registrazione in corso da parte dell'azienda farmaceutica produttrice, o non vi siano sperimentazioni in corso, e altro (in molto Paesi ciò è già possibile);
     d) l'urgenza di disporre di una rete nazionale per i tumori rari, articolata secondo parametri condivisi, in cui sia possibile per i centri oncologici privi di un expertise iper-specialistico su un determinato tumore raro accedere a tele-consultazioni e condivisioni cliniche prolungate con centri di eccellenza;
    la Rete tumori rari, esattamente per la rarità delle patologie di cui si occupa, deve configurarsi come rete di respiro nazionale con caratteristiche e necessità specifiche. In particolare deve prevedere il coinvolgimento di tutte le regioni, in sede di accordo Stato-regioni e pubbliche amministrazioni; le caratteristiche vanno adeguatamente e strutturalmente specificate (criteri di identificazione dei nodi della rete) dalle regioni in modo tale che la Rete tumori rari possa essere facilmente riconoscibile; occorre implementare le funzioni di carattere nazionale, mediante la valorizzazione del sistema informativo/informatico e in coerenza con la normativa regionale delle «prestazioni per la rete»,

impegna il Governo:

   al fine di evitare l'interruzione dell'operatività della attuale Rete nazionale delle malattie rare, conseguente alla decisione della Conferenza Stato-regioni, a promuovere rapidamente iniziative in grado di assicurarne la continuità così da «traghettare», come già previsto, l'inserimento della Rete tumori rari nel Servizio sanitario nazionale;
   a formalizzare una lista di tumori rari, sulla base di quella proposta dal gruppo di lavoro sulla Rete tumori rari, seguendo le conclusioni del progetto Rarecare;
   ad avviare un percorso che conduca alla definizione di criteri per l'accreditamento di centri di riferimento per i tumori rari, con l'obiettivo di centralizzarne il trattamento locale e raccordandone l'azione all'interno delle reti collaborative, così da massimizzarne l'efficacia;
   a costituire un gruppo di lavoro per l'avanzamento del progetto della Rete tumori rari, coinvolgendo i registri tumori di popolazione e le associazioni di volontariato oncologico;
   ad assicurare un più agevole accesso per i malati di tumore raro all'uso compassionevole dei farmaci attraverso l'aggiornamento del decreto ministeriale 8 maggio 2003 («Uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica»);
   ad investire sulla ricerca clinica e di sanità pubblica per i tumori rari, innanzitutto prevedendo una regolare sorveglianza epidemiologica dei tumori rari, a partire dal lavoro svolto nell'ambito di Rarecare e Rarecarenet dalla struttura di epidemiologia dell'Istituto nazionale tumori di Milano, in collaborazione con l'Associazione italiana registri tumori (AIRTUM);
   a valorizzare le eccellenze presenti nei centri di riferimento italiani, per realizzare un monitoraggio efficace degli standard di eccellenza, a livello scientifico, clinico-assistenziale ed organizzativo;
   a supportare la Commissione europea nella procedura di valutazione e selezione dei centri di riferimento italiani che entreranno a far parte delle European Reference Network su base rigorosamente meritocratica, con indicatori precisi e condivisi;
   a diffondere le informazioni relative alle European Reference Network, agli standard necessari per entrare a farne parte e alle opportunità che potrebbero scaturire fin da subito per la ricerca a vario livello, stimolando processi di autovalutazione della qualità del lavoro nel proprio centro;
   a proporre modelli di integrazione e di collaborazione tra i nodi di eccellenza delle reti e i diversi operatori del servizio sanitario nazionale, in modo da favorire la conoscenza reciproca e lo scambio di competenze necessarie per garantire un'attività scientifica e assistenziale sempre più efficace sull'intero territorio nazionale;
   a potenziare la capacità di ricerca e di formazione dei centri, attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifica dedicati ai tumori rari sia sotto il profilo diagnostico-assistenziale che sotto quello della organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
   a verificare che in tutti i tavoli di lavoro in cui si trattano i tumori rari siano presenti i rappresentanti delle associazioni di malati che hanno raggiunto livelli di esperienza e di competenza di riconosciuto valore;
   a investire sulla sicurezza dei pazienti affetti da tumori rari attraverso: elevata e comprovata competenza dei professionisti, riconosciuta qualità scientifica, capacità di giungere a diagnosi precoci in modo corretto, elevata esperienza specifica sul trattamento locale, inserimento dei pazienti in progetti di sperimentazione farmacologica ad elevata probabilità di successo, presenza di un monitoraggio costante e continuo delle procedure;
   a investire sull'aggiornamento dei pediatri di base e dei medici di medicina generale perché collaborino con i centri di riferimento nel riconoscimento di «sintomi sentinella», nella prevenzione primaria e secondaria, e attraverso un'opportuna diffusione dei fattori di protezione e dei fattori di rischio;
   a facilitare il riferimento dei pazienti ai centri della rete nelle fasi iniziali della cura, attraverso un capillare sistema informativo con il coinvolgimento del volontariato oncologico;
   ad assumere iniziative per facilitare la ricerca sul piano farmacologico attraverso misure di defiscalizzazione attrattive per gli investitori, soprattutto quando si tratta di «farmaci orfani» che potrebbero fungere da salvavita;
   a facilitare l'accesso dei pazienti ai farmaci off-label, utilizzando il cosiddetto fondo Aifa per la ricerca, anche attraverso un opportuno coinvolgimento dei medici curanti, in modo da garantire ai malati un costante ed efficace interessamento nei loro confronti, pur in assenza, per il momento, di soluzioni certe e definitive.
(1-01063)
«Binetti, Bosco, Pagano, Calabrò, Sammarco, Minardo, Garofalo, Vella, Tancredi, Scopelliti, Pizzolante, Cera, Palese».
(12 novembre 2015)

   La Camera
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che possono svilupparsi in diverse parti dell'organismo e avere caratteristiche molto differenti: la scarsa diffusione è l'unico elemento che accomuna tutti i tumori classificati come rari, che rappresentano una famiglia estremamente eterogenea di patologie;
    al momento non ci sono forme attendibili per stabilire in materia di tumori rari quanto siano realmente diffusi, poiché non esiste una definizione univoca sui numeri che caratterizzano questa «rarità»: una delle questioni principali da dirimere è la definizione di tumore raro ovvero quando è così poco comune da poter essere definito raro;
    la Rete tumori rari è una collaborazione tra centri oncologici italiani per migliorare l'assistenza ai pazienti con tumori rari ed utilizza la soglia di incidenza, ovvero il numero di nuovi casi in un anno, inferiore o uguale a 5 casi su 100.000, ma altre organizzazioni utilizzano soglie diverse e ciò complica il calcolo della diffusione di queste patologie;
    i tumori rari rappresentano oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno nell'Unione europea e riguardano nel territorio europeo oltre 4 milioni di persone;
    in Italia, secondo i dati dello studio RITA, dedicato proprio ai tumori rari, ogni anno sono circa 60.000 le nuove diagnosi di tumore raro;
    un tumore che sia raro non significa che sia incurabile o che le possibilità di guarigione siano più limitate rispetto a quelle di un tumore più comune: alcune neoplasie rare hanno infatti percentuali di guarigione o di controllo della malattia superiori a tumori molto più diffusi;
    i tumori rari sono una famiglia di neoplasie molto eterogenee. Ne esistono infatti molte tipologie che possono interessare ogni parte dell'organismo: i ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe), un progetto europeo che si occupa di tumori rari, ne hanno individuate oltre 250;
    tra i tumori rari più noti anche alcune forme di leucemie e linfomi, tumori pediatrici come il retinoblastoma o tumori solidi dell'adulto come il tumore gastrointestinale stromale (GIST) e i tumori neuroendocrini (Pnet);
    non è possibile definire fattori di rischio comuni per tutti i tumori rari perché queste patologie sono molto numerose e molto diverse tra loro, ma anche perché le informazioni e gli studi clinici ed epidemiologici su un tumore raro sono spesso limitati proprio a causa della difficoltà di reperire una quantità sufficiente di dati sui quali basare la diagnosi;
    la diagnosi è un momento fondamentale nel percorso di una persona che si confronta con il tumore: una diagnosi precoce e precisa consente di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla o a tenerla sotto controllo;
    nel caso dei tumori rari la diagnosi oggi spesso arriva in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. La ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara, con la quale hanno a che fare raramente nel corso della loro carriera professionale;
    per diagnosticare una malattia rara, sia tumorale sia di altra natura, servono infatti competenze particolari che solo un esperto del settore può garantire e servono inoltre esami specifici per rendere la diagnosi veramente completa e affidabile. Potrebbe quindi essere necessario inviare i campioni prelevati in altri laboratori per effettuare tali esami, allungando ulteriormente il tempo necessario per giungere alla diagnosi finale;
    nel 1997, per esempio, ha preso il via presso l'Istituto nazionale dei tumori di Milano (INT) la Rete tumori rari, un progetto nato con lo scopo di migliorare l'assistenza alle persone affette da un tumore raro, con particolare attenzione a quelli che vengono definiti tumori solidi dell'adulto (non si occupa infatti di tumori del sangue e tumori pediatrici). Si tratta di una collaborazione coordinata dall'Istituto nazionale dei tumori di Milano alla quale hanno aderito circa 200 centri oncologici in tutta Italia;
    dal 2001 esiste una Rete nazionale delle malattie rare, istituita dalla Conferenza Stato-regioni, a cui fa capo anche quella oncologica;
    gli obiettivi della Rete tumori rari sono:
     a) creare una collaborazione permanente tra strutture sanitarie con lo scopo di migliorare la qualità di cura ai pazienti con tumore raro;
     b) che la diagnosi e il trattamento nei centri partecipanti avvengano secondo criteri comuni;
     c) condividere a distanza casi clinici fra i centri partecipanti, in modo da migliorare le capacità di cura dei medici aumentando il numero dei casi che si trovano a fronteggiare;
     d) promuovere un accesso razionale a centri di diagnosi e cura, limitando al minimo indispensabile gli spostamenti dei pazienti;
     e) contribuire alla ricerca clinica sui tumori rari;
     f) contribuire alla diffusione della conoscenza sui tumori rari;
     g) diventare un modello sia dal punto di vista dei metodi utilizzati sia da quello delle tecnologie per ulteriori collaborazioni nell'ambito oncologico;
    i tumori rari in Italia, contrariamente da quanto previsto in Europa, non sono ricompresi nell'elenco delle malattie rare, che ha un proprio registro nazionale presso l'Istituto superiore di sanità istituito con il decreto n. 279 del 2001, e quindi i pazienti non possono beneficiare dei vantaggi, anche se insufficienti, riconosciuti alle persone affette da una patologia rara;
    si riscontrano e vengono denunciate dalle associazioni che si occupano di persone con tumore raro, difficoltà e disparità di accesso ai trattamenti innovativi, a volte uniche terapie efficaci per queste gravi forme di tumore;
    nel 2013 in Italia i pazienti affetti della sola leucemia mieloide cronica erano 7.881, con un'incidenza annuale in aumento stimata del 12 per cento, ovvero pari a 930 nuovi casi di persone con tumore raro;
    è necessario utilizzare e rendere accessibili le migliori terapie disponibili quando il paziente è ancora in fase cronica, per evitare il passaggio alle fasi avanzate della malattia;
    è estremamente importante, in un terreno orfano di terapie diagnostiche e specifiche, un efficace coordinamento dei centri specializzati che operano sul campo, ed appare necessario ottimizzare le risorse e promuovere le eccellenze che non mancano, evitando in tal modo i cosiddetti viaggi della speranza;
    non si può fare una programmazione delle strutture sul territorio in materia oncologica, se non si ha una base di conoscenza reale e attendibile sull'incidenza di queste malattie sul territorio. Senza queste informazioni è elevato il rischio di sovrastimare o sottostimare le strutture operanti nel campo: danneggiando comunque il paziente, in termini economici o di assistenza medica;
    l'obiettivo da perseguire è investire sulle terapie più innovative, sulla diagnostica della cronicità, ma anche sulla prevenzione e sul contrasto alle cattive abitudini che alimentano la diffusione delle patologie neoplastiche;
    il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, impone la registrazione dei farmaci orfani entro 100 giorni a partire dall'avvio della procedura nazionale,

impegna il Governo:

   al fine di assicurare specifiche forme di tutela ai soggetti affetti da tumori rari, ad implementare e dare continuità alla Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare inserendo in tale ambito i tumori rari;
   a definire in maniera chiara e condivisa i tumori che devono essere riconosciuti come rari;
   ad individuare i centri di eccellenza per la prevenzione, diagnosi, cura e terapia dei tumori rari, con particolare riferimento alla loro presenza uniforme sul territorio nazionale;
   a predisporre l'elenco dei tumori rari nell'ambito dell'elenco delle malattie rare;
   a prevedere che l'elenco dei tumori rari sia una «lista dinamica» in grado di accogliere e aggiornare l'elenco via via che siano diagnosticate anche le nuove patologie definite come rare ai fini delle opportune tutele per i pazienti di tumori rari;
   a sviluppare la capacità di ricerca in tale ambito, anche destinando ad essa specifiche linee di finanziamento, e prevedendo un'adeguata formazione per chi opera in tali centri, attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifica a livello nazionale ed europeo, dedicati ai tumori rari sia sotto il profilo diagnostico – assistenziale, che sotto quello della organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
   a promuovere la defiscalizzazione delle spese sostenute in Italia per la ricerca clinica e pre-clinica relativa ai «farmaci orfani» e ai tumori rari, con particolare attenzione e che progetti di ricerca in tale ambito siano rivolti anche al territorio delle regioni con disavanzo sanitario e sottoposte a piani di rientro;
   a garantire e favorire l'utilizzo off-label di farmaci per la cura dei tumori rari di cui è accertata l'efficacia, sulla base di evidenze scientifiche, anche al fine del loro inserimento nella lista del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito dalla legge n. 648 del 1996, favorendo lo sviluppo da parte dell'Agenzia italiana del farmaco di un'attenzione particolare ai tumori rari così come previsto per le malattie rare;
   ad aggiornare i dati relativi all'incidenza, sopravvivenza e prevalenza di ciascun tumore raro, tenuto conto dei dati relativi ai registri tumori AIRTUM;
   a verificare la possibilità di integrazione e validazione reciproca dei dati della Rete tumori rari (RTR) e dei dati dei registri tumori (AIRTUM);
   a prevedere la diffusione di informazioni sui tumori rari attraverso la collaborazione con le associazioni dei pazienti, coinvolgendo esperti, ricercatori, medici, associazioni di pazienti nel progetto informativo;
   a promuovere e favorire, anche attraverso apposite iniziative normative, l'istituzione di un registro nazionale tumori che comprenda, obbligatoriamente, i dati epidemiologi relativi ai tumori rari in riferimento agli elenchi citati in premessa;
   ad assumere iniziative affinché le attività di raccolta e analisi dei dati raccolti dai distretti e dalle aziende sanitarie locali, relativi a eziologia multifattoriale, eziologia generica o incerta possano essere attività correlate e connesse a quelle relative ai tumori rari;
   a intraprendere ogni iniziativa per il potenziamento della prevenzione primaria, da considerarsi attività di informazione e diffusione rispetto ai fattori di rischio, attraverso il coinvolgimento delle scuole e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, relativamente alle abitudini e ad un corretto stile di vita associato alla maggiore incidenza di patologie tumorali con particolare riferimento ai tumori rari;
   a garantire che, nell'ambito dell'attività di ricerca dell'Istituto superiore di sanità, sia garantito un finanziamento totalmente pubblico relativamente alla prevenzione primaria, secondaria e terziaria dei tumori rari.
(1-01073)
«Baroni, Silvia Giordano, Colonnese, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Zolezzi, D'Incà».
(30 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che si sviluppano in un numero ristretto di persone, perciò talvolta vengono impropriamente associati alle malattie rare. Unica differenza con tutti i tumori è la scarsa diffusione, anche se superano il 20 per cento del totale. Nonostante non sia semplice riscontrare una definizione univoca, viene utilizzata la prevalenza, che la Rete tumori rari indica come soglia di incidenza – numero di nuovi casi in un anno – in 6 casi su 100.000 persone. Il numero totale delle persone affette da tumore raro è molto elevato perché sono circa 200 i tumori rari. In Italia, si stimano in circa 60.000 le nuove diagnosi di tumore, ogni anno;
    la rarità incide sulla difficoltà di effettuare la diagnosi perché non sempre si incrocia il medico veramente esperto nella scelta e nella gestione della terapia, atteso che non è facile condurre studi clinici su numeri di pazienti contenuti: ciò impone una particolare attenzione nella programmazione di azioni efficaci per consentire a tutte le persone malate di accedere alle cure appropriate;
    in occasione della conclusione di una indagine conoscitiva condotta nella XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati sulle malattie rare, nel luglio scorso, è stato affermato: «per quanto concerne specificatamente la rete dei tumori rari, essa funziona dal 1997 come collaborazione permanente tra centri oncologici distribuiti sul territorio nazionale. Nel 2012 la linea progettuale n. 4 degli obiettivi del Piano sanitario nazionale intendeva istituzionalizzare la Rete come risorsa permanente. Gli obiettivi di Piano del 2013 hanno ribadito il progetto dell'anno precedente, prevedendo un finanziamento globale di euro 55.000.000 per la Rete tumori rari e Rete malattie rare». Dal 2014, nel riparto del fondo sanitario è venuto meno lo stanziamento dedicato e vincolato, con il rischio di indebolire la Rete che faticosamente era stata creata, anche alla luce di quanto prevede il Piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016 che, al punto 2.2, afferma: «Al momento i tumori rari sono in gran parte esclusi dall'elenco delle malattie rare, allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001, tuttavia è necessario rivalutare tale situazione anche alla luce dei risultati delle sperimentazioni in corso, al fine di integrare modelli organizzativi e processi assistenziali tra le reti esistenti in analogia a quanto avviene negli altri paesi europei»;
    in verità, l'Italia partecipa a progetti europei significativi, come ricorda – Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) – indicando nel progetto RITA (sorveglianza sui tumori rari) una linea di ricerca importante per conoscere l'impatto dei tumori rari in Italia. I registri tumori sono uno strumento importante per conoscere la frequenza e la sopravvivenza della patologia tumorale, tuttavia per i tumori rari la qualità della informazione non è mai stata studiata sistematicamente. Il progetto ha avuto lo scopo di migliorare la raccolta delle informazioni ed è stato integrato con il progetto europeo Rarecare. Il progetto, concluso nel 2010, ha prolungato e approfondito la ricerca con il progetto RITA 2 che consente di affermare che sono circa 200 i tumori rari e superano il 20 per cento dei nuovi casi di tumore maligno in Italia;
    si è inoltre alle porte di un nuovo importante appuntamento europeo: nel 2016 nasceranno le Reti di riferimento europee – European Reference Network (ERN) – che saranno le sedi ove si forniranno input per la formulazione delle linee guida, nonché dei criteri per l'accreditamento per la ricerca, la prevenzione e la cura delle malattie rare;
    è interesse dei pazienti e del nostro Sistema sanitario fare in modo che ci siano centri italiani in grado di ottenere il riconoscimento di idoneità per l'ammissione nelle Reti di riferimento europee. Si potranno così far circolare le informazioni e le competenze evitando le migrazioni ai pazienti;
    le regioni hanno presentato il 20 ottobre 2015, una proposta operativa al Ministero della salute che individua i criteri per selezionare i presidi e le modalità per costituire i Consorzi, quali soggetti giuridici che parteciperanno nelle Reti di riferimento europee: è un impegno che si ritiene strategico per l'intera rete dei servizi impegnati nella oncologia italiana e nelle malattie rare;
    infine occorre ricordare che l'intergruppo parlamentare sulle malattie rare ha recentemente prodotto un documento che sottopone al Ministro della salute alcune linee prioritarie di azione che sono largamente condivise anche dalle società scientifiche e dalle associazioni di volontariato,

impegna il Governo:

   ad assicurare la partecipazione italiana al massimo livello alle Reti di riferimento europee (ERN);
   ad assicurare la revisione dei registri tumori affinché siano evidenziate le informazioni sui tumori rari;
   ad assicurare la continuità alla Rete tumori rari coinvolgendo le associazioni di malati e di volontari che operano nel settore;
   ad inserire negli obiettivi di Piano il finanziamento degli interventi per i tumori rari;
   a dare attuazione alle conclusioni cui è pervenuto il gruppo di lavoro istituito dal Ministero della salute il 14 febbraio 2013 consegnate nel maggio 2015, ed in particolare a potenziare la ricerca e facilitare l'accesso ai farmaci.
(1-01074)
«Miotto, Lenzi, Amato, Burtone, Grassi, Casati, Piazzoni, Capone, Paola Boldrini, Bini, D'Incecco».
(30 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    le patologie cosiddette «rare» rappresentano una vera e propria frontiera di civiltà nell'erogazione di prestazioni di assistenza di qualità perché impegnano il sistema sanitario a garantire un appropriato fiancheggiamento di pazienti spesso «difficili», sia nel primo, corretto inquadramento diagnostico che nel successivo trattamento terapeutico;
    le patologie rare rappresentano anche una sfida di sostenibilità economica per il nostro sistema di welfare in quanto richiedono specificità di approccio, spesso tarata su pochi casi o, addirittura, sul singolo caso;
    l'aggiornamento dell'elenco delle malattie rare è uno degli «step» più attesi ed impegnativi delle azioni di innovazione in programma presso il Ministero della salute;
    le patologie rare rappresentano altresì una sfida per la verifica delle capacità di integrazione dei sistemi sanitari regionali italiani, in quanto spingono verso la strutturazione di sistemi di risposta ramificati e a rete, che abbiano punti di riferimento che vanno ben oltre i tradizionali bacini di utenza regionali;
    le patologie rare rappresentano inoltre una scommessa che può aiutare a disegnare i primi passi di un sistema di welfare sanitario di dimensione europea. Le più recenti direttive dell'Unione europea sulla mobilità sanitaria transfrontaliera e sulla libera circolazione del paziente in ambito europeo accelerano infatti l'esigenza di un nuovo confronto tra le diverse filosofie di risposta sanitaria dei Paesi dell'Unione europea e suggeriscono forme di collaborazione immediata che consentano la concertazione di una risposta sanitaria europea adeguata, per patologie che hanno numeri e frequenze che rendono assai difficile la strutturazione di centri di eccellenza di dimensione nazionale;
    nell'ambito delle patologie rare sono ricompresi anche i «tumori rari», che in Italia sono trattati nell'ambito delle reti oncologiche e sono pertanto esclusi dall'elencazione classica delle «malattie rare»;
    la XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati, nei mesi precedenti all'estate 2015, ha svolto un'indagine conoscitiva sulle malattie rare, compendiata da un'ampia fase di audizioni, nel corso della quale sono stati sentiti anche i referenti delle associazioni di riferimento per i tumori rari;
    la stessa XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati ha successivamente approvato una risoluzione finalizzata a ottenere il massimo impegno del Governo per il decollo delle attività dei network europei di riferimento per le malattie rare (ERN);
    lo stesso impegno appare necessario per l'attivazione delle reti europee di riferimento per i tumori rari;
    analogamente alle «malattie rare», anche i «tumori rari» sono spesso effettivamente «rari» se conteggiati singolarmente, ma non lo sono affatto nel loro complesso, al punto di rappresentare di fatto circa il 23 per cento delle complessive nuove diagnosi di tumore in Italia, con circa 86.000 nuovi casi l'anno;
    le forme di tumore raro sono oggi oltre 200, compendiate in dodici famiglie: dieci famiglie di tumori solidi dell'adulto a cui si aggiungono la famiglia dei tumori rari pediatrici e quella dei tumori rari ematologici;
    circa 600.000 italiani convivono oggi con un «tumore raro»;
    oggi in Italia, a fronte di tale massiccia presenza di patologie oncologiche «rare», sono purtroppo attive soltanto le due reti di riferimento dell'AIEOP (ematologie e oncologia pediatrica) e del GINEMA (ematologia dell'adulto). È invece ancora atteso il definitivo decollo delle attività della Rete dei tumori rari (RTR) che fin qui si è occupata molto di sarcomi, ma sta progressivamente allargando il suo interesse a tutte le 10 famiglie dei tumori rari solidi dell'adulto, che costituiscono circa il 15 per cento dei nuovi casi di tumore. La Rete dei tumori rari, che pure era stata considerata un obiettivo prioritario dell'intesa Stato-regioni, non ha ancora avuto la definitiva istituzionalizzazione ed opera pertanto in regime non ufficiale, con significativi limiti organizzativi, di risorse e di autorevolezza;
    la nascita e la crescita delle reti, oltre che rappresentare un solido punto di riferimento per le esigenze del paziente, costituisce anche uno stimolo alla relazione e alla ricerca clinica tra «centri di riferimento» che possono mettere in comune esperienze e best practice, collaborando tra loro, scambiandosi know how e conoscenze, correlando le esperienze di ricerca e contribuendo alla formazione delle risorse umane dedicate;
    il ritardo nella strutturazione delle reti e nel loro potenziamento si traduce in una riduzione di qualità della risposta alle esigenze del paziente che, spesso, non trova i punti di riferimento indispensabili per un approccio più sereno alla gestione della propria patologia;
    il ritardo nella strutturazione delle reti si accompagna al deficit nell'individuazione dei centri di riferimento e nella valutazione dell'appropriatezza delle cure erogate dalle singole strutture, con complessiva perdita di qualità della risposta al singolo paziente, che spesso ha difficoltà persino ad individuare la struttura del servizio sanitario nazionale più idonea a fornire risposte diagnostiche e terapeutiche di qualità al proprio problema oncologico;
    tale situazione di ritardo organizzativo è stata più volte segnalata dalle organizzazioni che tutelano l'interesse dei pazienti oncologici al punto che la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), il 30 ottobre 2015, ha organizzato un momento di incontro con l'intergruppo parlamentare che segue le malattie rare, finalizzato a sensibilizzare le istituzioni parlamentari alla necessità di accelerare i provvedimenti indispensabili per modificare la capacità di risposta del nostro servizio sanitario nazionale all'emergenti esigenze dei malati affetti da tumore raro;
    in tale circostanza, la stessa Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia ha ancora una volta sottolineato la difficoltà nella reperibilità e nell'utilizzo dei farmaci oncologici ad alto costo (Fac), conseguente al diverso regime autorizzativo reso possibile dalla disomogeneità della normativa in materia di disponibilità dei farmaci nelle differenti regioni italiane;
    in tale occasione, la stessa Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia ha ancora denunciato con forza la necessità di dirimere quanto prima le difficoltà applicative del decreto ministeriale dell'8 maggio 2003, che disciplina l'uso terapeutico dei medicinali sottoposti a sperimentazione clinica, rendendo possibile il cosiddetto «uso compassionevole» dei farmaci spesso indispensabili a dare nuova speranza ai pazienti affetti da tumore raro;
    le difficoltà interpretative delle norme nazionali e le differenze di erogazione di prestazioni e presidi nelle diverse regioni italiane rendono ancora più urgente ed indispensabile la creazione di centri di riferimento per i tumori rari e delle reti di relazioni nazionali ed internazionali, finalizzate alla qualità e omogeneità delle prestazioni erogate, che garantiscano nella sostanza i principi di equità e universalità che stanno alla base della legge n. 833 del 1978, che ha fatto nascere il nostro sistema sanitario nazionale,

impegna il Governo

   ad inserire le iniziative di tutela dei malati oncologici rari negli obiettivi prioritari dell'attività del Ministero della salute:
    a) stabilendo tempi e metodologia per l'individuazione e l'accreditamento dei centri nazionali di riferimento per i tumori oncologici rari;
    b) potenziando le reti dei tumori rari già esistenti (AIEOP e GIMEMA) e istituzionalizzando e dotando di risorse adeguate la Rete dei tumori rari, già operativa di fatto dal 1997;
    c) potenziando l'infrastrutturazione informatica e l'aggiornamento delle risorse umane che consenta ai centri di riferimento di ottimizzare le proprie capacità di comunicazione attraverso la tecnologia, contribuendo a «spostare le informazioni e le conoscenze» senza «spostare il paziente»;
    d) promuovendo l'integrazione delle Reti dei tumori rari nazionali con analoghe iniziative europee, orientate all'organizzazione di veri e propri network (ERN) in grado di orientare e accompagnare i pazienti verso le eccellenze certificate di livello europeo;
    e) ponendo in carico all'Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) il ruolo di promozione e di coordinamento di tali attività di rete e quello di contatto con le società scientifiche e le associazioni di tutela dei diritti dei pazienti;
    f) attivando rapporti di collaborazione e di confronto con il mondo scientifico e l'industria del farmaco per potenziare la capacità di ricerca sia in ambito epidemiologico, che clinico favorendo tutte le attività di sperimentazione finalizzate al progresso delle conoscenze specifiche e di nuove opportunità terapeutiche, in particolare per le patologie con numeri più bassi, meno attrattive di capitali per la ricerca;
    g) promuovendo, in collaborazione con l'Agenas, con i registri tumori e con le associazioni dei pazienti, le specifiche attività di sanità pubbliche rivolte alla identificazione della migliore organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
    h) favorendo la crescita qualitativa e l'omogeneizzazione dei trattamenti dei pazienti affetti da tumori rari su tutto il territorio nazionale, anche intervenendo sulle politiche del farmaco oncologico ad alto costo (FAC) per facilitare l'accesso all'innovazione in modo uniforme, in tutte le regioni italiane;
    i) disponendo il puntuale aggiornamento del decreto ministeriale dell'8 luglio 2003, per garantirne l'efficacia e per dirimere ogni dubbio di interpretazione normativa che possa rendere difficoltoso l'accesso dei pazienti alla sperimentazione farmacologica di tipo «compassionevole»;
    l) garantendo la piena collaborazione con le associazioni di tutela dei malati oncologici, finalizzata alla conoscenza e al superamento con adeguati interventi organizzativi, interpretativi e normativi delle difficoltà incontrate dai pazienti affetti da tali gravi patologie.
(1-01075)
«Vargiu, Monchiero, Vecchio, Catania, Matarrese, Dambruoso, Capua, Librandi, Galgano, Vezzali, Mazziotti Di Celso, Rabino, D'Agostino, Sottanelli, Oliaro, Pinna».
(1o dicembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    i tumori rari sono neoplasie che si possono sviluppare in un numero ristretto di persone, con il rischio che talvolta vengano impropriamente associati alle malattie rare. Rispetto agli altri tumori, l'unica differenza delle patologie tumorali rare è la loro scarsa diffusione; non è semplice individuare una definizione univoca, ma generalmente, viene presa a riferimento la soglia incidenza utilizzata dalla Rete dei tumori rari in 6 casi su 100.000 persone;
    i ricercatori del progetto Rarecare (Surveillance of rare cancers in Europe) che è uno dei due progetti coordinati dall'Italia, ne hanno individuati oltre 250. I tumori rari rappresentano, purtroppo, oltre il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati ogni anno nell'Unione Europea (il 23 per cento dei nuovi casi di tumore maligno diagnosticati) e riguardano, in questo territorio, più di 4 milioni di persone. Si tratta di oltre 500 mila nuove diagnosi ogni anno in Europa e almeno 10 mila in Italia (dati Associazione italiana dei registri tumori – AIRTUM);
    fanno parte dei tumori rari tutta la famiglia dei tumori pediatrici, molti della famiglia dei tumori ematologici e alcuni tumori solidi dell'adulto. Il fatto che si parli di un tumore raro non significa che sia incurabile o che le possibilità di guarigione siano più limitate rispetto a quelle di un tumore più comune: alcune neoplasie rare hanno infatti percentuali di guarigione o di controllo della malattia superiori a tumori molto più diffusi;
    sicuramente, la rarità di queste malattie crea una serie di problemi come, per esempio, la difficoltà di effettuare la diagnosi o di incontrare medici veramente esperti nella scelta e nella gestione della terapia e l'incertezza di medici e ricercatori sulle strategie di cura, legata soprattutto alla mancanza di studi clinici su numeri elevati di pazienti;
    la diagnosi è un momento cruciale nel percorso di una persona che si confronta con il cancro: una diagnosi precoce e precisa permette, infatti, in molti casi, di affrontare la malattia con gli strumenti più adatti a sconfiggerla o a tenerla sotto controllo. Nel caso dei tumori rari, però, la diagnosi arriva spesso in ritardo, dopo che il paziente si è sottoposto a diverse visite o esami clinici. La ragione principale di questo ritardo è la difficoltà che incontrano i medici a riconoscere una patologia rara;
    in occasione della conclusione di un'indagine conoscitiva condotta nella XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati sulle malattie rare, nel luglio 2015, è stato affermato: «per quanto concerne specificatamente la rete dei tumori rari, essa funziona dal 1997 come collaborazione permanente tra centri oncologici distribuiti sul territorio nazionale. Nel 2012 la linea progettuale n. 4 degli obiettivi del piano sanitario nazionale intendeva istituzionalizzare la Rete come risorsa permanente. Gli obiettivi di piano del 2013 hanno ribadito il progetto dell'anno precedente, prevedendo un finanziamento globale di euro 55.000.000 per la Rete dei tumori rari e Rete delle malattie rare». Dal 2014 nel riparto del fondo sanitario è venuto meno lo stanziamento dedicato e vincolato con il rischio di indebolire la Rete che faticosamente era stata creata, anche alla luce di quanto prevede il piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016 che al punto 2.2 afferma: «Al momento i tumori rari sono in gran parte esclusi dall'elenco delle malattie rare, allegato al decreto ministeriale n. 279 del 2001, tuttavia è necessario rivalutare tale situazione anche alla luce dei risultati delle sperimentazioni in corso, al fine di integrare modelli organizzativi e processi assistenziali tra le reti esistenti in analogia a quanto avviene negli altri Paesi europei»;
    la Rete nazionale delle malattie rare, che è stata istituita in Italia nel 2001, prevedeva già da allora il Registro nazionale delle malattie rare (Rnmr) e regolamentava l'esenzione da una serie di costi, per le patologie inserite in una determinata lista, stabilita dal decreto ministeriale n. 279 del 2001. La lista da allora non è stata più aggiornata. Dopo l'istituzione della Rete nazionale hanno fatto seguito due importanti accordi Stato-regioni, dopo i quali si è purtroppo assistito ad un progressivo rallentamento delle iniziative in favore dei malati considerati rari;
    la Rete dei tumori rari è una collaborazione permanente tra centri oncologici su tutto il territorio nazionale, finalizzata al miglioramento dell'assistenza ai pazienti con tumori rari, attraverso la condivisione a distanza di casi clinici, l'assimilazione della diagnosi e del trattamento secondo criteri comuni, il razionale accesso dei pazienti alle risorse di diagnosi e cura. Attualmente, la Rete considera «rare» le neoplasie con incidenza annuale inferiore o uguale a 6/100.000. Questa è peraltro una definizione conservativa, rispetto, in particolare, a quella in uso per le malattie rare in genere (basata sulla prevalenza, intesa come inferiore a 50/100.000). Ciò che è importante, nella sostanza, è che i tumori rari sono molti, e dunque i casi, ancorché pochi per ogni tumore, sono numerosi globalmente;
    il problema dei tumori rari è socialmente rilevante, paradossalmente proprio in termini quantitativi, oltre naturalmente a costituire una priorità per motivi etici. Sotto il profilo etico, infatti, non è giusto che i pazienti con tumore raro abbiano a soffrire discriminazioni dovute alla bassa incidenza della loro malattia, come invece può accadere. I tumori rari, come le malattie rare in genere, comportano difficoltà particolari. Le competenze cliniche sui tumori rari non sono reperibili con facilità dalla persona malata, in quanto i centri che ne dispongono sono pochi e dispersi geograficamente. Inoltre, il trattamento dei tumori rari richiede spesso approcci multidisciplinari, e dunque la dispersione geografica delle competenze risulta ancora più frequente. Di fatto, i tumori rari sottendono un elevato grado di migrazione sanitaria, all'interno e verso l'esterno del Paese;
    in questo senso, i costi sociali dei tumori rari sono impressionanti, se appunto si considera la migrazione sanitaria. La migrazione sanitaria all'interno del Paese, talora verso l'esterno, è notoriamente un problema maggiore dell'ambito oncologico italiano, ma naturalmente essa diventa ancora più importante se si considerano i tumori rari;
    la Rete dei tumori rari è dunque una collaborazione permanente tra strutture sanitarie con lo scopo di migliorare la qualità di cura ai pazienti con «tumore raro»;
    per migliorare la qualità di cura nell'ambito dei tumori rari sono obiettivi primari della Rete:
     a) assimilare la diagnosi e il trattamento nei centri partecipanti secondo criteri comuni (si definisce «logico di rete» il paziente il cui caso viene affrontato nell'ambito della Rete secondo criteri condivisi);
     b) realizzare la condivisione a distanza di casi clinici fra i centri partecipanti (si definisce «virtuale di rete» il paziente il cui caso sia condiviso a distanza nell'ambito della Rete);
     c) promuovere un razionale accesso alle risorse di diagnosi e cura, limitando se e quanto possibile la migrazione del paziente;
     d) contribuire alla ricerca clinica sui tumori rari;
     e) contribuire alla diffusione della conoscenza sui tumori rari;
     f) fungere da modello metodologico e tecnologico per la collaborazione in rete geografica nell'ambito oncologico e delle malattie rare;
    nelle scorse settimane è stata incardinata, presso la XII Commissione (Affari sociali) della Camera dei deputati, una proposta di legge per promuovere l’«Istituzione e la disciplina del Registro nazionale e dei registri regionali dei tumori». In Italia, i registri dei tumori sono nati su base volontaristica per iniziative spontanee di singoli clinici, epidemiologi, patologi o operatori della sanità pubblica che hanno inizialmente portato alla costituzione di nuclei di sorveglianza di dimensioni medio-piccole;
    l'attività dei registri dei tumori ha già dimostrato in maniera diffusa l'utilità di un sistema di sorveglianza delle patologie oncologiche. Infatti, i registri dei tumori raccolgono, valutano, organizzano e archiviano in modo continuativo e sistematico le informazioni più importanti su tutti i casi di tumore e le relative variazioni territoriali e temporali attraverso misure di incidenza, sopravvivenza per i diversi casi e mortalità, fornendo così un indicatore fondamentale della qualità dei servizi diagnostici e terapeutici nei diversi territori. I registri dei tumori sono strumenti fondamentali per l'organizzazione e la valutazione dell'efficacia degli interventi anche di prevenzione in aree o per popolazione ad alto rischio,

impegna il Governo:

   a definire in maniera univoca quali siano i tumori che devono essere riconosciuti come rari, predisponendo conseguentemente, un prospetto aggiornato di tali patologie, nell'ambito dell'elenco delle malattie rare;
   ad individuare i centri di eccellenza per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei tumori rari, con particolare riferimento alla loro presenza capillare sul territorio nazionale;
   a promuovere l'inserimento delle patologie tumorali rare tra le 21 ERN (European Reference Network), che accedono ai fondi comunitari per le malattie rare e che la Commissione europea dovrà costituire nel 2016;
   a dare continuità alla Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi, cura e terapia delle malattie rare, inserendo in questo ambito anche i tumori rari, anche dando seguito agli accordi Stato-regioni, dopo i quali si era verificato un rallentamento delle iniziative a favore dei malati di tumore raro.
(1-01076) «Nizzi, Occhiuto».
(1o dicembre 2015)

MOZIONI CONCERNENTI L'ANNUNCIATO PROCESSO DI PRIVATIZZAZIONE DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE S.P.A.

   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70.000 dipendenti e un totale di 16.700 chilometri di rete Ferroviaria;
    Ferrovie dello Stato italiane spa ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014, anno in cui ha segnato un Ebitda di 2,1 miliardi di euro, per un totale di 4,3 miliardi di euro di investimenti (in crescita fino a 6,5 miliardi di euro nel 2016);
    il Gruppo conta circa 70.000 dipendenti, di cui circa 5.000 in Germania (Netinera). La linea ferroviaria e lunga 16.726 chilometri, di cui circa 1.000 ad alta velocità. Il sistema alta velocità-alta capacità parte da Torino e arriva fino a Salerno (Torino-Milano-Bologna-Roma-Napoli-Salerno). Ulteriori tratti sono tra Milano e Treviglio e tra Padova e Mestre. Attualmente, si sta completando il tratto Milano-Verona-Venezia per disegnare la cosiddetta «T». La frequenza è di 8.000 treni al giorno di cui circa 7.000 regionali e 1.000 tra alta velocità, media e lunga percorrenza e treni merci;
    le Ferrovie dello Stato nacquero nel 1905 dopo la statalizzazione di numerose ferrovie italiane. Già dal 1945 azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, sotto il controllo del Ministero dei trasporti, nel 1986 si trasforma in ente pubblico economico. Nel 1992 l'ente fu trasformato in società per azioni con partecipazione statale totale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze. Nel 1999 ha inizio la divisionalizzazione della società con la nascita di Trenitalia nel 2000 e di Rfi nel 2001. Il 24 maggio del 2011 le Ferrovie dello Stato divengono Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a., in breve FS Italiane;
    Trenitalia è l'impresa di trasporto passeggeri e merci mentre Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) è la società che si occupa della gestione dell'infrastruttura: entrambe sono partecipate al 100 per cento di Ferrovie dello Stato italiane;
    secondo i dati Mediobanca del 2015 il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane è la seconda azienda italiana per investimenti, quinta per dipendenti, decima per redditività e tredicesima per fatturato. Infine, Ferrovie dello Stato italiane quest'anno ha conquistato il primo posto nella classifica delle aziende dove i giovani neolaureati desiderano lavorare ed è risultata prima nel ranking «Best Employer of Choice 2015»;
    nel Documento di economia e finanza (DEF) 2014, approvato in via definitiva dalle Camere il 17 aprile 2014, il Governo aveva già manifestato l'intenzione di attuare un piano di privatizzazioni mediante la dismissione di partecipazioni in società controllate anche indirettamente dallo Stato e l'attivazione di strumenti per consentire le dismissioni anche da parte degli enti territoriali; come riportato nel programma nazionale di riforma contenuto nello stesso documento, le società coinvolte nell'operazione includono società a partecipazione diretta quali ENI, STMicroelectronics, ENAV, nonché società in cui lo Stato detiene partecipazioni indirettamente tramite Cassa depositi e prestiti, quali SACE, FINCANTIERI, CDP Reti, TAG (Trans Austria Gastleitung Gmbh) e, tramite Ferrovie dello Stato, in Grandi Stazioni – Cento Stazioni;
    il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, ha annunciato recentissimamente che sarà avviata la procedura di privatizzazione di Ferrovie dello Stato, specificando che, comunque, non potrà andare oltre il 40 per cento. In particolare, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio ha dichiarato che si tratta di un percorso che tiene presenti alcune questioni per cui l'infrastruttura ferroviaria dovrà rimanere pubblica e dovrà essere garantito l'accesso a tutti in maniera uguale. Il 40 per cento potenzialmente alienabile andrà a un azionariato diffuso e investitori istituzionali;
    considerato che le privatizzazioni in Italia sono state sempre caratterizzate da un percorso particolarmente complesso, pieno di fallimenti e di incognite in cui spesso si sono intrecciate operazioni finanziarie poco trasparenti, per cui lo Stato quasi mai ne ha tratto vantaggio né dal punto di vista economico, né tanto meno sotto il profilo della competitività;
    con riferimento alla privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane, si è sempre parlato in questi mesi della possibile attuazione di due strategie. La prima, battezzata del «carciofo da sfogliare», è caratterizzata da una vendita di pezzi del Gruppo ferrovie dello Stato italiane, in prospettiva lasciando in mano pubblica solo la rete ferroviaria – d'importanza strategica per il Paese e bisognosa di forti investimenti – per collocare subito sul mercato alta velocità e trasporto merci, servizi già redditizi o potenzialmente tali. La seconda consiste nella la vendita secca di una quota di minoranza della holding che controlla il Gruppo, riportando direttamente allo Stato la rete ferroviaria o comunque regolandone la gestione da parte di Rete ferroviaria italiana in modo da garantire l'accesso paritario agli operatori;
    sotto tale profilo si evidenzia che qualunque strategia avesse voluto intraprendere il Governo, il Parlamento, innanzitutto, avrebbe dovuto esercitare una, funzione di controllo e indirizzo politico importante al riguardo in quanto Ferrovie dello Stato italiane non è solo società controllata dallo Stato, ma una grande impresa partecipata pubblica la cui privatizzazione potrebbe determinare l'indebolimento di rilevanti potenzialità industriali nazionali in termini di riconversione ecologica, civile e tecnologica del sistema economico italiano, senza peraltro un sostanziale effetto di diminuzione del debito pubblico, ma con una riduzione delle entrate fornite al bilancio dello Stato dai dividendi della stessa società;
    qualsiasi disegno di privatizzazione che coinvolga il gruppo ferrovie dello Stato italiane appare infatti delicato e destinato a suscitare preoccupazioni, oltre che interessi, anche e soprattutto per il valore patrimoniale dei ricchi asset di cui dispone che per la redditività economica della gestione industriale. Si tratta, infatti, di una società dal voluminoso valore patrimoniale che viene da una storia ultra secolare e resta fondamentale per la mobilità integrata del sistema Paese;
    le ferrovie rappresentano un bene strategico per il Paese ed una risorsa per tutti gli italiani, ma l'attuale Governo, nel farsi promotore e forte sostenitore della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato italiane, sembra dimenticare i temi ancora caldi da sciogliere a partire dal rapporto con Rete ferroviaria italiana (la controllata che gestisce la rete) e Trenitalia con i vari contratti (dalla lunga percorrenza sino a tutta la partita del trasporto locale). Soprattutto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il timore è che il Gruppo Ferrovie dello Stato verrebbe, in sostanza, svuotata di valore e di contenuti e il tutto per raccogliere pochi miliardi di euro (tra i 5 e i 10 miliardi a quanto risulta) che non sono assolutamente nulla rispetto ai 2000 miliardi di debito pubblico accumulati dal nostro Paese;
    in buona sostanza, appare inspiegabile il motivo per cui si intenda in controtendenza a quanto accade in altri Paesi europei come la Francia e la Germania, privatizzare una società solida e in crescita come Ferrovie dello Stato, capace di operare sul mercato italiano e di aprirsi ad una competitività nel trasporto ferroviario e alla logistica anche a livello continentale per garantirsi nell'immediato quella che sembrerebbe una modesta entrata economica, mettendo a repentaglio profitti, livelli occupazionali e qualità professionali;
    l'imminente alienazione di quote di Ferrovie dello Stato italiane non sembra, infatti, considerare i rischi derivanti da una affrettata privatizzazione soprattutto sotto il profilo della salvaguardia del mantenimento dei diritti e delle tutele per le lavoratrici ed i lavoratori operanti nel comparto ferroviario che rappresenta il prerequisito per la sicurezza e il buon funzionamento del sistema ferroviario e per servizi di alta qualità nei confronti delle persone. Senza contare che, con l'estensione della concorrenza nel trasporto ferroviario di passeggeri nazionale, il processo di privatizzazione e la possibile pressione finalizzata al taglio dei costi, l'attuale situazione di crisi economica in cui versa il Paese potrebbe ulteriormente aggravarsi con inevitabili conseguenze sul piano della riduzione del numero dei dipendenti, il maggior ricorso all’outsourcing e al subappalto dei servizi, l'aumento dei contratti atipici, l'incremento dell'utilizzo dei lavoratori in somministrazione, l'intensificazione dei carichi e della pressione sul lavoro, l'aumento degli orari di lavoro flessibili, del frazionamento dei turni di lavoro e del ricorso al lavoro straordinario;
    le recenti affermazioni del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio, infine, appaiono ai firmatari del presente atto d'indirizzo non tenere minimamente conto dei rischi da un'ulteriore e affrettata liberalizzazione e frammentazione del servizio ferroviario italiano, soprattutto rispetto alla necessità di garantire ai milioni di utenti attraverso prezzi sostenibili e la certezza di non vedersi tagliare o ridurre ulteriormente le corse su linee che potrebbero venire considerate non redditizie, ma fondamentali per garantire un trasporto pubblico che, come tale, deve garantire i collegamenti con tutte le aree del Paese, includendo anche le cosiddette zone periferiche,

impegna il Governo:

   ad astenersi nell'immediato dal procedere alla messa sul mercato di quote pubbliche afferenti al gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., quantomeno fino a quando il Governo non avrà illustrato alle Camere in modo puntuale tutti gli aspetti e i risvolti economici, industriali, occupazionali e sociali conseguenti all'annunciato piano di privatizzazione del gruppo;
   a presentare al Parlamento, prima di procedere a qualsiasi iniziativa di alienazione di quote di società direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato, una relazione contenente i dati finanziari e industriali degli effetti della alienazione sul bilancio dello Stato e i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione.
(1-01068)
«Franco Bordo, Scotto, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Folino, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaratti».
(24 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70 mila dipendenti che gestiscono 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno ed un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria;
    Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato in crescita di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014. Grande rilievo ha assunto il nuovo sistema «alta velocità», di alto valore strategico, che ha costituito una vera rivoluzione nelle abitudini di vita e di lavoro degli italiani accorciando le distanze e dando un forte impulso alla crescita ed allo sviluppo del Paese. Negli ultimi anni, tra l'altro, Ferrovie dello Stato Italiane spa ha esteso la sua presenza, con acquisizioni e partnership ad altri grandi mercati come Germania, Francia, Olanda e Nord-Est Europa;
    il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario ha comportato una complessa ridefinizione giuridica ed organizzativa dell'assetto dell'azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, resasi necessaria anche a seguito della crisi maturata nel corso degli anni ’60 e'70 dovuta principalmente alla inefficienza organizzativa e produttiva dell'azienda. L'azienda è stata trasformata con legge n.  210 del 1985 in Ente Ferrovie dello Stato ed ha successivamente acquisito l'identità di ente pubblico economico. Successivamente, alla luce dell'evoluzione della disciplina comunitaria, è stata trasformata con delibera Cipe, in società per azioni «Ferrovie dello Stato – Società di trasporti e servizi per azioni» cui sono state demandate le funzioni relative ai servizi di trasporto ferroviario sulla rete nazionale; al Ministro dell'economia e delle finanze è stata attribuita la titolarità delle azioni; al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stata assegnata la competenza a definire le modalità ed i contenuti delle concessioni intestate alla società;
    per quanto riguarda l'assetto societario, con il contratto di programma 1994-2000 e con le direttive del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1997 e del 18 marzo 1999 si è scelto di procedere alla separazione delle attività di gestione dell'infrastruttura da quelle di gestione dei servizi di trasporto. Il processo di separazione societaria è stato completato dopo la realizzazione del processo di «divisionalizzazione» con la costituzione, il 1o giugno 2000, di una società che svolge l'attività di trasporto (Trenitalia S.p.a.) cui ha fatto seguito il 1o luglio 2001, la costituzione di un'ulteriore società per la gestione dell'infrastruttura (RFI – Rete ferroviaria italiana S.p.a.) entrambe interamente possedute da Ferrovie dello Stato S.p.a.;
    lo schema organizzativo delle Ferrovie dello Stato è quindi quello di una holding, FSI S.p.a., cui fanno capo sia la società di gestione delle infrastrutture, RFI S.p.a., che l’ impresa di trasporto, Trenitalia S.p.a., la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato;
    alla società Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., (in base alla concessione di cui al decreto ministeriale 26 novembre 1993, n. 225) era stato attribuito l'esercizio del servizio ferroviario di trasporto pubblico per la durata di settanta anni. Successivamente il decreto ministeriale 31 ottobre 2002, n. 138 ha abrogato il precedente decreto, attribuendo la concessione a RFI ai soli fini della gestione dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, per un periodo di sessanta anni;
    gli strumenti che regolano i rapporti tra Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. e lo Stato sono:
     a) il contratto di programma ed il contratto di servizio con il gestore dell'infrastruttura che individuano, da un lato gli investimenti necessari allo sviluppo e al mantenimento in efficienza dell'infrastruttura ferroviaria e gli oneri di gestione della medesima posti a carico dello Stato, dall'altro, la manutenzione ordinaria della rete ferroviaria;
     b) il contratto di servizio con l'impresa di trasporto, che individua gli obblighi di servizio pubblico posti a carico di quest'ultima con riferimento al servizio universale;
    Ferrovie dello Stato italiane ha svolto negli ultimi anni un grande lavoro di razionalizzazione e di risanamento. Ha portato avanti un piano di ristrutturazione, ma anche operazioni di investimento e di sviluppo. La dirigenza di Ferrovie dello Stato italiane ha inoltre operato per rendere più efficiente e più produttiva l'azienda con risultati positivi. Oggi, infatti, il gruppo rappresenta una realtà di sicuro affidamento;
    il Consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote della società Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ai sensi della normativa sulle privatizzazioni;
    con tale schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri viene regolamentata l'alienazione di una quota della partecipazione nella società non superiore al 40 per cento disponendo che tale cessione potrà essere effettuata anche in più fasi. Il 40 per cento alienabile andrà ad un azionariato diffuso ed a investitori istituzionali;
    lo schema di decreto, inoltre, prevede che al fine di favorire la partecipazione all'offerta, possono essere previste per i dipendenti del gruppo ferroviario forme di incentivazione;
    il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha chiarito che questa operazione dovrà tenere presenti alcune questioni fondamentali: la proprietà dell'infrastruttura ferroviaria, che dovrà rimanere pubblica, la garanzia di accesso a tutti in maniera uguale, l'indipendenza completa del gestore della rete, la garanzia degli obblighi del servizio pubblico e la piena maggioranza dell'azionariato dello Stato,

impegna il Governo:

   a proseguire la procedura di privatizzazione già avviata, garantendo che la proprietà della rete resti pubblica e, al contempo, assicurando gli obblighi del servizio pubblico e la maggioranza piena dell'azionariato dello Stato;
   ad informare compiutamente il Parlamento sui dati finanziari ed industriali degli effetti della privatizzazione.
(1-01070) «Dorina Bianchi, Garofalo».
(27 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. rappresenta una delle più grandi realtà industriali del Paese con un personale di circa settantamila persone chiamate a gestire oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su un network di oltre 16.700 chilometri;
    nel primo semestre 2015 il risultato netto di periodo conseguito dal gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. si è attestato a 292 milioni di euro, segnando un incremento rispetto al medesimo periodo dell'esercizio precedente del 2,5 per cento, pari a 7 milioni di euro;
    i ricavi da mercato inerenti ai prodotti del traffico viaggiatori sono aumentati, sempre nel primo semestre 2015, di 74 milioni di euro rispetto al primo semestre 2014. Particolarmente produttivo è stato il settore della media e lunga percorrenza che ha chiuso il periodo con un incremento netto totale di 20 milioni di euro;
    a differenza dei ricavi da contratto di servizio che hanno chiuso il periodo con una flessione di 9 milioni di euro, a determinare il raggiungimento del risultato positivo di cui sopra hanno contribuito anche i ricavi da servizi di infrastruttura che hanno registrato una variazione positiva pari a 6 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2014, grazie soprattutto all'aumento dei ricavi da vendita trazione elettrica;
    il 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha avviato il processo di privatizzazione e di definizione delle modalità di parziale vendita della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a., approvando, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, relativo alla cessione di non oltre il 40 per cento di quote di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. ai sensi della normativa sulle privatizzazioni (legge n. 474 del 1994 e legge n. 481 del 1995);
    suddetta operazione, sebbene non confermata nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza recentemente sottoposta alla Camera dei deputati, era già stata annunciata dal Governo e rientra nel non condivisibile piano di privatizzazioni attuato dall'Esecutivo che ha ultimamente portato in Borsa Poste Italiane e previsto la quotazione di Enav;
    nel Documento di economia e finanza 2015, tra le indicazioni contenute nella tabella relativa al cronoprogramma per le riforme, veniva infatti indicato in fase di avanzamento il processo di cessione di partecipazioni statali, che interessa Poste Italiane, Enav e STMicroelectronics Holding e Ferrovie dello Stato italiane, con riferimento alle società partecipate Grandi Stazioni e Cento Stazioni senza entrare ulteriormente nel merito di suddette procedure;
    coerentemente con quanto indicato nel Documento di economia e finanza, l'operazione di privatizzazione prevede innanzitutto la scissione, deliberata gli scorsi mesi dal consiglio di amministrazione, non proporzionale di Grandi Stazioni in tre aziende: GS Rail, GS Immobiliare e GS Retail, che costituisce la parte commerciale del gruppo. Per quest'ultima si è da ultimo dato il via alla prevista vendita del network di gallerie commerciali, con le relative concessioni, nei 14 scali chiave nazionali, passando così dal controllo pubblico a quello privato, con la pubblicazione di un bando internazionale per la vendita del 100 per cento di GS Retail, valutata in circa un miliardo, inclusi 150 milioni di euro di debito, per un incasso per le Ferrovie di almeno mezzo miliardo. La società è considerata un asset unico secondo l'opinione di investitori che mirano alla creazione di valore, in base al piano al 2020 disegnato dall'amministratore delegato di Gs Retail, puntando a raddoppiare la superficie a reddito con un investimento di 160 milioni di cui 100 a carico degli acquirenti, oltre gli investimenti in opere esterne per i quali sono stati allocati 330 milioni dal Cipe. È previsto tempo fino al 14 dicembre 2015 per le manifestazioni di interesse a Gs Retail e all’advisor Rothschild, scadenzando una prima selezione entro Natale, anche sulla base di un patrimonio netto di 400 milioni di euro e 500 milioni di euro di ricavi e prevedendo da gennaio 2015 la preparazione di offerte non vincolanti dei candidati, cui seguiranno quelle impegnative, per procedere alla vendita totale entro aprile 2015;
    in generale, tale percorso di privatizzazione è già stato dunque oggetto di critiche da parte del Gruppo Parlamentare Movimento 5 Stelle che aveva fatto notare come non fossero chiare le procedure che avrebbero dovuto guidare queste delicate operazioni di alienazione né, tantomeno, i reali benefici in termini economici potenzialmente derivanti;
    relativamente all'operazione di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato era stata inoltre evidenziata l'antitetica posizione, tutt'oggi irrisolta, dell'amministratore delegato uscente di Ferrovie dello Stato, Michele Elia, favorevole alla cessione di una quota della holding Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., rispetto a quella dell'uscente presidente, Marcello Messori, incline a lasciare la rete ferroviaria in mano pubblica, privatizzando solo alcune attività giudicate contendibili quali il trasporto merci e l'alta velocità;
    lo stesso Messori, in una recente intervista, avrebbe affermato che privatizzare le ferrovie così come sono «rischia di tradursi in una svendita del gruppo Fs (3,5/4 miliardi per il 40 per cento delle quote proprietarie) (...) che porterebbe a incassi pubblici pari alla metà o a un terzo di quelli promessi dalla privatizzazione a stadi»;
    la scissione di cui sopra ha portato in data 26 novembre 2015 alle dimissioni di tutto il consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato Spa compresi, dunque, sia il presidente del gruppo che l'amministratore delegato, aumentando, di fatto, il clima di incertezza che sta caratterizzando la procedura di privatizzazione di cui in parola e lasciando il gruppo temporaneamente privo di una guida;
    secondo indiscrezioni di stampa, il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe vissuto questo dissidio interno al consiglio di amministrazione con grande distacco e senza la reale intenzione di trovare un accordo e mediare tra le diverse istanze, concentrandosi esclusivamente sulla ricerca del successore da designare piuttosto che cercando di programmare le fasi di privatizzazione avvalendosi di esperti e udendo le istanze delle parti;
    ricerca, quest'ultima, che risulta essere stata piuttosto facile vista non solo la fulminea nomina del dottor Mazzoncini all'indomani delle dimissioni del consiglio di amministrazione, ma soprattutto considerato il fatto che indiscrezioni di stampa, già da qualche mese, designavano quest'ultimo come prossimo successore del dottor Elia, anche alla luce della lunga conoscenza tra il dottor Mazzoncini e il Presidente del Consiglio dei ministri;
    Renato Mazzoncini era, infatti, prima della nomina appena avvenuta, amministratore delegato della controllata di Fs Busitalia e nel 2012, in tale veste, favorì l'accordo con l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, per la privatizzazione dell'Ataf, azienda tranviaria fiorentina;
    suddetta procedura di privatizzazione è stata definita dalla stampa «un capolavoro lessicale ben presto entrato nella mitologia renziana», visto che sarebbe stata realizzata vendendo ad una società statale, anche grazie alla «consulenza legale fornita dall'allora avvocato Maria Elena Boschi», oggi Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento;
    la privatizzazione di Ferrovie dello Stato rischia dunque di ricalcare, a livello nazionale, lo schema, fallimentare e poco risolutivo per le casse pubbliche, adottato per la società Ataf, con il ripresentarsi dei medesimi soggetti coinvolti all'epoca nel capoluogo toscano;
    sempre relativamente al dottor Mazzoncini, si segnala, inoltre, come lo stesso sarebbe stato, secondo indiscrezioni di stampa, già proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, per la successione di Moretti subito dopo il passaggio di quest'ultimo al vertice di Finmeccanica. Operazione allora non riuscita visto l’endorsement dell'amministratore uscente nei confronti di Elia;
    l'incertezza che caratterizza questo percorso di alienazione che, proprio in quanto tale, andrebbe invece eventualmente intrapreso solo al termine di lunghe, trasparenti e oggettive valutazioni formulate da tecnici contabili in sinergia con tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, e non solo in seno all'Esecutivo, come di fatto sta avvenendo, è rinvenibile ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non esclusivamente nel dissidio interno tra Messori ed Elia, ma anche tra quest'ultimo e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
    in occasione del meeting di Comunione e Liberazione, svoltosi il 24 agosto 2015 a Rimini, il dimissionario amministratore delegato e l'attuale Ministro delle infrastrutture e dei trasporti avrebbero infatti assunto posizioni diverse confermando il primo la volontà di mantenere uniti la rete (Rfi) e i servizi di trasporto (Trenitalia), collocando in blocco in Borsa il 40 per cento delle azioni di Ferrovie dello Stato e, il secondo, invece, prospettando la possibilità di mantenere la rete ferroviaria patrimonio pubblico scorporandola da Trenitalia;
    poiché risulta essere totalmente assente, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una politica seria di lungo periodo mirante all'abbattimento del debito pubblico, tali interventi di cosiddetta privatizzazione rischiano di non essere risolutivi ed essere, piuttosto, controproducenti, raggiungendo risultati effimeri e assolutamente limitati temporalmente,

impegna il Governo:

   a sospendere l'attuale procedura di privatizzazione in corso e a garantire la proprietà pubblica degli asset strategici;
   alla luce delle dimissioni rassegnate da tutti i componenti del consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. e della recente nomina del nuovo amministratore delegato, ad assumere iniziative per rivedere, al più presto, le procedure di nomina degli organi sociali delle società direttamente o indirettamente partecipate dallo Stato al fine di garantire il conferimento di sopradetti incarichi a persone che abbiano una comprovata esperienza nel settore, escludendo l'appartenenza politica dai criteri di nomina;
   ad elaborare una nuova, più seria e più lungimirante politica di abbattimento del debito pubblico che non preveda l'alienazione del patrimonio pubblico, che secondo i firmatari del presente atto risulta invece essere dannosa e controproducente, dando luogo a degli effimeri e temporanei risultati di cassa, persino dannosi nel lungo periodo.
(1-01071)
«De Lorenzis, Liuzzi, Spessotto, Dell'Orco, Nicola Bianchi, Carinelli, Paolo Nicolò Romano, Cozzolino».
(30 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    lunedì 23 novembre 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, che prevede la cessione di non oltre il 40 per cento di quote della società Ferrovie dello Stato italiane S.p.a.;
    Ferrovie dello Stato rappresenta una delle più grandi realtà industriali del nostro Paese, con 2.300 stazioni viaggiatori, circa 70 mila dipendenti, oltre 8mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su un network di quasi 17000 chilometri, di cui 1.000 dedicati all'Alta velocità, oltre 11.900 elettrificati oltre 7.400 a doppio binario;
    Ferrovie dello Stato fa capo direttamente a 11 società operative, 8 delle quali partecipate al 100 per cento;
    la privatizzazione parziale di Ferrovie dello Stato, prevista nel corso del 2016, compatibilmente con le condizioni del mercato, è un passaggio fondamentale del piano di arretramento della presenza pubblica nell'economia, un piano che nel mese scorso ha portato alla quotazione in Borsa di Poste Italiane e che nella prima metà del 2016 interesserà anche Enav;
    la bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede che la privatizzazione, effettuabile in più fasi, si concretizzi attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato, a investitori istituzionali italiani e internazionali e quotazione sul mercato azionario;
    i termini di dettaglio dell'operazione, che secondo stime di alcune testate economiche potrà far entrare nelle casse dello Stato da 3 a 14 miliardi di euro a seconda del grado e dell'intensità della privatizzazione, sono ancora in corso di definizione;
    l'8 ottobre 2015 il Consiglio dei Ministri dei trasporti dell'Unione europea ha dato il via libera al pilastro politico del quarto pacchetto ferroviario che prevede un accesso non discriminatorio delle società ferroviarie dell'Unione europea alla rete in tutti i Paesi dell'Unione europea ai fini della prestazione di servizi di trasporto nazionale di passeggeri. L'accordo istituisce inoltre salvaguardie per evitare conflitti di interesse e aumentare la trasparenza dei flussi finanziari tra i gestori dell'infrastruttura e gli operatori del trasporto ferroviario;
    la rete infrastrutturale ferroviaria, sia convenzionale sia alta velocità, è un monopolio naturale. La sua gestione porta con sé un rilevante patrimonio di informazioni di rilevante interesse pubblico e privato, anche in un'ottica di ottimizzazione e razionalizzazione del trasporto;
    in presenza di un monopolio naturale, stante l'impossibilità di sviluppare un mercato concorrenziale, risulta opportuno che, soprattutto nella fase di avvio di un mercato concorrenziale, la gestione dell'infrastruttura resti in mano pubblica, per prevenire situazioni di monopolio e conflitto di interessi nell'accesso all'infrastruttura stessa;
    la privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato, senza preventiva separazione della rete, darebbe vita a un monolitico blocco pubblico-privato, tale da ostacolare la concorrenza e impedire una reale parità di accesso ai servizi di tutti gli operatori del mercato;
    al fine di creare le condizioni necessarie per un miglioramento della qualità dei servizi e per la creazione di un vero mercato concorrenziale, è opportuno separare la rete, e la sua gestione, mantenendole sotto il controllo di un soggetto di natura pubblica, e privatizzare invece la parte del gruppo Ferrovie che fornisce servizi di trasporto;
    in un tale schema di privatizzazione, sarà possibile valutare anche l'integrale privatizzazione delle società di servizi, anziché del solo 40 per cento, con conseguente aumento dei proventi per lo Stato e completa apertura del mercato;
    nell'ambito di tale impostazione dovrà essere considerata prioritaria la privatizzazione dei servizi di trasporto ferroviario di merci, al fine di assicurare la piena apertura e concorrenzialità di tale mercato,

impegna il Governo:

   a procedere al piano di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane S.p.a., con modalità idonee ad assicurare un reale sviluppo della concorrenza nel settore e lo sviluppo e l'ammodernamento dell'infrastruttura, anche sulle tratte secondarie;
   a valutare forme di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato tali da mantenere la gestione della rete infrastrutturale sotto un pieno, terzo e imparziale controllo pubblico;
   ad elaborare uno schema di privatizzazione che, anziché coinvolgere l'intero gruppo, preveda la separazione delle infrastrutture e della loro gestione, e l'ingresso dei privati nelle sole società del gruppo che erogano servizi di trasporto, partendo, prioritariamente, dalla privatizzazione dei servizi di cargo ferroviario;
   a valutare, in tale contesto, anche la privatizzazione di una quota azionaria superiore al 40 per cento.
(1-01072)
«Mazziotti Di Celso, Monchiero, Catalano, Quintarelli, Matarrese».
(30 novembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato S.p.a. è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano e per tale motivo costituisce una delle più grandi realtà industriali del Paese, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70 mila dipendenti che gestiscono oltre 8 mila treni al giorno, 600 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate-merci all'anno su una rete di oltre 16.700 chilometri;
    le Ferrovie dello Stato S.p.a. sono state istituite con la legge 22 aprile 1905, n. 137, assumendo a totale carico dello Stato la proprietà e l'esercizio della maggior parte delle linee ferroviarie nazionali, fino ad allora in mano a varie società private. Già nel 1945 l'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, sotto il controllo del Ministero dei trasporti, dal 1o gennaio 1986 fu trasformata in ente pubblico economico in applicazione della legge n. 210 del 1985, che istituiva l'ente Ferrovie dello Stato. Il 12 agosto 1992 l'ente fu trasformato in società per azioni con partecipazione statale totale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze;
    con il contratto di programma 1994-2000 e con le direttive del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1997 e del 18 marzo 1999 si è scelto di procedere alla separazione delle attività di gestione dell'infrastruttura da quelle di gestione dei servizi di trasporto: attualmente Ferrovie dello Stato italiane Spa rappresenta una holding cui fanno capo sia RFI S.p.a., la società di gestione delle infrastrutture, che Trenitalia S.p.a., l'impresa di trasporto, la cui separazione legale, amministrativa, contabile e gestionale è garantita e vigilata dallo Stato;
    le ferrovie rappresentano un bene strategico per il Paese e appare inspiegabile la decisione del Governo di privatizzare una società in crescita non solo nel mercato nazionale ma anche europeo senza previa consultazione del Parlamento che avrebbe dovuto esercitare la sua funzione di controllo e indirizzo politico visto che Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. non solo è una società controllata dallo Stato, ma è anche un'impresa partecipata pubblica che ha contribuito a sviluppare per l'Italia un grande progetto di mobilità e di logistica, nel rispetto dell'ambiente, ed ha dato un forte impulso alla crescita del Paese tale da rappresentare un fiore all'occhiello della nazione;
    il 23 novembre 2015 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, ha annunciato che sarà avviata la procedura di privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane, specificando che non potrà andare oltre il 40 per cento: secondo il decreto avverrà attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato, e ad investitori istituzionali italiani e internazionali, e quotazione sul mercato azionario. Come nel caso di Poste italiane potranno essere previste forme di incentivazione, tenuto conto anche della prassi di mercato e di precedenti operazioni di privatizzazione, in termini di quote dell'offerta riservate (tranche dell'offerta riservata e lotti minimi garantiti) e di prezzo o di modalità di finanziamento;
    nella stessa occasione, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio ha annunciato che l'infrastruttura di rete rimarrà pubblica e che la procedura che verrà avviata terrà conto della complessità di gestione di Ferrovie dello Stato, della necessità di aumentare gli obblighi di servizio pubblico nonché il diritto di accesso a tutte le società private;
    la questione della separazione dell'infrastruttura, che è inserita nel bilancio delle Ferrovie dello Stato a un valore di 30 miliardi di euro, è da sempre oggetto di scontro tra l'ex presidente Messori e l'ex amministratore delegato Michele Mario Elia. Messori, in una lettera inviata nell'estate 2015 al Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha dichiarato che privatizzare una parte dell'intero gruppo senza prima scorporare le reti e alcune controllate si tradurrebbe in una «svendita»: lo Stato, secondo l'economista, rischia di incassare non più di 4 miliardi di euro conto i 10-11 miliardi di euro di introito potenziale. Su questa posizione si è consumata la rottura con Elia, favorevole alla vendita in blocco;
    effettivamente le società private che offrono servizi di trasporto, come Ntv, potrebbero utilizzare la rete infrastrutturale senza discriminazioni rispetto a Trenitalia, che del gruppo Ferrovie dello Stato fa parte, come peraltro richiesto più volte dall'Autorità per la regolazione dei trasporti anche senza un vero e proprio scorporo societario di Rfi, la società che ne è proprietaria, operazione che però non consentirebbe allo Stato gli introiti auspicati pur garantendo però la libera concorrenza tra i diversi operatori di trasporto ferroviario;
    si esprime una forte contrarietà rispetto al prospettato processo di privatizzazione,

impegna il Governo:

   a chiarire come l'annunciato progetto di privatizzazione costituisca un'opportunità di crescita e di sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario italiano, con particolare riguardo al rispetto del principio di libera concorrenza, e non una mera operazione economico-finanziaria;
   a presentare al Parlamento, prima di proseguire con la procedura di privatizzazione, una relazione che illustri in modo puntuale tutti gli aspetti e le conseguenze industriali, economiche, occupazionali, sociali e relative alla qualità del servizio derivanti dall'annunciato piano di alienazione del gruppo;
   ad assicurare che il piano di privatizzazione messo in campo garantisca la proprietà pubblica della rete infrastrutturale a vantaggio di una completa indipendenza e terzietà del gestore della rete rispetto a tutti gli operatori ferroviari ed intermodali operanti sul mercato del trasporto;
   a salvaguardare il servizio pubblico e la maggioranza piena dell'azionariato dello Stato;
   a garantire che il piano di privatizzazione non determini un ulteriore deterioramento della qualità e dell'efficienza del servizio erogato, e a ridiscutere, rafforzandolo ed inasprendolo, il meccanismo di pagamento di penali a seguito di gravi disservizi;
   ad adoperarsi affinché, anche a seguito del processo di privatizzazione, sia potenziato il servizio nei confronti di disabili, ciclisti e trasporto intermodale;
   ad investire maggiori risorse e a dare priorità al trasporto pubblico locale.
(1-01077)
«Cristian Iannuzzi, Segoni, Artini, Baldassarre, Bechis, Turco, Furnari, Pastorino, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli».
(1o dicembre 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato S.p.a. riveste un ruolo di primaria importanza nel panorama delle aziende pubbliche, gestendo opere e servizi nel trasporto ferroviario che vengono utilizzati quotidianamente per lo spostamento di persone e merci sul territorio nazionale e internazionale;
    l'azienda ha un fatturato di 8,4 miliardi di euro, maggiorato di 2 punti percentuali rispetto al 2014, impiega circa 70.000 dipendenti per un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria, di cui circa 1.000 ad Alta velocità;
    a fronte di questi numeri, che fanno del gruppo Ferrovie dello Stato italiane S.p.a. una delle aziende italiane più appetibili dal punto di vista economico, l'azienda risulta comunque al dodicesimo posto nella classifica delle ferrovie europee per percorrenza media chilometrica per abitante: i settori più problematici, anche perché meno redditizi, sono quelli relativi al trasporto su intercity e regionali, e quindi quelli a servizio dei cittadini e dei tanti pendolari che utilizzano il treno come mezzo di trasporto privilegiato per raggiungere le postazioni di lavoro e di studio;
    nonostante l'azienda abbia usufruito di cospicui contributi pubblici, la stessa non ha mai realmente investito nel migliorare la qualità dei servizi di trasporto ferroviario e le prestazioni gestionali, accumulando negli anni un gap rispetto alle concorrenti, il quale rappresenta oggi un ostacolo allo sviluppo competitivo del settore del trasporto, sia merci che passeggeri;
    il Governo ha recentemente reso nota la scelta di procedere alla messa sul mercato del 40 per cento delle Ferrovie dello Stato italiane dando il via ad un processo di privatizzazione che suscita perplessità per la mancanza di un quadro chiaro e completo sui futuri scenari che si andrebbero a delineare, soprattutto in termini di qualità del servizio offerto al pubblico;
    infatti, sia Trenitalia (l'impresa di trasporto passeggeri e merci) sia Rfi (società che si occupa della gestione dell'infrastruttura) sono partecipate della società pubblica Ferrovie dello Stato S.p.a. e quindi sembra fondamentale che il progetto di privatizzazione chiarisca quale siano gli ambiti coinvolti nella vendita, per non incorrere nel rischio che si cedano alla proprietà privata gli asset a maggior redditività e rimangano in mano pubblica i rami diseconomici;
    nel bilancio delle Ferrovie dello Stato, l'infrastruttura ferroviaria ha un valore di 30 miliardi di euro e questa rilevanza dovrebbe essere tenuta in debito conto nell'ambito del processo di privatizzazione ai fini degli introiti economici che potrebbero derivarne e dei potenziali assetti societari determinanti per il mantenimento degli equilibri concorrenziali sul mercato, perché l'accesso alla rete deve essere garantito ad eque condizioni a tutti gli operatori;
    per evitare che sia solo un'operazione economico-finanziaria e garantire che sia, invece, un momento di crescita e sviluppo per l'intero sistema del trasporto ferroviario, un'eventuale privatizzazione deve essere accompagnata da specifiche clausole a salvaguardia della qualità del servizio offerto agli utenti, soprattutto nei settori a maggior richiesta che presentano attualmente profili di grosse criticità. A tal fine, è necessario che i futuri contratti di servizio prevedano la garanzia di standard minimi nel numero e nella qualità dei servizi offerti ai cittadini e che i programmi e gli accordi europei, strategici per il Paese, sul trasporto ferroviario di merci vengano salvaguardati e sostenuti nei futuri piani industriali;
    il servizio del trasporto pubblico locale rappresenta un servizio fondamentale sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo sociale perché attraverso di esso deve essere garantita la possibilità di effettuare gli spostamenti necessari per lo svolgimento delle attività principali della vita economica e sociale, assicurando comunque un livello adeguato di prestazioni su tutto il territorio;
    le privatizzazioni in Italia hanno sempre diviso l'opinione pubblica per le numerose incognite e gli interessi che ne possono scaturire, che non sempre rispondono a criteri di maggiore efficienza e competitività, sia rischiando di non apportare reali benefici per gli utenti sia mettendo a rischio l'universalità di un servizio che, seppur gestito da privati, svolge un ruolo di fondamentale importanza per il pubblico,

impegna il Governo:

   a rendere noti i dettagli del programma di privatizzazione che interessa la rete ferroviaria italiana, chiarendo, in particolare, quali siano i ricavi attesi dall'operazione affinché questi stessi possano essere impiegati a favore del trasporto pubblico locale, garantendo che il servizio venga svolto su tutto il territorio nazionale nel rispetto di più alti criteri di qualità e a prezzi sostenibili per i cittadini;
   a tenere informato il Parlamento sull'evolversi della vicenda di cui in premessa e sui possibili scenari che da essa ne potrebbero scaturire, chiarendo, in particolare, quali rami del trasporto ferroviario saranno interessati dall'eventuale privatizzazione e se questa sarà accompagnata da un intervento di scorporo della rete infrastrutturale;
   ad assumere iniziative per inserire nei prossimi contratti di servizio apposite clausole di impegno per l'ente gestore del servizio ferroviario atte a garantire il buon funzionamento del servizio stesso, anche per quanto concerne i servizi a minore profitto;
   a far valere, in qualità di azionista di riferimento, le decisioni che interessano strategie funzionali allo sviluppo del Paese nell'ambito dei programmi e degli accordi europei.
(1-01078)
«Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(1o dicembre 2015)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, RUOCCO, PISANO e FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, è stata data attuazione alla direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE), n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio;
   la Sezione III del Capo IV del Titolo IV del suddetto decreto legislativo ha introdotto nell'ordinamento giuridico nazionale la disciplina sul bail-in preposta a ripristinare il patrimonio delle banche e delle società finanziarie per il rispetto dei requisiti prudenziali mediante la riduzione del valore nominale degli strumenti finanziari e di deposito sottoscritti dai risparmiatori;
   lo strumento del bail-in, a giudizio degli interroganti, non è corretto sul piano morale nei confronti dei cittadini e soprattutto implica rilevanti questioni di legittimità costituzionale, infatti:
    a) potrebbe violare l'articolo 47 della Costituzione in quanto il primo comma del medesimo articolo sancisce esplicitamente: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». Da quanto si desume la Repubblica ha il dovere di incoraggiare e tutelare il risparmio, in ogni forma attraverso la quale viene depositato presso gli istituti di credito, ed a tal fine disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Quindi, giusto per precisare, l'esercizio del credito deve essere disciplinato, coordinato e controllato proprio al fine di non arrecare ogni genere di pregiudizio al risparmio (o meglio alla gestione del risparmio). Sulla base di quanto asserito non si esclude che la disciplina del bail-in possa dar seguito a numerose azioni giudiziarie preposte ad affermare l'inviolabilità delle disposizioni costituzionali;
    b) potrebbe violare l'articolo 42 della Costituzione in quanto il terzo comma del medesimo articolo sancisce esplicitamente: «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale». L'applicazione del bail-in sul piano sostanziale si materializza in un «esproprio per motivi d'interesse generale» finalizzato, nel caso specifico, alla stabilità del sistema bancario e finanziario nel suo complesso. Il sopradetto decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, non prevede forme di indennizzo «dell'esproprio subito» in quanto i crediti vengono trasformati in capitale di rischio ovvero compensati con le passività subite dalla banca a prescindere dal momento in cui tali passività sono state emesse;
   l'articolo 106 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, prevede che la disciplina sul bail-in di cui alla Sezione III del Capo IV del Titolo IV del medesimo decreto legislativo entrerà in vigore il 1o gennaio 2016 –:
   visto che le disposizioni del capo II del titolo IV del decreto legislativo n. 180 del 2015 rinviano integralmente alle disposizioni di cui alla Sezione III del Capo IV del Titolo IV del medesimo decreto legislativo che entrerà in vigore solo il 1o gennaio 2016, se il Governo, il Ministro dell'economia e delle finanze e la Banca d'Italia abbiano assunto provvedimenti sulla base di una normativa non ancora in vigore ed in caso affermativo per quali ragioni non siano state poste in essere misure più garantiste verso i creditori ed obbligazionisti. (3-01880)
(1o dicembre 2015)

   SOTTANELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto 7 ottobre 2015, n. 96, del presidente della regione Abruzzo, in qualità di commissario ad acta, avente ad oggetto «Art. 30 del decreto legislativo 23 giugno 2011 n. 118: Finanziamento degli interventi operativi per la qualificazione e il potenziamento della Rete di Emergenza Urgenza Territoriale e delle Prestazioni del 118», la regione Abruzzo ha riorganizzato la rete dell'emergenza urgenza territoriale e delle prestazioni del 118;
   il piano prevede che la postazione del 118 del comune di Isola del Gran Sasso d'Italia venga privata dell'infermiere con il dimezzamento delle ore di volontariato del soccorso nella stessa sede, con la conseguente e grave riduzione della sicurezza, in termini di sopravvivenza e salute per i cittadini dei comuni di Isola del Gran Sasso d'Italia, Castelli, Colledara, Castel Castagna e Tossicia, oltre che dei numerosi pellegrini – oltre un milione e mezzo ogni anno – che visitano il santuario di San Gabriele ubicato nello stesso comune e di tutti i turisti dell'area montana;
   tale scelta allontana pericolosamente le aree più interne della provincia di Teramo dalla postazione di soccorso sanitario più vicina, visto che anche nel comune di Bisenti nella Val Fino il piano prevede di privare la postazione del 118 del personale infermieristico e visto che l'area citata dista dai 25 ai 50 minuti dall'ospedale del comune capoluogo di Teramo;
   questa decisione ha destato l'indignazione della popolazione montana del Gran Sasso, preoccupata per la tutela della propria incolumità fisica e per il rischio di una reale squalificazione e perdita di sicurezza sanitaria per l'entroterra, sicurezza conquistata e mantenuta per 15 anni che ha consentito fin qui di salvare numerose vite;
   è evidente il pericolo che correrà chiunque – vecchio o giovane che sia, residente, pellegrino o turista – che dovesse subire un arresto cardiorespiratorio, dal momento che dovrà attendere troppo a lungo il soccorso del 118 per un intervento salvavita, da una postazione 118 che diventerà troppo lontana;
   dopo diversi anni nei quali sono stati raggiunti e rispettati, per l'emergenza sanitaria, gli standard europei dei tempi di arrivo dei soccorsi, dal momento della chiamata del 118 (8 minuti in area urbana e 20 minuti in area extraurbana), se la postazione venisse chiusa, l'area montana correrebbe il serio rischio di essere retrocessa ad area «extraurbana» con una drammatica involuzione e un serio rischio per la vita dei cittadini;
   a una verifica sulle conclusioni dello studio dell'Agenas, su cui si fonda l'atto regionale di revisione della rete dell'emergenza sanitaria da parte dell'allora commissario ad acta della regione Abruzzo, si evince che nello studio medesimo non si è tenuto conto della notevole differenza di richieste telefoniche di soccorso afferenti alle centrali del 118 tra Teramo e L'Aquila, ma solo della popolazione anagrafica. In realtà, tale dato dimostra che molta parte della popolazione aquilana dopo l'evento sismico del 2009 si è trasferita in provincia di Teramo e vi è evidentemente rimasta, indipendentemente dalla residenza fiscale. Il dato è dimostrato proprio dalla mole di richieste di soccorso al 118 di Teramo, di molto superiore a quelle della centrale aquilana;
   la situazione è ulteriormente aggravata dall'individuazione, nell'organizzazione del Giubileo della Misericordia, del santuario di San Gabriele dell'Addolorata in Isola del Gran Sasso d'Italia come unica porta giubilare della diocesi di Teramo, che comporterà un notevole ulteriore incremento del flusso turistico pellegrino nell'area. Inoltre, la diocesi di Pescara-Penne ha individuato come chiesa giubilare aggiuntiva quella di Santa Maria di Ronzano, nel comune di Castel Castagna, sempre nel bacino intercomunale servito dalla postazione 118 del comune di Isola del Gran Sasso d'Italia;
   considerato che nella riorganizzazione è prevista la contestuale apertura di due ulteriori postazioni medicalizzate, non si comprende quale sarebbe il risparmio economico, né tantomeno il principio di razionalizzazione che, di fatto, peggiora la copertura territoriale del 118; basti pensare alla certezza che da ogni evento «tempo-dipendente» che comporti il decesso del paziente, o una sequela di danni cerebrali permanenti per ritardo nel soccorso, deriverebbe un aumento considerevole della spesa sanitaria;
   il progetto di riorganizzazione della rete dell'emergenza sanitaria prevede una nuova postazione medicalizzata a Val Vomano (uscita Basciano della A 24); questa, ad avviso dell'interrogante, non inciderebbe affatto in modo sostanziale sull'abbattimento dei tempi di soccorso per il bacino servito dalla postazione di Isola del Gran Sasso d'Italia –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per impedire la chiusura della postazione del 118 di Isola del Gran Sasso d'Italia, che, ad avviso dell'interrogante, comporterebbe seri rischi per la garanzia dei livelli essenziali di assistenza e per la sicurezza e la tutela della salute pubblica, non solo degli abitanti del posto, ma anche dei turisti che ogni anno vi accorrono. (3-01881)
(1o dicembre 2015)

   LUPI, BINETTI e CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre ricorre la giornata internazionale delle persone con disabilità: la ricorrenza risale al 1981, anno internazionale delle persone disabili; dal mese di luglio del 1993, il 3 dicembre è diventato anche la giornata europea delle persone con disabilità, a seguito dell'iniziativa della Commissione europea;
   l'iniziativa è volta a promuovere una più diffusa e approfondita conoscenza dei problemi correlati alla disabilità, per sostenere la piena inclusione delle persone con disabilità in ogni ambito della vita, allo scopo di superare ogni forma di discriminazione e violenza;
   si è avuto già modo di apprezzare la sensibilità del Governo dimostrata con modalità trasversali su tutti i problemi correlati allo stato della disabilità, non solo nei riguardi delle persone direttamente interessate ma anche nei riguardi delle famiglie;
   nel disegno di legge di stabilità per il 2016, si è avuto modo di apprezzare sia la disposizione recata dall'articolo 1, comma 218, che istituisce presso il Ministero dell'economia e delle finanze un fondo, con una dotazione di 90 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, destinato al finanziamento di misure per il sostegno delle persone con disabilità grave, in particolare stato di indigenza e prive di legami familiari di primo grado, che le disposizioni di cui al comma 220, finalizzate ad integrare lo stanziamento del fondo per le non autosufficienze, anche ai fini del finanziamento degli interventi a sostegno delle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica di 150 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016; tenuto conto che la legge n. 190 del 2014, (legge di stabilità per il 2015) aveva fissato dal 2016 lo stanziamento del fondo in 250 milioni di euro annui, lo stanziamento a regime, a decorrere dal 2016, risulta pari a 400 milioni di euro;
   si ritiene che sia opportuno menzionare in questo contesto anche il Patto per la salute 2014-2016, che all'articolo 6 dedica una particolare disciplina e attenzione all'assistenza socio sanitaria, prevedendo, allo scopo, che le regioni disciplinino i principi e gli strumenti per l'integrazione dei servizi e delle attività socio sanitarie e sociali, particolarmente per le aree della non autosufficienza e della disabilità –:
   quali siano le ulteriori iniziative e le prospettive future che il Governo vorrà mettere in campo, in un settore di particolare delicatezza e sensibilità, quale è il settore dell'assistenza socio sanitaria per le persone con disabilità. (3-01882)
(1o dicembre 2015)

    VITO, BRUNETTA e VELLA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   dal 19 febbraio 2012, i due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono trattenuti ingiustamente e illegalmente in India, salvo il permesso per motivi di salute dato il 12 settembre 2014 a Massimiliano Latorre di rientrare in Italia per un periodo di quattro mesi, per curarsi da un ictus che lo ha colpito, permesso successivamente prorogato e che scadrà a metà gennaio 2016;
   solo in data 26 giugno 2015 è stato attivato l'arbitrato internazionale sul caso dei marò nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, rivolgendosi, quindi, al Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo;
   nel frattempo Salvatore Girone ha contratto un'infezione da virus dengue e gli aspetti sanitari subentrati a seguito dell'infezione hanno accresciuto le ragioni per le quali si contestano i vincoli imposti dall'India alla libertà di movimento del fuciliere, che potrebbe, restando nella stessa zona sub-tropicale, avere una recidiva con gravi conseguenze sulla sua salute;
   organi di stampa hanno riportato che la prova dell'innocenza dei due marò italiani prigionieri in India è contenuta negli stessi documenti che lo Stato indiano ha depositato ad Amburgo presso il Tribunale internazionale del diritto del mare –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo, anche in sede di arbitrato internazionale in corso, per il rapido e definitivo rientro dei fucilieri italiani di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. (3-01883)
(1o dicembre 2015)

   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno.— Per sapere – premesso che:
   in piazza Indipendenza a Roma l'ex palazzo della Federconsorzi, realizzato negli anni Cinquanta, grande oltre trentamila metri quadri e affittato dalla società SEA, da due anni è occupato da un gruppo di quattrocento immigrati di origine africana, principalmente provenienti dall'Eritrea e dall'Etiopia;
   l'edificio è sito in una zona assolutamente centrale della città, accanto al Consiglio superiore della magistratura e vicino alla stazione Termini, ad ambasciate e ministeri;
   le segnalazioni effettuate sinora dalla società locataria non hanno avuto seguito, mentre la società proprietaria si trova addirittura costretta ogni bimestre a pagare decine di migliaia di euro per la fornitura di energia elettrica ed acqua agli occupanti abusivi, perché altrimenti «si determinerebbe un problema di sicurezza»;
   l'edificio avrebbe dovuto essere oggetto di una riqualificazione interna al fine di ospitare centri direzionali di aziende italiane ed estere, ma il piano è fermo perché gli occupanti impediscono l'accesso all'edificio;
   solo nella capitale decine di altri immobili si trovano nella medesima situazione, soprattutto nei quartieri periferici;
   mancano meno di due settimane all'apertura del Giubileo straordinario della misericordia e l'allerta terrorismo è massima –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere in riferimento alla grave problematica degli immobili occupati abusivamente e al fine di garantire la sicurezza in città in vista dello svolgimento delle celebrazioni del Giubileo. (3-01869)
(25 novembre 2015)

   FIANO, AGOSTINI ROBERTA, BERSANI, CUPERLO, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIACHETTI, GIORGIS, GULLO, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, MIGLIORE, NACCARATO, NARDI, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, FRANCESCO SANNA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'interno.— Per sapere – premesso che:
   i drammatici fatti di Parigi hanno purtroppo evidenziato un netto e definitivo innalzamento del grado di violenza ed efferatezza della minaccia terroristica, che, costituendo ormai una gravissima insidia per la sicurezza interna di diversi Stati, richiede una capacità di risposta globale attraverso misure sia sul versante interno, che su quello internazionale, capaci di offrire una risposta strategicamente efficace e duratura nel tempo;
   in questo quadro, come già annunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro interrogato, occorre innanzitutto incrementare le misure capaci di prevenire il reclutamento, l'organizzazione e l'azione delle organizzazioni terroristiche, perseguendo nell'azione di controllo sul territorio nazionale e su tutte le modalità di comunicazione;
   come è noto, il vicinissimo svolgimento del Giubileo straordinario che si terrà a Roma costituisce uno dei maggiori elementi di attenzione del sistema di sicurezza italiano;
   recentemente lo svolgimento di Expo a Milano ha dimostrato la capacità complessiva del nostro sistema di coordinamento di tutte le competenze interessate atte a garantire la sicurezza di un così grande e complesso evento che ha visto la partecipazione di oltre 20 milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo;
   particolarmente importante, a questo scopo, appare il potenziamento in termini di mezzi, personale e risorse, già attuato sin qui dal Governo e che, come dichiarato dal Presidente del Consiglio dei ministri, sarà ulteriormente incrementato nella legge di stabilità attualmente in discussione in questo ramo del Parlamento, in un'ottica di azione quanto più possibile integrata tra le attività di intelligence e le forze di polizia dei diversi Paesi europei;
   del resto, lo stesso Ministro interrogato, all'indomani dei fatti di Parigi e Bruxelles, ha prontamente dichiarato l'elevazione dello stato di allerta nazionale al livello 2, consentendo così un massiccio dispiegamento di forze civili e militari a salvaguardia degli obiettivi ritenuti maggiormente sensibili, e in un'informativa urgente in questo ramo del Parlamento ha ricordato come nel comitato nazionale per la sicurezza e l'ordine pubblico, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri, si è deciso di anticipare l'arrivo a Roma del contingente di 1.000 uomini delle Forze armate già previsti per il Giubileo –:
   quale sia la valutazione del Ministro interrogato sullo stato complessivo del sistema di sicurezza italiano, anche alla luce dei recenti episodi di matrice terroristica.
(3-01884)
(1o dicembre 2015)

   PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questo periodo si sta provvedendo ad adeguare all'indice Istat la tariffa che i comuni, quindi i cittadini, versano ai gestori degli impianti di conferimento per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti;
   tale adeguamento risulta particolarmente oneroso e sta causando notevoli preoccupazioni per numerosi sindaci pugliesi e della provincia di Lecce in particolare;
   i contratti sottoscritti dal commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Puglia con i soggetti gestori degli impianti complessi di biostabilizzazione di Poggiardo (Lecce), di Ugento (Lecce) e dell'impianto di produzione CDR di Cavallino (Lecce) prevedono una clausola di revisione della tariffa che così recita: «La tariffa sarà aggiornata, a partire dal 2o (secondo) anno di esercizio, entro il 28 (ventotto) febbraio di ciascun anno con conguaglio e valere dal 1o (uno) gennaio precedente sulla base dell'indice ISTAT dei prezzi della produzione dei prodotti industriali»;
   i soggetti gestori degli impianti, ai fini del calcolo della revisione tariffaria, rivendicano l'applicazione dell'indice Istat dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – mercato interno, serie E «Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento», in quanto trattasi di indice specifico riferito alla tipologia di attività svolta ed in quanto il loro codice Ateco di impianto è ricompreso nell'elenco di codici attribuiti al sopradetto indice;
   a seguito di specifiche analisi da parte della struttura tecnica dell'Ato della provincia di Lecce, è emerso che l'Istat nella formulazione dell'indice specifico di cui alla serie E non valuta le componenti di costo riferite ai servizi di trattamento e smaltimento dei rifiuti, bensì i costi riferiti ai servizi di fornitura delle acque; è stato posto all'Istat il seguente quesito: «Con riferimento all'Indice ISTAT dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – Mercato interno, Serie E “Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento” si chiede allo Spett.le Ente destinatario del presente quesito, se il suddetto indice fornisce informazione in merito alle variazioni mensili del costo del servizio di trattamento dei rifiuti. Si chiede, altresì, di conoscere i prodotti industriali valutati per la definizione dell'indice in questione con particolare riguardo alle attività di trattamento dei rifiuti»;
   al quesito formulato seguiva la seguente risposta: «In riferimento alla richiesta in oggetto si comunica che all'interno della sezione E “Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento”, dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali è quotata solo la divisione 36 che contempla la “Raccolta, trattamento e fornitura di acqua, quindi buona parte dell'articolazione tariffaria delle società che gestiscono la fornitura di acqua. Lo smaltimento dei rifiuti si trova nella Divisione 38 delle attività economiche che non è considerata nel campione dei prezzi alla produzione”»; ;
   un consorzio Ato della provincia di Lecce (ex Consorzio ATO LE/2), sempre in merito alla medesima problematica, poneva all'Istat il seguente quesito: «A quale categoria di indice nazionale devo fare riferimento per aggiornare una tariffa di conferimento ribiostabilizzatore ?». L'Istat così rispondeva: «Scusandoci per il ritardo nella risposta dovuto ad un errore nella segnalazione della richiesta pervenuta, le invio il file con gli indici dei prezzi e le variazioni tendenziali per la voce «raccolta dei rifiuti» (indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività (base 2010=100)). È l'unico indice diffuso sulla raccolta rifiuti»;
   le riflessioni effettuate dai tecnici Ato in merito all'attinenza della serie E dell'indice Istat dei prezzi della produzione dei prodotti industriali con le attività di trattamento e smaltimento dei rifiuti sono state confermate dall'Istat specificando che, pur con una denominazione riferita alle «attività di trattamento dei rifiuti e risanamento», la formulazione dell'indice prende in considerazione esclusivamente l'articolazione tariffaria delle società che effettuano attività di «raccolta, trattamento e fornitura di acqua»;
   emergerebbe, pertanto, in maniera evidente come l'applicazione dell'indice Istat dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – mercato interno, serie E «Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento» al settore dell'impiantistica del trattamento e smaltimento dei rifiuti risulti non rispondente alle reali variazioni tariffarie che interessano quest'ultimo settore;
   altrettanto, inappropriata potrà essere l'applicazione dell'unico indice Istat sui rifiuti «raccolta dei rifiuti» (indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività (base 2010=100)), in quanto riferibile a tipologie di servizi completamente diversi dal trattamento/smaltimento dei rifiuti;
   infine, si rileva come l'indice Istat dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali – Mercato interno, serie E «Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di trattamento dei rifiuti e risanamento» risulta essere caratterizzato da variazioni estremamente rilevanti nei valori mensili con conseguenti sopravvalutazioni delle variazioni tariffarie di conferimento dei rifiuti solidi urbani –:
   alla luce delle problematiche e delle incongruenze sollevate dall'Ato della provincia di Lecce e, di fatto, in parte condivise anche dall'Istat, se il Governo non ritenga di doversi adoperare affinché venga fornito, agli enti pubblici, un indice che possa essere espressione reale delle variazioni tariffarie che interessano gli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, calcolato sulla base delle effettive variabili di costo che interessato tale settore. (3-01885)
(1o dicembre 2015)

   ZARATTI, PELLEGRINO, MELILLA, SCOTTO, ZACCAGNINI e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 30 novembre 2015, è iniziata a Parigi la Conferenza Onu sul clima COP 21, che si concluderà l'11 dicembre. Partecipano 147 Capi di Stato e di Governo e 195 delegazioni nazionali, con l'obiettivo auspicato di arrivare a un accordo universale, con obblighi precisi e costrittivi per i tutti i Paesi, per limitare il riscaldamento climatico;
   durante la prima giornata dei lavori, il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha dichiarato che «l'Italia vuole stare tra i protagonisti della lotta all'egoismo, dalla parte di chi sceglie valori non negoziabili come la difesa della nostra madre terra. (...) Siamo tra i protagonisti della green economy»;
   tra le sue dichiarazioni, spicca quella nella quale il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che «con la legge di stabilità abbiamo stanziato 4 miliardi sul climate change da qui al 2020»;
   dalla lettura della legge di stabilità, in queste ore all'esame del Parlamento, non emerge alcuno stanziamento consistente per la lotta ai cambiamenti climatici, e men che meno i 4 miliardi dichiarati dal Presidente del Consiglio dei ministri;
   peraltro, le scelte finora decise dal Governo in materia di sviluppo sostenibile indicano una direzione diversa da quella di incentivare le energie alternative e di abbandonare gradualmente l'uso dei combustibili fossili;
   la strategia energetica nazionale prevede sì un capitolo rinnovabili ma si basa ancora sul petrolio e sulla riduzione degli incentivi alle fonti energetiche rinnovabili. E in questa direzione va tutta l'azione di Governo;
   se le fonti rinnovabili hanno avuto un ruolo affatto trascurabile nel panorama energetico nazionale, lo si deve – pur con tutti i loro limiti – alle incentivazioni introdotte nei Governi Prodi;
   nella XVII legislatura si è invece assistito a un costante ridimensionamento, fino all'azzeramento degli incentivi per il fotovoltaico, e a interventi di annacquamento degli stessi diritti acquisiti dagli operatori delle rinnovabili, attraverso il cosiddetto decreto «spalma-incentivi» che ha cambiato «in corso d'opera», con evidenti elementi di incostituzionalità, il sistema di incentivazione alla corrente prodotta dal fotovoltaico;
   il nostro Paese continua invece a sostenere e mantenere con sussidi e diversi regimi di incentivazione la produzione di combustibili fossili: dal CIP6; ai termovalorizzatori; all'autotrasporto; all'approvvigionamento dei servizi di interrompibilità ed altro;
   in controtendenza alla Conferenza di Parigi, il decreto-legge «sblocca Italia» ha, quindi, dato il via a misure volte ad agevolare – scavalcando le regioni – decreti di compatibilità ambientale per nuovi permessi di ricerca e concessioni di estrazione petrolifera;
   «Ombrina mare», progetto di estrazioni petrolifere nell'Adriatico al largo dell'Abruzzo, è in attesa dell'imminente concessione; il progetto ’Vega B’ nel Canale di Sicilia; decreti di compatibilità ambientale per nuovi progetti di ricerca ed estrazione petrolifera per la Shell nel golfo di Taranto che si aggiungono a quelli che già ci sono. Solo la Puglia è stata interessata ultimamente da 4-5 decreti di compatibilità ambientale per ottenere il rilascio dei titoli minerari; il progetto di prospezione della società inglese Spectrum Geo nel Mare Adriatico è il più grande in assoluto ed altro;
   è peraltro di queste ore il rapporto dell'Agenzia europea dell'Ambiente (Aea), secondo il quale l'Italia è il primo tra i paesi dell'Unione europea per morti per inquinamento atmosferico. Nel 2012 in Italia ci sono stati 84.400 decessi su un totale di 491 mila vittime a livello di Unione europea –:
   dove siano rinvenibili i 4 miliardi fino al 2020 stanziati dal Governo per la lotta ai cambiamenti climatici, secondo le dichiarazioni richiamate in premessa, e se non si ritenga indispensabile, anche alla luce di quanto esposto in premessa, avviare tutte le iniziative necessarie per rendere finalmente le politiche del Governo pienamente coerenti con gli obiettivi della Conferenza di Parigi. (3-01886)
(1o dicembre 2015)

   GIGLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il ritardo dell'Italia nel ciclo del rifiuto urbano costa caro: si tratta di una grande opportunità che rischia di andare persa non solo sul fronte dell'ambiente, ma anche per quanto riguarda la crescita economica e occupazionale;
   questo è l'allarme lanciato da uno studio, pubblicato nell'aprile 2015, del Laboratorio Spl (Servizi pubblici locali) di Ref Ricerche-Confesercenti, il quale precisa, altresì, che da un miglioramento del ciclo di trattamento dei rifiuti urbani si possono attendere 10 miliardi di euro di risparmi di costo all'anno e la creazione di 60 mila posti nel riciclo e nel trattamento. Il solo recupero energetico dei rifiuti smaltiti in discarica vale un miliardo di euro all'anno;
   nel confronto europeo il Paese, secondo lo studio citato, non è tra i virtuosi: ad esempio, nell'Unione europea a 28 membri, a fronte di una produzione di rifiuti pari a 489 chilogrammi per abitante, l'Italia si situa a quota 505 chilogrammi. Inoltre riesce a trattarne solo 476 chilogrammi per abitante, ossia il 94 per cento (davanti solo a Bulgaria, Slovenia, Romania, Polonia ed Estonia), mentre una dozzina di Paesi arriva al 100 per cento. Ma c’è di peggio: il 41 per cento delle frazioni trattate va a finire ancora in discarica (contro una media europea del 34 per cento e una Germania a zero) ed è fermo al 18 per cento il ricorso al trattamento termico, contro un valore medio del 27 per cento nell'Unione europea a 28, con Danimarca e Olanda al 52 e al 49 per cento;
   questi dati spiegano anche il perché delle numerose procedure di infrazione relative alla normativa comunitaria a carico dell'Italia in materia ambientale, mentre è chiaro che, se oltre il 40 per cento dei rifiuti urbani viene smaltito in discarica, non si favorisce alcuna iniziativa verso soluzioni in grado di generare qualità, crescita e valore per la collettività. Tutto questo nonostante che la direttiva del 1999 abbia imposto la chiusura delle discariche non a norma e abbia vietato di smaltire in discarica i rifiuti urbani non trattati;
   l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 (cosiddetto «Sblocca Italia»), prevede la realizzazione di una rete nazionale integrata di impianti di trattamento, la cui individuazione è stata affidata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, superando in tal modo i problemi di coordinamento tra gli attori in campo (regioni, enti locali, gestori);
   dal punto di vista geografico la situazione attuale è molto eterogenea: dei 44 impianti di incenerimento attivi, 28 sono al Nord, nove al Centro e otto al Sud. In parallelo con lo sviluppo infrastrutturale cala il ricorso alla discarica: vi è conferito il 20 per cento dei rifiuti urbani al Nord, contro il 56 per cento al Sud e il 44 per cento al Centro. Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Veneto sono le aree più virtuose (rispettivamente 10 per cento, 7 per cento e 9 per cento).Sul lato opposto finiscono in discarica il 93 per cento e il 71 per cento dei rifiuti in Sicilia e in Calabria;
   tale disomogeneità si riflette anche sul piano degli oneri medi di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, passando dai 34 ai 33 eurocent al chilogrammo al Sud e al Centro, mentre il Nord resta sotto i 29;
   la Conferenza mondiale sul clima attualmente in corso a Parigi ribadisce con forza la necessità non più procrastinabile di attuare politiche di salvaguardia dell'ambiente, con particolare riferimento ad un utilizzo sempre maggiore delle energie rinnovabili;
   nel campo delle energie rinnovabili il nostro Paese ha fatto molto ma può fare di più anche in considerazione delle sua caratteristiche climatiche;
   se la discarica resterà la modalità di trattamento più conveniente, questo significherà l'invio di segnali tariffari che non incentiveranno gli operatori (gestori e utenti) a prendere altre direzioni, in grado di generare qualità, crescita e valore per la collettività, come testimoniano alcune aziende già esistenti, eccellenze in ambito nazionale e internazionale. Per un Paese che è la patria del bello, della buona alimentazione e del turismo, l'ambiente deve essere il centro di una strategia industriale, un volano di sviluppo –:
   quali tempestive iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda adottare al fine di promuovere l'ottimizzazione del ciclo del rifiuto urbano, dando seguito – altresì – a quanto previsto dal citato articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 in un'ottica di tutela dell'ambiente ma anche di crescita occupazionale ed economica. (3-01887)
(1o dicembre 2015)

   BORGHESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.— Per sapere – premesso che:
   la direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, oggi direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato;
   nessun articolo della direttiva uccelli 2009/147/CE vieta espressamente il commercio tout court di tutte le specie di uccelli legittimamente allevate ed importate dai Paesi extraeuropei, ne tantomeno nessuna sentenza o normativa europea o internazionale lo ha richiesto;
   l'articolo 21 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, così come modificato dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, concernente «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea», vieta a chiunque di vendere, detenere per vendere, trasportare per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, anche se importati dall'estero, appartenenti a tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell'Unione europea, ad eccezione di germano reale, pernice rossa, pernice di Sardegna, starna, fagiano e colombaccio;
   di fatto, questa normativa impedisce di cucinare in tutti i luoghi pubblici il secolare e tradizionale spiedo bresciano, la polenta osei bergamasca, piuttosto che tutti i piatti tradizionali tipici dell'arte culinaria di molte province italiane che hanno come ingrediente fondamentale la piccola selvaggina, una vera e propria «ghigliottina» per i ristoratori bresciani;
   tutto ciò non lascia molti spazi d'azione a centinaia di ristoratori che hanno impostato la loro attività su di un'arte culinaria con piatti tipici locali nei quali figurano i piccoli volatili. Il danno economico e sociale che sta creando la norma, così modificata, a migliaia di esercenti e ristoratori anche in termini di posti di lavoro, è di estrema gravità – negli ultimi due anni, ha prodotto un conseguente danno economico quantificato in un mancato incasso di circa il 40 per cento – mettendo così a rischio di chiusura moltissime attività commerciali con il conseguente licenziamento di migliaia di dipendenti;
   in un momento di crisi economica come quella che si sta affrontando, pensare di vietare senza motivo il commercio di uccelli o parti di essi legittimamente catturati o abbattuti in altri Paesi, a parere degli interroganti è poco lungimirante e sicuramente dannoso per l'economia del nostro Paese;
   durante la discussione in Parlamento della legge europea 2014, risulta agli interroganti che il Governo, visto che la questione non è priva di interesse ed è invece meritevole di approfondimenti, abbia assunto un impegno formale per creare un «tavolo tecnico», dove dovrebbero essere coinvolti province, comuni, associazioni di categoria e rappresentanti della Camera di commercio;
   nel mese di luglio 2015 a Brescia si è svolto un incontro alla presenza del Ministro interrogato dove sembra che questi abbia invitato le associazioni e i ristoratori a fornire un contributo tecnico, raccogliendo quanti più dati e informazioni possibili a difesa del piatto nostrano, al fine di poter trattare con l'Unione europea una deroga per i territori che utilizzano questo piatto tipico, per rimarcare una presenza non solo produttiva ma anche di tradizione e territorialità –:
   quale sia lo stato dei lavori del sopra citato «tavolo tecnico» e a quale soluzione si voglia addivenire per risolvere il problema, anche in sede europea. (3-01888)
(1o dicembre 2015)