TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 478 di Mercoledì 9 settembre 2015

 
.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 162 del 10 giugno 2014 la Corte costituzionale ha ammesso alle fecondazione eterologa le coppie eterosessuali sterili alle quali questa procedura di procreazione medicalmente assistita era precedentemente vietata dalla legge n. 40 del 2004;
   nel caso di sterilità femminile, la fecondazione eterologa richiede che gameti femminili siano messi a disposizione da soggetti esterni alla coppia;
   il reperimento dei gameti femminili può essere teoricamente ottenuto ricorrendo ad ovociti prelevati in sovrannumero da altre donne, donati poiché non utilizzati durante procedure di procreazione medicalmente assistita omologa e crioconservati (cosiddetto egg-sharing);
   la possibilità di egg-sharing è tuttavia limitata al momento, oltre che dal numero di ovociti in sovrannumero disponibili, anche dalla scarsa diffusione delle tecniche di crioconservazione dei gameti femminili;
   ovociti per la fecondazione eterologa prodotti ad hoc, cioè indipendentemente dalle procedure di fecondazione omologa, possono altresì essere ottenuti da donazione o acquistati dietro pagamento;
   al di fuori dell'ambito familiare, la donazione di gameti, è resa però problematica dalla «indaginosità» ed invasività della procedura;
   la donna donatrice, infatti, al pari delle donne che ricorrono per sé stesse alla fecondazione omologa, deve sottoporsi a stimolazione ormonale ovarica della durata di un paio di settimane, a controlli ecografici e a un intervento chirurgico in anestesia, con evidente impegno psicologico e rischi per la salute e talora per la vita stessa (come accaduto nel 2015 ad una donna morta a Bari);
   la direttrice del Centro di procreazione medicalmente assistita di Bologna, professoressa Eleonora Porcu, ha dichiarato di recente a Il Messaggero Veneto: «a mia conoscenza non ho appreso che ci siano state gravidanze da eterologa ottenute in strutture pubbliche con il contributo di donatori volontari»;
   per quanto riguarda l'acquisto, invece, esso è giustamente vietato nel nostro Paese, al pari di ogni altra forma di commercio di parti o di costituenti del corpo umano;
   essa, infatti, lungi dall'essere una donazione, si configura poco o tanto come uno sfruttamento del bisogno di donne in condizioni più o meno disagiate;
   in data 18 febbraio 2015 tale divieto è stato esplicitamente ribadito dal Ministero della salute in risposta ad un'interrogazione a risposta immediata in Commissione affari sociali, presentata dall'interrogante (n. 5-04762);
   in tale occasione il Sottosegretario Vito De Filippo dichiarava che «ai sensi della legge 19 febbraio 2004, n. 40, articolo 12, comma 6, “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”. La normativa italiana non prevede distinzioni, fra forme commerciali e non, di maternità surrogata, sanzionando indistintamente ogni percorso che porti a questo tipo di gravidanza su commissione. Allo stesso modo, in forma del tutto analoga a quanto avviene per donazione di sangue ed organi, per la cessione di cellule e tessuti umani destinati a uso clinico, il quadro normativo italiano prevede la totale gratuità (legge n. 91 del 1999; decreto legislativo n. 191 del 2007, articolo 12, comma 1), escludendo anche forme di rimborso spese, e consentendo eventualmente anche assenze giustificate dal lavoro, in forma del tutto analoga»;
   il Sottosegretario De Filippo dichiarava anche che «il Ministero della salute è impegnato, altresì, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali e in coerenza con la tradizione solidaristica del nostro Paese, a combattere ogni forma di sfruttamento del corpo umano e delle sue distinte parti anatomiche, con particolare attenzione per la procreazione umana, dove donne e bambini possono diventare soggetti grandemente vulnerabili»;
   va inoltre rammentata la risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2005, in cui si condanna il commercio degli ovociti umani, considerato una forma di sfruttamento commerciale della maternità;
   esiste peraltro in rete un'ampia offerta di ovociti a pagamento da parte di centri privati di riproduzione assistita, forse non sufficientemente contrastata (vedasi ad esempio il sito http://uteroinaffitto.com/servizi/costi);
   con una gara europea indetta a aprile 2015, con scadenza del bando il 22 maggio 2015, la regione Friuli Venezia Giulia ha inteso superare il problema del reperimento dei gameti ricorrendo a centri di riproduzione esteri;
   allo scopo la regione ha stanziato 400 mila euro per 12 mesi, con l'obiettivo di effettuare circa un centinaio di interventi;
   tenendo conto che, secondo la relazione 2015 del Ministero della salute sullo stato di applicazione della legge n. 40 del 2004, soltanto uno su sei dei cicli di fecondazione artificiale porta alla nascita di un bambino, se ne ricava che saranno necessari 24.000 euro in media, solo per l'acquisto dei gameti necessari a far nascere un figlio con la fecondazione eterologa;
   si tratta di una cifra che, se rapportata a tutto il territorio italiano, equivarrebbe a 20 milioni di euro, senza ovviamente tener conto di tutti i costi richiesti nella procedura, di quelli per la diagnostica, per l'assistenza e per le giornate lavorative perdute per una gravidanza oggettivamente a rischio;
   al bando di gara hanno risposto manifestando il loro interesse sei istituti esteri che contano anche una banca per la conservazione dei tessuti. Il gruppo più numeroso è quello iberico, Paese scelto da anni da molte coppie per la fecondazione eterologa;
   tutti gli istituti hanno dichiarato di raccogliere gameti esclusivamente da donatori volontari consapevoli e non remunerati;
   al termine dei lavori, la commissione di valutazione delle risposte al bando di gara ha rilevato che, ad eccezione di un centro ateniese, tutti gli altri sono in possesso dei requisiti di ammissione per appositi accordi di fornitura, mentre l'Ente per la gestione accentrata dei servizi condivisi (Egas, di Udine) ha approvato gli atti di gara, certificando che gli istituti individuati hanno le caratteristiche previste e dando il via libera all'azienda sanitaria per l'instaurazione dei singoli rapporti di collaborazione per la fornitura dei gameti;
   scorrendo in internet, tuttavia, si può constatare che i centri spagnoli, per esempio, costituiscono un vero e proprio cartello, con costi per chi vuole una donazione di ovuli tra i 4.000 (come ha pagato il Friuli Venezia Giulia) e i 6.500 euro con siti che favoriscono la scelta tra i diversi centri (per esempio, http://www.reproduccionasistida.org) e addirittura con l'indicazione degli sconti e delle offerte promozionali effettuate da ciascun centro, tutto con evidenti fini di lucro;
   in tali siti non vi è peraltro alcuna evidenza della gratuità nelle «donazioni» degli ovociti dei quali si propone l'acquisto;
   non essendovi evidenze documentate di maggiore propensione a forme di altruismo a rischio della salute personale nei Paesi europei, non si comprende per quali ragioni, se non per denaro, una donna spagnola o ceca dovrebbe essere disponibile, a differenza delle donne italiane, a prestarsi gratuitamente a un prelievo di ovociti sempre molto oneroso e potenzialmente anche pericoloso;
   se invece le «donatrici» straniere per l'eterologa friulana fossero state retribuite dai centri esteri privati fornitori dei gameti, magari sotto forma di un rimborso spese, si determinerebbe un aggiramento della legislazione italiana, pervenendo surrettiziamente all'acquisto di parti del corpo umano e allo sfruttamento del corpo di donne bisognose –:
   se il Ministro interrogato intenda verificare con quali strumenti sia stata accertata la presunta gratuità delle donazioni dei gameti acquistati all'estero dalla regione Friuli Venezia Giulia e per quali motivo si sia fatto ricorso a centri privati che della riproduzione assistita hanno fatto un lucroso business. (3-01678)
(8 settembre 2015)

   BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2010 è stata disposta dalla regione Calabria, con il decreto n. 18 del 2010 emanato per il riordino della rete ospedaliera, della rete di emergenza e urgenza e della rete territoriale, la trasformazione in punto di primo intervento rafforzato dell'ospedale di Trebisacce «Chidichimo»;
   in seguito alla suddetta decisione il comune ha adito le vie legali per ottenerne il ripristino della funzionalità complessiva e garantire alla popolazione residente la fruizione di un diritto e di un servizio pubblico essenziale costituzionalmente garantito e tutelato dall'articolo 32 della Costituzione, che testualmente recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività (...)»;
   nonostante ciò, la sentenza di primo grado del tribunale amministrativo regionale ha negato il diritto alla salute mediante la trasformazione in punto di primo intervento rafforzato dell'ospedale;
   la vicenda, dopo l'esito sfavorevole del primo grado, è proseguita in appello dinnanzi al Consiglio di Stato;
   alla fine di aprile 2015, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del comune di Trebisacce contro la trasformazione dell'ospedale in punto di primo intervento rafforzato;
   nonostante ciò la funzionalità dell'ospedale non è stata ripristinata;
   il commissario ad acta Scura continua ad osteggiare la riapertura, seppure parziale, del «Chidichimo»;
   sono già trascorsi più di quattro mesi dalla data del pronunciamento del Consiglio di Stato che ha sentenziato la riapertura del «Chidichimo». Nonostante ciò il commissario ad acta sta violando il principio del rispetto dello Stato di diritto poiché si rifiuta di dare attuazione alla sentenza, incurante del suo dovere di garantire il rispetto di quanto stabilito dal supremo organo della giustizia amministrativa, così da garantire alle popolazioni dell'Alto Jonio i livelli minimi di assistenza e la necessaria assistenza sanitaria nelle condizioni di emergenza ed urgenza;
   le considerazioni espresse dal commissario ad acta, che si riportano testualmente: «Siete quattro gatti, potete curarvi a Policoro in 20 minuti, a Taranto in un'ora e a Bari in un'ora e mezza, voi non avete bisogno di un ospedale», oltre che inopportune, sono intrise di semplici e sommarie valutazioni politiche che non spettano e non competono all'ufficio del commissario, chiamato ad applicare la legge, garantire i livelli essenziali di assistenza e, soprattutto, le emergenze-urgenze nelle zone disagiate, così come prevede anche il Patto per la salute 2014/2015, oltre che ripianare il debito;
   per consentire al Ministro interrogato un'attenta valutazione dei fatti e dei diritti, si ritiene utile ricordare gli elementi salienti della vicenda;
   la regione Calabria ha l'obbligo di garantire l'assistenza sanitaria ospedaliera ai propri cittadini e i livelli essenziali di assistenza, sia con riferimento alle emergenze-urgenze, che al numero di posti letto per aree geografiche determinate. Nella zona jonica il rapporto di 1,3 posti letto per 1.000 abitanti è inferiore a quello regionale e nazionale;
   il distretto sanitario cui appartiene Trebisacce, è costituito da 17 comuni di cui 9 montani con circa 60.000 abitanti. Le strade di collegamento alla statale jonica sono impervie e tortuose e, soprattutto d'inverno, rendono il traffico particolarmente difficile; i comuni sono situati a pettine rispetto alla strada statale 106 che d'estate, per i noti problemi di traffico e pericolo, non consente un flusso veloce;
   la distanza dei comuni dagli ospedali spoke calabresi più vicini, escluso i comuni di Trebisacce, Villapiana, Cassano e Francavilla, è superiore ad un'ora di viaggio. L'indicazione dell'ospedale spoke di Policoro, quale presidio più vicino che consentirebbe le cure urgenti, è da ritenersi artificioso e pretestuoso, peraltro più distante dai comuni a sud. La regione Calabria, allo stato, ha l'obbligo di garantire cure sanitarie ospedaliere nel proprio territorio;
   la programmazione sanitaria di altre regioni è ininfluente, prescindendo, naturalmente, da futuri accordi, allo stato inesistenti. Tanto viene sancito anche dalla sentenza del Consiglio di Stato (si confronti pagina 18 della sentenza n. 2151 del 2015). Infatti, in caso di emergenza, il servizio 118 ha l'obbligo di ricoverare i pazienti presso gli ospedali calabresi e non di altre regioni;
   il riferimento al numero di abitanti per distretto è stato inopportuno, perché se così fosse, escluso quello di Cosenza, tutti gli ospedali dovrebbero essere chiusi. Tutti i bacini degli ospedali spoke attivi sono sotto i 60.000 abitanti. Peraltro, a seguito di precedenti sollecitazioni, il commissario per Trebisacce dichiara che il proprio decreto n. 9 del 2015 non può essere modificato, mentre poi per altre realtà, con bacini d'utenza inferiori, prevede il potenziamento dell'esistente. Con ciò riconoscendo implicitamente e contraddittoriamente le legittime aspettative degli altri territori, si vogliono solo evidenziare le contraddizioni e le pretestuosità di Scura;
   la conferenza Stato-regioni, nel prevedere i presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate, stabilisce i presupposti e prevede il tempo massimo di percorrenza dal pronto soccorso più vicino di 60 minuti o di 90 minuti all'ospedale spoke o hb. In tale contesto per confutare le fumose e confuse cognizioni del commissario, si ritiene utile precisare che l'ospedale di zona disagiata è possibile prevederlo, oltre che in presenza di distanze superiori ai 60 minuti, quando l'area, ove sono situati i comuni, sia geograficamente ostile e disagiata, tipicamente montana o premontata, con collegamenti di rete viaria complessa e conseguente dilatazione dei tempi, peraltro senza alcun elisoccorso. Tali presupposti per Trebisacce e l'Alto Jonio-Sibaritide sussistono tutti, per cui le deduzioni del commissario sono errate e difformi anche dalla legge. La zona disagiata non necessariamente deve trovarsi in montagna o deve nevicare d'inverno;
   la mobilità passiva, al contrario di quanto dichiarato dal commissario Scura, è chiaramente aumentata, rispetto agli anni in cui l'ospedale di Trebisacce non aveva subito la suddetta trasformazione. La differenza è di quasi 1,8-2 milioni rispetto a tali anni. La mobilità passiva dell'area nord Calabria costa alla regione Calabria circa 20 milioni all'anno, che possono essere investiti a Trebisacce e Praia, per drenare l'emigrazione sanitaria. Solo Trebisacce nel 2013 ha registrato 3.059 casi di ricovero extraregione, comportando una spesa di euro 10.907,516, superiore al costo dell'intero ospedale attivo. Pur volendo ridurla del 50 per cento perché non riuscirebbe in ogni caso a frenare integralmente la migrazione sanitaria, sarebbe maggiore di euro 5.000.000 e dunque superiore al costo dell'ospedale di zona disagiata. Anche la differenza rispetto agli anni in cui Trebisacce non era stato trasformato, è di circa euro 3.800.000 (dati ufficiali asp). Come si vede, Scura interpreta erroneamente anche i propri dati. Peraltro negli anni in cui era aperto non si è fatto mai nulla per potenziarlo e ciò ha provocato una riduzione dei ricoveri appropriati;
   il commissario Scura richiama futuri ed inesistenti servizi (ospedale Sibaritide ed elisoccorso da costruire). Intanto la gente muore. L'ultima vittima per mancanza di cure urgenti è della sera del 27 agosto 2015. Il ricovero a Rossano ha solo certificato il decesso di una giovane donna. Scura ha solo una visione urbanocentrica della sanità, marginalizzando e penalizzando i centri periferici, che hanno maggiore necessità di servizi;
   il commissario sembra voler anestetizzare le capacità intellettive dei cittadini facendo promesse che erano proprie della vecchia politica, promettendo di aprire la Casa della salute, che, anche nel caso in cui fornisse dei buoni servizi, non potrebbe mai soddisfare le emergenze-urgenze e pensando di poter garantire in questo modo servizi territoriali efficienti, dimenticando però di programmarli per la Calabria;
   si pensa di poter risolvere i problemi con l'elisoccorso, che però già ora viene limitato nei voli, proprio per le ingenti spese di funzionamento. Tali argomentazioni peraltro sono state bocciate anche dal Consiglio di Stato nella richiamata sentenza, che intima alla regione di predisporre il piano delle rete ospedaliera sull'esistente e non su ciò che deve essere ancora costruito;
   il commissario Scura non tiene conto della sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato, con la quale è stato annullato il decreto n. 18 del 2010 e tutti gli atti presupposti connessi e consequenziali alla trasformazione dell'ospedale di Trebisacce. In uno stato di diritto le sentenze devono essere applicate e Scura si sta sottraendo volontariamente all'esecuzione di un giudicato giurisdizionale, configurando anche un'ipotesi di reato ai sensi dell'articolo 650 del codice penale. Il relativo giudizio di ottemperanza è stato già deliberato e avviato;
   il pronto soccorso con divisioni e servizi minimi ed essenziali, al contrario di quanto ritiene il commissario, non è pericoloso ma è necessario per salvare vite umane. Si pensi che attualmente al punto di primo intervento di Trebisacce, con carenza di mezzi e uomini, sono state effettuati quasi 10.000 interventi in un bacino invernale di 60.000 abitanti che d'estate si quadruplicano, peraltro a ridosso di un'importante e pericolosa strada (strada statale 106), dove spesso si verificano incidenti gravi e mortali;
   per ribadire la fattibilità, così come prevede la legge, per l'attivazione dell'ospedale di zona disagiata e di confine in rete con l'ospedale spoke di riferimento, si ricorda che la pianta organica prevede il pronto soccorso con divisione medica di appoggio di 20 posti letto, una chirurgia elettiva ridotta che effettua interventi day surgary, un pronto soccorso con medico dedicato all'emergenza-urgenza integrato nella struttura del dea di riferimento, più i servizi di diagnostica, per un totale di circa 20 medici più infermieri. Nel caso di specie a Trebisacce già lavorano 12 medici che devono essere integrati con 4 anestesisti (già previsti), 4 chirurghi e infermieri, già in parte in servizio, per cui economicamente l'importo sarebbe limitato a non più di euro 2.000.000 annui per il personale, che totalmente costerebbe 7-8 milioni annui. Per il ripristino delle sale operatorie, vi è già un progetto esecutivo dell'asp con fondi esistenti, ex articolo 20 della legge n. 67 del 1987. In proposito vi è anche la disponibilità eventuale dei comuni a farsi carico degli oneri per il ripristino delle due sale operatorie;
   dalle considerazioni fatte emerge chiaramente un ostracismo da parte del commissario Scura, una volontà di non applicare la legge e, fatto ancor più grave, ad eseguire una sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato. È chiara la difficoltà del commissario a gestire e programmare la sanità in Calabria, che copre l'80 per cento del bilancio regionale. Peraltro allo stato non ha raggiunto alcun obiettivo, se non quello di creare tensione continua tra i cittadini e le istituzioni comunali in tutta la Calabria. Cosa ancora più grave, non consente al presidente della regione legittimamente eletto di dettare le linee di indirizzo programmatiche in materia di sanità. Basti pensare alla possibilità di prevedere tre cardiochirurgie a Reggio Calabria, lasciando altri territori e province senza servizi sanitari ospedalieri;
   in merito alle dichiarazioni riportate circa il numero esiguo di abitanti di un'area importante della Calabria, peraltro attraversata da primarie e pericolose vie di comunicazione, offensive e che denotano limiti culturali e gestionali, così come l'inopportuno invito a ricoverarsi a Policoro, anziché attivare e potenziare i presidi ospedalieri calabresi che sanno di provocazione e di insulto, si reputa oltraggioso consentire ad un organo dello Stato di esprimere tali frasi davanti ad organi istituzionali eletti e rappresentativi di cittadini o pensare di programmare la distribuzione di presidi sanitari escludendo bacini limitati di abitanti, dal momento che anche i 60.000 cittadini dell'Alto Jonio cosentino-Sibaritide godono del diritto sancito, come già ricordato, dall'articolo 32 della Costituzione che Scura dovrebbe conoscere ed attuare;
   il commissario ha dato prova di non conoscere la geografia e le esigenze dei cittadini, distorcendo anche l'interpretazione della legge, ma cosa ancor più grave è cambiare idea a giorni alterni; infatti il 2 giugno 2015, proprio in occasione della visita all'ospedale di Trebisacce, disse che era stato un errore chiudere Trebisacce e chiese alla dirigenza dell'asp di preparare un piano di riordino della rete ospedaliera, inserendo Trebisacce in rete con Castrovillari. Ciò è stato ribadito anche in altre circostanze. Non ultimo l'incontro con i vertici dell'asp del 6 agosto 2015 in cui il commissario ha chiesto di modificare la proposta prevedendo per Trebisacce l'ospedale di zona disagiata o di confine, come risulta da atto formale protocollato, in rete con Castrovillari per poi cambiare nuovamente opinione addossando ad altri responsabilità che sono sue proprie;
   non si comprende se ci si trova innanzi a strategie predeterminate o dovute ad altri fattori esterni ancora sconosciuti;
   la Calabria, come tutte le regioni italiane, deve garantire il diritto alla salute ai propri cittadini, indipendentemente dal numero e dal luogo dove sono residenti;
   ciò è dimostrato dal fatto che la stessa struttura commissariale nel redigere il piano operativo 2013/2015 ha previsto, proprio la riconversione in ospedale di zona disagiata o di confine di Trebisacce e Praia, in considerazione del fatto che sulle due coste nord, ionica e tirrenica, non sussistono ospedali, da attivare anche per frenare l'emigrazione sanitaria verso altre regioni e garantire l'assistenza ospedaliera ai residenti –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di garantire il rispetto della sentenza del Consiglio di Stato per ripristinare immediatamente il funzionamento dell'ospedale. (3-01679)
(8 settembre 2015)

   CALABRÒ, DORINA BIANCHI, BINETTI e ROCCELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il fenomeno della medicina difensiva è dilagato in tutti i Paesi europei, compresa l'Italia, e richiede iniziative, non più procrastinabili, volte al suo contenimento anche in considerazione dei rischi che esso può comportare per la salute dei cittadini; basti pensare al frequente ricorso a prestazioni diagnostiche non necessarie o inappropriate;
   il suddetto fenomeno, oltre alle problematiche sopra indicate relativamente alla salute dei cittadini, comporta un rilevante impatto sulla spesa pubblica a carico del servizio sanitario nazionale; in particolare, con specifico riguardo all'Italia, si stima una spesa di circa 10 miliardi di euro all'anno;
   il Ministro interrogato, con proprio decreto del 26 marzo 2015, ha istituito, presso il Ministero della salute, la commissione consultiva per le problematiche in materia di medicina difensiva e di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, presieduta dal professor Guido Alpa, al fine di fornire allo stesso Ministero un idoneo supporto per l'approfondimento delle tematiche in questione e l'individuazione di possibili soluzioni, anche normative;
   la Commissione XII affari sociali ha elaborato, il 5 agosto 2015, una proposta di testo unificato delle abbinate proposte di legge già all'esame della medesima Commissione, recante «Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario»;
   la citata commissione consultiva ministeriale, in data 6 agosto 2015, ha elaborato, a conclusione dei propri lavori, un documento recante apposite proposte per la risoluzione delle principali criticità connesse al fenomeno della medicina difensiva –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di tradurre le proposte elaborate dalla commissione consultiva sopra citata, in disposizioni normative, di pronta e tempestiva attuazione, al fine di porre definitivo rimedio, mediante un regime giuridico organico e chiaro, alle criticità segnalate in tema di medicina difensiva.
(3-01680)
(8 settembre 2015)

   MATARRESE, D'AGOSTINO, DAMBRUOSO e VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ad agosto 2015, i tecnici di Goletta Verde – Legambiente hanno presentato alla stampa il consueto monitoraggio scientifico delle acque marine italiane, denunciando le situazioni di inquinamento e di insufficienza depurativa che le mettono maggiormente a rischio;
   da quanto si evince dal rapporto, nonostante il generale miglioramento rispetto agli anni precedenti, «su 266 campioni di acqua analizzati dal laboratorio mobile di Goletta Verde, il 45 per cento è risultato con cariche batteriche superiori ai limiti imposti dalla normativa. Si tratta di un punto inquinato ogni 62 chilometri di costa»;
   secondo il rapporto, il 50 per cento dei punti inquinati sarebbero localizzati «presso spiagge (quasi sempre libere) con un'alta affluenza di bagnanti, dove di fatto la balneazione è abituale. Dei 120 punti inquinati e fortemente inquinati secondo il giudizio di Goletta Verde, ben il 49 per cento risulta non campionato dalle autorità competenti, cioè non sottoposto a nessun tipo di controllo sanitario. Addirittura il 38 per cento dei punti scovati dai tecnici di Legambiente, nel Portale delle acque del Ministero della salute risulterebbero balneabili, talvolta in classe eccellente»;
   le cause di inquinamento sono diverse e i numeri evidenziano la gravità della situazione. Sono state, infatti, «ben 14.542 le infrazioni accertate dalle forze dell'ordine e dalle capitanerie di porto per reati inerenti il mare e la costa nel corso del 2014. Circa 40 al giorno, 2 per ogni chilometro di costa, lievemente in crescita rispetto al 2013, quando le infrazioni erano state 14.504. Sono 18.000 le persone denunciate o arrestate con 4.777 sequestri eseguiti dalle autorità competenti. Numeri impressionanti che evidenziano la gravità delle attività illegali lungo le coste e nei mari del nostro Paese»;
   la singolare e poco onorevole classifica delle illegalità divise per regione, e contenuta nel rapporto, vede al primo posto «la Puglia, con 3.164 infrazione accertate (il 21,8 per cento del totale nazionale), seguita dalla Sicilia con 2.346 (16,1 per cento), dalla Campania con 1.837 (12,6 per cento) e dalla Calabria con 1.370 (12,6 per cento); l'elenco delle infrazioni rilevate per chilometro di costa, su scala regionale, vedono la Campania prima con 3,9, seguita dalla Puglia con 3,7, tallonata dal Molise con 3,1, dalla Liguria con 3 e dalle Marche con 2,9. Si distingue la buona performance della Sardegna, con qualche criticità riscontrata solo in corrispondenza di foci di fiumi o canali. Poche le criticità riscontrate anche nelle regioni dell'alto Adriatico (Veneto e Friuli Venezia Giulia), complice anche il periodo di campionamento (ad inizio giugno 2015, quindi a stagione balneare appena cominciata)»;
   la causa principale dell'inquinamento delle acque rilevato da Goletta Verde sarebbe essenzialmente da ascrivere agli scarichi non depurati che attraverso fiumi, fossi e piccoli canali si riversano direttamente in mare. A conferma del deficit infrastrutturale relativo al trattamento dei reflui urbani, e quindi del relativo mancato rispetto della «Direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane», risultano due sentenze di condanna emesse dalle autorità europee, rispettivamente nel 2012 e nel 2014, ed una procedura d'infrazione ancora aperta nei confronti del nostro Paese; le inadempienze dello Stato italiano non sono soltanto causa di un danno all'ambiente ma anche all'economia: il rapporto stima, infatti, che le sanzioni dell'Unione europea siano pari a 485 milioni di euro l'anno dal 2016 e fino al completamento delle opere;
   da quanto si evince dal portale del Governo http://italiasicura.governo.it, «le risorse per intervenire ci sono ma non vengono spese. Solo nel 2011 e nel 2012, con tre delibere del Cipe, sono state finanziate a fondo perduto opere idriche per complessivi 2,5 miliardi di euro nelle regioni del Sud (Cipe 62/2011 per 695 milioni, CIPE 87/2012 per 121 milioni e CIPE 60/2012 per 1,6 miliardi). Inoltre, dal 2007 i fondi strutturali europei rappresentavano un tesoretto da avviare a cantiere per circa 4,3 miliardi di euro per 1.296 interventi. Il monitoraggio ha verificato che appena 76 risultano oggi completati per circa 47 milioni di euro, 768 sono in corso per 1,5 miliardi di euro, mentre i restanti 452 per 2,7 miliardi di euro li abbiamo trovati bloccati e non progettati e sono in fase di avviamento (...)»;
   il Governo è intervenuto secondo le disposizioni del provvedimento «sblocca Italia», stabilendo la revoca delle risorse stanziate dai soggetti attuatori inadempienti e l'invio di commissari governativi con l'obiettivo di aprire i cantieri;
   a seguito degli stati generali #acquepulite del 24 marzo 2015 con la ricognizione puntuale delle inadempienze che hanno portato alle sanzioni comunitarie e le strategie per rilanciare il settore idrico, la struttura di missione della Presidenza del Consiglio dei ministri #italiasicura ha convocato a Roma il 13 aprile 2015 regioni, enti e autorità idriche locali con l'Associazione nazionale delle autorità e degli enti d'ambito (Anea) e l'Autorità nazionale per l'energia elettrica, il gas e il settore idrico, i sindaci delle 14 città metropolitane. All'ordine del giorno vi era l'urgenza dell'accelerazione degli investimenti nel settore idrico, l'aggiornamento sullo stato di infrazione e della ripartizione su base regionale delle sanzioni comunitarie e la verifica dello stato di applicazione della «legge Galli» del 1994 nelle 5 regioni inadempienti (Sicilia, Calabria, Campania, Lazio e Molise) e applicazione dell'articolo 7 dello «sblocca Italia» (decreto-legge n. 133 del 2014);
   il Governo, tramite la struttura di missione, si sarebbe impegnato ad intervenire su monitoraggio, scarichi industriali, depuratori, riutilizzo di acque reflue, fitodepurazione attraverso un piano di 20 miliardi in sei anni;
   secondo quanto si evince dal portale del Governo, l'Esecutivo «prova a recuperare il tempo perduto per le opere su depuratori e reti fognarie finanziate nel 2012 con la delibera Cipe n. 60: il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sulla base dell'articolo 7, commi 6-7 dello “sblocca Italia”, ha pronta la lista dei primi 36 interventi da commissariare, per un valore di 634 milioni di euro (...)»;
   la situazione, secondo le predette fonti, sembrerebbe «tuttavia quasi disperata: la delibera Cipe 60/2012 stanziava 1.643 milioni di euro Fesr e Fas, sbloccando opere per 1,8 miliardi di euro, per tentare di risolvere le infrazioni europee in corso sulle acque reflue al Sud. Interventi da realizzare e mettere in funzione entro quest'anno. Ma a distanza di tre anni sono stati firmati contratti solo per 69 opere su 180, pari a 367 milioni di euro su 1.807 (il 20 per cento), e i lavori sono partiti solo su 32 opere, per 148 milioni di euro. Interventi per oltre 1,4 miliardi di euro sono ancora bloccati, in gran parte ancora in progettazione» –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende assumere per garantire la salvaguardia e la conservazione del patrimonio naturale nazionale marino e costiero che attualmente risulta minacciato da processi di inquinamento in atto, che determinano non solo un danno all'ambiente e al turismo, ma anche danni economici dovuti alle procedure di infrazione e alle relative sentenze di condanna, e quale sia lo stato di attuazione del piano della struttura di missione e dei provvedimenti assunti con lo «sblocca Italia» per far fronte alle opere previste per la mitigazione del deficit infrastrutturale relativo alla depurazione delle acque reflue.
(3-01681)
(8 settembre 2015)

   DEL GROSSO, SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, SPADONI, DI BATTISTA, SCAGLIUSI, GRANDE, SORIAL e FRUSONE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il sedicente Stato islamico sta indubbiamente conducendo con successo attacchi in campo aperto, conquistando città e villaggi e, purtroppo, distruggendo anche parte del patrimonio culturale e archeologico (recentemente a farne le spese è stato principalmente il sito di Palmira) in terra siriana; tra l'altro, quello che sta accadendo è riconducibile anche all'improba decisione del Governo turco di colpire le basi delle organizzazioni curde in Iraq che rappresentano di fatto l'unico vero contenimento dell'Is da terra;
   ciò sta contestualmente provocando anche la recente, massiccia ondata di arrivi di profughi in fuga soprattutto dalla Siria attraverso la rotta balcanica e non più solo da quella mediterranea;
   i Governi britannico e francese hanno anticipato alla stampa le proprie intenzioni circa un prossimo, necessario intervento militare della Nato contro l'Is attraverso una campagna di raid aerei estesa alla stessa Siria;
   la via militare, affermano in buona sostanza i due leader, viene auspicata per poter garantire una serie di risultati: alleggerire la catastrofe umanitaria e il peso che ne deriva sull'Europa, dare una risposta alla crisi dei profughi siriani, colpire il jihadismo interno che proprio in Siria trova sempre più adesioni;
   già da settimane, tra l'altro, gli Stati Uniti continuano a colpire in Siria obiettivi riconducibili all'Is, anche attraverso l'uso dei droni;
   il presidente Putin ha aperto alla possibilità di una coalizione internazionale con gli Stati Uniti e gli altri Paesi per un intervento in Siria, anche se con l'intento di salvaguardare comunque il più che traballante Presidente siriano Assad;
   mutatis mutandis, i rischi di un tale tipo di intervento si prefigurano comunque elevatissimi, soprattutto se si ha memoria di ciò che è accaduto in Libia con quello che gli interroganti ritengono lo scellerato intervento militare deciso da Cameron e Sarkozy che ha procurato all'Italia gravi conseguenze, non ultima quella sul fronte immigrazione;
   in questo contesto, suscita particolare preoccupazione anche la decisione della Nato di effettuare nelle prossime settimane, nel Mediterraneo, quella che viene ritenuta la più imponente esercitazione militare (la Trident juncture 2015 (TJ15)) dai tempi della caduta del muro di Berlino –:
   quale siano gli effettivi intendimenti del Governo italiano in ordine a quanto esposto in premessa e ai rischi diretti e indiretti derivanti di un eventuale intervento della Nato in Siria. (3-01682)
(8 settembre 2015)

   PALAZZOTTO e SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si stima che siano diverse decine di migliaia i migranti morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo dal 1998;
   non sono solo immagini terribili quelle dei nostri giorni, ma sono anche numeri di una guerra che giorno dopo giorno si sta svolgendo nel Mediterraneo sotto i nostri occhi e questo avviene sia per una situazione di forte instabilità in Libia e come conseguenza dei diversi conflitti che si registrano in Medio Oriente e nel continente africano – come in Iraq, Siria, Afghanistan, Yemen, Nigeria, Somalia, Eritrea, Sudan solo per citarne alcuni – e sia per le migliaia di migranti che sfuggono da carestie, fame e povertà o dagli effetti dei cambiamenti climatici antropici globali;
   l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) assiste oltre 50 milioni tra rifugiati e sfollati in tutto il mondo. Complessivamente il numero risulta essere ancora più ampio se si conteggiano, ad esempio, anche i cosiddetti climates refugees, ossia coloro che sono vittime di migrazioni forzate determinate dagli effetti negativi dei disastri ambientali e dei cambiamenti climatici e che attualmente non sono riportati in nessuna statistica ufficiale e spesso non assistiti da alcuna organizzazione umanitaria;
   i dati forniti da Eurostat sulle richieste di asilo presentate in Europa fotografano un fenomeno, quello dei rifugiati e richiedenti asilo, di imponenti dimensioni e che necessita di una forte politica comune dell'Unione europea;
   dall'inizio del 2015 nell'Unione europea sono state oltre 400 mila le richieste d'asilo, di questi 106 mila riguardano bambini. La Germania ha dichiarato che si aspetta circa 800 mila richieste di asilo entro la fine del 2015;
   le cronache di questi giorni, in particolar modo quanto sta accadendo in Ungheria, testimoniano quanto il sistema normativo europeo sia insufficiente a far fronte a un fenomeno migratorio che ha assunto tali connotazioni e dimensioni;
   le richieste di asilo nei Paesi dell'Unione europea sono disciplinate dal regolamento n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (cosiddetto regolamento «Dublino III»), che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di Paese terzo o da un apolide;
   in particolare, il regolamento «Dublino III» obbliga i migranti a richiedere asilo nel Paese di arrivo, generando squilibri e prolungando il calvario dei richiedenti asilo anche dentro le frontiere europee;
   l'Europa tutta è negligente, nulla è stato fatto nonostante i proclami. La gestione dell'accoglienza, la «presa in carico» e l'assistenza da parte di molti Paesi dell'Unione europea continua a presentare numerose criticità e i costi sociali ed economici di tale negligenza e mala gestione si riflettono sia sulle popolazioni accoglienti che sui rifugiati e richiedenti asilo;
   occorre un'azione concordata dell'Europa e misure urgenti da assumere urgentemente con il superamento degli accordi di Dublino e la creazione di un «diritto d'asilo europeo». A questo va aggiunto un intervento delle organizzazioni internazionali come l'Onu per stabilizzare la situazione in Libia e Siria, nella risoluzione dei conflitti che imperversano in Medio Oriente e in Africa;
   il nostro Paese è chiamato ad un'assunzione di responsabilità ed allo stesso tempo ad uno sforzo di elaborazione e proposta che siano ispirati a criteri fondati sul diritto internazionale e sui diritti umani –:
   se, alla luce della straordinaria situazione e del mutamento dei flussi migratori, non si ritenga opportuno adottare iniziative in sede europea al fine di sospendere immediatamente il regolamento «Dublino III»e quali iniziative si intendano intraprendere nella medesima sede per la sua revisione e per l'istituzione di un «diritto d'asilo europeo». (3-01683)
(8 settembre 2015)

   GIANLUCA PINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è in atto un'emergenza migratoria che ha ormai dimensioni chiaramente europee;
   i flussi che interessano i Paesi appartenenti all'Unione europea sono certamente composti in parte da persone in fuga dalla guerra e dalla repressione politica, come i profughi siriani che dalla Turchia hanno risalito i Balcani, ma in parte, probabilmente prevalente, anche da migranti economici veri e propri, ovvero persone che scelgono di emigrare clandestinamente non sotto la spinta di una minaccia grave alla propria sicurezza o ai propri diritti, bensì per cercare un avvenire più prospero;
   in presenza di un numero massiccio di domande di protezione internazionale rivolte dai clandestini alle autorità nazionali potrebbe rivelarsi utile allo sveltimento delle pratiche disporre di una «lista di Paesi di origine sicuri», a patto di redigerla rigorosamente;
   la direttiva 2005/85/CE, recepita in modo forse incompleto nell'ordinamento italiano, affida al Consiglio europeo il compito di determinare, con voto a maggioranza, l'elenco comune minimo dei Paesi d'origine sicuri, quelli nei quali l'eventuale respingimento del richiedente tutela internazionale non comporterebbe alcun rischio a suo carico, ma riconosce, altresì, agli Stati membri la facoltà di definire proprie liste nazionali aggiuntive, obbligandoli contestualmente a fornire periodicamente alla Commissione europea il nome dei Paesi inseriti al loro interno;
   appare quanto meno discutibile il tentativo, in atto da più parti, di includere il Pakistan nel novero dei Paesi in guerra e pertanto sorgente di flussi di profughi –:
   se il nostro Paese abbia mai elaborato le liste nazionali previste dalla direttiva 2005/85/CE e, nel caso affermativo, se ne faccia o meno parte il Pakistan, Paese che al momento non risulta in stato di guerra ed è retto da istituzioni libere e democratiche. (3-01684)
(8 settembre 2015)

   AMENDOLA, CARROZZA, CASSANO, CENSORE, CHAOUKI, CIMBRO, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA, MANCIULLI, MONACO, NICOLETTI, PORTA, QUARTAPELLE, RACITI, RIGONI, ANDREA ROMANO, SPERANZA, TACCONI, ZAMPA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   giorno dopo giorno l'emergenza immigrazione si aggrava in tutta Europa: dopo il Mediterraneo, si fa sempre più tesa la situazione alle frontiere ed anche l'Europa orientale è diventata negli ultimi giorni un fronte caldo;
   numeri allarmanti sono stati forniti dall'Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) relativi agli arrivi attraverso il Mediterraneo: nei primi otto mesi del 2015, sono 351 mila i migranti che hanno intrapreso la via del mare e purtroppo già 2.643 persone sono morte da gennaio 2015. Solo nel 2014, gli arrivi nello stesso periodo erano stati 219 mila. Agosto 2015 è stato il secondo mese con più morti dell'anno, 638, superato solo da aprile 2015 quando erano stati 1.265. In tutto il 2014 erano stati 3.500 i migranti morti o dispersi nel Mediterraneo, secondo i dati forniti dall'Alto commissariato dell'Onu per i diritti umani;
   tutti hanno negli occhi le immagini drammatiche di quest'ultima settimana, che hanno avuto almeno l'effetto positivo di scuotere l'Europa dal suo torpore e cercare di ritrovare i valori di civiltà e dignità umana che hanno sempre contraddistinto il vecchio continente;
   difatti, dopo giorni di tensioni e proteste, con i profughi bloccati alla frontiera, la Germania e l'Austria hanno aperto le loro frontiere e permesso l'accoglienza di decine di migliaia di disperati in fuga dalla guerra e dalla miseria, superando le procedure ordinarie delle regole di ingresso;
   la pressione della società civile su questa scelta è stata determinante: le popolazioni austriache e tedesche hanno dato vita ad una vera e propria gara di solidarietà per convincere i propri Governi a sbloccare la situazione ed aiutare i profughi. Da Vienna sono partiti verso il sud, al confine ungherese, convogli di attivisti – associazioni di volontari che si sono coordinati sui social media – per aiutare, con autovetture private, i migranti in marcia, caricarli a bordo e portarli in territorio «sicuro»;
   il Governo tedesco metterà a disposizione dei lander e dei comuni sei miliardi di euro per far fronte agli arrivi record di profughi nel Paese. Parrebbe, inoltre, che verranno velocizzate le procedure per le domande di asilo e verranno fornite ulteriori strutture per accogliere i profughi;
   da oltre un anno, l'Italia sta portando il tema delle migrazioni nei consessi internazionali, insistendo sulla natura globale del fenomeno, una consapevolezza che finalmente è stata raggiunta anche dagli altri partner europei;
   il 14 settembre 2015 si terrà un incontro straordinario a Bruxelles sull'emergenza immigrazione, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, nei giorni precedenti, dovrebbe presentare un piano di ripartizione dei rifugiati che prevederebbe che oltre il 60 per cento dei rifugiato (più di 70 mila) dovrebbero essere redistribuiti tra Germania, Francia e Spagna nei prossimi due anni e alleviare così la pressione dei Paesi in prima linea come Italia, Grecia e Ungheria. Francia e Germania prenderanno insieme quasi la metà dei 120 mila rifugiati che saranno poi ricollocati in base al piano. La Germania accoglierà 31.443 profughi, la Francia 24.031, la Spagna si farà carico di 14.931 persone. Saranno 15.600, invece, i richiedenti asilo che saranno ricollocati dall'Italia, che si aggiungono ai 24 mila del precedente schema di maggio 2015. Il piano prevede anche la velocizzazione delle procedure per il rimpatrio dei migranti irregolari;
   il tema della gestione delle migrazioni è divenuto un tema non solo di politica interna ma anche di politica estera, data la sua dimensione e tragicità, e ha dato vita a numerose prese di posizioni e iniziative politiche e diplomatiche da parte di molte cancellerie europee;
   i Ministri degli esteri di Italia, Germania e Francia, Paolo Gentiloni, Frank-Walter Steinmeier e Laurent Fabius, hanno inviato un documento comune all'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea Federica Mogherini che mette in rilievo come, «alla luce dei limiti e delle manchevolezze chiaramente mostrati dall'attuale sistema di regole europee in materia di asilo, creato ormai 25 anni fa, occorra rivederne contenuti e attuazione». I tre Ministri hanno inoltre insistito sull'esigenza di raggiungere l'obiettivo di un'equa ripartizione dei rifugiati sul territorio europeo;
   il Ministro interrogato ha avuto modo di delineare, in interventi pubblici e interviste, alcune proposte quali il superamento delle «regole di Dublino» e l'implementazione di un regime europeo per l'asilo, arrivando a valutare la definizione di corridoi umanitari e ingressi regolari con il sistema della sponsorship, come affermato in occasione di un incontro internazionale a Tirana in questi giorni –:
   quali siano le proposte che, in tema di gestione europea e internazionale dei flussi migratori nonché di cooperazione, il Governo italiano intenda portare avanti e presentare in occasione delle prossime riunioni dei Ministri dell'Unione europea.
(3-01685)
(8 settembre 2015)

   PRESTIGIACOMO, BRUNETTA, CATANOSO GENOESE, GIAMMANCO e ANTONIO MARTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i recenti e terrificanti fatti di cronaca che hanno sconvolto la città di Palagonia, in provincia di Catania, determinano un decisivo momento di riflessione in merito alla gestione e al futuro del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo; la barbara uccisione di Vincenzo Solano e della moglie Mercedes hanno infatti procurato ulteriore allarme e grave preoccupazione non solo per i residenti della zona, ma per tutta la popolazione che, nelle diverse aree del Paese, si trova a fronteggiare l'emergenza immigrazione;
   l'ivoriano Mamadou Kamara, accusato di aver ucciso i coniugi di Palagonia, è infatti un ospite del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, epicentro di scandali e indagini giudiziarie: pochi controlli e molti affari illegali, dagli appalti truccati su cui indagano le procure di Roma e Catania con l'inchiesta «mafia capitale», ad un giro di prostituzione che non si riesce a bloccare;
   Mineo, il più grande centro di accoglienza d'Europa, ospita oggi circa 3.000 persone rispetto alle 2.000 previste; fin dalla sua nascita, un assembramento di migranti così ingente ha dato luogo a rischi continui legati ad esigenze di ordine pubblico, non riuscendo a garantire le necessarie misure di sicurezza, presentando grandi difficoltà di accesso ai servizi di supporto psicologico e legale per gli stessi migranti e, soprattutto, registrando fenomeni di degrado, illegalità e violenza difficilmente gestibili, come riconosciuto dalle stesse forze di polizia;
   è noto che negli ultimi mesi, in particolare a seguito del commissariamento del centro avvenuto su richiesta del presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, Mineo ha visto le presenze scendere: si è passati da circa 4.500 migranti a 3.000, una riduzione di un terzo su cifre, comunque, eccezionali rispetto alla media degli altri centri di accoglienza per richiedenti asilo – dove sono presenti in ogni sede alcune centinaia di migranti – e in ogni caso ancora superiori all'effettiva capienza del centro;
   sarebbe opportuno chiarire definitivamente, in attesa degli esiti giudiziari legati al centro di accoglienza di Mineo, quali siano le scelte del Governo e quali gli obiettivi in merito al suo futuro, ovvero se si intenda procedere al progressivo svuotamento e alla chiusura del centro, come richiesto da più parti;
   la pressione migratoria sulle strutture di accoglienza della Sicilia è diventata abnorme ed è quantomeno necessario un intervento immediato per contrastare ogni minaccia rispetto alla sicurezza dei cittadini –:
   quali siano gli strumenti e le modalità con cui il Governo intende gestire la grave situazione in atto riportata in premessa e quali siano i reali intendimenti del Governo in merito alla gestione e al futuro del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. (3-01686)
(8 settembre 2015)

   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il 30 luglio 2015 il direttore generale dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha inviato una nota formale all'onorevole Giorgia Meloni, parlamentare della Repubblica nonché presidente del partito politico Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale;
   nella nota l'ufficio contestava alla parlamentare il contenuto di un'intervista dalla stessa resa al giornale on line stranieriinitalia.it il 29 giugno 2015, affermando di ritenere «che una comunicazione basata su generalizzazioni e stereotipi non favorisca un sollecito ed adeguato processo di integrazione e coesione sociale»;
   infine, la nota si chiudeva con la raccomandazione alla parlamentare «di voler considerare per il futuro, l'opportunità di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore»;
   di fatto, la nota inviata all'onorevole Meloni rappresenta un vero e proprio atto di censura rispetto a delle dichiarazioni rilasciate da una semplice cittadina cui la nostra Carta fondamentale riconosce la libertà di manifestazione del proprio pensiero, prima ancora che da una parlamentare liberamente eletta e ulteriormente tutelata dall'articolo 68 della Costituzione;
   egualmente grave appare l'invito rivolto alla parlamentare a dire agli italiani cose reputate più accettabili da un ufficio del Governo –:
   se non si ritenga di adottare le iniziative disciplinari di competenza rispetto al dirigente che ha redatto la nota e se non si ritenga di rivedere le funzioni dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, alla luce del fatto che alcune delle competenze ad esso attribuite sono istituzionalmente già assegnate ad altri organi, quali la magistratura per quanto attiene all'attività d'inchiesta e alle denunce di presunte violazioni e la scuola per quanto attiene all'integrazione sociale. (3-01687)
(8 settembre 2015)