TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 471 di Mercoledì 29 luglio 2015

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   NICCHI, SCOTTO, PANNARALE, MARCON e MELILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la legge di stabilità per il 2015, il Governo ha imposto un ennesimo pesante contributo alle regioni per il contenimento della spesa pubblica, che si è di fatto inevitabilmente tradotto, come immaginabile, in una riduzione del finanziamento complessivo del servizio sanitario nazionale di oltre 2,3 miliardi di euro, mettendo a rischio gli stessi livelli essenziali di assistenza e, quindi, l'equità nell'accesso alle prestazioni sanitarie da parte dei cittadini;
   un ennesimo onere a carico del servizio sanitario nazionale recepito, da ultimo, con l'intesa Stato-regioni del 2 luglio 2015 e fissato appunto in 2,352 miliardi di euro a decorrere dal 2015, con conseguente riduzione di pari importo del livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale;
   questi tagli alla sanità hanno, quindi, trovato un loro collocazione all'interno del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 78 del 2015 sugli enti locali ora all'esame del Senato della Repubblica, dove il Governo li ha proposti come emendamenti al testo, e quindi fatti approvare. Si tratta principalmente di riduzioni di spesa per beni e servizi, per dispositivi medici e farmaci, di riduzione delle prestazioni «inappropriate», facendo pagare le eventuali inappropriatezze ai medici e agli stessi cittadini, ed altro;
   nell'intervista al quotidiano la Repubblica del 26 luglio 2015, Yoram Gutgeld, commissario alla revisione della spesa, ha ribadito che l'obiettivo della spending review riguardo alla sanità è di riuscire a «risparmiare» ben 10 miliardi di euro, attraverso una serie di misure che saranno principalmente inserite nel disegno di legge di stabilità per il 2016;
   insomma il Governo persevera con la politica dei tagli alla sanità pubblica, senza ricordare che la spesa sanitaria pubblica italiana risulta inferiore a quella dei principali Paesi europei: poco meno di 2.500 dollari pro capite nel 2012, a fronte degli oltre 3.000 spesi in Francia e Germania;
   si rammenta che la stessa Corte dei conti, nella sua «Relazione sulla gestione finanziaria per l'esercizio 2013 degli enti territoriali», ha ricordato come «ulteriori risparmi, ottenibili da incrementi di efficienza, se non reinvestiti prevalentemente nei settori dove più carente è l'offerta di servizi sanitari, come, ad esempio, nell'assistenza territoriale e domiciliare oppure nell'ammodernamento tecnologico e infrastrutturale, potrebbero rendere problematico il mantenimento dell'attuale assetto dei livelli essenziali di assistenza, facendo emergere, nel medio periodo, deficit assistenziali, più marcati nelle regioni meridionali, dove sono relativamente più frequenti tali carenze»;
   a confermare la strada dei tagli alla sanità, da troppo tempo intrapresa e che di fatto conduce a soluzioni privatistiche di uscita dalla crisi, è la ricerca Censis-Rbm salute, presentata recentemente, dal quale emerge come il servizio sanitario pubblico è sempre più «ingolfato» per le lunghe liste d'attesa e per gli italiani diventa più conveniente ricorrere alle strutture private. La scelta del privato spesso diventa un obbligo per accorciare i tempi. Così un miliardo di euro in più in un anno uscito dalle tasche degli italiani, per un totale di 33 miliardi di euro nel 2014 (+ 2 per cento rispetto al 2013). A tanto ammonta la spesa sanitaria out of pocket. Mentre la spesa sanitaria pubblica supera i 110 miliardi di euro;
   dopo l'intervista al commissario Yoram Gutgeld, il Ministro interrogato ha, quindi, dichiarato: «sono perfettamente d'accordo con la road-map indicata dal commissario alla spending Gutgeld. A me va benissimo la spending. E va benissimo utilizzare le risorse per coprire i buchi che abbiamo nella ricerca, per rendere disponibili a tutti i nuovi farmaci salvavita, e per sbloccare il turn over»;
   il Ministro interrogato ha poi confermato che non ci saranno tagli lineari: «i 10 miliardi non vengono tolti dal fondo sanitario nazionale che ha già dato in questi ultimi anni. Negli ultimi anni abbiamo dovuto fare fronte a una spesa fuori controllo che peraltro non si è trasformata in migliori servizi ai cittadini». E ancora: «dopo 25 miliardi di tagli, non c’è proprio più niente da tagliare. C’è invece la possibilità di recuperare risorse grazie a una maggiore efficienza e a una nuova organizzazione». Dimenticandosi che, almeno per una quota parte, questi tagli alla sanità che lamenta, sono avvenuti sotto la sua gestione;
   ma se da una parte il Ministro interrogato, in un'intervista all’Ansa del 26 luglio 2015, ha ancora una volta dichiarato da un lato che si batte «perché le risorse rimangano nel sistema sanitario», dall'altro ha sottolineato – sollevando una reale preoccupazione, come: «Nella prossima legge di stabilità non è previsto nessun taglio lineare alla sanità ma solo un efficientamento del sistema, che produrrà risorse da destinare al miglioramento dei servizi, anche se una parte potrebbe essere usata per il taglio delle tasse». In pratica si rischia di tagliare la sanità per coprire l'eventuale riduzione delle tasse sul lavoro, sul reddito e sulla casa. Insomma già si adombra la possibilità di ulteriori tagli alla sanità pubblica come contributo alla riduzione della pressione fiscale, contraddicendo la promessa, fatta in diverse occasioni di risparmi di spesa che rimangono all'interno del servizio sanitario nazionale;
   il messaggio «tranquillizzante», ma anche – a parere degli interroganti – fuorviante, del Governo sembra essere quello che in sanità si possa spendere molto meno, e quindi si possa risparmiare ancora, senza però toccare qualità e livello dei servizi erogati ai cittadini. Ma il fatto che l'Italia sia a livelli tra i più bassi in Europa di spesa sanitaria rispetto al prodotto interno lordo comporterà inevitabilmente che un obiettivo di riduzione di spesa sanitaria come quello prospettato da Gutgeld, e confermato dal Ministro interrogato, molto difficilmente potrà essere raggiunto senza una drastica riduzione della qualità e quantità dei livelli essenziali di assistenza garantiti ai cittadini;
   il Governo conferma ancora una volta come si sia lontani dall'uscire dal paradigma dei tagli ed entrare in quello della qualità. In questi ultimi anni, il nostro Paese è diventato più diseguale sul piano della garanzia delle cure, con territori periferici che negli anni si sono visti sottrarre servizi, tagliare prestazioni sanitarie e sociali, depauperare il sistema di protezione sociale. Con un sistema di prevenzione sempre più impoverito;
   le necessarie risorse da «liberare», al fine di un finanziamento del nostro servizio sanitario nazionale, devono infatti trovarsi in gran parte tramite una vera lotta alla corruzione, al controllo rigoroso degli accreditamenti, alle diseconomie e agli sprechi tutti interni alla sanità, piuttosto che con una riduzione dei diritti e dell'universalismo –:
   se non ritenga che la sanità pubblica non possa più sostenere ulteriori tagli nei finanziamenti e se non intenda garantire, come peraltro nel passato più volte promesso, che le risorse rinvenienti dagli ennesimi ulteriori tagli e risparmi di spesa che il Governo, ancora una volta, prospetta nel settore della sanità pubblica vengano tutti mantenuti e reinvestiti nel medesimo servizio sanitario nazionale per una sua reale difesa e riqualificazione anche attraverso lo sviluppo della rete territoriale, la prevenzione, l'assistenza domiciliare e territoriale e per poter garantire realmente, in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, la piena applicazione dei livelli essenziali di assistenza e l'appropriatezza delle prestazioni.
(3-01641)
(28 luglio 2015)

   LENZI, AMATO, ARGENTIN, BENI, PAOLA BOLDRINI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, MARIANO, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PIAZZONI, PICCIONE, GIUDITTA PINI, SBROLLINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la vasta eco suscitata dall'annunciato piano di razionalizzazione ed efficientamento della spesa sanitaria, nel quadro di un più ampio intervento di revisione della spesa pubblica finalizzato alla riduzione del carico fiscale per cittadini e imprese e al contenimento dell'indebitamento, denota la rilevanza sociale del tema di una moderna, efficace ed omogenea assistenza sanitaria su tutto il territorio nazionale;
   un obiettivo che negli ultimi anni è stato al centro dell'azione governativa in raccordo con le regioni e che ha visto la sua concretizzazione, nel luglio 2014, con la sottoscrizione del Patto della salute 2014-2016, ovvero dell'intesa triennale, finanziaria e programmatica tra il Governo e le regioni, in merito alla spesa e alla programmazione del servizio sanitario nazionale, finalizzata a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l'appropriatezza delle prestazioni e a garantire l'unitarietà del sistema;
   dopo i consistenti tagli già operati nel corso degli ultimi anni, alla luce dei reciproci impegni assunti con il citato Patto della salute, i margini di revisione della spesa sanitaria, comunque possibili ed auspicabili, non possono non prodursi in un arco temporale pluriennale e, in ogni caso, dovrebbero essere finalizzati al rifinanziamento di alcuni obiettivi prioritari in materia sanitaria, quali il potenziamento della ricerca o il superamento del blocco del turn over;
   è evidente che un intervento di tale natura, per la complessità e la rilevanza dei diritti in questione, esige il più ampio coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti, a cominciare dalle regioni e dal personale medico e sanitario –:
   quali provvedimenti siano allo studio e come si intenda garantire il mantenimento di un efficiente servizio sanitario.
(3-01642)
(28 luglio 2015)

   CAPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, all'articolo 35, prevede che: «Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, tenuto conto delle relative esigenze sanitarie e sulla base di un'approfondita analisi sulla situazione occupazionale, individuano il fabbisogno dei medici specialisti da formare, comunicandolo al Ministero della sanità e dell'università (...)»;
   il medesimo articolo 35 prevede, inoltre, che «il Ministero della sanità, di concerto con il Ministero dell'università (...) e con il Ministero del tesoro (...), sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, determina il numero globale degli specialisti da formare annualmente, per ciascun tipo di specializzazione»;
   il secondo comma del citato articolo 35 dispone che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, previo parere del Ministero della salute, determina il numero dei posti da assegnare a ciascuna scuola di specializzazione accreditata, tenuto conto della capacità ricettiva e del volume assistenziale delle strutture sanitarie inserite nella rete formativa della scuola stessa;
   il decreto interministeriale 4 febbraio 2015, n. 68, ha disposto il riordino delle scuole di specializzazione in area sanitaria;
   sulla base del fabbisogno individuato dalle regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano, tramite il citato articolo 35 del decreto legislativo n. 368 del 1999, con decreto del 20 maggio 2015, il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero dell'economia e delle finanze, ha determinato nel numero di 6.000 il totale complessivo degli specialisti da formare annualmente per l'anno accademico 2014/2015;
   il medesimo decreto prevede che 5.000 contratti fossero coperti da risorse a legislazione vigente e 1.000 subordinati all'effettiva disponibilità delle risorse conseguenti all'approvazione del disegno di legge di assestamento del bilancio dello Stato per l'esercizio 2015, in quanto da coprire mediante riduzione dei capitoli di spesa dello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   con decreto ministeriale 21 maggio 2015, n. 307, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha provveduto a ripartire tra le diverse scuole di specializzazione istituite presso i singoli atenei i 6.000 contratti di formazione specialistica finanziati con risorse statali per l'anno accademico 2014/2015;
   l'articolo 5, comma 4, del decreto ministeriale 20 aprile 2015, n. 48, prevede che le università possano attivare, in aggiunta ai contratti di formazione finanziati dallo Stato, ulteriori contratti di formazione specialistica coperti con risorse derivanti da donazioni o da finanziamenti di enti pubblici o privati, purché comunicati al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prima della pubblicazione del bando per il relativo anno accademico;
   facendo riferimento all'articolo sopra citato, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nel decreto ministeriale n. 307 del 2015 ricordato in precedenza, ha comunicato alle regioni le scuole di specializzazione che saranno effettivamente attivate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la ripartizione dei contratti nazionali, fissando, inoltre, il termine del 25 maggio 2015 per la comunicazione dei contratti aggiuntivi finanziati con risorse regionali;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con decreto ministeriale 26 maggio 2015, n. 315, ha indicato i posti disponibili per l'anno accademico 2014/2015 per ciascuna scuola di specializzazione, prevedendo, in aggiunta ai posti coperti con contratti di formazione specialistica finanziati con risorse statali, l'assegnazione di posti coperti con contratti finanziati con risorse statali;
   contrariamente a quando accaduto negli anni precedenti, la regione Sardegna non compare tra quelle che finanziano contratti di formazione medico specialistica;
   come ha notato anche la sede provinciale di Cagliari dell'Associazione italiana dei giovani medici, la mancata previsione di finanziamenti regionali rischia di peggiorare la già grave crisi occupazionale dei medici sardi, costretti a lasciare la regione, se non l'Italia, per poter esercitare la professione;
   per un mero errore di copertura finanziaria, infatti, la regione Sardegna non è stata in grado di finanziare le 24 borse di studio aggiuntive previste;
   la regione è intervenuta, pur con un po’ di ritardo, per rimediare all'errore commesso stanziando i fondi necessari per le borse di studio e chiedendo al Ministro interrogato la riapertura dei termini del bando –:
   se il Ministro interrogato abbia ricevuto ulteriore richiesta da parte della regione Sardegna di riapertura dei termini del bando e, in caso affermativo, cosa intenda fare, per quanto di sua competenza. (3-01643)
(28 luglio 2015)

   RABINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la circolare n. 21 del 14 marzo 2011 venivano fornite indicazioni riguardo alla mobilità dei docenti, istituendo le cosiddette «classi di concorso atipiche» per salvaguardare le dotazioni organiche di ruolo degli istituti in attesa del riordino delle classi di concorso;
   le classi di concorso atipiche sono quelle classi di concorso, come, per esempio, capita per matematica e fisica A049 e matematica A047 per i licei scientifici, che possono insegnare scambievolmente in modo flessibile ed atipico la matematica nelle varie classi del liceo scientifico;
   con le «atipicità» si consente l'insegnamento di una stessa disciplina a docenti titolari su classi di concorso differenti, per cui il titolare di matematica A047 potrebbe insegnare la matematica anche al secondo biennio o dal prossimo anno scolastico anche nelle classi terminali del liceo scientifico;
   allo stesso modo il titolare in matematica e fisica A049 potrà insegnare in verticale la matematica già dal primo biennio;
   le classi di concorso atipiche pongono sullo stesso piano docenti abilitati in graduatorie differenti e che, quindi, non hanno partecipato alle stesse prove di selezione per conseguire l'abilitazione;
   la situazione venutasi a creare sta provocando notevoli tensioni all'interno delle scuole tra i docenti, con conseguenze a discapito del diritto allo studio e all'apprendimento degli studenti;
   con la sentenza n. 4254 del 17 marzo 2015, la III sezione-bis del tribunale amministrativo regionale del Lazio ha nuovamente rilevato la non conformità alla normativa vigente della condotta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il quale, ancora una volta e secondo le medesime modalità, accorpava classi di materia, riferendosi a docenti che avevano conseguito abilitazioni all'insegnamento secondo il previgente ordinamento disciplinato dal decreto ministeriale n. 39 del 1998 –:
   quale sia l'intenzione del Ministro interrogato riguardo a tale materia, che risulta molto delicata, tenendo conto degli obiettivi molto elevati in termini di competenze che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si attende che raggiungano gli studenti italiani e considerato, inoltre, che si rischia di non riconoscere il merito ai docenti che hanno conseguito abilitazioni che coinvolgono più discipline e che tuttora hanno carichi di lavoro e responsabilità molto elevati.
(3-01644)
(28 luglio 2015)

   CENTEMERO, PALESE e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 1, comma 329, della legge di stabilità per il 2015 viene previsto che, a decorrere dal 1o settembre 2015 e in considerazione dell'attuazione dell'organico dell'autonomia, funzionale all'attività didattica ed educativa nelle istituzioni scolastiche ed educative, è abrogato l'articolo 459 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, in cui è previsto l'esonero o il semiesonero dall'insegnamento;
   nella legge 13 luglio 2015, n. 107, all'articolo 1, comma 83, è previsto che il dirigente scolastico possa individuare nell'ambito dell'organico dell'autonomia fino al 10 per cento di docenti che lo coadiuvano in attività di supporto organizzativo e didattico dell'istituzione scolastica, senza maggiori oneri per lo Stato. Al comma 5 si afferma che l'organico dell'autonomia è funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali della scuola. Pertanto, l'esonero o il semiesonero del vicario del dirigente scolastico viene inserito nell'organico dell'autonomia a valere sui posti del potenziamento. Inoltre, al comma 68 la ripartizione dell'organico dell'autonomia, ripartito tra i diversi ambiti territoriali, è prevista a partire dall'anno scolastico 2016/2017, organico che comprende l'organico di diritto e i posti per il potenziamento, l'organizzazione, la progettazione e il coordinamento dell'istituzione scolastica;
   nella legge 13 luglio 2015, n. 107, nei commi relativi al piano straordinario di assunzioni, in particolare al comma 98, lettera c), viene previsto che in posti della tabella 1 (posti per il potenziamento), che corrispondono a 48.812 posti per il potenziamento e 6.446 posti di potenziamento per il sostegno, siano assegnati con decorrenza giuridica dal 1o settembre 2015 ma durante l'anno scolastico 2015/2016. Le istituzioni scolastiche, pertanto, per l'anno scolastico 2015/2016 non disporranno dell'organico per il potenziamento e, dunque, non dispongono di docenti atti a coprire l'esonero o il semi-esonero del vicario come previsto dalla stessa legge;
   l'esigenza di affiancare il preside prima e il dirigente scolastico poi con un collaboratore è sempre stata riconosciuta, vista la complessità dei compiti e delle responsabilità assegnate al dirigente scolastico anche alla luce dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001: «Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti»;
   l'anno scolastico 2015/2016 si pone in una fase molto complessa per le istituzioni che si troveranno ad attuare la legge 13 luglio 2015, n. 107, che comporta numerosi cambiamenti organizzativi e strutturali che richiedono la presenza del collaboratore del dirigente scolastico –:
   quali provvedimenti, anche normativi, il Ministro interrogato intenda mettere in atto per garantire alle scuole e ai dirigenti scolastici di avvalersi del collaboratore designato mediante l'utilizzo dell'esonero o del semiesonero. (3-01645)
(28 luglio 2015)

   FEDRIGA, GUIDESI, BORGHESI, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato ha promesso – in base a quanto riportato dai media – ad alcuni parlamentari di potenziare e generalizzare il consenso informato dei genitori riguardo alle attività extracurriculari introdotte dall'ormai noto comma 16 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, di riforma della scuola di recente approvata;
   i progetti ispirati al gender, infatti, potrebbero con facilità essere nascosti dietro una serie di intenzioni apparentemente buone e sarebbe estremamente pericoloso che la scuola possa proporre, ricercando o meno il consenso, teorie gravemente contrarie al bene dei nostri figli, in dispregio del milione di persone che nel mese di giugno 2015 hanno manifestato contro queste iniziative a Piazza San Giovanni;
   in realtà, il problema è più complesso, in quanto la legge rappresenta un micidiale «cavallo di Troia»; tale subdola operazione rischia di avvenire attraverso il rinvio al «Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere». In sostanza, il comma 16 dell'articolo 1 della legge sulla «buona scuola», nell'assicurare «l'attuazione dei princìpi di pari opportunità», rimanda alla legge n. 119 del 2013, che, all'articolo 5, comma 2, impone di «promuovere un'adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere e promuovere, nella programmazione didattica curricolare ed extracurriculare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l'informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo»;
   il pericolo, ad avviso degli interroganti ma anche a detta di molti esperti nel settore, è nella possibilità di indottrinamento multidisciplinare, che è difficilmente controllabile. Tutti conoscono l'ormai celebre problemino di matematica di «Rosa e i suoi due papà che vanno a comprare tre lattine di the freddo al bar»: si tratta di matematica, non è quindi attività extrascolastica, e su questo la circolare non dà nessuna garanzia –:
   se il Ministro interrogato intenda prendere ufficialmente una posizione volta ad assicurare che nessuna divulgazione di ideologie di annullamento delle differenze sessuali, e di propaganda di un'idea diversa di famiglia che prescinda dall'uomo e dalla donna, venga mai effettuata nel corso delle normali attività curriculari e di assicurare, altresì, che se qualche insegnante prenderà iniziative divulgative simili verrà adeguatamente sanzionato.
(3-01646)
(28 luglio 2015)

   PISICCHIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultima tornata elettorale, così come in molte altre precedenti, è accaduto che il risultato di alcune assemblee regionali andate al voto fosse reso noto soltanto ventiquattro ore dopo la chiusura dei seggi, a causa delle lungaggini delle operazioni di scrutinio;
   né può essere trascurata la circostanza che ogni tornata elettorale, celebrata con l'arcaico sistema dell'apposizione del voto su scheda mediante matita copiativa, porti con sé strascichi polemici sulle presunte irregolarità e sugli errori materiali riscontrati nei verbali degli uffici di sezione, confermando l'opinione dell'insufficienza delle attuali procedure e della loro inidoneità a garantire la sicurezza delle operazioni di voto;
   c’è, inoltre, da considerare, l'ingente dispendio di risorse per allestire i tradizionali sistemi di voto, valutabili in diverse centinaia di milioni di euro per ogni turno –:
   se il Ministro interrogato non ritenga utile assumere iniziative per introdurre il sistema di voto elettronico presente in molti Paesi democratici. (3-01647)
(28 luglio 2015)

   LUPI, BINETTI, PAGANO e CALABRÒ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le scuole paritarie e quelle statali per legge sono parte integrante del sistema pubblico, in quanto entrambe svolgono un servizio pubblico;
   la sentenza della Corte di cassazione sul pagamento dell'imu da parte delle organizzazioni no profit, previsto da una norma del Governo Monti, segnala una difficoltà interpretativa nel caso delle scuole paritarie;
   le 13.500 scuole paritarie ospitano un milione e 300 mila studenti, su un totale di 9 milioni di studenti presenti in Italia (10 per cento della popolazione scolastica nazionale): a fronte dei 520 milioni di euro che esse ricevono, lo Stato risparmia 6 miliardi e mezzo di euro;
   il sistema scolastico italiano sopporta una spesa annua di oltre 50 miliardi di euro, con un costo per studente di circa 6.800 euro;
   ogni alunno delle paritarie, invece, costa annualmente allo Stato una cifra compresa tra 600 euro nella scuola dell'infanzia e 50 euro nella scuola di secondo grado;
   in Francia, il 17 per cento degli studenti frequenta scuole non statali, con un costo annuale per alunno di circa 3.400 euro, contro i 4.600 euro della scuola statale;
   in Spagna, grazie agli aiuti statali, la scuola paritaria (frequentata dal 30 per cento dei ragazzi) è pressoché gratuita e costa all'amministrazione spagnola circa 2.771 euro per studente, diversamente dalla pubblica che costa ne 6.657;
   il Governo italiano, a seguito di osservazioni sollevate dall'Unione europea su presunti aiuti di Stato nell'esenzione dall'imu per le scuole paritarie ed in generale per tutto il no profit, già un anno fa, attraverso un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, ha stabilito che l'imu venisse pagata soltanto se le rette superavano il costo medio per studente, fissato dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze, in quanto doveva quantificare i parametri entro i quali considerare come simbolica la retta pagata, evitando così possibili sanzioni europee –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere a fronte della sentenza della Corte di cassazione sulle scuole paritarie (nei confronti della quale sono state sollevate da più parti critiche basate sulla convinzione che la medesima discrimini questo tipo di istituti e generi una pericolosa diseguaglianza), ripartendo quindi da quanto stabilito dal decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di un anno fa e di cui all'ultimo punto della premessa. (3-01648)
(28 luglio 2015)

   SORIAL, CASO, BRUGNEROTTO, CARIELLO, CASTELLI, COLONNESE e D'INCÀ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sembra che a Bruxelles in questi giorni si stia discutendo dell'ipotesi di una «eurotassa», una nuova imposta che alimenti un bilancio comune dell'eurozona, promossa, come riporta il settimanale Der Spiegel, dal Ministro delle finanze tedesco Wolfang Schaeuble, e che il Ministro interrogato stia valutando con interesse tale proposta;
   il dibattito è scaturito dall'idea del Ministro Schaeuble di creare un bilancio dell'unione monetaria separato da quelli nazionali, con un superministro dell'eurozona dotato del potere di gestire il bilancio ed eventualmente di imporre un'eurotassa per alimentarlo;
   il piano di Schaeuble prevede che gli Stati dell'eurozona (eventualmente anche gli altri membri dell'Unione europea) devolvano parte delle risorse riscosse con l'iva e l'irpef a livello nazionale a un fondo europeo, oppure, non si sa se in alternativa o come operazione aggiuntiva, potrebbe essere introdotta una tassa addizionale sull'irpef, sull'iva o su altre forme di imposizione, con aliquote e criteri da decidere su basi nazionali differenziate, per finanziare appunto il nuovo fondo europeo; la gestione sovrana di queste entrate verrebbe delegata a un nuovo alto dirigente dell'Unione europea, una sorta di superministro delle finanze dell'eurozona;
   un portavoce della Commissione europea ha dichiarato che: «L'idea di un'eurotassa è interessante e vale la pena esplorarla», riferendosi anche ad un dossier più corposo, il rapporto sul futuro dell'unione monetaria dei cinque presidenti (Jean-Claude Juncker, Mario Draghi, Jeroen Dijsselbloem, Donald Tusk e Martin Schultz), che presenterebbe i «piani ambiziosi» dell'Unione europea per raggiungere un'unione monetaria completa;
   secondo Elmar Brok, veterano dei parlamentari europei della Cdu-Csu tedesca (il partito di Merkel e Schaeuble): «L'eurozona deve riflettere sulla possibile necessità di riscuotere una sua propria tassa. Occorre un nuovo meccanismo di stabilizzazione fiscale per l'area della moneta unica»;
   il Ministro interrogato ha dichiarato al Financial Times: «Dobbiamo andare diretti verso l'unione politica. Per avere una vera e propria unione economica e monetaria serve un'unione di bilancio, con una politica fiscale comune»;
   anche il Vice Ministro dell'economia e delle finanze Enrico Morando ha commentato la notizia di una possibile «eurotassa», dicendo che: «Se l'eurotassa è collegata ad un progetto di integrazione politica e soprattutto ad un effettivo progetto di integrazione sul versante della politica fiscale, allora è una proposta da prendere in considerazione», aggiungendo che «da tanto tempo invochiamo una politica fiscale a dimensione europea»;
   sembra che una commissione apposita, sponsorizzata da Schaeuble e dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, stia lavorando sulla riforma del finanziamento del budget europeo già da un anno e che a guidare tale task force di esperti, che si occuperà anche dell'eventuale introduzione dell’«eurotassa», sia l'ex Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti –:
   se il Ministro interrogato non consideri necessario ed urgente chiarire la posizione del Governo in merito all’«eurotassa» di cui in premessa, spiegando, altresì, di cosa si tratti in maniera dettagliata e da dove eventualmente si pensi di attingere le risorse necessarie, e quali provvedimenti di propria competenza intenda adottare per scongiurare che tale manovra non costituisca una nuova vessazione fiscale ai danni dei cittadini italiani. (3-01649)
(28 luglio 2015)

   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli scorsi giorni su tutti i maggiori quotidiani è stata pubblicata la notizia della proposta, avanzata dal Ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, di introdurre una tassa europea;
   secondo la proposta di Schaeuble, la Germania e gli altri Stati dell'eurozona, ma eventualmente anche gli altri membri dell'Unione europea, dovranno devolvere una parte delle risorse riscosse attraverso l'iva e l'irpef a livello nazionale a un fondo europeo, oppure introdurre una tassa addizionale, con aliquote e criteri da decidere su base differenziata per le singole nazioni;
   sempre secondo le notizie riportate dalla stampa la gestione del fondo europeo così costituito ed alimentato sarebbe delegata a un alto dirigente dell'Unione europea e, quindi, ad una personalità tecnica e non politica;
   di pari passo con il supposto rafforzamento politico che deriverebbe all'Unione europea dall'introduzione e gestione del fondo dovrebbe concretizzarsi anche un ruolo più forte di Commissione europea e Parlamento europeo;
   sarebbe già al lavoro una task force incaricata di studiare le modalità per l'introduzione dell'eurotassa –:
   di quali elementi disponga in merito alla notizia di cui in premessa e quale sia l'orientamento del Governo al riguardo.
(3-01650)
(28 luglio 2015)