TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 457 di Mercoledì 8 luglio 2015

 
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PROPOSTE DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla XII Commissione (Affari sociali):
   FUCCI: «Modifica all'articolo 31 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, concernente l'indennizzo in favore delle persone affette da sindrome da talidomide» (263);
   PIAZZONI ed altri: «Modifica all'articolo 31 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, concernente l'indennizzo in favore delle persone affette da sindrome da talidomide» (843);
   MIOTTO ed altri: «Modifica all'articolo 31 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, concernente l'indennizzo in favore delle persone affette da sindrome da talidomide» (858).

  (La Commissione ha elaborato un testo unificato).

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA IN RELAZIONE ALLA VICENDA DELLA COOPERATIVA «IL FORTETO»

   La Camera,
   premesso che:
    ha suscitato scandalo e preoccupazione la tristemente famosa vicenda de «il Forteto», alla quale per trent'anni il tribunale dei minori di Firenze ha affidato i bambini in difficoltà;
    il processo si è concluso con le condanne alla reclusione di Rodolfo Fiesoli a 17 anni e mezzo, Luigi Goffredi a 8 anni, Daniela Tardani a 7 anni, Francesco Bacci a 3 anni e 6 mesi, Angela Maria Bocchino a 1 anno, Mariella Consorti a 3 anni e 6 mesi, Marida Giorgi a 1 anno, Silvano Montorsi a 3 anni e 6 mesi, Stefano Pezzati a 4 anni e 6 mesi, Gianni Romoli a 3 anni, Stefano Sarti a 3 anni, Elisabetta Sassi a 3 anni, Luigi Serpi a 4 anni e 6 mesi, Francesca Tardani a 3 anni e 6 mesi, Elena Maria Tempestini a 3 anni e 6 mesi, Mauro Vannucchi a 4 anni e 6 mesi;
    dal processo è emerso il fatto che erano usuali e reiterati gli atti di violenza e di maltrattamenti ai danni dei bambini, garantiti dall'omertà e dal silenzio di chi conosceva i fatti, tra cui si segnalano particolarmente gli psichiatri e gli assistenti sociali, i quali hanno commesso ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo numerosissime disattenzioni;
    appaiono particolarmente gravi, poi, l'appoggio entusiasta e i reiterati e generosi finanziamenti forniti dalle amministrazioni locali grazie ai quali la cooperativa agricola è divenuta una «potenza economica»;
    Rodolfo Fiesoli, detto «il profeta», «capo spirituale della comunità», è il principale responsabile degli abusi sessuali e maltrattamenti perpetrati nella struttura. Daniela Tardani si è invece distinta, oltre che per maltrattamenti e violenza sessuale, anche per aver assistito agli abusi compiuti dal «profeta» su un ragazzo che era stato affidato con il pretesto risultato consueto di liberarlo dalla «materialità»;
    per descrivere la gravità del fatto, si citano le parole del pubblico ministero secondo la quale: «Per alcuni decenni in Toscana si è verificato un fenomeno rispetto al quale le leggi dello Stato hanno subito una sospensione»;
    dispiace il fatto che la segnalazione fatta dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo e da altri colleghi più volte al Governo in atti di sindacato ispettivo, con la proposta di commissariamento per la cooperativa agricola, sia rimasta lettera morta;
    il fenomeno disgustoso, ma «normale», verificatosi a «il Forteto», i cui contorni appaiono molto più gravi di quanto emerso dal processo grazie al quale si sono avute conferme dei dubbi e delle preoccupazioni, si inserisce nella più ampia e poco trasparente vicenda dei bambini in casa famiglia. Purtroppo, in moltissimi casi, gli affidamenti sono considerati un mero business perché hanno un giro di affari pari a un miliardo di euro all'anno: sono infatti ventimila i minori ospiti di queste strutture; occorre sperare che non vi siano troppe altre strutture ove si praticano i «trattamenti» che hanno caratterizzato il caso «il Forteto»;
    al di là dei gravissimi episodi di abusi sessuali, vi è una cinica consuetudine a trasformare il dolore dei bimbi in «affare economico»: essa è semplice e consiste nel prolungare i tempi di permanenza dei bimbi nelle strutture, facendo sì che solo un piccolo su cinque sia affidato a coppie in attesa;
    ciò spiega anche il perché migliaia di coppie restino in biblica attesa prima che le pratiche per l'adozione o l'affido si sblocchino. Naturalmente, ci sono anche altri fattori che incidono, la maggior parte dei quali legati alle lungaggini e alle complicazioni burocratico-giudiziarie;
    è illegale e immorale lucrare sulla pelle di migliaia di bambini e adolescenti che provengono da situazioni difficili, molto spesso drammatiche, tutte situazioni che vanno ben oltre la soglia della decenza e della dignità umana. Ci si riferisce, in particolare, ai casi più estremi che purtroppo sono diffusissimi, cioè ai ragazzi maggiorenni che usciti dagli istituti non sanno dove andare. Una cosa del genere non dovrebbe essere più tollerata perché rappresenta l'esatta negazione della funzione delle case famiglia, la rappresentazione spietata di come l'obiettivo di una struttura di accoglienza, la quale dovrebbe essere un luogo di transito, una specie di oasi di pace temporanea in attesa dell'affido, sia divenuta invece il suo contrario. Ci sono casi particolarmente esecrabili come «il Forteto», ma in generale lo scandalo è rappresentato dal modo con cui i minori vengono «assistiti» dalle strutture che dovrebbero garantire loro benessere. Si trovano invece prigionieri in luoghi insicuri e inefficienti. E ciò è frutto di una scelta che favorisce e consente abusi e illeciti arricchimenti da parte di chi invece dovrebbe seguire solo l'interesse dei bambini e quello generale e non il proprio;
    la carenza dei controlli sui luoghi dove i bambini vengono ospitati è poi imbarazzante oltre che in contrasto con le leggi. Eppure esistono centinaia di enti e associazioni no profit che avrebbero il compito di rilevare la statistica esatta del numero dei bambini in attesa e degli adottandi-affidandi e le condizioni nelle quali vivono; essi dovrebbero contribuire a prevenire casi quali quelli accaduti a «il Forteto». Al contrario di quanto dovrebbe essere normale, nessuno è in grado di fornire numeri esatti con il risultato che ancora oggi non esiste un monitoraggio attendibile;
    medesima carenza è rilevabile anche sul fronte delle verifiche perché lo Stato paga le comunità ma nessuno chiede alla comunità una giustifica delle spese. Sarebbe utile che per ogni casa-famiglia si rendessero pubbliche le modalità con cui vengono utilizzati i fondi: quanto per il cibo, quanto per il vestiario, quanto per gli psicologi o le varie attività. Il punto dolente consiste nel fatto che, in assenza di informazioni, i bambini vivono in questi posti senza che nessuno si occupi realmente della loro crescita morale e materiale, con grave danno per la loro istruzione e socializzazione. Non crescono, non vivono la vita, non incontrano amici, non fanno sport né gite;
    il numero di bambini senza famiglia è oscillato negli ultimi anni tra i 15 mila e i 20 mila. Oggi sembra essersi assestato intorno alla sua punta massima. Ma il controllo dei «flussi» è un problema legato anche alla sicurezza, come purtroppo emblematicamente dimostrato dal caso «il Forteto», «punta di diamante» per i fatti di adescamento e pedofilia che sono molto più diffusi di quanto non si immagini e non certo limitati a «il Forteto»;
    vi è poi un problema di competenze. Sull'infanzia ci sono troppe competenze divise tra vari Ministeri con il risultato che, non essendoci un unico soggetto che si occupi di infanzia abbandonata, si finisce per trovarsi di fronte una nebulosa in mezzo alla quale si capisce poco e niente;
    gli orfanotrofi non sono ancora scomparsi del tutto. Alcuni sono stati convertiti in case-famiglia: esistono anche due o tre comunità nello stesso edificio. Una per piano. Poi vi sono le altre storture. Nel libero mercato delle comunità per minori abbandonati c’è chi, per essere competitivo, abbatte la diaria giornaliera fino a ridurla a circa 30 euro. Teoricamente più sono bassi i costi, più bambini si riesce a far confluire nella struttura attraverso l’input dei servizi sociali che, a cascata, agiscono su indicazione del tribunale;
    altra nota dolente proviene dai tribunali, ove si accumulano migliaia di fascicoli relativi a famiglie disagiate con a carico almeno un minore. I magistrati non riescono a fare fronte alle pratiche perché i ragazzi raramente sono seguiti. La maggior parte, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono «parcheggiati» in un «posto» senza che nessuno segua davvero i loro bisogni, le loro esigenze e la loro educazione;
    le storie che vengono a galla, a cominciare da «il Forteto», compongono un campionario pauroso. Le case-famiglia dovrebbero essere una risorsa importante per il reinserimento del minore, ma la permanenza di un bambino dovrebbe essere caratterizzata dalla massima cura e dovrebbe rispondere a un unico criterio: trovargli il prima possibile una collocazione familiare;
    sarebbe pertanto opportuno predisporre un monitoraggio dell'intero sistema degli istituti denominati casa famiglia, al fine di prevenire abusi e reati che hanno connotato la vicenda in questione, a partire da quanto contenuto nella proposta di inchiesta parlamentare presentata il 23 gennaio del 2014 (Doc. XXII n. 20 del 23 gennaio 2014). Sarebbe inoltre opportuno predisporre le necessarie ed opportune modifiche legislative in materia al fine di razionalizzare e rendere efficaci, efficienti e maggiormente economici gli interventi a sostegno dell'infanzia, oltre che per prevenire i reati descritti in premessa, poiché le iniziative pubbliche che tali istituzioni devono perseguire devono ispirarsi al bene dei bambini, al contrario di quanto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, avviene nella situazione attuale nella quale potrebbero apparire come «esche» per realizzare illegali e socialmente pericolosissimi sfruttamenti,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza per il controllo della cooperativa «il Forteto» affinché possa essere restituita alla destinazione originaria, accertando le responsabilità politiche al riguardo.
(1-00937)
«Bechis, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».
(6 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il 17 giugno 2015 il tribunale di Firenze, al termine di un processo durato venti mesi, ha emesso una sentenza di primo grado a carico di sedici persone per abusi sessuali e maltrattamenti su bambini e su adulti con disagi psichici affidati alla comunità «il Forteto»;
    il fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, è stato condannato a diciassette anni e mezzo di reclusione e il suo braccio destro e «ideologo» della comunità, Luigi Goffredi, a otto anni di carcere;
    la comunità «il Forteto», fondata a La Querce (Prato) nel 1977 con l'obiettivo di essere una comunità produttiva e alternativa alla famiglia tradizionale, attualmente è attiva nel comune di Vicchio, in provincia di Firenze;
    negli anni, secondo la stessa sentenza ma anche secondo quanto accertato con relazione unanime dalla commissione d'inchiesta regionale istituita sul caso, al Forteto sono avvenute atrocità di ogni genere;
    Fiesoli, oltre ad aver picchiato e costretto minori presi in affidamento a rapporti sessuali, induceva all'omosessualità, teorizzando la separazione fra uomini e donne, e, di fatto, stravolgeva i modelli familiari, allontanando i bimbi affidati in via temporanea dai genitori naturali attraverso un vero e proprio lavaggio del cervello;
    una «setta» in piena regola che negli anni ha continuato ad ottenere tribunale per i minorenni l'affidamento di minori con gravi problemi, nonostante Fiesoli e il suo «ideologo» Luigi Goffredi avessero già subito una sentenza definitiva per reati simili a quelli a cui sono stati condannati recentemente;
    già nel 1985, infatti, Fiesoli era stato condannato in via definitiva a due anni di carcere per atti di libidine violenta e corruzione di minorenne e maltrattamenti, ma ciononostante il tribunale per i minorenni ha proseguito con gli affidamenti di minori alla sua comunità;
    nel 1979, proprio al rientro di Fiesoli in comunità dopo aver trascorso cinque mesi in carcere nell'ambito della prima inchiesta condotta a suo carico per abusi e maltrattamenti, il giudice Gian Paolo Meucci ha disposto l'affidamento allo stesso Fiesoli di un bambino di tre anni affetto da sindrome di down;
    la teoria della «famiglia funzionale» prevedeva l'affidamento a genitori non sposati che non fossero neanche coppie di fatto: la famiglia si costituiva appositamente e artificiosamente per accogliere i minori;
    i controlli che i servizi sociali in tutti questi anni avrebbero dovuto, in base alle disposizioni vigenti, effettuare sulla e nella comunità non sono riusciti ad impedire il perpetrarsi degli abusi;
    già dalla fine degli anni ’70 alcuni genitori, i cui figli erano affidati al Forteto, avevano avuto dei sospetti sulla gestione della comunità e sui metodi adottati, ma tutte le segnalazioni sono passate senza essere verificate;
    nel frattempo Fiesoli e Goffredi partecipano a convegni, presentazioni di libri ed eventi, portati ad esempio nelle più importanti sedi istituzionali e il comune di Vicchio aveva anche nominato Fiesoli nel consiglio di amministrazione dell'istituzione culturale «Centro documentazione don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana», incarico ricoperto fino al suo arresto nel dicembre 2011;
    nel 2000 l'Italia è stata condannata al pagamento di duecento milioni di lire dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, in seguito all'accoglimento di un ricorso sull'affidamento di due fratelli al Forteto;
    nella sentenza si rilevavano proprio le gravi anomalie negli affidamenti e i mancati controlli dei servizi sociali ma anche dopo di essa gli affidamenti sono proseguiti;
    nei decenni della sua attività la regione Toscana, così come numerose altre istituzioni locali e nazionali, hanno continuato ad elargire fondi e riconoscimenti al Forteto, elogiandone i metodi educativi e frequentando e visitando spesso la comunità;
    Fiesoli era stato nuovamente arrestato nel 2011 dopo le accuse di alcune vittime, che questa volta comprendevano anche denunce per lo sfruttamento del lavoro minorile nella cooperativa agricola in cui erano impiegati;
    inoltre, nell'ambito del recente processo di primo grado innanzi al tribunale di Firenze, molti testimoni che erano o erano stati soci della cooperativa «il Forteto» hanno denunciato gravi anomalie nella gestione dei contributi sociali e previdenziali, nella gestione dei giorni di riposo e delle ferie e nella gestione dei casi di disoccupazione;
    invero, durante una prima verifica ministeriale svolta il 10 agosto 2013 gli ispettori Lorenzo Agostini e Fabio Fibbi avevano già sottoscritto un verbale nel quale denunciavano simili contraddizioni e irregolarità, chiedendo il commissariamento della cooperativa;
    l'attuale sindaco di Firenze e della città metropolitana Dario Nardella, in una recente intervista a Lady radio, si è espresso favorevolmente al commissariamento della comunità, dichiarando: «farò la mia parte affinché il Governo e il Ministro Poletti in particolare si possano attivare, prevedendo tutte le misure coercitive possibili, soprattutto quelle tese a non far ripetere quanto è successo. Non sono mai stato contrario ad attivare un canale con il Governo»;
    tutt'oggi al Forteto vivono molti dei condannati, il management non si è sufficientemente rinnovato e molti uomini vicini a Fiesoli hanno ancora incarichi di potere all'interno della cooperativa;
    lo stesso Fiesoli, non sussistendo più le misure cautelari, potrebbe tornare in qualsiasi momento al Forteto, continuando ad arrecare danno alla comunità e mettendo in pericolo tutti i ragazzi ad essa ancora affidati;
    gli intrecci tra la cooperativa, l'ambiente politico e i magistrati ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non sono ancora stati chiariti;
    in una puntata della trasmissione televisiva Porta a porta del 2002, allestita prendendo spunto dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, Bruno Vespa ebbe modo di affermare che non aveva «mai subito tante pressioni per non occuparci di questa vicenda del Forteto. Pressioni quotidiane, che sono avvenute con una sistematicità che francamente ci ha sconcertati»;
    in una recente intervista il magistrato Piero Tony, presidente del tribunale per i minorenni di Firenze dal 1999 al 2006, con riferimento al caso dell'affidamento a Fiesoli del bambino down nel 1979, quando era appena uscito dal carcere, disposto dall'allora presidente del tribunale per i minorenni Giampaolo Meucci, ha affermato che «probabilmente fu possibile per l'imperare di quella cultura cattolica di sinistra, allora molto forte proprio a Firenze. Ma è anche altrettanto vero che Meucci e con lui buona parte dell'opinione pubblica non credette mai che la verità processuale uscita da quella vicenda corrispondesse alla verità reale»;
    è evidente che con riferimento al caso del Forteto ha completamente fallito la filiera dei controlli, sia quelli sulla struttura, che avrebbero dovuto essere svolti dai servizi sociali, sia quelli sugli stessi affidamenti, dei quali erano incaricati i singoli giudici tutelari;
    durante la requisitoria finale del processo appena concluso il pubblico ministero ha affermato che «per un lungo periodo al Forteto le leggi dello Stato hanno subito una sospensione per colpa di un'azione criminale»,

impegna il Governo:

   ad assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza finalizzata al commissariamento della cooperativa «il Forteto», all'interno della quale ancora risiedono molti dei soggetti condannati nel citato procedimento giudiziario;
   a promuovere un'ispezione presso la cooperativa «il Forteto» al fine di verificare eventuali irregolarità nei versamenti dei contributi sociali e previdenziali, nella gestione dei giorni di riposo e delle ferie, nella gestione dei casi di disoccupazione e quantificarne l'ammontare ed eventualmente ad assumere le conseguenti iniziative di competenza;
   ad assumere iniziative volte a salvaguardare i livelli occupazionali della cooperativa «il Forteto», realtà con quasi centocinquanta soci e un centinaio di dipendenti, che nel 2014 ha fatturato oltre diciotto milioni di euro.
(1-00938)
«Rampelli, Giorgia Meloni, Totaro, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela».
(6 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il 19 giugno 2015 il tribunale di Firenze ha inflitto pesanti pene a carico dei vertici, ispiratori e fondatori de «il Forteto», cooperativa agricola all'interno della quale – e alla quale – sono stati affidati, nel corso degli ultimi trenta anni, numerosi minorenni in difficoltà;
    sito in località Mugello, «il Forteto» è sempre stato considerato da Legacoop, dalle istituzioni e dalla sinistra toscana una best practice dal punto di vista non solo produttivo ma anche educativo, al punto da essere associato alla scuola di Don Milani. Si è invece scoperto essere un luogo non di accoglienza ma di sevizie e violenze, fisiche e psicologiche. Una vera e propria setta, articolata formalmente in un'associazione, una fondazione e, appunto, una cooperativa agricola;
    in particolare, il tribunale ha comminato al fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, che si faceva chiamare «il profeta», una pena di 17 anni e mezzo per violenza sessuale e maltrattamenti ai danni di numerosi ragazzi affidati alla comunità, molti dei quali hanno rivissuto i drammi subiti testimoniando davanti alla corte le sevizie. Il suo braccio destro, l’«ideologo» del gruppo, Luigi Goffredi, dovrà scontare 8 anni. Con loro sono state condannate altre 14 persone, con pene che variano da 1 a 8 anni, sulle 23 che erano state mandate a processo. Appare dunque chiaro come sia l'intero «sistema Forteto» ad essere stato sanzionato dai giudici;
    Rodolfo Fiesoli, per il quale il pubblico ministero Ornella Galeotti aveva chiesto una condanna a 21 anni, rimane a piede libero. Il tribunale ha inoltre stabilito provvisionali per 1.260.000 euro immediatamente esecutive a favore delle vittime. In alcuni risarcimenti è obbligata in solido anche la cooperativa agricola;
    la comunità de «il Forteto» si costituisce negli anni Settanta e quasi subito decide di «ritornare alla terra», costituendo una cooperativa agricola all'interno della quale vivere e lavorare. All'interno della comunità la vita è organizzata secondo alcune teorie «parapsicologiche», tra cui quella della «famiglia funzionale» che doveva sostituire la famiglia naturale. Inoltre, uomini e donne – anche se ufficialmente sposati – dovevano vivere separatamente, vi erano momenti serali di «confronto» in cui spesso le persone venivano spinte a «confessare» in pubblico i propri eventuali desideri sessuali e le «provocazioni» messe in atto di conseguenza. Testimoni hanno raccontato di come bambini che sono andati in braccio ad adulti siano stati accusati di essere provocatori. «In quella comunità – ha detto il pubblico ministero Galeotti nella requisitoria – si verificò per anni una sospensione delle leggi dello Stato, attraverso un programma criminale in cui il Fiesoli “rapinava il sesso” ai ragazzini, con la complicità degli altri imputati»;
    Rodolfo Fiesoli detto il «profeta», insieme al cofondatore Luigi Goffredi, si avvalevano di falsi titoli di studio come quello in psicologia, nel 1985 furono processati e condannati ad una pena di reclusione per maltrattamenti aggravati ed atti di libidine nei confronti degli ospiti della comunità;
    nonostante questi gravissimi capi di imputazione nel 1997 Fiesoli risultava ancora a capo della comunità e, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo fatto ancora più grave, il tribunale avrebbe continuato ad affidare minori alla struttura, di cui se ne contano almeno 60 fino al 2009;
    nel 1975 inizia l'esperienza della «Comune del Forteto», progetto basato su una proposta di comunità agricola produttiva caratterizzata da una totale promiscuità sessuale fra i suoi partecipanti. A rivestire il ruolo di leader è Rodolfo Fiesoli, coadiuvato da Luigi Goffredi, entrambi coinvolti, sin dalla fine degli anni Settanta, in un'inchiesta penale per supposti atti di zoofilia e pedofilia commessi all'interno della cooperativa;
    il 30 novembre 1978 Rodolfo Fiesoli viene arrestato su richiesta del giudice Carlo Casini che aveva aperto un procedimento per abusi sessuali ne «il Forteto»;
    il 1o giugno 1979 Fiesoli lascia il carcere per tornare alla comune «il Forteto» dove, lo stesso giorno, affidato dal tribunale dei minori, giunge il primo bambino down e il presidente del tribunale, Giampaolo Meucci, grande amico di don Milani, afferma di non credere nell'indagine del giudice Casini e di ritenere «il Forteto» una comunità accogliente e idonea;
    nel 1982 la cooperativa acquista una proprietà di circa cinquecento ettari nel comune di Dicomano (Firenze) e vi si trasferisce. L'azienda continuerà a prosperare per diventare oggi un'azienda con un fatturato da 18-20 milioni di euro all'anno, con circa 130 occupati;
    nel 1985 viene emessa la sentenza di condanna per Luigi Goffredi e Rodolfo Fiesoli. Fiesoli viene condannato a due anni di reclusione per maltrattamenti nei confronti di una ragazza a lui affidata, atti di libidine violenta e corruzione di minorenne;
    dalla sentenza emerge «istigazione da parte dei responsabili del Forteto alla rottura dei rapporti tra i bambini che erano loro affidati e i genitori biologici»;
    nel 1998 la Corte europea dei diritti dell'uomo riceve la richiesta di ricorso contro l'Italia e, in particolare, contro l'operato del tribunale dei minori di Firenze, da parte di due madri con doppia cittadinanza, italiana e belga, cui il tribunale per i minorenni di Firenze aveva imposto di interrompere ogni relazione con i rispettivi figli, collocati presso la comunità «il Forteto». Le donne, inoltre, denunciarono trattamenti violenti e inumani nei confronti dei minori, con una scolarizzazione pressoché inesistente;
    il 13 luglio 2000 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia, per l'affidamento alla comunità dei due bambini, a pagare una multa di 200 milioni di lire come risarcimento dei danni morali;
    nonostante i precedenti giudiziari e la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo, la regione Toscana, così come numerose altre istituzioni locali e nazionali, hanno continuato ad elargire fondi e riconoscimenti a «il Forteto», elogiandone, tra l'altro, i metodi educativi e frequentando e visitando spesso la comunità;
    nel mese di aprile 2013, su richiesta del consiglio regionale toscano, il Ministero dello sviluppo economico ha inviato suoi ispettori a «il Forteto». Nella loro relazione, in cui si chiedeva il commissariamento della cooperativa, si rilevava la «tendenza a confondere le regole ed i principi della “comunità” con il rapporto lavorativo e societario», il che pare avere «condotto gli stessi soci a ritenere “normali” atteggiamenti particolarmente “interferenti” dell'organo amministrativo», tra questi il fatto che molti dei soci avessero inconsapevolmente sottoscritto strumenti finanziari;
    nel mese di dicembre 2013 il Ministero dello sviluppo economico sospendeva la procedura di commissariamento chiedendo un supplemento di indagini che, comunque, portava gli ispettori a concludere che «la situazione non appare al momento sostanzialmente mutata». Ciononostante, a luglio 2014, il Governo decideva di non procedere con il commissariamento. Oggi, all'indomani della sentenza di condanna di Fiesoli ed altri, non solo il centrodestra toscano continua a invocare il commissariamento ma anche il sindaco di Firenze, Dario Nardella, si è espresso nello stesso senso, innovando la posizione del Partito Democratico toscano sulla vicenda;
    se la vicenda de «il Forteto» ha trovato una sua definizione nelle aule di tribunale, deve ancora scrivere la sua pagina nera circa le responsabilità politiche e istituzionali di enti locali, giudici, servizi sociali, mondo cooperativo, certi intellettuali e ovviamente di tutti quei politici che nel corso degli anni hanno ignorato o sottovalutato le denunce. Il processo stesso, secondo quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, ha rischiato più volte di arenarsi, tra fascicoli spariti e poi miracolosamente rinvenuti e testimonianze prima rese e poi inspiegabilmente ritrattate;
    alla luce delle vicende sopra riportate, appare quanto mai necessario l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulle attività di affidamento di minori a comunità e istituti, su cui si auspica la più ampia convergenza delle forze politiche, che si faccia carico di raccogliere e tesorizzare le vicende accadute presso la struttura di accoglienza «il Forteto» di Firenze, affinché, anche alla luce di quanto riportato dalla commissione regionale d'inchiesta istituita sui medesimi fatti, si possano colmare le lacune e le smagliature legislative a livello nazionale e si possa avviare un'indagine su tutto il territorio nazionale circa la bontà delle attività delle altre strutture, comunità e istituti d'accoglienza dei minori,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni opportuna iniziativa di propria competenza volta ad accertare e definire le responsabilità e le manchevolezze politiche ed istituzionali che negli anni hanno portato alla prosecuzione degli affidi di minori, nonostante gli arresti e le condanne inflitte ai due fondatori negli anni Ottanta per reati analoghi (maltrattamenti e atti di libidine con i minori ospiti) e nonostante la sanzione inflitta all'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per quanto avveniva nella comunità, anche in raccordo con tutte le iniziative intraprese in tal senso e richiamate in premessa;
   a verificare con urgenza la sussistenza dei presupposti per la nomina di un commissario che gestisca la cooperativa agricola in modo tale da dissociarla completamente dalla precedente gestione e dall'associazione e dalla fondazione «il Forteto», di cui sono tuttora parte tutti i condannati e in generale il gruppo dei fondatori, al fine anche di pervenire al più presto al pagamento delle provvisionali a favore delle vittime.
(1-00940)
«Bergamini, Cozzolino, Brunetta, Carfagna, Brambilla, Prestigiacomo, Picchi, Palese, Bonafede, Gagnarli, Nuti, Toninelli, Cecconi, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Ferraresi, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Sarti».
(7 luglio 2015)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, MARZANA, BRESCIA, D'UVA, DI BENEDETTO e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, riunitosi in data 11 giugno 2015, alle ore 18.35 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza di Matteo Renzi e su proposta del Ministro interrogato, ha conferito a Rosa De Pasquale l'incarico di capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione del Ministero;
   tale dipartimento svolge molteplici funzioni in ambito scolastico e, in particolare, anche nell'area di stato giuridico del personale della scuola; formazione dei dirigenti, del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola. Inoltre, possiede a supporto tre uffici dirigenziali non generali e 30 posizioni dirigenziali non generali di funzione tecnico-ispettiva;
   in riferimento al nuovo capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, si ritiene necessario, però, fare un passo indietro, poiché la Corte dei conti, in data 30 dicembre 2014, aveva già annullato la carica triennale di capo dell'ufficio scolastico regionale della Toscana conferita alla stessa a partire dal 4 settembre 2014;
   nello specifico, dall'esame del curriculum della dottoressa De Pasquale, ex-deputata del Partito democratico, che ha fallito la rielezione parlamentare nel 2013, non emergevano i requisiti di «particolare e comprovata» qualificazione professionale richiesti dal comma 6 dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, «soprattutto se posti a raffronto con le esperienze maturate dall'interessata rispetto ai compiti connessi all'incarico ad essa affidato». Inoltre, non sembrava sussistere un'indispensabile esperienza «acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali» richiesta dal medesimo comma; non è stata, infine, rilevata nella dottoressa De Pasquale «evidenza di quell'elemento di aggiuntività», necessario «quale presupposto per l'attribuzione dell'incarico dirigenziale a soggetto esterno ai relativi ruoli». Eventualità, questa, che la legge (articolo 40, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2009) consente «solo nell'ipotesi in cui tale qualificazione non sia rinvenibile nell'ambito del personale dirigenziale dell'amministrazione», per ovvie e condivisibili «ragioni di contenimento della spesa pubblica»;
    in base all'articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 febbraio 2014, n. 98, gli uffici scolastici regionali risultano dipendere funzionalmente dai capi dipartimento in relazione alle specifiche materie da trattare. Essi possono, per di più, ai sensi dell'articolo 19, comma 7, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, proporre al Ministro «l'adozione dei provvedimenti di revoca degli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale»;
   la dottoressa De Pasquale riveste, oggi, un importante ruolo di direzione, nonostante la Corte dei conti non abbia rinvenuto nel suo curriculum i requisiti indispensabili per assumere un incarico gerarchicamente inferiore a quello che ora le è stato affidato;
   in un momento in cui il concetto di «merito», che campeggia in uno degli otto capi del disegno di legge cosiddetto «La buona scuola» (recante riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), viene esibito dal Governo Renzi come parafulmine per ogni critica, il Governo decide di compiere, ad avviso degli interroganti, un'azione analoga a quella della vecchia politica, la stessa che negli slogan elettorali aveva dichiarato di voler «rottamare», nominando ai vertici dirigenziali del Ministero una persona «bocciata» per ben due volte: dalla Corte dei Conti e dai cittadini alle elezioni –:
   se non ritenga opportuno sollevare la dottoressa De Pasquale dall'incarico affidatole, giacché reputata in passato non idonea a ricoprire una carica addirittura gerarchicamente inferiore a quella rivestita attualmente e se non intenda attendere che la Corte dei conti si pronunci nuovamente in merito. (3-01595)
(7 luglio 2015)

   GIGLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   una delle riforme qualificanti del Governo è rappresentata dalla legge di riforma di province e città metropolitane, cosiddetta legge Delrio (legge n. 56 del 2014), che prevede una serie di provvedimenti attuativi in capo a Stato e regioni;
   a complicare il cronoprogramma di questi adempimenti è stata la legge di stabilità per il 2015 che ha introdotto nuove scadenze e regole per il comparto;
   la sezione autonomie della Corte dei conti, nel referto «Il riordino delle province – Aspetti ordinamentali e riflessi finanziari» inviato al Parlamento, ha analizzato con precisione il processo di riorganizzazione a un anno dall'entrata in vigore della legge di riforma, facendo una prima valutazione degli effetti delle norme sugli andamenti finanziari delle province, sugli equilibri e sul rispetto del patto di stabilità;
   la Corte dei conti ha rilevato, in particolare, che tali ritardi e difficoltà nella fase attuativa, riguardano il riordino delle funzioni delegate o trasferite alle province e sono solo quattro le leggi regionali (Liguria, Toscana, Umbria e Marche) emanate al riguardo;
   si ricorda che il passaggio delle funzioni non fondamentali alle regioni doveva avvenire entro l'8 ottobre 2014 e che il personale da assegnare alle funzioni riorganizzate e quello da mettere in mobilità doveva avvenire entro il 31 marzo 2015;
   inoltre, dal punto della gestione finanziaria degli enti territoriali, ad esercizio finanziario 2015 inoltrato, l'onere della spesa del personale soprannumerario e delle funzioni non fondamentali che doveva essere trasferito su altri enti resta ancora a carico delle province. Ne consegue che una parte della spesa, soprattutto quella per il personale, grava su una gestione che non avrebbe invece dovuto considerarla nel proprio programma finanziario –:
   quali iniziative urgenti di competenza, di concerto con gli altri attori interessati, intenda adottare, da una parte, per dare sicurezza e garanzia ai circa ventimila dipendenti delle province e a quanti di questi siano stati già trasferiti e, dall'altra, per tamponare una situazione che rischia di compromettere i precari equilibri finanziari degli enti locali. (3-01596)
(7 luglio 2015)

   CALABRÒ, DE MITA e DE GIROLAMO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio della regione Campania sono stoccate – in circa 22 siti – circa 4.000.000 di ecoballe, che rappresentano un'emergenza ambientale per la regione;
   la gestione dei siti di stoccaggio costa ai cittadini campani circa 15.000.000 euro annui per le attività di gestione, sorveglianza, monitoraggio, prelievo e smaltimento del percolato, nonché per canoni di affitto (11 siti di stoccaggio risultano di proprietà privata);
   per tali ecoballe si sono prospettate, nel tempo, diverse soluzioni per lo smaltimento definitivo, senza che, ad oggi, si sia mai trovata una soluzione definitiva;
   la Commissione europea ha deferito la Repubblica italiana innanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea (causa C-653/13), in quanto l'Italia non avrebbe adottato le misure necessarie per conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia nella causa C-297/08, nella quale è stato dichiarato che «la Repubblica italiana, non avendo adottato, per la regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 4 e 5 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti»; conseguentemente «la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'articolo 260, paragrafo 1, TFUE»;
   la sentenza della Corte di giustizia, che sarà depositata il 16 luglio 2015, verosimilmente condannerà l'Italia a pesanti sanzioni pecuniarie per l'inadempimento della regione Campania nella definizione e attuazione del piano regionale di gestione dei rifiuti e, probabilmente, anche per la vicenda delle ecoballe –:
   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intenda assumere al fine di garantire lo smaltimento delle ecoballe, anche in considerazione dell'ipotesi che la Corte di giustizia potrebbe condannare l'Italia ad una sanzione pecuniaria di circa 90.000.000 di euro all'anno.
(3-01597)
(7 luglio 2015)

   SOTTANELLI e ANTIMO CESARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 564 del 1996 dispone in merito alla contribuzione figurativa e alla copertura assicurativa per periodi non coperti da contribuzione relativamente alla pensione dei sindacalisti, che, in base alla norma, sarebbe costituita soltanto dall'ultimo mese di stipendio percepito. In questo modo per un sindacalista è sufficiente lavorare pochi mesi, o anche uno soltanto, per avere accesso ad una pensione calcolata come se quello stipendio fosse stato percepito per tutta la vita lavorativa;
   la norma in questione, che ha alimentato diverse polemiche, concede a dirigenti e dipendenti sindacali la possibilità di ottenere una pensione integrativa di decine di migliaia di euro all'anno, attraverso il semplice pagamento di un mese di contributi. È evidente come l'intera pensione del sindacalista pesa sulle spalle dell'Inps, e quindi dei cittadini;
   critiche sono state mosse anche da Tiziano Treu, ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali, che ha dichiarato che la norma del 1996 si è rivelata «troppo costosa e ingiustificata» e che «a pensarci bene, siccome si sono verificati degli abusi, si poteva pensare a dei limiti», annunciando l'intenzione di effettuare delle ispezioni, ma solo «là dove ci siano delle segnalazioni ragionevoli» –:
   quale sia il numero dei sindacalisti e la durata del tempo in cui hanno usufruito dell'agevolazione loro concessa dalla legge n. 564 del 1996 e in che misura la norma abbia inciso sul bilancio a carico dell'Inps e quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, il Ministro interrogato intenda attuare per sanare l'ingiustizia creata dalla norma citata, che grava sul bilancio dello Stato, proprio in questo momento di grave crisi economica.
(3-01598)
(7 luglio 2015)

   SIMONETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SALTAMARTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende anche dalla stampa è stata avviata un'iniziativa – in tema di active ageing – al fine di analizzare e monitorare la platea degli esodati attraverso la compilazione di una scheda per la rilevazione delle persone prossime alla pensione e rimaste disoccupate a seguito di accordo collettivo o individuale per la risoluzione del rapporto di lavoro precedente al 1o gennaio 2012, o per accordi di mobilità siglati entro la stessa data;
   la «Rete dei comitati degli esodati», i diretti interessati e il Comitato della rete esodati ritengono poco proficuo che si debba procedere ad un sondaggio su base volontaria per raccogliere informazioni di cui il Ministero e/o l'Inps dovrebbero essere già in possesso;
   inoltre, la Rete ha lamentato la mancanza di un'estesa e diffusa campagna pubblicitaria di tale censimento, che possa garantire la partecipazione ed il coinvolgimento di tutti gli interessati, e che la formulazione del questionario impedisce di tener conto di tutti i casi coinvolti nella questione cosiddetta degli esodati;
   gli interroganti, condividendo le osservazioni dei comitati, temono che tale censimento possa portare a sostenere, come dichiarato nel novembre 2014 dal direttore generale dell'Inps, nell'ambito della sua audizione, che i sei provvedimenti di salvaguardia susseguitisi dal dicembre 2011 al settembre 2014 hanno interamente coperto la platea degli esodati;
   invero, gli interroganti sono ben consci dell'esistenza ancora di centinaia di persone da salvaguardare e di casistiche completamente escluse dai precedenti sei provvedimenti di salvaguardia, pur avendone pieno diritto in quanto rimasti privi di copertura reddituale da lavoro, da ammortizzatore e da pensione, a seguito dell'entrata in vigore della «riforma Fornero» (articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011), tant’è che sono tra i promotori in Parlamento di un'iniziativa legislativa relativa ad una settima – e si auspica definitiva – salvaguardia, che utilizza a copertura degli oneri le risorse già stanziate e non ancora utilizzate del «fondo esodati» (articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012) e segue ai fini della tutela degli aventi diritto il criterio del mese dopo mese in base al conseguimento dei requisiti per l'accesso alla pensione secondo le regole previgenti al decreto-legge n. 201 del 2011 –:
   di quali argomenti disponga il Governo al riguardo, quali siano i suoi orientamenti sulla materia e, in particolare, se intenda, per quanto di competenza, favorire un rapido iter della proposta della Lega Nord sulla cosiddetta settima salvaguardia. (3-01599)
(7 luglio 2015)

   RIZZETTO, BARBANTI, BALDASSARRE, ARTINI, PRODANI, SEGONI, TURCO, BECHIS e MUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i fondi interprofessionali, nati nel 2003, sono organismi associativi, gestiti dalle parti sociali (sindacati, associazioni di imprese) per finanziare piani formativi aziendali;
   le risorse utilizzate provengono dalle società iscritte al fondo, attraverso l'importo pari allo 0,30 per cento trattenuto dagli stipendi dei loro dipendenti e versato all'Inps mensilmente, che la legge n. 388 del 2000 destina obbligatoriamente alla formazione;
   le risorse recuperabili dalle società sono circa 50 euro annui per ogni dipendente (80 euro lordi sono il trattenuto medio, diventano circa 50 euro tenuto conto del 30 per cento trattenuto dai fondi per compensare la propria gestione) e, poiché i fondi sono 22 con, mediamente, 500.000 iscritti, si stima che il business sia di circa 800 milioni di euro l'anno, ma potrebbe essere di un importo di gran lunga superiore, tenuto conto delle risorse trattenute ma non dichiarate;
   le aziende possono usufruire di queste risorse solo iscrivendosi ad un fondo, attraverso una procedura gratuita, effettuabile dai consulenti del lavoro;
   ad oggi l'iscrizione ai fondi interprofessionali non implica l'obbligatorietà della firma del legale rappresentante, generando il fenomeno di iscrizioni «selvagge», che addirittura avvengono, talvolta, all'insaputa delle stesse aziende;
   sebbene al Ministero del lavoro e delle politiche sociali sia riconosciuta un'attività di vigilanza e monitoraggio nella gestione dei fondi, a parere dell'interrogante non vengono svolte delle idonee procedure di controllo. Ciò ha generato un sistema formativo dequalificato, totalmente autoreferenziale, in cui, come predetto, le aziende spesso si ritrovano iscritte ad un fondo senza esserne a conoscenza, non avendo neppure il diritto di accedere direttamente ai propri dati di cumulato presso l'Inps. Infatti, la procedura informatica, Fondi reports, che consentirebbe tale verifica, oggi è consultabile solo per il tramite dei fondi, mentre dovrebbe essere estesa anche alle aziende. Sul punto, l'Inps dichiara di aver già chiesto l'autorizzazione per l'estensione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel 2009, ma essa fu negata, ad avviso degli interroganti, immotivatamente per l'opposizione di quasi tutti i fondi;
   attualmente la legislazione in argomento prevede che le risorse economiche del fondo non utilizzate nel biennio dalle aziende per i progetti formativi dovrebbero essere messe a bando dal fondo di riferimento o restituite all'Inps entro un triennio;
   tuttavia, secondo una serie di circolari ministeriali di dubbia interpretazione, di fatto, la restituzione avviene da parte dei fondi in modo totalmente discrezionale, sia rispetto alle tempistiche che al quantum, che pare sia il 30 per cento del cumulato, per quelle che appaiono «prassi di cartello»;
   alcuni fondi restituiscono il denaro all'Inps addirittura dopo un quinquennio e non si può escludere che vi siano casi in cui il denaro inutilizzato non sia stato restituito e possa essere ancora interamente giacente presso i fondi, data l'assenza di idonei controlli;
   le criticità dei fondi sono state più volte evidenziate dalla stampa, in particolare da un articolo de Il Fatto quotidiano del 4 febbraio 2015 – intitolato «L'oscuro mondo dei fondi interprofessionali» – che in riferimento alle somme accumulate parla di una mole di denaro non rendicontato e non sottoposto ad alcun controllo, la cui gestione è il risultato «di accordi e complicità tra sindacati e associazioni imprenditoriali»;
   pertanto, si ritiene che nella gestione dei fondi sussistano evidenti meccanismi devianti, che devono essere urgentemente corretti con l'adozione di interventi normativi che prevedano la stipula di contratti ad enti ed imprese per regolare il rapporto con i fondi, nonché un adeguato sistema di controllo, che, tra l'altro, stabilisca la possibilità per tutti gli attori coinvolti di accedere ai dati, aziende comprese;
   il sistema di gestione e funzionamento di tali fondi sembra agli interroganti dunque essere governato da logiche che potrebbero far venire meno l'interesse ad impiegare il denaro raccolto in attività formative a vantaggio di una raccolta di iscrizioni dalle aziende che procurino risorse alle casse dei fondi;
   per le considerevoli criticità predette sui fondi interprofessionali non sono accettabili le dichiarazioni di Confindustria emerse da un articolo de Il Sole 24 ore, del 2 luglio 2015, con le quali reclama addirittura maggiore autonomia dei fondi e respinge l'adozione di vincoli di carattere pubblicistico –:
   se e quali iniziative urgenti intenda adottare per stabilire i criteri per una gestione trasparente e controllata delle risorse finanziarie pubbliche dei fondi, garantendo un corretto utilizzo delle stesse. (3-01600)
(7 luglio 2015)

   VALERIA VALENTE, GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DELL'ARINGA, DI SALVO, GIACOBBE, GRIBAUDO. INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI, ZAPPULLA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-05056 svolta il 18 marzo 2015, seduta n. 394, è stata segnalata l'esigenza di assicurare continuità occupazionale e riconoscimento professionale ai collaboratori a progetto e a tempo determinato di Italia lavoro s.p.a., nel quadro della realizzazione e del conseguimento dei risultati previsti dai programmi e progetti di competenza di Italia lavoro s.p.a., quale azienda totalmente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, ente strumentale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la promozione e la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell'occupazione e dell'inclusione sociale;
   in particolare, si è sollecitata la possibilità di conseguire continuità occupazionale e riconoscimento professionale anche attraverso la predisposizione di appositi percorsi di stabilizzazione dei suddetti lavoratori;
   il Ministero, a mezzo del rappresentante incaricato della risposta all'interrogazione, rese noto che erano state già stanziate risorse comunitarie provenienti dai vari programmi in corso, in favore di Italia lavoro s.p.a., per importi che avrebbero consentito il sostanziale mantenimento del bacino di risorse umane impegnate nei vari progetti dell'azienda, precisando, nell'occasione, l'intervenuta approvazione e il finanziamento di progetti ulteriori per un importo complessivo pari a euro 61.904.026,40 (finanziati nell'ambito della programmazione del fondo sociale europeo 2014-2020 – programma operativo nazionale sistemi di politiche attive (pon spao), la cui realizzazione avrebbe coinvolto numerose figure professionali) ed evidenziando, altresì, che, nel quadro della programmazione del fondo sociale europeo 2014-2020, risultavano già approvati e finanziati ulteriori progetti per un importo complessivo pari a euro 40.923.374,08;
   nelle medesima occasione risulta essere stata prospettata la stipula di un apposito accordo aziendale riguardante il personale impiegato mediante collaborazioni coordinate e continuative, in relazione alle imminenti modifiche legislative che avrebbero comportato il superamento delle collaborazioni a progetto;
   con il «Jobs act» – nel quadro delle disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive a norma dell'articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 – è prevista l'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'occupazione-Anpa, partecipata da Stato, regioni e province autonome e vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con il conferimento alla medesima delle competenze gestionali in materia di servizi per l'impiego, politiche attive ed aspi e l'imminente commissariamento della società Italia lavoro s.p.a., rispetto al quale non sembrano emergere chiare disposizioni sul futuro di dipendenti e precari della suddetta società;
   nel contempo, pur essendosi svolte apposite procedure per le vacancies di Italia lavoro s.p.a., le stesse non hanno conseguito alcun esito, in termini di stabilizzazione dei soggetti precari favorevolmente selezionati, anche in ragione dell'intervenuta emanazione del decreto legislativo n. 81 del 2015 e la conseguente abolizione della disciplina normativa delle collaborazioni a progetto, imponendosi, allo stato, l'attivazione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa (eventualità, questa, peraltro, già prospettata dalla stessa azienda nell'effettuazione della procedura selettiva delle vacancies);
   i 450 esperti in politiche attive e servizi all'impiego che hanno favorevolmente superato le anzidette selezioni pubbliche promosse da Italia lavoro s.p.a., pertanto, ad oltre un mese dalla pubblicazione delle graduatorie definitive dei vincitori, avvenuta sin dal 9 giugno 2015, non risultano contrattualizzati;
   in Campania, in particolare, in un contesto di specifico disagio economico-sociale a tutti noto, i vincitori delle vacancies di Italia lavoro s.p.a. risultano da mesi senza lavoro e, in molti casi, del tutto privi di alcun sostegno reddituale a causa dei ritardi nell'erogazione dell'indennità di disoccupazione per i collaboratori con rapporto di collaborazione coordinata (dis-coll);
   come noto, per poter derogare alla richiamata disciplina di cui al decreto legislativo n. 81 del 2015 in materia di collaborazione coordinata e continuativa, è necessario un preliminare accordo sindacale che motivi le esigenze di settore e organizzative che rendono necessario, per l'azienda, l'utilizzo della tipologia contrattuale in questione –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di dar seguito agli impegni assunti in occasione dell'interrogazione citata in premessa e, più specificamente, perché si addivenga alla sollecita definizione dell'accordo sindacale occorrente alla stipula dei contratti con i 450 precari vincitori delle predette procedure selettive vacancies di Italia lavoro s.p.a. (3-01601)
(7 luglio 2015)

   MARCON, AIRAUDO e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche», cosiddetto salva Roma, ha disposto un piano di riequilibrio volto ad affrontare l'allarmante situazione connessa al livello del debito capitolino;
   all'articolo 16 («Disposizioni concernenti Roma Capitale»), comma 2, è infatti previsto un piano triennale di riequilibrio strutturale del bilancio, al cui interno sono contenute misure per il contenimento dei costi, molte delle quali dedicate alle società partecipate;
   in particolare, nell'ambito delle società partecipate, si prevede, alla lettera e) del sopra citato comma 2 dell'articolo 16 del decreto-legge n. 16 del 2014: «procedere, ove necessario per perseguire il riequilibrio finanziario del comune, alla fusione delle società partecipate che svolgono funzioni omogenee, alla dismissione o alla messa in liquidazione delle società partecipate che non risultino avere come fine sociale attività di servizio pubblico, nonché alla valorizzazione e dismissione di quote del patrimonio immobiliare del comune»;
   nel suddetto piano di riequilibrio, adottato con una deliberazione della giunta capitolina del 3 luglio 2014 (su cui il Ministero dell'economia e delle finanze ha dato parere favorevole l'8 agosto 2014), si prevede una riduzione della spesa corrente di circa 440 milioni di euro nel triennio;
   nel capitolo del piano di riequilibrio dedicato alle società partecipate, alcune misure sono dedicate alla società Roma multiservizi spa, dedicata, come leggibile sul portale web della società, a garantire standard di igiene, sicurezza e agibilità comunque ritenuti di interesse pubblico, operando, in particolare, presso le scuole comunali e statali, asili nido, aree verdi, monumentali e archeologiche, spiagge ed edifici e spazi ad uso pubblico;
   la Roma multiservizi spa è una società partecipata al 51 per cento da Ama spa, società del comune di Roma che opera per la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, per l'espletamento dei servizi cimiteriali e mantenimento del decoro urbano, e al 49 per cento da Manutencoop spa;
   nel sopra citato piano di riequilibrio strutturale, si prevedeva per la Roma multiservizi spa la «dismissione totale, coerentemente con le modalità di legge e l'attenzione rivolta alla salvaguardia dei livelli occupazionali»;
   in data 24 giugno 2014 è stata approvata dall'assemblea capitolina una mozione sottoscritta da alcuni consiglieri del Partito democratico e di Sinistra, ecologia e libertà, che impegnava il sindaco e la giunta a predisporre un percorso di valorizzazione nella cessione delle quote di Ama spa in Roma multiservizi spa mediante la cessione con gara della partecipazione, prorogando, altresì, il contratto per la gestione delle attività presso le scuole comunali, anche al fine di salvaguardare i livelli occupazionali; la mozione richiedeva, inoltre, la revoca della richiesta preliminare di fornitura alla convenzione Consip, che aveva affidato i servizi di assistenza, pulizia e manutenzione delle scuole al consorzio Cnns, aggiudicatario del lotto Consip per le scuole del Lazio;
   la Consip, società per azioni del Ministero dell'economia e delle finanze, è la centrale acquisti della pubblica amministrazione al cui servizio opera secondo criteri di contenimento della spesa definiti dal Governo;
   a seguito dell'approvazione della mozione da parte dell'assemblea capitolina, la giunta e il sindaco di Roma hanno revocato la convenzione Consip, non essendo il consorzio affidatario in grado di garantire la tutela dei livelli occupazionali, come reso evidente dal rifiuto delle organizzazioni sindacali dell'accordo in peius circa le condizioni lavorative del personale;
   la mozione ha impegnato anche la giunta capitolina a prorogare, in base ai tempi indicati dal decreto-legge «salva Roma», il contratto relativo ai servizi presso le scuole comunali;
   la Roma multiservizi spa conta una dotazione organica di circa 3.800 unità;
   nel corso degli ultimi mesi sono stati numerosi i casi di procedure di mobilità o licenziamento attivate dalla società Roma multiservizi spa, tra cui i 48 addetti del servizio del verde, senza lavoro da più di un anno;
   il contratto di appalto concernente il global service scolastico, ossia i servizi di pulizia e manutenzione del verde delle scuole d'infanzia e degli asili nido, nonché di trasporto e accompagnamento, scaduto e prorogato nel corso degli ultimi anni e che riguarda circa 2.600 lavoratori, è stato al centro negli ultimi mesi di accese proteste da parte dei lavoratori stessi;
   in data 5 giugno 2015 è stato pubblicato il bando di gara per l'affidamento del sopra citato servizio, che scorpora lo stesso in cinque lotti, senza garanzie, di fatto, per la salvaguardia dei livelli occupazionali e delle condizioni contrattuali, non essendo stato integrato con la clausola sociale, come richiesto da lavoratori e organizzazioni sindacali –:
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato ha intenzione di intraprendere al fine di garantire la tutela dei livelli occupazionali e delle condizioni contrattuali dei lavoratori della società Roma multiservizi spa, impegnandosi attivamente per una soluzione positiva in grado di coniugare le esigenze di risanamento del bilancio capitolino e la salvaguardia del posto di lavoro di 3.800 lavoratori.
(3-01602)
(7 luglio 2015)

   PRESTIGIACOMO, PALESE, CATANOSO, RICCARDO GALLO, GIAMMANCO e FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 aprile 2015, sull'autostrada A19 Catania-Palermo, all'altezza del viadotto Himera, al chilometro 61, tra gli svincoli di Scillato e Tremonzelli, in direzione del capoluogo etneo, hanno ceduto due piloni a causa di un movimento franoso che ha interessato la strada provinciale n. 24 Scillato-Caltavuturo;
   a quasi tre mesi dal verificarsi del fenomeno di dissesto, il viadotto Himera risulta ancora chiuso ed impraticabile e l'autostrada A19, unica infrastruttura di collegamento tra la parte occidentale e quella orientale della Sicilia, è completamente bloccata;
   il 3 luglio 2015 è stato pubblicato, sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il piano degli interventi, predisposto dal commissario delegato Marco Guardabassi, di attuazione delle misure per il superamento dell'emergenza in seguito al movimento franoso che ha interessato il viadotto Himera 1 dell'autostrada A19 Palermo-Catania verificatosi ad aprile 2015;
   tale piano prevede la demolizione/decostruzione della carreggiata in direzione Catania, l'intervento di adeguamento della strada provinciale n. 24 alle condizioni necessarie per la circolazione del traffico veicolare autostradale e l'intervento di realizzazione della rampa di innesto in autostrada;
   la stima dei costi di attuazione ammonta a più di nove milioni di euro e i tempi sono stati stimati «in via precauzionale» al «massimo dei tempi amministrativi e operativi nell'ambito comunque di procedure emergenziali, che consentano di evitare al massimo i disagi della brutta stagione per restituire quanto prima l'arteria al trasporto di merci e persone»;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha tentato di chiarire, con una nota, che si potrebbe arrivare «alla durata di un mese anziché i due mesi previsti, con conseguente gara e affidamento dei lavori auspicabilmente all'inizio del mese di agosto»;
   il 14 aprile 2015 il Ministro interrogato tranquillizzava la popolazione locale e gli autotrasportatori, recandosi di persona a fare un sopralluogo e dichiarando: «Abbiamo studiato efficacemente una soluzione che dovrebbe consentire nell'arco di tre mesi da oggi di ripristinare il traffico con un piccolo bypass. I tecnici sono molto tranquilli sui tempi di realizzazione, penso che daremo una risposta molto rapida perché parliamo di un tratto di strada di un chilometro e mezzo»;
   nella realtà la deviazione è di più di 20 chilometri e passa attraverso strade tortuose di montagna, tanto da creare seri problemi agli spostamenti nell'isola;
   al progetto di ripristinare un volo aereo sulla tratta Palermo-Catania non è stato dato seguito, né si è parlato di migliorare l'infrastruttura ferroviaria;
   i Governi, nazionale e regionale, hanno deciso di cassare il progetto del ponte di Messina, ma nel contempo non hanno investito in quelle infrastrutture di trasporto e mobilità di cui la Sicilia ha assoluta necessità;
   la regione Sicilia è in balia di un degrado strutturale, al quale né il Governo nazionale, né quello regionale pare sappiano porre un limite –:
   quali iniziative, a parte quelli che gli interroganti giudicano i consueti proclami, il Governo abbia concretamente posto in essere al fine di intervenire sullo stato drammatico della viabilità in Sicilia e quali siano i tempi reali per un ripristino effettivo e dignitoso del collegamento fra la parte orientale e quella occidentale dell'isola. (3-01603)
(7 luglio 2015)