TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 456 di Martedì 7 luglio 2015

 
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INTERROGAZIONI

A)

   TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la recente decisione della Banca nazionale svizzera di rimuovere il tetto minimo per il cambio fra euro e franco svizzero introdotto oltre 3 anni fa, il 6 settembre 2011, ha prodotto pesanti ripercussioni sulle retribuzioni dei dipendenti del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale in servizio nella Confederazione elvetica;
   tutto il personale di ruolo e quello a contratto assunto dopo il 2003 è pagato in euro: il crollo improvviso del cambio a seguito della decisione della Banca centrale ha provocato una drastica diminuzione del potere d'acquisto che nei primi giorni aveva toccato addirittura il 30 per cento, per assestarsi poi intorno al 20 per cento dopo gli ultimi «rimbalzi» dell'euro;
   analoghe situazioni di precarietà e insicurezza si sono venute a creare anche in altre aree geografiche, in particolare nell'area dollaro, a causa del progressivo indebolimento dell'euro rispetto ad altre monete «forti»;
   l'articolo 2, comma 71, della legge di stabilità per il 2015 stabilisce che, a far data dal 1o luglio 2015, il Ministero procederà ad una revisione globale dei coefficienti di sede sulla base di rilevamenti obiettivi;
   la vigente normativa prevede anche, con decorrenza il 1o gennaio di ogni anno, la rimodulazione dei coefficienti di sede sulla base di parametri obiettivi legati, soprattutto, alle variazioni del costo della vita e delle condizioni di disagio e sicurezza;
   l'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, come novellato dal decreto legislativo 7 aprile 2000, n. 103, stabilisce che «di norma la retribuzione degli impiegati assunti localmente è fissata e corrisposta in valuta locale», a meno che non ricorrano particolari motivi;
   il decreto interministeriale n. 033/5949 del 31 dicembre 2002, in deroga a quanto stabilito in linea generale dalla norma appena richiamata, prevede che, «a decorrere dal 1o gennaio 2003, la retribuzione del personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatico-consolari e dagli istituti italiani di cultura viene determinata e corrisposta in euro», con ciò, tra l'altro, determinando un'evidente disparità di trattamento rispetto ai loro colleghi assunti prima del 2003;
   nella Confederazione elvetica, in particolare, la retribuzione corrisposta in euro agli impiegati assunti localmente presso le rappresentanze italiane non sembra congrua ed adeguata a garantire l'assunzione degli elementi più qualificati, tanto più a seguito del suddetto crollo dei cambi –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per porre immediato rimedio alla situazione che si è venuta a creare per effetto della svalutazione dell'euro nei confronti di altre monete;
   quali siano i motivi ostativi all'applicazione della norma di cui all'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 sopra richiamata;
   se non intenda infine, a tutela di tutte le parti interessate, assumere iniziative per introdurre una norma una che preveda una rimodulazione dei coefficienti di sede ogni qual volta ci sia uno scostamento del tasso di cambio superiore ad una determinata percentuale. (3-01257)
(23 gennaio 2015)

B)

   CAMPANA, BARUFFI, IACONO, LODOLINI, ZAMPA, GIUSEPPE GUERINI, MURER, MAGORNO, GARAVINI, VERINI, CAPONE, GIULIETTI, CIMBRO, MANFREDI, GANDOLFI, MARZANO, DE MARIA, MARCHI, ALBANELLA, BORGHI, ZAN, MORANI, BENI, FABBRI, CENNI, SGAMBATO, ARGENTIN, TULLO, GASPARINI, ZARDINI, MALISANI, GIUDITTA PINI, CAROCCI, TARTAGLIONE, VENITTELLI, DI SALVO, CARLONI, MOGNATO, MAESTRI, RUBINATO, LACQUANITI, CARNEVALI e IORI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 17 maggio 1990 l'Organizzazione mondiale della sanità rimuoveva l'omosessualità dall'elenco delle malattie mentali inserite nella sua classificazione internazionale delle malattie; da allora quel giorno ricopre una particolare importanza per chi ha a cuore l'abolizione delle discriminazioni e dei pregiudizi nei confronti delle persone lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali);
   il 17 maggio 2005 ha avuto luogo in tutta Europa, ad opera delle organizzazioni impegnate nella lotta contro l'omofobia e la transfobia, la prima Giornata internazionale contro l'omofobia;
   la risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 18 gennaio 2006, con un'ampia maggioranza formata da sinistre, liberali e popolari, ha definito l'omofobia come «una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (lgbt)» e l'ha dichiarata «assimilabile a razzismo, xenofobia, antisemitismo, sessismo»;
   lo stesso Parlamento europeo, con la risoluzione sull'omofobia in Europa del 26 aprile 2007, ha indetto il 17 maggio di ogni anno quale Giornata internazionale contro l'omofobia, dando così una veste istituzionale a quella ricorrenza;
   in un rapporto sull'Ungheria pubblicato nel dicembre 2014, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa ha espresso preoccupazione per il «clima di ostilità nei confronti delle persone lgbt sfociato in alcuni casi in discorsi e crimini d'odio a loro mirati»;
   il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa ha invitato le autorità ungheresi «ad adottare tutte le misure necessarie affinché i casi di violenza fisica e non contro le persone lgbti siano prontamente e adeguatamente investigati, perseguiti e sanzionati»;
   il partito xenofobo, antisemita e ultranazionalista ungherese Jobbik si è già reso protagonista di dichiarazioni fortemente offensive nei confronti della comunità lgbti;
   il 18 maggio 2015 il sito del quotidiano La Stampa ha pubblicato un articolo dal titolo «Ungheria, minacce di morte e una taglia sul gay italiano», in cui si narra la vicenda di un giovane ligure residente all'estero che è diventato oggetto di una campagna partita da Gyorgy Gyula Zagyva, un ex parlamentare di Jobbik;
   le prime minacce arrivano nell'estate 2014, quando il giovane Andrea Giuliano viene ritratto su un carro del Gay pride di Budapest dove espone una parodia della bandiera dei motociclisti. L'inizio della vicenda di Andrea Giuliano inizia con la pubblicazione di un «articolo» su una «testata giornalistica» neonazista in cui figurano una foto al Pride insieme al suo nome, indirizzo, posto di lavoro, foto scattate fuori dal suo appartamento, riferimenti del suo profilo facebook insieme a parecchi insulti che poi nel forum sono diventati minacce. Da quel punto altre «testate» neonaziste si sono prese cura di spargere la voce, scatenando una reazione a catena;
   da quel momento si moltiplicano gli insulti, le minacce anche fisiche fino a quando sul sito di Jeszenszky, esponente del club «Motociclisti dal sentimento nazionale», appare una taglia: 10 mila dollari per chi lo ammazza. Una vera e propria condanna a morte;
   oggi Andrea Giuliano è sotto processo perché il capo dell'associazione dei motociclisti lo ha querelato per aver esposto quella bandiera e la prossima udienza si terrà a fine giugno 2015;
   si apprende da La Stampa che invece il procedimento intentato per le minacce subite è fermo da diverso tempo;
   per gli interroganti il mondo della politica e delle istituzioni deve affrontare la piaga sociale dell'omofobia al livello nazionale come al livello internazionale, promuovendo concretamente i diritti umani delle persone lgbti nello spirito dei valori fondamentali dell'Unione europea –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale attraverso i propri uffici in loco non intenda prestare assistenza al giovane italiano così duramente colpito nella propria vita;
   se e come il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale intenda intervenire a tutela di un connazionale residente all'estero al fine di garantirgli un'esistenza libera e dignitosa nel rispetto delle libertà civili e al riparo da manifestazioni conclamate di violenza e omofobia che rasentano la persecuzione.
(3-01516)
(21 maggio 2015)

C)

   MURA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in diversi territori italiani sono presenti tratte ferroviarie storiche che attraversano contesti di grande valenza naturalistico-ambientale e storico-culturale che, in diversi casi, rappresentano l'unica modalità di accesso e di fruizione dei territori medesimi;
   alcune fra le suddette tratte sono, oggi, destinate, in via esclusiva, al trasporto turistico. Altre sono state dismesse o in fase di dismissione;
   fra le linee turistiche attualmente attive, una fra le più rilevanti, considerata anche l'estensione lungo un'ampia porzione di territorio, è quella denominata «Trenino verde della Sardegna». Linea ferroviaria turistica a scartamento ridotto, gestita dall'Arst (l'Azienda regionale dei trasporti) attraversa complessivamente 404 chilometri di strada ferrata e si articola come segue:
   a) la Mandas-Arbatax, la linea ferroviaria turistica più lunga d'Italia (159 chilometri), che dalle aree interne della Sardegna conduce al mare e attraversa i seguenti comuni: Mandas, Orroli, Nurri, Villanova Tulo, Esterzili, Sadali, Seui, Ussassai, Gairo, Villagrande, Arzana, Lanusei, Elini, Tortolì;
   b) la Isili-Sorgono, linea ferroviaria turistica di 83 chilometri, che attraverso i rilievi del versante ovest del Gennargentu passa nei comuni di: Isili, Nurallao, Laconi, Ortuabis, Meana Sardo, Belvì, Aritzo, Desulo, Tonara, Sorgono;
   c) la Macomer-Bosa, linea ferroviaria turistica di 48 chilometri, che da Macomer, passando per i comuni di Sindia, Tinnura, Tresnuraghes e Modolò, arriva fino alla stazione di Bosa Marina;
   d) la Nulvi-Tempio-Palau, linea ferroviaria turistica di 151 chilometri, che attraversa i comuni di Nulvi, Martis, Laerru, Perfugas, Coghinas, Bortigiadas, Aggius, Tempio, Nurchis, Luras, Calangianus, Sant'Antonio, Arzachena fino a Palau;
   le quattro linee ferroviarie turistiche funzionano in genere da aprile a settembre e rappresentano, a oggi, l'unica modalità di accesso turistico alle aree interne della Sardegna e di collegamento di queste con le coste;
   il viaggio lungo le descritte linee ferrate avviene attraverso locomotive a vapore costruite nei primi decenni del ’900 e vecchie carrozze;
   si tratta di un patrimonio culturale e storico di grande valore: binari, manufatti, stazioni e tracciati che risalgono alla fine del 1800 e ai primi del ’900, intorno al quale negli ultimi 3 decenni è stato costruito un importante ed efficace sistema di offerta turistica territoriale delle aree interne della Sardegna. Sono state avviate diverse iniziative imprenditoriali rivolte alla ristorazione, all'accoglienza ed alla valorizzazione dell'esteso patrimonio archeologico, storico, naturalistico e ambientale, consentendo di far nascere e crescere un'economia indotta che rappresenta un'importante occasione di sviluppo per un territorio ad elevato spopolamento e con poche altre alternative economiche e di lavoro;
   dai dati Arst emerge un costante aumento della domanda di viaggi turistici con il trenino verde, a cui non sempre corrisponde la possibilità di garantire un'offerta adeguata sia a livello qualitativo che quantitativo;
   infatti, il patrimonio ferroviario di cui sopra avrebbe bisogno di manutenzione straordinaria e restyling al fine di assicurare condizioni di viaggio e standard di sicurezza accettabili;
   adeguatamente valorizzato e gestito potrebbe rappresentare un'importante modalità di valorizzazione turistica delle aree interne della Sardegna, come dimostrano le esperienze di ferrovie turistiche già attive in altri territori italiani (Treno blu, Ferrovia Val d'Orcia, Ferrovia turistica Camuna, Ferrovia del Basso Sebino e altre) –:
   se non ritenga:
    a) di acquisire al patrimonio culturale nazionale i binari, manufatti, stazioni e tracciati di maggiore valenza storica e culturale;
    b) di definire, d'intesa con le regioni e i comuni interessati, piani e programmi di valorizzazione turistica del suddetto patrimonio ferroviario che prevedano anche compartecipazioni finanziarie e investimenti di privati;
    c) di inserire gli interventi di manutenzione straordinaria e di restyling del patrimonio ferroviario di cui sopra nei piani strategici «Grandi progetti beni culturali» 2014, 2015 e 2016, finalizzati ad aumentare la capacità attrattiva del Paese;
    d) di inserire gli interventi di manutenzione straordinaria e di restyling del patrimonio ferroviario di cui sopra in altri programmi di investimento. (3-01033)
(18 settembre 2014)

D)

   LOSACCO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'anomala ondata di maltempo che ha colpito negli ultimi giorni la Puglia, con violente raffiche di vento, nubifragi e grandinate, ha particolarmente interessato la provincia di Bari;
   purtroppo si registrano significativi danni per quanto concerne i raccolti di ciliegie;
   particolarmente colpite le qualità di bigarreaux, georgia e ferrovia;
   lungo l'asse viario Turi-Sammichele una violenta grandinata ha creato una spessa coltre di ghiaccio sul terreno;
   il comprensorio è uno tra i più noti per la qualità nell'ambito della produzione delle ciliegie di tutto il Paese;
   le organizzazioni di categoria hanno lanciato un allarme circa le conseguenze che questa ondata di maltempo avrà per tutto il settore e hanno evidenziato come anche altre colture, a partire da fragole e albicocche, hanno subito significative ripercussioni negative –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non intenda intervenire per accertarsi di quanto accaduto e attivare un tavolo di confronto in sede ministeriale per tutelare uno dei settori, quello della ciliegia, di maggiore qualità della Puglia. (3-01591)
(2 luglio 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A SOSPENDERE LE PROCEDURE DI ESPROPRIAZIONE RELATIVE AD IMMOBILI ADIBITI AD ABITAZIONE PRINCIPALE

   La Camera,
   premesso che:
    secondo uno studio di Accord, servizio di consulenza e mediazione, nel 2014 i casi di pignoramenti e le esecuzioni immobiliari sono stati 5.500, con un incremento a dicembre del 2014 dell'11 per cento rispetto al 2013. Secondo Accord, i primi 10 giorni del 2015 confermano un trend in crescita, tanto che le case pignorate potrebbero superare quota centomila nello spazio di pochi mesi. L'impennata dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari ha portato ad un incremento delle richieste di aiuto da parte delle famiglie italiane, che si rivolgono a un soggetto terzo in grado di risolvere un problema per loro insormontabile, come la cancellazione del pignoramento sull'immobile, o per impedire la svendita della casa pignorata;
    occorre tutelare espressamente chi rischia di perdere la prima casa poiché in Italia le politiche abitative sono pressoché nulle. Ad esempio, a Genova sono quasi 4000 le famiglie in difficoltà in lista per un alloggio di edilizia residenziale pubblica e il patrimonio edilizio attualmente a disposizione degli enti non è neanche lontanamente sufficiente a soddisfare la richiesta. La situazione non cambia nelle altre città italiane,

impegna il Governo:

   ad assumere immediate iniziative normative che prevedano, fuori dei casi già previsti dalla legge, la sospensione per trentasei mesi della procedura espropriativa immobiliare al ricorrere congiunto delle seguenti condizioni:
    a) che l'immobile sia l'unica abitazione adibita ad abitazione principale dal debitore esecutato;
    b) che altri componenti del nucleo familiare del debitore, con lui residenti secondo le risultanze dei registri anagrafici nel medesimo immobile alla data della notifica dell'atto di pignoramento, non siano in atto proprietari o titolari di diritti reali di godimento su altri immobili adibiti a civile abitazione e situati entro 150 chilometri dal comune di residenza e che inoltre, negli ultimi tre anni, non abbiano ceduto a terzi diritti su altri immobili;
    c) che il valore dell'immobile sia inferiore a 300.000,00 euro tranne che per gli immobili ricadenti nei comuni di Roma, Milano, Torino, Bologna, Venezia e Firenze per cui detto limite è pari a 400.000,00 euro, facendo sì che il valore dei fabbricati, ai fini di quanto disposto dalla presente lettera, sia calcolato in misura pari all'importo stabilito ai sensi dell'articolo 52, comma 4, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e successive modificazioni, moltiplicato per tre, e che, qualora non sia possibile determinare il valore in conformità a quanto previsto dalla presente lettera, il valore sia determinato ai sensi dell'articolo 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni;
    d) che l'immobile non sia sottoposto a sequestro e a confisca in attuazione della legislazione contro la criminalità organizzata;
   ad assumere iniziative per prevedere, al contempo, l'istituzione di un fondo, con dotazione annua di almeno dieci milioni di euro, per la remunerazione degli interessi ai creditori la cui procedura esecutiva immobiliare sia stata oggetto di sospensione ex lege che remuneri i creditori ad un tasso di interesse dello 0,5 per cento annuale sul credito vantato, con la previsione che potranno accedere a tale fondo solo i creditori, muniti di titolo esecutivo, che abbiano proceduto a pignoramento ovvero sia intervenuti, a norma dell'articolo 551 del codice di procedura civile, nell'espropriazione immobiliare de quo.
(1-00921)
«Colletti, Ferraresi, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Sarti, Sibilia, Cancelleri».
(24 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 52, comma 1, lettera g), del decreto-legge n. 69 del 2013, meglio conosciuto come «decreto del fare», ha novellato l'articolo 76, comma 1, del decreto del Presidente n. 602 del 1973, disciplinando l'interruzione delle procedure esecutive sugli immobili adibiti a «prima casa», intraprese da Equitalia;
    in base alla nuova disposizione, per bloccare le esecuzioni esattoriali, gli immobili devono rappresentare gli unici di proprietà del debitore, nonché devono essere adibiti ad uso abitativo e il contribuente vi deve risiedere anagraficamente;
    a seguito di un ricorso, avverso una sentenza, del tribunale di Milano che aveva accolto l'opposizione all'esecuzione immobiliare esattoriale avanzata da un contribuente nei confronti di Equitalia spa, avverso il pignoramento dell'usufrutto vitalizio di un appartamento, già adibito a casa coniugale, la terza sezione civile della Corte di cassazione con sentenza 12 settembre 2014, n. 19270, pur dichiarando inammissibile il ricorso per carenza di interesse, essendo intervenuta la richiamata norma, ha chiarito ulteriormente i confini di efficacia temporale di tale disciplina, stabilendo che la novella introdotta dal decreto-legge n. 69 del 2013 in materia di espropriazione della prima casa quando a procedere sia Equitalia, risulta applicabile ad ogni procedimento di esecuzione in corso, pure se intrapreso prima dell'emanazione della novella citata;
    nella sentenza, inoltre, la Corte di cassazione ha precisato che quando l'espropriazione immobiliare abbia ad oggetto l'unico bene di proprietà, non di lusso, ove il contribuente abbia stabilito la propria residenza, «l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell'esecuzione o per iniziativa dell'agente di riscossione»;
    la Corte di giustizia europea, con la sentenza del 10 settembre 2014, III sezione causa C-34/13, ha stabilito, ai sensi della direttiva 93/13/CEE relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, che, qualora la banca o istituto finanziario che sia abbia fatto firmare clausole abusive, l'ipoteca è nulla ed il pignoramento (come la successiva vendita all'asta) debbano essere bloccate, facendo di fatto prevalere il diritto all'abitazione nel caso di applicazione di clausole vietate dall'Unione europea. Le clausole abusive previste dalla direttiva 93/13/CEE, sono quelle che, malgrado il requisito della buona fede, determinano, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto;
    il fondo di solidarietà per i mutui prima casa istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, che consente la sospensione, fino a 18 mesi, del pagamento dell'intera rata del mutuo per l'acquisto dell'abitazione principale, non interviene nel caso in cui sia stata avviata da terzi una procedura esecutiva sull'immobile ipotecato e comunque prevede una serie di requisiti per il suo accesso che escluderebbe una vasta platea di interessati: la sospensione del pagamento della rata di mutuo, infatti, è subordinata al verificarsi di almeno uno dei seguenti eventi, relativi alla sola persona del mutuatario, intervenuti successivamente alla stipula del contratto di mutuo e accaduti nei tre anni antecedenti alla richiesta di ammissione al beneficio:
     a) cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa, con attualità dello stato di disoccupazione;
     b) cessazione dei rapporti di lavoro di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa, con attualità dello stato di disoccupazione;
     c) morte o riconoscimento di handicap grave, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero di invalidità civile non inferiore all'80 per cento;
    inoltre per l'accesso è necessario avere un reddito Isee non superiore a 30.000 euro e un importo di mutuo non superiore a 250.000 euro per l'acquisto di un immobile non di lusso adibito ad abitazione principale;
    nonostante l'intervento delle norme e della giurisprudenza citate, cresce il numero di italiani che stanno perdendo la propria ed unica abitazione, per motivi collegati alla crisi (perdita del posto di lavoro, aumento del costo della vita ed altro);
    secondo i dati dell'Adusbef i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari nel 2014 sono stati quasi 5.500, 20 ogni giorno lavorativo, l'11,6 per cento in più rispetto al 2013. La cifra è stata ricavata dalle proiezioni sui dati raccolti in 35 tribunali italiani al 30 ottobre 2014. In 5 anni di crisi (2008-2013), per Adusbef e Federconsumatori, pignoramenti ed esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 108,1 per cento. Se venissero sommati gli aumenti dei pignoramenti dal 2006 al 2014, l'incremento sarebbe, per le associazioni citate, pari al 161,7 per cento in nove anni, che in termini assoluti equivarrebbe alla scomparsa di una città delle dimensioni di Ancona, Bolzano o Terni,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare iniziative di rango normativo volte ad individuare misure di natura economica per la gestione dei mutui ipotecari per la prima casa in sofferenza, con particolare riferimento ai nuclei familiari, soprattutto quelli numerosi, che si trovano in situazione di temporanea insolvenza;
   a prevedere l'istituzione, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica e nell'ambito delle dotazioni organiche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un organismo volto a verificare l'esatta dimensione del fenomeno del sovraindebitamento e individuare eventuali misure di contrasto, avendo particolare riguardo allo stato delle procedure esecutive di esproprio degli immobili adibiti a prima casa.
(1-00924)
(Nuova formulazione) «Sberna, Gigli, Capelli, Dellai».
(30 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la grave crisi economico-sociale che ha colpito così pesantemente il nostro Paese dal 2008 ha causato seri problemi ai cittadini, molti dei quali si sono trovati in condizioni di difficoltà economica;
    si tratta di persone che si trovano a dover fronteggiare la perdita del posto di lavoro, o la chiusura della loro attività economica, ed a sostenere contemporaneamente le necessità finanziarie derivanti dall'impegno di mantenere la famiglia;
    la prima casa costituisce un elemento fondamentale del patrimonio delle famiglie italiane e rappresenta, al contempo, un bene necessario per le famiglie. Proprio per la grave crisi economico-sociale che ha colpito il nostro Paese è aumentato in modo elevato il numero dei pignoramenti che si sono registrati in Italia in questi ultimi anni;
    appare, pertanto, giusto evidenziare che lo Stato punti al soddisfacimento dei propri crediti, ma è necessario, altresì, tutelare e garantire quanti sono oppressi dalle procedure di espropriazione immobiliare, soprattutto quando riguardino la prima casa di proprietà. Non è, infatti, ammissibile che una famiglia perda la propria casa, magari il suo unico bene reale, acquistato dopo anni di sacrifici;
    l'impignorabilità della prima casa risulta, altresì, necessaria, al fine di una perequazione sociale che salvaguardi un bene, la prima casa, che costituisce, tra l'altro, un elemento fondamentale di aggregazione familiare, che consente di tutelare le famiglie ed il diritto di tutti ad avere un alloggio, al fine di evitare il rischio di indigenza e disagio sociale abitativo che ne deriverebbe;
    il decreto-legge cosiddetto «del fare» n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha previsto, all'articolo 52, che l'agente della riscossione non dà corso all'espropriazione se l'unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate da decreto del Ministro per i lavori pubblici del 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente. Per gli altri beni immobili del debitore (abitazioni non prima casa, case di lusso, fabbricati A/8 e A/9) l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro. Si prevede, inoltre, che in tal caso l'espropriazione possa essere avviata se è stata iscritta ipoteca e sono decorsi almeno sei mesi dall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto;
    la Corte di cassazione, con la sentenza 12 settembre 2014, n. 19270, ha contribuito ad ampliare la tutela del diritto alla prima casa, stabilendone l'impignorabilità da parte di Equitalia, con estensione della validità della disposizione contenuta nel citato decreto-legge anche per i procedimenti in corso. La Corte di cassazione ha, infatti, affermato che: «dal momento che la norma disciplina il processo esecutivo esattoriale immobiliare e non introduce un'ipotesi di impignorabilità sopravvenuta del suo oggetto, la mancanza di una disposizione transitoria comporta che debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all'articolo 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche i singoli atti ad essa successivamente compiuti di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand'anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all'epoca di introduzione del giudizio»; tale norma è entrata in vigore il 22 giugno 2013;
    contrariamente alle conclusioni contenute nella nota del Ministero dell'economia e delle finanze - per la quale tale norma non ha effetto retroattivo e, pertanto, tutti i pignoramenti effettuati prima del 22 giugno 2013 dovevano considerarsi validi ed efficaci – la Corte di cassazione ha esteso la non pignorabilità a tutti gli immobili soggetti ai procedimenti di Equitalia ancora in corso. Pertanto, «in tema di espropriazione immobiliare esattoriale, qualora sia stato eseguito il pignoramento immobiliare mediante la trascrizione e la notificazione dell'avviso di vendita ai sensi dell'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ed il processo sia ancora pendente alla data del 21 agosto 2013 (di entrata in vigore dell'articolo 52, comma 1, lettera g), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ai sensi dell'articolo 86 del decreto-legge n. 69 del 2013, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 194, supplemento ordinario del 20 agosto 2013), l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell'esecuzione o per iniziativa dell'agente della riscossione, se l'espropriazione ha ad oggetto l'unico immobile di proprietà del debitore, che non sia bene di lusso e sia destinato ad abitazione del debitore, il quale vi abbia la propria residenza anagrafica»;
    il tema del diritto all'abitazione quale diritto intangibile da tutelare è stato affrontato di recente anche dall'Unione europea. In particolare, la decisione della Corte di giustizia europea n. C-34/13 del 10 settembre 2014, in materia di pignoramento eseguito sulla prima casa se il contratto di mutuo contiene clausole vietate dalla direttiva UE/93/2013, con la quale i giudici tornano ad affrontare il tema delle clausole abusive dei contratti dei consumatori, con particolare riferimento ai contratti di credito al consumo che prevedono la costituzione, a favore della banca o finanziaria, di un diritto di garanzia sull'immobile di abitazione del cliente. La Corte di giustizia europea sottolinea che «la perdita dell'abitazione familiare non è solamente idonea a violare gravemente il diritto dei consumatori, ma pone i familiari del consumatore interessato in una situazione particolarmente delicata». Essa «costituisce una delle più gravi violazioni al diritto al rispetto del domicilio» e, pertanto, «qualsiasi persona che rischi di esserne vittima deve, in linea di principio, poter far esaminare la proporzionalità di tale misura»;
    occorre, pertanto, tutelare in modo certo coloro che perdono o che rischiano di perdere la propria casa con misure adeguate che permettano di risolvere questo problema che incide in modo grave sulla situazione economica delle famiglie italiane;
    andrebbe resa più rapida con ogni mezzo l'attuazione del programma di recupero degli immobili di edilizia popolare varato con il decreto-legge n. 47 del 2014 e sarebbe opportuno avviare un piano di medio termine per l'ampliamento complessivo dell'offerta di edilizia residenziale pubblica e di razionalizzazione delle gestioni, in particolare valorizzando il nesso fra politiche per la casa e tutela della famiglia come elemento imprescindibile di coesione sociale: dai giovani che desiderano sposarsi ma non possono permettersi un'abitazione agli anziani che temono di essere cacciati dalle loro case, perché non più in grado di pagare il mutuo o le tasse;
    sarebbe opportuno che le fondazioni bancarie inseriscano tra i loro obiettivi prioritari il diritto delle famiglie alla prima casa, facilitandone non solo l'accesso ma lo stesso mantenimento e che si favorisca la creazione di reti di solidarietà che permettano finanziamenti a tasso zero alle famiglie in difficoltà in una logica di auto-aiuto;

impegna il Governo:

   a sospendere gli espropri relativi alla prima casa;
   ad affrontare con misure adeguate lo stato di estrema indigenza in cui versa un numero crescente di famiglie italiane per il protrarsi della crisi e per l'oggettiva difficoltà di inserimento e reinserimento nel mondo del lavoro, con riferimento alla situazione di coloro che sono destinatari di procedure di espropriazione di un immobile adibito ad abitazione principale;
   a rivedere tempi e modi con cui Equitalia rivendica i suoi diritti senza mai farsi carico dei corrispondenti doveri di rimborso e restituzione in tempi adeguati con riferimento alle problematiche esposte in premessa;
   a varare una politica di accordi con le banche per l'individuazione di misure volte ad una gestione dei mutui in sofferenza, con particolare riferimento alle famiglie in situazione temporanea di insolvenza.
(1-00926)
(Nuova formulazione) «Binetti, Dorina Bianchi».
(30 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'abitazione costituisce un bene primario che deve essere tutelato in modo adeguato e concreto. Il diritto sociale dell'abitazione deve essere garantito dallo Stato in quanto rientra tra i diritti inviolabili dell'uomo, riconosciuti e garantiti dall'articolo 2 della Costituzione, e trova un riconoscimento espresso nell'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e nell'articolo 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali;
    la Costituzione all'articolo 47 prevede che la Repubblica debba favorire il diritto alla proprietà dell'abitazione, con misure che possano aiutare le persone più bisognose ad avere un alloggio di proprietà e, quindi, rendendo concreto questo diritto;
    la Corte costituzionale ha più volte affermato che rientra, tra i compiti della Repubblica, quello di favorire l'accesso all'abitazione ai cittadini più deboli. La difficoltà di avere una casa costituisce una delle preoccupazioni alle quali le amministrazioni pubbliche devono offrire risposte efficaci, in particolare attraverso i piani di edilizia economica e popolare;
    ai sensi del combinato disposto degli articoli 2, 3 e 32 le politiche legislative in materia abitativa sono basate sulla tutela dei diritti inviolabili della persona, tutela che è strettamente legata ai compiti che lo Stato ha nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale;
    nella Carta dei valori, della cittadinanza e dell'integrazione dell'aprile 2007 viene affermato: «L'Italia è impegnata perché tutti possano fruire di un'abitazione adeguata ai bisogni della propria famiglia e a costi ragionevoli. Chi si trovi in stato di bisogno, o sia costretto a subire costi eccessivi per la propria abitazione, può rivolgersi alle autorità pubbliche o alle associazioni sindacali per ricevere assistenza o ottenere il rispetto dei propri diritti»;
    il «caro affitti», le difficoltà di trovare sul mercato appartamenti liberi da affittare e la conseguente emergenza abitativa che sfocia nel ripetuto blocco degli sfratti hanno senz'altro origine nella scarsa disponibilità di alloggi per la locazione;
    l'emergenza abitativa costituisce nell'attuale crisi economica uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale;
    agli ormai insostenibili oneri tributari dei contribuenti, si aggiunge una difficoltà sempre maggiore di questi ultimi ad acquistare un immobile di proprietà: se la disoccupazione e le condizioni precarie dei contratti di lavoro a termine impediscono un facile accesso al mutuo bancario, il credit crunch, ma soprattutto l'aumento dei tassi di interesse dei mutui causati dalla crisi finanziaria hanno oberato e stanno oberando in modo gravoso i contribuenti;
    negli anni di crisi, le banche italiane hanno registrato un boom dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari, avviati in seguito all'impossibilità di molte famiglie di pagare i mutui. Come hanno denunciato Adusbef e Federconsumatori, soltanto tra il 2008 e il 2012 i pignoramenti e le esecuzioni sono aumentati del 97,8 per cento, con un ulteriore aumento, a dicembre del 2014, che ha sfiorato l'11 per cento rispetto al 2013, come ha calcolato uno studio di Accord;
    sarebbe opportuno prevedere un meccanismo alternativo al pignoramento e all'esecuzione immobiliari in modo da evitare, per quanto più possibile, che cittadini in gravi difficoltà finanziarie non si vedano espropriare la casa di prima proprietà senza poter trovare una soluzione abitativa per sé e per la propria famiglia soltanto perché non più in grado di assolvere al pagamento delle rate del mutuo;
    l'impatto sociale che la problematica dell'emergenza abitativa assume è tale da far ipotizzare, laddove non vi sia un intervento urgente da parte dell'amministrazione comunale, possibili ripercussioni che potrebbero mettere a rischio la sicurezza dei cittadini;
    negli ultimi decenni nel nostro Paese è cresciuto in maniera esponenziale il fenomeno dell'instabilità familiare. La mutata percezione dell'istituto matrimoniale e l'evoluzione dei legami familiari determinano un alto numero di separazioni e divorzi;
    se fin dai primi anni ’70 il numero di matrimoni celebrati in Italia è in costante riduzione, il fenomeno dello scioglimento del vincolo matrimoniale, per effetto di separazione o divorzio, è invece in continua crescita;
    è noto che le separazioni dei genitori provocano spesso situazioni di difficoltà e di grave disagio ai genitori separati e, di conseguenza, anche ai figli;
    tale situazione di difficoltà riguarda, in particolare, la figura paterna che, a seguito della pronuncia dell'organo giurisdizionale di assegnazione della casa familiare e dell'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento, viene a trovarsi in una situazione di difficoltà economica che può comportare una condizione di emergenza abitativa e l'impossibilità di condurre un'esistenza dignitosa, impedendo pertanto l'esercizio del ruolo genitoriale;
    considerato, quindi, come l'emergenza abitativa e il pignoramento degli immobili sia un fenomeno che interessa in modo preponderante le famiglie in condizione di separazione, sarebbe auspicabile prevedere, anche attraverso lo strumento della normativa d'urgenza, un piano straordinario di interventi finalizzati al sostegno economico, al sostegno abitativo, a facilitare l'accesso al credito per i genitori separati in condizioni di disagio sociale, anche con misure mirate a potenziare su tutto il territorio nazionale la rete dei centri di assistenza e dei centri mediazione familiari;
    il problema dell'emergenza abitativa, inoltre, richiederebbe da parte del Governo un intervento urgente volto:
     a) a prevedere, di intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni, un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale abitativo, incentrato sull'autorecupero e sulla riconversione della destinazione d'uso degli immobili regionali e comunali in disuso (caserme, fondi demaniali della difesa, plessi scolastici, ospedali, aziende sanitarie locali, centri medici);
     b) a prevedere accordi di programma con i movimenti, le associazioni, i comitati, i cittadini organizzati per l'assegnazione di aree abbandonate della città da destinare a progetti di micro-comunità di quartiere ai fini della riqualificazione del territorio, del recupero e della rifunzionalizzazione degli edifici abbandonati e degli alloggi a scopo abitativo;
    da ultimo, le politiche messe in atto dal Governo in materia di gestione dei flussi migratori rischiano di creare un impatto sociale ingestibile, alimentando l'ingiustizia che vivono i cittadini italiani, in condizioni estreme di disagio e di emergenza abitativa, nel trovarsi a constatare come il Governo abbia soluzioni immediate per far fronte ai problemi di vitto e alloggio degli extracomunitari che sbarcano sulle coste italiane. È difatti irragionevole e rischioso allestire le strutture temporanee per l'accoglienza degli immigrati nei territori dove vi sia una diffusa condizione di emergenza abitativa per i cittadini italiani,

impegna il Governo

a prevedere un tavolo di concertazione tra il Governo, le associazioni di rappresentanza dei consumatori e gli istituti di credito al fine di studiare una soluzione alternativa al pignoramento e all'esecuzione immobiliari, volta alla rinegoziazione della proprietà in modo che il mutuatario in stato di necessità che non riesca più ad assolvere al rimborso del capitale possa ottenere dall'istituto di credito di convertire la propria proprietà con un immobile di valore minore, il più vicino possibile al precedente domicilio, in relazione al quale riesca ad assolvere al pagamento del mutuo di conseguenza ridotto, lasciando alla banca la proprietà del primo immobile.
(1-00927)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(30 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'aggravamento della situazione economica delle famiglie italiane, dovuto al protrarsi della recessione da cui solo ora il Paese sembra cominciare a uscire, ha generato livelli di indebitamento sempre più rilevanti, grazie anche al basso livello dei tassi di interesse, che ha spinto molti a sottoscrivere finanziamenti e mutui per l'acquisto di beni e servizi;
    secondo dati recenti della Banca d'Italia quasi una famiglia su tre risulta aver contratto passività finanziarie, e molte di esse, per effetto del rallentamento nella dinamica dei redditi, conseguente alla recessione economica, hanno oggi notevoli difficoltà nel rimborsare tutto il debito contratto, mettendo così a repentaglio l'intero patrimonio, che costituisce la garanzia generale nei confronti dei creditori ai sensi dell'articolo 2740 del codice civile;
    con la legge 27 gennaio 2012, n. 3, è stata poi istituita la procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento, rivolta soprattutto alle famiglie, ai privati e alle società non fallibili, con la quale si è attuato un parziale superamento del principio di soggezione di tutti i beni del debitore, presenti e futuri, alle azioni dei creditori, ai sensi dell'articolo 2740 del codice civile. Queste disposizioni consentono, in particolare, sotto la supervisione di un giudice, un'effettiva ristrutturazione dei debiti contratti, con un bilanciamento corretto ed equilibrato, certo migliore di una moratoria generalizzata e riferita ad un'unica tipologia di beni, tra gli interessi dei creditori e le esigenze solidaristiche e di equità sociale. Con il deposito di una proposta di accordo di composizione della crisi, ovvero di un piano del consumatore, il giudice, in particolare, vagliate le condizioni di ammissibilità, può già disporre, in via cautelare, la sospensione dei procedimenti di esecuzione forzata, che dalla successiva data di omologazione dell'accordo o del piano non possono più essere iniziati o proseguiti. L'accordo può prevedere, inoltre, una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca;
    la legge non ha trovato fino ad oggi attuazione in ragione della mancanza dei decreti attuativi, in particolare di quelli destinati a stabilire le caratteristiche degli organismi di composizione della crisi, che hanno un ruolo centrale nella gestione di queste procedure, ma la mancanza è stata finalmente sanata con l'emanazione del decreto ministeriale 24 settembre 2014, n. 202, pubblicato il 27 gennaio 2015;
    per mettere al riparo le famiglie dal rischio di vedersi espropriare dai propri creditori anche beni essenziali come la prima casa, il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha stabilito che per i crediti di natura tributaria l'agente della riscossione non possa dar corso all'espropriazione se «l'unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente»: tali limitazioni sono state ritenute applicabili dalla giurisprudenza, che si è per prima occupata della materia anche ai procedimenti esecutivi già in corso alla data di entrata in vigore della norma (Corte di cassazione n. 19270 del 12.9.2014);
    l'insieme delle norme citate e, in particolare, il pieno dispiegarsi degli effetti della legge n. 3 del 2012 possono consentire di evitare i rischi di impoverimento e di esclusione sociale che deriverebbero dall'espropriazione forzata di beni essenziali come la prima casa di abitazione delle famiglie indebitate;
    al contrario, l'ipotesi di sospendere ex lege le procedure di espropriazione degli immobili adibiti ad abitazione principale presenterebbe profili di incompatibilità costituzionale, specie con gli articoli 41 e 42 della Costituzione, tenuto conto che le esigenze abitative delle famiglie in difficoltà finanziarie non possono tradursi in una compressione dei diritti privatistici dei creditori, ma devono, piuttosto, essere risolte attraverso politiche abitative;
    su tale tema, il Governo ha sin qui messo in campo importanti iniziative, a partire dal decreto-legge sull'emergenza abitativa n. 47 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, che hanno segnato la ripresa di una politica abitativa orientata a dare risposte ad un bisogno sempre più complesso e articolato, frutto di una significativa divaricazione avvenuta negli anni tra domanda e offerta di soluzioni adeguate ad una società in profonda trasformazione per composizione sociale, livello di reddito, distribuzione territoriale, tipologie familiari;
    inoltre, relativamente all'acquisto della prima casa, la Cassa depositi e prestiti spa ha messo a disposizione risorse per 2 miliardi di euro destinate al finanziamento, tramite mutui garantiti da ipoteca, dell'acquisto di immobili residenziali, nonché di interventi di ristrutturazione e miglioramento dell'efficienza energetica con priorità per le giovani coppie, i nuclei familiari di cui fa parte almeno un soggetto disabile e famiglie numerose; è stato previsto il rifinanziamento (40 milioni di euro) del fondo a favore dei mutuatari in difficoltà, che prevede la sospensione del pagamento delle rate del mutuo per un massimo di 18 mesi con oneri a carico del bilancio pubblico; per favorire la locazione, sono state varate misure di sostegno degli inquilini morosi incolpevoli ed è stato rifinanziato il fondo per l'accesso alle abitazioni in locazione; per quanto attiene, infine, il programma di recupero e razionalizzazione degli immobili ed alloggi di edilizia residenziale pubblica, è in fase attuativa quanto previsto dall'articolo 4 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80;
    tali misure necessitano tuttavia di essere rafforzate, sia sul fronte di una loro efficace implementazione (utilizzo effettivo delle risorse stanziate per il rifinanziamento del fondo sostegno affitti e fondo per la morosità incolpevole, avvio di un piano a breve termine per il recupero e l'utilizzo di alloggi di edilizia sociale oggi inagibili), sia con riguardo alla capacità di programmare interventi strutturali in un arco temporale di medio-lungo periodo, potendo contare anche su nuove linee di finanziamento europee (fondo europeo di sviluppo regionale e fondo sociale europeo per gli obiettivi di politica abitativa);
    sarebbe opportuno elaborare un programma pluriennale di offerta di alloggi di edilizia residenziale pubblica destinati alle fasce più deboli e di messa a disposizione di patrimonio pubblico di edifici ed aree, al fine di coniugare la risposta al fabbisogno abitativo con la riqualificazione e la rigenerazione urbana;
    sarebbe, altresì, opportuno favorire l'aumento dell'offerta di alloggi in locazione, in particolare rafforzando il canale concordato, quale migliore strumento per contenere il livello degli affitti e favorire l'incontro tra domanda e offerta, anche attraverso una revisione della legge n. 431 del 1998 ed il rinnovo della convenzione nazionale sottoscritta nel 2001, nonché rivedere l'elenco dei comuni ad alta tensione abitativa, con l'inserimento di una serie importante di realtà territoriali sino ad oggi escluse,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di istituire un osservatorio sul sovraindebitamento, con all'interno enti e soggetti sia pubblici sia privati, dotati di competenze e professionalità specifiche, in grado di monitorare adeguatamente gli aspetti giuridici, sociali ed economici del fenomeno, con specifico riferimento alle procedure di espropriazione di immobili adibiti ad abitazione principale, per individuare le strategie più corrette per contrastarlo efficacemente;
   ad effettuare un attento monitoraggio sulla effettiva applicazione della legge n. 3 del 2012, al fine di valutarne l'efficacia e la necessità di eventuali correttivi;
   ad effettuare un'analisi approfondita ed aggiornata al fine di definire le misure da mettere in campo per arginare il fenomeno dei pignoramenti degli immobili adibiti ad abitazione principale;
   a procedere ad una verifica del progressivo stato di attuazione della legge 23 maggio 2014, n. 80, anche valutando l'opportunità di introdurre elementi correttivi ai fini di una maggiore efficacia e tutela delle fasce maggiormente in difficoltà per effetto della crisi economica, con specifico riferimento alla tutela dei nuclei familiari destinatari di provvedimenti di espropriazione di immobili adibiti ad abitazione principale.
(1-00928)
«Bazoli, Braga, Causi, Amoddio, Berretta, Campana, Ermini, Giuliani, Greco, Giuseppe Guerini, Iori, Leva, Magorno, Marzano, Mattiello, Morani; Giuditta Pini, Rossomando, Rostan, Tartaglione, Vazio, Verini, Zan, Mariani, Piazzoni, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Carella, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Lodolini, Moretto, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia».
(1o luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo quanto emerge da un'indagine dell'Associazione difesa utenti servizi bancari finanziari postali e assicurativi-Adusbef e dall'associazione Federconsumatori, anche nel corso del 2014 è proseguita la tendenza, in aumento, del fenomeno connesso ai pignoramenti e alle esecuzioni immobiliari, la cui quota a dicembre del 2014 ha raggiunto 52.606 procedure, con un aumento pari all'11,6 per cento, rispetto al 2013 (108,1 per cento considerando gli ultimi cinque anni);
    le rilevazioni delle analisi predisposte indicano, a tal fine, che dalle proiezioni sulle rilevazioni effettuate in 35 tribunali d'Italia, l'aumento maggiore si è registrato nella città di Modena con un +34 per cento, seguito da Sondrio (+33,3 per cento), Sulmona (+23,9 per cento), Frosinone (+22,1 per cento), Ferrara (+21,3 per cento), Pesaro (+20,4 per cento), Catania (+18,7 per cento), Monza (+15,2 per cento) e Cagliari (+14,9 per cento), mentre nelle grandi città: Bologna (+13,3 per cento), Torino (+10,8 per cento), Milano (+10,6 per cento), Roma e Napoli (+10,4 per cento);
    considerando la crescita vertiginosa delle procedure legate ai pignoramenti e alle esecuzioni immobiliari, (il cui aumento registrato in nove anni risulta pari al 161 per cento), nel complesso tali indicatori confermano un quadro economico delle famiglie italiane ancora fragile, il cui ulteriore riflesso della paralisi economica si riproduce nell'ambito delle sfere di competenza preposte alla vendita giudiziaria dell'espropriazione immobiliare;
    è più che evidente l'impossibilità di proseguire al pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti da parte delle famiglie e delle imprese in difficoltà: i recenti interventi legislativi volti alla sospensione temporanea, nonché al divieto di esproprio per la prima abitazione, non hanno quindi interrotto l'aumento dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari, rendendo necessarie ulteriori iniziative per tutelare espressamente chi rischia di perdere la prima casa, implementando le politiche abitative in vigore e contrastando con ogni mezzo la dimensione su scala nazionale del numero dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari;
    a tal fine, risultano necessarie altresì ulteriori iniziative normative nei confronti del sistema bancario, che ha beneficiato di 274,6 miliardi di euro di prestiti triennali al tasso dell'1 per cento dalla Banca centrale europea, ma che evidentemente persiste in un comportamento volto a rallentare le possibilità di accesso al credito da parte di famiglie e imprese,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta alla sospensione degli espropri relativi alla prima casa, e comunque tesa a rivedere i criteri che attualmente disciplinano i meccanismi e le procedure di espropriazione, valutando gli effetti applicativi delle disposizioni in vigore, evidentemente insufficienti, alla luce dei dati allarmanti citati in premessa;
   ad adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a rafforzare gli strumenti di garanzia dei cittadini nei confronti di provvedimenti di espropriazione di immobili adibiti ad abitazione principale, finalizzata innanzitutto alla tutela delle famiglie, in particolare qualora il debitore ed i componenti del nucleo familiare non siano proprietari di ulteriori unità immobiliari adibite ad abitazione;
   a prevedere interventi strutturali volti ad introdurre elementi di maggiore flessibilità nelle procedure di espropriazione, con specifico riferimento a quelle riferite ad immobili adibiti ad abitazione principale, nei confronti di coloro che, pur volendo ottemperare ai propri debiti fiscali e contributivi, non siano in grado di farlo per una comprovata e temporanea difficoltà finanziaria, determinata da un peggioramento della situazione economica oggettivo e indipendente dalla volontà del debitore stesso;
   ad adottare iniziative normative in tempi rapidi al fine di istituire un fondo, con dotazione annua pari ad 10 milioni di euro, per la remunerazione degli interessi per i creditori la cui procedura esecutiva immobiliare sia stata oggetto di sospensione ex lege;
   ad assumere iniziative nei confronti del sistema bancario, con riferimento alla gestione dei crediti deteriorati, individuando misure di sostegno e garanzia volte ad evitare la perdita della casa di abitazione in un periodo in cui la crisi finanziaria sta causando enormi difficoltà per famiglie e imprese.
(1-00930) «Palese».
(1o luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la perdurante crisi economica ha messo a dura prova le capacità di rimborso di crediti da parte di famiglie e imprese, producendo un esponenziale aumento d'insolvenze e, quindi, di procedure coatte di esecuzione su immobili intraprese dal sistema bancario e dagli agenti della riscossione, prima fra tutti Equitalia, tanto che la cronaca consegna casi drammatici di episodi consequenziali alle espropriazione della casa di abitazione ed al suo pignoramento, azioni che spesso vengono avviate senza preliminarmente valutare, anche in caso di indigenza comprovata, le reali condizioni personali e finanziarie del debitore;
    il sistema bancario, dal canto suo, sentitosi spinto, sotto la scure del progressivo e costante aumento dei cosiddetti non performing loan, verso livelli di esposizione non più sostenibili, avendo registrato nell'aprile del 2015 sofferenze lorde per 191,5 miliardi di euro per crediti deteriorati complessivi superiori ai 350 miliardi di euro, ha chiesto al Governo l'emanazione di nuove e più stringenti regole finalizzate all'accorciamento dei tempi necessari per il completo recupero delle somme prestate;
    qualora si sviluppasse il mercato dei non performing loan, lo stesso punterebbe inevitabilmente alle sofferenze più facili da risolvere e cioè a tutte quelle assistite da ipoteca immobiliare. Sotto questo aspetto non si può trascurare che, quasi sempre, dietro ad ogni ipoteca può celarsi una famiglia temporaneamente in affanno che non meriterebbe di dover subire dal suo creditore privato, come un istituto di credito, un trattamento diverso da quello che gli riserverebbe lo Stato. A tal ultimo proposito, infatti, grazie all'articolo 76, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, come novellato dall'articolo 52, comma 1, lettera g) del decreto-legge n. 69 del 2013, meglio conosciuto come «decreto del fare», convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, il debitore esecutato da Equitalia, attraverso la dichiarazione d'impignorabilità della casa (non di lusso) di abitazione, oltre a vedersi salvaguardato un bene primario, può vantare il diritto a continuare a fruire della propria abitazione, diritto che arriva a superare quello dello Stato di rientrare di un proprio credito fiscale o contributivo;
    di più: la terza sezione civile della Corte di cassazione, con una magistrale interpretazione, ha inoltre sciolto definitivamente ogni dubbio in relazione al profilo di efficacia temporale del sopradetto principio derivante dal novellato articolo 76, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, fornendo anche talune istruzioni di carattere operativo, stabilendo che quando l'espropriazione immobiliare abbia ad oggetto l'unico bene di proprietà, non di lusso, ove il contribuente abbia stabilito la propria residenza, «l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell'esecuzione o per iniziativa dell'agente di riscossione» (si veda la sentenza n. 19270 del 12 settembre 2014);
    secondo le alcune proiezioni effettuate sui dati raccolti presso 35 tribunali italiani e relative al quinquennio 2008-2013, pignoramenti ed esecuzioni immobiliari, complice la crisi economica, sono aumentati di circa il 108,1 per cento, percentuale alla quale si deve aggiungere un triste trend positivo pari all'11,6 per cento e relativo all'anno 2014;
    sul versante dei procedimenti di rilascio degli immobili ad uso abitativo, alla luce dei dati riportati nel mese di maggio 2015 dal «Rapporto sugli sfratti in Italia» elaborato con la collaborazione dei Ministeri dell'interno e della giustizia, dei 77.278 provvedimenti esecutivi emessi nell'anno 2014, 69.015 sono attribuibili a morosità. Il raffronto con i dati riferiti all'anno 2013 evidenzia per i provvedimenti di sfratto emessi nel 2014 un trend positivo pari a +5 per cento. Con riferimento agli stessi dati, circa il 41 per cento dei provvedimenti di rilascio emessi nel medesimo anno in tutto il territorio nazionale è riferibile alle province dei grandi comuni come Torino, Milano, Venezia, Verona, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania e Palermo;
    in uno scenario nel quale anche l'emergenza abitativa, accanto alla disoccupazione, risulta essere uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale del Paese, avendo assunto dimensioni allarmanti, soprattutto, come si è visto, nelle grandi aree urbane ove le percentuali di sfratti per morosità incolpevole, riferibili spesso a locazioni di alloggi popolari, arrivano a superare il 90 per cento, anche con il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, (cosiddetto decreto IMU), Governo e Parlamento hanno impresso un'inversione di tendenza sulle politiche della casa, adottando timide ma importanti misure di sostegno all'accesso all'abitazione ed al settore immobiliare, prevedendo l'intervento diretto della Cassa depositi e prestiti attraverso il Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa e l'istituzione di alcuni fondi, tra i quali il fondo di garanzia a copertura del rischio di morosità «incolpevole», con uno stanziamento di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, incrementato di ulteriori 225,92 milioni di euro dal 2014 al 2020 dall'articolo 1, comma 2 del decreto-legge n. 47 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2014, e destinato a sanare quelle condizioni di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo legate alla perdita o alla consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare;
    pertanto, alla morosità, quando involontaria e, quindi, non colpevole è stata riconosciuta rilevanza giuridica con l'istituzione di un fondo ad hoc destinato al finanziamento di percorsi di accompagnamento sociale ma solo riguardo a soggetti sottoposti a sfratto esecutivo che, a causa di sopravvenuta impossibilità, per perdita della capacità reddituale, a provvedere al pagamento del canone locativo. Sarebbe invece auspicabile un intervento normativo che estenda la destinazione delle risorse dello stesso fondo anche per il sostegno di quei proprietari che si sono visti pignorare il proprio immobile adibito ad abitazione principale a causa della loro insolvenza legata ad oggettive e temporanee difficoltà economiche, ed il soddisfacimento dei creditori attraverso la remunerazione degli interessi legati all'eventuale moratoria dei provvedimenti esecutivi, disponendo a tal fine annualmente, in sede di approvazione della legge di stabilità, maggiori risorse finanziarie da destinare al predetto fondo di cui all'articolo 5,comma 6 del decreto-legge n. 102 del 2013;
    con una recente modifica introdotta dal Parlamento al decreto-legge n. 132 del 2014 sulla riforma della giustizia civile, come convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, è stata soppressa l'originaria previsione governativa che era diretta ad introdurre l'obbligo per il giudice dell'esecuzione immobiliare di ordinare la liberazione dell'immobile pignorato nel momento in cui autorizza la vendita, intervento che, essendo volto a conseguire la massima efficacia delle vendite forzate, avrebbe dovuto porre l'immobile pignorato nella situazione di fatto e di diritto il più possibile analoga a quella di un immobile posto in vendita sul libero mercato, liberando in tal modo l'acquirente dalle incertezze legate ai tempi ed ai costi del procedimento di esecuzione per rilascio dell'immobile. Grazie alla soppressione della norma intervenuta in sede di esame parlamentare, il proprietario dell'immobile pignorato potrà pertanto continuare ad occuparlo fino alla data di effettivo perfezionamento della vendita coatta;
    nonostante il sopraddetto quadro normativo, molta strada deve ancora farsi sul piano delle tutele di coloro che, a causa della sopravvenuta incapacità economica ad onorare le loro esposizioni debitorie nei confronti di soggetti privati (banche o terzi), si sono visti pignorare un bene primario quale è la casa di abitazione,

impegna il Governo:

   ad adottare, con riferimento a situazioni di involontaria esposizione debitoria nei confronti di creditori privati da parte di soggetti che versino in condizioni di obiettivo disagio economico, disposizioni normative volte a prevedere:
    a) una sospensione di 12 mesi dei procedimenti di esecuzione immobiliare esecutivi a carico degli immobili adibiti ad abitazione principale, con particolare riguardo a coloro che sono maggiormente esposti a difficoltà economiche e finanziarie ed ai nuclei familiari privi di collocazione abitativa alternativa;
    b) in sede di asta giudiziaria relativa al pignoramento del bene immobile del debitore adibito ad abitazione principale, l'attribuzione per legge allo Stato del diritto di prelazione, anche al fine di garantire alla famiglia vittima del provvedimento esecutivo il diritto a continuare ad abitare, dietro corresponsione di un canone sociale, nell'immobile acquisito dallo Stato, o al fine di destinarlo, se libero, all'edilizia popolare;
   ad assumere iniziative normative volte ad estendere la destinazione delle risorse del sopradetto fondo per la morosità incolpevole, in particolare per il sostegno di quei proprietari che si sono visti pignorare il proprio immobile adibito ad abitazione principale a causa della loro insolvenza legata ad oggettive e temporanee difficoltà economiche, e per il soddisfacimento dei creditori attraverso la remunerazione degli interessi legati all'eventuale moratoria dei relativi provvedimenti esecutivi.
(1-00931)
«Paglia, Scotto, Zaratti, Daniele Farina, Pellegrino, Costantino, Melilla, Nicchi, Zaccagnini».
(2 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il problema delle esecuzioni immobiliari, in un momento di difficoltà economica come quello attuale, è purtroppo sempre più frequente e assume particolare rilevanza per i suoi effetti negativi quando si tratta della casa in cui risiede il debitore e quando è, al contempo, l'unico bene di sua proprietà;
    in questi casi, infatti, neppure la tutela del bene dal pignoramento può essere considerata una misura sufficiente se non è accompagnata da un percorso di sostegno che aiuti il proprietario in difficoltà nel rientro dal debito;
    in tutti gli altri casi, pur essendo l'abitazione un «bene rifugio», per mancanza di liquidità o per debiti può essere oggetto di pignoramento e quindi nei casi di conclamata insolvenza finire all'asta. Va comunque sottolineato che tale circostanza non è sempre risolutiva ai fini della copertura del debito perché nelle aste, nella gran parte dei casi, si registra una forte riduzione del prezzo di vendita e una posizione debitoria che permane comunque difficile per il futuro. Inoltre, nei fatti determina il reale rischio di impoverimento e di esclusione sociale da espropriazione per le famiglie in difficoltà che vengono private della prima casa e permangono in una difficoltà economica;
    il rischio di perdere la casa quale unico bene di proprietà non riguarda oggi solo le aree sociali economicamente più svantaggiate ma si estende a fasce sempre più ampie della popolazione, fino a coinvolgere anche le classi medie per gli effetti della grave crisi economica in essere che ha riflessi sulla riduzione dell'occupazione e sull'aumento del costo della vita. Il disagio abitativo riguarda, sempre più, famiglie impoverite dalla crisi attuale. I dati della Banca d'Italia indicano che una famiglia su tre ha contratto passività finanziarie e che, a causa della riduzione dei redditi provocata dalla crisi economica, le famiglie hanno difficoltà a farvi fronte con conseguente messa a rischio del patrimonio familiare che spesso è la garanzia generale verso i creditori. La recessione in atto ha altresì aggravato la situazione, tanto che il welfare abitativo, nelle sue diverse forme, lascia scoperte quote tendenzialmente crescenti della popolazione, rendendo necessarie misure di urgenza per far fronte alla carenza di alloggi sociali o di edilizia residenziale pubblica;
    la necessità di provvedimenti che favoriscano la disponibilità di edilizia residenziale pubblica è ancor più evidente se si considerano i dati dell'indagine realizzata dalla fondazione Civicum in collaborazione con il Politecnico di Milano sulla politica abitativa in Italia che ha analizzato 15 grandi comuni italiani dove risiedono oltre 7,5 milioni di persone, pari al 13 per cento circa della popolazione e dove gli alloggi di edilizia residenziale pubblica censiti sono oltre 131 mila;
    lo studio evidenzia, anche in tema di edilizia residenziale pubblica, l'Italia a due velocità: al Nord ci sono in media venti alloggi ogni 1000 residenti e un investimento medio di 28 euro per abitante, contro gli 8 alloggi ogni 1000 residenti e i 9 euro per abitante che caratterizzano l'Italia centromeridionale;
    al fine di evidenziare anche l'efficienza gestionale del patrimonio immobiliare pubblico, la ricerca ha preso in esame anche il tasso di occupazione degli alloggi. A parità di numero di case disponibili, infatti, un basso tasso di occupazione è normalmente dovuto all'indisponibilità degli alloggi per interventi di ristrutturazione, a problemi nelle procedure interne per la loro assegnazione o ad occupazione abusive. Ebbene, solo in tre delle città analizzate (Bari, Catanzaro e Pescara) tutti gli alloggi risultano occupati o assegnati. Si tratta, peraltro, di città dove il numero di alloggi disponibili è particolarmente basso rispetto al numero di residenti;
    con il decreto-legge n. 69 del 2013 («decreto del fare»), all'articolo 52, comma 1, lettera g), è stata disciplinata l'interruzione delle procedure esecutive intraprese da Equitalia sugli immobili abitati come prima casa, intervenendo sul decreto del Presidente della Repubblica n.602 del 1973;
    in particolare, con questo intervento legislativo viene di fatto bloccata l'esecuzione esattoriale se l'immobile rappresenta l'unica proprietà del debitore, se è adibito ad abitazione e se lo stesso debitore vi risiede anagraficamente;
    tuttavia, per giurisprudenza consolidata, con alcune recenti sentenze in materia, viene stabilito che l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice esecutore o per iniziativa dell'agente di riscossione, se l'espropriazione immobiliare abbia ad oggetto l'unico bene di proprietà, non di lusso, dove il contribuente debitore abbia stabilito la sua residenza;
    va considerato, in ogni caso, che sospendere ex lege la procedura di esproprio degli immobili presenta profili di incostituzionalità con riferimento al venir meno dei diritti di natura privatistica dei creditori. Pertanto, risulta determinante porre in essere un'efficace politica abitativa di edilizia residenziale pubblica per le fasce sociali deboli e di sostegno economico per le famiglie in grave difficoltà o in stato di insolvenza;
    in particolare, appare necessaria l'elaborazione di un piano pluriennale di offerta di alloggi di edilizia residenziale in favore delle fasce sociali deboli e più esposte alla crisi economica; al contempo, sarebbe opportuno rendere effettivamente utilizzabili le risorse stanziate per il rifinanziamento del fondo di sostegno degli affitti e per la morosità incolpevole;
    in questa direzione il decreto-legge n. 47 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, persegue, fra gli altri, l'obiettivo di affrontare e risolvere l'emergenza abitativa in atto nel Paese; a tal fine, il provvedimento adotta una serie di misure finalizzate, da un lato, a «fornire un sostegno economico alle categorie sociali meno abbienti che oggi non riescono a pagare l'affitto» e, dall'altro, ad «incrementare l'offerta di alloggi in affitto a canone concordato»;
    anche nel 2014 sono aumentati i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari. Secondo i dati dell'Adusbef, infatti, si attestano a 52.606 nel dicembre 2014, con una media di 20 provvedimenti per giorno lavorativo, l'11,6 per cento in più rispetto al 2013. La cifra è ricavata dalle proiezioni sui dati raccolti in 35 tribunali italiani al 30 ottobre 2014. Secondo i dati di Federconsumatori, in 5 anni di crisi (2008-2013), pignoramenti ed esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 108,1 per cento che, tradotto in termini numerici per abitazioni interessate da tali provvedimenti, equivarrebbe alla scomparsa di città di dimensioni pari ad Ancona, Bolzano o Terni;
    l'aumento del numero dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari, malgrado gli interventi legislativi entrati in vigore, ha portato ad un incremento delle richieste di aiuto da parte delle famiglie italiane in difficoltà, che spesso sono costrette a rivolgersi a terzi per cercare di risolvere un problema per loro insormontabile, come la cancellazione del pignoramento sull'immobile o per impedire la svendita della casa pignorata,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità:
    a) di adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a sostenere i nuclei familiari, soprattutto con figli, che siano in situazioni di pignoramento ed esecuzione immobiliare per effetto di condizioni di insolvenza e involontarietà del debitore.
    b) a varare una politica di accordi con le banche per l'individuazione di misure volte ad una gestione dei mutui in sofferenza, con particolare riferimento alle famiglie in situazione temporanea di insolvenza.
    c) a promuovere iniziative volte ad arginare il fenomeno dei pignoramenti degli immobili adibiti ad abitazione principale;
    d) ad adottare iniziative per favorire la disponibilità di risorse economiche finalizzate all'aumento del numero di alloggi di edilizia residenziale pubblica disponibili per le famiglie disagiate, con specifico riferimento a coloro nei confronti dei quali sia stata avviata una procedura esecutiva riferita alla casa di abitazione e con una contestuale semplificazione delle procedure di assegnazione che consentano una riduzione significativa dei tempi relativi agli iter procedurali.
(1-00932)
«Matarrese, Mazziotti Di Celso, Vargiu, D'Agostino, Vecchio, Dambruoso».
(2 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il protrarsi della crisi economica sta mettendo migliaia di persone in condizioni di difficoltà economica e le conseguenti inadempienze in materia di pagamenti costituiscono un fenomeno in rapida espansione, che sta causando un aumento esponenziale delle procedure di pignoramento immobiliare, anche delle prime case di abitazione;
    in moltissimi casi si tratta di cittadini e nuclei familiari che si trovano a dover fronteggiare al contempo la perdita del posto di lavoro, o magari la chiusura di una propria piccola impresa, e le necessità finanziarie derivanti dall'impegno di mantenere una famiglia;
    a partire dal 2010 le procedure di espropriazione forzata sono risultate in costante aumento e nel 2014 hanno superato quota cinquemila;
    la prima casa è il principale patrimonio delle famiglie italiane, primo passo per la sicurezza e la crescita economica e sociale;
    inoltre, la prima casa di proprietà esercita anche una fondamentale funzione di garanzia, qualora il debitore volesse contrarre un prestito per onorare il proprio insoluto, e trovarsela ipotecata, pignorata o, ancora peggio, esserne espropriato, lo priva di un suo fondamentale diritto di libertà;
    appare, pertanto, evidente come, a fronte di una situazione debitoria, se da un lato è certamente giusto che siano soddisfatti i creditori, non si possa, dall'altro, prescindere dall'esigenza di tutelare alcuni beni di primaria importanza, quale la prima casa di abitazione;
    non è ammissibile che una famiglia perda la propria casa, talvolta unico bene reale acquistato con anni di sacrifici, e l'espropriazione della prima casa, oltre a costituire una lesione della sfera più intima delle persone, rappresenta anche un pericoloso fattore di instabilità sociale;
    le procedure per la vendita all'asta, inoltre, determinano una sostanziale perdita di valore del bene, che viene svenduto ad un prezzo largamente inferiore a quello di mercato, a tutto svantaggio del proprietario dello stesso, che, una volta soddisfatti i creditori, si ritrova senza nulla;
    il decreto-legge adottato nel 2013 noto come il «decreto del fare» ha disposto l'impignorabilità sulla prima ed unica casa di abitazione a fronte di debiti contratti con la pubblica amministrazione, mentre ha previsto che per gli altri immobili del debitore l'agente della riscossione possa procedere all'espropriazione immobiliare a fronte di un debito complessivo superiore a centoventimila euro, elevando tale importo rispetto ai ventimila euro originariamente previsti dalla normativa in materia;
    in base alla normativa del 2013 il divieto di espropriazione dell'abitazione principale opera in presenza di quattro condizioni, vale a dire il fatto che si tratti dell'unico immobile posseduto dal debitore, che il fabbricato abbia destinazione catastale abitativa, che non sia accatastato come immobile di lusso e che il debitore abbia nell'abitazione la residenza anagrafica;
    le iniziative sin qui adottate a livello governativo per contrastare l'emergenza nel settore delle abitazioni si sono concentrate in misure spot del Governo, lontane dal rappresentare un approccio strutturale e, quindi, risolutivo alla questione;
    gli strumenti di sostegno al reddito per l'accesso alla prima casa, per sopportare gli oneri connessi al pagamento di un mutuo o di un canone di locazione anche per soggetti investiti dalla crisi sono drammaticamente sotto finanziati e spesso necessitano di una trafila burocratica eccessivamente lunga e complessa;
    con la legge di stabilità per il 2014 è stato disposta la confluenza del fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori titolari di contratti a tempo determinato nel sistema nazionale di garanzia istituito dalla medesima legge, di fatto privando i citati soggetti di uno strumento ad essi appositamente dedicato, risolutivo nell'acquisto della prima casa;
    nel sistema nazionale di garanzia il citato fondo è stato unificato al fondo di garanzia per la prima casa, ma allo stato ancora non risulta neanche essere stata effettuata la stipula di un protocollo d'intesa tra il dipartimento del tesoro e l'Associazione bancaria italiana (Abi) necessario per la sua operatività;
    sotto il versante degli affitti, il fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nel 2013, prevedeva una dotazione iniziale di appena venti milioni di euro per l'anno in corso e nessuno stanziamento per gli anni a venire, e non erano chiari neanche i requisiti necessari per accedere ai suoi finanziamenti;
    il fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, invece, attivo dal 1999, negli ultimi anni non riesce più ad adempiere alle sue finalità, posto che, a fronte di un costante aumento della domanda da parte dei cittadini, le somme disponibili si sono, invece, vieppiù ridotte, passando da 143 milioni di euro per l'anno 2010 a essere del tutto azzerate con la legge di stabilità per il 2012, poi riportate ad appena 30 milioni di euro per il 2015 senza alcuna previsione per il futuro;
    i programmi di edilizia residenziale pubblica, già da anni insufficienti a contrastare la penuria di abitazioni, non riescono in alcun modo a far fronte ai nuovi fabbisogni manifestati da anziani, studenti, disabili, giovani coppie, famiglie monoreddito, nuclei familiari monogenitoriali e sono oltretutto gravati dal fenomeno delle occupazioni illegali, colpevoli di diminuire ulteriormente il numero di alloggi disponibili;
    sin dal luglio del 2013 il gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia ha chiesto un impegno al Governo per una più generale attenzione al sostegno delle politiche abitative;
    occorrerebbe varare un piano di edilizia residenziale pubblica, che consenta di avere un numero di alloggi proporzionato alla richiesta proveniente dalle fasce sociali tradizionalmente più deboli o che versino in una temporanea condizione di sofferenza economica, e contrastare efficacemente il fenomeno delle occupazioni abusive di tali immobili da parte di soggetti che non ne hanno titolo;
    è necessario, altresì, promuovere la conoscenza e migliorare la fruibilità di tutti gli strumenti di sostegno all'abitazione,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative, anche normative, volte a ridurre il fenomeno delle espropriazioni di immobili adibiti ad abitazione principale, prevedendo l'impignorabilità totale della prima casa di abitazione, nonché delle relative pertinenze;
   ad assumere iniziative urgenti volte a sospendere le procedure espropriative relative ad immobili adibiti ad abitazione principale e a stanziare le risorse necessarie al finanziamento di tutti gli strumenti atti a sostenere i soggetti e i nuclei familiari che versino in una condizione di temporanea sofferenza finanziaria, con particolare riferimento a quelli con figli minori e con persone affette da disabilità, al fine di prevenire l'instaurazione di procedure di espropriazione immobiliare a loro carico riferite alla prima casa di abitazione.
(1-00939)
«Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».
(6 luglio 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA IN RELAZIONE ALLA VICENDA DELLA COOPERATIVA «IL FORTETO»

   La Camera,
   premesso che:
    il 19 giugno 2015 il tribunale di Firenze ha inflitto pesanti pene a carico dei vertici, ispiratori e fondatori de «il Forteto», cooperativa agricola all'interno della quale – e alla quale – sono stati affidati, nel corso degli ultimi trenta anni, numerosi minorenni in difficoltà;
    sito in località Mugello, «il Forteto» è sempre stato considerato da Legacoop, dalle istituzioni e dalla sinistra toscana una best practice dal punto di vista non solo produttivo ma anche educativo, al punto da essere associato alla scuola di Don Milani. Si è invece scoperto essere un luogo non di accoglienza ma di sevizie e violenze, fisiche e psicologiche. Una vera e propria setta, articolata formalmente in un'associazione, una fondazione e, appunto, una cooperativa agricola;
    in particolare, il tribunale ha comminato al fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, che si faceva chiamare «il profeta», una pena di 17 anni e mezzo per violenza sessuale e maltrattamenti ai danni di numerosi ragazzi affidati alla comunità, molti dei quali hanno rivissuto i drammi subiti testimoniando davanti alla corte le sevizie. Il suo braccio destro, l’«ideologo» del gruppo, Luigi Goffredi, dovrà scontare 8 anni. Con loro sono state condannate altre 14 persone, con pene che variano da 1 a 8 anni, sulle 23 che erano state mandate a processo. Appare dunque chiaro come sia l'intero «sistema Forteto» ad essere stato sanzionato dai giudici;
    Rodolfo Fiesoli, per il quale il pubblico ministero Ornella Galeotti aveva chiesto una condanna a 21 anni, rimane a piede libero. Il tribunale ha inoltre stabilito provvisionali per 1.260.000 euro immediatamente esecutive a favore delle vittime. In alcuni risarcimenti è obbligata in solido anche la cooperativa agricola;
    la comunità de «il Forteto» si costituisce negli anni Settanta e quasi subito decide di «ritornare alla terra», costituendo una cooperativa agricola all'interno della quale vivere e lavorare. All'interno della comunità la vita è organizzata secondo alcune teorie «parapsicologiche», tra cui quella della «famiglia funzionale» che doveva sostituire la famiglia naturale. Inoltre, uomini e donne – anche se ufficialmente sposati – dovevano vivere separatamente, vi erano momenti serali di «confronto» in cui spesso le persone venivano spinte a «confessare» in pubblico i propri eventuali desideri sessuali e le «provocazioni» messe in atto di conseguenza. Testimoni hanno raccontato di come bambini che sono andati in braccio ad adulti siano stati accusati di essere provocatori. «In quella comunità – ha detto il pubblico ministero Galeotti nella requisitoria – si verificò per anni una sospensione delle leggi dello Stato, attraverso un programma criminale in cui il Fiesoli “rapinava il sesso” ai ragazzini, con la complicità degli altri imputati»;
    Fiesoli e Goffredi erano già stati arrestati e condannati negli anni Ottanta per reati analoghi (maltrattamenti e atti di libidine su minori), ma continuarono le loro attività perché i tribunali per i minorenni non smisero di affidare minori a «il Forteto». Nel 2000 la Corte europea dei diritti dell'uomo sanzionò l'Italia per quanto vi avveniva. Fiesoli venne nuovamente arrestato nel 2011 dopo le accuse di alcune vittime che denunciarono anche lo sfruttamento del lavoro minorile nella cooperativa agricola in cui erano impiegati;
    nonostante i precedenti giudiziari e la condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo, la regione Toscana, così come numerose altre istituzioni locali e nazionali, hanno continuato ad elargire fondi e riconoscimenti a «il Forteto», elogiandone, tra l'altro, i metodi educativi e frequentando e visitando spesso la comunità;
    nel mese di aprile 2013, su richiesta del consiglio regionale toscano, il Ministero dello sviluppo economico ha inviato suoi ispettori a «il Forteto». Nella loro relazione, in cui si chiedeva il commissariamento della cooperativa, si rilevava la «tendenza a confondere le regole ed i principi della “comunità” con il rapporto lavorativo e societario», il che pare avere «condotto gli stessi soci a ritenere “normali” atteggiamenti particolarmente “interferenti” dell'organo amministrativo», tra questi il fatto che molti dei soci avessero inconsapevolmente sottoscritto strumenti finanziari. Nel mese di dicembre 2013 il Ministero dello sviluppo economico sospendeva la procedura di commissariamento chiedendo un supplemento di indagini che, comunque, portava gli ispettori a concludere che «la situazione non appare al momento sostanzialmente mutata». Ciononostante, a luglio 2014, il Governo decideva di non procedere con il commissariamento. Oggi, all'indomani della sentenza di condanna di Fiesoli ed altri, non solo il centrodestra toscano continua a invocare il commissariamento ma anche il sindaco di Firenze, Dario Nardella, si è espresso nello stesso senso, innovando la posizione del Partito Democratico toscano sulla vicenda;
    se la vicenda de «il Forteto» ha trovato una sua definizione nelle aule di tribunale, deve ancora scrivere la sua pagina nera circa le responsabilità politiche e istituzionali di enti locali, giudici, servizi sociali, mondo cooperativo, certi intellettuali e ovviamente di tutti quei politici che nel corso degli anni hanno ignorato o sottovalutato le denunce. Il processo stesso, secondo quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, ha rischiato più volte di arenarsi, tra fascicoli spariti e poi miracolosamente rinvenuti e testimonianze prima rese e poi inspiegabilmente ritrattate;
    per questo, il gruppo parlamentare Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente ha depositato alla Camera dei deputati una proposta di legge recante l’«Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività di affidamento di minori a comunità e istituti», su cui si auspica la più ampia convergenza delle forze politiche, che si faccia carico di raccogliere e tesorizzare le vicende accadute presso la struttura di accoglienza «il Forteto» di Firenze affinché, anche alla luce di quanto riportato dalla commissione regionale d'inchiesta istituita sui medesimi fatti, si possano colmare le lacune e le smagliature legislative a livello nazionale e si possa avviare un'indagine su tutto il territorio nazionale circa la bontà delle attività delle altre strutture, comunità e istituti d'accoglienza dei minori,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni opportuna iniziativa di propria competenza volta ad accertare e definire le responsabilità e le manchevolezze politiche ed istituzionali che negli anni hanno portato alla prosecuzione degli affidi di minori, nonostante gli arresti e le condanne inflitte ai due fondatori negli anni Ottanta per reati analoghi (maltrattamenti e atti di libidine con i minori ospiti) e nonostante la sanzione inflitta all'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per quanto avveniva nella comunità, anche in raccordo con tutte le iniziative intraprese in tal senso e richiamate in premessa;
   a verificare con urgenza la sussistenza dei presupposti per la nomina di un commissario che gestisca la cooperativa agricola in modo tale da dissociarla completamente dalla precedente gestione e dall'associazione e dalla fondazione «il Forteto», di cui sono tutt'ora parte tutti i condannati e in generale il gruppo dei fondatori, al fine anche di pervenire al più presto al pagamento delle provvisionali a favore delle vittime.
(1-00922)
«Bergamini, Brunetta, Carfagna, Brambilla, Prestigiacomo, Picchi, Palese».
(24 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    «il Forteto» è considerata una delle principali comunità toscane di recupero per minori disagiati;
    la cooperativa agricola, «il Forteto», fondata nel 1977 nella azienda agricola di Bovecchio, comune di Barberino di Mugello (Firenze), negli ultimi mesi è stata al centro di una vicenda giudiziaria per abusi sessuali e maltrattamenti anche su minori e bambini presi in affido, costretti a lavori durissimi, punizioni corporali e abusi sessuali;
    Rodolfo Fiesoli detto il «profeta», insieme al cofondatore Luigi Goffredi, si avvalevano di falsi titoli di studio come quello in psicologia, nel 1985 furono processati e condannati ad una pena di reclusione per maltrattamenti aggravati ed atti di libidine nei confronti degli ospiti della comunità;
    nonostante questi gravissimi capi di imputazione nel 1997 Fiesoli risultava ancora a capo della comunità e, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo fatto ancora più grave, il tribunale avrebbe continuato ad affidare minori alla struttura, di cui se ne contano almeno 60 fino al 2009;
    nel 1975 inizia l'esperienza della «Comune del Forteto», progetto basato su una proposta di comunità agricola produttiva caratterizzata da una totale promiscuità sessuale fra i suoi partecipanti. A rivestire il ruolo di leader è Rodolfo Fiesoli, coadiuvato da Luigi Goffredi, entrambi coinvolti, sin dalla fine degli anni Settanta, in un'inchiesta penale per supposti atti di zoofilia e pedofilia commessi all'interno della cooperativa;
    il 30 novembre 1978 Rodolfo Fiesoli viene arrestato su richiesta del giudice Carlo Casini che aveva aperto un procedimento per abusi sessuali ne «il Forteto»;
    il 1o giugno 1979 Fiesoli lascia il carcere per tornare alla comune «il Forteto» dove, lo stesso giorno, affidato dal tribunale dei minori, giunge il primo bambino down e il presidente del tribunale, Giampaolo Meucci, grande amico di don Milani, afferma di non credere nell'indagine del giudice Casini e di ritenere «il Forteto» una comunità accogliente e idonea;
    nel 1982 la cooperativa acquista una proprietà di circa cinquecento ettari nel comune di Dicomano (Firenze) e vi si trasferisce. L'azienda continuerà a prosperare per diventare oggi un'azienda con un fatturato da 18-20 milioni di euro all'anno, con circa 130 occupati;
    nel 1985 viene emessa la sentenza di condanna per Luigi Goffredi e Rodolfo Fiesoli. Fiesoli viene condannato a due anni di reclusione per maltrattamenti nei confronti di una ragazza a lui affidata, atti di libidine violenta e corruzione di minorenne;
    dalla sentenza emerge «istigazione da parte dei responsabili del Forteto alla rottura dei rapporti tra i bambini che erano loro affidati e i genitori biologici»;
    nel 1998 la Corte europea dei diritti dell'uomo riceve la richiesta di ricorso contro l'Italia e, in particolare, contro l'operato del tribunale dei minori di Firenze, da parte di due madri con doppia cittadinanza, italiana e belga, cui il tribunale per i minorenni di Firenze aveva imposto di interrompere ogni relazione con i rispettivi figli, collocati presso la comunità «il Forteto». Le donne, inoltre, denunciarono trattamenti violenti e inumani nei confronti dei minori, con una scolarizzazione pressoché inesistente;
    il 13 luglio 2000 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per l'affidamento alla comunità dei due bambini, a pagare una multa di 200 milioni di lire come risarcimento dei danni morali;
    20 dicembre 2011 Rodolfo Fiesoli viene arrestato con l'accusa di atti di pedofilia commessi all'interno della cooperativa;
    nella relazione finale della commissione d'inchiesta della regione Toscana (15 gennaio 2013) vengono elencati i nominativi dei politici che a livello locale e nazionale, nonché magistrati e professionisti, avevano frequentazioni con la comunità «il Forteto»;
    nella relazione della commissione d'inchiesta della regione Toscana sull'affidamento dei minori sopra citata si legge quanto segue: «Per fornire un'idea di massima del fenomeno tentiamo di ricostruire dalle testimonianze ascoltate un elenco dei personaggi che, a vario titolo e con differenti modalità, passano al Forteto109: Edoardo Bruno, Piero Fassino, Vittoria Franco, Francesca Chiavacci, Susanna Camusso, Rosi Bindi, Livia Turco, Antonio Di Pietro, Tina Anselmi, Claudio Martini, Riccardo Nencini, Paolo Cocchi, Michele Gesualdi (presidente della provincia di Firenze), Stefano Tagliaferri (ex presidente della comunità montana del Mugello), Alessandro Bolognesi (sindaco di Vicchio), Livio Zoli (sindaco di San Godenzo e Londa), Rolando Mensi (sindaco di Barberino di Mugello). E poi i magistrati del tribunale per i minorenni di Firenze, a cominciare dai presidenti che si sono succeduti (Francesco Scarcella, Piero Tony, Gianfranco Casciano), dal sostituto procuratore Andrea Sodi, i giudici Francesca Ceroni e Antonio Di Matteo e il giudice onorario Mario Santini. Frequenta “il Forteto” Liliana Cecchi, allora presidente dell'Istituto degli Innocenti di Firenze, ma anche molti medici tra cui Roberto Leonetti (responsabile dell'unità funzionale salute mentale infanzia-adolescenza per la zona Mugello). Non mancano i professionisti: volti noti come i giornalisti Rai Betty Barsantini e Sandro Vannucci, ma anche avvocati come Elena Zazzeri, presidente della camera minorile di Firenze.»;
    dalla relazione della commissione, emerge inoltre che la comunità ha ottenuto, dal 1997 al 2010, contributi per 1 milione e 200 mila euro mentre, in data 3 maggio 2013, l'europarlamentare Morganti avrebbe chiesto l'intervento della Commissione europea sul caso «il Forteto» «perché sembrerebbe che questa comunità degli orrori abbia ricevuto finanziamenti provenienti da Fondi europei, sia perché ci troviamo di fronte ad una palese violazione dei diritti dei minori previsti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea»;
    il quotidiano il Giornale del 16 maggio 2013, all'interno di un articolo dedicato alla comunità di cui sopra, riporta: «E l'omosessualità, la pedofilia, per bambini e bambine. Pratiche tollerate e incentivate: “Un percorso obbligato verso quella che veniva definita liberazione dalla materialità”, in cui “i minori diventavano prede e ciò avveniva non solo con il consenso collettivo, ma anche con quello dei genitori affidatari presenti in comunità”. È scritto nella relazione finale della commissione d'inchiesta del consiglio regionale (presidente Stefano Mugnai, PdL, vice Paolo Bambagioni, Pd) che ha fatto luce sul sistema di affidamento dei minori in Toscana.»;
    in data 17 agosto 2013 il Ministero dello sviluppo economico ha redatto una relazione conclusiva sui profili amministrativo-gestionali della cooperativa agricola «il Forteto», chiedendo il commissariamento della stessa. Commissariamento ritenuto indispensabile a causa della pesante ed invasiva commistione tra la comunità di Rodolfo Fiesoli e la cooperativa «il Forteto» laddove, indicano i commissari ministeriali, tra cooperativa e comunità esiste «un legame imprescindibile» e una «tendenza a confondere le regole e i principi della “comunità” con il rapporto lavorativo e societario della cooperativa», rilevando altresì che tutto «viene delegato ai capi ed i soci vengono lasciati all'oscuro persino dei propri diritti»; con l’«inconsapevolezza riferita da alcuni soci interrogati di aver sottoscritto atti importanti, come ad esempio titoli obbligazionari o altri strumenti finanziari, nella completa ed acritica fiducia nei confronti dei proponenti, senza la reale conoscenza di ciò che stavano sottoscrivendo», concludendo con l'allarmante constatazione, secondo la quale la comunità Il Forteto «non appare dotata di strumenti normativi (...) che tutelino e/o garantiscano i diritti di eventuali “ospiti” disadattati e/o minori»;
    in data 23 agosto 2013, l'assemblea della cooperativa si è espressa in senso favorevole alla proposta di controdeduzioni formulata dal consiglio di amministrazione in relazione al verbale di revisione degli ispettori ministeriali, con 65 soci favorevoli, 9 contrari e 3 astenuti su 102;
    tale decisione di respingimento della richiesta di commissariamento è stata corredata da un comunicato nel quale il presidente affermava che «la cooperativa il Forteto in questi mesi è stata spesso impropriamente coinvolta su argomenti e fatti come gli affidamenti dei minori per i quali è assolutamente da sempre estranea», considerazione, questa, in apparente contraddizione con una cospicua documentazione ufficiale attestante l'effettiva assegnazione negli anni dei minori da parte del tribunale alla stessa cooperativa agricola;
    il 17 giugno 2015, la sentenza di primo grado ha fissato una condanna a 17 anni e mezzo di reclusione per il «profeta» e fondatore della comunità Rodolfo Fiesoli ma, in attesa del terzo grado di giudizio, non andrà in carcere,

impegna il Governo:

   ad avviare ogni iniziativa di competenza al fine di accertare le motivazioni e le eventuali responsabilità politiche e istituzionali per cui la comunità «il Forteto», anche a seguito della condanna di Fiesoli per abusi sessuali e maltrattamenti, abbia successivamente ottenuto decine di minori disagiati in affidamento;
   ad attivare con urgenza tutte le procedure finalizzate all'eventuale commissariamento della cooperativa agricola al fine di separare nettamente la sua attività dalla precedente gestione e dall'associazione e dalla fondazione «il Forteto», di cui sono tuttora parte tutti i condannati e in generale il gruppo dei fondatori, al fine anche di pervenire al più presto al pagamento delle provvisionali a favore delle vittime.
(1-00936)
«Cozzolino, Bonafede, Gagnarli, Nuti, Toninelli, Cecconi, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Ferraresi, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Sarti».
(3 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    ha suscitato scandalo e preoccupazione la tristemente famosa vicenda de «il Forteto», alla quale per trent'anni il tribunale dei minori di Firenze ha affidato i bambini in difficoltà;
    il processo si è concluso con le condanne alla reclusione di Rodolfo Fiesoli a 17 anni e mezzo, Luigi Goffredi a 8 anni, Daniela Tardani a 7 anni, Francesco Bacci a 3 anni e 6 mesi, Angela Maria Bocchino a 1 anno, Mariella Consorti a 3 anni e 6 mesi, Marida Giorgi a 1 anno, Silvano Montorsi a 3 anni e 6 mesi, Stefano Pezzati a 4 anni e 6 mesi, Gianni Romoli a 3 anni, Stefano Sarti a 3 anni, Elisabetta Sassi a 3 anni, Luigi Serpi a 4 anni e 6 mesi, Francesca Tardani a 3 anni e 6 mesi, Elena Maria Tempestini a 3 anni e 6 mesi, Mauro Vannucchi a 4 anni e 6 mesi;
    dal processo è emerso il fatto che erano usuali e reiterati gli atti di violenza e di maltrattamenti ai danni dei bambini, garantiti dall'omertà e dal silenzio di chi conosceva i fatti, tra cui si segnalano particolarmente gli psichiatri e gli assistenti sociali, i quali hanno commesso ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo numerosissime disattenzioni;
    appaiono particolarmente gravi, poi, l'appoggio entusiasta e i reiterati e generosi finanziamenti forniti dalle amministrazioni locali grazie ai quali la cooperativa agricola è divenuta una «potenza economica»;
    Rodolfo Fiesoli, detto «il profeta», «capo spirituale della comunità», è il principale responsabile degli abusi sessuali e maltrattamenti perpetrati nella struttura. Daniela Tardani si è invece distinta, oltre che per maltrattamenti e violenza sessuale, anche per aver assistito agli abusi compiuti dal «profeta» su un ragazzo che era stato affidato con il pretesto risultato consueto di liberarlo dalla «materialità»;
    per descrivere la gravità del fatto, si citano le parole del pubblico ministero secondo la quale: «Per alcuni decenni in Toscana si è verificato un fenomeno rispetto al quale le leggi dello Stato hanno subito una sospensione»;
    dispiace il fatto che la segnalazione fatta dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo e da altri colleghi più volte al Governo in atti di sindacato ispettivo, con la proposta di commissariamento per la cooperativa agricola, sia rimasta lettera morta;
    il fenomeno disgustoso, ma «normale», verificatosi a «il Forteto», i cui contorni appaiono molto più gravi di quanto emerso dal processo grazie al quale si sono avute conferme dei dubbi e delle preoccupazioni, si inserisce nella più ampia e poco trasparente vicenda dei bambini in casa famiglia. Purtroppo, in moltissimi casi, gli affidamenti sono considerati un mero business perché hanno un giro di affari pari a un miliardo di euro all'anno: sono infatti ventimila i minori ospiti di queste strutture; occorre sperare che non vi siano troppe altre strutture ove si praticano i «trattamenti» che hanno caratterizzato il caso «il Forteto»;
    al di là dei gravissimi episodi di abusi sessuali, vi è una cinica consuetudine a trasformare il dolore dei bimbi in «affare economico»: essa è semplice e consiste nel prolungare i tempi di permanenza dei bimbi nelle strutture, facendo sì che solo un piccolo su cinque sia affidato a coppie in attesa;
    ciò spiega anche il perché migliaia di coppie restino in biblica attesa prima che le pratiche per l'adozione o l'affido si sblocchino. Naturalmente, ci sono anche altri fattori che incidono, la maggior parte dei quali legati alle lungaggini e alle complicazioni burocratico-giudiziarie;
    è illegale e immorale lucrare sulla pelle di migliaia di bambini e adolescenti che provengono da situazioni difficili, molto spesso drammatiche, tutte situazioni che vanno ben oltre la soglia della decenza e della dignità umana. Ci si riferisce, in particolare, ai casi più estremi che purtroppo sono diffusissimi, cioè ai ragazzi maggiorenni che usciti dagli istituti non sanno dove andare. Una cosa del genere non dovrebbe essere più tollerata perché rappresenta l'esatta negazione della funzione delle case famiglia, la rappresentazione spietata di come l'obiettivo di una struttura di accoglienza, la quale dovrebbe essere un luogo di transito, una specie di oasi di pace temporanea in attesa dell'affido, sia divenuta invece il suo contrario. Ci sono casi particolarmente esecrabili come «il Forteto», ma in generale lo scandalo è rappresentato dal modo con cui i minori vengono «assistiti» dalle strutture che dovrebbero garantire loro benessere. Si trovano invece prigionieri in luoghi insicuri e inefficienti. E ciò è frutto di una scelta che favorisce e consente abusi e illeciti arricchimenti da parte di chi invece dovrebbe seguire solo l'interesse dei bambini e quello generale e non il proprio;
    la carenza dei controlli sui luoghi dove i bambini vengono ospitati è poi imbarazzante oltre che in contrasto con le leggi. Eppure esistono centinaia di enti e associazioni no profit che avrebbero il compito di rilevare la statistica esatta del numero dei bambini in attesa e degli adottandi-affidandi e le condizioni nelle quali vivono; essi dovrebbero contribuire a prevenire casi quali quelli accaduti a «il Forteto». Al contrario di quanto dovrebbe essere normale, nessuno è in grado di fornire numeri esatti con il risultato che ancora oggi non esiste un monitoraggio attendibile;
    medesima carenza è rilevabile anche sul fronte delle verifiche perché lo Stato paga le comunità ma nessuno chiede alla comunità una giustifica delle spese. Sarebbe utile che per ogni casa-famiglia si rendessero pubbliche le modalità con cui vengono utilizzati i fondi: quanto per il cibo, quanto per il vestiario, quanto per gli psicologi o le varie attività. Il punto dolente consiste nel fatto che, in assenza di informazioni, i bambini vivono in questi posti senza che nessuno si occupi realmente della loro crescita morale e materiale, con grave danno per la loro istruzione e socializzazione. Non crescono, non vivono la vita, non incontrano amici, non fanno sport né gite;
    il numero di bambini senza famiglia è oscillato negli ultimi anni tra i 15 mila e i 20 mila. Oggi sembra essersi assestato intorno alla sua punta massima. Ma il controllo dei «flussi» è un problema legato anche alla sicurezza, come purtroppo emblematicamente dimostrato dal caso «il Forteto», «punta di diamante» per i fatti di adescamento e pedofilia che sono molto più diffusi di quanto non si immagini e non certo limitati a «il Forteto»;
    vi è poi un problema di competenze. Sull'infanzia ci sono troppe competenze divise tra vari Ministeri con il risultato che, non essendoci un unico soggetto che si occupi di infanzia abbandonata, si finisce per trovarsi di fronte una nebulosa in mezzo alla quale si capisce poco e niente;
    gli orfanotrofi non sono ancora scomparsi del tutto. Alcuni sono stati convertiti in case-famiglia: esistono anche due o tre comunità nello stesso edificio. Una per piano. Poi vi sono le altre storture. Nel libero mercato delle comunità per minori abbandonati c’è chi, per essere competitivo, abbatte la diaria giornaliera fino a ridurla a circa 30 euro. Teoricamente più sono bassi i costi, più bambini si riesce a far confluire nella struttura attraverso l’input dei servizi sociali che, a cascata, agiscono su indicazione del tribunale;
    altra nota dolente proviene dai tribunali, ove si accumulano migliaia di fascicoli relativi a famiglie disagiate con a carico almeno un minore. I magistrati non riescono a fare fronte alle pratiche perché i ragazzi raramente sono seguiti. La maggior parte, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono «parcheggiati» in un «posto» senza che nessuno segua davvero i loro bisogni, le loro esigenze e la loro educazione;
    le storie che vengono a galla, a cominciare da «il Forteto», compongono un campionario pauroso. Le case-famiglia dovrebbero essere una risorsa importante per il reinserimento del minore, ma la permanenza di un bambino dovrebbe essere caratterizzata dalla massima cura e dovrebbe rispondere a un unico criterio: trovargli il prima possibile una collocazione familiare;
    sarebbe pertanto opportuno predisporre un monitoraggio dell'intero sistema degli istituti denominati casa famiglia, al fine di prevenire abusi e reati che hanno connotato la vicenda in questione, a partire da quanto contenuto nella proposta di inchiesta parlamentare presentata il 23 gennaio del 2014 (Doc. XXII n. 20 del 23 gennaio 2014). Sarebbe inoltre opportuno predisporre le necessarie ed opportune modifiche legislative in materia al fine di razionalizzare e rendere efficaci, efficienti e maggiormente economici gli interventi a sostegno dell'infanzia, oltre che per prevenire i reati descritti in premessa, poiché le iniziative pubbliche che tali istituzioni devono perseguire devono ispirarsi al bene dei bambini, al contrario di quanto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, avviene nella situazione attuale nella quale potrebbero apparire come «esche» per realizzare illegali e socialmente pericolosissimi sfruttamenti,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza per il controllo della cooperativa «il Forteto» affinché possa essere restituita alla destinazione originaria, accertando le responsabilità politiche al riguardo.
(1-00937)
«Bechis, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».
(6 luglio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il 17 giugno 2015 il tribunale di Firenze, al termine di un processo durato venti mesi, ha emesso una sentenza di primo grado a carico di sedici persone per abusi sessuali e maltrattamenti su bambini e su adulti con disagi psichici affidati alla comunità «il Forteto»;
    il fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, è stato condannato a diciassette anni e mezzo di reclusione e il suo braccio destro e «ideologo» della comunità, Luigi Goffredi, a otto anni di carcere;
    la comunità «il Forteto», fondata a La Querce (Prato) nel 1977 con l'obiettivo di essere una comunità produttiva e alternativa alla famiglia tradizionale, attualmente è attiva nel comune di Vicchio, in provincia di Firenze;
    negli anni, secondo la stessa sentenza ma anche secondo quanto accertato con relazione unanime dalla commissione d'inchiesta regionale istituita sul caso, al Forteto sono avvenute atrocità di ogni genere;
    Fiesoli, oltre ad aver picchiato e costretto minori presi in affidamento a rapporti sessuali, induceva all'omosessualità, teorizzando la separazione fra uomini e donne, e, di fatto, stravolgeva i modelli familiari, allontanando i bimbi affidati in via temporanea dai genitori naturali attraverso un vero e proprio lavaggio del cervello;
    una «setta» in piena regola che negli anni ha continuato ad ottenere tribunale per i minorenni l'affidamento di minori con gravi problemi, nonostante Fiesoli e il suo «ideologo» Luigi Goffredi avessero già subito una sentenza definitiva per reati simili a quelli a cui sono stati condannati recentemente;
    già nel 1985, infatti, Fiesoli era stato condannato in via definitiva a due anni di carcere per atti di libidine violenta e corruzione di minorenne e maltrattamenti, ma ciononostante il tribunale per i minorenni ha proseguito con gli affidamenti di minori alla sua comunità;
    nel 1979, proprio al rientro di Fiesoli in comunità dopo aver trascorso cinque mesi in carcere nell'ambito della prima inchiesta condotta a suo carico per abusi e maltrattamenti, il giudice Gian Paolo Meucci ha disposto l'affidamento allo stesso Fiesoli di un bambino di tre anni affetto da sindrome di down;
    la teoria della «famiglia funzionale» prevedeva l'affidamento a genitori non sposati che non fossero neanche coppie di fatto: la famiglia si costituiva appositamente e artificiosamente per accogliere i minori;
    i controlli che i servizi sociali in tutti questi anni avrebbero dovuto, in base alle disposizioni vigenti, effettuare sulla e nella comunità non sono riusciti ad impedire il perpetrarsi degli abusi;
    già dalla fine degli anni ’70 alcuni genitori, i cui figli erano affidati al Forteto, avevano avuto dei sospetti sulla gestione della comunità e sui metodi adottati, ma tutte le segnalazioni sono passate senza essere verificate;
    nel frattempo Fiesoli e Goffredi partecipano a convegni, presentazioni di libri ed eventi, portati ad esempio nelle più importanti sedi istituzionali e il comune di Vicchio aveva anche nominato Fiesoli nel consiglio di amministrazione dell'istituzione culturale «Centro documentazione don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana», incarico ricoperto fino al suo arresto nel dicembre 2011;
    nel 2000 l'Italia è stata condannata al pagamento di duecento milioni di lire dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, in seguito all'accoglimento di un ricorso sull'affidamento di due fratelli al Forteto;
    nella sentenza si rilevavano proprio le gravi anomalie negli affidamenti e i mancati controlli dei servizi sociali ma anche dopo di essa gli affidamenti sono proseguiti;
    nei decenni della sua attività la regione Toscana, così come numerose altre istituzioni locali e nazionali, hanno continuato ad elargire fondi e riconoscimenti al Forteto, elogiandone i metodi educativi e frequentando e visitando spesso la comunità;
    Fiesoli era stato nuovamente arrestato nel 2011 dopo le accuse di alcune vittime, che questa volta comprendevano anche denunce per lo sfruttamento del lavoro minorile nella cooperativa agricola in cui erano impiegati;
    inoltre, nell'ambito del recente processo di primo grado innanzi al tribunale di Firenze, molti testimoni che erano o erano stati soci della cooperativa «il Forteto» hanno denunciato gravi anomalie nella gestione dei contributi sociali e previdenziali, nella gestione dei giorni di riposo e delle ferie e nella gestione dei casi di disoccupazione;
    invero, durante una prima verifica ministeriale svolta il 10 agosto 2013 gli ispettori Lorenzo Agostini e Fabio Fibbi avevano già sottoscritto un verbale nel quale denunciavano simili contraddizioni e irregolarità, chiedendo il commissariamento della cooperativa;
    l'attuale sindaco di Firenze e della città metropolitana Dario Nardella, in una recente intervista a Lady radio, si è espresso favorevolmente al commissariamento della comunità, dichiarando: «farò la mia parte affinché il Governo e il Ministro Poletti in particolare si possano attivare, prevedendo tutte le misure coercitive possibili, soprattutto quelle tese a non far ripetere quanto è successo. Non sono mai stato contrario ad attivare un canale con il Governo»;
    tutt'oggi al Forteto vivono molti dei condannati, il management non si è sufficientemente rinnovato e molti uomini vicini a Fiesoli hanno ancora incarichi di potere all'interno della cooperativa;
    lo stesso Fiesoli, non sussistendo più le misure cautelari, potrebbe tornare in qualsiasi momento al Forteto, continuando ad arrecare danno alla comunità e mettendo in pericolo tutti i ragazzi ad essa ancora affidati;
    gli intrecci tra la cooperativa, l'ambiente politico e i magistrati ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non sono ancora stati chiariti;
    in una puntata della trasmissione televisiva Porta a porta del 2002, allestita prendendo spunto dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, Bruno Vespa ebbe modo di affermare che non aveva «mai subito tante pressioni per non occuparci di questa vicenda del Forteto. Pressioni quotidiane, che sono avvenute con una sistematicità che francamente ci ha sconcertati»;
    in una recente intervista il magistrato Piero Tony, presidente del tribunale per i minorenni di Firenze dal 1999 al 2006, con riferimento al caso dell'affidamento a Fiesoli del bambino down nel 1979, quando era appena uscito dal carcere, disposto dall'allora presidente del tribunale per i minorenni Giampaolo Meucci, ha affermato che «probabilmente fu possibile per l'imperare di quella cultura cattolica di sinistra, allora molto forte proprio a Firenze. Ma è anche altrettanto vero che Meucci e con lui buona parte dell'opinione pubblica non credette mai che la verità processuale uscita da quella vicenda corrispondesse alla verità reale»;
    è evidente che con riferimento al caso del Forteto ha completamente fallito la filiera dei controlli, sia quelli sulla struttura, che avrebbero dovuto essere svolti dai servizi sociali, sia quelli sugli stessi affidamenti, dei quali erano incaricati i singoli giudici tutelari;
    durante la requisitoria finale del processo appena concluso il pubblico ministero ha affermato che «per un lungo periodo al Forteto le leggi dello Stato hanno subito una sospensione per colpa di un'azione criminale»,

impegna il Governo:

   ad assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza finalizzata al commissariamento della cooperativa «il Forteto», all'interno della quale ancora risiedono molti dei soggetti condannati nel citato procedimento giudiziario;
   a promuovere un'ispezione presso la cooperativa «il Forteto» al fine di verificare eventuali irregolarità nei versamenti dei contributi sociali e previdenziali, nella gestione dei giorni di riposo e delle ferie, nella gestione dei casi di disoccupazione e quantificarne l'ammontare ed eventualmente ad assumere le conseguenti iniziative di competenza;
   ad assumere iniziative volte a salvaguardare i livelli occupazionali della cooperativa «il Forteto», realtà con quasi centocinquanta soci e un centinaio di dipendenti, che nel 2014 ha fatturato oltre diciotto milioni di euro.
(1-00938)
«Rampelli, Giorgia Meloni, Totaro, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela».
(6 luglio 2015)