TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 452 di Mercoledì 1° luglio 2015

 
.

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla XI Commissione (Lavoro):
ALBANELLA ed altri: «Modifiche agli articoli 1 e 3 della legge 5 gennaio 1953, n. 4, in materia di consegna dei prospetti di paga ai lavoratori». (2453)
(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A SOSPENDERE LE PROCEDURE DI ESPROPRIAZIONE RELATIVE AD IMMOBILI ADIBITI AD ABITAZIONE PRINCIPALE

   La Camera,
   premesso che:
    secondo uno studio di Accord, servizio di consulenza e mediazione, nel 2014 i casi di pignoramenti e le esecuzioni immobiliari sono stati 5.500, con un incremento a dicembre del 2014 dell'11 per cento rispetto al 2013. Secondo Accord, i primi 10 giorni del 2015 confermano un trend in crescita, tanto che le case pignorate potrebbero superare quota centomila nello spazio di pochi mesi. L'impennata dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari ha portato ad un incremento delle richieste di aiuto da parte delle famiglie italiane, che si rivolgono a un soggetto terzo in grado di risolvere un problema per loro insormontabile, come la cancellazione del pignoramento sull'immobile, o per impedire la svendita della casa pignorata;
    occorre tutelare espressamente chi rischia di perdere la prima casa poiché in Italia le politiche abitative sono pressoché nulle. Ad esempio, a Genova sono quasi 4000 le famiglie in difficoltà in lista per un alloggio di edilizia residenziale pubblica e il patrimonio edilizio attualmente a disposizione degli enti non è neanche lontanamente sufficiente a soddisfare la richiesta. La situazione non cambia nelle altre città italiane,

impegna il Governo:

   ad assumere immediate iniziative normative che prevedano, fuori dei casi già previsti dalla legge, la sospensione per trentasei mesi della procedura espropriativa immobiliare al ricorrere congiunto delle seguenti condizioni:
    a) che l'immobile sia l'unica abitazione adibita ad abitazione principale dal debitore esecutato;
    b) che altri componenti del nucleo familiare del debitore, con lui residenti secondo le risultanze dei registri anagrafici nel medesimo immobile alla data della notifica dell'atto di pignoramento, non siano in atto proprietari o titolari di diritti reali di godimento su altri immobili adibiti a civile abitazione e situati entro 150 chilometri dal comune di residenza e che inoltre, negli ultimi tre anni, non abbiano ceduto a terzi diritti su altri immobili;
    c) che il valore dell'immobile sia inferiore a 300.000,00 euro tranne che per gli immobili ricadenti nei comuni di Roma, Milano, Torino, Bologna, Venezia e Firenze per cui detto limite è pari a 400.000,00 euro, facendo sì che il valore dei fabbricati, ai fini di quanto disposto dalla presente lettera, sia calcolato in misura pari all'importo stabilito ai sensi dell'articolo 52, comma 4, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e successive modificazioni, moltiplicato per tre, e che, qualora non sia possibile determinare il valore in conformità a quanto previsto dalla presente lettera, il valore sia determinato ai sensi dell'articolo 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni;
    d) che l'immobile non sia sottoposto a sequestro e a confisca in attuazione della legislazione contro la criminalità organizzata;
   ad assumere iniziative per prevedere, al contempo, l'istituzione di un fondo, con dotazione annua di almeno dieci milioni di euro, per la remunerazione degli interessi ai creditori la cui procedura esecutiva immobiliare sia stata oggetto di sospensione ex lege che remuneri i creditori ad un tasso di interesse dello 0,5 per cento annuale sul credito vantato, con la previsione che potranno accedere a tale fondo solo i creditori, muniti di titolo esecutivo, che abbiano proceduto a pignoramento ovvero sia intervenuti, a norma dell'articolo 551 del codice di procedura civile, nell'espropriazione immobiliare de quo.
(1-00921) «Colletti, Ferraresi, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Sarti, Sibilia».
(24 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 52, comma 1, lettera g), del decreto-legge n. 69 del 2013, meglio conosciuto come «decreto del fare», ha novellato l'articolo 76, comma 1, del decreto del Presidente n. 602 del 1973, disciplinando l'interruzione delle procedure esecutive sugli immobili adibiti a «prima casa», intraprese da Equitalia;
    in base alla nuova disposizione, per bloccare le esecuzioni esattoriali, gli immobili devono rappresentare gli unici di proprietà del debitore, nonché devono essere adibiti ad uso abitativo e il contribuente vi deve risiedere anagraficamente;
    a seguito di un ricorso, avverso una sentenza, del tribunale di Milano che aveva accolto l'opposizione all'esecuzione immobiliare esattoriale avanzata da un contribuente nei confronti di Equitalia spa, avverso il pignoramento dell'usufrutto vitalizio di un appartamento, già adibito a casa coniugale, la terza sezione civile della Corte di cassazione con sentenza 12 settembre 2014, n. 19270, pur dichiarando inammissibile il ricorso per carenza di interesse, essendo intervenuta la richiamata norma, ha chiarito ulteriormente i confini di efficacia temporale di tale disciplina, stabilendo che la novella introdotta dal decreto-legge n. 69 del 2013 in materia di espropriazione della prima casa quando a procedere sia Equitalia, risulta applicabile ad ogni procedimento di esecuzione in corso, pure se intrapreso prima dell'emanazione della novella citata;
    nella sentenza, inoltre, la Corte di cassazione ha precisato che quando l'espropriazione immobiliare abbia ad oggetto l'unico bene di proprietà, non di lusso, ove il contribuente abbia stabilito la propria residenza, «l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell'esecuzione o per iniziativa dell'agente di riscossione»;
    la Corte di giustizia europea, con la sentenza del 10 settembre 2014, III sezione causa C-34/13, ha stabilito, ai sensi della direttiva 93/13/CEE relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, che, qualora la banca o istituto finanziario che sia abbia fatto firmare clausole abusive, l'ipoteca è nulla ed il pignoramento (come la successiva vendita all'asta) debbano essere bloccate, facendo di fatto prevalere il diritto all'abitazione nel caso di applicazione di clausole vietate dall'Unione europea. Le clausole abusive previste dalla direttiva 93/13/CEE, sono quelle che, malgrado il requisito della buona fede, determinano, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto;
    il fondo di solidarietà per i mutui prima casa istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, che consente la sospensione, fino a 18 mesi, del pagamento dell'intera rata del mutuo per l'acquisto dell'abitazione principale, non interviene nel caso in cui sia stata avviata da terzi una procedura esecutiva sull'immobile ipotecato e comunque prevede una serie di requisiti per il suo accesso che escluderebbe una vasta platea di interessati: la sospensione del pagamento della rata di mutuo, infatti, è subordinata al verificarsi di almeno uno dei seguenti eventi, relativi alla sola persona del mutuatario, intervenuti successivamente alla stipula del contratto di mutuo e accaduti nei tre anni antecedenti alla richiesta di ammissione al beneficio:
     a) cessazione del rapporto di lavoro subordinato, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa, con attualità dello stato di disoccupazione;
     b) cessazione dei rapporti di lavoro di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa, con attualità dello stato di disoccupazione;
     c) morte o riconoscimento di handicap grave, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero di invalidità civile non inferiore all'80 per cento;
    nonostante l'intervento delle norme e della giurisprudenza citate, cresce il numero di italiani che stanno perdendo la propria ed unica abitazione, per motivi collegati alla crisi (perdita del posto di lavoro, aumento del costo della vita ed altro);
    secondo i dati dell'Adusbef i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari nel 2014 sono stati quasi 5.500, 20 ogni giorno lavorativo, l'11,6 per cento in più rispetto al 2013. La cifra è stata ricavata dalle proiezioni sui dati raccolti in 35 tribunali italiani al 30 ottobre 2014. In 5 anni di crisi (2008-2013), per Adusbef e Federconsumatori, pignoramenti ed esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 108,1 per cento. Se venissero sommati gli aumenti dei pignoramenti dal 2006 al 2014, l'incremento sarebbe, per le associazioni citate, pari al 161,7 per cento in nove anni, che in termini assoluti equivarrebbe alla scomparsa di una città delle dimensioni di Ancona, Bolzano o Terni,

impegna il Governo:

   al fine di sostenere i nuclei familiari in difficoltà, soprattutto quelli con figli, a valutare l'opportunità di adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a prevedere una moratoria per i pignoramenti e l'esecuzione immobiliari relative ad abitazioni adibite a prima casa, qualora il debitore ed i componenti del suo nucleo familiare con lui residenti non siano proprietari di ulteriori unità immobiliari adibite ad abitazioni nel medesimo comune o in altri comuni entro il raggio di 150 chilometri e solo per quei pignoramenti ed esecuzioni immobiliari dovute ad accertate condizioni di insolvenza e involontarietà del debitore;
   a valutare l'opportunità di adottare iniziative di rango normativo volte a consentire l'utilizzo delle risorse di cui al fondo di garanzia per i mutui per la prima casa, ex articolo 1, comma 48, lettera c), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, per remunerare, per effetto della moratoria, gli interessi dei creditori che hanno avviato le procedure di esecuzione o proceduto al pignoramento dell'immobile.
(1-00924) «Sberna, Gigli, Capelli, Dellai».
(30 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la grave crisi economico-sociale che ha colpito così pesantemente il nostro Paese dal 2008 ha causato seri problemi ai cittadini, molti dei quali si sono trovati in condizioni di difficoltà economica;
    si tratta di persone che si trovano a dover fronteggiare la perdita del posto di lavoro, o la chiusura della loro attività economica, ed a sostenere contemporaneamente le necessità finanziarie derivanti dall'impegno di mantenere la famiglia;
    la prima casa costituisce un elemento fondamentale del patrimonio delle famiglie italiane e rappresenta, al contempo, un bene necessario per le famiglie. Proprio per la grave crisi economico-sociale che ha colpito il nostro Paese è aumentato in modo elevato il numero dei pignoramenti che si sono registrati in Italia in questi ultimi anni;
    appare, pertanto, giusto evidenziare che lo Stato punti al soddisfacimento dei propri crediti, ma è necessario, altresì, tutelare e garantire quanti sono oppressi dalle procedure di espropriazione immobiliare, soprattutto quando riguardino la prima casa di proprietà. Non è, infatti, ammissibile che una famiglia perda la propria casa, magari il suo unico bene reale, acquistato dopo anni di sacrifici;
    l'impignorabilità della prima casa risulta, altresì, necessaria, al fine di una perequazione sociale che salvaguardi un bene, la prima casa, che costituisce, tra l'altro, un elemento fondamentale di aggregazione familiare, che consente di tutelare le famiglie ed il diritto di tutti ad avere un alloggio, al fine di evitare il rischio di indigenza e disagio sociale abitativo che ne deriverebbe;
    il decreto-legge cosiddetto «del fare» n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha previsto, all'articolo 52, che l'agente della riscossione non dà corso all'espropriazione se l'unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate da decreto del Ministro per i lavori pubblici del 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente. Per gli altri beni immobili del debitore (abitazioni non prima casa, case di lusso, fabbricati A/8 e A/9) l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro. Si prevede, inoltre, che in tal caso l'espropriazione possa essere avviata se è stata iscritta ipoteca e sono decorsi almeno sei mesi dall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto;
    la Corte di cassazione, con la sentenza 12 settembre 2014, n. 19270, ha contribuito ad ampliare la tutela del diritto alla prima casa, stabilendone l'impignorabilità da parte di Equitalia, con estensione della validità della disposizione contenuta nel citato decreto-legge anche per i procedimenti in corso. La Corte di cassazione ha, infatti, affermato che: «dal momento che la norma disciplina il processo esecutivo esattoriale immobiliare e non introduce un'ipotesi di impignorabilità sopravvenuta del suo oggetto, la mancanza di una disposizione transitoria comporta che debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all'articolo 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche i singoli atti ad essa successivamente compiuti di processi iniziati prima della sua entrata in vigore, quand'anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all'epoca di introduzione del giudizio»; tale norma è entrata in vigore il 22 giugno 2013;
    contrariamente alle conclusioni contenute nella nota del Ministero dell'economia e delle finanze – per la quale tale norma non ha effetto retroattivo e, pertanto, tutti i pignoramenti effettuati prima del 22 giugno 2013 dovevano considerarsi validi ed efficaci – la Corte di cassazione ha esteso la non pignorabilità a tutti gli immobili soggetti ai procedimenti di Equitalia ancora in corso. Pertanto, «in tema di espropriazione immobiliare esattoriale, qualora sia stato eseguito il pignoramento immobiliare mediante la trascrizione e la notificazione dell'avviso di vendita ai sensi dell'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ed il processo sia ancora pendente alla data del 21 agosto 2013 (di entrata in vigore dell'articolo 52, comma 1, lettera g), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ai sensi dell'articolo 86 del decreto-legge n. 69 del 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 194, supplemento ordinario del 20 agosto 2013), l'azione esecutiva non può più proseguire e la trascrizione del pignoramento va cancellata, su ordine del giudice dell'esecuzione o per iniziativa dell'agente della riscossione, se l'espropriazione ha ad oggetto l'unico immobile di proprietà del debitore, che non sia bene di lusso e sia destinato ad abitazione del debitore, il quale vi abbia la propria residenza anagrafica»;
    il tema del diritto all'abitazione quale diritto intangibile da tutelare è stato affrontato di recente anche dall'Unione europea. In particolare, la decisione della Corte di giustizia europea n. C-34/13 del 10 settembre 2014, in materia di pignoramento eseguito sulla prima casa se il contratto di mutuo contiene clausole vietate dalla direttiva UE/93/2013, con la quale i giudici tornano ad affrontare il tema delle clausole abusive dei contratti dei consumatori, con particolare riferimento ai contratti di credito al consumo che prevedono la costituzione, a favore della banca o finanziaria, di un diritto di garanzia sull'immobile di abitazione del cliente. La Corte di giustizia europea sottolinea che «la perdita dell'abitazione familiare non è solamente idonea a violare gravemente il diritto dei consumatori, ma pone i familiari del consumatore interessato in una situazione particolarmente delicata». Essa «costituisce una delle più gravi violazioni al diritto al rispetto del domicilio» e, pertanto, «qualsiasi persona che rischi di esserne vittima deve, in linea di principio, poter far esaminare la proporzionalità di tale misura»;
    occorre, pertanto, tutelare in modo certo coloro che perdono o che rischiano di perdere la propria casa con misure adeguate che permettano di risolvere questo problema che incide in modo grave sulla situazione economica delle famiglie italiane;
    andrebbe resa più rapida con ogni mezzo l'attuazione del programma di recupero degli immobili di edilizia popolare varato con il decreto-legge n. 47 del 2014 e sarebbe opportuno avviare un piano di medio termine per l'ampliamento complessivo dell'offerta di edilizia residenziale pubblica e di razionalizzazione delle gestioni, in particolare valorizzando il nesso fra politiche per la casa e tutela della famiglia come elemento imprescindibile di coesione sociale: dai giovani che desiderano sposarsi ma non possono permettersi un'abitazione agli anziani che temono di essere cacciati dalle loro case, perché non più in grado di pagare il mutuo o le tasse;
    sarebbe opportuno che le fondazioni bancarie inseriscano tra i loro obiettivi prioritari il diritto delle famiglie alla prima casa, facilitandone non solo l'accesso ma lo stesso mantenimento e che si favorisca la creazione di reti di solidarietà che permettano finanziamenti a tasso zero alle famiglie in difficoltà in una logica di auto-aiuto,

impegna il Governo:

   a sospendere gli espropri relativi alla prima casa, come previsto dalla sentenza della Corte di cassazione citata in premessa;
   ad affrontare con misure adeguate lo stato di estrema indigenza in cui versano un numero crescente di famiglie italiane per il protrarsi della crisi e per l'oggettiva difficoltà di inserimento e reinserimento nel mondo del lavoro, con riferimento alla situazione di coloro che sono destinatari di procedure di espropriazione di un immobile adibito ad abitazione principale;
   a rivedere tempi e modi con cui Equitalia rivendica i suoi diritti senza mai farsi carico dei corrispondenti doveri di rimborso e restituzione in tempi adeguati con riferimento alle problematiche esposte in premessa;
   a varare una politica di accordi con le banche – uniche beneficiarie finora degli aiuti avuti a livello europeo, mai disposte a farsi carico delle esigenze dei loro stessi clienti – per la gestione dei mutui in sofferenza, affinché, anche attraverso forme di garanzia pubblica ed accordi con soggetti privati e del terzo settore che operano nel settore della gestione dei crediti deteriorati, sia evitata la perdita della proprietà da parte di famiglie in situazione temporanea di insolvenza.
(1-00926) «Binetti, Dorina Bianchi».
(30 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'abitazione costituisce un bene primario che deve essere tutelato in modo adeguato e concreto. Il diritto sociale dell'abitazione deve essere garantito dallo Stato in quanto rientra tra i diritti inviolabili dell'uomo, riconosciuti e garantiti dall'articolo 2 della Costituzione, e trova un riconoscimento espresso nell'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e nell'articolo 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali;
    la Costituzione all'articolo 47 prevede che la Repubblica debba favorire il diritto alla proprietà dell'abitazione, con misure che possano aiutare le persone più bisognose ad avere un alloggio di proprietà e, quindi, rendendo concreto questo diritto;
    la Corte costituzionale ha più volte affermato che rientra, tra i compiti della Repubblica, quello di favorire l'accesso all'abitazione ai cittadini più deboli. La difficoltà di avere una casa costituisce una delle preoccupazioni alle quali le amministrazioni pubbliche devono offrire risposte efficaci, in particolare attraverso i piani di edilizia economica e popolare;
    ai sensi del combinato disposto degli articoli 2, 3 e 32 le politiche legislative in materia abitativa sono basate sulla tutela dei diritti inviolabili della persona, tutela che è strettamente legata ai compiti che lo Stato ha nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale;
    nella Carta dei valori, della cittadinanza e dell'integrazione dell'aprile 2007 viene affermato: «L'Italia è impegnata perché tutti possano fruire di un'abitazione adeguata ai bisogni della propria famiglia e a costi ragionevoli. Chi si trovi in stato di bisogno, o sia costretto a subire costi eccessivi per la propria abitazione, può rivolgersi alle autorità pubbliche o alle associazioni sindacali per ricevere assistenza o ottenere il rispetto dei propri diritti»;
    il «caro affitti», le difficoltà di trovare sul mercato appartamenti liberi da affittare e la conseguente emergenza abitativa che sfocia nel ripetuto blocco degli sfratti hanno senz'altro origine nella scarsa disponibilità di alloggi per la locazione;
    l'emergenza abitativa costituisce nell'attuale crisi economica uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale;
    agli ormai insostenibili oneri tributari dei contribuenti, si aggiunge una difficoltà sempre maggiore di questi ultimi ad acquistare un immobile di proprietà: se la disoccupazione e le condizioni precarie dei contratti di lavoro a termine impediscono un facile accesso al mutuo bancario, il credit crunch, ma soprattutto l'aumento dei tassi di interesse dei mutui causati dalla crisi finanziaria hanno oberato e stanno oberando in modo gravoso i contribuenti;
    negli anni di crisi, le banche italiane hanno registrato un boom dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari, avviati in seguito all'impossibilità di molte famiglie di pagare i mutui. Come hanno denunciato Adusbef e Federconsumatori, soltanto tra il 2008 e il 2012 i pignoramenti e le esecuzioni sono aumentati del 97,8 per cento, con un ulteriore aumento, a dicembre del 2014, che ha sfiorato l'11 per cento rispetto al 2013, come ha calcolato uno studio di Accord;
    sarebbe opportuno prevedere un meccanismo alternativo al pignoramento e all'esecuzione immobiliari in modo da evitare, per quanto più possibile, che cittadini in gravi difficoltà finanziarie non si vedano espropriare la casa di prima proprietà senza poter trovare una soluzione abitativa per sé e per la propria famiglia soltanto perché non più in grado di assolvere al pagamento delle rate del mutuo;
    l'impatto sociale che la problematica dell'emergenza abitativa assume è tale da far ipotizzare, laddove non vi sia un intervento urgente da parte dell'amministrazione comunale, possibili ripercussioni che potrebbero mettere a rischio la sicurezza dei cittadini;
    negli ultimi decenni nel nostro Paese è cresciuto in maniera esponenziale il fenomeno dell'instabilità familiare. La mutata percezione dell'istituto matrimoniale e l'evoluzione dei legami familiari determinano un alto numero di separazioni e divorzi;
    se fin dai primi anni ’70 il numero di matrimoni celebrati in Italia è in costante riduzione, il fenomeno dello scioglimento del vincolo matrimoniale, per effetto di separazione o divorzio, è invece in continua crescita;
    è noto che le separazioni dei genitori provocano spesso situazioni di difficoltà e di grave disagio ai genitori separati e, di conseguenza, anche ai figli;
    tale situazione di difficoltà riguarda, in particolare, la figura paterna che, a seguito della pronuncia dell'organo giurisdizionale di assegnazione della casa familiare e dell'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento, viene a trovarsi in una situazione di difficoltà economica che può comportare una condizione di emergenza abitativa e l'impossibilità di condurre un'esistenza dignitosa, impedendo pertanto l'esercizio del ruolo genitoriale;
    considerato, quindi, come l'emergenza abitativa e il pignoramento degli immobili sia un fenomeno che interessa in modo preponderante le famiglie in condizione di separazione, sarebbe auspicabile prevedere, anche attraverso lo strumento della normativa d'urgenza, un piano straordinario di interventi finalizzati al sostegno economico, al sostegno abitativo, a facilitare l'accesso al credito per i genitori separati in condizioni di disagio sociale, anche con misure mirate a potenziare su tutto il territorio nazionale la rete dei centri di assistenza e dei centri mediazione familiari;
    il problema dell'emergenza abitativa, inoltre, richiederebbe da parte del Governo un intervento urgente volto:
     a) a prevedere, di intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni, un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale abitativo, incentrato sull'autorecupero e sulla riconversione della destinazione d'uso degli immobili regionali e comunali in disuso (caserme, fondi demaniali della difesa, plessi scolastici, ospedali, aziende sanitarie locali, centri medici);
     b) a prevedere accordi di programma con i movimenti, le associazioni, i comitati, i cittadini organizzati per l'assegnazione di aree abbandonate della città da destinare a progetti di micro-comunità di quartiere ai fini della riqualificazione del territorio, del recupero e della rifunzionalizzazione degli edifici abbandonati e degli alloggi a scopo abitativo;
    da ultimo, le politiche messe in atto dal Governo in materia di gestione dei flussi migratori rischiano di creare un impatto sociale ingestibile, alimentando l'ingiustizia che vivono i cittadini italiani, in condizioni estreme di disagio e di emergenza abitativa, nel trovarsi a constatare come il Governo abbia soluzioni immediate per far fronte ai problemi di vitto e alloggio degli extracomunitari che sbarcano sulle coste italiane. È difatti irragionevole e rischioso allestire le strutture temporanee per l'accoglienza degli immigrati nei territori dove vi sia una diffusa condizione di emergenza abitativa per i cittadini italiani,

impegna il Governo

a prevedere un tavolo di concertazione tra il Governo, le associazioni di rappresentanza dei consumatori e gli istituti di credito al fine di studiare una soluzione alternativa al pignoramento e all'esecuzione immobiliari, volta alla rinegoziazione della proprietà in modo che il mutuatario in stato di necessità che non riesca più ad assolvere al rimborso del capitale possa ottenere dall'istituto di credito di convertire la propria proprietà con un immobile di valore minore, il più vicino possibile al precedente domicilio, in relazione al quale riesca ad assolvere al pagamento del mutuo di conseguenza ridotto, lasciando alla banca la proprietà del primo immobile.
(1-00927) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(30 giugno 2015)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2015 il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente-nucleo operativo ecologico di Udine, in attuazione di un provvedimento emesso dal tribunale penale di Gorizia, ha disposto il sequestro preventivo di alcune aree del cantiere Fincantieri di Monfalcone destinate alla selezione e allo stoccaggio di residui di lavorazione (scarti di lamiera, di moquette ed altri, quindi non rifiuti tossici), aree strategiche e indispensabili per il regolare svolgimento del ciclo produttivo;
   la società, che si è trovata immediatamente a sospendere le attività, ritiene, come gli interroganti, enormemente sproporzionata la misura cautelare adottata rispetto al danno causato e ai danni irreparabili che il permanere di tale situazione potrebbe provocare;
   Fincantieri rappresenta uno dei maggiori gruppi al mondo nella costruzione navale, il primo nell'area occidentale, che da oggi si trova con il suo principale sito produttivo fermo, tra i più grandi in Europa, che occupa circa 5.000 addetti;
   il volume degli acquisti effettuati annualmente da Fincantieri nell'ultimo quinquennio in Italia è pari a 1,5 miliardi di euro, presso oltre 3.000 imprese distribuite in diverse regioni del Paese. Una quota assolutamente rilevante di questo ammontare – circa il 20 per cento, pari a 300 milioni di euro all'anno – è stata assegnata proprio al Friuli Venezia Giulia;
   si tratta di un fiore all'occhiello dell'industria nazionale, una delle poche società italiane a poter vantare una leadership mondiale nel comparto in cui opera, che oggi è paralizzato –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non ritenga di adottare le opportune iniziative normative necessarie a limitare il sequestro cautelare nelle ipotesi in cui tale sequestro sia passibile di indurre il blocco della produzione di aree che impegnano un numero di lavoratori importante rispetto all'area territoriale di riferimento. (3-01577)
(30 giugno 2015)

   PINNA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il principio della rieducazione della pena ex articolo 27, terzo comma, della Costituzione prevede che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»: quest'ultimo principio rappresenta l'unico riferimento esplicito alle funzioni della pena che si trovi nel testo costituzionale, finalizzato al progressivo reinserimento armonico della persona nella società;
   l'articolo 28 della legge n. 354 del 1975 stabilisce che vi sia una «particolare cura a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie» e l'articolo 18 della medesima legge prevede che «il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia. Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all'internato è assicurato il lavoro. Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificati motivi o contrarie disposizioni dell'autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa di formazione professionale, possibilmente di loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione giuridica»: la valorizzazione dei rapporti familiari rientra, pertanto, fra gli elementi fondamentali del trattamento, unitamente a lavoro, istruzione, religione e attività culturali, ricreative e sportive;
   inoltre, l'articolo 42 della legge n. 354, del 1975 disciplina la materia dei trasferimenti dei detenuti, prevedendo che «i trasferimenti sono disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell'istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari. Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie». Con l'articolo 83 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, si specifica che «nei trasferimenti per motivi diversi da quelli di giustizia o di sicurezza si tiene conto delle richieste espresse dai detenuti e dagli internati in ordine alla destinazione». Dunque, il trasferimento costituisce un diritto del detenuto;
   come esplicitato dalle citate disposizioni, anche i motivi di studio e di lavoro rappresentano elementi essenziali del trasferimento, così come garantiti dall'articolo 42 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in combinato disposto con gli articoli 34 e 35 della Costituzione, i quali sanciscono rispettivamente che «la scuola è aperta a tutti» e che «la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni»;
   le regole penitenziarie europee – adottate per la prima volta nel 1973 dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, in seguito modificate nel 1987 e nel 2006, e volte a standardizzare le politiche penitenziarie degli Stati membri per dar vita a norme e prassi comuni – prevedono che «i detenuti devono essere assegnati, per quanto possibile, in istituti vicini alla propria famiglia o al loro centro di reinserimento sociale» (articolo 17.1) e «per quanto possibile, i detenuti devono essere consultati circa la loro assegnazione, iniziale nonché per ogni ulteriore trasferimento da un istituto all'altro» (articolo 17.3), «il lavoro deve essere considerato un elemento positivo del regime penitenziario» (articolo 26.1) e «ciascun istituto deve cercare di offrire ai detenuti l'accesso ai programmi d'istruzione che siano i più completi possibili e che soddisfino i bisogni individuali dei detenuti e ne prendano in considerazione le aspirazioni» (articolo 28.1);
   sulla base del riportato principio costituzionale di rieducazione della pena detentiva e a conferma di quanto esposto, l'articolo 1 della legge n. 354 del 1975 dispone che «nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi»;
   in base all'allegato 1 del decreto ministeriale 7 novembre 1997, n. 488, il termine finale del procedimento di trasferimenti a domanda di detenuti è di 180 giorni; tuttavia, nella circolare n. 3654/6104 del 20 febbraio 2014 del Ministero della giustizia, recante «Disposizioni in materia di trasferimento dei detenuti», al punto 1.9 si precisa che «pare congruo fissare un termine di sessanta giorni entro cui fornire una risposta al detenuto, che decorreranno dall'acquisizione da parte dell'ufficio competente di tutti gli elementi necessari alla decisione». È, pertanto, necessario che questo suggerimento sia accolto e che al contempo si scelga di fornire, in caso di rigetto della richiesta, motivazioni valide e ben argomentate evitando le ricorrenti risposte generiche e standardizzate;
   la permanenza di un detenuto in una regione diversa da quella di appartenenza determina problematicità rilevanti, dal momento che il territorio non deve essere concepito unicamente dal punto di vista meramente geografico, bensì come ambiente storicizzato e caratterizzato da influssi sociali, culturali, economici ed umani;
   come denunciato da più fronti e nello specifico dalle associazioni istituite a tutela dei carcerati, la questione della territorialità della pena resta tuttora irrisolta, facendo emergere le contraddizioni di un sistema che si discosta dalla disciplina prevista e sopra citata. Molti detenuti si trovano lontano dal loro contesto di appartenenza o si vedono rifiutata la domanda di trasferimento, senza che siano addotte adeguate giustificazioni, mentre in alcuni casi il trasferimento in altro istituto penitenziario viene utilizzato come «punizione», anche se non esplicita, nonostante la limitazione della libertà non possa comportare pene aggiuntive e non stabilite dalla sentenza. Tali situazioni ed episodi determinano un peggioramento della condotta del detenuto influenzata da sentimenti di rabbia, umiliazione e frustrazione;
   in particolare, come dichiarato dall'associazione «Socialismo diritti riforme» in prima linea sul tema, sempre più spesso le strutture penitenziarie della Sardegna registrano un aumento delle presenze di detenuti italiani e/o stranieri provenienti dalle altre regioni; raramente però e dopo varie insistenze viene concesso il trasferimento nell'isola ai cittadini privati della libertà che hanno in Sardegna i propri parenti;
   ciò appare ingiustificabile, soprattutto quando a chiedere il ritorno nell'isola sono detenuti che scontano l'ergastolo e sono ristretti da oltre venti anni. Si tratta spesso di persone ormai anziane, che molto spesso non possono effettuare colloqui con i familiari per le distanze e per le condizioni economiche. Tali fatti confermano che le nuove strutture penitenziarie sorte nell'isola sono destinate a mitigare il sovraffollamento degli altri istituti italiani e non a rafforzare il reinserimento sociale dei condannati;
   l'articolo 61, comma 2, del citato decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, prevede che «particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale». Tale disposizione è volta a ovviare alle problematiche che insorgono per i detenuti allontanati dal loro contesto familiare, e per gli stessi parenti, e alle criticità che ne conseguono in ordine al reinserimento nel tessuto sociale di appartenenza. Dunque, occorre scongiurare che gli effetti dolorosi coinvolgano più dell'inevitabile anche altre persone, che nulla hanno fatto di penalmente rilevante;
   una soluzione interessante, specialmente nei casi in cui non sia disposto l'eventuale trasferimento del ristretto e nei casi in cui il detenuto sia straniero, è rappresentata dall'utilizzo di internet e linee voip, seguendo un protocollo di uso vigilato della rete. Tali strumenti permettono al detenuto di comunicare con i propri cari, con i figli minori e con i familiari anziani che si vedono nell'impossibilità di raggiungere le strutture carcerarie. Inoltre, l'utilizzo di tali dispositivi si rivela molto importante per il raggiungimento della finalità del reinserimento nella società: vi sono casi in cui è stato permesso al detenuto di dialogare mediante skype con gli insegnanti del figlio minorenne per avere notizie sull'andamento scolastico, rendendo il padre partecipe in prima persona;
   per quanto riguarda la citata presenza di detenuti stranieri, sul sito online del Ministero della giustizia sono periodicamente pubblicati i dati loro relativi. In Sardegna vi è stato un evidente aumento nei primi mesi del 2015: si è passati, infatti, dai 432 stranieri (23,56 per cento) – a fronte di 1.833 detenuti – del 31 gennaio ai 509 (26,10 per cento) – su un totale di 1.950 reclusi – del 31 maggio, quando peraltro gli istituti sono diminuiti da dodici a dieci a seguito della chiusura delle strutture di Iglesias e Macomer. Emblematico il caso della colonia penale di Mamone-Lodè dove si trovano 138 detenuti, di cui 109 non italiani, ovvero il 78,98 per cento;
   a tali difficoltà delle carceri sarde vanno aggiunte altre gravi problematiche, quali il sovraffollamento – a Tempio-Nunchis, a fronte di 167 posti regolamentari, i detenuti sono 198 e negli altri istituti si è al limite della capienza – e le difficoltà nello sviluppare attività lavorative all'interno delle stesse strutture. Queste ultime rappresenterebbero una reale possibilità di recupero. Tuttavia, pur avendo assunto un ruolo centrale nel percorso di reinserimento dei detenuti, il lavoro è ancora il grande assente nelle carceri sarde, si pensi ai penitenziari di Uta o Massama, dove la regola è l'inattività forzosa;
   in diverse regioni italiane, tra l'altro, non è ancora presente il Garante dei detenuti, istituito a tutela dei diritti e della dignità delle persone sottoposte a restrizioni nella libertà personale. In Sardegna la legge regionale 7 febbraio 2011, n. 7, all'articolo 10, ha istituito tale figura che, tuttavia, non è stata ad oggi nominata nonostante siano trascorsi più di quattro anni –:
   se ritenga che il principio di territorialità della pena (con particolare riferimento alla situazione della Sardegna) debba essere garantito dall'amministrazione penitenziaria, così come stabilito nella circolare n. 3654/6104 del 20 febbraio 2014 del Ministero della giustizia, assicurando la funzione rieducativa e risocializzante alla base del principio stesso (attraverso l'incentivazione sul territorio nazionale dell'utilizzo di internet e voip finalizzati alla comunicazione dei detenuti con i propri familiari, nonché la promozione e la valorizzazione dei progetti innovativi che contribuiscano a fornire una soluzione alla questione lavorativa in carcere) e se intenda adoperarsi affinché la nomina del Garante dei detenuti sia assicurata in tutte le regioni italiane. (3-01578)
(30 giugno 2015)

   FAUTTILLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   per tamponare la carenza di organico e per consentire a coloro che hanno perso l'occupazione un reinserimento economico e sociale nel mondo del lavoro, si sono svolti presso gli uffici giudiziari di tutta Italia dal 2010 ad oggi, attraverso la stipula di convenzioni tra le amministrazioni giudiziarie e amministrazioni locali utilizzando soprattutto il fondo sociale europeo, tirocini formativi che sono serviti molto spesso a garantire la prosecuzione delle attività giudiziarie nelle procure e nei tribunali d'Italia;
   dal 2013, proprio a seguito della loro utilità, attestata dagli uffici giudiziari di tutta Italia, questi tirocinanti sono passati direttamente alle dipendenze del Ministero della giustizia ed inseriti nel ciclo lavorativo, affiancando a tutti gli effetti il personale del Ministero della giustizia, percependo solo un rimborso spese, ma senza che la loro attività lavorativa sia stata contrattualizzata in alcuna forma;
   l'articolo 1, comma 344, della legge n. 147 del 2013 (legge stabilità 2014), ha stanziato circa 15 milioni di euro per consentire il perfezionamento del completamento del percorso formativo degli oltre 2.600 lavoratori, ma per l'anno 2015, nella legge di stabilità, non sono stati previsti ulteriori finanziamenti e solo con il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (cosiddetto milleproroghe), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, è stata prevista la proroga di quattro mesi di tali tirocini, finanziati attraverso l'utilizzo delle risorse del fondo unico di giustizia fino alla data del 30 aprile 2015;
   solo nella regione Lazio sono oltre 450 i lavoratori interessati, oltre la metà dei quali provenienti dai bacini delle province di Roma, Frosinone e Latina, territori, specialmente quelli delle province, in evidente e perdurante crisi occupazionale;
   si tratta di operatori che il Ministero della giustizia ha formato in vista del processo telematico e dell'informatizzazione degli uffici giudiziari e che da cinque anni contribuiscono allo smaltimento dell'arretrato, lavorando accanto ai magistrati, e che invece ora rischiano di essere lasciati nuovamente a casa dopo che sono stati spesi soldi pubblici per la loro formazione –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di dare una soluzione alla situazione descritta nella premessa per garantire certezze a questi lavoratori che rischiano di uscire nuovamente dal mercato del lavoro e per dare continuità all'attività degli uffici giudiziari, dove questi lavoratori hanno dimostrato di aver acquisito un ruolo importante se non fondamentale, a causa delle note carenze di organico. (3-01579)
(30 giugno 2015)

   FERRARESI, SARTI, SPADONI, DELL'ORCO, DALL'OSSO, PAOLO BERNINI, BONAFEDE, BUSINAROLO, AGOSTINELLI e COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione Aemilia, di fine gennaio 2015, effettuata dall'Arma dei carabinieri coordinata dalle direzione distrettuale antimafia di Bologna, Catanzaro e Brescia, è la prima maxi operazione contro la ’ndrangheta in Emilia-Romagna, che ha coinvolto anche le regioni Veneto, Lombardia, Piemonte, Calabria e Sicilia. Sono stati effettuati oltre 160 arresti, ad oggi risultano indagate 224 persone;
   sotto inchiesta vi sono, inoltre, gli interessi del sodalizio mafioso nei lavori di ricostruzione dopo il terremoto con epicentro in Emilia-Romagna del maggio 2012;
   entro la fine di giugno 2015 verranno notificati gli avvisi di fine indagine, a cui faranno seguito le richieste di rinvio a giudizio; già in autunno 2015 dovrebbero iniziare le udienze preliminari ed entro il 2015 dovrebbe avere inizio anche il processo;
   il procuratore generale, Roberto Alfonso, intervenendo recentemente all'assemblea pubblica dell'Associazione nazionale magistrati dell'Emilia-Romagna, ha sottolineato come l'alto numero di persone coinvolte, 224 indagati a cui sommare i rispettivi legali, comporti la necessità di trovare un'aula bunker adeguata dove svolgervi l'udienza preliminare, con una capienza dunque di almeno 350 posti. Attualmente non è ancora stata indicata una sede adeguata per lo svolgimento del maxiprocesso. Oltre a non esserci lo spazio adeguato le direzioni distrettuali antimafia di Bologna, Brescia e Catanzaro lamentano un forte sottodimensionamento di organico, oltretutto proprio in un momento di grande impegno investigativo e processuale sul fronte dell'attività antimafia. Come evidenziato dal procuratore di Brescia Pier Luigi Maria Dell'Osso, è inoltre necessario un incremento di organico per assicurare lo svolgimento dell'attività anticorruzione anche alla stregua di Expo, le cui indagini si inseriscono in uno scenario che vede interessate centinaia di imprese aventi sede nel distretto e nella macroarea;
   per quanto riguarda l'operazione Aemilia, come riportato dalla stampa, il procuratore Roberto Alfonso e il presidente del tribunale di Bologna Francesco Scutellari, hanno indirizzato una lettera al Ministro interrogato con la richiesta di un incontro vista l'impellente preoccupazione del grave rischio in cui si incorre continuando a far passare il tempo a causa della mancanza di un'aula adeguata, ossia che decadano le misure cautelari detentive. Scutellari ha sottolineato come un epilogo simile darebbe un'immagine a dir poco negativa della giustizia italiana anche a livello internazionale;
   il presidente Scutellari ricorda, inoltre, che «il 31 agosto cesserà l'impegno da parte dei comuni per la manutenzione degli uffici giudiziari, che passa al Ministero della giustizia. A tutt'oggi non sappiamo cosa succederà il 1o di settembre», con il rischio di chiusura dei tribunali per impossibilità di operare;
   i tribunali di Modena e Reggio Emilia vivono una grave situazione di carenza di organico, situazione resa non più tollerabile visto il forte radicamento della criminalità organizzata in questi territori, come sottolineato dalla relazione della direzione investigativa antimafia –:
   se il Ministro interrogato abbia già preso visione ed eventualmente risposto alla lettera di cui sopra da parte del procuratore Alfonso e del presidente del tribunale di Bologna Scutellari e ritenga opportuno intervenire, sia per sopperire alle gravi carenze di organico delle procure citate in premessa, sia affinché venga soddisfatta la necessità di avere uno spazio attrezzato ed idoneo in ragione dell'urgenza dello svolgimento del processo Aemilia. (3-01580)
(30 giugno 2015)

   MUCCI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 marzo 2014, n. 23, che conferisce la «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita», prevede espressamente una generale revisione delle funzioni svolte dai sostituti di imposta nell'ottica degli adempimenti;
   nonostante l'introduzione della trasmissione all'Agenzia delle entrate della certificazione unica con scadenza il 9 marzo 2015, istituita con l'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, in materia di «Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata», si apprende, attraverso l'audizione del 14 gennaio 2015 del direttore Rossella Orlandi, presso la Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria, che l'Agenzia delle entrate ha ritenuto opportuno non prevedere l'eliminazione della presentazione del modello 770 semplificato, sostenendo che eventuali interventi in merito avrebbero comportato il rischio di maggiori complicazioni;
   in relazione ad alcune notizie di stampa, l'Agenzia delle entrate, in data 12 febbraio 2015, precisa di aver pubblicato la versione definitiva della certificazione unica (CU) il 15 gennaio 2015, nel pieno rispetto dei tempi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998. Inoltre, nella stessa data, ha reso disponibili le specifiche tecniche per l'invio telematico dei dati, con largo anticipo rispetto al termine ultimo del 15 febbraio 2015;
   per il primo anno gli operatori potranno scegliere se compilare la sezione dedicata ai dati assicurativi relativi all'Inail e se inviare o meno le certificazioni contenenti esclusivamente redditi esenti;
   sempre limitatamente al primo anno, fermo restando che tutte le certificazioni uniche che contengono dati da utilizzare per la dichiarazione precompilata devono essere inviate entro il 9 marzo 2015, quelle contenenti esclusivamente redditi non dichiarabili mediante il modello 730 (come i redditi di lavoro autonomo non occasionale) possono essere inviate anche dopo questa data, senza applicazione di sanzioni;
   secondo l'Associazione nazionale commercialisti, l'introduzione del modello di comunicazione unica, il cui numero di dati contenuti è senza dubbio ampliato, non solo rende di fatto superfluo l'obbligo di presentazione del 770 semplificato, ma soprattutto introduce adempimenti nuovi con scadenze eccessivamente ravvicinate, generando conseguenze preoccupanti ai danni dei contribuenti e del lavoro dei professionisti;
   l'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», introduce il cosiddetto split payment, meccanismo attraverso il quale la pubblica amministrazione non dovrà versare più l'iva alle imprese, le quali, invece, sono comunque tenute a pagarla ai loro fornitori e a chiedere il rimborso, penalizzando ancora una volta la fortissima riduzione della liquidità delle imprese, già fortemente provata dalla crisi, oltre a creare uno squilibrio finanziario non indifferente;
   la necessità della soppressione o dell'accorpamento degli adempimenti fiscali è da tempo denunciata da cittadini, imprese e associazioni di categoria e pertanto le politiche di semplificazione rappresentano un fattore cruciale per la competitività e lo sviluppo del Paese, in ogni suo settore produttivo e commerciale, nonché per il pieno godimento dei diritti di cittadinanza;
   l'Associazione nazionale commercialisti ha inviato, in data 26 giugno 2015, una lettera al Ministro interrogato e al direttore dell'Agenzia delle entrate per rinnovare la richiesta di eliminare l'adempimento della presentazione del modello 770 semplificato, in quanto i dati contenuti nella dichiarazione sono già in possesso dell'amministrazione finanziaria (a seguito dell'invio delle comunicazioni uniche entro il 7 marzo 2015), e per denunciare l'inadeguatezza dell'attuale termine del 31 luglio 2015, in ragione delle oggettive difficoltà che incolpevolmente i professionisti intermediari si trovano a dover affrontare. L'Associazione nazionale commercialisti ha sollecitato un intervento urgente di modifica della data entro la quale espletare l'adempimento della presentazione del modello 770, prevedendo come soluzione un termine che, nell'ambito del calendario fiscale, non sia prima del 30 settembre 2015 –:
   quali misure il Governo ritenga opportuno realizzare affinché possa effettivamente realizzarsi l'atteso processo di semplificazione fiscale, attraverso una sostanziale unificazione degli adempimenti e dei modelli fiscali, nonché una riorganizzazione del calendario fiscale e del sistema impositivo. (3-01581)
(30 giugno 2015)

   SCOTTO, FRATOIANNI, PALAZZOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in una recente intervista ad un quotidiano il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che «il referendum greco è un ballottaggio: euro o dracma. I greci devono dire se vogliono restare nella moneta unica o no»;
   mentre, in realtà, il Premier Tsipras ha posto ai greci la scelta se accettare o meno le ultime proposte degli organismi europei, se continuare le politiche dell'austerità pur rimanendo nell'euro;
   la posizione del Presidente del Consiglio dei ministri sembra inquadrarsi – ad avviso degli interroganti – nella campagna di pressione che il Presidente Juncker, la Cancelliera Merkel, il Presidente Hollande stanno esercitando in queste ore nei confronti del popolo greco;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha, inoltre, fatto affermazioni non esatte quando ha detto che «non è che abbiamo tolte le baby pensioni agli italiani per lasciarle ai greci». Infatti, l'età media di pensionamento per i greci è pari a 61,7 anni (quasi un anno in più rispetto alla media europea), mentre la spesa pensionistica pro capite nel 2012 era in Grecia all'incirca la metà di Paesi come l'Austria e la Francia e di un quarto sotto a quella tedesca;
   i programmi della trojka hanno determinato un crollo del prodotto interno lordo del 25 per cento, l'esplosione della disoccupazione al 27 per cento, una caduta di stipendi e pensioni oltre il 35 per cento;
   le ultime richieste dell'Unione europea implicano, in ragione di anno, una correzione di finanza pubblica di 4 punti di prodotto interno lordo. Per l'Italia ad esempio ciò vorrebbe dire circa 70 miliardi di euro di minori spese o di maggiori entrate su un arco di 12 mesi. Il tentativo di attuare il memorandum proposto determinerebbe pesantissimi effetti recessivi ed aumenterebbe ancora di più il debito pubblico in rapporto alla dimensione di un'economia reale sempre più piccola. Tra pochi mesi, la Grecia sarebbe di nuovo con l'acqua alla gola –:
   se non ritenga il Governo italiano di dover operare perché sia riaperto al più presto un tavolo di confronto con il Governo greco su nuove basi volte allo sviluppo ed alla crescita e non a quello che appare agli interroganti un cieco proseguimento delle politiche dell'austerità che stanno portando l'euro al fallimento. (3-01582)
(30 giugno 2015)

   ROSATO, MARTELLA, GARAVINI, AMENDOLA, MARCHI, CAUSI, BERLINGHIERI, BOCCADUTRI, BONAVITACOLA, PAOLA BRAGANTINI, CAPODICASA, CENSORE, FANUCCI, GIAMPAOLO GALLI, GINATO, GIULIETTI, GUERRA, LAFORGIA, LOSACCO, MARCHETTI, MELILLI, MISIANI, PARRINI, PILOZZI, PREZIOSI, RUBINATO, BONIFAZI, CAPOZZOLO, CARBONE, CARELLA, COLANINNO, CURRÒ, DE MARIA, MARCO DI MAIO, MARCO DI STEFANO, FRAGOMELI, FREGOLENT, GITTI, GUTGELD, LODOLINI, MORETTO, PELILLO, PETRINI, RIBAUDO, SANGA, ZOGGIA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'inattesa decisione del Governo greco di indire un referendum sul piano proposto da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale ha segnato l'interruzione del negoziato in corso dal mese di febbraio 2015, i cui contenuti finali prevedevano l'impegno della Grecia ad approvare un piano di riforme a fronte di un nuovo programma di aiuti finanziari;
   tale rottura è stata sancita nell'Eurogruppo di sabato 27 giugno 2015, che ha unanimemente respinto la richiesta greca di prorogare il programma di aiuti, in scadenza il 30 giugno 2015, almeno fino alla data del referendum, fissata per il 5 luglio 2015;
   i Ministri dell'Eurogruppo hanno ribadito che gli Stati membri intendono utilizzare tutti gli strumenti disponibili per preservare l'integrità e la stabilità dell'eurozona, ai quali vanno aggiunte le misure messe in campo dalla Banca centrale europea, che ha comunque deciso di mantenere la fornitura di liquidità di emergenza per le banche elleniche, e la volontà da parte di tutte le istituzioni europee di continuare a cercare una soluzione positiva e concordata;
   il Governo italiano ha sin qui svolto un'azione tesa a favorire un esito positivo del negoziato e scongiurare qualunque ipotesi di uscita della Grecia dall'euro, i cui effetti rischiano di essere imprevedibili –:
   quali siano le valutazioni del Ministro interrogato sugli sviluppi della crisi greca. (3-01583)
(30 giugno 2015)

   BRUNETTA e GIAMMANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa depositi e prestiti s.p.a. è una società per azioni finanziaria italiana, partecipata per l'80,1 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, per il 18,45 per cento da diverse fondazioni bancarie e il restante 1,5 per cento in azioni proprie, a cui è affidato il compito di gestire una parte consistente del risparmio nazionale rappresentato da buoni fruttiferi e libretti;
   nel novembre 2008, Franco Bassanini è stato nominato presidente della Cassa depositi e prestiti e, successivamente, nel maggio 2010 Giovanni Gorno Tempini è stato nominato amministratore delegato. Entrambi sono stati riconfermati nel 2013 e, quindi, il loro mandato giunge a scadenza naturale nella primavera del 2016;
   è nota da qualche tempo la volontà del Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, di procedere al rinnovo dei vertici della Cassa depositi e prestiti; come si evince da notizie di stampa, questo cambio deriverebbe dalla volontà del Governo di voler imprimere un'accelerazione ad alcuni dossier, a cominciare dal progetto per la rete superveloce, sui cui l'Esecutivo e i vertici di Cassa depositi e prestiti si sarebbero trovati su posizioni distanti anche rispetto all'ipotesi di un possibile ingresso diretto della Cassa depositi e prestiti nel capitale dell'ex monopolista Telecom;
   il 25 giugno 2015 il consiglio di amministrazione di Cassa depositi e prestiti, in agenda da tempo per deliberare l'erogazione di alcuni finanziamenti, ha deciso la convocazione dell'assemblea straordinaria e ordinaria (fissate per il 10 luglio 2015, con possibilità di seconda convocazione il 14 luglio 2015) per procedere alle modifiche statutarie concordate dai soci e per l'adozione di decisioni sugli amministratori. Una formula volutamente generica dietro cui si cela il rinnovo dei vertici, il cui iter è in fase di costruzione, anche perché è la prima volta, nella storia recente della Cassa depositi e prestiti (da quando è stata trasformata in società per azioni), che va in scena un ricambio anticipato del board;
   se la strada sarà quella delle dimissioni collettive da parte dei consiglieri espressione diretta del Ministero dell'economia e delle finanze, facendo quindi decadere tutti i vertici della Cassa depositi e prestiti, ciò comporterebbe, tra l'altro, un esborso di buonuscite milionarie a carico degli italiani, considerando che si tratta di contratti rescissi anzitempo senza giusta causa, che implicherebbero, altresì, un possibile danno d'immagine per coloro che attualmente ricoprono le posizioni più alte della società in questione;
   prima dei rinnovi che saranno decisi dall'assemblea ordinaria, saranno discusse nell'assemblea straordinaria le modifiche dello statuto, che dovrebbero accogliere le richieste di maggiore garanzia avanzate dalle 64 fondazioni azioniste di minoranza, contro l'eventuale rialzo del tasso di rischio degli investimenti della Cassa depositi e prestiti, nel nuovo corso che, con tutta probabilità, sarà targato Claudio Costamagna-Fabio Gallia, ovvero la previsione di un voto a maggioranza qualificata anche per le delibere in materia di destinazione degli utili a riserva, nonché la definizione di una clausola di recesso per le fondazioni nel caso di tre anni senza dividendi;
   una terza modifica statutaria dovrebbe riguardare la cancellazione della cosiddetta clausola etica, prevista dalla «direttiva Saccomanni» del 2013 e recepita nello statuto, per consentire la nomina di Fabio Gallia, attuale amministratore delegato di Bnl-Bnp Paribas, al posto di Giovanni Gorno Tempini; sul manager pende, infatti, una citazione in giudizio della procura di Trani per il processo sui derivati, che ne rende al momento impossibile la designazione;
   ma, al di là dei nomi, il caso di una «rottamazione» del vertice di una società pubblica, per altro partecipata dalle fondazioni bancarie, suscita più di una preoccupazione, visto che sono ancora ignote le motivazioni, necessariamente «forti», che sono alla base di una simile operazione; evidentemente, il cambio di vertice presuppone una vera e propria trasformazione della natura stessa della Cassa depositi e prestiti, lungo una direttrice sconosciuta ai più;
   la preoccupazione è quella per un Governo che manca di visione e strategia, che potrebbe assumere il controllo della liquidità attualmente in possesso di Cassa depositi e prestiti, per utilizzarla in operazioni dagli esiti incerti, parte di un disegno prevalentemente politico;
   l'Eurostat, che è l'istituzione europea cui è affidata la vigilanza su alcuni mutamenti che avvengono nelle istituzioni economiche dei Paesi membri, sta seguendo con severa attenzione quanto accade e soprattutto accadrà nella nuova Cassa depositi e prestiti. Qualora assumesse il prevalente profilo di un'agenzia pubblica, l'Eurostat agirà per far rientrare la Cassa depositi e prestiti nel bilancio pubblico: i debiti della Cassa depositi e prestiti diventeranno in tal modo debito pubblico, elevandone il relativo importo. Le dimensioni minime di questo ipotetico evento sono di 100 miliardi di euro, ma possono essere anche assai maggiori. Qualora si verificasse sarebbe una vera catastrofe finanziaria con ripercussioni assai serie sull'economia italiana –:
   quali siano le ragioni alla base del prospettato cambio di vertici all'interno di Cassa depositi e prestiti, il percorso designato e le modifiche statutarie in corso di studio, nonché il piano industriale e strategico di cui si farà carico il nuovo board, e quali siano le garanzie offerte ai risparmiatori, tenendo conto del fatto che i depositanti appartengono in generale alle classi meno abbienti e più anziane, che mal sopporterebbero investimenti ad alto rischio, come, del resto, non li tollererebbe Eurostat, che potrebbe includere Cassa depositi e prestiti nel perimetro della pubblica amministrazione, con le conseguenze richiamate in premessa. (3-01584)
(30 giugno 2015)

   TANCREDI e DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo la recentissima requisitoria del procuratore generale presso la Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato per il 2014, la pressione fiscale in Italia sarà pari al 43,5 per cento del prodotto interno lordo nel 2015: un divario di 1,7 punti di prodotto interno lordo rispetto alla media dei Paesi dell'area euro. L'Italia è, invece, al primo posto nell'Unione europea a 28 per la crescita del peso delle tasse tra il 2005 e il 2015, crescita che è stata pari a +4,2 punti di prodotto interno lordo;
   numerosi convergenti studi (Confindustria, Confcommericio, Uil, Fiaip) indicano che la tassazione in generale ha raggiunto nel nostro Paese livelli insostenibili. Nel 2015 gli italiani pagheranno 29 miliardi di euro in più di tasse rispetto alla media dei cittadini dell'eurozona;
   alla crescita della pressione fiscale negli ultimi 10 anni ha contribuito l’escalation della tassazione immobiliare. Nel 2014 il prelievo di imu e tasi arriva a 24,9 miliardi di euro, con un aumento di 15,1 miliardi di euro, pari al 153,5 per cento in più, rispetto ai 9,8 miliardi di euro prelevati nel 2011 con l'ici. La pressione fiscale sugli immobili sfiora quasi i 50 miliardi di euro e l'Italia è al primo posto per la tassazione sul patrimonio immobiliare in Europa. Dal 2011 ad oggi la casa è stata tassata in forma patrimoniale, con un aumento delle imposte del 115 per cento sul fronte della tassazione locale, passando da 14,8 miliardi a 31,88 miliardi di euro;
   anche su istanza di Area popolare, il Governo ha sospeso l'applicazione del decreto sulla riforma delle rendite catastali, che avrebbe prodotto in taluni casi la quadruplicazione dell'imposizione sulla casa; il Governo, per voce del Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha confermato che non solo non scatteranno le clausole di salvaguardia sull'iva nel 2016 e sulle accise nel 2018, ma che è tra i propri obiettivi programmatici la riduzione della pressione fiscale;
   i segnali positivi di ripresa che si rilevano in questi giorni non riguardano ancora i consumi interni e, in particolare, i consumi della famiglie, che sono quelle più colpite dalla crescita della tassazione immobiliare;
   in sede di revisione della spesa, per la legge di stabilità per il 2016, appare opportuno concentrarsi sia sulle tax expenditures, sia su una significativa riduzione dei costi del sistema delle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni –:
   quale sarà la strategia del Governo, anche in previsione della legge di stabilità per il 2016, per perseguire l'obiettivo della riduzione della pressione fiscale, sulle imprese e sulle famiglie, in particolare, con riferimento a queste ultime, quali iniziative intenda intraprendere per una consistente riduzione della pressione fiscale sulla casa. (3-01585)
(30 giugno 2015)

   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 25 giugno 2015 è scaduto il termine concesso dal tribunale di Roma alla società Eur spa per il concordato in bianco, procedura avviata dalla stessa società nel mese di dicembre 2014 e che le ha consentito di congelare temporaneamente i propri debiti con creditori e banche;
   alla scadenza del termine Eur spa ha presentato in tribunale un piano per la ristrutturazione del debito sostanzialmente basato sull'incasso derivante dalla vendita all'Inail di quattro palazzi storici di proprietà della società per un importo di 297,5 milioni di euro;
   gli edifici destinati a divenire proprietà dell'Inail sono Palazzo delle scienze, l'Archivio centrale di Stato, Palazzo dell'agricoltura e delle bonifiche e Palazzo delle arti e tradizioni popolari, per una superficie lorda complessiva di circa 175 mila metri quadrati;
   complessivamente gli immobili che la società Eur spa aveva fatto stimare per un'ipotetica vendita erano una decina e tra di essi figurava anche l'albergo Lama, adiacente al nuovo centro congressi e ancora in costruzione, il cui valore era stato determinato in 50 milioni di euro e per il quale, invece, secondo quanto consta all'interrogante, la società Belmond, colosso del settore alberghiero, proprietaria di oltre sessanta hotel in tutto il mondo, aveva fatto un'offerta preliminare di 80 milioni di euro;
   in seguito alla presentazione delle offerte preliminari la società Eur spa ha richiesto la presentazione di un'offerta vincolante solamente ad Inail, ignorando completamente le altre offerte preliminari ricevute, tra le quali anche quella della Belmond per l'acquisto dell'albergo Lama, nonostante questa fosse a parere dell'interrogante alquanto vantaggiosa;
   si è ritenuto preferibile, quindi, vendere dei palazzi storici di pregio, al cui interno si trovano affreschi di valore inestimabile e che ospitano luoghi della cultura, quali musei o raccolte di altre opere d'arte o di particolare valore storico, e che oltretutto che generano un reddito annuale di 16 milioni di euro, invece di alienare una struttura alberghiera ancora in costruzione che costerà altri 30 milioni di euro per essere completata;
   facendo un rapido calcolo appare subito chiaro che la società Eur spa sta vendendo i citati edifici all'Inail in cambio di un prezzo di appena 1.700 euro al metro quadrato, di fatto svendendoli, e ha invece ritenuto di declinare la proposta della società Belmond che offriva oltre 2.000 euro al metro quadro per un edificio, peraltro, neanche terminato –:
   per quali ragioni si sia ritenuto di procedere con la vendita all'Inail, nonostante questa sia decisamente meno vantaggiosa di altre offerte preliminari pervenute. (3-01586)
(30 giugno 2015)