TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 449 di Mercoledì 24 giugno 2015

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE ALLA REVOCA DELLE SANZIONI DELL'UNIONE EUROPEA CONTRO LA FEDERAZIONE RUSSA E AL RAGGIUNGIMENTO DI UNA SOLUZIONE POLITICO-DIPLOMATICA DELLA CRISI UCRAINA

   La Camera,
   premesso che:
    a seguito dell'aggravarsi della crisi ucraina, l'Unione europea, gli Stati Uniti e altri Paesi hanno emanato pacchetti di sanzioni nei confronti della Federazione russa;
    in risposta alle sopradette sanzioni, il 7 agosto 2014 le autorità russe hanno disposto un embargo annuale su svariate tipologie di prodotti agroalimentari provenienti da Unione europea, Usa, Australia, Canada e Norvegia;
    il 5 settembre 2014 a Minsk, Ucraina e Federazione Russa hanno sottoscritto un accordo per il cessate il fuoco, per una transizione verso la pacificazione dell'area anche attraverso il riconoscimento di uno statuto di autonomia per le popolazioni russofone della regione del Donbass, nell'est dell'Ucraina;
    l'8 settembre 2014 il Consiglio dell'Unione europea ha varato nuove sanzioni indirizzate al settore energetico (sospendendole temporaneamente per verificare il progressivo rispetto degli accordi di Minsk) cui il Primo ministro russo Medvedev ha risposto ipotizzando la chiusura dello spazio aereo nazionale ai voli europei e statunitensi;
    dall'inizio della crisi nella regione del Donbass sono quasi un milione i profughi e gli sfollati scappati dalla guerra ed entrati in Russia, oltre 1200 i morti e 4000 i feriti tra i civili;
    è auspicabile per l'Italia e per l'Europa tutta che si ponga fine all’escalation militare e si giunga ad una soluzione politica che preveda la salvaguardia dell'integrità territoriale dell'Ucraina, così come la tutela e l'autodeterminazione delle popolazioni russofone del Donbass;
    l'embargo russo colpisce duramente l’export italiano e le imprese agroalimentari italiane: le prime stime parlano di perdite di almeno duecento milioni di euro tra ortofrutta, carni fresche e lavorate, latte e derivati, pasta e pesce;
    nel 2013 le esportazioni italiane in Russia sono cresciute dell'8,2 per cento per un valore totale complessivo di 10,4 miliardi di euro, mentre le esportazioni agroalimentari hanno fatto segnare la cifra record di un miliardo di euro, rappresentando circa il 10 per cento del totale;
    oltre al danno diretto, l'Italia subirà un danno indiretto anche sul mercato interno, che verrà ulteriormente invaso da prodotti provenienti da altri Paesi dell'Unione europea a prezzo e qualità inferiore, in particolare nel settore ortofrutticolo, e che in ogni caso vedrà aumentare la quantità di prodotto disponibile a scapito dei prezzi;
    il fenomeno dell’italian sounding nel settore agroalimentare provoca già danni per oltre 50 miliardi di euro annui e alcune aziende hanno deciso di spostare la produzione in Paesi esclusi dal blocco – come ad esempio la Serbia – producendo in loco con materie prime locali, mentre altre cercano di escogitare sistemi diversi per aggirare l'embargo;
    tutto ciò provocherà un ulteriore danno al comparto, in quanto non vi è nessuna garanzia sul rispetto delle norme e delle condizioni di produzione, delle materie prime utilizzate, così come dei disciplinari di produzione per tutti quei prodotti a marchio dop (denominazione di origine protetta), igp (indicazione geografica protetta) e stg (specialità tradizionale garantita);
    una volta ristabilitasi la situazione e cessato l'embargo, non sarà automatico il ritorno ai volumi di scambi sopra citati, poiché è lecito pensare che prodotti provenienti da Paesi extra Unione europea avranno nel frattempo guadagnato quote di mercato fino a poche settimane fa detenute dai prodotti italiani, in molti casi a seguito di ingenti investimenti in termini di promozione del prodotto;
    le conseguenze si stanno facendo pesantemente sentire non soltanto in termini di mancate esportazioni, ma anche di indebolimento della struttura della rete commerciale e della distribuzione, con conseguente chiusura di aziende e perdita di occupati;
    il pacchetto di misure compensative proposto dalla Commissione europea a sostegno dell'agroalimentare comunitario è del tutto insufficiente, poiché copre solo in minima parte i danni diretti provocati dall'embargo e in nessuna misura quelli indiretti;
    alcuni prodotti risultano particolarmente colpiti: ad esempio, i formaggi a denominazione d'origine stagionati non potranno accedere agli aiuti dell'Unione europea per l'ammasso privato, correndo il rischio di una distorsione della concorrenza a vantaggio di altri formaggi;
    l'embargo russo seguito alle sanzioni dell'Unione europea è l'ennesimo duro colpo per l'agricoltura italiana già fortemente colpita nel 2014 dalle condizioni climatiche (inverno mite ed estate molto piovosa), nonché dal costante calo dei consumi interni;
    il mondo produttivo italiano, e segnatamente le associazioni dei produttori del comparto agroalimentare, ha lanciato ripetuti appelli ad intervenire a tutela del settore;
    anche da altri Stati membri dell'Unione cominciano a levarsi forti preoccupazioni sull'impatto dell'embargo ai danni di molte economie europee,

impegna il Governo:

   a farsi promotore di un'iniziativa finalizzata alla revoca immediata delle sanzioni dell'Unione europea contro la Russia e al raggiungimento di una soluzione politico-diplomatica alla crisi ucraina;
   a ritirare, in ogni caso, il sostegno italiano a sanzioni che colpiscono duramente gli interessi nazionali;
   ad impegnarsi con maggiore incisività in sede di Unione europea affinché la Commissione europea vari misure compensative adeguate a sostenere le imprese e i sistemi di filiera, ristorando i danni, contingenti e strutturali, subiti per effetto dell'embargo;
   a fare esso stesso quanto in proprio potere per alleviare le condizioni di difficoltà del settore agroalimentare italiano.
(1-00591)
«Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».
(10 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    esistono ragioni morali, politiche, storiche ed economiche per le quali non ha alcun senso, né utilità per il bene dei popoli che l'Italia applichi sanzioni contro la Federazione russa:
     a) le ragioni morali e politiche:
      1) mantenere e insistere sulle sanzioni contro la Federazione russa è molto più di una prospettiva tetra per i rapporti commerciali italiani: taglia via uno dei due polmoni dal corpo unico del continente;
      2) è oggettivamente fuori luogo, se non pura propaganda, riproporre oggi un'idea di guerra fredda tra l'impero sovietico e l'Alleanza atlantica;
      3) a quel tempo, a differenza che per molti oggi al Governo, era ben chiaro per l'Italia da che parte stare e le dure risposte occidentali erano necessarie e furono vincenti sul lungo periodo;
      4) oggi questo conflitto non ha senso. Le legittime ragioni dell'Ucraina, che sono all'origine dichiarata di questo confronto, vanno sostenute. Anche se molto è da chiarire sull'influenza esercitata da potenze straniere nel determinare lo scoppio della rivolta che ha portato all'attuale assetto politico;
      5) il popolo ucraino non è materiale umano di serie B, così come non lo è quello russofono. Il conflitto di identità storica e culturale tra la maggioranza che parla ucraino e la poderosa minoranza russa, che diventa maggioranza nell'Est, non è stato inventato da Putin e ad essa vanno riconosciuti pieni diritti in un percorso pacifico, quale gli accordi di Minsk hanno tracciato;
      6) l'efficace attuazione degli accordi di Minsk esige una mediazione e un'attitudine al compromesso, che salvaguardi libertà e sicurezza di tutti, senza calpestare le legittime istanze dei contendenti;
      7) la responsabilità dell'Italia è anzitutto di rispettare se stessa, la sua tradizionale attitudine a essere un ponte di pace con la Federazione russa. Tanto più ora che rapporti sereni e positivi con Mosca hanno dimostrato in questi anni di garantire un interscambio commerciale florido, flussi turistici e tranquillità energetica;
      8) tutto nasce da Pratica di Mare, che Berlusconi volle con tutte le sue forze creative, consentendo, nel 2002, una partnership strategica tra Nato e Federazione russa. Si riparta da quel faro, lo si riaccenda per illuminare il presente;
      9) esiste la necessità morale e storica, cui si connette una responsabilità verso la pace nel mondo, sancita dalla Costituzione, che impone passi coraggiosi e sensati per non chiudere le speranze di un avvenire pacifico e prospero per tutto il continente «dall'Atlantico agli Urali», come disse Giovanni Paolo II, cui il papa Francesco si pone in continuità profetica;
      10) l'Italia, accettando passivamente e contro la sua vocazione e il suo interesse nazionale le sanzioni contro Mosca, ha rinunciato ad un ruolo di protagonista, di ponte d'amicizia tra America, Europa e Federazione russa;
      11) recuperare questo ruolo è tanto più importante per una lotta comune contro il terrorismo islamico e per fermare così lo tsunami d'immigrazione che sta invadendo il nostro Paese;
      12) è, infatti, più chiaro che senza la collaborazione fattiva con la Federazione russa non si può dare pace e ordine sullo scacchiere mediorientale;
     b) le ragioni storiche ed economiche:
      1) l'Unione europea, nonostante il permanere di una crisi economica e produttiva, rappresenta, ancora, la principale potenza commerciale del mondo. Non ha, tuttavia, una struttura politica, istituzionale e militare che corrisponda a questo grado di sviluppo;
      2) questo è un fattore di enorme debolezza, che la espone ai contraccolpi derivanti da processi che sono fuori dal suo controllo e dalla sua possibilità di intervento;
      3) l'economia mondiale è sempre più sostenuta dal tasso di sviluppo delle nuove potenze economiche. Già nei prossimi anni, la Cina avrà un reddito pro capite, seppur corretto per la diversità del potere di acquisto, superiore a quello degli Stati Uniti;
      4) sarà pertanto inevitabile che a questo cambiamento degli equilibri economici di fondo, corrisponda nel tempo un identico cambiamento nei rapporti politici;
      5) è necessario che ciascun Paese, nel solco delle proprie tradizioni e della propria Costituzione, si assuma le sue responsabilità, nel rispetto dei Trattati europei e delle regole di cui l'Onu è suprema custode;
      6) di fronte ad una situazione così complessa e difficile è necessario che l'Unione europea guardi oltre i propri confini, curando rapporti di buon vicinato, e si misuri con un sistema di alleanze che guardi alla sua geo-politica complessiva;
      7) occorre che l'Unione europea mantenga rapporti stretti con l'alleato americano, ma al tempo stesso non lo assecondi in quelle pulsioni interventiste, come è avvenuto in passato a proposito dell'Iraq o della Libia. Anche se, in questo secondo caso, le colpe furono più europee che non statunitensi;
      8) i rapporti con la Federazione russa di Putin devono, quindi, rispondere ad una logica inclusiva. E non alla vecchia tecnica del containment o del rolling back, che fu caratteristica del periodo più duro della «guerra fredda»;
      9) obiettivi che possono essere conseguiti, rinunciando alla pretesa di costringere chicchessia a rinunciare alla difesa dei propri interessi nazionali, ricorrendo al bastone delle sanzioni economiche o militari, i cui effetti controproducenti sono gravi ed evidenti;
      10) questi sono i sentimenti prevalenti nel popolo italiano. È necessario renderli protagonisti del presente grazie a una presa di posizione coraggiosa, che faccia prevalere la giustizia e il buon senso sulle tattiche di dominio;
      11) basterebbero questi richiami per giustificare la necessità di un cambiamento di carattere strategico, nell'impostazione dei rapporti bilaterali tra l'Italia e la Federazione russa, nella prospettiva di tracciare una strada in cui possano riconoscersi anche altri partner europei;
      12) l'Italia è il Paese più esposto rispetto alla crisi in Medio oriente e del continente africano. Qui si riversano migliaia di profughi. Ci vorrebbe un intervento internazionale. Una deliberazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, per tentare di risolvere alla radice quel problema;
      13) ma per ottenere un qualsivoglia risultato è necessario coinvolgere la Federazione russa in quel puzzle che è divenuto il teatro del conflitto;
      14) dal punto di vista strategico, le sanzioni, per loro stessa natura, sono una forma di guerra commerciale che, secondo la teoria dei giochi, ha senso solo se chi la attua è disposto ad accentuarne l'intensità, mettendo in conto anche un conflitto bellico vero e proprio. In caso contrario, sono un azzardo utile a procurare un vantaggio ad una parte sola;
      15) escludendo ovviamente l'opzione guerra contro la Federazione russa, si constata che a pagare il conto delle sanzioni sono, oltre a quest'ultima, la quasi generalità degli Stati europei, mentre ad averne un ritorno positivo sono gli Stati Uniti d'America e il Regno Unito (quest'ultimo grazie alle triangolazioni con i Paesi del Commonwealth), non a caso i più determinati nell'imporre la logica delle sanzioni;
      16) dal punto di vista economico, la caduta dei rapporti commerciali con la Russia ha pesato sull'Italia per tre miliardi di euro di minori esportazioni (-29,5 per cento), in particolare colpendo imprese agricole, alimentari, edilizie, dell'arredamento e dell’high-tech, ed è questo un lusso che il nostro Paese non può permettersi,

impegna il Governo:

   a riconsiderare la posizione dell'Italia con riguardo alle sanzioni in vigore contro la Federazione russa, perché ingiuste e controproducenti per la convivenza pacifica e dannose per l'economia anzitutto del nostro Paese;
   ad adoperarsi in tutte le sedi europee affinché questo esempio sia seguito da un numero crescente di Paesi, riconoscendo a tutte le parti il diritto di difendere, privilegiando il dialogo, la propria identità nazionale e i legami con le proprie origini, al fine di raggiungere un accordo che porti all'annullamento delle sanzioni in vigore contro la Federazione russa;
   ad adoperarsi perché gli Stati Uniti d'America nel loro tradizionale ruolo e nella loro costante opera per la pace e il benessere nel mondo riconoscano che la strada di uno spirito di collaborazione non passa attraverso le sanzioni che colpiscono e umiliano i popoli.
(1-00901) «Brunetta, Giammanco».
(12 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    come è noto la crisi e il conflitto nell'Ucraina orientale tra le truppe governative di Kiev e i ribelli separatisti filo-russi ha determinato, già a partire dal mese di luglio 2014, da parte dell'Unione europea l'adozione di misure restrittive nei confronti dell’export tecnologico verso la Russia e delle sue banche, che stanno sostenendo, sia materialmente che finanziariamente, azioni che compromettono o minacciano la sovranità, l'integrità territoriale e l'indipendenza dell'Ucraina;
    già a partire dai primi giorni di agosto 2014, la Russia ha annunciato un embargo sulle importazioni dall'Ucraina di soia e prodotti da girasole e ha successivamente annunciato il blocco degli acquisti di pesche dalla Grecia, come pure di carne di pollo dagli Stati Uniti, ufficialmente dettate da criteri sanitari. Successivamente il Governo russo, in risposta alle sanzioni decise dagli Stati Uniti e dall'Unione europea, ha annunciato una serie di misure economiche, concretizzatesi nel divieto di importazione, per la durata di un anno, di un nutrito elenco di generi alimentari dai 28 Paesi dell'Unione europea, dagli Usa, dal Canada, dalla Norvegia e dall'Austria. Detta messa al bando dovrebbe comportare la cancellazione di oltre 31 miliardi di euro su un totale di circa 52 miliardi di euro di importazioni agroalimentari russe di carne, pollo, pesce, latte, uova, frutta e verdura; e all'orizzonte si prospetta una guerra commerciale che potrebbe avere conseguenze economiche molto pesanti per entrambe le parti;
    appare ovvio che la Russia ha risposto all'assedio europeo e statunitense con la stessa moneta e se gli Stati Uniti non hanno molto da perdere nella guerra commerciale con Mosca, molti Paesi europei, in primis l'Italia, hanno accusato invece pesantissime ripercussioni; inoltre, il perdurare della crisi ucraina rischia di determinare reciproche ulteriori e più gravi misure sanzionatorie e restrizioni;
    peraltro, il 17 giugno 2015 gli ambasciatori permanenti dei ventotto Stati dell'Unione europea hanno deciso all'unanimità di prorogare sino al 31 gennaio 2016 le sanzioni economiche contro la Russia, ritenuta colpevole di aver destabilizzato l'Ucraina, favorito la guerra civile ed essere intervenuta militarmente nella Repubblica ex sovietica, decisione che sarà poi formalmente approvata nei giorni successivi nella riunione dei Ministri degli esteri in Lussemburgo (22 giugno 2015); tutto ciò, proprio mentre crescono le tensioni tra Russia e Occidente;
    la guerra in Ucraina si riflette, dunque, in maniera immediata e pesantissima anche sull'Italia per via dell'embargo imposto dalla Russia sui prodotti agroalimentari dei Paesi dell'Unione europea, di cui l'Italia è il primo produttore. Una misura presa in risposta alle sanzioni che a sua volta l'Unione europea e gli Stati Uniti hanno applicato a Mosca e che rischia di far perdere al settore agroalimentare italiano tra 160 e i 200 milioni di euro di esportazioni, come stimato dalla Coldiretti;
    occorre tenere presente, purtroppo, che, per quanto riguarda i numeri delle perdite derivanti dalle sanzioni, regna il caos più totale. Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina ha parlato di «200 milioni di euro d'impatto, a partire dal 7 agosto 2014», mentre la Ministra dello sviluppo economico Federica Guidi ha stimato che si tratta «al massimo di 100 milioni la perdita in valore di export italiano verso la Russia». Ma anche nel corso del «IV Forum Italia-Russia. Scenari per un nuovo sviluppo», tenutosi presso la Bocconi nel novembre 2014, i numeri forniti sono diversi e parlano di 188 milioni di euro nel biennio 2014-2015 (perdite dirette derivanti dall'embargo) e di 3,7 miliardi di euro (tenendo conto di tutte le componenti, inclusa la mancata crescita di esportazioni). La contrazione dell’export verso la Russia è nell'ordine del 17 per cento nel 2014 e del 21 per cento nel 2015; invece, il danno stimato, secondo una ricerca della Sace, per il 2014-2015 per l'Italia, a seconda dell'evoluzione dello scenario internazionale, potrebbe comportare una perdita totale di valore tra i 938 milioni e i 2,4 miliardi di euro; secondo quanto emerge da una analisi della Coldiretti, sulla base dei dati Istat sul commercio extra Unione europea nel solo mese di gennaio 2015, le esportazioni di prodotti made in Italy in Russia nel 2015 sono crollate del 37 per cento per una perdita di oltre 246 milioni di euro; l'Italia ha già perso nel 2014 oltre 1,25 miliardi di euro di export in Russia per l'effetto dell'embargo e delle tensioni politiche che hanno frenato gli scambi;
    purtroppo, le sanzioni fanno ormai parte della discutibile «consuetudine», a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, della politica internazionale e vi si preferisce ricorrervi per congelare le tensioni, sia come monito che come misura cautelare per i vari Paesi;
    l'embargo dei prodotti agroalimentari ha colpito direttamente produzioni tipiche e di grande rilevanza per il nostro Paese, con particolare riferimento ai prodotti derivati dal latte, ai prodotti ortofrutticoli, alle carni suine e bovine e al pollame;
    la chiusura di un mercato di primario interesse per le imprese italiane, mercato fra l'altro in forte crescita nell'ultimo triennio, rischia di determinare conseguenze immediate e permanenti sull'occupazione già in grande affanno, tenendo conto che i fornitori italiani rischiano rapidamente di essere soppiantati dagli operatori di altri Paesi esportatori;
    l'Italia è il secondo partner commerciale della Russia in Europa dopo la Germania e il quarto a livello mondiale. Secondo dati Istat e Eurostat, nel 2013, le esportazioni italiane nella Federazione russa hanno raggiunto il loro massimo storico con 10,8 miliardi di euro;
    Mosca ha anche annunciato la cancellazione del progetto South Stream, che avrebbe dovuto fornire fino a 63 miliardi di metri cubi di gas l'anno agli europei, progetto al quale le italiane Eni e Saipem partecipavano con contratti che avrebbero portato ricavi all'Italia rispettivamente di 2,4 e 1,25 miliardi di euro;
    appare evidente come siano state completamente sottovalutate le conseguenze pratiche della decisione dell'Unione europea di comminare sanzioni alla Federazione russa; decisione (alla quale il Governo italiano ha contribuito attivamente, stante anche il ruolo di guida avuto nel trascorso semestre europeo) a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo decisamente miope dinanzi ai facilmente prevedibili effetti conseguenti nei più svariati campi, a partire dal settore agroalimentare, il quale, valutata la situazione di congiuntura economica globale, non rischia la sola contrazione del fatturato, ma ben più gravi conseguenze sull'insieme della filiera produttiva e della trasformazione e del trasporto dei prodotti che potrebbero creare danni strutturali di medio e lungo periodo;
    con misure di sostegno decise il 18 agosto 2014, la Commissione europea ha reso disponibili 125 milioni di euro, del tutto insufficienti però, per risarcire i danni che subiranno i produttori dell'Unione europea di frutta, ortaggi e prodotti agricoli deperibili a causa dell'embargo russo contro i prodotti alimentari occidentali; ma gli effetti potenziali dell'embargo russo sulle importazioni di prodotti alimentari occidentali vanno ben oltre gli effetti su questi prodotti. Per l'Unione europea l'effetto potenziale complessivo ammonta a una perdita di produzione annuale di 6,7 miliardi di dollari,

impegna il Governo:

   a sostenere, in sede multilaterale e bilaterale, ogni attività diplomatica volta a supportare la ripresa del dialogo fra le parti e a scongiurare il rischio di un pericoloso incremento della tensione internazionale a seguito della crisi ucraina, nonché per ottenere la revoca di sanzioni commerciali che colpiscono duramente il nostro Paese ovvero rivedere il sostegno italiano al reiterato regime di sanzioni previsto fino a gennaio 2016, che colpirà ancora più duramente gli interessi nazionali;
   ad attivarsi perché sia adottato ogni intervento necessario, in sede europea, al fine di garantire maggiori risorse per risarcire le imprese e i produttori europei danneggiati dall'embargo russo, prevedendo misure eccezionali per fronteggiare la situazione congiunturale venutasi a creare, tra le quali:
    a) l'eventuale acquisto dei prodotti rifiutati, promuovendone l'utilizzo in mercati alternativi, anche al fine di garantire i servizi di ristorazione espletati nelle mense di qualsivoglia ente pubblico o per la fornitura ai servizi riservati all'accoglienza dei bisognosi (poveri, migranti ed altri);
    b) misure di sostegno, aggiuntive rispetto a quelle previste dall'Unione europea, a supporto immediato dei comparti della filiera agroalimentare maggiormente coinvolti dall'embargo deciso dal Governo russo, con particolare riferimento all'eventuale differimento di alcune scadenze tributarie e al sostegno creditizio delle imprese più esposte;
    c) l'attenta e scrupolosa verifica dell'entità delle richieste di risarcimento provenienti dai Paesi dell'Unione europea che, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo troppo semplicisticamente, dichiarano di aver ritirato ingenti quantitativi di frutta ed ortaggi.
(1-00913)
«Grande, Manlio Di Stefano, Colletti, Sibilia, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, Di Battista».
(18 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il 6 agosto 2014 il Presidente della Federazione russa ha, con il decreto (ukaz) n. 560 «Sull'applicazione di singole misure economiche speciali atte a garantire la sicurezza della Federazione Russa», introdotto il divieto di importare in Russia alcune categorie di alimenti per un periodo non superiore a un anno, demandando al Governo di determinare in tempi brevi gli elenchi dei Paesi stranieri esportatori soggetti a tale divieto e dei prodotti inclusi nel campo di applicazione dell'atto;
    il giorno seguente, 7 agosto 2014, il Governo della Federazione russa ha emanato il decreto attuativo «Sui provvedimenti di attuazione del Decreto del Presidente della Federazione Russa del 6 agosto 2014 n. 560», con il quale è stata formalizzata l'introduzione del divieto di importare nella Federazione Russa, per un anno, determinati prodotti agricoli, materie prime e prodotti alimentari, tra i quali figurano carni bovine e suine, pollame, pesce, formaggi e latticini, frutta e verdura prodotte (come attestato dal certificato di origine della merce) negli Stati Uniti d'America, nei Paesi dell'Unione Europa, in Canada, Australia e Norvegia. Sono esclusi dal campo di applicazione delle misure in questione alcolici, bevande, pasta e prodotti da forno, prodotti per l'infanzia e merci acquistate all'estero per consumo privato;
    qualche giorno dopo il decreto governativo 11 agosto 2014, n. 791, «Sull'imposizione del divieto di introdurre prodotti dell'industria leggera di produzione straniera da parte di soggetti pubblici per l'effettuazione di acquisti volti alla soddisfazione di necessità federali», ha proibito esclusivamente agli enti pubblici russi, a partire dal primo settembre 2014, di acquistare prodotti tessili, abbigliamento, calzature, valigie e pelli prodotti fuori dall'unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan;
    misure sono state adottate in risposta alle sanzioni decise dagli Stati Uniti d'America e dall'Unione Europea;
    in particolare, le sanzioni economiche che l'Unione europea ha introdotto dal 31 luglio del 2014 nei confronti della Federazione russa colpiscono l'esportazione di tecnologia upstream, e in particolare quella dei prodotti elencati dal regolamento (UE) n. 833/2014 (come integrato dal comunicato ufficiale del Ministero dello sviluppo economico dell'8 agosto 2014);
    conformemente all'articolo 3.1 del regolamento (UE) n. 833/2014, chi intende esportare in Russia le merci elencate dall'Allegato II al regolamento stesso deve necessariamente munirsi di apposita autorizzazione rilasciata dai competenti uffici del Ministero dello sviluppo economico;
    ai sensi dell'articolo 3.5 del regolamento (UE) n. 833/2014 vige invece un divieto totale di vendere, fornire, trasferire ed esportare a end-user russi attrezzature destinate ad attività esplorative/estrattive in depositi di scisto bituminoso (cosiddetto shale oil), ovvero da svolgersi in acque profonde o artiche. Inoltre, a seguito dell'inasprimento della disciplina del regolamento (UE) n. 833/2014, attuato con il successivo regolamento (UE) n. 960/2014 del 12 settembre 2014, un'analoga previsione opera con riguardo ai prodotti con doppia destinazione d'uso destinati a nove imprese russe del settore tecnologico e militare indicate nell'aggiunto Allegato IV del regolamento (UE) n. 833/2014 (a prescindere dalle modalità dell'utilizzo finale di detti prodotti);
    le sanzioni europee nei confronti della Russia colpiscono anche il settore militare (divieto di esportare equipaggiamento militare a end-user russi) e quello finanziario (divieto di acquistare titoli obbligazionari con scadenza maggiore di 30 giorni emessi da alcune tra le maggiori banche e imprese russe), nonché una serie di persone fisiche e giuridiche elencate nella versione consolidata del regolamento (UE) n. 269/2014;
    il 17 giugno del 2015, gli ambasciatori permanenti degli Stati dell'Unione europea hanno deciso all'unanimità di prorogare sino al 31 gennaio 2016 le sanzioni economiche contro la Russia. Ad ogni modo la decisione finale spetta al Consiglio dei Ministri degli esteri in programma per il 22 giugno 2015;
    come contromisure europee all'embargo all'import di alcune categorie di prodotti agro-alimentari posto in essere dalla Federazione russa, la Commissione europea ha ufficialmente approvato, il 18 agosto del 2014, con procedura d'urgenza, due regolamenti finalizzati all'erogazione di fondi a supporto dei produttori europei colpiti dalle conseguenze del divieto;
    si tratta, in particolare, del regolamento (UE) n. 932/2014 relativo a specifiche voci doganali del settore ortofrutticolo che prevede, sinteticamente, lo stanziamento di 125 milioni di euro con misure che vanno dal ritiro dal mercato per la distribuzione gratuita al risarcimento per la mancata o anticipata raccolta, e del regolamento (UE) n. 950/2014 relativo a specifiche voci doganali di formaggi che prevede, in sintesi, aiuti per l'ammasso privato di formaggio fino ad un quantitativo complessivo pari a 155.000 tonnellate;
    se, come sostiene la Commissione europea nell'ultimo rapporto del 27 maggio 2015, le sanzioni alla Federazione russa avrebbero sull'economia europea un impatto «limitato e non influente su gran parte delle esportazioni», essendo limitate a una parte dell’export degli armamenti e ad una ristretta gamma di prodotti e beni di consumo, le misure attuate dal Governo di Mosca sul divieto di importazione di prodotti agroalimentari da Usa, Unione europea, Canada, Norvegia e Austria hanno effetti molto più vasti delle contromisure previste dall'Unione europea;
    uno studio recente condotto in esclusiva per il Lena (Leading European Newspaper Alliance) dal Wifo (Istituto austriaco per la ricerca economica) ha rivelato che sarebbero a rischio in tutta Europa due milioni di posti di lavoro e circa 100 miliardi di euro in valore aggiunto nell’export di beni e servizi per gli effetti delle sanzioni e controsanzioni;
    la ricerca del Wifo prende in considerazioni gli effetti del «peggiore degli scenari», ossia se la situazione non dovesse mutare radicalmente e, quindi, non fossero tolte le sanzioni. Nel caso contrario, soltanto un fattore potrebbe attutire l'impatto: l'aumento delle esportazioni verso altri Paesi. Un'ipotesi molto difficile da realizzarsi, anche alla luce del perdurare della crisi globale nonostante le rosee previsioni della Commissione europea che cita un incremento dell’export agricolo verso altri Paesi, deducendone un outlook addirittura positivo, con un calo del prodotto interno lordo europeo, nel 2015, limitato allo 0,25 per cento;
    in Italia, secondo le stime del Wifo, si rischia la perdita nel breve periodo (cioè il primo trimestre del 2015) di 80 mila posti di lavoro e quattro miliardi e 140 milioni di euro in valore aggiunto creato dall’export, mentre nel lungo periodo il calo di occupazione sarà di 215 mila posti di lavoro e quello del valore aggiunto della produzione di 11 miliardi e 815 milioni di euro, ossia una riduzione della produttività pari allo 0,9 per cento;
    secondo la Coldiretti le esportazioni di prodotti agroalimentari in Russia sono più che dimezzate (-53,8 per cento) nel primo bimestre del 2015, dopo che nel 2014 aveva già comportato un calo delle spedizioni di circa 100 milioni di euro;
    in particolare, sempre secondo la Coldiretti, negli ultimi cinque mesi del 2014 si è verificata una perdita in valore nelle esportazioni in Russia di 24,4 milioni di euro per la frutta fresca, di 19,1 milioni di euro per prodotti lattiero-caseari ed i formaggi, di 17,1 milioni di euro per carne ed ai suoi derivati, mentre per il 2015 si potrebbero far perdere al settore agroalimentare italiano tra i 160 e 200 milioni di euro di esportazioni;
    una recente analisi dell'Aice (Associazione italiana commercio estero) aderente a Confcommercio e un'indagine di Federazione moda Italia hanno stimato che nei primi 3 mesi del 2015 gli acquisti russi in Italia sono calati di oltre il 50 per cento, evidenziando le perdite anche sul fronte dei consumi nel nostro Paese da parte dei turisti provenienti da quelle aree;
    altri dati pubblicati in questi mesi evidenziano perdite nei più svariati settori e rilevano le conseguenze pesanti che vanno a ripercuotersi sui cittadini, di entrambe le parti;
    le sanzioni alla Federazione russa, infatti, hanno comportato una perdita netta stimabile in 40 miliardi di dollari a cui vanno aggiunti 100 miliardi derivanti dal repentino ribasso del prezzo del petrolio. I cittadini russi sono quelli che pagano il conto più salato: la svalutazione del rublo ha dimezzato il valore dei risparmi, lo Stato è stato costretto ad aumentare i prezzi di farmaci e dell'assistenza sanitaria, il prezzo dei prodotti agricoli e caseari è raddoppiato negli ultimi sei mesi, con un notevole abbassamento degli standard di qualità prima garantiti dalle importazioni;
    un fallimento invece sembrano essere le sanzioni ai singoli cittadini di Russia, Ucraina e Crimea ritenuti responsabili della crisi. Addirittura Spagna, Malta, Finlandia, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Ungheria e Lituania non hanno provveduto ad alcuna confisca. In Germania sono stati congelati solo 124.346 euro, soltanto 120 mila euro a Cipro, sede di società e di depositi degli oligarchi russi. In controtendenza l'Italia, che con le confische al miliardario Arkady Rotenberg ha congelato un patrimonio pari a 30 milioni di euro;
    appare sempre più evidente che la gestione della crisi e le conseguenti sanzioni imposte dall'Unione europea, che fanno pagare ai popoli dei suoi Stati membri un prezzo elevato, sono state una scelta ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo avventata e frettolosa, troppo subordinata alle scelte dell'Alleanza Nord Atlantica e degli Stati Uniti d'America, ma anche alla propensione della Germania ad espandersi verso i mercati dell'Est;
    relativamente all'Ucraina, tutte le iniziative dell'Unione europea sono state caratterizzate dalla scarsa attenzione alle dinamiche interne al Paese e alla condizione dei suoi cittadini, in favore di un interesse pressoché esclusivo verso la sua centralità economica ed il suo ruolo strategico, principalmente a causa dei gasdotti che passano per il suo territorio;
    più che puntare all'obiettivo di includere l'Ucraina progressivamente nel mercato europeo e quindi nell'Unione europea, si dovrebbe lavorare per un'ipotesi similare al «modello finlandese» di integrazione europea che ha rappresentato un modello virtuoso di indipendenza per un Paese, come la Finlandia, a cavallo tra Europa ed area ex sovietica, caratterizzato dalla neutralità dello Stato, garantita dalla non adesione della Finlandia alla Nato e da un'adesione all'Unione europea avviata e raggiunta mantenendo ottimi rapporti di amicizia con la Russia;
    in tutto questo continuano gli scontri nell'est del Paese e la sensazione che il conflitto possa precipitare da un giorno all'altro aumenta con il passare del tempo. Entrambi gli schieramenti denunciano la controparte di preparare offensive e nel frattempo continua la corsa agli armamenti e il dispiegamento di dispositivi militari di ogni tipo pronti ad entrare in gioco,

impegna il Governo:

   a promuovere un'iniziativa in sede europea affinché si alleggeriscano significativamente le sanzioni dell'Unione europea alla Federazione russa;
   ad attivarsi prontamente in sede europea al fine di garantire maggiori risorse per compensare il danno prodotto dalle restrizioni alle importazioni applicate dalla Federazione russa alle imprese, ai produttori e ai cittadini dell'Unione europea;
   ad assumere iniziative per evitare ogni altra precipitazione bellica della crisi ucraina, promuovendo in sede di Unione europea una soluzione diplomatica che coinvolga tutte le parti in conflitto e contribuisca a consolidare l'accordo di Minsk del 12 febbraio 2015;
   a promuovere in sede di Consiglio europeo iniziative per garantire che non vi sia alcuna sovrapposizione, ruolo e partecipazione della Nato alla crisi ucraina, impedendo qualsiasi ipotesi di riarmo occidentale dell'Ucraina;
   a invitare il Consiglio europeo a farsi carico di un lavoro di mediazione diplomatica che faciliti la ricerca di una soluzione pacifica della crisi ucraina, esortando ad un ruolo maggiore l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea affinché si garantisca l'integrità territoriale dello Stato ucraino ed il rispetto della sua sovranità in quanto principio internazionale inviolabile, nel rispetto della sicurezza della popolazione civile, ma che promuova anche la neutralità dell'Ucraina sul «modello finlandese».
(1-00914)
«Ricciatti, Scotto, Palazzotto, Fratoianni, Kronbichler, Duranti, Piras, Ferrara».
(22 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    le sanzioni imposte dall'Unione Europea alla Russia non favoriscono le relazioni diplomatiche rivolte alla soluzione della crisi ucraina, danneggiano le economie dei Paesi coinvolti e le aspettative dei cittadini Italiani, comunitari e russi, e contribuiscono ad inasprire la grande crisi economica che sta alimentando le tensioni internazionali e l'odio tra i popoli;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è necessario scongiurare il rischio che il conflitto si allarghi, assistendo ad una escalation militare in Europa orientale, recuperando e rinnovando la volontà di dialogo tra Russia e Ucraina già manifestata con i cosiddetti accordi di Minsk;
    appare fondamentale garantire l'integrità territoriale dell'Ucraina, naturalmente con il coinvolgimento della Federazione russa nella ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi;
    si ricorda che la crisi attuale discende direttamente dalla cosiddetta dissoluzione dell'Urss, una delle due superpotenze che avevano retto le sorti dell'ordine globale dal secondo dopoguerra, avvenuta in modo rapido e inaspettato;
    essa implose dall'interno e la sua disgregazione sconvolse e ridisegnò il quadro geopolitico mondiale; tale fase non è ancora terminata;
    dalla dissoluzione dell'Urss nacquero Stati indipendenti che si ricordano: Ucraina, Moldavia, Bielorussia, Estonia, Lettonia, Lituania, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan e, nella maggior parte di quello che era stato il territorio sovietico, la Federazione russa;
    la transizione post-sovietica è stata segnata da episodi di conflitto alla periferia: la secessione de facto della Transnistria dalla Moldavia, la guerra fra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno Karabakh, il conflitto fra Kirghizistan e Uzbekistan nella valle di Fergana, le guerre civili in Georgia e Tagikistan;
    in Transnistria si scatenò il conflitto che insanguinò la regione nel 1992, durante il quale vennero registrate violazioni dei diritti umani e delle leggi di guerra. Il pericolo di nuovi eventi bellici nella regione appare elevatissimo;
    la «guerra dei cinque giorni» tra Georgia e Russia, dal 7 al 12 agosto 2008, fu causata dal contenzioso per il controllo della regione separatista dell'Ossezia del Sud. Dopo aver riconosciuto ufficialmente la Repubblica di Ossezia, la Russia siglò un accordo per il pattugliamento congiunto della frontiera osseto-georgiana e per la concessione di una base militare, opponendosi, al contempo, a partire dal 1o gennaio 2009, al rinnovo della missione di monitoraggio dell'Osce, attiva nella regione sin dal 1992. La regione è ancora oggi potenzialmente a rischio di nuovi episodi di guerra;
    la successiva annessione russa – non riconosciuta – della Crimea ha richiamato l'attenzione su alcune delle nazioni maggiormente in pericolo: particolarmente delicate appaiono le situazioni in Transnistria e in Georgia, aree di fatto indipendenti;
    nella notte tra il 1o e il 2 marzo del 2014, l'esercito della Transnistria è stato messo in stato di massima allerta, come descritto sulle pagine del New Eastern Europe;
    la diplomazia europea appare essere concorde con l'ipotesi prospettata, ovvero la necessità di rafforzare le relazioni tra gli attori coinvolti a tutti i livelli e al superamento dei conflitti regionali, anche nell'interesse dell'Unione europea stessa;
    si noti poi che, recentemente, anche il dibattito politico statunitense è stato caratterizzato da un'approfondita analisi dello scenario geopolitico in questione, al termine della quale si è manifestata l'espressione di forti preoccupazioni rispetto all'attuale strategia incentrata sulle sole sanzioni, pensiero che si può sintetizzare con le parole di Henry Kissinger, già Segretario di Stato con Nixon, collaboratore di vari Presidenti statunitensi, da Kennedy a Reagan: «i Paesi occidentali devono riconoscere che la Russia è importante per la pace nel mondo, che abbiamo bisogno del suo contributo per affrontare questioni gravi come le crisi regionali, il terrorismo islamico, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, il clima, la sicurezza alimentare. A sua volta la Russia deve riconoscere il senso di limitazione che l'approccio europeo nella politica internazionale comporta»;
    dal punto di vista storico, diplomatico ed economico l'interesse nazionale dei cittadini italiani ed europei non può prescindere dalla prosecuzione del dialogo diplomatico, a tutti i livelli, con la Federazione russa nell'ambito di un rapporto concertato in sede di Unione europea,

impegna il Governo

a farsi promotore, a partire dall'ambito dell'Unione europea, agendo di concerto con l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea, di un'azione politica volta alla ricerca di una soluzione politico-diplomatica da darsi alla crisi ucraina, e a promuovere, in sede di Unione europea, le iniziative ritenute più opportune ed efficaci, finalizzate alla rapida revoca delle sanzioni dell'Unione europea contro la Russia, oltreché a tenere presente la necessità di scongiurare ulteriori tensioni politico-militari disinnescando così preventivamente dinamiche simili a quelle verificatesi in Ucraina.
(1-00916)
«Bechis, Turco, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni».
(22 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    dalla negoziazione dell'accordo di associazione dell'Ucraina all'Unione europea sono derivati, nell'ordine:
     a) il rovesciamento di un Presidente democraticamente eletto, Viktor Yanuchovich, tramite rivolgimenti di piazza sulla cui origine e direzione non è ancora stata fatta chiarezza;
     b) l'instaurazione di un nuovo Governo a Kiev, dominato da forze nazionaliste determinate, da un lato, a condurre il Paese verso l'integrazione nell'Alleanza atlantica e nell'Europa comunitaria e, dall'altro, a cancellare ogni forma di autonomia per le zone dello Stato abitate maggioritariamente o comunque significativamente da popolazione russofona;
     c) l'esercizio dell'autodeterminazione da parte della Repubblica autonoma di Crimea e la sua conseguente accessione alla Federazione russa;
     d) lo scoppio di un conflitto nel Donbass, che oppone le milizie locali, assistite dalla Russia, alle forze regolari ucraine, ancora in corso;
    a spingere nella direzione del regime change in Ucraina sono stati, soprattutto, i Paesi europei promotori del cosiddetto partenariato orientale (nel frattempo divenuto un esercizio dell'Unione europea), ovvero Polonia, Svezia e Repubbliche baltiche, alle cui posizioni si è associata da ultimo sorprendentemente anche la Repubblica federale tedesca, che molti ritenevano, invece, avrebbe bloccato in extremis l'offerta a Kiev dell'accordo di associazione all'Unione europea che ha scatenato la crisi tuttora in corso;
    hanno tuttavia dato un significativo contributo ai rivolgimenti verificatisi in Ucraina anche gli Stati Uniti, che traggono un importante beneficio strategico dall'indebolimento dei legami tra Unione europea e Russia, visti da molti influenti analisti americani come una concreta minaccia al mantenimento della loro supremazia planetaria e comunque un ostacolo al progresso del progetto di Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, o Ttip;
    l'attuale amministrazione americana ha confermato, in occasione del più recente vertice del G7, il proprio orientamento a mantenere costante la pressione sulla Russia, invitando i Paesi occidentali alleati a confermare le sanzioni;
    in Russia, lungi dall'essere visto come l'esito di uno spontaneo processo democratico interno, quanto è accaduto in Ucraina è stato considerato il risultato pianificato di un attacco promosso dall'esterno per colpire gli interessi economici e di sicurezza della Federazione, una vera e propria anticipazione del probabile tentativo successivo di destabilizzarne l'attuale leadership, di cui pure gli Stati Uniti cercano l'attiva collaborazione su altri scacchieri, come quello iraniano;
    niente di concreto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è stato fatto per modificare questa percezione russa;
    la Federazione russa ha, quindi, risposto sostenendo l'esercizio di autodeterminazione che ha condotto alla secessione della Crimea dall'Ucraina ed alla sua successiva accessione alla Russia;
    volontari russi sono altresì affluiti nel Donbass, dove è nel frattempo scoppiata una rivolta contro il nuovo Governo costituitosi a Kiev, malgrado Mosca non avesse appoggiato il tentativo locale di promuovere dei referendum di autodeterminazione sul modello di quello svoltosi in Crimea;
    l'ingresso della Crimea nella Federazione russa e la partecipazione di forze russe più o meno volontarie ai combattimenti nel Donbass sono state, quindi, all'origine di una crisi di più grandi proporzioni nelle relazioni tra la Federazione russa, l'Unione europea e gli Stati Uniti, tuttora perdurante, malgrado gli sforzi per ricomporla fatti da alcuni settori della comunità internazionale;
    nel contesto di tale crisi, Unione europea e Stati Uniti, da un lato, e Russia, dall'altro, hanno adottato misure di segnalazione reciproca di intensità crescente, sia sul versante militare che su quello commerciale;
    sul piano militare, a richiesta di un certo numero di Paesi dell'Est europeo, l'Alleanza atlantica ha intensificato le esercitazioni a ridosso delle proprie frontiere orientali, coinvolgendo in almeno un caso anche forze abilitate all'impiego di armi nucleari, mentre la Federazione russa ha moltiplicato i pattugliamenti aerei nei cieli confinanti con diversi Paesi aderenti alla Nato, dando luogo anche ad intercettazioni operate dai caccia alleati;
    è ormai apertamente ventilato il preposizionamento di aliquote americane di mezzi corazzati nell'Europa dell'Est, circostanza che ha già indotto i russi ad annunciare lo schieramento ai propri confini occidentali di una quarantina di nuovi missili a lunga gittata con capacità nucleare;
    è, quindi, concreto il rischio di una ripresa della corsa agli armamenti in Europa;
    sul piano commerciale, Stati Uniti ed Unione europea, da un lato, e Russia, dall'altro, hanno imposto regimi sanzionatori di intensità crescente nel tempo. Ne è derivata una vera e propria guerra economica che la Federazione russa sta affrontando riorientando i propri flussi di scambio a tutto vantaggio della Cina, che, in conseguenza di quanto accaduto, sta adesso ricevendo anche tecnologie militari russe di punta, finora mai cedute all'estero da Mosca;
    le contromisure attivate dal Governo di Mosca a seguito delle sanzioni nei confronti della Federazione russa decretate dall'Unione europea, alle quali il nostro Paese ha aderito esponendosi così a delle rappresaglie commerciali, hanno comportato il divieto di ingresso in Russia di una folta lista di prodotti italiani ed europei;
    in particolare, il 6 agosto 2014 la Russia ha disposto l'embargo di un anno, applicabile a partire dal giorno successivo, su una lista di cinque categorie di beni alimentari – in particolare ortofrutticoli freschi, carni fresche e lavorate, latte, formaggio e derivati, alimentari diversi, pesci e crostacei – provenienti da Unione europea, Stati Uniti, Canada, Australia e Norvegia. La lista originaria è stata successivamente rivista per escludere prodotti di nicchia oppure necessari per la salute umana, come i prodotti lattiero-caseari privi di lattosio;
    lo «stop2» all'importazione di prodotti italiani deliberato dal Governo di Mosca è stato un duro colpo per il made in Italy e l'equilibrio della bilancia commerciale italiana;
    nel 2013, in effetti, l'Italia era il secondo esportatore europeo verso la Russia, con 10,8 miliardi di euro di fatturato, alle spalle della Germania; nel 2014, il nostro Paese ha visto diminuire la propria quota di export verso la Russia di 1,25 miliardi di euro (-11,6 per cento), con una stima di ulteriori 3 miliardi di euro perduti nel 2015;
    ai danni diretti, per il settore del made in Italy, derivanti dall'embargo, vanno poi aggiunti quelli «indiretti», che potrebbero dispiegare effetti più gravi e protratti nel tempo. Si rischia in effetti una vera e propria rottura definitiva dei rapporti commerciali con la Russia, dal momento che i prodotti italiani sotto embargo potrebbero essere sostituiti da quelli provenienti da altri Paesi;
    paradossalmente, le aziende americane – cioè appartenenti alla nazione alla guida del fronte pro-sanzioni – hanno invece aumentato le proprie esportazioni verso la Russia del 23 per cento nell'ultimo anno;
    sono così le aziende europee, ed in particolare quelle italiane, ad essere le più penalizzate da questa situazione, circostanza che forse spiega l'inflessibilità dimostrata dal Presidente statunitense Barack Obama nell'esigere la continuazione dell'applicazione delle sanzioni alla Russia in occasione del recente vertice del G7, tenutosi alla vigilia della visita del Presidente russo Vladimir Putin all'Expo 2015 di Milano e della successiva riunione in cui il Coreper dell'Unione europea avrebbe riesaminato il dossier delle sanzioni;
    anche a causa delle pressioni esercitate dal Presidente Obama al G7, il nostro Paese non è riuscito ad ottenere l'ammorbidimento del regime sanzionatorio applicato all'interscambio con la Russia in occasione dei lavori preparatori in vista del Consiglio europeo del 25-26 giugno 2015. È stata, invece, decisa la proroga fino al gennaio 2016 delle sanzioni in vigore, circostanza che lascia presagire un ulteriore deterioramento della situazione;
    stando alle risultanze di un'inchiesta condotta dal Lena (Leading European newspaper alliance), in assenza di novità, per effetto della crisi politica apertasi con la Russia, l'Europa potrebbe subire nel lungo termine una perdita di 2 milioni di posti di lavoro e una diminuzione di 100 miliardi di euro in valore aggiunto di beni e servizi destinati all’export. In questo contesto, per il nostro Paese la stima è di quasi 12 miliardi di euro, con 215 mila posti di lavoro potenzialmente compromessi;
    l'eventuale destabilizzazione economico-politica della Russia per effetto delle sanzioni, cui ampi settori del sistema politico statunitense sembrano tuttora mirare, rappresenta, inoltre, un rischio ulteriore non trascurabile, potendo gettare nel caos quello che fino a poco tempo fa era ritenuto per l'Italia un promettente mercato,

impegna il Governo:

   a mettere in atto un'incisiva attività diplomatica mirante a trovare strumenti alternativi alle sanzioni per superare gli attuali embarghi, che, se protratti ulteriormente, rischiano di compromettere in maniera irreversibile i rapporti con uno dei maggiori partner commerciali delle imprese del nostro Paese;
   a sfruttare la prima occasione utile per ridiscutere la questione delle sanzioni nell'ambito del Coreper, dopo la fine della presidenza semestrale di turno dell'Unione europea esercitata dalla Lettonia, Paese che ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo vanta un record di relazioni bilaterali con la Russia assai problematico e discrimina tuttora la propria minoranza russofona interna, in larga parte rimasta in condizioni di apolidia e, quindi, priva dei diritti politici fondamentali;
   a porre in sede europea ed atlantica, nonché in sede bilaterale con gli Stati Uniti, il problema politico dell'effettiva desiderabilità di una crisi economico-politica di maggiori proporzioni in Russia, posto che i suoi eventuali effetti sarebbero avvertiti principalmente in Europa e dal nostro Paese in particolare;
   in questo contesto, a negare la partecipazione di truppe o asset nazionali alle esercitazioni che l'Alleanza atlantica promuoverà nei prossimi mesi a ridosso delle frontiere della Federazione russa, motivando la decisione con la necessità concorrente di potenziare le difese nazionali nel Mediterraneo, dove cresce la minaccia portata dal sedicente Stato islamico;
   a valutare, se il blocco delle esportazioni dovesse continuare malgrado ogni sforzo teso ad allentarlo, l'adozione di misure di sostegno e compensazione per le imprese maggiormente colpite del nostro Paese.
(1-00919)
«Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(22 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    nella vicenda riguardante le sanzioni alla Russia bisogna avere la consapevolezza che esistono delle ragioni di natura geo-politica che prevalgono su quelle di carattere economico, perché esse hanno costituito la risposta più responsabile e contenuta alle iniziative politico-militari poste in essere dal Governo russo nei confronti dell'Ucraina;
    la Russia ha palesemente violato la sovranità, l'integrità territoriale e l'indipendenza dell'Ucraina, sia attraverso l'illegittima annessione della Crimea, sia attraverso l'assistenza militare diretta e indiretta fornita nel Donbass a formazioni separatiste, in aperta violazione delle convenzioni internazionali;
    infine, si ripetono azioni di propaganda, forme di pressioni economiche e finanziarie, anche attraverso la gestione delle forniture energetiche, nonché episodi di sconfinamenti aerei e navali da parte di unità militari, che alimentano la tensione internazionale;
    per quanto riguarda la crisi ucraina, al fine di evitare la ricerca di soluzioni militari e nella prospettiva invece di una soluzione negoziata sul piano diplomatico, sono stati sottoscritti gli accordi di Minsk, che non vengono, però, sostanzialmente applicati sia per il permanere di frequenti violazioni del cessate il fuoco, sia per il mancato completamento del ritiro degli armamenti pesanti e degli scambi di prigionieri, sia per l'assenza di sviluppi rispetto all'attuazione di riforme istituzionali in Ucraina e alla tenuta di elezioni locali nel Donbass;
    la comunità internazionale ha deciso di mettere in atto meccanismi sanzionatori nei confronti della Russia, quale unico strumento di pressione volto a far recedere il Governo russo dalle interferenze e dalle violazioni del diritto internazionale;
    in questo quadro, l'Unione europea ha deciso di imporre nel luglio 2014 un pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia che colpiscono i settori della difesa, dell'energia e del sistema finanziario russo e che ovviamente anche l'Italia, in quanto membro dell'Unione europea, applica;
    l'accordo tra i Governi europei prevedeva che le misure sarebbero rimaste in vigore fino alla scadenza prevista dagli accordi di Minsk per la pace in Ucraina per la loro piena e completa attuazione (31 dicembre 2015). A tal fine l'Unione europea ha deciso di prorogare di ulteriori 6 mesi, fino al gennaio 2016, le sanzioni in scadenza;
    certamente, come evidenziato da diversi studi e analisi indipendenti, sia per l'Unione europea che per la Russia il costo delle sanzioni e dell'embargo è rilevante, con possibili effetti negativi sull'occupazione e sulla crescita;
    la Russia costituisce un soggetto di fondamentale importanza negli equilibri non solo europei ma globali;
    le relazioni tra Italia e Russia sono storicamente solide sul piano economico, con forti e strutturati scambi commerciali e collaborazioni tra i rispettivi sistemi produttivi;
    il Presidente Putin, attraverso interviste, viaggi e partecipazioni ad eventi internazionali come Expo 2015, ha più volte recentemente dichiarato la propria volontà di costituire per l'Occidente un partner affidabile;
    le sanzioni, quantunque rappresentino uno strumento straordinario e non possano considerarsi la modalità ottimale per la soluzione dei problemi, in quanto comportano sacrifici sia per le popolazioni che le subiscono, sia per i Paesi che le attuano, sono tuttavia una soluzione inevitabile e concordata a livello internazionale;
    l'efficacia delle sanzioni contro la Russia non può prescindere dal mantenimento di un accordo unanime da parte della comunità internazionale e la loro eventuale revoca unilaterale da parte del nostro Paese costituirebbe un grave e pericoloso segnale di indebolimento della posizione occidentale e di implicita legittimazione delle violazioni commesse dalla Russia in Ucraina;
    l'Italia ritiene che la via maestra deve essere quella della mediazione. L'obiettivo deve essere quello di assicurare all'Ucraina la sovranità e l'integrità territoriale con soluzioni che portino la Russia a bloccare tutte quelle azioni che hanno provocato la decisione delle sanzioni;
    è auspicabile che tutte le parti pongano fine alle violazioni degli accordi di Minsk e ne attuino integralmente i contenuti secondo le richieste della comunità internazionale e che, alla luce di questo, si possa, in tempi ragionevolmente brevi, ristabilire un clima di rapporti normale nei confronti della Russia,

impegna il Governo:

   a intensificare e rafforzare la propria azione politico-diplomatica verso la Russia, al fine di spingere il Governo russo ad attuare gli accordi di Minsk, ad esercitare la propria influenza sui separatisti e a ripristinare il pieno rispetto del diritto internazionale in Ucraina;
   nello stesso tempo ad incentivare il Governo ucraino nella realizzazione delle riforme istituzionali richieste dall'accordo di Minsk, affinché possa trovare attuazione un ordinamento che assicuri una prospettiva di decentramento e uno status speciale alle aree russofone del Donbass;
   a sostenere con grande convinzione l'azione dell'Unione europea e qualsiasi ulteriore sforzo della comunità internazionale che vada nella medesima direzione e, in questo quadro, ad aprire in sede di Unione europea un confronto su possibili misure compensative adeguate a sostenere le imprese e i sistemi di filiera più colpiti dagli effetti dell'embargo russo;
   a fare esso stesso quanto in proprio potere per alleviare le condizioni di difficoltà che il settore agroalimentare italiano sta registrando a causa dell'embargo russo;
   a procedere in linea con le decisioni della comunità internazionale rispetto alle sanzioni contro la Russia, mantenendole in essere finché non vi sarà una diversa determinazione comunemente assunta sulla base di positivi sviluppi e di un ripristinato rispetto del diritto internazionale.
(1-00920)
«Cicchitto, Amendola, Mazziotti Di Celso, Marazziti, Locatelli, Rabino, Alli, Manciulli, Causin, Benamati, Scopelliti, Nicoletti, Sammarco, Librandi».
(23 giugno 2015)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015, con l'entrata in vigore della nuova politica agricola comune 2014-2020, i regolamenti (UE) nn. 1306/2013 e 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio hanno modificato il quadro normativo, introducendo rilevanti novità sia sulla natura giuridica dei soggetti aventi titolo a beneficiare dei contributi che nella strutturazione dei titoli di pagamento, che è più complessa;
   il 15 giugno 2015 è scaduto il termine per la presentazione delle domande per richiedere i contributi della politica agricola comune 2015;
   la regione Lombardia a partire dal 2010 ha sempre garantito agli agricoltori l'anticipazione dei premi della politica agricola comune. Il finanziamento è stato sinora erogato nel mese di luglio 2014 e recuperato a dicembre 2014/gennaio 2015 con il pagamento degli aiuti comunitari;
   questa misura ha consentito mediamente a circa 31.000 agricoltori di disporre con 5/6 mesi di anticipo rispetto ai tempi dell'Unione europea di una parte degli aiuti spettanti;
   nel 2014 l'anticipazione ha riguardato il 70 per cento del premio (aumentato sino al 90 per cento per le aziende del mantovano colpite dal sisma);
   anche nel 2015 la giunta regionale della Lombardia, pur consapevole delle ristrettezze del bilancio falcidiato dai tagli del Governo, intendeva procedere ad anticipare i contributi della politica agricola comune agli agricoltori, ritenendo che tale misura sia di notevole sostegno e beneficio per un settore economico, quale quello dell'agroalimentare lombardo, che «vale» circa il 15/16 per cento del fatturato a livello nazionale e il 18/20 per cento dell’export dell'agroalimentare nazionale;
   come è noto, i diritti all'aiuto, in numero pari agli ettari ammissibili – come definiti dall'articolo 32, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1307/2013 – sono assegnati agli agricoltori in attività che presentano domanda di assegnazione entro i termini stabiliti;
   compete al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e ad Agea procedere a ricalcolare i nuovi titoli di pagamento da assegnare ai beneficiari in funzione delle superfici dichiarate con la domanda unica da presentare come su ricordato entro il 15 giugno 2015;
   solamente a seguito della notifica dei nuovi titoli di pagamento, così come ricalcolati, si potranno attivare le procedure necessarie per erogare l'anticipazione dei premi della politica agricola comune;
   ora, sottolineato ancora una volta lo sforzo encomiabile di regione Lombardia di volere garantire l'anticipazione della politica agricola comune ai propri agricoltori, risulta essenziale che il Ministero ed Agea provvedano al più presto all'assegnazione dei titoli di pagamento;
   a più riprese, ad esempio in occasione della presentazione di «Agricoltura 2.0», il Ministro interrogato aveva assicurato circa l'assegnazione dei titoli entro il mese di marzo 2015. Tale termine era stato poi posticipato ai mesi di aprile/maggio 2015 senza alcun esito;
   era fondamentale procedere a tale assegnazione entro il termine del 15 giugno 2015 e comunque non oltre il mese di giugno 2015, in caso contrario sarebbe tecnicamente impossibile potere procedere a liquidare l'anticipazione in tempo utile, con gravissimo danno alle aziende agricole lombarde;
   senza l'assegnazione dei titoli in tempi brevissimi, entro il mese di giugno 2015, la regione Lombardia si troverà impossibilitata ad erogare l'anticipo della politica agricola comune agli agricoltori del proprio territorio ed è alquanto sconfortante che gli agricoltori, nonostante l'impegno della regione, siano costretti a soccombere alla burocrazia e alle inefficienze del Ministero e di Agea;
   l'agricoltura e gli agricoltori hanno bisogno di certezze. Le aziende attendono i finanziamenti comunitari 2015 come una boccata di ossigeno indispensabile per la loro sopravvivenza. L'anticipo della politica agricola comune è importate per le imprese agricole che vivono una fase di difficoltà, dovendo fronteggiare, da un lato, un forte calo dei prezzi agricoli e, dall'altro, l'aumento delle imposte. Poter contare in anticipo sui fondi dell'Unione europea consente alle imprese italiane di affrontare meglio la programmazione e gli impegni, continuando a garantire l'alta qualità e la sicurezza alimentare ai consumatori italiani e internazionali –:
   quali siano le motivazioni per cui il Ministro interrogato ha disatteso l'assicurazione fatta più volte sul termine – aprile/maggio 2015 – entro il quale avrebbe provveduto all'assegnazione dei titoli di pagamento della politica agricola comune agli agricoltori, ritardo che comporterà l'impossibilità per la regione Lombardia di erogare, in tempo utile, l'anticipazione dei contributi. (3-01562)
(23 giugno 2015)

   MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, L'ABBATE, PARENTELA, BENEDETTI, GAGNARLI e GALLINELLA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di un riesame svolto dall'Olaf su alcune irregolarità emerse a seguito di verifica di conformità, così come disposto dall'articolo 52 del regolamento (UE) n. 1306/2013 e dall'articolo 34 del regolamento di esecuzione (UE) n. 908/2014, sono risultate carenze nella conformità dell'organismo pagatore Agea con taluni criteri di riconoscimento relativi alla gestione dei debiti;
   dall’audit svolto emerge la mancata comunicazione alla Commissione europea, nei tempi previsti, di oltre 55.000 posizioni debitorie risultanti ad Agea che, pertanto, non hanno costituito oggetto di procedure di recupero;
   tali posizioni, pari ad un importo totale di circa 45 milioni di euro, sono state registrate per la prima volta nel registro dei debitori nell'esercizio finanziario 2013 in violazione di quanto disposto dai richiamati regolamenti;
   con comunicazione recentemente inviata al Governo italiano, la Commissione europea intende proporre una rettifica finanziaria e ne indica il livello provvisorio, che in questa fase della procedura ritiene corrispondere alle proprie risultanze, in un importo massimo pari a 388.743.938,10 euro, salvo controdeduzioni basate su calcoli alternativi da parte dell'amministrazione interessata da inviare entro i termini e le modalità stabiliti dalla normativa comunitaria;
   nel mese di maggio 2015 si è svolto un incontro bilaterale durante il quale le autorità italiane avrebbero dovuto affrontare, tra l'altro, anche le criticità relative a tale procedura che rischia di comportare una consistente decurtazione di fondi, presentando delle proprie controdeduzioni;
   nell'aprile 2014 l'autorità competente ha redatto una serie di misure correttive per Agea volte a migliorare la gestione complessiva dell'organismo pagatore e dei sistemi di sorveglianza; il piano d'azione impostato, se correttamente attuato, dispone del potenziale per affrontare determinate questioni e tuttavia, a giudizio dei revisori, le iniziative adottate al momento della missione non erano sufficienti a risolvere i problemi relativi alla gestione del registro dei debitori;
    le irregolarità più volte denunciate nella gestione dei contributi comunitari da parte di Agea, che ne espongono continuamente l'operato ad un impietoso giudizio, rendono urgente una riorganizzazione della stessa al fine di assicurare agli agricoltori e agli operatori del settore di potersi avvalere di un servizio efficiente –:
   quale sia lo stato dell'arte della procedura conciliatoria, anche a seguito della riunione di maggio 2015, e quali misure intenda adottare al fine di scongiurare il pericolo di una consistente decurtazione di contributi della politica agricola comune destinati agli agricoltori, i quali, peraltro, non sono in alcun modo responsabili delle inefficienze gestionali ed organizzative degli organismi pagatori. (3-01563)
(23 giugno 2015)

   DORINA BIANCHI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda dell'IMU agricola è stata oggetto di diversi interventi normativi nel corso del 2014 e all'inizio del 2015. Dall'originaria previsione, contenuta nell'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014 e dal relativo decreto applicativo (decreto ministeriale del 28 novembre 2014), emanato ad appena due settimane dalla prima scadenza di pagamento, si è passati all'adozione del decreto-legge di mera proroga della scadenza di pagamento (decreto-legge 16 dicembre 2014, n. 185) poi confluito nei commi 692 e successivi dell'articolo della legge di stabilità per il 2015, sino al decreto-legge n. 4 del 2015, nel quale sono stati adottati significativi miglioramenti all'originaria previsione (gli oneri per il comparto agricolo sono scesi da 350 a 259 milioni di euro), ma si sono anche gettate le basi per una complessiva rivisitazione dell'imposizione fiscale locale sui terreni agricoli;
   nei mesi di aprile e maggio 2015 si è svolta la discussione di una serie di mozioni in materia, al fine di individuare gli impegni da affidare al Governo, per la rivisitazione della normativa; tra gli impegni approvati sono previste la soppressione dell'IMU agricola, la devoluzione dell'imposta agli enti territoriali (da introdurre facoltativamente anche con criteri premiali), la modifica dei requisiti di montanità dei territori secondo criteri che tengano conto della marginalità e della produttività delle aree, del reddito pro capite, della necessità di applicare la parità di trattamento tra terreni agricoli ubicati in territori contigui –:
   quali intendimenti abbia il Governo sull'applicazione dell'IMU agricola e se non ritenga opportuno accedere alle istanze del mondo agricolo e di vasta parte del Parlamento. (3-01564)
(23 giugno 2015)

   COSTANTINO, SCOTTO, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO e NICCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2013 l'Italia ha aderito, attraverso il Dipartimento per le pari opportunità e l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni (Unar), al programma del Consiglio d'Europa, che adottava la strategia nazionale lgbt 2013-2015, il cui obiettivo era prevenire e contrastare le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere;
   sempre nel 2013, il Parlamento italiano è stato il quinto in Europa a ratificare – all'unanimità – la Convenzione di Istanbul, convenzione europea in cui è espressamente indicata la necessità di inserire nei percorsi scolastici di ogni ordine e grado delle forme di educazione all'affettività, ovvero uno spazio in cui è possibile far confrontare i ragazzi sulle relazioni, sulle differenze di genere, sulla risoluzione dei conflitti;
   il 4 giugno 2015, nessun delegato istituzionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è presentato alla conferenza stampa convocata a Roma dall'Asse educazione e istruzione organizzato da Unar e Re.a.dy nell'ambito della strategia nazionale; lo si apprende da un comunicato delle associazioni lgbt Agedo, Arcigay, ArciLesbica, Associazione radicale certi diritti, Equality Italia, Famiglie arcobaleno, Gay center, Mit, che in quell'occasione confermava anche la pubblicazione on line del portale lgbt, ormai pronto, uno degli obiettivi della strategia nazionale e per cui infatti erano stati stanziati degli appositi fondi pubblici e di cui on line non si ha ancora traccia, a distanza di venti giorni;
   nei giorni precedenti alla manifestazione, svoltasi il 20 giugno 2015 a Roma, denominata «Difendiamo i nostri figli», in vari gruppi Facebook e Whatsapp di molti genitori di studenti sono comparsi dei messaggi allarmistici su fantomatici corsi di «teoria del gender», veicolati in alcuni casi addirittura da una dirigente scolastica, come per una circolare n. 289 diffusa presso l'istituto romano «Via P. A. Micheli» e su cui gli interroganti hanno già presentato un'interrogazione a risposta scritta, in cui si invitavano i genitori ad «informarsi meglio» sul sito del comitato promotore della manifestazione organizzata da gruppi cattolici;
   secondo l'Istat erano più di 3 milioni gli italiani che si dichiaravano omo o bisessuali nel 2012 e secondo una ricerca condotta dall'associazione Arcigay, con il patrocinio dell'Istituto superiore di sanità, già nel 2005, il 17,7 per cento dei gay e il 20,5 per cento delle lesbiche con più di 40 anni ha almeno un figlio. Attualmente, nonostante non esista un registro nazionale ufficiale delle unioni civili, si calcola che i figli di coppie omosessuali siano in Italia circa 100 mila –:
   in questo clima di «caccia alle streghe», di totale confusione e di sostanziale diffamazione nei confronti di associazioni coinvolte in numerosi percorsi scolastici di successo che colmano il vuoto lasciato dai programmi ministeriali su qualsiasi aspetto dell'educazione all'affettività, come intenda il Ministro interrogato attendere agli impegni presi attraverso la strategia nazionale lgbt e attraverso la Convenzione di Istanbul nel contrasto all'omofobia, agli stereotipi e alla violenza di genere.
(3-01565)
(23 giugno 2015)

   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sabato 20 giugno 2015 ha raccolto migliaia di adesioni la manifestazione svoltasi a Roma con lo slogan «Difendiamo i nostri figli. Stop gender nelle scuole», i cui organizzatori si battono contro la diffusione della teoria del gender nelle scuole e contro il dettame della «cultura del genere» che rifiuta il concetto di fondo di uomo e donna tout court, attribuendo all'individuo la sessualità che ritiene di sentire;
   attraverso linee guida per i mass media, testi nelle scuole, iniziative di formazione per gli insegnanti degli asili e dei diversi gradi d'istruzione scolastica, persino riscritture della modulistica di istituzioni pubbliche, l'ideologia del gender, che pretende di annullare il dato della differenza sessuale per sostituirlo con un'astratta equiparazione di tutti i possibili orientamenti, sta scendendo dal piano del dibattito di idee per entrare nella vita quotidiana di cittadini e famiglie;
   sull'argomento, il 5 maggio 2015 è stata depositata presso la Presidenza della Repubblica la petizione «Per una scuola che insegna e non indottrina», promossa dal Movimento per la vita, dall'Associazione italiana genitori e da un'altra quarantina di associazioni, che in poco più di due mesi ha raccolto oltre centottantamila firme;
   stando alle affermazioni di uno dei promotori della petizione, la stessa sarebbe stata promossa «a causa della diffusa consapevolezza di una vera e propria emergenza educativa in atto, in particolare per quanto riguarda le tematiche dell'affettività e della sessualità» e sarebbe volta a contrastare l'introduzione della cosiddetta teoria del gender nelle scuole di ogni ordine e grado, fin dagli asili nido;
   sia negli sili nido sia nell'ambito di classi scolastiche, infatti, alcuni istituiti, appellandosi alla propria autonomia didattica, hanno promosso lezioni ed iniziative sulla teoria del gender –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali opportune ed urgenti iniziative intenda assumere in merito.
(3-01566)
(23 giugno 2015)

   CAROCCI, MALPEZZI, COSCIA, GHIZZONI, ROCCHI, COCCIA, NARDUOLO, MANZI, MALISANI, ASCANI, BLAZINA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la cronaca quotidiana dei rapporti conflittuali, e finanche violenti, che spesso connotano le relazioni tra i più giovani, impongono di riconsiderare i percorsi formativi offerti dalla scuola, nell'ottica di promuovere il superamento delle discriminazioni, educando le nuove generazioni, lungo tutte le fasi del loro apprendimento scolastico, al rispetto della differenza, dando puntuale attuazione ai principi di pari dignità e non discriminazione di cui agli articoli 3, 4, 29, 37 e 51 della Costituzione;
   a seguito del programma promosso dal Consiglio d'Europa per l'attuazione e l'implementazione della raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, è stata elaborata la strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere finalizzata alla realizzazione di un piano triennale di azioni pilota (2013-2015), integrate e multidisciplinari, volte alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni in tale ambito;
   in allegato alla raccomandazione CM/REC (2010)5, al punto VI-istruzione, si specifica che, tenendo nel debito conto l'interesse superiore del fanciullo, gli Stati membri dovrebbero adottare le misure legislative o di altro tipo appropriate, destinate al personale insegnante e agli allievi, al fine di garantire l'effettivo godimento del diritto all'istruzione, senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere;
   ciò comprende, in particolare, il rispetto del diritto dei bambini e dei giovani all'educazione in un ambiente scolastico sicuro, al riparo dalla violenza, dalle angherie, dall'esclusione sociale o da altre forme di trattamenti discriminatori e degradanti legati all'orientamento sessuale o all'identità di genere;
   in particolare, dovrebbero a tale scopo essere adottate misure appropriate a ogni livello per promuovere la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola: esse dovrebbero comprendere la comunicazione di informazioni oggettive agli alunni e agli studenti su tali temi, per esempio nei programmi scolastici e nel materiale didattico, nonché fornire informazioni, protezione e sostegno necessari per consentire loro di vivere secondo il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in occasione della Giornata internazionale contro l'omofobia nel maggio 2012, ha emanato una specifica circolare rivolta a tutti gli istituti scolastici, con la quale si ricorda il ruolo della scuola nella costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le differenze e il ruolo di contrasto di ogni forma di discriminazione, compresa l'omofobia, sottolineando, in particolare, come la scuola debba cimentarsi ogni giorno con la costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le diversità di ciascuno;
   tuttavia, negli ultimi mesi si registrano una serie di casi molto preoccupanti, di cui hanno dato ampiamente conto anche in questi giorni gli organi di stampa, che segnalano una pericolosa e ingiustificata inversione di tendenza rispetto a tali indicazioni –:
   quali iniziative urgenti stia adottando il Ministro interrogato per garantire l'effettivo godimento del diritto all'istruzione, in linea con la raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, promuovendo e realizzando iniziative volte a sensibilizzare gli studenti sul tema della cultura della differenza, anche al fine di prevenire nelle scuole il bullismo basato sull'omofobia. (3-01567)
(23 giugno 2015)

   MATARRESE, MAZZIOTTI DI CELSO, MOLEA, VEZZALI e CAPUA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
    da quanto riportato dagli organi di stampa, che riportano ogni anno notizie in merito, sono ormai troppi i casi di alunni diversamente abili che frequentano le scuole italiane e che, nonostante abbiano diritto allo studio al pari degli altri, di fatto non hanno la possibilità di svolgere con regolarità e costanza le lezioni a causa della mancanza di un numero adeguato di insegnanti di sostegno;
   gli alunni diversamente abili godono del diritto allo studio innanzitutto ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione e dell'articolo 38 del dettato costituzionale, il quale precisa che «Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale»;
   secondo quanto si evince dalla normativa vigente, il diritto allo studio degli alunni con disabilità si realizza attraverso l'integrazione scolastica che prevede l'obbligo dello Stato di predisporre adeguate misure di sostegno alle quali concorrono a livello territoriale, con proprie competenze, anche gli enti locali e il servizio sanitario nazionale;
   la legge n. 104 del 1992 riconosce e tutela la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità, in particolare nei luoghi per essa fondamentali: la scuola, durante l'infanzia e l'adolescenza, e il lavoro, nell'età adulta;
   la legge 3 marzo 2009, n. 18, ha ratificato la Convenzione dell'Onu del 13 dicembre 2006 per i diritti delle persone con disabilità;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha il compito di favorire l'integrazione dell'alunno diversamente abile e di garantire il suo diritto allo studio tramite iniziative e provvedimenti di varia natura. Compito fondamentale e centrale è affidato ai docenti di sostegno. Concorrono a coadiuvare ed integrare il compito di questi ultimi iniziative di finanziamento di progetti e di attività per l'integrazione, di formazione del personale docente di sostegno e curriculare, nonché del personale amministrativo, tecnico e ausiliare;
   a livello territoriale altri organismi hanno il compito di proporre iniziative per realizzare e migliorare il processo di integrazione: i glip («gruppi di lavoro interistituzionali provinciali», formati da rappresentanti degli enti locali, delle aziende sanitarie locali e delle associazioni dei disabili) e i glh («gruppi di lavoro per l'integrazione degli handicappati», formati dal dirigente della scuola, dai docenti interessati, dai genitori e dal personale sanitario). Il compito del gruppo di lavoro per l'integrazione degli handicappati è particolarmente significativo, in quanto ha la finalità di mettere a punto, tra l'altro, il piano educativo individualizzato, che determina il percorso formativo dell'alunno con disabilità e garantisce un intervento adeguato allo sviluppo delle sue potenzialità;
   l'alunno con disabilità è assegnato alla classe comune in cui si realizza il processo di integrazione. Pertanto, la presa in carico e la responsabilità educativa dell'alunno con disabilità spettano a tutto il consiglio di classe, di cui fa parte il docente per le attività di sostegno. Non a caso, il decreto del Presidente della Repubblica n. 970 del 1975, con cui è stata istituita giuridicamente tale figura professionale (poi meglio caratterizzata nella legge n. 517 del 1977), lo definisce un insegnante «specialista», dunque fornito di formazione specifica, che, insieme ai docenti curricolari, sulla base del piano educativo individualizzato, definisce le modalità di integrazione dei singoli alunni con disabilità, partecipandovi attivamente. L'insegnante per le attività di sostegno viene richiesto all'ufficio scolastico regionale dal dirigente scolastico sulla base delle iscrizioni degli alunni con disabilità; la quantificazione delle ore per ogni alunno viene individuata tenendo conto della diagnosi funzionale, del profilo dinamico funzionale e del conseguente piano educativo individualizzato, di cui alla legge n. 104 del 1992, e dei vincoli di legge vigenti;
   nonostante il quadro normativo descritto appaia decisamente puntuale e ben strutturato, è evidente che lo Stato, ancora oggi, non sia in grado di garantire il tanto ambito diritto allo studio per gli alunni diversamente abili;
   secondo quanto si evince dal documento redatto dal servizio statistico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca denominato «Focus – sedi, alunni, classi e dotazioni organiche del personale docente della scuola statale a.s. 2013/2014», gli alunni diversamente abili sono pari a 207.244 sul totale di 7.878.661;
   il rapporto tra posti di sostegno della scuola statale e alunni con disabilità è di 101.391 su 207.244 unità; questo vuol dire che ogni allievo è seguito da un insegnante di sostegno per la metà del tempo necessario al corretto svolgimento di una regolare giornata di studio;
   il rapporto annuale Istat 2014 riporta un altro dato allarmante: l'Italia risulta al settimo posto tra i Paesi dell'Unione europea per la spesa in protezione sociale, destinando il 29,7 per cento del prodotto interno lordo a questo servizio contro la media europea del 29 per cento e, in particolare, il 5,9 per cento alla disabilità contro il 7,7 per cento della media europea;
   dal punto di vista architettonico e sotto il profilo dei parametri di accessibilità, le scuole italiane sono ancora ben lontane dall'essere funzionali. Secondo quanto si evince dal rapporto redatto dalla onlus «Cittadinanzattiva», che ha preso in esame un campione di 165 scuole situate in 18 regioni, pare che nelle scuole vi siano ancora molte barriere architettoniche: ci sarebbero, infatti, scalini all'ingresso (27 per cento), ascensori assenti (35 per cento) o non funzionanti (11 per cento), barriere nei laboratori (19 per cento), nelle palestre (18 per cento), nei cortili (15 per cento) e nelle aule (13 per cento). Nel 23 per cento delle scuole non esisterebbero bagni per disabili e il 15 per cento di essi presenterebbe barriere architettoniche. Il 26 per cento delle aule non avrebbe sufficiente spazio per la presenza di una carrozzina e il 44 per cento non avrebbe banchi adatti per una persona in carrozzina; nel 57 per cento dei casi non ci sarebbero attrezzature didattiche o tecnologiche per facilitare la partecipazione alle lezioni degli studenti con disabilità. Non ci sarebbero postazioni adatte ai disabili in carrozzina nel 28 per cento dei laboratori, nel 18 per cento delle biblioteche e nel 17 per cento delle mense;
   a conferma dell'impossibilità di garantire questo basilare diritto, nonostante siano previsti anche i contributi degli enti locali, si riportano di seguito alcuni casi che evidenziano la gravità della situazione;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, F.C., ragazzo autistico di 22 anni, a causa della mancanza di un numero adeguato di ore di servizio di sostegno ai ragazzi con problemi psicofisici nelle scuole pubbliche del suo comune di residenza, non è mai riuscito a svolgere le lezioni con costanza e con regolarità in 15 anni. Il padre sembrerebbe costretto a saltare le ore di lavoro per poter assistere il figlio nelle ore non garantite. Da quanto affermato dagli organi di stampa, l'ambito territoriale sociale n. 3 ausl BR/1 avrebbe assegnato il servizio di sostegno ad una società esterna, che, per questioni economiche, sembrerebbe poter assicurare solo 3 ore al giorno per ogni assistente e, in alcuni momenti, non potrebbe garantire nemmeno il rapporto 1:1 tra assistente e disabile per i bambini con patologie più gravi. Tutto ciò, secondo quanto affermato dalla stampa, sembrerebbe «illegittimo in quanto la commissione di verifica avrebbe stabilito che alcuni minori in questione sono tutti gravi e necessitano di una guida continua ed esclusiva»;
   secondo l'articolo pubblicato sul fattoquotidiano.it, «la provincia di Napoli, con una delibera datata 7 agosto, ha interrotto l'erogazione dei fondi per le attività e l'inserimento dei disabili, con il risultato che seicento studenti delle scuole superiori del napoletano» non potranno frequentare la scuola;
   secondo quanto riportato dalla stampa, a Lodi, presso il liceo linguistico Maffeo Vegio, F., 19 anni, affetto da tetraparesi spastica, malattia che non gli permette di parlare e lo costringe a muoversi sulla sedia a rotelle, avrebbe bisogno di continua assistenza per continuare a svolgere le lezioni a scuola. Pare che, a causa dei tagli lineari inflitti al servizio di sostegno da parte della provincia di Lodi, servizio fino a qualche mese fa finanziato dal comune, la famiglia non riesca più a supportare le spese e a garantire il diritto allo studio del proprio figlio. Le ore del servizio di sostegno, infatti, sarebbero state dimezzate;
   i casi citati in premessa sono solo alcuni esempi del grave e insostenibile stato in cui versa la scuola pubblica sotto il profilo della garanzia del diritto allo studio per gli alunni diversamente abili;
   il Ministro interrogato, nel corso dell'audizione in VII Commissione, nella seduta del 30 settembre 2014, presso la Camera dei deputati, si è detta preoccupata per l’«aumento seppur lieve di alunni disabili, che si concentra nelle regioni del Mezzogiorno. Quello che ho notato – ha rilevato il Ministro interrogato – è il fatto che la disabilità si concentra non solo per aree geografiche, ma anche su tipologia di alunni, soprattutto sugli stranieri. C’è il sospetto fondato che talvolta la disabilità coincida con una difficoltà di integrazione, linguistica ma non solo» –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire il diritto allo studio a tutti gli alunni diversamente abili, sia dal punto di vista qualitativo, per quanto riguarda la didattica, sia dal punto di vista quantitativo, per quanto riguarda la continuità e il numero complessivo delle ore di sostegno, così come disposto dalla normativa vigente. (3-01568)
(23 giugno 2015)

   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MATARRELLI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'impegno immediato del Consiglio universitario nazionale ha posto in primo piano talune delle problematiche legate alla progressiva burocratizzazione del sistema universitario, aggravata dall'ipertrofia normativa dell'ultimo decennio;
   gli atenei sono infatti alle prese non solo con i numerosi decreti applicativi della legge n. 240 del 2010, ma anche con le nuove modalità di accreditamento dei corsi di studio e dei dottorati, con la riforma del reclutamento, con la valutazione della ricerca e della didattica;
   l'attuale fase di riforma è rallentata da un coacervo normativo che vincola gli atenei alla compilazione periodica di schede, note e rapporti e il risultato è un drastico ridimensionamento dell'autonomia universitaria, resa sempre più «controllata» dai vincoli autorizzativi imposti dal Ministero;
   potrebbero essere evitate talune complicazioni burocratiche generate da regole spesso oscure, obsolete, non sempre adeguate alle specificità del settore, la cui applicazione indifferenziata al sistema universitario e della ricerca avvolge le attività dei docenti, dei ricercatori, degli studenti, del personale tecnico-amministrativo in una rete inestricabile di lacci e di vincoli che assorbono le migliori energie, distogliendole dalle attività di didattica e di ricerca;
   a tutto questo si aggiunge la congerie dei passaggi amministrativi e contabili che scandiscono l'ordinaria amministrazione e rimuovere questi ostacoli e realizzare un'effettiva semplificazione normativa e amministrativa non possono che essere l'esito di un processo condiviso ed esteso nel tempo, al quale sia garantita continuità e assicurata la capacità di agire su tutti i centri di regolazione del sistema universitario, i cui interventi si sommano gli uni agli altri, aggravando il carico burocratico;
   le farraginosità più evidenti del sistema universitario sono le complicazioni legate al controllo di legittimità dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, la lentezza delle procedure di acquisto di beni e servizi tramite il mercato elettronico della pubblica amministrazione e la complessità delle pratiche di rimborso delle spese per missioni del personale universitario, effettuate utilizzando i fondi dedicati alla ricerca;
   il Consiglio universitario nazionale ha segnalato, inoltre, i settori nevralgici del sistema in cui urge un intervento, quali gli ordinamenti didattici, l'accreditamento dei corsi di studio, dei dottorati di ricerca e delle strutture, la valutazione della ricerca e l'abilitazione scientifica nazionale;
   è da mettere in discussione il modello stesso di valutazione rispondente a una logica prevalentemente autorizzativa e di controllo, fondato sul rispetto di condizioni declinate in termini numerici e applicate in maniera generalizzata, la cui evidenza richiede l'adempimento, da parte di tutti gli attori coinvolti, di oneri informativi estremamente estesi e gravosi;
   l'eliminazione dei vincoli burocratici rappresenta un fattore chiave per liberare risorse indispensabili all'incentivazione della qualità e dell'efficienza del sistema universitario e della ricerca, senza aumentare la spesa pubblica;
   è necessario individuare le procedure e gli adempimenti che, per complessità, per oneri regolatori, amministrativi e informativi correlati, ostacolano il funzionamento e il potenziamento del sistema universitario e della ricerca, proponendo, al contempo, misure di semplificazione atte a liberare le risorse necessarie a un'incentivazione della qualità e dell'efficienza affidata alla valorizzazione delle attività di didattica e ricerca;
   è importante intervenire in merito al controllo di legittimità sui contratti di collaborazione, prevedendo magari l'esclusione dei contratti stipulati da università ed enti di ricerca su fondi di ricerca dalla tipologia dei contratti sottoposti a controllo preventivo e in merito all'acquisto di beni e servizi da parte delle università, oltre che riguardo al rimborso delle spese per missioni del personale universitario effettuate su fondi di ricerca, cercando di superare le difficoltà di rimborso per spese non documentabili;
   nell'agenda politica assume un ruolo di primo piano il rafforzamento delle politiche di semplificazione e riduzione degli oneri regolatori e amministrativi, quali condizioni per la competitività e lo sviluppo del Paese, ed appare, dunque, improcrastinabile rimuovere gli ostacoli di natura normativa e amministrativa, che, a causa di una stratificazione nel tempo di norme mai riordinate né coordinate, della complessità delle procedure, della proliferazione degli oneri dovuti anche alle più recenti regolazioni, stanno ponendo il sistema universitario italiano in una posizione di forte svantaggio che ne compromette gravemente la competitività e l'attrattività internazionale –:
   se e in che modo il Governo intenda intervenire nell'ambito delle sue competenze per facilitare il processo di semplificazione nell'ambito universitario, in particolare in merito al controllo di legittimità sui contratti di collaborazione e all'acquisto di beni e servizi da parte delle università e al rimborso delle spese per missioni del personale universitario effettuate su fondi di ricerca, cercando di superare le difficoltà di rimborso per spese non documentabili. (3-01569)
(23 giugno 2015)

   FABRIZIO DI STEFANO e PALESE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la normativa universitaria, al fine di garantire un efficace ed efficiente assorbimento delle variegate funzioni riconosciute in capo ai professori universitari – anche ai fini del più proficuo perseguimento degli interessi pubblici insiti nel sistema universitario – ha da sempre statuito il principio dell'incompatibilità tra status di professore e talune cariche od incarichi extra universitari;
   in tal contesto, si è inserita pienamente la legge 30 dicembre 2010, n. 240 (la cosiddetta legge Gelmini), che, al comma 9 dell'articolo 6, nel dettare i principi generali in materia ha espressamente richiamato il rigido regime delle incompatibilità e delle conseguenze ad esse connesse, sancito dagli articoli 13, 14 e 15 del precedente decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382;
   in particolare, l'articolo 13 detta un'ampia, ma nel contempo precisa, formulazione in merito alla portata delle attività extra universitarie (carica, mandato, ufficio) che il professore vorrebbe ulteriormente svolgere. Prevede, inoltre, specifici casi per i quali la richiamata disposizione non solamente fa sussistere una situazione di incompatibilità, ma ne fa, altresì, derivare l'obbligo per l'ateneo di collocare d'ufficio in aspettativa il professore universitario;
   l'articolo 13, significativamente rubricato «Aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità», al numero 10 del comma 1 prescrive che «il professore ordinario è collocato d'ufficio in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio nei seguenti casi: nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro». Al successivo comma 3 il legislatore pone l'obbligo per il professore interessato, all'atto della sua nomina, di darne comunicazione al proprio rettore, in quanto il rettore è l'organo istituzionale che è chiamato ad adottare il provvedimento di collocamento in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio;
   alla tassatività e alla doverosità del provvedimento di collocamento in aspettativa, del resto, non si oppone la circostanza dell'assenza della corresponsione di un'indennità in favore del professore, poiché tale assenza comporta esclusivamente che gli oneri previsti dall'articolo 3, primo comma, n. 3, della legge n. 1078 del 1966 (le quote di aggiunta di famiglia) siano a carico dell'ente, istituto o società;
   il rettore dell'Università di Teramo, il professor Luciano D'Amico, il 13 agosto 2014 è stato nominato presidente della società Arpa s.p.a.;
   in base all'articolo 13, fin dall'atto della sua nomina versava e tutt'ora versa in una situazione di incompatibilità, in ordine alla quale doveva essere adottato dall'università, nei suoi confronti, quanto meno un provvedimento di collocamento d'ufficio in aspettativa. Conseguentemente, la mera autorizzazione assentita dall'ateneo al professor D'Amico non è sufficiente a sanare l'incompatibilità, anzi l'autorizzazione è contra legem. D'altro lato, il sopra esposto rigido sistema (previsto dal comma 9 dell'articolo 6 della «legge Gelmini», che richiama espressamente e, dunque, recepisce integralmente gli articoli 13, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382) non può essere superato dal successivo comma 10 dello stesso articolo 6 della «legge Gelmini»;
   il comma 10 prevede la possibilità per il professore di svolgere «compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati», ma nel contempo specifica testualmente che tali enti siano «senza scopo di lucro»;
   il legislatore, quindi, ha posto la specifica condizione dell'assenza di lucro. È di tutta evidenza che l’Arpa s.p.a. (Autolinee regionali pubbliche abruzzesi) non possa essere definita quale ente o società senza scopo di lucro. Correlativamente, manca il presupposto essenziale e condizionante (si ripete «senza scopo di lucro») per l'applicazione della disciplina derogatoria, sancita dal comma 10. Nella fattispecie, dunque, trova esclusiva applicazione il comma 9 dell'articolo 6 della «legge Gelmini»;
   è da sottolineare, inoltre, che anche lo statuto dell'Università degli studi di Teramo, all'articolo 58, disciplina la questione dell'incompatibilità, stabilendo che la nomina ad una carica incompatibile ai sensi della normativa vigente comporta l'obbligo di opzione per una delle cariche, entro cinque giorni dall'avvenuta nomina. Ma, ancor più, sancisce che, nell'ipotesi in cui manchi la richiesta opzione, l'interessato non possa assumere la nuova carica. Il professor D'Amico, pertanto, stante la sua incompatibilità in base al comma 9 dell'articolo 6 della «legge Gelmini» (quindi «ai sensi della normativa vigente»), avrebbe dovuto esercitare, in ossequio allo statuto del proprio ateneo, la facoltà di opzione, nel termine perentorio di cinque giorni. Ciò non è avvenuto;
   ne deriva che il professor D'Amico non avrebbe potuto assumere la carica in Arpa s.p.a. Pertanto, le conseguenze dell'assunzione di tale carica incompatibile sono più gravi, poiché rilevano sotto un ulteriore aspetto: la decadenza dalla carica da rettore;
   lo statuto dell'ateneo di Teramo (articolo 60, primo comma, lettera b), infatti, sancisce che i componenti del senato accademico e del consiglio di amministrazione «decadono dall'incarico» nell'ambito dei suddetti organi dell'università, «se accettano di ricoprire una carica incompatibile»;
   attestato che il professor D'Amico, quale rettore, è componente di diritto sia del senato accademico sia del consiglio di amministrazione (li presiede di diritto), ai sensi dell'articolo 23, comma 1, lettera a), e dell'articolo 25, comma 1, lettera a), dello statuto, avendo egli accettato una carica incompatibile, deve ritenersi decaduto sia come componente del senato accademico che del consiglio di amministrazione. Di fatto, il professor D'Amico si trova, sotto un profilo giuridico, nelle condizioni di non poter svolgere tutte le funzioni specificatamente attribuite al rettore, così da non poter legittimamente ottemperare a tutti i doveri imposti ad un rettore, che qualificano e, nel contempo, giustificano la presenza della figura del rettore nel sistema universitario (articoli 16 e 17 dello statuto dell'Università degli studi di Teramo, nonché articolo 2 della «legge Gelmini»). Ne deriva, quale logico corollario, la decadenza da rettore del professor D'Amico;
   il professor D'Amico, assunta la carica in Arpa s.p.a., dall'agosto 2014, in totale inosservanza del vigente regime giuridico sulle incompatibilità, più volte richiamato, soggiace alla disposizione di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, integralmente recepito dal comma 9 dell'articolo 6 della legge n. 240 del 2010. In virtù di tale disposizione, il professore che abbia assunto un incarico incompatibile, come il professor D'Amico, cessa di diritto dall'ufficio di professore;
   è pur vero che lo stesso articolo 15 prevede che il professore che violi le norme sulle incompatibilità viene diffidato dal rettore a cessare dalla situazione di incompatibilità, ma nella specie il professore che ha violato le norme coincide con il soggetto che vanta la carica da rettore e che dovrebbe agire. Invero, la coincidenza delle due posizioni imponeva ed impone al professor D'Amico un più rigoroso rispetto delle vigente normativa;
   il professor Nicola Mattoscio viene nominato in data 25 gennaio 2015 presidente della Saga, società abruzzese per la gestione dell'aeroporto d'Abruzzo;
   dalla data della sua nomina a tuttora il professor Mattoscio svolge la sua attività da docente presso l'Università «G. D'Annunzio» di Pescara, con l'incarico di presidente del corso di laurea del dipartimento di scienze filosofiche, pedagogiche ed economico-quantitative;
   per quanto esposto nel caso del professor D'Amico, si trova in uno stato di incompatibilità con quanto previsto dalla norma –:
   di quali elementi disponga sulla situazione esposta in premessa, se condivida il quadro interpretativo sopra illustrato, per quali motivi non abbia adottato ogni iniziativa di competenza per il rispetto della normativa vigente, che prevede, in caso di nomine in enti e società a partecipazione pubblica, il collocamento in aspettativa e comunque l'incompatibilità di incarichi, quali quello di rettore o di presidente di corso di laurea, attualmente ricoperti rispettivamente dai professori D'Amico e Mattoscio, e se intenda, pertanto, in futuro adottare gli opportuni provvedimenti di competenza per riportare gli atenei abruzzesi in una situazione di piena legittimità. (3-01570)
(23 giugno 2015)

   GIGLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 del decreto legislativo n. 204 del 1998 prevede che, sulla base degli indirizzi dati dal Governo, dei piani e dei programmi di competenza delle amministrazioni dello Stato e tenendo conto delle iniziative, dei contributi e delle realtà di ricerca regionali, sia predisposto, approvato e annualmente aggiornato il programma nazionale per la ricerca, di durata triennale. Il programma nazionale per la ricerca, a norma dell'articolo 2 dello stesso decreto legislativo, deve essere approvato dal Cipe;
   l'ultimo programma nazionale per la ricerca 2011-2013 è stato approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) con deliberazione n. 2/2011 del 23 marzo 2011 ed è scaduto da quattro anni;
   nonostante vari annunci e presentazioni, da ultimo il quotidiano Il Sole 24 ore in un articolo del 4 giugno 2015 preannunciava l'imminente presentazione al Cipa del programma nazionale per la ricerca 2014-2020, a tutt'oggi non risulta formalmente approvato e non si hanno notizie sui tempi per l'esame da parte del Cipe del nuovo programma nazionale per la ricerca, la cui adozione, oltre ad essere obbligatoria per legge, è uno strumento fondamentale del Governo per indirizzare e coordinare la politica nazionale della ricerca, anche con riferimento alla dimensione europea e internazionale, facendo scelte talvolta dolorose per concentrare gli sforzi del sistema-Paese nella sfida globale;
   la mancanza di un programma ufficiale di riferimento e la circostanza che siano pubblicati e modificati in itinere documenti non definitivi e non coerenti per l'arco temporale prescritto dalla legge, mantengono un quadro di incertezza strategico e finanziario degli enti di ricerca e del sistema universitario. Nello specifico, l'articolo citato parla di 5,8 miliardi di euro entro il 2016, un impegno significativo in un periodo di crisi, e descrive un programma di sette anni quando la legge prevede un periodo di tre anni con aggiornamento annuale;
   la mancanza di un coordinamento a livello nazionale, con i ministeri che continuano ad utilizzare in maniera scoordinata le scarse risorse destinate alla missione ricerca e innovazione, si riflette sul mancato coordinamento delle politiche regionali che a questo programma dovrebbero riferirsi;
   il ritardo nell'adozione degli strumenti di programmazione si riflette, altresì, sull'allocazione delle risorse destinate al funzionamento degli enti di ricerca, tanto che non si hanno notizie sui piani annuali di attività degli enti e sulla loro approvazione da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che al programma nazionale dovrebbero far riferimento. Si segnala a riguardo che, a tutt'oggi, non è stato presentato il decreto per il riparto del fondo di finanziamento ordinario degli enti nazionali di ricerca per l'esercizio, oramai inoltrato, del 2015;
   dagli ultimi dati Eurostat emerge che, sebbene la spesa europea in ricerca e sviluppo sia aumentata negli ultimi dieci anni, l'Unione europea, con il 2,02 per cento rispetto al prodotto interno lordo, non raggiunge i livelli della Corea del Sud (4,04 per cento), del Giappone (3,38 per cento) e degli Stati Uniti (2,81 per cento). Quanto agli Stati membri, i Paesi del Nord Europa superano la media comunitaria in termini di investimenti: la Finlandia spende il 3,32 per cento del proprio prodotto interno lordo in ricerca, seguita da Svezia (3,21 per cento), Danimarca (3,05 per cento), Germania (2,94 per cento) e Austria (2,81 per cento), mentre dal lato opposto si collocano Bulgaria, Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Romania e Slovacchia, che spendono meno dell'1 per cento in ricerca e sviluppo. L'Italia, invece, si situa tra i due poli, con l'1,25 per cento del prodotto interno lordo nazionale investito in ricerca e sviluppo –:
   quali siano i tempi stimati dal Ministro interrogato per la definizione e la presentazione al Cipe del nuovo programma nazionale per la ricerca.
(3-01571)
(23 giugno 2015)