TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 448 di Martedì 23 giugno 2015

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

   BALDELLI. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   molti cittadini romani hanno ricevuto le bollette di Acea Energia, la società del gruppo Acea che si occupa della vendita di energia elettrica, gas e servizi, per pagare sostanziosi conguagli che, in molti casi, così come riportato anche da alcuni organi di informazione, sono stati il frutto di anni di addebiti dovuti a conteggi di consumi stimati, ma non effettivi, ad errori di valutazione, più in generale, a fatturazioni incongrue certamente non imputabili agli utenti;
   molti consumatori, non avendo strumenti idonei per difendersi e far valere i propri diritti o, più semplicemente, per non entrare nel complesso ed oneroso meccanismo per l'accertamento della verità per via amministrativa o giudiziaria, rischiano di trovarsi di fatto costretti a pagare cifre importanti di alcune migliaia di euro, per evitare il distacco dell'energia elettrica;
   queste bollette sono il prodotto di un malfunzionamento del sistema che si riversa spesso sui consumatori incolpevoli e sono anche un costo aggiuntivo difficile da sopportare per tanti cittadini già duramente colpiti dalla crisi economica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del fenomeno segnalato in premessa e, in caso affermativo, se abbia contezza della portata economica e della platea interessata da tale fenomeno e quali iniziative, anche normative, intenda adottare per tutelare il diritto dei cittadini consumatori a non essere vessati in modo improprio da un soggetto sostanzialmente pubblico che opera in regime di effettivo monopolio, visto che non sembra essere credibile o corretto che un soggetto distributore possa reclamare un conguaglio a distanza di anni, senza di fatto permettere al consumatore di avere strumenti idonei ed efficaci per poter sostenere un contraddittorio. (3-01520)
(4 giugno 2015)

B) Interpellanza

   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   la bonifica e messa in sicurezza delle aree di competenza della Marina militare (ex area IP, area Gittata, zona 17 ettari) e della cava in località San Marco (Statte) sono divenute oramai urgenti;
   la grave situazione di contaminazione ambientale di queste aree è ben nota da molto tempo, ma ancora non si è giunti ad una conclusione su come bonificare questi siti che continuano a contaminare l'acqua di falda e il Mar Piccolo. Non si è giunti neanche alla messa in sicurezza dei siti, nonostante la caratterizzazione ambientale sia stata già effettuata;
   in tal senso il genio militare ha presentato già nel 2012 alla regione Puglia un progetto preliminare «per la messa in sicurezza di emergenza dell'area ex IP» presso la Marinansen, denominato «Progetto preliminare di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda». L'intervento prevedeva «una completa cinturazione dell'area con barriera fisica permeabile reattiva (PRB) usando ferro zero-valente, con jet-grouting di diametro 500 millimetri ed emungimento, tramite pozzi attrezzati con pompe idrauliche, di acque di falda da trattare con carboni attivi e poi smaltire»;
   tale progetto ricalcava la richiesta formulata dalla conferenza dei servizi del 14 ottobre 2010, nella quale si chiedeva di «effettuare un accoppiamento tra barriera fisica e idraulica e di effettuare in questa ipotesi una stima delle portate da emungere». Obiettivo quello di «impedire la diffusione della contaminazione e l'abbattimento, con il processo di dealogenazione riduttiva abiotica (ZVI), delle concentrazioni degli inquinanti presenti nelle acque di falda: sostanze inorganiche, composti alifatici clorurati cancerogeni, PCB e metalli pesanti». L'area situata nel I seno di Mar Piccolo, dove sorgeva il sito «Ex area Ip» dell'arsenale militare, è infatti interessata da una pesante contaminazione (metalli, PCB, inquinanti inorganici) dovuta proprio alle attività passate della Marina;
   nel marzo del 2012 l'assessorato regionale annunciò che il progetto di Marigenimil aveva ricevuto l’«ok» dei tecnici regionali e che l'iniziativa del genio militare «consentirà di contenere definitivamente la contaminazione accertata nella falda acquifera». Poco meno di un anno dopo, nel febbraio del 2013, il capitano di vascello Fabrizio Gaeta, direttore del genio militare della Marina di Taranto, affermò su un quotidiano locale che «ciò che abbiamo garantito in conferenza di servizi procede a passo spedito. E non potrebbe essere diversamente», garantendo anche l'avvio delle procedure per l'esecuzione delle opere della messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda entro il 2013. La consegna del progetto definitivo era stata assicurata entro luglio 2013;
   nel luglio 2013 (termine entro il quale avrebbero dovuto presentare il progetto definitivo per la messa in sicurezza delle acque di falda) l'ente regionale aveva chiesto informazioni alla Marina militare sul complesso delle attività in corso. La risposta fu un semplice «attività in corso»;
   da allora nonostante sollecitazioni da parte della regione non è arrivato alcun chiarimento;
   inoltre, durante l'articolato iter di condivisione delle attività necessarie alla messa in sicurezza delle acque di falda, era stato ritenuto necessario attuare un sistema di mitigazione (pompaggio e trattamento acque in impianto depurazione esistente): a tutt'oggi non risulta pervenuta nessuna notizia circa il funzionamento del sistema di mitigazione;
   a causa dell'inquinamento del I seno di Mar Piccolo, da ben due anni viene distrutta la produzione dei mitili, arrecando un danno enorme ai mitilicoltori tarantini, non soltanto da un punto di vista economico. Sempre a causa dell'inquinamento è stata decisa la rimozione totale degli allevamenti del I seno al fine di consentire le attività di risanamento ambientale dell'area con spostamento degli allevamenti in un'area situata nella rada di Mar Grande, di appena 389 mila metri quadrati rispetto all'area individuata dal centro ittico tarantino che in origine era di 700/800.000 metri quadrati –:
   quali iniziative il Ministro interpellato abbia intenzione di porre in essere al fine di avere certezza dei tempi di avvio delle procedure per l'esecuzione delle opere della messa in sicurezza delle acque di falda del Mar Piccolo;
   quali iniziative urgenti abbia intenzione di porre in essere al fine di garantire la messa in sicurezza dal punto di vista ambientale di tutte le zone di competenza della Marina militare al fine di tutelare la salute e l'integrità dei cittadini e non compromettere ulteriormente il fragile e delicato sistema eco-ambientale.
(2-00446) «Labriola».
(11 marzo 2014)

C) Interrogazione

   TERZONI, CECCONI, DAGA, MANNINO, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e BUSTO. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   la fascia costiera del Piceno nelle Marche è inserita tra le aree marine di reperimento da destinarsi, qualora ne ricorrano le condizioni, ad aree marine protette così come previsto dalla legge n. 394 del 1991, articolo 36, comma 1, lettera t);
   l'area presa in esame è compresa tra le foci dei fiumi Chienti e Salinello e si estende verso il largo fino a tre miglia dalla costa (attuale limite per l'attività della pesca a strascico), con una superficie complessiva di circa 300 chilometri quadrati;
   in questo contesto l'area marina protetta del Piceno si inserisce in un'idea moderna di «parco», ovvero nella concezione di una gestione integrata, per lo sviluppo sostenibile della fascia costiera; gestione integrata nel senso più ampio dei termine, tendente a recuperare in una prima fase l'ambiente costiero e contestualmente a farlo convivere con le attività umane, che rappresenta un'alternativa al parco «santuario» classico, cui si ricorreva per «congelare» un ambiente naturale ancora in massima parte integro, impedendo in sostanza qualsiasi attività e suscitando anche opposizioni molto forti da parte dei residenti;
   la proposta dell'area marina del Piceno ha come obiettivi:
    a) la conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità biologiche, di valori scenici, di processi naturali di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri economici;
    b) l'applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare un'integrazione tra uomo ed ambiente naturale anche tramite la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici ed architettonici e delle attività umane;
    c) la promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili;
    d) la difesa e ricostruzione degli equilibri idraulici e idrogeologici;
    e) la promozione della valorizzazione e della sperimentazione di attività produttive compatibili;
   il 6 luglio 1998, quattordici enti locali (le province di Ascoli Piceno e Teramo, i comuni di Fermo, Porto Sant'Elpidio, Porto San Giorgio, Altidona, Pedaso, Campofilone, Massignano, Cupramarittima, Grottammare, San Benedetto del Tronto, Martinsicuro, Alba Adriatica, costituitisi in comitato istituzionale promotore, con la provincia di Ascoli Piceno come capofila) hanno siglato un accordo di programma per l'attuazione e la promozione di programmi ed iniziative volte alla realizzazione dell’«area marina protetta del Piceno»;
   il 23 marzo del 2006 venne firmata la proroga dell'accordo di programma tra gli stessi enti promotori;
   nell'aprile del 2010 la conferenza unificata Stato-regioni ha espresso parere favorevole al decreto istitutivo del «Parco marino del Piceno» e al relativo regolamento di gestione;
   lo scoglio di San Nicola e l’habitat che lo accoglie sono in attesa di essere identificati come sito di importanza comunitaria. La proposta di riconoscimento è stata ufficializzata e sottoposta al servizio ambiente e agricoltura – pf aree protette della regione Marche per l'avvio della procedura di costituzione del sito di importanza comunitaria Costa del Piceno-San Nicola a Mare;
   il sito in esame corrisponde al tratto identificato nel piano del Parco marino del Piceno come zona di tutela integrale (tipo A);
   per completare l’iter di istituzione del Parco marino del Piceno mancherebbe solo la firma del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alla quale sono legati anche i primi finanziamenti pari ad euro 250.000;
   nella stessa situazione di stallo del Parco marino del Piceno versano quasi tutte le altre riserve o parchi marini indicati all'articolo 36 della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991 –:
   se il Ministro interrogato intenda procedere con l'istituzione del Parco marino del Piceno;
   se sia in grado di illustrare quali siano ad oggi le situazioni rispetto agli iter autorizzativi per l'istituzione dei parchi marini elencati all'articolo 36 della legge n. 394 del 1991 e in che modo intenda procedere rispetto ai medesimi. (3-01394)
(25 marzo 2015)

D) Interrogazioni

   BINETTI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il Consiglio di Stato ha appena accolto il ricorso di 300 giovani medici, che avevano partecipato al concorso nazionale per l'ammissione alle scuole di specializzazione, che si è svolto nel novembre 2014; li ha riammessi «d'ufficio»;
   a suo tempo il tribunale amministrativo regionale del Lazio aveva respinto un ricorso Codacons, ma il 26 marzo 2015 la Cgil fp medici, tramite un ricorso patrocinato dagli avvocati Michele Bonetti e Santi Delia, ha ottenuto l'accoglimento di 5 ricorsi straordinari avanzati dinanzi alla II sezione consultiva del Consiglio di Stato;
   i 300 ricorrenti sono stati ammessi, immediatamente e in sovrannumero, alla scuola di specializzazione per la quale avevano fatto la loro opzione all'atto della domanda; a questo punto tutti i ricorrenti, anche coloro che avevano ottenuto una sentenza negativa da parte del tribunale amministrativo regionale, potranno, entro 60 giorni, ricorrere in appello al Consiglio di Stato chiedendo di essere ammessi in sovrannumero;
   l'Associazione giovani medici, prendendo spunto dalla contraddittoria alternanza di sentenze, ha affermato: «Prendiamo atto e rispettiamo il pronunciamento del Consiglio di Stato (...) ma la giustizia amministrativa, ancora una volta, conferma come questo sia il Paese in cui non si riesce a realizzare un'adeguata e meritocratica selezione della classe dirigente della sanità». Secondo loro il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, invece di investire e sostenere una riforma epocale che interessava migliaia di medici, per superficialità politica, al netto dell'errore di inversione delle domande commesso dal Cineca, ha vanificato gli effetti innovativi del primo concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione;
   in altri termini gli errori del Cineca, anche se minimizzati dall'Avvocatura dello Stato, i pronunciamenti del Consiglio di Stato che appaiono in flagrante contraddizione con le sentenze del tribunale amministrativo regionale e gli stessi concorsi regionali, promossi dalle regioni senza rigorosi criteri di trasparenza e meritocrazia, hanno creato una serie di forti perplessità nei confronti del prossimo concorso per le scuole di specializzazione, alla luce dell'esperienza del 2014;
   il timore dei giovani medici in attesa di concorso è che gli effetti dell'ultima sentenza complicheranno ulteriormente il complesso quadro di riferimento. Si teme, infatti, che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per fare fronte alle nuove ammissioni debba attingere alla dotazione del capitolo di spesa relativo alla formazione medica specialistica prevista per l'anno 2015, già fortemente sottodimensionato rispetto al numero degli aspiranti specializzandi;
   ciò potrebbe rendere ancora più incerta la data di pubblicazione del prossimo bando di concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione, anche se, oltre alla data, i giovani medici sono in attesa di conoscere in dettaglio il numero delle borse disponibili e le modalità concrete della loro assegnazione –:
   se il Governo non possa e non debba farsi carico dell'adozione di un piano straordinario di stanziamento di fondi necessari ad assorbire, nel volgere di un triennio, il gap esistente tra numero di laureati e contratti di formazione (specialistica e generalista) del post lauream, in modo da garantire a tutti i medici abilitati il diritto alla formazione dopo il conseguimento della laurea;
   se non ritenga necessario verificare con la Conferenza Stato-regioni i criteri in base ai quali le stesse regioni procedono all'assegnazione di borse aggiuntive;
   se non si ritenga utile e conveniente assumere iniziative per provvedere ad una sensibile riduzione dei posti per l'accesso ai corsi di medicina, in modo da compensare gli ingressi in sovrannumero e riprogrammare il fabbisogno di medici. (3-01399)
(31 marzo 2015)

   BINETTI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   la formazione di un medico specialista impegna oggi non meno di 10 anni e in alcuni casi possono essere necessari anche 12 anni, come accade con alcune scuole di specializzazione particolarmente lunghe, come sono molte di quelle dell'area chirurgica. Servono sei anni per laurearsi e poi una media di 5 anni per specializzarsi, sempre che si acceda alla scuola di specializzazione subito dopo aver conseguito il titolo accademico di dottore in medicina e chirurgia;
   la Federazione degli ordini denuncia da tempo il rischio di un vero e proprio spopolamento medico, data l'alta età media della categoria. Tra 10 anni, nel 2024, ossia nel tempo che trascorre tra l'attuale 2014 e la conclusione dell’iter di studi e di specializzazione di quanti si sono matricolati proprio nel 2014, si rischia di avere 34 mila chirurghi in meno, pediatri e specialisti ambulatoriali ridotti di un terzo. E molto probabilmente tra i 2 e i 3 milioni di italiani corrono il rischio di rimanere senza medico di famiglia. A questi dati va aggiunta anche la crisi economica che, bloccando il turn over di professionisti qualificati, non consente assunzioni a tipo indeterminato. Nel 2010 il numero di chirurghi generali assunti a tempo indeterminato ha coperto il 10 per cento del fabbisogno e quello di chirurghi specialistici il 20 per cento. Nell'area delle «medicine», inoltre, tra il 2005 e il 2012 c’è stata un'analoga riduzione del 7 per cento di assunzioni a tempo indeterminato;
   il problema più rilevante resta quello dei giovani laureati che non hanno accesso né alle scuole di specializzazione, né alle scuole di medicina generale per mancata disponibilità di borse di studio, o meglio di veri e propri contratti di formazione, per cui cresce l'elenco di medici «generici» che non diventeranno mai né medici di famiglia, né specialisti per carenza di posti nelle rispettive scuole. Un numero rilevante di giovani professionisti, per i quali lo spazio di un inserimento professionale qualificato si assottiglia sempre di più;
   già la forbice del 2014 è particolarmente significativa: gli studenti iscritti in base a graduatoria nazionale sono 10.000, le borse di studio disponibili per i loro colleghi neolaureati, iscritti sei anni prima, la metà. Risultano solo 5.000 contratti di formazione e, per di più, ottenuti con lunghe ed estenuanti trattative con il Ministero dell'economia e delle finanze. Ai 10.000 studenti previsti vanno, inoltre, aggiunti tutti coloro che avendo fatto ricorso al tribunale amministrativo regionale hanno ottenuto risposta positiva per reali o presunte irregolarità al momento dello svolgimento degli esami. Finora si tratta almeno di 3.000 ricorrenti, ma non è affatto detto che ci si fermi a questi numeri;
   quando si parla di formazione della futura classe medica il problema non è solo il numero, ma anche la qualità specifica, le competenze che hanno acquisito i neo-specialisti, il loro livello di autonomia e il giusto equilibrio tra le diverse specializzazioni, includendo anche la formazione di medicina generale, per garantire sicurezza al paziente e solidità al servizio sanitario nazionale. Evidentemente va rifatta una seria programmazione da parte del Ministero della salute e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dopo aver sentito la conferenza Stato-regioni e la Fnomceo. Una programmazione che deve avere una proiezione almeno decennale, dal momento che dieci sono gli anni necessari a formare un medico specialista o un medico di medicina generale –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto a tale situazione e alle proiezioni citate, avendo come parametro di riferimento il numero di studenti realmente immatricolati nell'anno accademico 2014-2015 (programmati più ricorrenti al tribunale amministrativo regionale) e le loro concrete opportunità di formazione specialistica, misurate in contratti di formazione. (3-01560)
(22 giugno 2015)
(ex 5-03879 del 28 ottobre 2014)

E) Interrogazione

   VACCA, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, MARZANA, CHIMIENTI, BRESCIA, D'UVA e DI BENEDETTO. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   il 4 giugno 2015 dall'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo è stato inviato un documento, protocollo n. 0004145, a tutti i dirigenti scolastici della regione e agli ambiti territoriali, a firma del direttore generale, dottor Ernesto Pellecchia;
   l'oggetto del documento è: «DDL n. 1934/2015, articolo 2: autonomia scolastica ed offerta formativa – “Organico potenziato”»;
   nella missiva si ricorda che il disegno di legge n. 1934 del 2015 è in discussione al Senato della Repubblica e che consente di realizzare pienamente l'autonomia scolastica, anche attraverso l'assegnazione di un organico potenziato aggiuntivo;
   nella stessa missiva si invitano i dirigenti scolastici, nelle more della conclusione dell’iter parlamentare di approvazione del disegno di legge, ad individuare le aree omogenee di attività ed i relativi fabbisogni di personale secondo uno schema allegato ed a trasmetterle ai rispettivi ambiti territoriali, previa acquisizione della deliberazione degli organi collegiali entro e non oltre il 20 giugno 2015;
   lo schema allegato alla missiva riporta:
    a) come intestazione del documento «Fabbisogno di posti di organico potenziato autonomia scolastica e valorizzazione dell'offerta formativa – articolo 2 DDL 1934/2015»;
    b) l'indicazione degli estremi della delibera del consiglio di istituto, gli estremi della delibera del collegio docenti;
    c) in maniera specifica tutte le aree omogenee di attività;
   il 7 giugno 2015 la notizia della nota dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo era presente su diverse testate on line;
   con nota protocollo n. 0004179 dell'8 giugno 2015, l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo indica di astenersi dal trasmettere i dati richiesti con la nota protocollo n. 0004145;
   a giudizio degli interroganti la nota protocollo n. 0004145 presenta diversi aspetti che vanno approfonditi. Non è chiaro, in particolare, su quale presupposto normativo il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo «emani» un atto che dà impulso ad una serie di procedure che gli istituti scolastici devono adempiere, tra le quali l'individuazione da parte del dirigente scolastico di un organico potenziato, la necessità di una delibera del consiglio di istituto e del collegio dei docenti, nonché come sia stata individuata la data di scadenza al 20 giugno 2015 e se lo schema allegato sia ministeriale o dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo;
   a giudizio degli interroganti il disegno di legge è solo un fatto e non una legge, per cui se per ogni disegno di legge che sta seguendo un iter parlamentare si dovessero emanare atti di questo genere ci troveremmo di fronte all'ingovernabilità più assoluta;
   la conclusione dell’iter parlamentare di un disegno di legge è, per definizione, sconosciuto perché, ovviamente, è soggetto ad un voto assembleare e può essere oggetto di modifiche di ogni genere;
   l’iter parlamentare di un disegno di legge è incerto anche nei tempi –:
   su quale presupposto normativo possa essere emanato un atto di tale genere che dà avvio a procedimenti formali;
   se la missiva dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo sia un atto di iniziativa regionale o conseguenza di un impulso ministeriale;
   nel caso sia un'iniziativa ministeriale, chi e perché abbia dato avvio ad un procedimento di tale portata. (3-01533)
(10 giugno 2015)

MOZIONI CONCERNENTI LA PERMANENZA IN CARICA DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO GIUSEPPE CASTIGLIONE

   La Camera,
   premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che l'onorevole Giuseppe Castiglione, Sottosegretario di Stato alle politiche agricole, alimentari e forestali, risulterebbe indagato a Catania, nell'ambito della nota inchiesta «mafia capitale», per la gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo;
   già nel dicembre del 2014 il nome dell'onorevole Castiglione era comparso in alcune intercettazioni ambientali, avvenute nella sede della fondazione Integra/Azione a Roma, tra Luca Odevaine e l'imprenditore Silvio Praino, amministratore della Php srl, dalle quali emergeva l'intenzione di Odevaine di voler fare pressioni a favore dell'imprenditore che, nella stessa occasione, diceva di avere in programma una cena con l'onorevole Castiglione e chiedeva ad Odevaine cosa possa fare il Sottosegretario;
   la conferma dell'indagine a carico del Sottosegretario è nel decreto di perquisizione degli uffici comunali di Mineo e l'accusa riguarderebbe le ipotesi di turbativa d'asta e turbata libertà di scelta del contraente; nel decreto la procura ipotizza: «turbavano le gare di appalto per l'affidamento della gestione del Cara di Mineo del 2011, prorogavano reiteratamente l'affidamento e prevedevano gare idonee a condizionare la scelta del contraente con riferimento alla gara di appalto 2014»;
   le stesse fonti giornalistiche riportano che l'onorevole Castiglione «nel 2014, su indicazione di Luca Odevaine, membro del tavolo nazionale immigrazione e, secondo i pubblici ministeri, pedina di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, avrebbe favorito la coop La Cascina in un appalto da 100 milioni». La Cascina faceva parte di un raggruppamento d'imprese che ha vinto l'appalto in questione e in cui è compreso anche il consorzio «Calatino terra di solidarietà», di cui l'onorevole Castigione era stato presidente ed Odevaine consulente esperto;
   più in particolare, sempre da notizie di stampa si apprende che Odevaine parla di un «percorso concordato» con Castiglione e aggiunge: «Per cui alla fine lui capisce (...) gli dico: “Noi dobbiamo creare un gruppo, poi facciamo la gara, però certo favoriamo le condizioni per cui ci sia un gruppo forte che sta roba qua vince”; per cui gli presento questi dell'Arciconfraternita a Roma (...) e poi è nato questo, peraltro è nato e si è sviluppato poi per altri aspetti, perché Castiglione si è avvicinato molto a Comunione e liberazione, insieme ad Alfano e adesso Comunione e liberazione di fatto sostiene strutturalmente tutta questa roba di Alfano e del Centrodestra e Castiglione è il loro principale referente in Sicilia, cioè quello che poi gli porta i voti». Andato via Castiglione, Odevaine ha subito trovato nuovi «referenti» nei sindaci entrati a far parte del consorzio. «Castiglione se n’è andato e io mi sono inventato questo consorzio di comuni, i quali all'inizio non volevano il centro (...) adesso se provi a levarglielo (...) te ammazzano (...) perché so’ soldi per loro, 350 persone ci lavorano»;
   lo stesso Salvatore Buzzi nel corso di una dichiarazione del 31 marzo 2015, riportata dalla stampa, ha dichiarato: «A me questa storia l'ha raccontata Luca Odevaine. So che il comune indice la gara, il comune, il consorzio, indice la gara e credo che il Sottosegretario Castiglione sia fortemente interessato a questa cosa, e fa sì che la gara venga aggiudicata, almeno così, venga, insomma, indicato chi è il soggetto che dovesse vincerla nel 2012». Il pubblico ministero chiede: «Solo per chiarezza, è sempre stato Odevaine a dirle queste cose su Castiglione?». «Sì», risponde Buzzi;
   il 27 maggio 2015, in una lettera indirizzata al Ministro Alfano, Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, definiva illegittimo l'appalto del Cara di Mineo vinto nell'aprile 2014 da un raggruppamento di imprese che comprende La Cascina e informava il Ministro della scelta dell'Autorità nazionale anticorruzione di sottoporre la questione al giudice contabile per la valutazione di eventuali profili di danno erariale;
   ai sensi dell'articolo 10 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri», i Sottosegretari di Stato sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro che il Sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei ministri;
   prima di assumere le funzioni, i Sottosegretari di Stato prestano giuramento nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri con la seguente formula: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione»;
   alla luce di quanto descritto sono venute meno le condizioni per la permanenza dell'onorevole Giuseppe Castiglione nella carica e nelle funzioni di Sottosegretario di Stato;
   a prescindere dall'eventuale responsabilità penale dell'onorevole Castiglione, appare, infatti, necessario, al fine di salvaguardare le istituzioni italiane nel loro prestigio e nella loro dignità, che il Governo non consenta ad una persona sottoposta ad indagini per così gravi delitti, in attesa di dimostrare la sua piena innocenza, di continuare ad esercitare le proprie funzioni di Governo,

impegna il Governo

ad avviare immediatamente le procedure di revoca – su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri – della nomina a Sottosegretario di Stato dell'onorevole Giuseppe Castiglione.
(1-00898)
«Lorefice, Colonnese, Brescia, Businarolo, Sorial, Frusone, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brugnerotto, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(10 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'onorevole Giuseppe Castiglione, già presidente della provincia di Catania, risulta indagato, assieme ad altre cinque persone, nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti per il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo;
    i reati ipotizzati sono turbativa d'asta e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. L'onorevole è indagato in qualità di «soggetto attuatore per la gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo» quando era presidente della provincia di Catania;
    «Con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, poste in essere tra il 2001 ed il 2014 – scrive la procura di Catania – in concorso tra loro e nelle rispettive qualità, con collusioni ed altri mezzi fraudolenti turbavano le gare di appalto per l'affidamento della gestione del Cara di Mineo del 2011, prorogavano reiteratamente l'affidamento e prevedevano condizioni di gara idonee a condizionare la scelta del contraente con riferimento alla gara d'appalto del 2014»;
    la gara di appalto in questione (del 2014) era già stata segnalata dal presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, il quale aveva, in data 25 febbraio 2015, firmato un parere di illegittimità della gara d'appalto vinta dal consorzio comprendente La Cascina, oggi al centro dell'inchiesta;
    tale parere poi veniva anche formalizzato attraverso una lettera inviata al Ministro dell'interno, Angelino Alfano, in data 27 maggio 2015, in cui il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione definiva l'appalto di gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo «illegittimo». Nella lettera si segnalava la delibera del consorzio di comuni «Calatino terra di accoglienza» che confermava l'appalto del centro di accoglienza per richiedenti asilo nonostante un parere contrario dell'Autorità nazionale anticorruzione nelle mani delle imprese che lo avevano vinto, in testa La Cascina;
    l'appalto sulla gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo era già finito all'attenzione nel primo giro di carte riferito all'inchiesta «mafia capitale» partita con l'operazione «mondo di mezzo» il 2 dicembre 2014;
    nell'ambito dell'inchiesta «mafia capitale» erano già emersi inquietanti elementi riguardo a numerose attività criminali connesse alla gestione dei flussi migratori e dei centri di accoglienza per i richiedenti asilo che dimostrerebbero come alcuni personaggi, oggi arrestati o indagati, avrebbero, con grave danno alla collettività, tratto vantaggi personali grazie a rapporti privilegiati anche con gli uffici del Ministero dell'interno;
    dalle intercettazioni della «prima» inchiesta di «mafia capitale» emergeva questo appalto «blindato», con l'azienda vincitrice, La Cascina ristorazione, che avrebbe pagato al componente della commissione aggiudicatrice «un compenso da 10 mila euro al mese». Almeno così sosteneva Luca Odevaine che, intercettato, riferendosi al bando in questione aggiungeva: «Sarà difficile che se lo possa aggiudicare qualcun altro»;
    nell'appalto la base d'asta era stata fissata a 97 milioni di euro: «Una clausola che risulta in contrasto con il principio di trasparenza non essendo stati individuati gli importi per le singole attività in affidamento – scrive Cantone nel parere del 25 febbraio 2015 – l'assenza di concorrenza e convenienza per la stazione appaltante è dimostrata dal fatto che v’è stato solo un concorrente che ha partecipato alla procura, il gestore uscente, cui è stato aggiudicato l'appalto con un ribasso molto ridotto pari all'un per cento». Per questi motivi, la procedura utilizzata «è illegittima» e tutti gli atti «vengono inviati alle procure competenti»;
    il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo è stato inaugurato il 18 marzo 2011 a seguito della proclamazione dello stato di emergenza nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini stranieri provenienti dalle regioni del Nord Africa con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 aprile 2011;
    la struttura di Mineo attualmente ospita oltre 4.000 migranti, a fronte di una capienza stimata di 2.000 unità, ed è un non luogo dove le vite dei migranti vengono sospese per oltre due anni e dove c’è una situazione disastrosa dal punto di vista sanitario e dei servizi;
    a prescindere dall'eventuale responsabilità penale dell'onorevole Castiglione, che rimane innocente fino a che non intervenga una condanna definitiva, appare tuttavia necessario che l'Italia e le sue istituzioni siano salvaguardate nel loro prestigio e nella loro dignità, nonché siano messe in condizione di lavorare serenamente in questo delicato momento;
    ragioni di opportunità e di precauzione dovrebbero indurre il Governo ad evitare che una persona sottoposta ad indagini così per gravi delitti espressivi di una collusione tra politica e sodalizi criminosi, in attesa di dimostrare la sua piena innocenza, possa continuare ad esercitare la proprie funzioni di Governo, peraltro delicate in relazione allo svolgimento di Expo 2015,

impegna il Governo

a invitare l'onorevole Giuseppe Castiglione a rassegnare le dimissioni da Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali.
(1-00888)
«Scotto, Palazzotto, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».
(8 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito più ampio dell'inchiesta nota come «mafia capitale», Giuseppe Castiglione, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali, iscritto al partito del Nuovo Centrodestra, risulta indagato per turbativa d'asta, con riguardo agli appalti per centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania);
    l'indagine a carico dell'onorevole Castiglione porta a cinque il numero di Sottosegretari del Governo raggiunti da avviso di garanzia;
    già nel 1999 Giuseppe Castiglione era stato arrestato nell'inchiesta sulle tangenti per la costruzione del nuovo Ospedale Garibaldi di Catania, con le accuse di turbativa d'asta e concorso esterno in associazione mafiosa. Condannato in primo grado a dieci mesi per tentata turbativa d'asta, è stato poi assolto;
    dal 2008 Giuseppe Castiglione, in quanto presidente della provincia di Catania, è «soggetto attuatore» del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. Da quella posizione deriva l'iscrizione, in questi giorni, nel registro degli indagati;
    l'inchiesta su «mafia capitale» sta portando in evidenza un vasto, radicato e cinico intreccio di interessi sviluppatosi sulla gestione dei migranti, definito un business «più redditizio della droga», nel quale amministratori, politici locali, burocrati, cooperative e malavita hanno costruito un sodalizio che trae denaro e potere dall'arrivo di migliaia di disperati e che patirebbe un danno economico da una diversa gestione del fenomeno teso a ridurre gli arrivi o ad una diversa gestione degli sbarcati;
    il gruppo Lega Nord e Autonomie per primo ha sollevato la questione della dubbia gestione dell'appalto del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, nonché delle figure coinvolte nell'inchiesta di «mafia capitale», con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-07194 del 5 dicembre 2014, alla quale il Governo non ha ancora dato alcuna risposta; al riguardo i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono quanto mai opportuno che siano adottate le iniziative necessarie a procedere alla revoca del relativo appalto;
    nel frattempo, secondo il britannico Guardian, che cita fonti della Royal Navy, sulle coste meridionali del Mediterraneo stazionerebbero ormai tra i 450 mila ed i 500 mila migranti in attesa di imbarcarsi verso le sponde italiane, in un flusso in continua crescita, dall'evidente pesantissimo impatto sociale e economico sull'Italia e sull'Europa;
    è conseguentemente doveroso che la gestione delle operazioni relative agli sbarchi e alla presenza di migranti nel Paese avvenga nel segno dell'assoluta e rigorosa trasparenza, con correttezza ed assoluta integrità morale e politica;
    attesa la grande rilevanza assunta dal fenomeno migratorio verso le coste del nostro Paese, in grande aumento d'intensità dal 2014, i presentatori del presente atto di indirizzo ritengono opportuno che il Sottosegretario di Stato Castiglione sia sollevato dalle responsabilità di Governo, anche allo scopo di dissipare la sussistenza di eventuali conflitti d'interesse ed illeciti nella gestione dell'afflusso dei migranti richiedenti asilo, ancor prima che le fattispecie contestate nei suoi confronti dall'inchiesta generalizzata in premessa trovino definizione per via giudiziaria,

impegna il Governo

ad invitare l'onorevole Giuseppe Castiglione a rassegnare le dimissioni da Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali.
(1-00915)
(Nuova formulazione) «Attaguile, Fedriga, Allasia, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(22 giugno 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE ALLA REVOCA DELLE SANZIONI DELL'UNIONE EUROPEA CONTRO LA FEDERAZIONE RUSSA E AL RAGGIUNGIMENTO DI UNA SOLUZIONE POLITICO-DIPLOMATICA DELLA CRISI UCRAINA

   La Camera,
   premesso che:
    a seguito dell'aggravarsi della crisi ucraina, l'Unione europea, gli Stati Uniti e altri Paesi hanno emanato pacchetti di sanzioni nei confronti della Federazione russa;
    in risposta alle sopradette sanzioni, il 7 agosto 2014 le autorità russe hanno disposto un embargo annuale su svariate tipologie di prodotti agroalimentari provenienti da Unione europea, Usa, Australia, Canada e Norvegia;
    il 5 settembre 2014 a Minsk, Ucraina e Federazione Russa hanno sottoscritto un accordo per il cessate il fuoco, per una transizione verso la pacificazione dell'area anche attraverso il riconoscimento di uno statuto di autonomia per le popolazioni russofone della regione del Donbass, nell'est dell'Ucraina;
    l'8 settembre 2014 il Consiglio dell'Unione europea ha varato nuove sanzioni indirizzate al settore energetico (sospendendole temporaneamente per verificare il progressivo rispetto degli accordi di Minsk) cui il Primo ministro russo Medvedev ha risposto ipotizzando la chiusura dello spazio aereo nazionale ai voli europei e statunitensi;
    dall'inizio della crisi nella regione del Donbass sono quasi un milione i profughi e gli sfollati scappati dalla guerra ed entrati in Russia, oltre 1200 i morti e 4000 i feriti tra i civili;
    è auspicabile per l'Italia e per l'Europa tutta che si ponga fine all’escalation militare e si giunga ad una soluzione politica che preveda la salvaguardia dell'integrità territoriale dell'Ucraina, così come la tutela e l'autodeterminazione delle popolazioni russofone del Donbass;
    l'embargo russo colpisce duramente l’export italiano e le imprese agroalimentari italiane: le prime stime parlano di perdite di almeno duecento milioni di euro tra ortofrutta, carni fresche e lavorate, latte e derivati, pasta e pesce;
    nel 2013 le esportazioni italiane in Russia sono cresciute dell'8,2 per cento per un valore totale complessivo di 10,4 miliardi di euro, mentre le esportazioni agroalimentari hanno fatto segnare la cifra record di un miliardo di euro, rappresentando circa il 10 per cento del totale;
    oltre al danno diretto, l'Italia subirà un danno indiretto anche sul mercato interno, che verrà ulteriormente invaso da prodotti provenienti da altri Paesi dell'Unione europea a prezzo e qualità inferiore, in particolare nel settore ortofrutticolo, e che in ogni caso vedrà aumentare la quantità di prodotto disponibile a scapito dei prezzi;
    il fenomeno dell’italian sounding nel settore agroalimentare provoca già danni per oltre 50 miliardi di euro annui e alcune aziende hanno deciso di spostare la produzione in Paesi esclusi dal blocco – come ad esempio la Serbia – producendo in loco con materie prime locali, mentre altre cercano di escogitare sistemi diversi per aggirare l'embargo;
    tutto ciò provocherà un ulteriore danno al comparto, in quanto non vi è nessuna garanzia sul rispetto delle norme e delle condizioni di produzione, delle materie prime utilizzate, così come dei disciplinari di produzione per tutti quei prodotti a marchio dop (denominazione di origine protetta), igp (indicazione geografica protetta) e stg (specialità tradizionale garantita);
    una volta ristabilitasi la situazione e cessato l'embargo, non sarà automatico il ritorno ai volumi di scambi sopra citati, poiché è lecito pensare che prodotti provenienti da Paesi extra Unione europea avranno nel frattempo guadagnato quote di mercato fino a poche settimane fa detenute dai prodotti italiani, in molti casi a seguito di ingenti investimenti in termini di promozione del prodotto;
    le conseguenze si stanno facendo pesantemente sentire non soltanto in termini di mancate esportazioni, ma anche di indebolimento della struttura della rete commerciale e della distribuzione, con conseguente chiusura di aziende e perdita di occupati;
    il pacchetto di misure compensative proposto dalla Commissione europea a sostegno dell'agroalimentare comunitario è del tutto insufficiente, poiché copre solo in minima parte i danni diretti provocati dall'embargo e in nessuna misura quelli indiretti;
    alcuni prodotti risultano particolarmente colpiti: ad esempio, i formaggi a denominazione d'origine stagionati non potranno accedere agli aiuti dell'Unione europea per l'ammasso privato, correndo il rischio di una distorsione della concorrenza a vantaggio di altri formaggi;
    l'embargo russo seguito alle sanzioni dell'Unione europea è l'ennesimo duro colpo per l'agricoltura italiana già fortemente colpita nel 2014 dalle condizioni climatiche (inverno mite ed estate molto piovosa), nonché dal costante calo dei consumi interni;
    il mondo produttivo italiano, e segnatamente le associazioni dei produttori del comparto agroalimentare, ha lanciato ripetuti appelli ad intervenire a tutela del settore;
    anche da altri Stati membri dell'Unione cominciano a levarsi forti preoccupazioni sull'impatto dell'embargo ai danni di molte economie europee,

impegna il Governo:

   a farsi promotore di un'iniziativa finalizzata alla revoca immediata delle sanzioni dell'Unione europea contro la Russia e al raggiungimento di una soluzione politico-diplomatica alla crisi ucraina;
   a ritirare, in ogni caso, il sostegno italiano a sanzioni che colpiscono duramente gli interessi nazionali;
   ad impegnarsi con maggiore incisività in sede di Unione europea affinché la Commissione europea vari misure compensative adeguate a sostenere le imprese e i sistemi di filiera, ristorando i danni, contingenti e strutturali, subiti per effetto dell'embargo;
   a fare esso stesso quanto in proprio potere per alleviare le condizioni di difficoltà del settore agroalimentare italiano.
(1-00591)
«Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».
(10 settembre 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    esistono ragioni morali, politiche, storiche ed economiche per le quali non ha alcun senso, né utilità per il bene dei popoli che l'Italia applichi sanzioni contro la Federazione russa:
     a) le ragioni morali e politiche:
      1) mantenere e insistere sulle sanzioni contro la Federazione russa è molto più di una prospettiva tetra per i rapporti commerciali italiani: taglia via uno dei due polmoni dal corpo unico del continente;
      2) è oggettivamente fuori luogo, se non pura propaganda, riproporre oggi un'idea di guerra fredda tra l'impero sovietico e l'Alleanza atlantica;
      3) a quel tempo, a differenza che per molti oggi al Governo, era ben chiaro per l'Italia da che parte stare e le dure risposte occidentali erano necessarie e furono vincenti sul lungo periodo;
      4) oggi questo conflitto non ha senso. Le legittime ragioni dell'Ucraina, che sono all'origine dichiarata di questo confronto, vanno sostenute. Anche se molto è da chiarire sull'influenza esercitata da potenze straniere nel determinare lo scoppio della rivolta che ha portato all'attuale assetto politico;
      5) il popolo ucraino non è materiale umano di serie B, così come non lo è quello russofono. Il conflitto di identità storica e culturale tra la maggioranza che parla ucraino e la poderosa minoranza russa, che diventa maggioranza nell'Est, non è stato inventato da Putin e ad essa vanno riconosciuti pieni diritti in un percorso pacifico, quale gli accordi di Minsk hanno tracciato;
      6) l'efficace attuazione degli accordi di Minsk esige una mediazione e un'attitudine al compromesso, che salvaguardi libertà e sicurezza di tutti, senza calpestare le legittime istanze dei contendenti;
      7) la responsabilità dell'Italia è anzitutto di rispettare se stessa, la sua tradizionale attitudine a essere un ponte di pace con la Federazione russa. Tanto più ora che rapporti sereni e positivi con Mosca hanno dimostrato in questi anni di garantire un interscambio commerciale florido, flussi turistici e tranquillità energetica;
      8) tutto nasce da Pratica di Mare, che Berlusconi volle con tutte le sue forze creative, consentendo, nel 2002, una partnership strategica tra Nato e Federazione russa. Si riparta da quel faro, lo si riaccenda per illuminare il presente;
      9) esiste la necessità morale e storica, cui si connette una responsabilità verso la pace nel mondo, sancita dalla Costituzione, che impone passi coraggiosi e sensati per non chiudere le speranze di un avvenire pacifico e prospero per tutto il continente «dall'Atlantico agli Urali», come disse Giovanni Paolo II, cui il papa Francesco si pone in continuità profetica;
      10) l'Italia, accettando passivamente e contro la sua vocazione e il suo interesse nazionale le sanzioni contro Mosca, ha rinunciato ad un ruolo di protagonista, di ponte d'amicizia tra America, Europa e Federazione russa;
      11) recuperare questo ruolo è tanto più importante per una lotta comune contro il terrorismo islamico e per fermare così lo tsunami d'immigrazione che sta invadendo il nostro Paese;
      12) è, infatti, più chiaro che senza la collaborazione fattiva con la Federazione russa non si può dare pace e ordine sullo scacchiere mediorientale;
     b) le ragioni storiche ed economiche:
      1) l'Unione europea, nonostante il permanere di una crisi economica e produttiva, rappresenta, ancora, la principale potenza commerciale del mondo. Non ha, tuttavia, una struttura politica, istituzionale e militare che corrisponda a questo grado di sviluppo;
      2) questo è un fattore di enorme debolezza, che la espone ai contraccolpi derivanti da processi che sono fuori dal suo controllo e dalla sua possibilità di intervento;
      3) l'economia mondiale è sempre più sostenuta dal tasso di sviluppo delle nuove potenze economiche. Già nei prossimi anni, la Cina avrà un reddito pro capite, seppur corretto per la diversità del potere di acquisto, superiore a quello degli Stati Uniti;
      4) sarà pertanto inevitabile che a questo cambiamento degli equilibri economici di fondo, corrisponda nel tempo un identico cambiamento nei rapporti politici;
      5) è necessario che ciascun Paese, nel solco delle proprie tradizioni e della propria Costituzione, si assuma le sue responsabilità, nel rispetto dei Trattati europei e delle regole di cui l'Onu è suprema custode;
      6) di fronte ad una situazione così complessa e difficile è necessario che l'Unione europea guardi oltre i propri confini, curando rapporti di buon vicinato, e si misuri con un sistema di alleanze che guardi alla sua geo-politica complessiva;
      7) occorre che l'Unione europea mantenga rapporti stretti con l'alleato americano, ma al tempo stesso non lo assecondi in quelle pulsioni interventiste, come è avvenuto in passato a proposito dell'Iraq o della Libia. Anche se, in questo secondo caso, le colpe furono più europee che non statunitensi;
      8) i rapporti con la Federazione russa di Putin devono, quindi, rispondere ad una logica inclusiva. E non alla vecchia tecnica del containment o del rolling back, che fu caratteristica del periodo più duro della «guerra fredda»;
      9) obiettivi che possono essere conseguiti, rinunciando alla pretesa di costringere chicchessia a rinunciare alla difesa dei propri interessi nazionali, ricorrendo al bastone delle sanzioni economiche o militari, i cui effetti controproducenti sono gravi ed evidenti;
      10) questi sono i sentimenti prevalenti nel popolo italiano. È necessario renderli protagonisti del presente grazie a una presa di posizione coraggiosa, che faccia prevalere la giustizia e il buon senso sulle tattiche di dominio;
      11) basterebbero questi richiami per giustificare la necessità di un cambiamento di carattere strategico, nell'impostazione dei rapporti bilaterali tra l'Italia e la Federazione russa, nella prospettiva di tracciare una strada in cui possano riconoscersi anche altri partner europei;
      12) l'Italia è il Paese più esposto rispetto alla crisi in Medio oriente e del continente africano. Qui si riversano migliaia di profughi. Ci vorrebbe un intervento internazionale. Una deliberazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, per tentare di risolvere alla radice quel problema;
      13) ma per ottenere un qualsivoglia risultato è necessario coinvolgere la Federazione russa in quel puzzle che è divenuto il teatro del conflitto;
      14) dal punto di vista strategico, le sanzioni, per loro stessa natura, sono una forma di guerra commerciale che, secondo la teoria dei giochi, ha senso solo se chi la attua è disposto ad accentuarne l'intensità, mettendo in conto anche un conflitto bellico vero e proprio. In caso contrario, sono un azzardo utile a procurare un vantaggio ad una parte sola;
      15) escludendo ovviamente l'opzione guerra contro la Federazione russa, si constata che a pagare il conto delle sanzioni sono, oltre a quest'ultima, la quasi generalità degli Stati europei, mentre ad averne un ritorno positivo sono gli Stati Uniti d'America e il Regno Unito (quest'ultimo grazie alle triangolazioni con i Paesi del Commonwealth), non a caso i più determinati nell'imporre la logica delle sanzioni;
      16) dal punto di vista economico, la caduta dei rapporti commerciali con la Russia ha pesato sull'Italia per tre miliardi di euro di minori esportazioni (-29,5 per cento), in particolare colpendo imprese agricole, alimentari, edilizie, dell'arredamento e dell’high-tech, ed è questo un lusso che il nostro Paese non può permettersi,

impegna il Governo:

   a riconsiderare la posizione dell'Italia con riguardo alle sanzioni in vigore contro la Federazione russa, perché ingiuste e controproducenti per la convivenza pacifica e dannose per l'economia anzitutto del nostro Paese;
   ad adoperarsi in tutte le sedi europee affinché questo esempio sia seguito da un numero crescente di Paesi, riconoscendo a tutte le parti il diritto di difendere, privilegiando il dialogo, la propria identità nazionale e i legami con le proprie origini, al fine di raggiungere un accordo che porti all'annullamento delle sanzioni in vigore contro la Federazione russa;
   ad adoperarsi perché gli Stati Uniti d'America nel loro tradizionale ruolo e nella loro costante opera per la pace e il benessere nel mondo riconoscano che la strada di uno spirito di collaborazione non passa attraverso le sanzioni che colpiscono e umiliano i popoli.
(1-00901) «Brunetta, Giammanco».
(12 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    come è noto la crisi e il conflitto nell'Ucraina orientale tra le truppe governative di Kiev e i ribelli separatisti filo-russi ha determinato, già a partire dal mese di luglio 2014, da parte dell'Unione europea l'adozione di misure restrittive nei confronti dell’export tecnologico verso la Russia e delle sue banche, che stanno sostenendo, sia materialmente che finanziariamente, azioni che compromettono o minacciano la sovranità, l'integrità territoriale e l'indipendenza dell'Ucraina;
    già a partire dai primi giorni di agosto 2014, la Russia ha annunciato un embargo sulle importazioni dall'Ucraina di soia e prodotti da girasole e ha successivamente annunciato il blocco degli acquisti di pesche dalla Grecia, come pure di carne di pollo dagli Stati Uniti, ufficialmente dettate da criteri sanitari. Successivamente il Governo russo, in risposta alle sanzioni decise dagli Stati Uniti e dall'Unione europea, ha annunciato una serie di misure economiche, concretizzatesi nel divieto di importazione, per la durata di un anno, di un nutrito elenco di generi alimentari dai 28 Paesi dell'Unione europea, dagli Usa, dal Canada, dalla Norvegia e dall'Austria. Detta messa al bando dovrebbe comportare la cancellazione di oltre 31 miliardi di euro su un totale di circa 52 miliardi di euro di importazioni agroalimentari russe di carne, pollo, pesce, latte, uova, frutta e verdura; e all'orizzonte si prospetta una guerra commerciale che potrebbe avere conseguenze economiche molto pesanti per entrambe le parti;
    appare ovvio che la Russia ha risposto all'assedio europeo e statunitense con la stessa moneta e se gli Stati Uniti non hanno molto da perdere nella guerra commerciale con Mosca, molti Paesi europei, in primis l'Italia, hanno accusato invece pesantissime ripercussioni; inoltre, il perdurare della crisi ucraina rischia di determinare reciproche ulteriori e più gravi misure sanzionatorie e restrizioni;
    peraltro, il 17 giugno 2015 gli ambasciatori permanenti dei ventotto Stati dell'Unione europea hanno deciso all'unanimità di prorogare sino al 31 gennaio 2016 le sanzioni economiche contro la Russia, ritenuta colpevole di aver destabilizzato l'Ucraina, favorito la guerra civile ed essere intervenuta militarmente nella Repubblica ex sovietica, decisione che sarà poi formalmente approvata nei giorni successivi nella riunione dei Ministri degli esteri in Lussemburgo (22 giugno 2015); tutto ciò, proprio mentre crescono le tensioni tra Russia e Occidente;
    la guerra in Ucraina si riflette, dunque, in maniera immediata e pesantissima anche sull'Italia per via dell'embargo imposto dalla Russia sui prodotti agroalimentari dei Paesi dell'Unione europea, di cui l'Italia è il primo produttore. Una misura presa in risposta alle sanzioni che a sua volta l'Unione europea e gli Stati Uniti hanno applicato a Mosca e che rischia di far perdere al settore agroalimentare italiano tra 160 e i 200 milioni di euro di esportazioni, come stimato dalla Coldiretti;
    occorre tenere presente, purtroppo, che, per quanto riguarda i numeri delle perdite derivanti dalle sanzioni, regna il caos più totale. Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina ha parlato di «200 milioni di euro d'impatto, a partire dal 7 agosto 2014», mentre la Ministra dello sviluppo economico Federica Guidi ha stimato che si tratta «al massimo di 100 milioni la perdita in valore di export italiano verso la Russia». Ma anche nel corso del «IV Forum Italia-Russia. Scenari per un nuovo sviluppo», tenutosi presso la Bocconi nel novembre 2014, i numeri forniti sono diversi e parlano di 188 milioni di euro nel biennio 2014-2015 (perdite dirette derivanti dall'embargo) e di 3,7 miliardi di euro (tenendo conto di tutte le componenti, inclusa la mancata crescita di esportazioni). La contrazione dell’export verso la Russia è nell'ordine del 17 per cento nel 2014 e del 21 per cento nel 2015; invece, il danno stimato, secondo una ricerca della Sace, per il 2014-2015 per l'Italia, a seconda dell'evoluzione dello scenario internazionale, potrebbe comportare una perdita totale di valore tra i 938 milioni e i 2,4 miliardi di euro; secondo quanto emerge da una analisi della Coldiretti, sulla base dei dati Istat sul commercio extra Unione europea nel solo mese di gennaio 2015, le esportazioni di prodotti made in Italy in Russia nel 2015 sono crollate del 37 per cento per una perdita di oltre 246 milioni di euro; l'Italia ha già perso nel 2014 oltre 1,25 miliardi di euro di export in Russia per l'effetto dell'embargo e delle tensioni politiche che hanno frenato gli scambi;
    purtroppo, le sanzioni fanno ormai parte della discutibile «consuetudine», a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, della politica internazionale e vi si preferisce ricorrervi per congelare le tensioni, sia come monito che come misura cautelare per i vari Paesi;
    l'embargo dei prodotti agroalimentari ha colpito direttamente produzioni tipiche e di grande rilevanza per il nostro Paese, con particolare riferimento ai prodotti derivati dal latte, ai prodotti ortofrutticoli, alle carni suine e bovine e al pollame;
    la chiusura di un mercato di primario interesse per le imprese italiane, mercato fra l'altro in forte crescita nell'ultimo triennio, rischia di determinare conseguenze immediate e permanenti sull'occupazione già in grande affanno, tenendo conto che i fornitori italiani rischiano rapidamente di essere soppiantati dagli operatori di altri Paesi esportatori;
    l'Italia è il secondo partner commerciale della Russia in Europa dopo la Germania e il quarto a livello mondiale. Secondo dati Istat e Eurostat, nel 2013, le esportazioni italiane nella Federazione russa hanno raggiunto il loro massimo storico con 10,8 miliardi di euro;
    Mosca ha anche annunciato la cancellazione del progetto South Stream, che avrebbe dovuto fornire fino a 63 miliardi di metri cubi di gas l'anno agli europei, progetto al quale le italiane Eni e Saipem partecipavano con contratti che avrebbero portato ricavi all'Italia rispettivamente di 2,4 e 1,25 miliardi di euro;
    appare evidente come siano state completamente sottovalutate le conseguenze pratiche della decisione dell'Unione europea di comminare sanzioni alla Federazione russa; decisione (alla quale il Governo italiano ha contribuito attivamente, stante anche il ruolo di guida avuto nel trascorso semestre europeo) a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo decisamente miope dinanzi ai facilmente prevedibili effetti conseguenti nei più svariati campi, a partire dal settore agroalimentare, il quale, valutata la situazione di congiuntura economica globale, non rischia la sola contrazione del fatturato, ma ben più gravi conseguenze sull'insieme della filiera produttiva e della trasformazione e del trasporto dei prodotti che potrebbero creare danni strutturali di medio e lungo periodo;
    con misure di sostegno decise il 18 agosto 2014, la Commissione europea ha reso disponibili 125 milioni di euro, del tutto insufficienti però, per risarcire i danni che subiranno i produttori dell'Unione europea di frutta, ortaggi e prodotti agricoli deperibili a causa dell'embargo russo contro i prodotti alimentari occidentali; ma gli effetti potenziali dell'embargo russo sulle importazioni di prodotti alimentari occidentali vanno ben oltre gli effetti su questi prodotti. Per l'Unione europea l'effetto potenziale complessivo ammonta a una perdita di produzione annuale di 6,7 miliardi di dollari,

impegna il Governo:

   a sostenere, in sede multilaterale e bilaterale, ogni attività diplomatica volta a supportare la ripresa del dialogo fra le parti e a scongiurare il rischio di un pericoloso incremento della tensione internazionale a seguito della crisi ucraina, nonché per ottenere la revoca di sanzioni commerciali che colpiscono duramente il nostro Paese ovvero rivedere il sostegno italiano al reiterato regime di sanzioni previsto fino a gennaio 2016, che colpirà ancora più duramente gli interessi nazionali;
   ad attivarsi perché sia adottato ogni intervento necessario, in sede europea, al fine di garantire maggiori risorse per risarcire le imprese e i produttori europei danneggiati dall'embargo russo, prevedendo misure eccezionali per fronteggiare la situazione congiunturale venutasi a creare, tra le quali:
    a) l'eventuale acquisto dei prodotti rifiutati, promuovendone l'utilizzo in mercati alternativi, anche al fine di garantire i servizi di ristorazione espletati nelle mense di qualsivoglia ente pubblico o per la fornitura ai servizi riservati all'accoglienza dei bisognosi (poveri, migranti ed altri);
    b) misure di sostegno, aggiuntive rispetto a quelle previste dall'Unione europea, a supporto immediato dei comparti della filiera agroalimentare maggiormente coinvolti dall'embargo deciso dal Governo russo, con particolare riferimento all'eventuale differimento di alcune scadenze tributarie e al sostegno creditizio delle imprese più esposte;
    c) l'attenta e scrupolosa verifica dell'entità delle richieste di risarcimento provenienti dai Paesi dell'Unione europea che, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo troppo semplicisticamente, dichiarano di aver ritirato ingenti quantitativi di frutta ed ortaggi.
(1-00913)
«Grande, Manlio Di Stefano, Colletti, Sibilia, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, Di Battista».
(18 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il 6 agosto 2014 il Presidente della Federazione russa ha, con il decreto (ukaz) n. 560 «Sull'applicazione di singole misure economiche speciali atte a garantire la sicurezza della Federazione Russa», introdotto il divieto di importare in Russia alcune categorie di alimenti per un periodo non superiore a un anno, demandando al Governo di determinare in tempi brevi gli elenchi dei Paesi stranieri esportatori soggetti a tale divieto e dei prodotti inclusi nel campo di applicazione dell'atto;
    il giorno seguente, 7 agosto 2014, il Governo della Federazione russa ha emanato il decreto attuativo «Sui provvedimenti di attuazione del Decreto del Presidente della Federazione Russa del 6 agosto 2014 n. 560», con il quale è stata formalizzata l'introduzione del divieto di importare nella Federazione Russa, per un anno, determinati prodotti agricoli, materie prime e prodotti alimentari, tra i quali figurano carni bovine e suine, pollame, pesce, formaggi e latticini, frutta e verdura prodotte (come attestato dal certificato di origine della merce) negli Stati Uniti d'America, nei Paesi dell'Unione Europa, in Canada, Australia e Norvegia. Sono esclusi dal campo di applicazione delle misure in questione alcolici, bevande, pasta e prodotti da forno, prodotti per l'infanzia e merci acquistate all'estero per consumo privato;
    qualche giorno dopo il decreto governativo 11 agosto 2014, n. 791, «Sull'imposizione del divieto di introdurre prodotti dell'industria leggera di produzione straniera da parte di soggetti pubblici per l'effettuazione di acquisti volti alla soddisfazione di necessità federali», ha proibito esclusivamente agli enti pubblici russi, a partire dal primo settembre 2014, di acquistare prodotti tessili, abbigliamento, calzature, valigie e pelli prodotti fuori dall'unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan;
    misure sono state adottate in risposta alle sanzioni decise dagli Stati Uniti d'America e dall'Unione Europea;
    in particolare, le sanzioni economiche che l'Unione europea ha introdotto dal 31 luglio del 2014 nei confronti della Federazione russa colpiscono l'esportazione di tecnologia upstream, e in particolare quella dei prodotti elencati dal regolamento (UE) n. 833/2014 (come integrato dal comunicato ufficiale del Ministero dello sviluppo economico dell'8 agosto 2014);
    conformemente all'articolo 3.1 del regolamento (UE) n. 833/2014, chi intende esportare in Russia le merci elencate dall'Allegato II al regolamento stesso deve necessariamente munirsi di apposita autorizzazione rilasciata dai competenti uffici del Ministero dello sviluppo economico;
    ai sensi dell'articolo 3.5 del regolamento (UE) n. 833/2014 vige invece un divieto totale di vendere, fornire, trasferire ed esportare a end-user russi attrezzature destinate ad attività esplorative/estrattive in depositi di scisto bituminoso (cosiddetto shale oil), ovvero da svolgersi in acque profonde o artiche. Inoltre, a seguito dell'inasprimento della disciplina del regolamento (UE) n. 833/2014, attuato con il successivo regolamento (UE) n. 960/2014 del 12 settembre 2014, un'analoga previsione opera con riguardo ai prodotti con doppia destinazione d'uso destinati a nove imprese russe del settore tecnologico e militare indicate nell'aggiunto Allegato IV del regolamento (UE) n. 833/2014 (a prescindere dalle modalità dell'utilizzo finale di detti prodotti);
    le sanzioni europee nei confronti della Russia colpiscono anche il settore militare (divieto di esportare equipaggiamento militare a end-user russi) e quello finanziario (divieto di acquistare titoli obbligazionari con scadenza maggiore di 30 giorni emessi da alcune tra le maggiori banche e imprese russe), nonché una serie di persone fisiche e giuridiche elencate nella versione consolidata del regolamento (UE) n. 269/2014;
    il 17 giugno del 2015, gli ambasciatori permanenti degli Stati dell'Unione europea hanno deciso all'unanimità di prorogare sino al 31 gennaio 2016 le sanzioni economiche contro la Russia. Ad ogni modo la decisione finale spetta al Consiglio dei Ministri degli esteri in programma per il 22 giugno 2015;
    come contromisure europee all'embargo all'import di alcune categorie di prodotti agro-alimentari posto in essere dalla Federazione russa, la Commissione europea ha ufficialmente approvato, il 18 agosto del 2014, con procedura d'urgenza, due regolamenti finalizzati all'erogazione di fondi a supporto dei produttori europei colpiti dalle conseguenze del divieto;
    si tratta, in particolare, del regolamento (UE) n. 932/2014 relativo a specifiche voci doganali del settore ortofrutticolo che prevede, sinteticamente, lo stanziamento di 125 milioni di euro con misure che vanno dal ritiro dal mercato per la distribuzione gratuita al risarcimento per la mancata o anticipata raccolta, e del regolamento (UE) n. 950/2014 relativo a specifiche voci doganali di formaggi che prevede, in sintesi, aiuti per l'ammasso privato di formaggio fino ad un quantitativo complessivo pari a 155.000 tonnellate;
    se, come sostiene le Commissione europea nell'ultimo rapporto del 27 maggio 2015, le sanzioni alla Federazione russa avrebbero sull'economia europea un impatto «limitato e non influente su gran parte delle esportazioni», essendo limitate a una parte dell’export degli armamenti e ad una ristretta gamma di prodotti e beni di consumo, le misure attuate dal Governo di Mosca sul divieto di importazione di prodotti agroalimentari da Usa, Unione europea, Canada, Norvegia e Austria hanno effetti molto più vasti delle contromisure previste dall'Unione europea;
    uno studio recente condotto in esclusiva per il Lena (Leading European Newspaper Alliance) dal Wifo (Istituto austriaco per la ricerca economica) ha rivelato che sarebbero a rischio in tutta Europa due milioni di posti di lavoro e circa 100 miliardi di euro in valore aggiunto nell’export di beni e servizi per gli effetti delle sanzioni e controsanzioni;
    la ricerca del Wifo prende in considerazioni gli effetti del «peggiore degli scenari», ossia se la situazione non dovesse mutare radicalmente e, quindi, non fosssero tolte le sanzioni. Nel caso contrario, soltanto un fattore potrebbe attutire l'impatto: l'aumento delle esportazioni verso altri Paesi. Un'ipotesi molto difficile da realizzarsi, anche alla luce del perdurare della crisi globale nonostante le rosee previsioni della Commissione europea che cita un incremento dell’export agricolo verso altri Paesi, deducendone un outlook addirittura positivo, con un calo del prodotto interno lordo europeo, nel 2015, limitato allo 0,25 per cento;
    in Italia, secondo le stime del Wifo, si rischia la perdita nel breve periodo (cioè il primo trimestre del 2015) di 80 mila posti di lavoro e quattro miliardi e 140 milioni di euro in valore aggiunto creato dall’export, mentre nel lungo periodo il calo di occupazione sarà di 215 mila posti di lavoro e quello del valore aggiunto della produzione di 11 miliardi e 815 milioni di euro, ossia una riduzione della produttività pari allo 0,9 per cento;
    secondo la Coldiretti le esportazioni di prodotti agroalimentari in Russia sono più che dimezzate (-53,8 per cento) nel primo bimestre del 2015, dopo che nel 2014 aveva già comportato un calo delle spedizioni di circa 100 milioni di euro;
    in particolare, sempre secondo la Coldiretti, negli ultimi cinque mesi del 2014 si è verificata una perdita in valore nelle esportazioni in Russia di 24,4 milioni di euro per la frutta fresca, di 19,1 milioni di euro per prodotti lattiero-caseari ed i formaggi, di 17,1 milioni di euro per carne ed ai suoi derivati, mentre per il 2015 si potrebbero far perdere al settore agroalimentare italiano tra i 160 e 200 milioni di euro di esportazioni;
    una recente analisi dell'Aice (Associazione italiana commercio estero) aderente a Confcommercio e un'indagine di Federazione moda Italia hanno stimato che nei primi 3 mesi del 2015 gli acquisti russi in Italia sono calati di oltre il 50 per cento, evidenziando le perdite anche sul fronte dei consumi nel nostro Paese da parte dei turisti provenienti da quelle aree;
    altri dati pubblicati in questi mesi evidenziano perdite nei più svariati settori e rilevano le conseguenze pesanti che vanno a ripercuotersi sui cittadini, di entrambe le parti;
    le sanzioni alla Federazione russa, infatti, hanno comportato una perdita netta stimabile in 40 miliardi di dollari a cui vanno aggiunti 100 miliardi derivanti dal repentino ribasso del prezzo del petrolio. I cittadini russi sono quelli che pagano il conto più salato: la svalutazione del rublo ha dimezzato il valore dei risparmi, lo Stato è stato costretto ad aumentare i prezzi di farmaci e dell'assistenza sanitaria, il prezzo dei prodotti agricoli e caseari è raddoppiato negli ultime sei mesi, con un notevole abbassamento degli standard di qualità prima garantiti dalle importazioni;
    un fallimento invece sembrano essere le sanzioni ai singoli cittadini di Russia, Ucraina e Crimea ritenuti responsabili della crisi. Addirittura Spagna, Malta, Finlandia, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Ungheria e Lituania non hanno provveduto ad alcuna confisca. In Germania sono stati congelati solo 124.346 euro, soltanto 120 mila euro a Cipro, sede di società e di depositi degli oligarchi russi. In controtendenza l'Italia, che con le confische al miliardario Arkady Rotenberg ha congelato un patrimonio pari a 30 milioni di euro;
    appare sempre più evidente che la gestione della crisi e le conseguenti sanzioni imposte dall'Unione europea, che fanno pagare ai popoli dei suoi Stati membri un prezzo elevato, sono state una scelta ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo avventata e frettolosa, troppo subordinata alle scelte dell'Alleanza Nord Atlantica e degli Stati Uniti d'America, ma anche alla propensione della Germania ad espandersi verso i mercati dell'Est;
    relativamente all'Ucraina, tutte le iniziative dell'Unione europea sono state caratterizzate dalla scarsa attenzione alle dinamiche interne al Paese e alla condizione dei suoi cittadini, in favore di un interesse pressoché esclusivo verso la sua centralità economica ed il suo ruolo strategico, principalmente a causa dei gasdotti che passano per il suo territorio;
    più che puntare all'obiettivo di includere l'Ucraina progressivamente nel mercato europeo e quindi nell'Unione europea, si dovrebbe lavorare per un'ipotesi similare al «modello finlandese» di integrazione europea che ha rappresentato un modello virtuoso di indipendenza per un Paese, come la Finlandia, a cavallo tra Europa ed area ex sovietica, caratterizzato dalla neutralità dello Stato, garantita dalla non adesione della Finlandia alla Nato e da un'adesione all'Unione europea avviata e raggiunta mantenendo ottimi rapporti di amicizia con la Russia;
    in tutto questo continuano gli scontri nell'est del Paese e la sensazione che il conflitto possa precipitare da un giorno all'altro aumenta con il passare del tempo. Entrambi gli schieramenti denunciano la controparte di preparare offensive e nel frattempo continua la corsa agli armamenti e il dispiegamento di dispositivi militari di ogni tipo pronti ad entrare in gioco,

impegna il Governo:

   a promuovere un'iniziativa in sede europea affinché si alleggeriscano significativamente le sanzioni dell'Unione europea alla Federazione russa;
   ad attivarsi prontamente in sede europea al fine di garantire maggiori risorse per compensare il danno prodotto dalle restrizioni alle importazioni applicate dalla Federazione russa alle imprese, ai produttori e ai cittadini dell'Unione europea;
   ad assumere iniziative per evitare ogni altra precipitazione bellica della crisi ucraina, promuovendo in sede di Unione europea una soluzione diplomatica che coinvolga tutte le parti in conflitto e contribuisca a consolidare l'accordo di Minsk del 12 febbraio 2015;
   a promuovere in sede di Consiglio europeo iniziative per garantire che non vi sia alcuna sovrapposizione, ruolo e partecipazione della Nato alla crisi ucraina, impedendo qualsiasi ipotesi di riarmo occidentale dell'Ucraina;
   a invitare il Consiglio europeo a farsi carico di un lavoro di mediazione diplomatica che faciliti la ricerca di una soluzione pacifica della crisi ucraina, esortando ad un ruolo maggiore l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea affinché si garantisca l'integrità territoriale dello Stato ucraino ed il rispetto della sua sovranità in quanto principio internazionale inviolabile, nel rispetto della sicurezza della popolazione civile, ma che promuova anche la neutralità dell'Ucraina sul «modello finlandese».
(1-00914)
«Ricciatti, Scotto, Palazzotto, Fratoianni, Kronbichler, Duranti, Piras, Ferrara».
(22 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    le sanzioni imposte dall'Unione Europea alla Russia non favoriscono le relazioni diplomatiche rivolte alla soluzione della crisi ucraina, danneggiano le economie dei Paesi coinvolti e le aspettative dei cittadini Italiani, comunitari e russi, e contribuiscono ad inasprire la grande crisi economica che sta alimentando le tensioni internazionali e l'odio tra i popoli;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è necessario scongiurare il rischio che il conflitto si allarghi, assistendo ad una escalation militare in Europa orientale, recuperando e rinnovando la volontà di dialogo tra Russia e Ucraina già manifestata con i cosiddetti accordi di Minsk;
    appare fondamentale garantire l'integrità territoriale dell'Ucraina, naturalmente con il coinvolgimento della Federazione russa nella ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi;
    si ricorda che la crisi attuale discende direttamente dalla cosiddetta dissoluzione dell'Urss, una delle due superpotenze che avevano retto le sorti dell'ordine globale dal secondo dopoguerra, avvenuta in modo rapido e inaspettato;
    essa implose dall'interno e la sua disgregazione sconvolse e ridisegnò il quadro geopolitico mondiale; tale fase non è ancora terminata;
    dalla dissoluzione dell'Urss nacquero Stati indipendenti che si ricordano: Ucraina, Moldavia, Bielorussia, Estonia, Lettonia, Lituania, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan e, nella maggior parte di quello che era stato il territorio sovietico, la Federazione russa;
    la transizione post-sovietica è stata segnata da episodi di conflitto alla periferia: la secessione de facto della Transnistria dalla Moldavia, la guerra fra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno Karabakh, il conflitto fra Kirghizistan e Uzbekistan nella valle di Fergana, le guerre civili in Georgia e Tagikistan;
    in Transnistria si scatenò il conflitto che insanguinò la regione nel 1992, durante il quale vennero registrate violazioni dei diritti umani e delle leggi di guerra. Il pericolo di nuovi eventi bellici nella regione appare elevatissimo;
    la «guerra dei cinque giorni» tra Georgia e Russia, dal 7 al 12 agosto 2008, fu causata dal contenzioso per il controllo della regione separatista dell'Ossezia del Sud. Dopo aver riconosciuto ufficialmente la Repubblica di Ossezia, la Russia siglò un accordo per il pattugliamento congiunto della frontiera osseto-georgiana e per la concessione di una base militare, opponendosi, al contempo, a partire dal 1o gennaio 2009, al rinnovo della missione di monitoraggio dell'Osce, attiva nella regione sin dal 1992. La regione è ancora oggi potenzialmente a rischio di nuovi episodi di guerra;
    la successiva annessione russa – non riconosciuta – della Crimea ha richiamato l'attenzione su alcune delle nazioni maggiormente in pericolo: particolarmente delicate appaiono le situazioni in Transnistria e in Georgia, aree di fatto indipendenti;
    nella notte tra il 1o e il 2 marzo del 2014, l'esercito della Transnistria è stato messo in stato di massima allerta, come descritto sulle pagine del New Eastern Europe;
    la diplomazia europea appare essere concorde con l'ipotesi prospettata, ovvero la necessità di rafforzare le relazioni tra gli attori coinvolti a tutti i livelli e al superamento dei conflitti regionali, anche nell'interesse dell'Unione europea stessa;
    si noti poi che, recentemente, anche il dibattito politico statunitense è stato caratterizzato da un'approfondita analisi dello scenario geopolitico in questione, al termine della quale si è manifestata l'espressione di forti preoccupazioni rispetto all'attuale strategia incentrata sulle sole sanzioni, pensiero che si può sintetizzare con le parole di Henry Kissinger, già Segretario di Stato con Nixon, collaboratore di vari Presidenti statunitensi, da Kennedy a Reagan: «i Paesi occidentali devono riconoscere che la Russia è importante per la pace nel mondo, che abbiamo bisogno del suo contributo per affrontare questioni gravi come le crisi regionali, il terrorismo islamico, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, il clima, la sicurezza alimentare. A sua volta la Russia deve riconoscere il senso di limitazione che l'approccio europeo nella politica internazionale comporta»;
    dal punto di vista storico, diplomatico ed economico l'interesse nazionale dei cittadini italiani ed europei non può prescindere dalla prosecuzione del dialogo diplomatico, a tutti i livelli, con la Federazione russa nell'ambito di un rapporto concertato in sede di Unione europea,

impegna il Governo

a farsi promotore, a partire dall'ambito dell'Unione europea, agendo di concerto con l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea, di un'azione politica volta alla ricerca di una soluzione politico-diplomatica da darsi alla crisi ucraina, e a promuovere, in sede di Unione europea, le iniziative ritenute più opportune ed efficaci, finalizzate alla rapida revoca delle sanzioni dell'Unione europea contro la Russia, oltreché a tenere presente la necessità di scongiurare ulteriori tensioni politico-militari disinnescando così preventivamente dinamiche simili a quelle verificatesi in Ucraina.
(1-00916)
«Bechis, Turco, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni».
(22 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    a seguito dello scoppio e dell'aggravarsi della crisi politico-militare tra la Russia e l'Ucraina, nel 2014 l'Unione europea, gli Stati Uniti, il Canada, la Norvegia e altri Paesi hanno comminato pacchetti di sanzioni nei confronti della Federazione russa per violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani;
    in risposta alle suddette sanzioni, ad agosto 2014 il Governo russo ha disposto un embargo annuale su numerose tipologie di prodotti agroalimentari provenienti dai Paesi di cui sopra;
    a settembre 2014 il Consiglio dell'Unione europea ha dunque varato nuove sanzioni indirizzate al settore energetico (sospendendole temporaneamente per verificare il progressivo rispetto degli accordi di Minsk), cui il Presidente russo Medvedev ha risposto ipotizzando la chiusura dello spazio aereo nazionale ai voli europei e statunitensi;
    come evidenziato da diversi studi e analisi indipendenti, sia per l'Unione europea che per la Russia il costo delle sanzioni e dell'embargo ammonta a centinaia di miliardi di euro, con effetti negativi sull'occupazione e sulle prospettive di stabilità e crescita;
    il sistema economico europeo rischia per effetto diretto e indiretto delle sanzioni un calo dell'occupazione di poco meno di un milione di unità nel breve termine e di oltre due milioni nel lungo termine; la ripartizione dei costi tra Paesi membri dell'Unione europea colpisce particolarmente le economie più orientate alle esportazioni, come la Germania e l'Italia; il nostro Paese, da sempre uno dei maggiori punti di riferimento per i consumatori di prodotti agroalimentari russi, appare particolarmente colpito dall'embargo;
    in termini relativi, la Russia sta pagando il prezzo maggiore delle misure restrittive reciprocamente adottate con l'Unione europea: gli istituti di credito russi hanno perso la possibilità di ottenere prestiti dalle banche occidentali; il blocco delle tecnologie per le trivellazioni sta limitando la capacità estrattiva dell'industria energetica, in una fase già resa complicata per il calo del prezzo del petrolio; la svalutazione del rublo ha ridotto pesantemente il peso dei risparmi e lo Stato ha dovuto incrementare i prezzi dei farmaci e dell'assistenza sanitaria; l'industria agroalimentare russa non è in grado di sostituire le importazioni dall'Europa occidentale, con il risultato di un aumento significativo dei prezzi al consumo negli ultimi sei mesi;
    a detta di molti osservatori, il regime sanzionatorio e le sue imponenti conseguenze sull'economia russa hanno evidenziato l'importanza per Mosca di un rapporto pacifico e costruttivo con l'Europa occidentale,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi con sempre maggiore incisività, nell'ambito dell'Unione europea e nei rapporti bilaterali con la Federazione russa, affinché si possa giungere ad una soluzione politica che preveda anzitutto il pieno rispetto degli accordi di Minsk, in particolare la salvaguardia dell'integrità territoriale dell'Ucraina e la tutela delle popolazioni russofone del Donbass, anche sperimentando forme avanzate di autonomia politico-amministrativa regionale;
   a proseguire, unitamente ai partner europei e internazionali, nel dialogo con il Governo di Mosca per un percorso – condizionato al pieno rispetto degli accordi di Minsk – che consenta di arrivare al superamento del regime sanzionatorio e dell'embargo commerciale, nel mutuo interesse dei lavoratori, delle imprese e dei consumatori dell'Unione europea e della Federazione russa;
   ad aprire, in sede di Unione europea, un confronto su possibili misure compensative adeguate a sostenere le imprese e i sistemi di filiera più colpiti dagli effetti dell'embargo russo;
   a fare esso stesso quanto in proprio potere per alleviare le condizioni di difficoltà che il settore agroalimentare italiano sta sperimentando a causa dell'embargo russo.
(1-00917)
«Librandi, Mazziotti Di Celso, Rabino».
(22 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    dalla negoziazione dell'accordo di associazione dell'Ucraina all'Unione europea sono derivati, nell'ordine:
     a) il rovesciamento di un Presidente democraticamente eletto, Viktor Yanuchovich, tramite rivolgimenti di piazza sulla cui origine e direzione non è ancora stata fatta chiarezza;
     b) l'instaurazione di un nuovo Governo a Kiev, dominato da forze nazionaliste determinate, da un lato, a condurre il Paese verso l'integrazione nell'Alleanza atlantica e nell'Europa comunitaria e, dall'altro, a cancellare ogni forma di autonomia per le zone dello Stato abitate maggioritariamente o comunque significativamente da popolazione russofona;
     c) l'esercizio dell'autodeterminazione da parte della Repubblica autonoma di Crimea e la sua conseguente accessione alla Federazione russa;
     d) lo scoppio di un conflitto nel Donbass, che oppone le milizie locali, assistite dalla Russia, alle forze regolari ucraine, ancora in corso;
    a spingere nella direzione del regime change in Ucraina sono stati, soprattutto, i Paesi europei promotori del cosiddetto partenariato orientale (nel frattempo divenuto un esercizio dell'Unione europea), ovvero Polonia, Svezia e Repubbliche baltiche, alle cui posizioni si è associata da ultimo sorprendentemente anche la Repubblica federale tedesca, che molti ritenevano, invece, avrebbe bloccato in extremis l'offerta a Kiev dell'accordo di associazione all'Unione europea che ha scatenato la crisi tuttora in corso;
    hanno tuttavia dato un significativo contributo ai rivolgimenti verificatisi in Ucraina anche gli Stati Uniti, che traggono un importante beneficio strategico dall'indebolimento dei legami tra Unione europea e Russia, visti da molti influenti analisti americani come una concreta minaccia al mantenimento della loro supremazia planetaria e comunque un ostacolo al progresso del progetto di Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, o Ttip;
    l'attuale amministrazione americana ha confermato, in occasione del più recente vertice del G7, il proprio orientamento a mantenere costante la pressione sulla Russia, invitando i Paesi occidentali alleati a confermare le sanzioni;
    in Russia, lungi dall'essere visto come l'esito di uno spontaneo processo democratico interno, quanto è accaduto in Ucraina è stato considerato il risultato pianificato di un attacco promosso dall'esterno per colpire gli interessi economici e di sicurezza della Federazione, una vera e propria anticipazione del probabile tentativo successivo di destabilizzarne l'attuale leadership, di cui pure gli Stati Uniti cercano l'attiva collaborazione su altri scacchieri, come quello iraniano;
    niente di concreto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, è stato fatto per modificare questa percezione russa;
    la Federazione russa ha, quindi, risposto sostenendo l'esercizio di autodeterminazione che ha condotto alla secessione della Crimea dall'Ucraina ed alla sua successiva accessione alla Russia;
    volontari russi sono altresì affluiti nel Donbass, dove è nel frattempo scoppiata una rivolta contro il nuovo Governo costituitosi a Kiev, malgrado Mosca non avesse appoggiato il tentativo locale di promuovere dei referendum di autodeterminazione sul modello di quello svoltosi in Crimea;
    l'ingresso della Crimea nella Federazione russa e la partecipazione di forze russe più o meno volontarie ai combattimenti nel Donbass sono state, quindi, all'origine di una crisi di più grandi proporzioni nelle relazioni tra la Federazione russa, l'Unione europea e gli Stati Uniti, tuttora perdurante, malgrado gli sforzi per ricomporla fatti da alcuni settori della comunità internazionale;
    nel contesto di tale crisi, Unione europea e Stati Uniti, da un lato, e Russia, dall'altro, hanno adottato misure di segnalazione reciproca di intensità crescente, sia sul versante militare che su quello commerciale;
    sul piano militare, a richiesta di un certo numero di Paesi dell'Est europeo, l'Alleanza atlantica ha intensificato le esercitazioni a ridosso delle proprie frontiere orientali, coinvolgendo in almeno un caso anche forze abilitate all'impiego di armi nucleari, mentre la Federazione russa ha moltiplicato i pattugliamenti aerei nei cieli confinanti con diversi Paesi aderenti alla Nato, dando luogo anche ad intercettazioni operate dai caccia alleati;
    è ormai apertamente ventilato il preposizionamento di aliquote americane di mezzi corazzati nell'Europa dell'Est, circostanza che ha già indotto i russi ad annunciare lo schieramento ai propri confini occidentali di una quarantina di nuovi missili a lunga gittata con capacità nucleare;
    è, quindi, concreto il rischio di una ripresa della corsa agli armamenti in Europa;
    sul piano commerciale, Stati Uniti ed Unione europea, da un lato, e Russia, dall'altro, hanno imposto regimi sanzionatori di intensità crescente nel tempo. Ne è derivata una vera e propria guerra economica che la Federazione russa sta affrontando riorientando i propri flussi di scambio a tutto vantaggio della Cina, che, in conseguenza di quanto accaduto, sta adesso ricevendo anche tecnologie militari russe di punta, finora mai cedute all'estero da Mosca;
    le contromisure attivate dal Governo di Mosca a seguito delle sanzioni nei confronti della Federazione russa decretate dall'Unione europea, alle quali il nostro Paese ha aderito esponendosi così a delle rappresaglie commerciali, hanno comportato il divieto di ingresso in Russia di una folta lista di prodotti italiani ed europei;
    in particolare, il 6 agosto 2014 la Russia ha disposto l'embargo di un anno, applicabile a partire dal giorno successivo, su una lista di cinque categorie di beni alimentari – in particolare ortofrutticoli freschi, carni fresche e lavorate, latte, formaggio e derivati, alimentari diversi, pesci e crostacei – provenienti da Unione europea, Stati Uniti, Canada, Australia e Norvegia. La lista originaria è stata successivamente rivista per escludere prodotti di nicchia oppure necessari per la salute umana, come i prodotti lattiero-caseari privi di lattosio;
    lo «stop2» all'importazione di prodotti italiani deliberato dal Governo di Mosca è stato un duro colpo per il made in Italy e l'equilibrio della bilancia commerciale italiana;
    nel 2013, in effetti, l'Italia era il secondo esportatore europeo verso la Russia, con 10,8 miliardi di euro di fatturato, alle spalle della Germania; nel 2014, il nostro Paese ha visto diminuire la propria quota di export verso la Russia di 1,25 miliardi di euro (-11,6 per cento), con una stima di ulteriori 3 miliardi di euro perduti nel 2015;
    ai danni diretti, per il settore del made in Italy, derivanti dall'embargo, vanno poi aggiunti quelli «indiretti», che potrebbero dispiegare effetti più gravi e protratti nel tempo. Si rischia in effetti una vera e propria rottura definitiva dei rapporti commerciali con la Russia, dal momento che i prodotti italiani sotto embargo potrebbero essere sostituiti da quelli provenienti da altri Paesi;
    paradossalmente, le aziende americane – cioè appartenenti alla nazione alla guida del fronte pro-sanzioni – hanno invece aumentato le proprie esportazioni verso la Russia del 23 per cento nell'ultimo anno;
    sono così le aziende europee, ed in particolare quelle italiane, ad essere le più penalizzate da questa situazione, circostanza che forse spiega l'inflessibilità dimostrata dal Presidente statunitense Barack Obama nell'esigere la continuazione dell'applicazione delle sanzioni alla Russia in occasione del recente vertice del G7, tenutosi alla vigilia della visita del Presidente russo Vladimir Putin all'Expo 2015 di Milano e della successiva riunione in cui il Coreper dell'Unione europea avrebbe riesaminato il dossier delle sanzioni;
    anche a causa delle pressioni esercitate dal Presidente Obama al G7, il nostro Paese non è riuscito ad ottenere l'ammorbidimento del regime sanzionatorio applicato all'interscambio con la Russia in occasione dei lavori preparatori in vista del Consiglio europeo del 25-26 giugno 2015. È stata, invece, decisa la proroga fino al gennaio 2016 delle sanzioni in vigore, circostanza che lascia presagire un ulteriore deterioramento della situazione;
    stando alle risultanze di un'inchiesta condotta dal Lena (Leading European newspaper alliance), in assenza di novità, per effetto della crisi politica apertasi con la Russia, l'Europa potrebbe subire nel lungo termine una perdita di 2 milioni di posti di lavoro e una diminuzione di 100 miliardi di euro in valore aggiunto di beni e servizi destinati all’export. In questo contesto, per il nostro Paese la stima è di quasi 12 miliardi di euro, con 215 mila posti di lavoro potenzialmente compromessi;
    l'eventuale destabilizzazione economico-politica della Russia per effetto delle sanzioni, cui ampi settori del sistema politico statunitense sembrano tuttora mirare, rappresenta, inoltre, un rischio ulteriore non trascurabile, potendo gettare nel caos quello che fino a poco tempo fa era ritenuto per l'Italia un promettente mercato,

impegna il Governo:

   a mettere in atto un'incisiva attività diplomatica mirante a trovare strumenti alternativi alle sanzioni per superare gli attuali embarghi, che, se protratti ulteriormente, rischiano di compromettere in maniera irreversibile i rapporti con uno dei maggiori partner commerciali delle imprese del nostro Paese;
   a sfruttare la prima occasione utile per ridiscutere la questione delle sanzioni nell'ambito del Coreper, dopo la fine della presidenza semestrale di turno dell'Unione europea esercitata dalla Lettonia, Paese che ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo vanta un record di relazioni bilaterali con la Russia assai problematico e discrimina tuttora la propria minoranza russofona interna, in larga parte rimasta in condizioni di apolidia e, quindi, priva dei diritti politici fondamentali;
   a porre in sede europea ed atlantica, nonché in sede bilaterale con gli Stati Uniti, il problema politico dell'effettiva desiderabilità di una crisi economico-politica di maggiori proporzioni in Russia, posto che i suoi eventuali effetti sarebbero avvertiti principalmente in Europa e dal nostro Paese in particolare;
   in questo contesto, a negare la partecipazione di truppe o asset nazionali alle esercitazioni che l'Alleanza atlantica promuoverà nei prossimi mesi a ridosso delle frontiere della Federazione russa, motivando la decisione con la necessità concorrente di potenziare le difese nazionali nel Mediterraneo, dove cresce la minaccia portata dal sedicente Stato islamico;
   a valutare, se il blocco delle esportazioni dovesse continuare malgrado ogni sforzo teso ad allentarlo, l'adozione di misure di sostegno e compensazione per le imprese maggiormente colpite del nostro Paese.
(1-00919)
«Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(22 giugno 2015)