TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 446 di Venerdì 19 giugno 2015

 
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INTERPELLANZE URGENTI

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 23 maggio 2015 veniva arrestato il responsabile di una onlus accusato di aver intascato parte dei fondi destinati all'assistenza per gli stranieri arrivati in Italia e ospitati in alcune strutture. La procura di Napoli sta lavorando sull'ipotesi che gli aiuti ai migranti venivano intascati da responsabili e collaboratori di alcune associazioni fra le quali «Un'Ala di riserva» e Caritas Campania. Sono stati arrestati con l'accusa di peculato Alfonso De Martino, presidente dell'associazione «Un'Ala di Riserva», la sua compagna Rosa Carnevale, agli arresti domiciliari e nel registro degli indagati risultano due funzionari della Protezione civile e due esponenti campani della Caritas, il collaboratore della Caritas di Teggiano-Policastro, Fiore Marotta, e don Vincenzo Federico, responsabile della Caritas Campania;
   organi di stampa sostengono l'affermazione del procuratore Vincenzo Piscitelli e i sostituti procuratori, Raffaello Falcone e Ida Frongillo, secondo cui sarebbe verosimile un coinvolgimento della Caritas di Teggiano-Policastro, in provincia di Salerno, che gestisce quattro strutture che ospitano soprattutto immigrati provenienti dal Nord Africa. Risulterebbe infatti agli inquirenti che parte di questi ticket utilizzati per l'acquisto di schede telefoniche provengono proprio dalle strutture gestite dalla Caritas di Teggiano-Policastro. Le indagini vertono sul fatto che sembrerebbe che De Martino abbia fatto convergere ben 582.248 ticket money per gli immigrati, per il valore complessivo di circa un milione di euro, presso l'edicola di cui è titolare la sua compagna e che questi siano stati spesi in schede telefoniche, in virtù del contratto stipulato fra l'edicola e la regione Campania. Il responsabile di «Un'Ala di riserva» avrebbe confessato nel gennaio 2015 di aver proposto a Fiore Marotta, «riconducibile al responsabile della Caritas Campania don Vincenzo Federico», di convertire i pocket money presso l'edicola;
   i ticket money sono dei buoni sociali destinati dal Governo italiano ai migranti ciascuno del valore di 2,50 euro al giorno e che possono essere spesi per l'acquisto di beni di diverso genere, ma che in questo caso venivano utilizzati dagli ospiti immigrati quasi totalmente per l'acquisto di ricariche telefoniche del valore di cinque euro;
   sono anni che si assiste al continuo flusso migratorio verso il nostro Paese di uomini che fuggono da guerre e dalla disperazione determinata dalla speculazione che nasce da questo spietato processo di globalizzazione che, facendo registrare un record di prezzi dei generi alimentari, ha provocato una vera e propria lotta per il pane;
   tutti i Governi fino ad ora non sono stati in grado di porre con determinazione al centro del dibattito europeo la questione dei flussi migratori verso l'Italia lasciando non solo che questa porta diventasse una vera e propria forca caudina, ma che si alimentasse al suo interno un mercato illecito a spese degli italiani e dei migranti;
   l'articolo 79 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea stabilisce che l'Unione sviluppa una politica comune dell'immigrazione tesa ad assicurare la gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto della tratta degli esseri umani –:
   di quali elementi dispongano in relazione a quanto esposto in premessa e se non intendano fare chiarezza, per quanto di competenza ed autonomamente rispetto alla magistratura, sulla gestione sospetta dei rimborsi di cui in premessa destinati dal Governo agli immigrati e sul coinvolgimento della Caritas Campania;
   in che maniera il Governo intenda immediatamente intraprendere iniziative concrete ed efficaci al fine di assicurare la legalità e restituire la fiducia nello Stato ai propri cittadini, monitorando la gestione degli aiuti ai migranti e ponendo fine al vergognoso mercato illegale dei ticket money;
   come intendano assicurare il pieno godimento dei diritti umani e sociali da parte di coloro che sperano di trovare in Italia una vita migliore, specialmente attraverso il rafforzamento delle strutture a garanzia dei diritti dei migranti, garantendo loro l'accesso ai servizi sociali di base e contrastando la selvaggia speculazione della mafia italiana sui migranti.
(2-01002)
«Colonnese, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, D'Incà, Nuti, Toninelli, Cozzolino, Cecconi, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Di Vita, Lorefice, Mantero, Battelli, Nesci, Luigi Di Maio, Fraccaro, Petraroli, Vignaroli, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso».
(9 giugno 2015)

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   a seguito della crisi industriale di Indesit Company, a giugno 2013 è stato avviato un piano di salvaguardia e razionalizzazione dell'assetto industriale della società;
   il 3 dicembre 2013, presso il Ministero dello sviluppo economico si è tenuto un incontro riguardante l'esame della situazione della società Indesit nel quale è stato firmato un accordo con la società, la regione Campania, la regione Marche, Confindustria Ancona, Confindustria Caserta e le rappresentanze nazionali e territoriali di Fim, Cisl, Fiom, Cgil, Uilm, Uil, Ugl metalmeccanici; tale accordo prevedeva un piano industriale triennale dell'azienda con tre punti: innovazione e ricerca; sistema di governo e gestione centrale; riorganizzazioni delle produzioni;
   quest'ultimo punto assegnava a Caserta la funzione di polo produttivo dell'incasso nel freddo e nei piani di cottura a gas prevedendo investimenti pari a 10,3 milioni di euro; il Ministero dello sviluppo economico si era impegnato ad utilizzare strumenti idonei (anche con contratti di sviluppo) finalizzati a supportare gli investimenti previsti nel piano industriale, al fine di consolidare produzione e occupazione;
   a seguito dell'acquisizione, nel luglio 2014, di Indesit da parte della Whirlpool Corporation – multinazionale statunitense leader mondiale nella produzione di elettrodomestici – è stato presentato, alle associazioni sindacali, nei giorni scorsi, il piano industriale che prevedrebbe, secondo quanto dichiarato dall'azienda, investimenti per 500 milioni di euro, il rafforzamento del ruolo dell'Italia quale polo per la ricerca e sviluppo, volumi di produzione totali in Italia in crescita, la creazione a Fabriano (Ancona) del più grande stabilimento in Europa per la produzione di piani cottura e il rafforzamento a Cassinetta (Varese) del più grande polo europeo dei prodotti a incasso;
   a fronte dell'ingente somma di investimenti in Italia, il piano industriale preannuncia anche accorpamenti produttivi e chiusure di stabilimenti che determinano importanti ricadute in termini occupazionali; in particolare, è prevista la chiusura di tre siti produttivi e 1.350 esuberi di cui 1.200 nelle fabbriche e 150 nei centri di ricerca;
   i lavoratori interessati dal riassetto organizzativo, a fronte della prevista chiusura dello stabilimento di Carinaro (Caserta), di Albacina (Ancona) e del centro ricerca e sviluppo di None (Torino), hanno messo in atto sit-in di protesta bloccando la produzione;
   il Governo ha chiesto e ottenuto l'impegno dell'azienda a rispettare quanto stabilito nell'accordo del 2013 sull'acquisizione della Indesit che escludeva qualsiasi licenziamento unilaterale fino al 2018;
   è necessario scongiurare la chiusura dello stabilimento di Carinaro di Caserta per evitare l'ulteriore riduzione della base industriale di una delle più importanti regioni del Mezzogiorno;
   secondo dichiarazioni del Ministro interpellato, il piano «presenta aspetti positivi come i nuovi investimenti per mezzo miliardo di euro e il rientro in Italia di alcune linee di produzione dall'estero e aspetti fortemente negativi e inaccettabili come l'importante numero di esuberi, concentrati soprattutto sullo stabilimento di Caserta sul quale pesa la pesante crisi produttiva ereditata dalla Indesit. Il Governo si è pertanto impegnato ad attivare fin da subito un confronto che porti a tutelare al massimo la salvaguardia dell'occupazione e dei siti produttivi del gruppo Whirlpool-Indesit in Italia» –:
   quali siano le intenzioni del Governo e le iniziative in itinere intraprese per verificare il contenuto e gli obiettivi del piano industriale del gruppo Whirlpool, al fine di tutelare e salvaguardare i posti di lavoro e la piena occupazione dei siti produttivi, e scongiurare la chiusura degli stabilimenti in particolare quello di Carinaro (Caserta), che ad oggi impiega circa 800 lavoratori.
(2-00946)
«Sgambato, Maestri, Manfredi, Bossa, Tino Iannuzzi, Paris, Bratti, Palma, Giorgio Piccolo, Dell'Aringa, Murer, Covello, Salvatore Piccolo, Impegno, Migliore, Valiante, Famiglietti, Carloni, Amendola, Giovanna Sanna, Tartaglione, Paola Boldrini, Francesco Sanna, Rostan, Currò, Pagani, Mura, Camani, Naccarato, D'Arienzo, Miccoli, Sbrollini, Valeria Valente, Di Salvo».
(24 aprile 2015)

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   le Forze armate sono dotate dei seguenti gruppi sportivi: Centro sportivo olimpico dell'Esercito italiano, Centri sportivi agonistici della marina militare, Centro sportivo dell'aeronautica militare, Centro sportivo carabinieri. La Polizia di Stato ha il Gruppo sportivo Fiamme Oro, la Guardia di finanza ha il Gruppo sportivo Fiamme Gialle. Il Corpo forestale ha il Gruppo sportivo forestale. Il Corpo di polizia penitenziaria ha il Gruppo sportivo Fiamme Azzurre. Il Corpo dei vigili del fuoco ha il Gruppo sportivo fiamme rosse;
   i sopradetti gruppi sportivi rappresentano l'eccellenza dello sport italiano e anche la nostra nazione nel mondo;
   da notizie apparse sulla stampa si apprende che nei 18 mesi che precedettero l'Olimpiade di Londra 38 atleti della Federazione italiana di atletica leggera (Fidal) – che avevano l'obbligo di segnalare la propria reperibilità per i controlli antidoping a sorpresa – avevano ripetutamente disatteso a questo obbligo impedendo in questo modo la possibilità di essere sottoposti a controlli out of competition;
   l'intero sistema antidoping ha la sua punta di forza nei controlli a sorpresa effettuati sugli atleti ma, per effettuare questo genere di controlli c’è la necessità da parte degli atleti di segnalare la reperibilità giorno per giorno. Una mancata segnalazione (prevista trimestralmente dalla Wada – Agenzia mondiale antidoping) comporta che tali controlli non si possano effettuare. Se qualcuno accumula in 18 mesi tre ritardi nell'invio del form con le informazioni (la cosiddetta «mancata o ritardata notifica»), o se salta un test per tre volte senza motivi validi, viene squalificato. Questo è quanto previsto dal codice mondiale della Wada. È un punto tassativo;
   la mancata segnalazione della propria reperibilità non indica che gli atleti si siano sottoposti a doping;
   l'indagine condotta dai Nas e dai Ros, su mandato della procura di Bolzano, ha evidenziato che l'Agenzia Coni-Nado, pur riscontrando ripetute mancate segnalazioni delle reperibilità da parte degli atleti, non si sia mai attivata per la contestazione delle infrazioni e per la prevista squalifica compiendo una grave violazione dei codice Wada, soprattutto sul fronte delle «mancate reperibilità». Finora è emerso il caso dei 38 atleti della Federazione italiana di atletica leggera, ma gli inquirenti di Bolzano hanno informato che in molte altre federazioni sportive la situazione è identica. Recentemente la procura antidoping del Coni ha convocato 65 atleti della sola Federazione italiana di atletica leggera in merito a tali mancanze;
   la commissione controlli antidoping del Coni, per un elevato numero di atleti di diversi sport, non avrebbe potuto effettuare esami antidoping a sorpresa perché non era a conoscenza dei loro luoghi di reperibilità;
   i gruppi sportivi che fanno riferimento alle forze armate o ai corpi di polizia sono composti da diversi atleti di interesse olimpico e internazionale;
   il fenomeno del doping e l'uso di sostanze dopanti è spesso legato anche a fenomeni controllati dalla malavita o da attività illecita –:
   se i comandanti dei gruppi sportivi indicati in premessa fossero a conoscenza che atleti di tutte le discipline sportive appartenenti al proprio gruppo sportivo non avevano provveduto a inviare il modulo della propria reperibilità come previsto dal codice antidoping della Wada e quale sistema di controllo interno abbiano messo in atto in questi anni per prevenire il mancato invio della reperibilità e del possibile uso di sostanze dopanti da parte dei propri atleti;
   se i comandanti dei gruppi sportivi, dopo le notizie delle agenzie di stampa sugli interventi fatti dalla procura di Bolzano a settembre 2014, si siano attivati per verificare che i propri atleti non fossero nella condizione di avere disatteso a questo obbligo di inviare la reperibilità anche perché ci si riferisce a fatti avvenuti da gennaio 2011 e fino a giugno 2012, e quali provvedimenti abbiano messo in atto nei confronti degli atleti che avessero eventualmente disatteso a questo obbligo;
   se gli atleti appartenenti ai gruppi citati in premessa, che risultano convocati per chiarimenti dalla procura antidoping, abbiano concordato una linea difensiva comune nei confronti della procura antidoping assumendo un unico studio legale a difesa e se tale percorso sia stato condiviso e concordato dai comandanti e responsabili dei gruppi sportivi citati in premessa.
(2-00996)
«Cova, Scanu, Prina, Coccia, Carra, Taricco, Terrosi, Zanin, D'Ottavio, Preziosi, Malpezzi, Casati, Albini, Argentin, Rostellato, Rossi, Senaldi, Arlotti, Patriarca, Richetti, Manzi, Fossati, Cominelli, Crivellari, Crimì, Dallai, Cassano, Casellato, Castricone, Venittelli».
(4 giugno 2015)

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la città di Cosenza dispone di un centro storico di alto valore culturale, monumentale ed architettonico, le cui origini risalgono al IV secolo a.C.;
   il disegno urbano e il pregio dei valori fanno del centro storico bruzio un bene unico nel panorama italiano ed un significativo esempio della cultura urbana europea;
   interi comparti del suo sistema urbano sono fortemente minacciati da uno stato di abbandono e di degrado che espone a gravi rischi l'integrità fisico-territoriale e la tenuta della sicurezza sociale;
   si susseguono, infatti, sempre più numerosi e frequenti crolli conseguenti a cedimenti strutturali di edifici e del sistema viario ed infrastrutturale urbano;
   risulta ancora più accentuato il rischio sismico anche per le caratteristiche di una struttura urbana a forte concentrazione attraversata da un dedalo di vicoli, scalinate, viuzze e piazzette che conducono ad una miriade di case, chiese e palazzi secolari;
   la morfologia e l'orografia delle colline lungo le quali si snoda l'insediamento del centro storico è contrassegnata da molteplici episodi che fanno elevare il rischio idrogeologico con pericoli sempre più incombenti;
   il crollo verificatosi nei giorni scorsi, in via Bernardino Bombini, ha interessato una vasta porzione di un edificio posto in un'area di impianto medioevale di rilevante interesse storico;
   è da ritenersi miracoloso il fatto che nel crollo non si sia registrata nessuna vittima considerata l'immediata adiacenza e contiguità di fabbricati abitati;
   l'edificio crollato è stato più volte oggetto di ordinanze che disponevano interventi urgenti di messa in sicurezza;
   in analogia con questo caso sono centinaia le ordinanze di sgombero e di demolizione che non vengono eseguite;
   un così alto numero di ordinanze rappresenta di per sé la testimonianza e la prova della dimensione del fenomeno e del relativo rischio che minaccia il patrimonio edilizio e l'incolumità pubblica;
   è crescente il numero dei palazzi anche di pregio storico che, in seguito all'assenza di interventi di cura e manutenzione, presentano crepe e cedimenti strutturali che possono generare crolli improvvisi;
   è ampiamente documentata in sede tecnico-istituzionale la diffusione del pericolo in conseguenza del livello elevato del rischio idrogeologico e sismico;
   i pericoli incombenti interessano aree ad intensa presenza abitativa ma anche di rilevante valenza storico-culturale;
   il degrado, l'incuria e l'abbandono duraturo e strutturale hanno generato anche la presenza di elevati livelli di rischio ambientale e sanitario –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per prevenire eventuali danni a seguito di possibili eventi disastrosi che potrebbero colpire le popolazioni e cancellare i segni e le testimonianze che tracciano l'identità storica dei luoghi e della comunità;
   se il Governo ritenga che sussistano i termini per deliberare la dichiarazione dello stato di emergenza, atteso che per fronteggiare la situazione emergenziale in atto, per i caratteri d'urgenza, non è sufficiente l'espletamento di procedure ordinarie, bensì si richiedono provvedimenti extra ordinem, al fine di attivare poteri straordinari in deroga alla normativa vigente ed affidare, così, alla responsabilità del dipartimento della protezione civile la tempestiva esecuzione di preventivi sgomberi, demolizioni e ogni attività di messa in sicurezza;
   se il Governo ritenga di prevedere specifici interventi attraverso la rimodulazione dell'accordo di programma siglato il 25 novembre 2010 e/o anche nella futura programmazione finalizzata alla mitigazione del rischio idrogeologico;
   se il Governo ritenga, altresì, che nell'ambito dei programmi di utilizzo dei fondi europei, di intesa con la regione Calabria, di promuovere investimenti per l'attuazione di progetti finalizzati alla rigenerazione urbana, all'accrescimento dei livelli di inclusione e coesione sociale, alla ricostruzione dell'identità e della memoria storica, alla riqualificazione ed alla valorizzazione del patrimonio edilizio, architettonico, artistico, religioso e ambientale.
(2-01003)
«Bruno Bossio, Covello, Magorno, Leva, Lodolini, Fragomeli, Lattuca, Oliverio, Sani, Aiello, Cardinale, Censore, Realacci, Losacco, Garavini, Miotto, Fregolent, Bersani, Sgambato, Vazio, Fiorio, Tino Iannuzzi, Palma, Mura, Morassut, Miccoli, Carloni, Martelli, Ginoble, Portas, Lacquaniti, Zampa, Carlo Galli, Gianni Farina, Stumpo, Pes».
(9 giugno 2015)

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che – a parere degli interpellanti sostanzialmente a dispetto delle prerogative del Parlamento e della normativa vigente – con riferimento al disegno di legge attualmente in discussione al Senato della Repubblica sulla cosiddetta «buona scuola», il Governo si comporta come se il medesimo fosse stato già approvato definitivamente nel testo della Camera dei deputati, tanto da metterne immediatamente in pratica le disposizioni;
   si tratta di un disegno di legge presentato dopo che era stato ipotizzato un decreto-legge sulla stessa materia che il Governo, nel marzo 2015, ha all'ultimo momento deciso di non presentare, in aperta contraddizione con le più recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri che a Genova ha affermato di voler utilizzare più tempo nella discussione parlamentare: «ci metteremo una settimana in più (...), purché si arrivi ad una riforma con il massimo coinvolgimento». Invece il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sembra aver fretta, fretta sempre cattiva consigliera nell'attuazione di una nuova normativa talmente complessa da essere, a parere degli interpellanti, comunque di difficile attuazione;
   si apprende infatti che, dopo una riunione in viale Trastevere con i direttori degli uffici scolastici regionali, siano state predisposte le circolari per chiedere ai dirigenti scolastici di individuare quali e quanti docenti servirebbero per il cosiddetto «organico potenziato dell'autonomia» di ogni singola istituzione scolastica, così come definito dall'articolo 2 del disegno di legge n. 1934, attualmente all'esame della VII Commissione (Istruzione) del Senato della Repubblica;
   ai dirigenti scolastici verrebbe richiesto: «Nelle more della conclusione dell'iter parlamentare di approvazione del disegno di legge si invita codesta dirigenza scolastica ad individuare le aree omogenee di attività e i relativi fabbisogni di personale secondo l'allegata scheda, avendo cura di specificare, per ciascuna area, le classi di concorso di riferimento», con buona pace delle competenze, pur ancora previste dal disegno di legge in discussione, sia del collegio docenti che del consiglio di istituto;
   ma è proprio sulla questione dei cosiddetti «ambiti territoriali» e della «individuazione» fatta dai dirigenti scolastici che potrebbero arrivare modifiche e novità dalla discussione al Senato della Repubblica al disegno di legge e, quindi, ad avviso degli interpellanti la richiesta fatta dagli uffici scolastici regionali, oltre ad essere in anticipo e illegittima, rischia di essere superata proprio «dall'iter parlamentare di approvazione»;
   inoltre, sempre in materia di organici, si apprende che il 10 giugno 2015 le organizzazioni sindacali rappresentative della scuola hanno inviato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca una nota di protesta perché lo stesso ha emanato una nota, la n. 1947 dell'8 giugno 2015, indirizzata agli uffici scolastici periferici e a tutte le scuole relativa all'organico del personale amministrativo, tecnico e ausiliario per il prossimo anno scolastico 2015/2016. Nella sopradetta circolare, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ancora una volta, «anticipa» e mette in pratica i nuovi e peggiorativi parametri di calcolo secondo gli ulteriori tagli introdotti dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) di oltre 2.000 unità di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza aver prima convocato il tavolo di confronto per la prevista informativa sindacale. L'incontro si è tenuto, dopo la protesta, soltanto successivamente in data 11 giugno 2015 e a seguito della diffida dei sindacati nella quale si richiedeva immediatamente quanto previsto dall'articolo 5, comma 2, del contratto collettivo nazionale di lavoro vigente del comparto scuola, ossia «nel termine di due giorni lavorativi dal ricevimento dell'informazione, l'attivazione di un tavolo di concertazione. Questo sarà aperto dall'Amministrazione nel termine di cinque giorni lavorativi successivi alla ricezione della richiesta di concertazione, e dovrà in ogni caso chiudersi nel termine perentorio di sette giorni lavorativi dall'apertura»;
   senza volere entrare nel merito delle successive relazioni e degli incontri in fieri tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e le organizzazioni sindacali, che hanno comunque ribadito il giusto e netto dissenso per gli ulteriori tagli e riduzioni della dotazione organica già dimostratasi insufficiente a garantire il regolare funzionamento delle istituzioni scolastiche, ad avviso degli interpellanti anche questo comportamento appare come un fatto molto grave dal momento che ancora una volta il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca disattende norme e comportamenti definiti dalla normativa vigente;
   inoltre, anche presso le scuole la cosiddetta «buona scuola» è data come già approvata e, al di là di ogni opinione e condotta contraria delle lavoratrici e dei lavoratori, si ritiene egualmente «superata» ogni normativa vigente. È il caso della legge 12 giugno 1990, n. 146 – Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Presso l'Istituto superiore di Stato dei servizi socio sanitari «Edmondo De Amicis» di Roma, infatti, il dirigente scolastico, con circolare 5 giugno 2015, n. 227, avente per oggetto «condotta in occasione di eventuale adesioni a scioperi» comunica la «sua» normativa vigente e le «sue» relative «disposizioni organizzative», tra cui quelle per cui il personale docente e personale amministrativo, tecnico e ausiliario che «non intenda presenziare allo scrutinio», dovrebbe comunicarlo «preventivamente» e che è possibile la sostituzione del personale in sciopero –:
   come il Governo intenda provvedere nel merito, rispettando le prerogative costituzionali del Parlamento e la legge e assumendo iniziative sia per il ritiro e l'eventuale sospensione della circolare per i dirigenti scolastici sull'individuazione del presunto «fabbisogno di personale», sia per il ritiro della circolare del 5 giugno 2015 del dirigente scolastico dell'Istituto superiore di Stato dei servizi socio sanitari «Edmondo De Amicis» di Roma sull'obbligo di comunicazione preventiva dell'esercizio del diritto di sciopero e sulla possibilità di sostituzione dei lavoratori in astensione dal lavoro;
   se intenda chiarire il proprio modus operandi con riferimento all'emanazione della circolare n. 1947 dell'8 giugno 2015 relativa alla definizione degli organici del personale amministrativo, tecnico e ausiliario per il prossimo anno scolastico, circolare da considerarsi ad avviso degli interpellanti del tutto in contrasto con la normativa vigente, in quanto emanata in mancanza del decreto ministeriale che avrebbe dovuto essere adottato entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e priva del parere della Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
(2-00999)
«Scotto, Giancarlo Giordano, Pannarale, Fratoianni».
(8 giugno 2015)

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   il batterio Xylella fastidiosa è un patogeno da quarantena che si è palesato per la prima volta in Europa in Salento, in Puglia. Originario dell'America centrale è giunto, presumibilmente, attraverso l'importazione di piante ornamentali dal continente americano. Il batterio, per la prima volta al mondo, ha attaccato gli oliveti e si propaga attraverso la «cicala sputacchina», insetto vettore, ad apparato pungente-succhiatore (Homalodisca Coagulata) che, una volta assorbita la linfa delle piante, trasporta il batterio su altri fusti;
   sono oramai incalcolabili i danni per i florovivaisti salentini colpiti dall'embargo e per gli agricoltori che hanno dovuto assistere al crollo della produzione olivicola nonché al disseccamento rapido di innumerevoli olivi nei propri campi;
   il timore del propagarsi di questo batterio ha spinto numerose altre nazioni ad effettuare l'embargo di determinati prodotti dall'Italia, nonostante il ceppo della Xylella fastidiosa presente in Salento abbia attaccato solamente gli oliveti. In data 14 gennaio 2015, la direzione della protezione delle piante e del controllo tecnico in capo al Ministero dell'agricoltura e dello sviluppo rurale del Governo algerino ha disposto la sospensione dell'importazione dall'Italia delle barbatelle da vite, adducendo come motivo la presenza del batterio. Dal 6 aprile 2015 è in vigore il decreto varato dal Ministro dell'agricoltura francese, Stephane Le Foll, che impone il blocco delle importazioni di 102 specie vegetali dai territori colpiti dal batterio (ulivo, vite, fico, albicocco, mandorlo, pesco, agrumi, ciliegio, gelso e numerose piante ornamentali), una decisione legittima secondo la Commissione europea che la descrive come «misure in linea con la legislazione Ue»;
   questa situazione è sfociata in una vera e propria «psicosi da Xylella» probabilmente dovuta a disinformazione, mancata chiarezza delle notizie e strumentalizzazione politica. Si è proceduto all'equiparazione tra embargo delle importazioni di materiale vegetale (piante) con embargo dei prodotti agricoli. In Puglia, attraverso il candidato alla presidenza della regione Puglia Francesco Schittulli, è stata persino lanciata la campagna iononcomproMadeinFrance per rispondere alla presunta guerra commerciale sui prodotti agricoli pugliesi messa in atto da Parigi;
   questo bailamme di dichiarazioni generato dalla stampa non ha fatto altro che aumentare i timori dei Paesi importatori di prodotti agricoli provenienti dalla Puglia. Molte imprese esportatrici di prodotti ortofrutticoli, infatti, lamentano la richiesta di informazioni chiare da parte dei loro clienti a cui non riescono a fornire una risposta univoca e definitiva sulla sicurezza della propria merce;
   come esplicitato dal presidente del Consorzio nazionale degli olivicoltori, Gennaro Sicolo, in una nota inviata in data 19 maggio 2015 ai Ministri interpellanti ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri, una cooperativa aderente al Consorzio nazionale degli olivicoltori ha ricevuto richieste da clienti giapponesi di avere rassicurazioni circa l'assenza del batterio nelle partite di olio extravergine di oliva esportate in quel Paese;
   questi episodi rischiano di creare turbative, di provocare la contrazione dei flussi di esportazione dei migliori prodotti ortofrutticoli e olivicoli italiani a vantaggio dei concorrenti e, ove non adeguatamente affrontati, potrebbe innescare dei comportamenti opportunistici e speculativi, arrivando ad alimentare anche delle potenziali guerre commerciali –:
   se i Ministri interpellati non ritengano opportuno assumere iniziative volte a predisporre e diramare un documento scientifico in cui si attesti e dimostri che il batterio da quarantena Xylella fastidiosa non intacca i prodotti agricoli finali, in special modo l'olio di oliva e l'olio extravergine di oliva.
(2-01000)
«L'Abbate, Massimiliano Bernini, Gallinella, Gagnarli, Benedetti, Parentela, Lupo, Da Villa, Crippa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Vallascas, Grande, Spadoni, Scagliusi, Micillo, De Rosa, Terzoni, Busto, Daga, Mannino, Zolezzi, Dell'Orco, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Carinelli, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto».
(9 giugno 2015)

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la correlazione tra inquinamento ambientale e le relative ricadute avverse sulla salute umana è scientificamente accertata;
   si deve, tuttavia, segnalare che nel nostro Paese la cultura, in particolare quella dei medici, in tema di ambiente e salute è spesso correlata più a un interesse individuale di approfondimento o alla passione civile che a uno specifico piano formativo, nonostante già la stessa legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, contenesse tra le proprie finalità, a tutela della salute pubblica, la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell'igiene dell'ambiente naturale attraverso l'identificazione e la successiva eliminazione delle cause inquinanti;
   evidenze scientifiche crescenti mostrano che all'esposizione a inquinanti presenti nell'ambiente di vita si possono attribuire quote non trascurabili della morbosità e mortalità per neoplasie, malattie cardiovascolari e respiratorie;
   a questo proposito si rileva, come già evidenziato nel corso di un seminario su «Salute della donna e del concepito: la prevenzione dei rischi ambientali e occupazionali» tenutosi presso l'Istituto superiore di sanità nel 2000, che, da un punto di vista generale e con riferimento ad un esame superficiale degli indicatori sanitari, le donne sembrerebbero avvantaggiate rispetto agli uomini: soffrono meno di malattie cardiovascolari, di tumori, di incidenti e infortuni e hanno un vantaggio di sopravvivenza media di circa otto anni;
   questi dati incoraggianti ed ottimistici non riguardano, come sottolineato dai lavori presentati nel corso del citato seminario, l'apparato riproduttivo e la salute riproduttiva della donna stessa;
   nel 1991, infatti, un gruppo di scienziati alla sessione di lavoro del Wingspread su «endocrine-disrupting chemicals (EDC)» concluse che molti composti chimici introdotti nell'ambiente dalle attività umane sono capaci di «danneggiare il sistema endocrino degli animali, inclusi i pesci, la fauna selvatica e gli uomini». L'interferenza endocrina può, dunque, causare gravi danni per il ruolo chiave che gli ormoni giocano sugli organismi animali, con particolare preoccupazione per il loro potenziale ruolo in tutta l'endocrinologia ginecologica: policistosi ovarica, aumento della pubertà femminile precoce, obesità, diabete tipo II, endometriosi, tumori della mammella e dell'endometrio;
   l'esposizione della popolazione è tipicamente dovuta alla contaminazione della catena alimentare, all'inalazione di fumi domestici e ambientali o all'esposizione professionale;
   i distruttori endocrini chimici includono pesticidi e erbicidi, sostanze ignifughe contenute in molti tessuti come il tetrabromobisfenolo A, elasticizzanti della plastica come il bisfenolo A, o componenti della dieta come i fitoestrogeni. La diffusione di tali sostanze è angosciante se si pensa che il bisfenolo A si trova nelle plastiche policarbonate, resine epossidiche che rivestono le lattine per cibo e bevande, nell'inchiostro delle carte termiche e in altri oggetti di uso comune. Le diossine, i furani e i PCB (bifenili policlorurati) sono un gruppo di sostanze chimiche tossiche e persistenti che hanno effetti negativi sulla salute umana, provocando dermotossicità, immunotossicità, disturbi della funzionalità riproduttiva, teratogenicità, alterazioni del sistema endocrino ed effetti cancerogeni. Le diossine, in particolare, a causa della loro diffusa presenza nell'ambiente, persistenza e liposolubilità, tendono, nel tempo, ad essere immagazzinate negli organismi viventi, si accumulano cioè nei tessuti e negli organi dell'uomo e degli animali. Inoltre, salendo nella catena alimentare, la concentrazione di tali sostanze può aumentare (biomagnificazione), giungendo ad esporre a rischio maggiore il vertice di detta catena, cioè gli esseri umani;
   oltre che agire come interferenti endocrini, i distruttori endocrini chimici hanno effetti importanti sui processi di sviluppo cerebrale, influenzando la morfologia dei circuiti differenti nei due sessi, come i centri tonici e ciclici ipotalamici, il dimorfismo sessuale comportamentale come l'attrazione sessuale, l'aggressività e le altre caratteristiche diverse fra i sessi come l'organizzazione temporo-spaziale. Infine, possono intervenire anche nelle risposte tardive agli ormoni sessuali, come si può ipotizzare accada per l'endometriosi. Naturalmente l'esposizione è più pericolosa se avviene durante i periodi critici da un punto di vista ormonale, come quello intrauterino, quando piccole quantità, inferiori a quelle massime tollerate nell'adulto, determinano grandi effetti, o quello puberale;
   ci sono zone nel nostre Paese dove la popolazione vive inalando queste sostanze in maniera continuativa per tutto il giorno e per 365 giorni all'anno;
   si tratta, ma non solo, delle aree, in attesa di bonifica, individuate con la sigla sin (siti d'interesse nazionale) in tutto 57 (scesi a 39 solo grazie alla loro derubricazione da nazionale a regionali) che ricoprono il 3 per cento del territorio nazionale (circa 180.000 ettari di superficie) dove la forte concentrazione di inquinanti nell'ambiente provoca evidenti ed ormai scientificamente accertati danni alla salute umana;
   lo studio Sentieri, coordinato dall'Istituto superiore di sanità e conclusosi nel 2011, ha realizzato il profilo sanitario delle popolazioni residenti in 44 siti d'interesse nazionale: si va dall'eccesso di tumori della pleura nei siti d'interesse nazionale con l'amianto (Balangero, Casale Monferrato, Broni, Bari-Fibronit e Biancavilla) o dove l'amianto è uno degli inquinanti presenti (Pitelli, Massa Carrara, Priolo e Litorale Vesuviano), agli incrementi di mortalità per tumore o per malattie legate all'apparato respiratorio per le emissioni degli impianti petroliferi, petrolchimici, siderurgici e metallurgici (Gela, Porto Torres, Taranto e nel Sulcis in Sardegna). Sono state evidenziate malformazioni congenite (Massa Carrara, Falconara, Milazzo e Porto Torres) e patologie del sistema urinario per l'esposizione a metalli pesanti e composti alogenati (Piombino, Massa Carrara, Orbetello, nel basso bacino del fiume Chienti e nel Sulcis). Emergono anche gli eccessi di malattie neurologiche da esposizione a metalli pesanti e solventi organo alogenati (Trento nord, Grado e Marano e nel basso bacino del fiume Chienti), ma anche dei linfomi non Hodgkin da contaminazione da PCB (Brescia);
   in alcuni dei siti d'interesse nazionale fra quelli sopracitati, i livelli di inquinamento ambientale hanno assunto dopo il 2011 livelli di criticità – correlati ad indici di mortalità e di morbosità allarmanti – tali da richiedere un tempestivo aggiornamento dello studio Sentieri;
   è il caso del siti d'interesse nazionale di Taranto il cui decreto di perimetrazione elenca: raffineria, impianto siderurgico, area portuale e discariche di rifiuti solidi urbani con siti abusivi di rifiuti;
   nell'ottobre 2012 l'aggiornamento dello studio Sentieri «Ambiente e salute a Taranto: studi epidemiologici e indicazioni di sanità» parte dall'assunto che «nell'area di Taranto indagini ambientali ed epidemiologiche hanno documentato una compromissione dell'ambiente e dello stato di salute dei residenti. Sono stati osservati eccessi di mortalità, a livello comunale, per malattie dell'apparato respiratorio, cardiovascolare e per diverse sedi tumorali. Nella coorte dei residenti, nei quartieri più vicini alla zona industriale, anche al netto dei differenziali sociali, sono stati misurati eccessi della mortalità e delle ospedalizzazioni per malattie dell'apparato respiratorio, cardiovascolare e per tumori»; lo studio ha concluso che: «L'aggiornamento dei dati di mortalità del Progetto SENTIERI (2003- 2009), l'analisi dei trend temporali della mortalità (1980-2008) e l'analisi dell'incidenza oncologica hanno confermato un quadro sanitario compromesso per i residenti nel SIN di Taranto e, tra questi, in particolare per i bambini»;
   in questo quadro è ovvio come un ruolo importantissimo sia giocato dalla prevenzione, primaria e secondaria, la cui realizzazione deve necessariamente passare attraverso una puntuale analisi epidemiologica e prospettica, finalizzata alla tutela della salute e ad un più razionale impiego di risorse economico-finanziarie da parte delle istituzioni centrali e territoriali preposte;
   in questo quadro si colloca anche l'avvio – presso la Commissione permanente XII (Igiene e sanità) del Senato della Repubblica – dell'indagine conoscitiva «sugli effetti dell'inquinamento ambientale sull'incidenza dei tumori, delle malformazioni feto-neonatali ed epigenetica», autorizzata in data 10 giugno 2013 ed attualmente in corso;
   alla luce delle recenti evidenze medico-scientifiche la tutela della salute della donna e del bambino assume una rilevanza particolare, proprio in quelle zone dove il rischio ambientale ha assunto livelli drammatici;
   la regione Puglia, infatti, nell'ambito del piano straordinario salute ambiente per Taranto, allegato 1 alla deliberazione della giunta regionale 12 ottobre 2012, n. 1980, ha previsto una specifica linea di attività dedicata alla valutazione degli eventuali effetti nella popolazione infantile all'esposizione degli inquinanti ambientali, con particolare riferimento alle malformazioni congenite in quanto quest'ultime sono state ritenute responsabili di circa il 25 per cento della natimortalità e del 45 per cento della mortalità perinatale;
   con deliberazione della giunta regionale del 23 luglio 2013, n. 1409, sono stati disposti la costituzione e l'avvio dell'operatività del registro delle malformazioni congenite della regione Puglia, già previsto in verità dalla legge regionale 15 luglio 2011, n. 16;
   risulta agli interpellanti – tuttavia – che il registro delle malformazioni congenite della regione Puglia abbia avviato la sua operatività solo dal 1o gennaio 2015;
   ad oggi, nonostante il tempo trascorso, l'impegno e la liquidazione di 100 mila euro in favore dell'azienda ospedaliero-universitaria consorziale Policlinico di Bari a copertura delle spese per l'attivazione del centro di coordinamento (hub) con sede presso l'unità operativa complessa di neonatologia e terapia intensiva neonatale, la raccolta dei dati provenienti dai centri di rilevazione (spoke), attivati presso ciascun punto nascita e ciascun centro di interruzione di gravidanza, è assolutamente parziale e – secondo il referente medico del registro – solo a fine 2015 sarà possibile avere un dato preliminare ma non significativo dal momento che dovrà essere confrontato con quelli che saranno raccolti negli anni successivi;
   l'operatività del registro sembra avere scontato, sempre secondo le notizie giunte agli interpellanti, alcune lentezze burocratiche che avrebbero condotto all'individuazione – tramite procedura di selezione – del soggetto addetto alla rilevazione, codifica e archiviazione dei casi solo nel corrente mese di maggio 2015;
   sembra trovarsi in un'analoga situazione l'attuazione della legge regionale 8 ottobre 2014, n. 40, recante «Disposizioni per la tutela della salute della donna», la quale prevede in particolare, l'istituzione dell'osservatorio regionale sull'endometriosi e del registro regionale dell'endometriosi;
   ad oggi, nonostante siano ampiamente scaduti i termini di legge, dell'attivazione di questi due importanti strumenti per la prevenzione e la diagnosi precoce di questa patologia cronica ed invalidante che colpisce 3 milioni di donne in Italia, il 10-15 per cento delle donne in età riproduttiva, non se ne sa ancora nulla;
   solo a Taranto, secondo il dottor Emilio Stola, direttore della struttura complessa di ginecologia del S.S. Annunziata del capoluogo jonico, si riscontra una potenziale incidenza della malattia del 10 per cento: dunque, circa 15 mila donne tra i 15 e i 45 anni potrebbero verosimilmente essere affette da questa patologia, la cui incidenza sulla popolazione è – come già detto – altamente correlata all'esposizione della popolazione stessa a sostanze inquinanti;
   la citata legge regionale prevede, altresì, uno stanziamento per il 2014 di 50 mila euro finalizzato alla copertura delle spese per campagne informative e di sensibilizzazione in materia di endometriosi, mentre per l'anno 2015 non risultano individuate ulteriori e specifiche risorse finanziarie;
   pur essendo l'endometriosi una malattia diffusa essa è ancora poco conosciuta: basti pensare che una prima diagnosi arriva in media 7-8 anni dopo i primi segnali;
   occorre, dunque, potenziare la ricerca su questa patologia, anche al fine di migliorare la tempestività e la qualità delle cure;
   come ribadito anche in occasione del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, il Governo reputa fondamentale la tutela della salute femminile nelle diverse fasi della vita e, dunque, anche la tutela della salute del bambino;
   nonostante i ripetuti annunci non esiste ancora in Italia un registro nazionale dell'endometriosi, mentre per quanto riguarda le malformazioni congenite esso è stato individuato nel registro nazionale delle malattie rare –:
   se e quali tempestive iniziative intenda assumere al fine di tutelare il diritto alla salute, all'assistenza e alle cure costituzionalmente garantito, con particolare riguardo alla salute della donna e del bambino, attraverso la prevenzione e la diagnosi precoce in relazione alla cura delle patologie sopra descritte promuovendo – altresì – l'istituzione del registro nazionale dell'endometriosi e un'azione sinergica tra lo Stato e le regioni che si basi sull'effettiva attuazione dei registri regionali e il coordinamento della loro azione con quello nazionale, anche nell'ottica di un uso efficace delle risorse all'uopo stanziate.
(2-01007)
«Labriola, Pisicchio, Furnari».
(11 giugno 2015)

H)

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la scarsa trasparenza sui titoli derivati stipulati dal Tesoro italiano è un tema che, soprattutto nell'ultimo periodo, è stato più volte portato all'attenzione del Governo e del Ministro interrogato, al fine di ottenere risposte necessarie e soddisfacenti ad una questione così importante quale quella del debito pubblico italiano;
   i molteplici atti di sindacato ispettivo formulati nel corso del tempo, tesi ad ottenere i dati reali del fenomeno, non hanno destato alcun interesse nei riguardi dell'attuale compagine governativa e tanto più del Ministro proponente in materia; né tantomeno hanno avuto effetto le recenti richieste di accesso agli atti formulate dai parlamentari;
   paradossalmente, più si tenta di acquisire informazioni sui titoli derivati e meno ragguagli si riescono ad ottenere: all'ultima richiesta presentata dall'interpellante, nell'interrogazione a risposta immediata in Assemblea svoltasi il 1o aprile 2015, in merito alla necessità di rendere pubblici in versione integrale tutti i contratti derivati in essere dallo Stato italiano, il Ministro interpellato ha fornito una risposta totalmente insoddisfacente e, trascorsi quasi due mesi dalla richiesta di accesso agli atti formulata dall'interpellante e dai parlamentari di Forza Italia-il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente della Commissione bilancio della Camera dei deputati, il Ministero dell'economia e delle finanze non ha ancora fornito alcuna risposta ufficiale;
   il Ministro interpellato, nel dibattito in Assemblea del 1o aprile 2015, si è semplicemente limitato ad affermare che «con la documentazione pubblicata sul sito Internet del Ministero, compresa la tabella che aggrega i contratti esistenti, e gli interventi della dottoressa Cannata nell'audizione presso la Commissione finanze della Camera si è fornito un quadro esaustivo del portafoglio derivati in essere». Il Ministro interpellato ha poi proseguito affermando che «il livello di dettaglio richiesto appare non accoglibile, in quanto la divulgazione di tali contratti avrebbe riflessi pregiudizievoli sulle attività in derivati, poiché determinerebbe uno svantaggio competitivo dello Stato nei riguardi delle controparti e di altri emittenti sovrani che fanno uso di questi strumenti.»;
   l'affermazione per cui le informazioni sui titoli derivati sarebbero sotto secretazione poiché comporterebbero, se conosciute, uno svantaggio competitivo per il nostro Paese, sembra essere una semplice opinione del Ministro interpellato, considerato che non vi è nessuna norma a tutela di quanto affermato e che, al contrario, si tratta di contratti che lo Stato italiano contrae con istituzioni bancarie e che, dunque, non possono creare nocumento all'interesse del Paese;
   il Ministro interrogato, nel suo intervento, ha inoltre richiamato l'intervento della dottoressa Cannata, direttore generale del debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze, svoltosi nell'indagine conoscitiva in Commissione finanze della Camera dei deputati, sugli strumenti finanziari derivati, che non ha affatto contribuito a fare chiarezza sulla questione in esame poiché non sono state fornite tutte le informazioni riguardanti i contenuti dei contratti derivati dello Stato italiano ancora in essere, né tanto meno quelle relative alle controparti, agli importi e ai dati in merito ai tempi e alle clausole degli stessi;
   è stata, inoltre, predisposta un'ulteriore interpellanza urgente, con circa trenta domande su questioni puntuali in merito all'utilizzo dei titoli derivati, a cui il Viceministro Luigi Casero, chiamato a rispondere in rappresentanza del Ministro interpellato, non è stato in grado di offrire risposte precise;
   a seguito di un'analoga richiesta di accesso agli atti inviata dai deputati delle Commissioni bilancio e finanze della Camera dei deputati del Movimento 5 Stelle, la dottoressa Cannata, con provvedimento del 25 febbraio 2015, ha negato l'accesso alla documentazione relativa ai contratti aventi ad oggetto derivati stipulati dallo Stato italiano;
   nel diniego di accesso non sono state indicate le disposizioni di legge ritenute ostative all'accesso ai documenti richiesti, ma il Ministero dell'economia e delle finanze ha semplicemente obiettato che, ai sensi del decreto legislativo n. 33 del 2013, «non appare sussistere in capo al Ministero obbligo di ostensione dei documenti richiesti», sicché il provvedimento di diniego ad avviso dell'interpellante risulta assolutamente illegittimo in quanto carente di motivazione;
   è dunque evidente che è stato formulato un diniego di accesso esclusivamente su una volontà personale, e forse anche politica, considerato che non sussiste alcuna normativa che precluda l'accesso agli atti, ma, al contrario, possono soltanto rinvenirsi delle disposizioni positive che sanciscono il relativo obbligo;
   ne consegue che alla luce della normativa citata, il Ministro interpellato è obbligato a pubblicare i contratti dei derivati, nonché a renderli conoscibili a chiunque eserciti il diritto di accesso agli atti, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 2013;
   va inoltre rilevato che i richiedenti all'accesso agli atti sono deputati assegnati alle Commissioni parlamentari bilancio e finanze, sicché tale richiesta non deve intendersi come finalizzata ad un «controllo generalizzato dell'operato della pubblica amministrazione» e, come tale, vietato dall'articolo 24, comma 3, della legge n. 241 del 1990;
   a tal proposito la giurisprudenza ha, infatti, chiarito che «l'esercizio del diritto di accesso non è consentito per finalità di mero controllo della legalità dell'azione amministrativa, ma la sua istanza dev'essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all'istante da uno specifico nesso» (ex multis Consiglio di Stato, sezione V, 20 gennaio 2015, n. 166); è pertanto innegabile la presenza di un tale tipo di interesse in capo ai richiedenti, deputati della Repubblica, e, quindi, la piena legittimità della richiesta –:
   in quali tempi il Ministero dell'economia e delle finanze intenda pubblicare in versione integrale tutti i contratti derivati in essere dallo Stato italiano, in attuazione del principio di total disclosure su cui deve poggiare l'attività dell'amministrazione pubblica, ai sensi del decreto legislativo n. 150 del 2009, e, conseguentemente, aggiornare le informazioni già fornite dalla dottoressa Cannata e quanto presente nei siti istituzionali, e, in ogni caso, quando intenda convalidare l'accesso alla documentazione relativa ai contratti derivati, così come da richiesta formale trasmessa dai deputati del gruppo Forza Italia-il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente il 27 marzo 2015, nel rispetto della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo.
(2-00988) «Brunetta».
(3 giugno 2015)

I)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410 ha avviato un ingente processo di privatizzazione del patrimonio mediante la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare;
   in particolare, l'articolo 4 del decreto-legge n. 351 ha autorizzato il Ministero dell'economia e delle finanze a promuovere la costituzione di uno o più fondi d'investimento immobiliare, conferendo o trasferendo beni immobili ad uso diverso da quello residenziale dello Stato, dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e degli enti pubblici non territoriali, individuati con uno o più decreti del Ministero dell'economia e delle finanze;
   con il decreto ministeriale 9 giugno 2004 il Ministero dell'economia e delle finanze ha avviato la costituzione del fondo immobiliare al quale conferire gli immobili. Con successivo decreto ministeriale 15 dicembre 2004 il Ministero dell'economia e delle finanze ha individuato la disciplina afferente alla complessiva operazione di conferimento e trasferimento al fondo degli immobili pubblici;
   il 16 dicembre 2004 la Banca d'Italia ha approvato il regolamento del fondo denominato «FIP – fondo immobili pubblici – fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso». Altresì, le banche e gli istituti finanziari selezionati ai sensi del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 9 giugno 2004 hanno individuato quale gestore del fondo la società Investire immobiliare SGR spa;
   il processo di privatizzazione e cartolarizzazione degli immobili pubblici ha riguardato ben 396 edifici, ovverosia il 15 per cento del patrimonio immobiliare pubblico, ed ha garantito maggiori entrate erariali per soli 3 miliardi di euro, a fronte di un debito pubblico pari a circa 2.200 miliardi di euro;
   da fonti stampa si apprende che le operazioni di privatizzazione e cartolarizzazione prevedevano anche un impegno dello Stato italiano a contrarre, per almeno 18 anni, un canone di locazione con gli stessi immobili oggetto delle medesime operazioni. Il valore complessivo dei canoni di locazione contratti sembrerebbe essere pari a circa 300 milioni di euro annui. In appena 10 anni lo Stato italiano ha pagato circa 3 miliardi di euro in contratti di locazione «perdendo» in tal modo sia le maggiori entrate erariali conseguite all'atto del processo di privatizzazione, sia gli immobili pubblici e per il futuro dovrà erogare 300 milioni di euro fino alla scadenza contrattuale delle locazioni degli immobili – ex – pubblici. La Corte dei conti ha definito gli importi dei canoni di locazione «(...) significativamente superiori ai normali valori di mercato (...)»;
   con decreto ministeriale 23 dicembre 2004 l'immobile pubblico sito in Napoli, via De Gasperi n. 16 (Codice NABO73001), il cui valore è pari a circa 8 milioni di euro, è stato trasferito al Fondo immobili pubblici. Lo stesso immobile è stato concesso in locazione all'Agenzia del demanio – al fine di assegnare il medesimo ai precedenti utilizzatori – con un contratto di 1 milione di euro circa. La durata del contratto di locazione era pari a 9 anni con la possibilità di rinnovo per ulteriori 9 anni. A parere degli interpellanti l'importo della locazione sembra eccessivo rispetto al valore complessivo dell'immobile stesso e per tal motivo i medesimi interpellanti non possono che condividere pienamente le osservazioni della Corte dei conti sul valore delle locazioni di gran lunga superiore rispetto ai normali valori di mercato;
   in data 14 maggio 2015 la dirigenza regionale dell'Agenzia delle entrate, anche per il tramite di dirigenti dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale con sentenza n. 37 del 2015, convoca le organizzazioni e rappresentanze sindacali al fine di comunicare loro l'imminente scadenza del contratto di locazione relativa all'immobile pubblico sito in Napoli, in via De Gasperi n. 16, codice NABO73001) e la necessità di trasferire gli uffici ivi ubicati presso le sedi di via Diaz e via Montedonzelli, senza tener minimamente in considerazione delle difficoltà logistiche degli utenti in particolar modo relativamente agli uffici trasferiti in via Montedonzelli;
   si intende altresì precisare che la direzione regionale della Campania (Direttore Angelillis) in passato ha pubblicato – con protocollo n. 2014/41886 del 21 luglio 2014 – un avviso di indagine di mercato immobiliare teso alla ricerca di uno stabile da destinare ad uso dell'ufficio provinciale di Napoli-Territorio e, contestualmente, l'Agenzia del demanio ha provveduto a provveduto a recedere dal contratto di locazione con il Fondo immobili pubblici con decorrenza 31 dicembre 2014. Con successiva nota, la stessa direzione regionale della Campania (direttore Palumbo) disponeva – con protocollo n. 2015/8433 del 13 febbraio 2015 – la revoca in autotutela dell'avviso di indagine del 21 luglio 2014 che, in considerazione del recesso dal contratto di locazione, causava l'urgente necessità di individuare un'ubicazione per i 185 dipendenti dell'Up Napoli-Territorio originariamente collocati presso la sede di via De Gasperi;
   le organizzazioni sindacali dei dipendenti di via De Gasperi hanno richiesto di essere convocati al fine di ricevere maggiori informazioni sugli accadimenti descritti, ma la direzione regionale non ha provveduto a soddisfare siffatte richieste;
   con la recente sentenza 17 marzo 2015, n. 37, la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 8, comma 24, del decreto-legge n. 16 del 2012, nonché l'incostituzionalità dell'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, e dell'articolo 1, comune 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (cosiddetto decreto mille proroghe 2015), con le quali è stata prorogata la vigenza del citato articolo 8;
   la disposizione censurata, oltre ad autorizzare le Agenzie delle entrate, del territorio e delle dogane ad espletare procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti (da completarsi entro il 31 dicembre 2013), consentiva, da un lato, di fare salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati alle dette agenzie a propri funzionari; dall'altro, nelle more dell'espletamento delle procedure concorsuali, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari (con lo stesso trattamento economico dei dirigenti), mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato che consentiva alle Agenzie delle entrate di coprire, in attesa dei concorsi, le posizioni dirigenziali con il ricorso a contratti individuali di lavoro a termine stipulati con funzionari interni;
   secondo la Corte costituzionale con tale disposizione è stato eluso il principio secondo cui nel pubblico impiego anche le funzioni di dirigente si acquistano con il concorso pubblico ed anche nell'ipotesi in cui gli incarichi vadano al personale interno. In pratica, consentendo l'attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, l'articolo 8, comma 24, del decreto-legge n. 16 del 2012 ha aggirato la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso, attribuendo la possibilità a funzionari privi della relativa qualifica di accedere ad un «ruolo» diverso nell'ambito della propria amministrazione. L'elusione della regola del pubblico concorso avrebbe così determinato un vulnus ai principi del buon andamento e dell'imparzialità dell'azione amministrativa, in violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in un'amministrazione competente, imparziale ed efficiente;
   in seguito alla richiamata sentenza della Corte costituzionale si dubita della legittimità e legalità degli atti posti in essere dai dirigenti dichiarati illegittimi e non si comprendono le ragioni in base alle quali i richiamati dirigenti, la cui nomina è stata ritenuta illegittima continuino ad esplicare funzioni dirigenziali. Si informa, che gli interpellanti risultano essere in possesso di documenti che dimostrano che alcuni dei richiamati dirigenti regionali dell'Agenzia delle entrate dichiarati illegittimi abbiano continuato a porre in essere atti non di loro competenza in quanto afferenti alle funzioni dirigenziali –:
   quali siano le ragioni per le quali l'edificio di via De Gasperi, n. 16 (sede storica del catasto di Napoli) sia stato inserito tra i 396 immobili da trasferire al Fondo immobili pubblici;
   sulla base delle considerazioni fatte in premessa, quali vantaggi abbia effettivamente conseguito lo Stato dall'operazione di privatizzazione e cartolarizzazione per il tramite del Fondo immobili pubblici, ed in particolare quali siano stati i vantaggi conseguiti per l'immobile di via De Gasperi, n. 16;
   se il valore dell'immobile sito in via De Gasperi, n. 16 (sede storica del catasto di Napoli) sia realmente pari a circa 8 milioni di euro e quali siano le ragioni per le quali si è proceduto alla vendita per tale importo;
   se il canone di locazione dell'immobile sito in via De Gasperi, n. 16 (sede storica del catasto di Napoli), pari a circa 1 milione di euro, non sia eccessivo rispetto al valore di vendita del medesimo immobile e quali siano state le ragioni per le quali si è proceduto alla locazione dell'immobile ad un importo di 1 milione di euro;
   per quali motivi il contratto tra Agenzia del demanio e Fondo immobili pubblici sia stato oggetto di recesso a decorrere dal 31 dicembre 2014 e per quali motivi sia stata prima avviata e successivamente annullata la ricerca di un immobile da destinare precisamente al catasto di Napoli;
   se prima dell'individuazione delle nuove sedi dell'Agenzia delle entrate sia stata effettuata una valutazione per la corretta fruibilità dei servizi da parte dei cittadini e quali siano le ragioni in base alle quali la sede decentrata di via Montedonzelli, sita in un quartiere connotato da gravi difficoltà di trasporto pubblico e di accessibilità al traffico veicolare, possa essere designata quale struttura per espletare servizi ai cittadini che provengono da 92 comuni della provincia di Napoli;
   quali siano le ragioni in base alle quali si è provveduto alla locazione della sede di via Montedonzelli per il trasferimento di 40 dipendenti, nonostante abbia una capienza notevolmente superiore, di fatto sottoutilizzata per diversi anni;
   quali siano le iniziative assunte dall'amministrazione pubblica per la ricerca degli immobili citati in premessa e, in particolare, se siano state bandite procedure ad evidenza pubblica e quale esito abbiano avuto;
   come mai dal 2011 al maggio 2015 non solo non si sia mai provveduto a trovare una soluzione economicamente favorevole come quella di accorpare tutto il personale presso la sede storica di via Diaz (come previsto nel piano dell'Agenzia delle entrate), tra l'altro anch'essa venduta e locata all'amministrazione pubblica, ma si convochino i rappresentanti dei lavoratori a 40 giorni del trasferimento per chiedere una improbabile condivisione delle scelte;
   per quali motivi la municipalità non sia stata ancora informata del trasferimento degli uffici in via Montedonzelli;
   se trovi conferma che alcuni ex-dirigenti dell'Up di Napoli di nomina illegittima secondo la sentenza n. 37 del 2015 della Corte Costituzionale continuino ad occupare gli stessi uffici dirigenziali che occupavano da dirigenti e ad esplicare funzioni in carenza di legittimazione formale;
   se intenda verificare, sulla base dei fatti sopra descritti, e per quanto di competenza, eventuali profili di illegittimità e responsabilità, con particolare riguardo al rispetto da parte dei vertici dell'Agenzia delle entrate dei princìpi del diritto e delle leggi dello Stato nella gestione complessiva dell'amministrazione fiscale, a partire dalla questione delle deleghe ai dirigenti che, in più casi, risulterebbero – a quanto consta agli interpellanti – gli stessi soggetti la cui nomina è stata ritenuta illegittima da parte della Corte costituzionale, soggetti che per essere delegati dovrebbero comunque possedere i requisiti previsti dalla normativa vigente;
   se non ritenga di effettuare anche a livello nazionale un controllo della gestione degli immobili e della legalità all'interno delle agenzie fiscali, come già richiesto in un'altra interrogazione (n. 4-04640 a prima firma Villarosa), relativa all'Agenzia delle entrate nel comune di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) che occupa da più di 13 anni un edificio non dotato di agibilità e senza regolare contratto d'affitto;
   cosa intenda fare per garantire adeguata sicurezza lavorativa ai lavoratori che regolarmente denunciano tali scelte antieconomiche.
(2-01009)
«Pesco, Alberti, Ruocco, Fico, Pisano, Villarosa, Agostinelli, Basilio, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Businarolo, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Dall'Osso, Di Benedetto, D'Uva, Ferraresi, Frusone, Luigi Gallo, Lombardi, Marzana, Rizzo, Sarti, Tofalo, Tripiedi, Vacca, Simone Valente».
(16 giugno 2015)

L)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   un'inchiesta della Guardia di finanza durata quattro anni, investigando sui capitali accumulati dalla comunità cinese in Italia, avrebbe scoperto che un totale di ben 4,5 miliardi di euro, frutto per lo più di attività come contraffazione, prostituzione, sfruttamento del lavoro ed evasione fiscale, sarebbe stato inviato in Cina con un servizio di money transfer, evitando il pagamento di qualunque imposta, secondo quanto rivelato dall'agenzia americana Associated Press e riportato da fonti di stampa;
   secondo la documentazione degli investigatori, quasi la metà della somma sarebbe arrivata in Cina passando per uno dei più grandi istituti finanziari del Paese, la Bank of China, la quale avrebbe incassato in questo modo l'equivalente di 758 mila euro in commissioni sui trasferimenti;
   Associated Press farebbe risalire parte del denaro «scomparso» dalle tasse italiane a una società a controllo statale, la Wenzhou cereals oils and foodstuffs foreign trade corporation, già finita sotto accusa in passato per la svendita di prodotti contraffatti negli Stati Uniti;
   il coordinatore delle indagini, Pietro Suchan, già sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze, avrebbe dichiarato ad Associated Press che fin qui sarebbe emerso solo «il 50 per cento della verità» perché non sarebbe stato possibile stringere un contatto con le autorità giudiziarie cinesi; anche altre fonti, sempre citate dall'agenzia americana, sostengono che «Pechino non sta collaborando» con gli investigatori –:
   se il Governo sia informato dei fatti esposti in premessa e come intenda intervenire, per quanto di competenza, per interrompere il perpetrarsi di questa massiccia evasione fiscale da parte di cinesi presenti sul territorio italiano, che si traduce in una grave perdita economica per il nostro Paese, ancor più grave in un momento di crisi come quello che l'Italia si trova ad attraversare;
   se il Governo non intenda comunicare a quanto ammonterebbe la perdita economica per il nostro Paese a fine 2014, secondo le stime più aggiornate a sua disposizione, causata dell'evasione fiscale dei capitali accumulati dalla comunità cinese in Italia;
   se il Governo non consideri necessario intervenire per cercare di aprire un dialogo più proficuo con le autorità cinesi competenti, al fine di ricevere collaborazione nelle indagini ma anche di ottenere un eventuale rimborso delle risorse sottratte al fisco italiano;
   se il Governo non intenda, altresì, attivarsi per interrompere quelli che sono stati individuati essere traffici illeciti, legati a pratiche di contraffazione di marchi, prostituzione, sfruttamento del lavoro, anche promuovendo un'efficace campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sugli effetti negativi della contraffazione, visto che il punto di forza di questo fenomeno è, naturalmente, la domanda dei beni prodotti, e, a questo proposito, se il Governo non intenda chiarire a che punto sarebbero le azioni rivolte al pubblico, progettate e avviate dalla Guardia di finanza, con il coinvolgimento dei principali soggetti (pubblici e privati) interessati al fenomeno (Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, associazioni dei consumatori e delle imprese, Unione delle camere di commercio, e altri) come riportato sul sito del Ministero della giustizia.
(2-01010)
«Sorial, Castelli, Brugnerotto, Cariello, Colonnese, D'Incà».
(16 giugno 2015)