TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 439 di Mercoledì 10 giugno 2015

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI TRASCRIZIONE DEI MATRIMONI CONTRATTI ALL'ESTERO TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO

   La Camera,
   premesso che:
    la stampa, in data 20 gennaio 2015, ha dato notizia che la procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo contro ignoti a seguito della presentazione di un esposto sulla vicenda delle trascrizioni nella città di Milano dei matrimoni contratti all'estero da persone dello stesso sesso;
    nel mese di ottobre 2014, il Ministro dell'interno adottava la circolare n. 40o/ba-030/011/DAIT con la quale chiedeva ai prefetti di invitare i sindaci a cancellare le trascrizioni effettuate e, in caso di non ottemperanza all'invito, di procedere essi stessi a cancellarle d'ufficio «ai sensi del combinato disposto dell'articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990 e dell'articolo 54, commi 3 e 11, del decreto legislativo n. 267 del 2001»;
    la vicenda dell'intervento del prefetto in via sostitutiva è stata esaminata dalla procura della Repubblica di Udine, a seguito di un esposto che chiedeva di valutare se la cancellazione della trascrizione da parte del prefetto della provincia integrasse ipotesi di reato;
    la procura della Repubblica di Udine, pur non rilevando ipotesi di reato, precisava che la cancellazione di un matrimonio trascritto non può essere disposta da un'autorità amministrativa – che sia il Ministro, il prefetto o lo stesso sindaco – ma solo dall'autorità giudiziaria, alla quale la legge affida la relativa competenza, in base all'articolo 95 del regolamento di stato civile (decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000);
    rispondendo all'interpellanza urgente n. 2-00794, il Governo ha affermato di non voler tenere in considerazione le motivazioni espresse dalla procura della Repubblica di Udine e ha ribadito che i prefetti avrebbero il potere di cancellare le trascrizioni, in virtù del fatto che le funzioni di stato civile sono attribuite dallo Stato e sono esercitate solo in via indiretta e subordinata dal sindaco nell'ambito del comune;
    il Governo ritiene, dunque, che il potere di annullamento da parte del prefetto sia una tipica manifestazione di una sovraordinazione gerarchica e concreta un rimedio di ordine amministrativo; a tal proposito, ha fatto riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 3076 del 2008, relativa a provvedimenti sindacali in materia di sicurezza urbana, che il Governo definisce «analoghe fattispecie»;
    tuttavia, non può non esser rilevato che tale conclusione non appare ai firmatari del presente atto di indirizzo corretta, dal momento che non si tratta affatto di «analoghe fattispecie»: il caso citato dal Governo, infatti, riguarda ordinanze aventi natura provvedimentale, mentre le trascrizioni sono evidentemente atti dichiarativi per i quali la legge prevede esclusivamente il ricorso giurisdizionale di cui all'articolo 95 del regolamento di stato civile;
    a rafforzare tale certezza vi è l'articolo 12, comma 6, del regolamento di stato civile, il quale recita: «Gli atti dello stato civile sono chiusi con la firma dell'ufficiale dello stato civile competente. Successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazioni». Non avrebbe rilievo, quindi, il profilo della subordinazione o meno del sindaco quale ufficiale di stato civile, essendo chiaro il dettato legislativo;
    inoltre, l'articolo 100 del regolamento dispone: «I tribunali della Repubblica sono competenti a disporre le rettificazioni e le correzioni di cui ai precedenti articoli anche per gli atti dello stato civile ricevuti da autorità straniere, trascritti in Italia ed a provvedere per la cancellazione di quelli indebitamente trascritti (...)»;
    è paradossale, peraltro, che venga ignorato il corretto dato normativo, in quanto nel massimario per l'ufficiale di stato civile del Ministero dell'interno, adottato con decreto ministeriale nel 2012, compare al paragrafo 15.1.1 (pagina 166): «cancellazione di un atto. Quando si voglia procedere alla “cancellazione di un atto indebitamente registrato” negli archivi dello stato civile, considerato che non può esserne effettuata la materiale cancellazione, la legge prescrive che si faccia ricorso a iniziativa del pubblico ministero (eventualmente su segnalazione dello stesso ufficiale di stato civile) alla procedura di rettificazione di cui agli articoli 95 e 96 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, rimettendo la competenza a decidere esclusivamente all'autorità giudiziaria. Il relativo decreto deve essere opportunamente annotato sui registri dello stato civile»;
    l'articolo 69, comma 1, lettere e) ed i), del regolamento, inoltre, indica tra gli atti di cui è possibile fare annotazione nel registro degli atti di matrimonio solo le «sentenze con le quali si pronuncia l'annullamento della trascrizione dell'atto di matrimonio» ed i «provvedimenti di rettificazione», ma non altri atti (come le circolari ministeriali o i decreti prefettizi) con il medesimo effetto;
    a fugare ulteriormente ogni dubbio soccorre il decreto ministeriale del 5 aprile 2002 (recante «Approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile»), il quale, nel prescrivere le formule tassative di annotazione (tali secondo gli articoli 11, comma 3, e 12, comma 1, del regolamento di stato civile), così recita all'allegato A con la formula n. 190, unica dedicata alla rettificazione: «Annotazione di provvedimento di rettificazione (articoli 49, 69 e 81 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396). Con provvedimento del Tribunale di ... n. ... in data ... l'atto di cui sopra è stato così rettificato: (inserire specificamente le rettificazioni così come sono state disposte)...». Non compare cioè in alcun modo un potere costituito in capo al Ministro, al prefetto o a qualsiasi altro ufficiale di stato civile di intervenire sopra i registri, manomettendone così l'autenticità;
    è evidente, dunque, che la circolare del Ministro dell'interno, prima, e l'intervento dei prefetti, poi, a Milano come in altri comuni, non appaiono corretti sotto il profilo giuridico, perché violano la legge e vanno a ledere prerogative e compiti propri della procura della Repubblica ex articolo 75 dell'ordinamento giudiziario;
    rispondendo all'interpellanza urgente sopra citata, il Governo ha anche concluso di non rinvenire i presupposti per il ritiro della circolare n. 40o/ba030/011/DAIT del 7 ottobre 2004. Tuttavia, alla luce degli inconfutabili elementi di diritto evidenziati, la circolare appare ai firmatari del presente atto di indirizzo del tutto illegittima e, dunque, lo è anche continuare a mantenerla in vigore;
    con tale circolare, infatti, viene integrata una grave violazione della Costituzione (competenze dell'ordinamento giudiziario), nonché della legge (ordinamento di stato civile) in sede di applicazione di norme con riferimento alle sole persone omosessuali;
    i sindaci hanno applicato in maniera corretta, dunque, il regolamento di stato civile, che prevede la trascrizione come atto di pubblicità e certificazione e non come atto costitutivo;
    appare, altresì, assolutamente lecita la condotta dei sindaci che, nel rispetto della legge, non si sono attenuti alla circolare ministeriale n. 40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, in quanto, come insegna la costante giurisprudenza, l'interpretazione delle disposizioni contenute nelle circolari non vincola né i sindaci né i giudici e, cosa più importante, non costituisce fonte del diritto (per tutte: Corte di Cassazione, sentenza n. 5137 del 2014; Consiglio di Stato, sentenza n. 5506 del 2000),

impegna il Governo

a ritirare con urgenza la circolare ministeriale n. 40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, emanata dal Ministro dell'interno.
(1-00719)
«Scotto, Quaranta, Costantino, Fratoianni, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».
(21 gennaio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    a seguito della pronuncia del tribunale di Grosseto, che ha disposto la trascrizione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all'estero, alcuni sindaci, insieme ad alcuni funzionari comunali, si sono interrogati sui presupposti giuridici e sull'effettiva legittimità di effettuare quella trascrizione;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo esistono ragioni in diritto che consentono di ritenere legittima e dovuta la trascrizione di tali matrimoni da parte del sindaco;
    a tal fine, è necessario inquadrare l'istituto della trascrizione del matrimonio nel nostro sistema e prendere in considerazione quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 4184 del 2012;
    appare necessario chiarire la reale portata del decreto del tribunale di Grosseto, che ha disposto la trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto nello Stato di New York. Fino alla sentenza della Cassazione n. 4184 del 2012, gli ostacoli alla trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso erano prevalentemente due:
   a) la sua inesistenza;
   b) la sua contrarietà all'ordine pubblico;
    quanto alla questione dell'inesistenza del matrimonio tra persone dello stesso sesso, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in base al disposto dell'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza) e dell'articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretato dalla Corte europea dei diritti umani, nella nozione di matrimonio rientra anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso;
    il «presupposto naturalistico della fattispecie», ossia la diversità di sesso dei nubendi, non è più necessario per configurare l'esistenza giuridica del matrimonio. Quanto alla contrarietà all'ordine pubblico del matrimonio tra persone dello stesso sesso – rilevante sia in base all'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, «Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile», sia in base all'articolo 65 della legge n. 218 del 1995, in materia di diritto internazionale privato – essa va esclusa. In base alla sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012 «l'intrascrivibilità di tale atto [matrimonio tra persone dello stesso sesso] dipende non già dalla sua contrarietà all'ordine pubblico» (par. 2.2.3. motivazione in diritto), bensì dalla possibilità di riconoscere gli effetti di questo atto di matrimonio all'interno del nostro Paese;
    secondo la Corte di Cassazione – lo si ribadisce – è invece possibile riconoscere l'esistenza e la validità di tali matrimoni, in quanto la nozione di matrimonio alla luce di ben due Carte sovranazionali, quali sono la Carta di Nizza e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che fanno pienamente parte dell'ordinamento giuridico italiano, si è modificata fino a comprendere anche quello tra persone dello stesso sesso;
    la trascrivibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero si deve valutare alla luce dell'ordine pubblico internazionale. Come posto in rilievo dalla Corte di Cassazione, nella sentenza 26 aprile 2013, n. 10070 (nel richiamare anche la Corte di Cassazione, nelle sentenze 6 dicembre 2002, 17349, e 23 febbraio 2006, n. 4040), il concetto di ordine pubblico a fini internazionalprivatistici si identifica con quello indicato con l'espressione «ordine pubblico internazionale», da intendersi «come complesso di principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo» (Corte di Cassazione, sentenza n. 19405 del 2013). In base a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza, si può affermare che l'ordine pubblico internazionale non è la proiezione esterna dei principi generali dell'ordinamento italiano desumibili dalle norme vigenti nel nostro Paese e dalla Costituzione, bensì la sintesi dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento giuridico italiano, che è inserito in «un sistema plurale» di fonti rispetto al quale «non si può ignorare la sinergia che proviene dall'interazione delle fonti sovranazionali con quelle nazionali», segnatamente la Carta di Nizza e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, parti integranti dell'ordinamento ai sensi degli articolo 10, 11 e 117 della Costituzione (Corte di Cassazione, sentenza n. 19405 del 2013);
    la nozione di matrimonio che i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono conforme a diritto nell'ordinamento giuridico italiano – secondo quanto affermato in conclusione dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 4184 del 2012 – comprende anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso, in sintonia con quanto previsto dalla Carta di Nizza e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo; non è più possibile ritenere contrario all'ordine pubblico internazionale italiano il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero di cui si chieda la trascrizione in Italia;
    l'unico ostacolo alla trascrizione è l'inidoneità del matrimonio tra persone dello stesso sesso a produrre effetti nell'ordinamento italiano. In altri termini, secondo la Corte di Cassazione, pur essendo esistente e valido, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non produrrebbe effetti in Italia. Tale aspetto della sentenza della Corte di Cassazione è stato superato dal tribunale di Grosseto, facendo notare come il matrimonio tra persone dello stesso sesso non sia privo di efficacia, perché produce effetti nell'ordinamento in cui è stato celebrato. Aggiunge poi – il tribunale di Grosseto – che la diversità di sesso non è requisito espressamente previsto per contrarre matrimonio nel codice civile;
    non vi è coincidenza tra la pronuncia della Corte di Cassazione e quella del tribunale di Grosseto: in base alla prima decisione gli effetti del matrimonio si devono produrre nel nostro Paese, mentre per il tribunale sembrerebbe bastare la produzione di effetti nel Paese in cui il matrimonio è stato celebrato. Di seguito, si cercherà di dimostrare come il matrimonio tra persone dello stesso sesso sia produttivo di effetti anche nel nostro Paese e che la trascrizione del matrimonio – una volta chiarita la sua funzione certificativa – è strumento necessario ai coniugi per consentire loro di far valere lo status coniugale in tutti i Paesi in cui è previsto il matrimonio tra persone dello stesso sesso;
    secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di trascrivibilità in Italia di matrimonio celebrato all'estero, ciò che è preminente è la constatazione della validità del matrimonio da trascrivere in base al principio locus regit actum, dal momento che: le norme di diritto internazionale privato (...) attribuiscono ai matrimoni celebrati all'estero tra cittadini italiani ovvero tra italiani e stranieri immediata validità e rilevanza nel nostro ordinamento, sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera – e quindi spieghino effetti civili nell'ordinamento interno dello Stato straniero (Corte di Cassazione, sezione civile, sentenza n. 10351 del 1998);
    a questo primo requisito se ne aggiunge un secondo, ossia la sussistenza dei requisiti per contrarre matrimonio ai sensi dell'articolo 115 del codice civile. Secondo il tribunale di Grosseto, tra i requisiti previsti espressamente dal codice civile per celebrare matrimonio non vi è la differenza di sesso tra i nubendi. L'assenza di un tale riferimento nel passato veniva intesa come un vuoto normativo dovuto alla «tradizionale» necessità della differenza di sesso tra i nubendi. In tal senso, si è espressa la Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 2010, pur non escludendo la possibilità che legislativamente venga superato il tratto caratterizzante del matrimonio consistente nella differenza di sesso tra i nubendi, ricavabile da un'interpretazione sistematica del codice civile;
    secondo la Corte costituzionale, il requisito della differenza di sesso, a suo avviso necessario per la validità del matrimonio, si desumerebbe da un'interpretazione sistematica delle norme codicistiche in materia matrimoniale. Tale interpretazione della Corte costituzionale, peraltro espressa in una sentenza di rigetto e quindi vincolante soltanto nel giudizio a quo, va ora riconsiderata alla luce delle precisazioni contenute nella sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012;
    la nozione di matrimonio va riconsiderata seguendo le indicazioni della Carta di Nizza e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretata dalla Corte di Strasburgo. Pertanto, mentre in passato la differenza di sesso era considerata condizione necessaria per il cittadino italiano al fine di contrarre validamente matrimonio, al contrario oggi – pur nel silenzio del codice civile – la differenza di sesso è irrilevante per l'enucleazione di una nozione di matrimonio nel nostro Paese;
    nel caso di matrimonio tra due persone dello stesso sesso celebrato all'estero nei Paesi in cui è possibile, l'atto matrimoniale è valido tanto all'estero tanto in Italia, poiché la differenza di sesso non va più considerata una condizione necessaria per contrarre matrimonio ai sensi dell'articolo 115 del codice civile. In definitiva, rispettate le forme del Paese di celebrazione e constatata la validità del matrimonio tra persone dello stesso sesso, occorre trascrivere tale matrimonio;
    più volte la Corte di Cassazione ha dichiarato trascrivibili i matrimoni tra persone di sesso diverso celebrati all'estero anche quando potevano essere considerati nulli o annullabili o semplicemente inefficaci, poiché la trascrizione – per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione – «non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido», dal momento che essa è «diretta unicamente a rendere pubblico che il cittadino ha contratto all'estero un matrimonio ritenuto valido dall'ordinamento locale»;
    in base alla sentenza n. 4184 del 2012, per il matrimonio tra persone dello stesso sesso sembra doversi operare un'eccezione all'interpretazione corrente delle norme in materia di trascrizione: un matrimonio siffatto non sarebbe trascrivibile in quanto inidoneo radicalmente a produrre effetti nel nostro Paese. Si vedrà come questa affermazione sia smentita dai fatti e dall'iscrizione dell'ordinamento italiano nel sistema del diritto europeo;
    con riferimento all'idoneità del matrimonio a produrre effetti in Italia, nell'Unione europea e in Paesi extra Unione europea, il matrimonio tra persone dello stesso sesso produce effetti nell'ordinamento italiano tutte le volte in cui occorra far applicazione di norme di fonte europea, nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 9 della Carta di Nizza. È quanto ha precisato il tribunale di Reggio Emilia, con decreto del 13 febbraio 2012, in un caso di ricongiungimento familiare tra un cittadino italiano e un cittadino non comunitario coniugati all'estero. A seguito di quella pronuncia il Ministero dell'interno ha emanato una circolare diretta a tutte le questure italiane in forza della quale ormai sono decine le coppie formate da persone dello stesso sesso, di cui una cittadina non comunitaria, che hanno ottenuto il ricongiungimento familiare. Dunque, non è vero che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non produca effetti nell'ordinamento italiano. Produce effetti nell'ordinamento italiano tutte le volte in cui lo status coniugale sia il presupposto per l'applicazione in Italia di norme di fonte europea, per le quali la differenza di sesso tra i coniugi non è più un requisito per la validità e l'efficacia del matrimonio stesso ai sensi dell'articolo 9 della Carta di Nizza;
    dal punto di vista del diritto europeo e del diritto internazionale privato italiano, sono diverse le ragioni per la quali occorre disporre la trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso produce effetti quando uno dei due coniugi non è un cittadino comunitario, poiché consente l'ottenimento del ricongiungimento familiare, facendo applicazione in Italia di norme di origine europea. Seguendo la logica della Corte di Cassazione, un tale matrimonio è sicuramente trascrivibile. Ma se è così, non trascrivere il matrimonio quando i coniugi siano entrambi cittadini italiani, comporterebbe a loro carico una discriminazione fondata (non sull'orientamento sessuale, bensì) sulla cittadinanza: si riserverebbe ai cittadini italiani un trattamento peggiore rispetto a cittadini di Paesi non comunitari. Quindi, data la sicura trascrivibilità del matrimonio tra un cittadino italiano e un cittadino non comunitario, a mente della sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012, occorre trascrivere anche un matrimonio tra due italiani o tra due cittadini europei o tra un italiano e un cittadino europeo, onde evitare una discriminazione fondata sulla cittadinanza;
    nel far applicazione del diritto europeo, quando il presupposto della norma è la sussistenza dello stato coniugale, non sarà rilevante la differenza di sesso dei nubendi, pena la violazione dell'articolo 9 della Carta di Nizza. Pertanto, quando si tratterà di dare effetti in Italia a norme di origine europea, il matrimonio tra persone dello stesso sesso avrà efficacia nel nostro Paese;
    poiché lo stato coniugale è possibile provarlo solo servendosi dell'atto di matrimonio iscritto (o trascritto come nel caso che si va analizzando) nel registro dei matrimoni dall'ufficiale dello stato civile, eccetto i casi di distruzione o smarrimento, trascrivere il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero significa dare la possibilità di provare l'esistenza dello status coniugale e godere di tutti i benefici e le tutele derivanti dall'applicazione in Italia di norme europee;
    tenendo conto della funzione certificativa della trascrizione, occorre considerare che il diritto di libera circolazione delle persone nell'Unione europea comporta anche il diritto di circolare con il proprio status, nel nostro caso coniugale. Non si può trascurare di considerare, infatti, che cittadini italiani dello stesso sesso che hanno contratto matrimonio all'estero potrebbero circolare in quei Paesi europei in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è valido ed efficace. In tali casi, sarà necessario per loro dare la prova del loro status e la certificazione che la trascrizione garantisce sarà un presupposto necessario per poter godere pienamente del loro diritto di libera circolazione in quanto cittadini europei;
    non si può trascurare come in moltissime relazioni giuridiche lo status coniugale, acquisito da due cittadini italiani dello stesso sesso in un Paese dove ciò è possibile, può essere rilevante. Si pensi al caso di altro cittadino di uno Stato estero in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è possibile e che viva in Italia, il quale voglia accertarsi se può o meno contrarre matrimonio con uno dei due coniugi, qualora sia vietato nel suo Paese di origine (o, al pari dell'ordinamento italiano, addirittura sanzionato penalmente) il contrarre matrimonio con una persona già coniugata. Oppure, si pensi al caso di un creditore straniero che voglia accertare, procedendo a esecuzione in Italia, il regime patrimoniale dei due coniugi dello stesso sesso. In tutti questi casi le risultanze dello stato civile sono essenziali a garantire in un mondo globalizzato la certezza delle relazioni giuridiche;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo la trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso che sono cittadini italiani appare possibile in quanto tale matrimonio non è da considerare in contrasto con l'ordine pubblico internazionale, alla luce del sistema plurale delle fonti che caratterizza l'ordinamento italiano. Inoltre, la stessa trascrizione appare necessaria al fine di:
   a) evitare una discriminazione fondata sulla cittadinanza ai danni dei coniugi dello stesso sesso, che siano cittadini italiani, in quanto il matrimonio tra persone dello stesso sesso di cui uno cittadino non comunitario è certamente trascrivibile in quanto esistente, valido, non contrario all'ordine pubblico e efficace nel nostro Paese, dal momento che il cittadino non comunitario in forza del suo status coniugale può ottenere il ricongiungimento familiare con il proprio coniuge;
   b) evitare una discriminazione fondata sull'orientamento sessuale tutte le volte in cui lo status coniugale sia presupposto necessario per l'applicazione in Italia di norme di fonte europea, dal momento che l'articolo 9 della Carta di Nizza non contempla la differenza di sesso come requisito necessario per esercitare il diritto a sposarsi;
   c) assicurare anche ai cittadini italiani la pienezza del diritto alla libertà di circolazione di cui sono titolari i cittadini europei, sancita dai trattati istitutivi dell'Unione europea, dal momento che sarà necessaria la prova del proprio status coniugale, attraverso la certificazione anagrafica dello stato civile, in tutti quei Paesi europei in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è permesso;
   d) garantire la certezza delle relazioni giuridiche – finalità tipica cui assolve la funzione certificativa della trascrizione in parola – in cui lo status coniugale sia rilevante o perché coinvolgente un cittadino di un Paese in cui anche due persone dello stesso sesso possono contrarre matrimonio o perché occorre applicare in Italia norme di Paesi in cui due persone dello stesso sesso possono sposarsi,

impegna il Governo

ad adottare atti normativi secondari in conformità alle disposizioni sovraordinate in base al principio di gerarchia delle fonti, in modo che il diritto soggettivo dei cittadini non sia conculcato da atti che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, violano norme e principi sovraordinati agli atti amministrativi dell'amministrazione statale.
(1-00885)
«Bechis, Turco, Artini, Baldassarre, Barbanti, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni».
(8 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    nel mese di ottobre 2014 il Ministro dell'interno ha emanato la circolare sul tema della trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni celebrati all'estero tra persone dello stesso sesso. La circolare rivolta ai prefetti della Repubblica ed ai commissari del Governo per la provincia di Trento e di Bolzano prevede, in particolare, che: ove risultino adottate direttive da parte dei sindaci in materia di trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero e nel caso in cui gli stessi sindaci abbiano dato esecuzione alle suddette trascrizioni, i prefetti devono rivolgere ai sindaci formale invito al ritiro di tali disposizioni ed alla loro cancellazione. In caso di inerzia da parte dei sindaci, si deve procedere al successivo annullamento d'ufficio degli atti suddetti illegittimamente adottati;
    la circolare è sostanzialmente corretta, in quanto, ai sensi dell'articolo 27, comma primo, della legge n. 218 del 1995, la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio. Si sottolinea, al proposito, che il codice civile italiano (articolo 107) prevede che: «la diversità di sesso dei nubendi rappresenti un requisito necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell'ordinamento interno»;
    tutto ciò è affermato anche dalla Corte di Cassazione e dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 2010;
    una soluzione diversa non è contemplata nemmeno dal diritto europeo (articolo 12 del Convenzione europea dei diritti dell'uomo e articolo 9 della Carta di Nizza) che rimette ai legislatori nazionali le scelte in ordine alla disciplina del matrimonio;
    è, inoltre, da sottolineare che il requisito della diversità di sesso, previsto dal citato articolo 107 del codice civile, nonché da altre disposizioni dello stesso codice, è tradizionalmente e costantemente annoverato dalla dottrina e dalla giurisprudenza tra i requisiti indispensabili per l'esistenza del matrimonio. Infatti, l'istituto del matrimonio nell'ordinamento italiano si configura come un istituto pubblicistico diretto a disciplinare determinati effetti che il legislatore tutela come diretta conseguenza di un rapporto di convivenza tra persone di sesso diverso (filiazione, diritti successori, legge in tema di adozioni);
    la Costituzione, all'articolo 29, primo comma, prevede che: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»; e nel secondo comma aggiunge che: «il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare». Si deve, pertanto, ribadire che la norma suddetta, anche durante il dibattito sviluppatosi nell'Assemblea costituente, non prese in considerazione le unioni omossessuali, ma al contrario intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto;
    i Costituenti, nell'elaborazione dell'articolo 29 della Costituzione, discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un'articolata disciplina nell'ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso, è orientato anche il secondo comma della disposizione citata, che, affermando il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale;
    occorre, inoltre, sottolineare come la Corte costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (articolo 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla potenziale finalità procreativa che vale a differenziare il matrimonio dall'unione omosessuale;
    il Governo, tra l'altro, nel rispondere all'interpellanza urgente n. 2-00794, ha chiarito come la normativa vigente attribuisca inequivocabilmente la funzione di stato civile alla competenza dello Stato. La normativa attuale, infatti, prevede che le funzioni di stato civile vengano svolte dallo Stato che esercita la competenza in ambito territoriale attraverso il sindaco quale ufficiale di Governo. In tale veste il sindaco è tenuto, ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell'interno nella sua qualità di organo avente la titolarità primaria in materia. Parimenti sintomatica è la disposizione che prevede che la vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al prefetto;
    pertanto, in una relazione del tipo di quella appena evidenziata, risulta del tutto appropriato l'esercizio da parte del prefetto di annullamento, che è tipica manifestazione di una sovraordinazione gerarchica. Quindi, il prefetto esercita un suo potere proprio in virtù delle norme previste dall'ordinamento;
    il Ministro dell'interno, con la circolare del 7 ottobre 2014, ha sensibilizzato i prefetti a rivolgere un formale invito ai sindaci sia al ritiro di eventuali direttive emanate in materia di trascrizione dei matrimoni di persone dello stesso sesso celebrati all'estero, sia alla cancellazione delle conseguenti trascrizioni, qualora effettuate, proprio perché in contrasto con la normativa statale interna e, quindi, non solo con la norma primaria, ma anche con le circolari;
    nel nostro Paese, pertanto, anche sulla base delle considerazioni svolte, non è possibile che ci si sposi tra persone dello stesso sesso. Quindi, nel caso ciò avvenga in qualsiasi forma, i matrimoni contratti non possono essere trascritti nel registro dello stato civile italiano, perché non è consentito dalla legge,

impegna il Governo

ad intraprendere, nel solco della circolare del Ministro dell'interno del 7 ottobre 2014, ogni opportuna iniziativa volta a garantire la corretta tenuta dei registri dello stato civile, al fine di evitare che, in sede di trascrizione degli atti di matrimonio, siano poste in essere attività in contrasto con la disciplina normativa dell'istituto del matrimonio medesimo, fondata sulla diversità di sesso dei coniugi, secondo il dettato dell'articolo 29 della Costituzione e il consolidato orientamento dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione.
(1-00887) «Lupi, Binetti, Pagano».
(8 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la normativa nazionale, che non consente la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e la sua trascrizione nei registri dello stato civile, è stata ritenuta costituzionalmente legittima;
    ai sensi del codice civile, la diversità di sesso dei nubendi costituisce un requisito sostanziale necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell'ordinamento interno, posto che, allo stato, l'istituto del matrimonio si fonda sulla diversità di sesso dei coniugi, come si evince dall'articolo 107 del codice civile;
    con sentenza n. 138 del 2010 la Corte costituzionale ha affermato che l'articolo 29 della Costituzione si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato con interpretazioni creative, né, peraltro, con specifico riferimento all'articolo 3, comma 1, della Costituzione, le unioni omosessuali possono essere ritenute tout court omogenee al matrimonio;
    con sentenza n. 170 dell'11 giugno 2014, la Corte costituzionale è intervenuta sulla normativa che prevede l'automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio in caso di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei due coniugi, affermando che “la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela l'articolo 29 della Costituzione) è quella stessa definita dal codice civile del 1942 che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso, segnalando il requisito dell'eterosessualità del matrimonio;
    la Corte costituzionale ha stabilito che tra le formazioni sociali di cui all'articolo 2 della Costituzione, in grado di favorire il pieno sviluppo della persona umana nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico, rientra anche l'unione omosessuale, ma ha evidenziato che spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità politica, individuare con atto di rango legislativo le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, scegliendo, in particolare, se equiparare tout court il matrimonio omosessuale a quello eterosessuale, ovvero introdurre forme diverse di riconoscimento giuridico della stabile convivenza della coppia omosessuale;
    allo stato dell'attuale normativa nazionale italiana, il matrimonio celebrato all'estero tra persone dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per procedere alla sua trascrizione, ai sensi dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, come confermato dalla giurisprudenza, la quale ha affermato che «l'intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro inesistenza e neppure dalla invalidità, ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell'ordinamento italiano» (Corte di Cassazione, sentenza n. 4184 del 2012);
    la disciplina nazionale risulta perfettamente coerente con la normativa internazionale ed europea. L'articolo 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali individua il diritto di contrarre matrimonio tra i diritti umani fondamentali della persona, stabilendo inequivocabilmente che «l'uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l'esercizio di tale diritto», mentre l'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (cosiddetta Carta di Nizza) demanda alle legislazioni nazionali il compito di disciplinare l'esercizio di questo diritto;
    tutto ciò trova conferma anche nella giurisprudenza citata e in quella della Corte europea dei diritti dell'uomo, che, con pronuncia del 24 giugno 2010, ha affermato che il rifiuto dell'ufficiale di stato civile di adempiere le formalità richieste per la celebrazione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso non contrasta con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, osservando che il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali radicate che possono differire molto da una società all'altra, sicché va rimessa ai legislatori nazionali di ciascuno Stato aderente la decisione di permettere o meno il matrimonio omosessuale e la conseguente decisione in merito alla trascrivibilità o meno dello stesso;
    in questo quadro la circolare del 7 ottobre 2014 del Ministro dell'interno, per arginare iniziative dei sindaci che, in quanto ufficiali di Governo, sovrintendono alla tenuta dei registri di stato civile, ha fornito direttive relative all'intrascrivibilità dei matrimoni tra persone dello stesso sesso derivante «dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell'ordinamento italiano», in considerazione del difetto di un requisito sostanziale richiesto dalla normativa vigente in materia di stato e capacità delle persone (la diversità di sesso dei nubendi), che non può essere superato dalla mera circostanza dell'esistenza di una celebrazione valida secondo la lex loci ma priva dei requisiti sostanziali prescritti dalla legge italiana relativamente allo stato e alla capacità delle persone;
    con la stessa circolare il Ministro ha, altresì, disposto che i prefetti invitino i sindaci ad annullare tali trascrizioni;
    in data 18 ottobre 2014 il sindaco del comune di Roma ha provveduto alla trascrizione nel registro dei matrimoni presso l'ufficio di stato civile del comune di Roma di un matrimonio contratto a Barcellona (Spagna) il 18 settembre 2010;
    con decreto del 31 ottobre 2014, prot. n. 247747/2014, il prefetto della provincia di Roma ha disposto l'annullamento delle trascrizioni nel registro dello stato civile di Roma capitale dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero, ordinando all'ufficiale di stato civile di Roma capitale di provvedere a tutti i conseguenti adempimenti materiali nei registri dello stato civile;
    in data 9 marzo 2015 il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto un ricorso presentato per l'annullamento del decreto prefettizio;
    su un caso identico e sostanzialmente contestuale si è pronunciato il 21 maggio 2015 anche il tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, annullando anche in questo caso il decreto prefettizio;
    la sentenza del tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia precisa in termini chiari che:
   a) “17.2. La trascrizione effettuata dal sindaco di Udine quale ufficiale di governo risulta, quindi, illegittima perché esulante dai suoi poteri e doveri, contraria alla legge e contrastante con le direttive del suo superiore gerarchico, il Ministro dell'interno, e in ultima analisi poco rispettosa – ancorché inconsapevolmente – del riparto tra i poteri dello Stato definito dalla Costituzione repubblicana;
   b) 17.3. La doverosa rimozione peraltro di tale illegittima trascrizione non può avvenire con l'intervento del prefetto, che non ha alcun potere a riguardo, ma solamente ad opera dell'autorità giudiziaria ordinaria ex articolo 95 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, in sede di volontaria giurisdizione, con l'intervento del pubblico ministero, cui spetta la tutela dell'interesse pubblico al rispetto della legalità in materia di stato civile”;
    la giurisprudenza ha più volte affermato che nelle materie di competenza statale, nelle quali il sindaco agisce nella veste di ufficiale del Governo, spetta al prefetto promuovere ogni misura idonea a garantire l'unità di indirizzo e di coordinamento, promuovendo le misure occorrenti e svolgendo, così, una fondamentale funzione di garante dell'unità dell'ordinamento in materia, anche esercitando «il potere di annullamento d'ufficio degli atti adottati dal sindaco quale ufficiale di governo, che risultano essere illegittimi o che comunque minano la menzionata unità di indirizzo»;
    tuttavia, la disciplina dello stato civile prevede che «nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall'autorità giudiziaria» (articolo 453 del codice civile);
    il sistema dello stato civile, pertanto, prevederebbe puntuali possibilità di intervento sui registri dello stato civile, tra cui non è compresa quella posta in essere dal prefetto, per cui, in sostanza, un intervento quale quello posto in essere nel caso di specie dall'amministrazione centrale competerebbe solo all'autorità giudiziaria;
    dal combinato disposto degli articoli 5, comma 1, lettera a), e 95, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 non si prevedono, pertanto, competenze o poteri di annullamento o di autotutela aventi ad oggetto la trascrizione di matrimoni, ma solo la possibilità di disporre l'annotazione di rettificazioni operate dall'autorità giudiziaria;
    in definitiva, una trascrizione nel registro degli atti di matrimonio può essere espunta e/o rettificata solo in forza di un provvedimento dell'autorità giudiziaria e non anche adottando un provvedimento amministrativo da parte dell'amministrazione centrale, neanche esercitando il potere di sovraordinazione che, effettivamente, il Ministro dell'interno vanta sul sindaco in tema di stato civile; quindi, in base al principio della riserva di legge dettato in materia (si confronti l'articolo 97, terzo comma, della Costituzione), affinché un organo amministrativo possa annullare d'ufficio un provvedimento adottato da un altro organo, occorre un'espressa previsione di legge;
    in data 27 marzo 2015, rispondendo ad una interpellanza urgente sul medesimo caso, il Vice Ministro dell'interno sottolineava come l'amministrazione dell'interno, rispondendo a vari atti di sindacato ispettivo, avesse espresso l'avviso della sussistenza in capo al prefetto – fermo restando il potere dell'autorità giudiziaria – della titolarità del potere di annullamento d'ufficio delle trascrizioni illegittimamente eseguite; potere collegato direttamente alle funzioni di vigilanza del prefetto sull'ordinata tenuta dei registri dello stato civile e costituente la tipica manifestazione di una sovraordinazione gerarchica del prefetto medesimo al sindaco quale ufficiale di Governo;
    il membro del Governo confermava che l'orientamento del Ministero dell'interno sulle unioni omosessuali e sulla trascrizione di quelle celebrate all'estero era ispirato al presupposto che l'intera disciplina dell'istituto del matrimonio sia fondata sulla diversità di sesso dei coniugi e che le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio, né sono destinatarie della medesima disciplina dettata per quest'ultimo, ragion per cui, come precisato dalla Corte di Cassazione, il matrimonio omosessuale è inidoneo a produrre lo stesso effetto giuridico nell'ordinamento nazionale;
    il Vice Ministro affermava, inoltre, che le coppie omosessuali non possono, al momento, far valere né il diritto a contrarre matrimonio, né il diritto alla trascrizione delle unioni celebrate all'estero, sottolineando che anche il tribunale amministrativo regionale del Lazio, nella citata sentenza, si è conformato a questo consolidato orientamento;
    nelle conclusioni della risposta all'atto di sindacato ispettivo rilevava, altresì, che l'ordinamento già prevede la possibilità per l'interessato di ottenere la cancellazione di un atto indebitamente trascritto nei registri dello stato civile, proponendo ricorso al tribunale competente e che un analogo potere di iniziativa compete anche al procuratore della Repubblica;
    in conclusione, tenuto conto degli interventi richiamati e delle recenti pronunce giurisprudenziali, emerge l'esigenza in uno Stato diritto di rimuovere gli atti pubblici illegittimi con le procedure previste dall'ordinamento, evitando oneri che gravino sul contribuente per le attività che si devono porre in essere per ripristinare la legalità. A tal proposito è sintomatico sottolineare che il tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia ha già ritenuto di disporre la trasmissione degli atti di causa alla procura regionale della Corte dei conti per la somma stanziata dal comune di Udine per intervenire a supporto del ricorrente nella richiesta di annullamento del decreto del prefetto (punto 3.8 della sentenza),

impegna il Governo

ad adottare iniziative, anche di rango normativo, volte a prevedere la nullità delle trascrizioni sui registri dello stato civile dei matrimoni contratti all'estero da persone dello stesso sesso al fine di evitare il perpetuarsi di atti contrari alla legge.
(1-00890) «Gigli, Dellai, Sberna».
(8 giugno 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI CIRCOLAZIONE DEL DENARO CONTANTE

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni il legislatore è intervenuto di frequente con provvedimenti restrittivi sulla disciplina della circolazione del contante. Tali interventi sono stati introdotti con una doppia finalità: da un lato, l'esigenza di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita; dall'altro, l'obiettivo dell'amministrazione finanziaria di contrastare l'evasione e l'elusione fiscale, attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti, che ovviamente ben si prestano a «coprire» operazioni effettuate «in nero»;
    in particolare, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto «decreto salva Italia» (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), ha – da ultimo – ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da euro 2.500 ad euro 1.000 la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore. Il divieto di violare tale limite si applica a tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, quale che sia la loro nazionalità. I soggetti sanzionabili sono sia colui che ha pagato sia colui che ha riscosso gli importi, ivi compreso il lavoratore dipendente che abbia accettato il pagamento dello stipendio superiore a 999 euro in contanti;
    pertanto, allo stato attuale, è possibile effettuare pagamenti in contanti sino alla soglia massima di euro 999,99 ed è vietato il trasferimento, tra soggetti diversi, di denaro contante (nonché di libretti di deposito bancari e postali al portatore o di titoli al portatore) per importi pari o superiori ai 1.000 euro: per l'effettuazione di tali operazioni di trasferimento da un soggetto ad un altro occorre rivolgersi a banche, istituti di moneta elettronica o a Poste italiane spa;
    successivamente al citato intervento restrittivo del 2011, il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, cosiddetto «decreto semplificazioni», ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione di circolazione del contante per acquisti effettuati da cittadini extra-Unione europea presso commercianti al minuto, nonché le agenzie di viaggio e turismo;
    in tema di circolazione del denaro contante, sono, inoltre, state introdotte alcune recentissime novità: con riferimento alle corresponsioni di canoni d'affitto, con effetto dal 1o gennaio 2014, la legge di stabilità per l'anno 2014 (legge n. 147 del 2013), al comma 50 dell'articolo 1, ha previsto che i canoni di locazione delle abitazioni non possano più essere pagati in contanti. La norma prevede che, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto debbano essere utilizzati mezzi di pagamento in grado di assicurare la tracciabilità dei flussi di denaro;
    in termini di obbligo di adozione di strumenti pos per imprese e professionisti, il decreto ministeriale del 24 gennaio 2014, con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale, ha dato attuazione al disposto dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, per cui dal 1o gennaio 2014 è stato introdotto l'obbligo di accettare i pagamenti effettuati attraverso carte di debito, in favore di imprese e professionisti, per l'acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi. Dal 28 marzo 2014 al 30 giugno 2014, sono obbligati ad accettare pagamenti di importi superiori a 30 euro, effettuati con carte di debito, solo le imprese e professionisti che nel 2013 hanno registrato un fatturato superiore a 200.000 euro; dal 1o luglio 2014, tutte le imprese ed i professionisti sono obbligati ad accettare i pagamenti di importo superiore ad euro 30 effettuati con carte di debito;
    secondo uno studio della Cgia di Mestre del febbraio 2015, cresce l'ammontare di banconote in circolazione nel nostro Paese. Nel 2014 la massa monetaria complessiva ha sfiorato i 164,5 miliardi di euro. Negli ultimi 7 anni di crisi l'incremento percentuale è stato del 30,4 per cento, a fronte di una variazione dell'incidenza delle banconote sul prodotto interno lordo del +2,4 per cento e di un aumento dell'inflazione che ha sfiorato il 10 per cento;
    l'enorme uso del contante deriva dal fatto che in Italia ci sono quasi 15 milioni di unbanked, ossia persone che non hanno un conto corrente presso una banca e che, di conseguenza, non utilizzano alcuna forma di pagamento tracciabile, come la carta di credito, il bancomat o il libretto degli assegni; l'Istat, nella pubblicazione «I consumi degli italiani», segnala che il mezzo di pagamento più diffuso tra le famiglie è il denaro contante, soprattutto nel caso degli anziani, single (95,9 per cento) o in coppia (92,8 per cento). Il 37,9 per cento delle famiglie usa il bancomat e il 10,9 per cento la carta di credito. Molti preferiscono ancora adesso tenere i propri risparmi in casa, anziché affidarli ad una banca, considerati, soprattutto, i costi per la tenuta di un conto corrente tra i più elevati d'Europa;
    sempre secondo i dati della Cgia di Mestre, nonostante l'Italia abbia il limite all'utilizzo del contante più basso d'Europa, l'evasione fiscale non sembra averne risentito. Anzi, dagli studi emerge un dato sorprendente: c’è pochissima correlazione tra la soglia limite all'uso di cartamoneta imposta per legge e il rapporto tra la base imponibile iva non dichiarata e il prodotto interno lordo, vale a dire l'evasione fiscale;
    tra il 2000 e il 2012 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), a fronte di una soglia limite all'uso del denaro che è rimasta pressoché stabile fino al giugno 2008, l'evasione ha registrato un andamento altalenante fino al 2006, per poi scivolare progressivamente fino al 2010. Se tra il 2010 e l'anno successivo «l'asticella» del limite al contante si è ulteriormente abbassata (passando da 5.000 a 1.000 euro), l'evasione, invece, è salita fino a sfiorare il 16 per cento del prodotto interno lordo, per poi ridiscendere nel 2012 sotto quota 14 per cento;
    rispetto agli altri Paesi europei in Italia i costi per le transazioni tramite pos (point of sale) sono più elevati in media del 50 per cento; elevati anche i costi per l'installazione e la gestione dei pos che hanno una componente fissa e una variabile: i costi fissi comprendono un canone annuale per l'affitto dell'apparecchiatura pos e il mantenimento di una linea telefonica dedicata, più o meno costosa a seconda della velocità della transazione. Ne consegue che il migliore incentivo alla diffusione dei pos non è costituito dalla sua obbligatorietà, ma dalla riduzione dei costi di gestione. I pagamenti tramite pos in Francia sono più del doppio di quelli dell'Italia (398 miliardi di euro contro 160 miliardi), eppure i terminali installati Oltralpe non sono molti di più (1.834.000 contro 1.501.600). Il confronto con la Germania è ancora più indicativo, alla luce degli ultimi dati ufficiali (Banca dei regolamenti internazionali, dicembre 2012) in quel Paese ci sono infatti meno pos che in Italia (720 mila), ma vengono usati per più transazioni (174 miliardi di euro);
    in attuazione di quanto previsto da tali disposizioni si sono tenute riunioni tra l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, Poste italiane spa, il Consorzio bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale, senza tuttavia giungere all'elaborazione di un testo condiviso secondo le modalità e nei termini previsti; si registrano, peraltro, positive esperienze tra alcuni istituti di credito ed associazioni imprenditoriali e di imprese, che hanno ridotto, fino ad azzerarli, i costi di transazione;
    tra i principali membri dell'Unione europea, ben 11 Paesi non prevedono alcun limite all'uso del contante. La Francia e il Belgio hanno una soglia di spesa con la cartamoneta di 3.000 euro, la Spagna di 2.500 euro e la Grecia di 1.500 euro. L'Italia e il Portogallo, invece, manifestano la situazione più restrittiva: la soglia massima, oltre il quale non si può più usare il contante, è pari a 1.000 euro;
    a febbraio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri ha annunciato l'intenzione del Governo di elevare il limite all'utilizzo del contante dagli attuali 999,99 euro a 3 mila euro, condizionando il varo della misura all'adozione del decreto delegato sulla fattura elettronica. Infatti, con una transazione «tracciata» con una fattura elettronica o uno scontrino immediatamente visibile al fisco, l'eventuale incasso in contanti non dovrebbe creare problemi;
    il 21 aprile 2015, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha approvato, in via preliminare, il decreto legislativo sulla fatturazione elettronica, che introduce misure volte ad incentivare, mediante la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili, a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto (iva) e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti, nonché a prevedere specifici strumenti di controllo relativamente alle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici;
    il varo del decreto legislativo crea oggi le condizioni per la definitiva rimozione del limite all'uso del contante previsto dalla normativa vigente;

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di assumere ulteriori iniziative normative, rispetto alle norme contenute nella delega fiscale, in materia di tracciabilità dei pagamenti e di fatturazione elettronica e contestualmente a valutare l'opportunità di una revisione della disciplina vigente in tema di uso del contante, prevedendo un innalzamento della soglia limite dei 1.000 euro e ponendo l'Italia in linea con gli altri Stati europei;
   a dare rapida attuazione al regolamento (UE) n. 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015 relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, nelle parti in cui si prevede una facoltà dello Stato membro di definire alcune misure, con la finalità di equiparare il costo dei mezzi di pagamento elettronici in Italia alla media dei costi in essere presso gli altri Stati europei.
(1-00869)
(Ulteriore nuova formulazione) «Lupi, Buttiglione, Dorina Bianchi, Pizzolante, Vignali, Tancredi, Bernardo, Pagano, Alfreider, De Girolamo».
(21 maggio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la normativa antiriciclaggio di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, recante «Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione», ha previsto specifiche limitazioni all'uso dei contanti, accompagnate da una serie di sanzioni destinate a colpire i soggetti che le avessero violate o tentato di aggirarle. Ciò allo scopo di contrastare il fenomeno del riciclaggio di denaro costituente il frutto o il provento di reati e il perpetrarsi dell'evasione fiscale;
    nello specifico, l'articolo 49 del sopra citato decreto legislativo, successivamente più volte modificato, da ultimo con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, vieta il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro, in luogo dei 2.500 euro previsti in precedenza;
    inoltre, dal 30 giugno 2014 vige l'obbligo per ogni artigiano e libero professionista di munirsi di pos (point of sale) e farsi carico di tutti i costi di mantenimento, visto che per prestazioni o prodotti del valore superiore a 30 euro al cliente dovrà essere consentito l'uso del pos per usare il bancomat o la carta di credito e i costi aggiuntivi del servizio, in ogni transazione, sono a carico dell'esercente;
    la limitazione dell'uso del contante ha causato rilevanti conseguenze nella quotidianità delle operazioni fra privati e una forte penalizzazione della dinamica produttiva delle imprese, determinando effetti distorsivi del mercato e della concorrenza, soprattutto nel confronto con le legislazioni dei Paesi confinanti, se si pensa che a distanza di soli 10 chilometri dal confine italiano è possibile avere una libertà di spesa maggiore, anche solo per la spesa di carburante;
    le statistiche recenti riportano un bilancio negativo della spesa interna, il che significa che gli italiani spendono di più all'estero di quanto non facciano in Italia e la conferma arriva anche dai dati relativi alla presenza di turisti dall'altra parte del Brennero, in forte crescita (Tirolo + 4 per cento), mentre si registra un forte calo in Alto Adige/Südtirol, in Trentino e in altre località o regioni di confine, con le dovute conseguenze anche sul commercio e sulla prestazione di servizi, settori strettamente collegati al turismo;
    in ambito europeo gli unici Paesi, oltre all'Italia, che prevedono un limite all'uso del contante sono la Spagna (2.500 euro), la Francia (3.000 euro), il Belgio (15.000 euro), la Danimarca (13.400 euro), Grecia (1.500 euro), la Slovenia (15.000 euro), quasi tutti però per soglie di molto superiori a quella italiana di soli 1.000 di euro, mentre Germania, Austria e Olanda non prevedono limiti più stringenti (valgono, quindi, i 15.000 euro previsti dalla normativa comunitaria);
    è allo studio dell'Unione europea una proposta di modifica della direttiva relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 2002/65/CE, 2013/36/UE e 2009/110/CE e che abroga la direttiva 2007/64/CE;
    il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, cosiddetto competitività, conteneva disposizioni che ampliavano l'uso del denaro contante in Italia per i cittadini appartenenti all'Unione europea e allo spazio economico europeo, derogando alla disciplina del limite all'uso del contante per importi superiori a 1.000 euro, prevedendo la possibilità per i cittadini comunitari e per i residenti nello spazio economico europeo di utilizzare il limite per il trasferimento di denaro contante vigente nel Paese di residenza dell'acquirente, e andava a inserirsi in un quadro normativo che già prevede una deroga a 15.000 euro per i cittadini extracomunitari;
    la materia del limite all'uso del contante in Italia viene trattata sempre in abbinamento alla normativa antiriciclaggio, mentre nel settore turistico il limite all'uso del contante si sta rivelando fortemente pregiudizievole, soprattutto nelle regioni di confine, che non possono competere con una normativa più favorevole appena pochi chilometri oltre il confine,

impegna il Governo

a incentivare i pagamenti elettronici e, contestualmente, a valutare l'opportunità di adeguare la normativa italiana attraverso il ripristino di una soglia più elevata per l'acquisto di beni e di prestazioni, quantomeno in linea con la media degli altri Stati europei, che si attesta intorno a minimo 3.000 euro, ponendo così fine al deflusso verso l'estero, con conseguente perdita di valore aggiunto in quelli che sono i principali settori dell'economia nazionale.
(1-00877)
(Nuova formulazione) «Alfreider, Borghese, Matteo Bragantini, Caon, Gebhard, Marguerettaz, Merlo, Ottobre, Plangger, Prataviera, Schullian».
(4 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    per contrastare non solo il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, ma anche l'evasione e l'elusione fiscale si è cercato di intervenire sulla disciplina della circolazione del contante, con la dichiarata finalità di aumentare la tracciabilità delle movimentazioni finanziarie per contrastare il riciclaggio dei capitali di provenienza;
    in particolare con il cosiddetto decreto-legge «salva Italia» (decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da 2.500 euro a 1.000 euro la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore; con il cosiddetto decreto «semplificazioni» (decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dal decreto-legge n. 44 del 2012) si è introdotta una deroga alle norme sulla limitazione del contante in caso di acquisti effettuati da cittadini extra-Unione europea presso commercianti al minuto, nonché agenzie di viaggio e turismo e si sono disposte nuove sanzioni per i trasferimenti transfrontalieri di denaro contante. La materia è stata poi oggetto di numerosi interventi chiarificatori da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, dell'Agenzia delle entrate nonché, da ultimo, della Guardia di finanza con la circolare 19 marzo 2012, n. 83607;
    significativo è stato l'articolo 12 del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» che ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, a 1.000 euro il limite per l'utilizzo del denaro contante, degli assegni bancari e postali e dei vaglia postali o cambiari, nonché dei libretti di deposito bancari o postali al portatore;
    per effetto delle modifiche apportate dal citato articolo 12, l'articolo 49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 (cosiddetto «decreto antiriciclaggio») sancisce ora che: è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi (anche se privati), quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro; il trasferimento è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati. Tuttavia, il trasferimento può essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane spa;
    la limitazione di 1.000 euro riguarda complessivamente il valore oggetto di trasferimento, indipendentemente dalla causale e si applica anche alle cosiddette operazioni frazionate, ossia a quei pagamenti che appaiono artificiosamente frazionati ovvero relativi a qualunque «operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni ferma restando la sussistenza dell'operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale». In ogni caso, come chiarito dal Ministero dell'economia e delle finanze con la circolare 4 novembre 2011, le operazioni di prelievo e/o di versamento di denaro contante richieste da un cliente ad una banca non concretizzano automaticamente una violazione dell'articolo 49 del decreto legislativo21 novembre 2007, n. 231 e il nuovo limite si applica anche ad assegni, libretti al portatore e alle transazioni tramite money transfer;
    in base all'articolo 51 del decreto legislativo n. 231 del 2007, anch'esso modificato dal cosiddetto decreto-legge «salva Italia», i soggetti destinatari della normativa antiriciclaggio (ad esempio, intermediari finanziari e professionisti) che, nello svolgimento delle loro funzioni e nei limiti delle loro attribuzioni, hanno notizia di violazioni relative all'utilizzo di denaro contante, di assegni liberi e di libretti al portatore, entro 30 giorni, devono comunicare le infrazioni: al Ministero dell'economia e delle finanze, ovvero alle competenti ragionerie territoriali dello Stato, per la contestazione e gli adempimenti previsti dall'articolo 14 della legge n. 689 del 1981; alla Guardia di finanza la quale, ove ravvisi l'utilizzabilità di elementi ai fini dell'attività di accertamento, ne dà tempestiva comunicazione all'Agenzia delle entrate. La previsione della Guardia di finanza tra i destinatari delle comunicazioni delle violazioni, introdotta dall'articolo 8 del decreto-legge n. 16 del 2012 ha consentito una più incisiva azione di contrasto agli illeciti fiscali, grazie ad una sempre più accurata selezione dei soggetti a maggior rischio di evasione;
    al fine di far fronte all'evasione e di restringere le maglie larghe all'uso del contante, la soluzione ideale sarebbe la tracciabilità totale degli adempimenti fiscali. Tra le novità più importanti dal 2014 ad oggi si segnala:
   a) l'arrivo della e-fattura e dello «scontrino digitale», che limita l'utilizzo della carta moneta, almeno a partire dal 2017 (o dal 2018 se prevarrà la prudenza di coloro che gestiscono le strutture informatiche dello Stato). Nel frattempo un primo passo verso l'informatizzazione del fisco si avrà con l'operazione «730» precompilato che arriverà nelle cassette elettroniche di lavoratori dipendenti e pensionati. Andranno in soffitta nel giro di tre-quattro anni fatture, ricevute e scontrini fiscali cartacei ma anche i registri iva e quelli dei clienti-fornitori, finalizzati ad eventuali controlli del fisco, che oggi devono essere tenuti da chi esercita un'attività. Questi «vecchi» strumenti saranno sostituiti con supporti informatici, sul modello «cloud», che permetteranno a professionisti e commercianti di scambiarsi fatture in entrata e uscita tra di loro e all'Agenzia delle entrate di monitorare. Stesso sistema per gli «scontrini digitali»: sarà necessario un aggiornamento delle tecnologie e dei registratori di cassa che sarà favorito con un credito d'imposta di 100 euro;
   b) per quanto riguarda i canoni d'affitto, con effetto dal 1o gennaio 2014, la legge di stabilità 2014, (legge n. 147 del 2013) al comma 50 dell'articolo 1, ha previsto che i canoni di locazione delle abitazioni non possano più essere pagati in contanti disponendo che, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto debbano essere utilizzati mezzi di pagamento in grado di assicurare la tracciabilità dei flussi di denaro;
   c) è stato introdotto l'obbligo di adozione di strumenti pos per imprese e professionisti con il decreto ministeriale 24 gennaio 2014 che, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ha dato attuazione al disposto dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, per cui dal 1o gennaio 2014 è stato introdotto l'obbligo di accettare i pagamenti effettuati attraverso carte di debito, in favore di imprese e professionisti, per l'acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi. Dal 28 marzo 2014 al 30 giugno 2014, saranno obbligati ad accettare pagamenti di importi superiori a 30,00 euro, effettuati con carte di debito, solo le imprese e i professionisti che nel 2013 abbiano registrato un fatturato superiore a 200.000,00 euro; dal 1o luglio 2014, tutte le imprese ed i professionisti saranno obbligati ad accettare i pagamenti di importo superiore a 30 euro effettuati con carte di debito;
    l'informatizzazione del fisco e delle relative possibilità di controllo darà maggiori strumenti per la lotta all'evasione. Contestualmente, potrebbe essere meno necessario agire «a monte» in modo radicale andando verso una totale abolizione del contante: il reato di autoriciclaggio, i possibili rafforzamenti del falso in bilancio e la rinuncia a depenalizzare le fatture false, renderanno più difficile la circolazione di denaro «nero» e quindi accettabili normali transazioni in banconote e monete metalliche;
    alla normativa nazionale diretta a disciplinare l'uso del contante si è aggiunta poi quella, di derivazione comunitaria, relativa ai passaggi di capitale attraverso le frontiere, anch'essa oggetto di recenti interventi normativi per effetto del decreto-legge «semplificazioni» che ha armonizzato ed allineato la normativa interna con quella comunitaria (rappresentata dal regolamento (CE) 1889/2005), stabilendo che ogni persona fisica che entra nel territorio nazionale o ne esce e trasporta denaro contante d'importo pari o superiore a 10.000 euro deve farne dichiarazione all'Agenzia delle dogane; tale disciplina si applica sia ai passaggi intracomunitari (dall'Italia verso un altro Paese dell'Unione europea e viceversa), sia a quelli extracomunitari (dall'Italia da e verso un Paese non appartenente all'Unione europea), a prescindere dalle modalità di trasporto del denaro contante (ad esempio, a mano, in un bagaglio da stiva), per via aerea, stradale, ferroviaria o marittima;
    sempre a livello europeo, all'inizio del 2005, l'allora commissario per il mercato interno, Charlie McCreevy aveva lanciato un'iniziativa per rimuovere gli ostacoli nel mercato del pagamenti europeo;
    dopo mesi di acceso dibattito, la direttiva europea sui servizi di pagamento è stata adottata dal Consiglio dei ministri dell'Unione europea nel marzo 2007. L'accordo finale obbligò i fornitori non bancari a limitare a 12 mesi la durata del credito transfrontaliero concesso, ma non introdusse alcuna restrizione alle operazioni nazionali; l'Esecutivo europeo ha presentato il 24 luglio 2013 una proposta di revisione della direttiva in questione e, parallelamente, un regolamento sulle commissioni interbancarie, applicata prima nei pagamenti transfrontalieri tra Stati membri e solo in un momento successivo ai pagamenti in ambito nazionale;
    scopo della direttiva sui servizi di pagamento è stato quello di creare un vero mercato europeo dei pagamenti, con il fine di abbassare i costi sia per i consumatori, che per gli istituti di pagamento. La direttiva è fondamentale anche per la creazione della Sepa (Area unica dei pagamenti in euro), che mira a introdurre le stesse procedure e gli stessi obblighi in tutta Europa per i trasferimenti di credito, gli addebiti diretti e le carte di pagamento;
    l'obiettivo primario della direttiva è quello di abbattere le barriere tecniche e legali che finora hanno ostacolato la creazione di un mercato europeo per i servizi di pagamento. La Commissione europea prevede un risparmio di 122 miliardi annui: in particolare, il maggior beneficio deriverebbe dalla fatturazione elettronica (il cosiddetto e-invoicing), per circa 110 milioni di euro l'anno;
    un ulteriore significativo miglioramento che deriva dalla direttiva europea sui servizi di pagamento è la possibilità di usare tutte le carte di debito in Europa e la Commissione europea prevede che una più elevata concorrenza nei servizi di pagamento spingerà sempre di più i consumatori a scegliere gli strumenti elettronici per il loro acquisti (carte di plastica, smart card, pagamenti tramite telefono cellulare o smartphone), favorendo la progressiva diminuzione del contante;
    secondo la Commissione europea, i costi relativi ai pagamenti ammontano al 3 per cento del prodotto interno lordo e sono dovuti principalmente alle spese legate al contante. Sbarazzarsi delle monete e delle banconote, quindi, comporterebbe un enorme risparmio per l'economia europea. Il contante è costoso perché ha un elevato costo di produzione e non è sicuro. Rubare il denaro fisico sarebbe, inoltre, più facile che sottrarre il credito elettronico. La Commissione europea stima, ad esempio, che il costo di una transazione in contante si aggira tra i 30 e i 55 centesimi di euro, mentre nel caso di un pagamento elettronico ammonta a pochi centesimi;
    non è quindi auspicabile che si vada verso un eccessivo allargamento delle maglie per l'uso del contante: il tetto massimo che si prospetta è dagli attuali 1.000 a 3.000 euro, ma per combattere il denaro «nero» sarebbe necessario mantenere più bassa la soglia della possibilità dell'uso del contante anche per i pagamenti tra privati;
    il comma 9 dell'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha stabilito che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese definiscano, entro nove mesi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative di revisione della disciplina vigente in tema di uso del contante, che siano finalizzate a ridurre o mantenere inalterata l'attuale soglia limite di 1.000 euro e ad azzerare o quantomeno ridurre le commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, con il fine di abbassare i costi per i consumatori.
(1-00881)
«Barbanti, Artini, Baldassarre, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».
(8 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la tracciabilità è uno strumento necessario per combattere l'evasione fiscale. Il Governo Monti aveva varato un pacchetto di misure per il contrasto dell'evasione fiscale. Lo strumento principale consisteva nella tracciabilità, in base alla quale non potevano essere effettuati pagamenti per importi superiori ai mille euro in contanti; la precedente soglia, stabilita dal Governo Berlusconi era pari a 2.500 euro;
    diversi studi dimostrano come un ricorso più diffuso ai pagamenti elettronici permetterebbe, da un lato, attraverso la tracciabilità delle transazioni, di coadiuvare le azioni di contrasto all'evasione fiscale ed al riciclaggio di denaro, di compliance fiscale e, quindi, favorire l'emersione di ricchezza sommersa, e, dall'altro, di ridurre il costo di gestione del denaro contante a tutto vantaggio dell'economia italiana, aspetto, quest'ultimo, spesso sottovalutato dagli esercenti stessi, ma che secondo dati diffusi dalla Banca d'Italia corrisponde allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo, il 49 per cento del quali sarebbe sostenuto da banche ed infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento, mentre il restante 51 per cento sarebbe a carico delle imprese;
    il costo dei contanti è elevato; un costo che deriva non solo dalla stampa delle banconote e dal conio delle monete, ma anche dalle spese di distribuzione e di controllo a cui si aggiungono gli oneri per la sicurezza per il trasporto e la conservazione dei valori;
    uno studio della Banca centrale europea ha evidenziato che l'Europa spende ogni anno lo 0,46 per cento del suo prodotto interno lordo (60 miliardi di euro) per il denaro. E in Italia, dove il denaro cartaceo è più diffuso che altrove, i costi ammontano a circa 10 miliardi di euro, pari allo 0,52 per cento del prodotto interno lordo (valore superiore a allo 0,40 per cento, rilevato nella media degli altri Paesi europei). Questo significa che per pagare il personale, le perdite, i furti, le apparecchiature, il trasporto, la sicurezza, i magazzini, la vigilanza e le assicurazioni si spende circa 200 euro a testa l'anno;
    c’è anche il tema del costo industriale di fabbricazione delle micro monete, quelle da 1 e 2 centesimi di euro che spesso e volentieri si perdono. Coniare una monetina da 1 centesimo ne costa 4,5, mentre per fabbricarne una da 2 centesimi si spendono 5,2 centesimi. Lo scorso autunno il gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà ha presentato una mozione alla Camera dei deputati sulla questione, calcolando che i costi di fabbricazione sono costati all'Italia 188 milioni di euro in dieci anni;
    la relazione esistente tra l'utilizzo del contante, strumento di pagamento di cui non è possibile seguire le tracce fiscali, e l'evasione è chiara ed è stata evidenziata da diversi studi. Si veda, ad esempio: Rogoff, Kenneth (1998), «Blessing or curse? Foreign and Underground Demand for Euro Notes, Economic PolicyA European Forum, 261-303», e Goodhart, C., e Krueger, M. (2001), «The Impact of Technology on Cash Usage, discussion paper 374, Financial Markets Group, London School of Economics and Political Science, London, UK»;
    esiste una precisa correlazione tra i prelievi in contante e l'incidenza dell'economia sommersa: la relazione tra l'importo medio unitario dei prelievi di contanti da sportelli automatici bancari, nei vari Paesi europei, e l'economia sommersa, espressa in percentuale di prodotto interno lordo, è chiaramente positiva. Dove si utilizza più contante, l'incidenza dell'economia sommersa è più elevata. In particolare, Grecia e Italia sono i Paesi europei che mostrano i prelievi di contanti di importo medio più elevato (rispettivamente 250 e 175 euro) e che contestualmente hanno la più alta incidenza sul prodotto interno lordo dell'economia sommersa;
    comunque, in Italia il ricorso alla moneta elettronica è sempre più diffuso, anche se il gap con il resto dell'Europa resta notevole e potrebbe essere colmato anche grazie agli elevati standard di sicurezza raggiunti. Infatti, l'ultimo Osservatorio Assofin-Crif Decision Solutions-GfK Eurisko, relativo al consuntivo del 2011, rileva la presenza nel nostro Paese di 71,2 milioni di carte per i pagamenti, una media di 1,2 per abitante, numero cresciuto sensibilmente negli ultimi vent'anni, ma che resta inferiore alla media dell'Unione europea (1,5), per non dire dei Paesi più virtuosi come il Regno Unito (2,4 per abitante) o la Svezia (2,2);
    e tuttavia, le operazioni fatte risultano ancora molto contenute nel confronto internazionale: ogni italiano ne fa annualmente solo 24,5 contro le 57 dell'area euro e le 191,1 degli Stati Uniti d'America;
    è, dunque, necessario un intervento organico che, da un lato, limiti fortemente l'utilizzo del denaro contante e, dall'altro, disponga una serie di incentivi per i consumatori e gli operatori del settore;
    alcune direttive europee e norme interne spingono in questa direzione, nella convinzione che tutto il sistema economico e finanziario tragga vantaggi da questa innovazione. Per dare un impulso importante alla maturazione del mercato italiano dei pagamenti elettronici ed avvicinarlo così agli standard europei, Governo e Parlamento hanno varato negli ultimi anni, accanto ad una serie di misure restrittive sull'uso del denaro contante e dei mezzi di pagamento al portatore e di definizione dell'ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito, anche una norma per la quale esiste l'obbligo di accettare da privati pagamenti per acquisti di prodotti e prestazioni di servizi di importo superiore a 30 euro a mezzo del cosiddetto pos (point of sale);
    in Italia, i costi complessivi legati al mantenimento ed all'uso del pos sono più alti del 50 per cento rispetto alla media europea. La interchange fee rappresenta circa il 70-90 per cento dell'importo della commissione che viene applicata nel rapporto fra banca dell'esercente e banca del consumatore nel momento della transazione con carte di pagamento. Nel luglio del 2013 la Commissione europea, nell'ambito della revisione della direttiva sui servizi di pagamento, ha presentato una proposta di limitazione dell’interchange fee che prevede un tetto dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito, tetto che per i primi 22 mesi sarà in vigore solo per le transazioni internazionali e, successivamente, entrerà in vigore anche per quelle nazionali. La stessa Unione europea si aspetta che da questa riduzione derivi una parallela riduzione delle commissioni finali sugli acquisti;
    numerose indagini condotte anche da autorità antitrust hanno dimostrato che l'elevato livello delle commissioni interbancarie produce effetti anticoncorrenziali ed alti costi per gli esercenti commerciali (che poi li riversano sui prezzi finali), ostacolando in tal modo la diffusione dei sistemi di pagamento alternativi e meno costosi, in grado di rendere più semplice la vita dei consumatori e di generare più transazioni per i commercianti;
    il costo delle macchine di incasso contante, applicato non in tutti i Paesi ed in maniera difforme (in certi Paesi incidono solo sulle operazioni transfrontaliere, in altri su tutte le transazioni), viene imputato agli esercenti nell'ambito più generale delle spese a loro fatturate per l'utilizzo delle carte di credito, e spesso finisce per essere ricaricato dagli stessi sul prezzo finale del prodotto a tutto danno del consumatore finale, costituendo, per questo, una restrizione alla concorrenza sui prezzi;
    l'Abi (Associazione bancaria italiana) ha avuto modo di dichiarare a proposito dell'approccio contrario alle macchine di incasso contante da parte della Commissione europea che: «se per Bruxelles le commissioni sono negative per la concorrenza, il costo delle carte di pagamento rischia di aumentare a discapito dei possessori», lasciando in tal modo intendere che la disapplicazione delle macchine di incasso contante comporterà inevitabili ripercussioni sui consumatori, dato che le banche scaricheranno le minori entrate interamente sui correntisti;
    una maggiore quanto auspicata diffusione della moneta elettronica deve passare necessariamente attraverso l'abolizione delle commissioni interbancarie multilaterali, pertanto il Governo deve intervenire in materia, anche di concerto con l'Abi,

impegna il Governo:

   a ridurre il limite dei pagamenti in contanti, che oggi è fissato a 1.000 euro, a 500 euro contestualmente alla riduzione delle commissioni e dei costi di gestione della moneta elettronica per imprese e cittadini;
   a prendere le opportune iniziative, anche normative, per:
    a) stabilire e ridurre con progressione annuale anche l'importo massimo mensile per i prelievi delle persone fisiche e giuridiche;
    b) stabilire l'obbligo di utilizzare strumenti telematici per l'effettuazione delle operazioni di pagamento delle spese delle pubbliche amministrazioni centrali e locali e dei loro enti;
    c) riservare la possibilità di dedurre o detrarre nell'ambito fiscale, sia per le persone fisiche che giuridiche, solo le spese effettuate con strumenti di pagamento che ne consentano la tracciabilità;
   a prendere le opportune iniziative, anche normative, al fine di abolire le commissioni interbancarie multilaterali;
   a prevedere per i commercianti ed i professionisti forme di defiscalizzazione che contemplino il riconoscimento di un credito di imposta a coloro che si dotano del terminale pos;
   a valutare misure di sostegno all'utilizzo della moneta elettronica (eliminazione di commissioni interbancarie, credito d'imposta per l'acquisto di pos, corsi rivolti alle persone anziane, bancomat gratuito per le persone con redditi bassi ed altro), da finanziare anche con i risparmi che via via deriverebbero al Ministero dell'economia e delle finanze, alle banche ed alle infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento, dal minor utilizzo del contante.
(1-00882)
«Paglia, Melilla, Marcon, Scotto».
(8 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo la Banca d'Italia il costo del contante, ripartito tra istituti bancari e imprese, è di circa 8 miliardi di euro l'anno, pari allo 0,6 per cento del prodotto interno;
    tale costo può essere definito un «costo occulto» in quanto non è tenuto in considerazione, dati gli importi esigui, sia dai consumatori, sia dai piccoli commercianti che quotidianamente, nelle transazioni economiche, ne sono assoggettati; vanno poi considerati anche i rischi connessi direttamente alla gestione del contante, quali furti, rapine, perdita ed errori;
    dal momento dell'introduzione delle banconote e monete in euro, nel 2002, l'ammontare della moneta in circolazione in Italia può essere considerato solo a livello di area e non a livello Paese;
    la Banca d'Italia nella sua recente «Relazione sulla gestione e sulle attività della Banca d'Italia sul 2014» ha segnalato che «oltre che dalla domanda dell'economia, l'alimentazione della circolazione è stata determinata in modo ancora consistente dalla progressiva sostituzione dei tagli della prima serie con le nuove denominazioni della seconda»;
    secondo il rapporto presentato dal Ministro dell'economia e delle finanze sulla realizzazione delle strategie di contrasto all'evasione fiscale, pubblicato ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, il fenomeno dell'evasione fiscale assume nel nostro paese dimensioni ancora molto ampie e complesse;
    dal rapporto si evince che il tax gap – la differenza tra l'ammontare delle imposte che l'amministrazione fiscale dovrebbe raccogliere e il gettito effettivo – stimato dall'Agenzia delle entrate con riferimento all'iva, all'Irap e alle imposte dirette sulle imprese e sul lavoro autonomo ammonterebbe su base annua a 91 miliardi euro, pari al 7 per cento del prodotto interno lordo;
    la Banca d'Italia ha quantificato l'economia «non osservata» in Italia per un valore corrispondente al 27,4 per cento del prodotto interno nazionale; in particolare, l'incidenza media dell'economia sommersa ammonterebbe al 16,5 per cento, mentre il restante 10,9 per cento rappresenterebbe quella illegale;
    la Corte dei conti il 2 dicembre 2014 ha diffuso l’«Indagine sugli effetti dell'azione di controllo fiscale in termini di stabilizzazione della maggiore tax compliance», rilevando, alla luce delle analisi più recenti, che l'ammontare complessivo dei tributi e contributi annualmente evasi supera in Italia i 120 miliardi di euro l'anno;
    l'articolo 9, comma 1, lettera d), della legge 11 marzo 2014, n. 23 – cosiddetta delega fiscale – prevede, al fine di un rafforzamento dell'attività conoscitiva e di controllo, di incentivare, mediante una riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché di adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia iva e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti;
    mediante i decreti legislativi attuativi della delega fiscale, il Governo sta introducendo nuove strategie di contrasto all'evasione fiscale e miglioramento della compliance, in particolare nel settore dell'iva, che prevedono la diffusione degli strumenti di pagamento tracciabili, la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati relativi alle transazioni B2B soggette ad iva, nonché dei corrispettivi;
    l'adozione anche nella pubblica amministrazione di strumenti di pagamento digitali può avere effetti positivi in termini di riduzione dei costi connessi alla gestione del contante e rischi connessi, come di maggiore efficienza nella gestione dei servizi al cittadino;
    l'obbligo di pagamento con mezzi tracciabili risulta attualmente in vigore per le seguenti fattispecie: i pagamenti relativi alle prestazioni libero professionali rese dai medici; i pagamenti riguardanti canoni di locazione di unità abitative per l'ottenimento delle agevolazioni e detrazioni fiscali da parte del locatore e del conduttore; le operazioni relative all'acquisto di servizi di pubblicità on-line e di servizi ad essa ausiliari, nonché i pagamenti effettuati a favore di società, enti, associazioni sportive dilettantistiche, associazioni senza fini di lucro e pro-loco e i versamenti da questi operati; inoltre, dal 1o luglio 2014 le imprese ed i professionisti che effettuano vendita di prodotti e prestazione di servizi sono tenuti ad accettare pagamenti con carte di debito per acquisiti superiori a 30 euro;
    l'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, il cosiddetto decreto-legge «salva Italia», al fine di contrastare l'evasione fiscale ed il riciclaggio di denaro, ha ridotto da 2.500 euro a 1.000 euro la soglia per i pagamenti in contanti; per evitare ricadute negative sul settore del turismo tuttavia tale limite non si applica ai non residenti in Italia per i quali il limite per i pagamenti in contanti, nel commercio al dettaglio e per le agenzie di viaggi, è fissato a 15.000 euro;
    il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, emanato in attuazione di quanto disposto dal comma 10 del citato articolo 12 dal Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto ministeriale 14 febbraio 2014, n. 51, fissa regole generali per assicurare la riduzione delle commissioni e le loro condizioni di trasparenza;
    le commissioni, oltre a remunerare i circuiti di pagamento e i servizi di issuing, coprono i costi finanziari relativi all'anticipazione delle somme transate all’acquirer e da questi al merchant, il rischio di mancata provvista futura (nelle carte di credito), la manutenzione e la sicurezza del sistema informatico;
    il regolamento (UE) n. 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 19 maggio 2015, ha fissato tetti alle commissioni interbancarie, pari a 0,3 per cento per le carte di credito e a 0,2 per cento per le carte di debito, lasciando alcune decisioni sulle modalità di attuazione del regolamento agli Stati membri;
    il comunicato stampa del Ministero dello sviluppo economico del 28 luglio 2014, a seguito di un'analisi dei costi, ha evidenziato costi fissi in media intorno ai 2-5 euro mensili per terminali innovativi e intorno ai 10-15 euro per apparecchiature più tradizionali, che si traducono in un onere medio annuo tra 25-60 euro all'anno nel primo caso e 120-180 euro nel secondo;
    il ritardo dell'Italia nella diffusione dei pagamenti elettronici rispetto ad altri Paesi dell'eurozona va considerato anche alla luce dell'incessante innovazione tecnologica: nel 2014 è stato crescente l'impatto dei «new digital payment» – pagamenti a distanza (e-commerce), tramite smartphone (mpayment), in prossimità (contactless) – che in molti casi riducono ulteriormente la necessità di strumenti hardware. Secondo l'Osservatorio Mobile payment & commerce del Politecnico di Milano, i pagamenti digitali in Italia sono cresciuti del 3,6 per cento nel 2014 arrivando a quota 146 miliardi di euro, nonostante la riduzione dei consumi. Ma scorporando il dato è emerso che mentre i pagamenti di «vecchio tipo», con carta di credito o debito, sono avanzati dell'1,6 per cento (da 126 a 128 miliardi di euro), i cosiddetti «new digital payment» sono cresciuti del 20 per cento e valgono il 12 per cento del transato con carta, passando da 15 a 18 miliardi di euro, e che i primi dati del 2015 confermano il trend di avanzamento;
    secondo il rapporto statistico sulle frodi con le carte di pagamento del Ministero dell'economia e delle finanze, relativo all'anno 2013, il tasso di frode per il nostro Paese è pari allo 0,019 per cento; tale valore è inferiore tanto all'analogo valore di altri Paesi ad economia avanzata quali, ad esempio, Regno Unito, Francia ed Australia, quanto alla media dell'area Sepa (Area unica dei pagamenti in euro);
    l'attuazione delle disposizioni previste nella delega fiscale riguardanti in particolare l'implementazione della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, oltre che la nuova e rafforzata definizione delle frodi fiscali, l'introduzione del reato di autoriciclaggio, i rafforzamenti del falso in bilancio e l'adesione della maggior parte dei paesi, compresa la Svizzera, ai nuovi «Common reporting standard» per lo scambio di informazioni finanziarie, rendono più difficile la circolazione di denaro non tracciato creando le condizioni per una riduzione dei controlli massivi sul territorio da parte dell'amministrazione finanziaria e per rivedere la possibilità di alzare il limite di utilizzo di banconote e monete metalliche nelle transazioni,

impegna il Governo:

   a definire in tempi brevi l'attuazione del regolamento (UE) n. 2015/751 sui tetti alle commissioni interbancarie nelle parti in cui è lasciata la facoltà al Paese membro di adottare determinate misure, con la finalità di ridurre il costo dei mezzi di pagamento elettronici in Italia;
   ad assumere iniziative normative volte, da una parte, a incentivare gli strumenti di pagamento elettronici e a ridurne il costo e, dall'altra, contestualmente e condizionatamente, a valutare l'opportunità di rivedere la disciplina vigente in tema di uso del contante, ponendo l'Italia in linea con gli altri Stati europei che adottano restrizioni sulla circolazione della carta moneta e hanno raggiunto una significativa diffusione dei mezzi di pagamento diversi dal contante.
(1-00883)
«Boccadutri, Causi, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Carella, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia».
(8 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legge 6 dicembre 2001, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cosiddetto «decreto salva Italia») ha ridotto da 2.500 a 1.000 euro la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo del denaro contante, degli assegni bancari e postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore;
    il combinato disposto dal decreto-legge «salva Italia» e la normativa antiriciclaggio di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, vieta il trasferimento del denaro contante anche nelle ipotesi di più pagamenti inferiori alla suddetta soglia ma strumentali alla medesima finalità ovvero la cui frazione sia oggetto di artifizio;
    l'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha stabilito che, a decorrere dal 1o gennaio 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 24 gennaio 2014, sono stati definiti gli ambiti di applicazione prevedendo l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito per tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro;
    l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito impone costi organizzativi ed economici connessi al doversi dotare di un pos (tecnologia di accettazione multipla di strumenti di pagamento). Tale imposizione risulta vessatoria per tutti i professionisti e le imprese italiane ai quali vengono imposte spese obbligatorie facilmente evitabili attraverso altri strumenti, quali, ad esempio, il bonifico elettronico e assegni bancari, strumenti che garantiscono gli stessi livelli di tracciabilità e di trasparenza per qualsiasi movimento di denaro;
    si introduce obbligatoriamente e ingiustamente un intermediario, la banca, alla quale viene garantito un introito aggiuntivo a discapito degli esercenti, pur non svolgendo alcun ruolo reale e concreto nel rapporto tra lo stesso e l'utente. Altresì, l'obbligo di dotazione di un pos genera un'ulteriore spesa fissa aggiuntiva anche per le nuove piccole e medie imprese (start-up);
    l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito non è legato al reddito dell'impresa o del professionista e, quindi, risulta maggiormente vessatorio per piccole e micro imprese;
    è considerata scorretta la pratica commerciale che richieda un sovrapprezzo dei costi per il completamento di una transazione elettronica con un fornitore di beni o servizi, ai sensi dell'articolo 21, comma 4-bis, del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, come modificato dall'articolo 15, comma 5-quater, del sopra citato decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221;
    in Italia si è registrato un elevato utilizzo di denaro contante, circostanza quest'ultima acuita a causa dei 15 milioni di cittadini privi di conto corrente o strumenti di pagamento o gestione del denaro. Gli elevati costi per la tenuta dei conti correnti – tra i più alti d'Europa – riducono la propensione all'utilizzo dei medesimi e dei connessi strumenti di pagamento elettronici. Inoltre, anche i costi per le transazioni tramite pos (point of sale) sono mediamente più elevati del 50 per cento rispetto ai principali Paesi europei;
    il comma 9 dell'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha stabilito che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le relative associazioni di categoria, entro nove mesi dall'approvazione del medesimo decreto, avrebbero dovuto indicare le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento. Nell'ipotesi di inottemperanza della medesima prescrizione si concede facoltà al Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico – sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato – di emanare un decreto con il quale disciplinare gli oneri a carico delle imprese ed il costo unitario del pagamento elettronico. Tuttavia, il decreto ministeriale 14 febbraio 2014, n. 51, non ha concretamente individuato le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in quanto privo di una definizione, anche quantitativa, dei limiti massimi delle commissioni;
    il 20 aprile 2015 il Consiglio europeo ha adottato un regolamento che fissa un massimale per le commissioni interbancarie sui pagamenti effettuati con carte di debito e di credito, prevedendo un tetto massimo pari allo 0,2 per cento per carte di debito e allo 0,3 per cento per le carte di credito;
    l'articolo 34, comma 7, della legge n. 183 del 2011 prevedeva la gratuità, sia per l'acquirente che per il venditore, delle transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti di importo inferiore ai 100 euro,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di:
    a) prevedere che l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applichi limitatamente ai pagamenti effettuati a favore dei soggetti esercenti e dei professionisti il cui fatturato sia superiore a duecentomila euro;
    b) escludere dall'obbligo tutte le nuove attività per i primi due anni di operatività;
    c) prevedere, per gli esercenti e i professionisti, la gratuità delle transazioni fino a 1.000 euro effettuate mediante carte di pagamento in modo simile a quanto precedentemente previsto per gli impianti di distribuzione di carburanti;
    d) a dare attuazione, in via generale ed al fuori dei suddetti casi, alle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, definendo le regole generali per assicurare una concreta riduzione delle commissioni a carico degli esercenti e dei professionisti in relazione alle transazioni effettuate per il tramite di carte di pagamento e fissando, altresì, dei massimali da applicare alle medesime commissioni nei limiti individuati dal Consiglio europeo pari allo 0,2 per cento per le carte di debito e allo 0,3 per cento per le carte di credito.
(1-00884)
«Alberti, Pesco, Ruocco, Cancelleri, Pisano, Crippa, Da Villa, Vallascas, Della Valle, Fantinati, Fico».
(8 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si sta diffondendo sempre di più un mercato di pagamenti tramite moneta elettronica aperto all'interazione tra i diversi Paesi, conferendo dei sistemi comuni e in grado di offrire transazioni veloci attraverso qualsiasi strumento tecnologico;
    la diffusione della moneta elettronica sta crescendo esponenzialmente, tanto che secondo stime del centro di analisi e previsioni Berg Insight, se nel 2009 gli utenti che usufruivano di pagamenti elettronici erano circa 55 milioni, alla fine del 2015 saranno circa 894 milioni, registrando un aumento di circa il 60 per cento annuo;
    il legislatore è, dunque, intervenuto negli ultimi anni con provvedimenti volti ad introdurre una più stretta disciplina sulla circolazione del contante con la finalità di aumentare la tracciabilità dei movimenti finanziari, per contrastare sia il riciclaggio dei capitali sia l'evasione fiscale;
    il cosiddetto decreto-legge «salva Italia» (decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) ha ridotto, a decorrere dal 6 dicembre 2011, da euro 2.500 ad euro 1.000, la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore;
    a seguito di tali restrizioni, il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (cosiddetto decreto-legge «semplificazioni»), ha introdotto una deroga alle norme sulla limitazione del contante di acquisti effettuati da cittadini extra-Unione europea presso commercianti al minuto, nonché agenzie di viaggio e turismo ed ha disposto nuove sanzioni per i trasferimenti transfrontalieri di denaro contante. Il cosiddetto decreto-legge «semplificazioni» ha, dunque, previsto l'esonero dalla limitazione di euro 1.000 sull'utilizzo del contante per gli acquisti effettuati da turisti con cittadinanza extra-Unione europea, non residenti in Italia, presso specifici operatori;
    ulteriori restrizioni sono state inserite anche per le corresponsioni dei canoni di affitto: infatti, la legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013), al comma 50 dell'articolo 1, prevede che i canoni di locazione delle abitazioni non possono più essere pagati in contanti. Pertanto, indipendentemente dall'ammontare mensile del canone di locazione, per il pagamento dell'affitto devono essere utilizzati metodi di pagamenti che registrino la tracciabilità dei flussi di denaro;
    in merito alla disciplina sui pos (point of sale) il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 24 gennaio 2014 ha dato attuazione alla norma dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, che prevede l'obbligo, a decorrere dal 1o gennaio 2014, per i soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e prestazione di servizi, anche professionali, di accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Il decreto del Ministero dello sviluppo economico, all'articolo 2, specifica che l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applica a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti per l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi;
    è importante rilevare che all'interno dell'Unione europea ben 11 Paesi non hanno fissato alcun limite all'utilizzo del contante, mentre oltre all'Italia soltanto 5 Paesi hanno introdotto una soglia massima. Nello specifico, la Grecia di euro 1.500, la Spagna di euro 2.500, il Belgio e la Francia di euro 3.000, mentre solamente il Portogallo ha stabilito la soglia massima di utilizzo di contante a euro 1.000;
    a fronte di tali interventi normativi si è aperto un importante dibattito sul futuro della moneta fisica. Nello specifico, alcuni sostengono che lo sviluppo della moneta digitale soppianterà progressivamente l'uso del circolante, degli strumenti di pagamento tradizionali, nonché ad una progressiva riduzione dell'esigenza delle banche di detenere riserve in moneta della banca centrale. Ad avviso di altri, invece, è opportuno porre l'accento sulla semplicità dell'utilizzo del contante, sulla sua minore vulnerabilità, rispetto a strumenti di pagamento più sofisticati e, soprattutto, sull'anonimità ad essa associata;
    è importante rilevare che in un mondo digitale l'uso del contante rimane un'esigenza imprescindibile per il funzionamento dell'economia e, inoltre, le evidenze empiriche non sembrano indicare una riduzione del circolante nei Paesi più industrializzati: quelli cioè che avrebbero dovuto risentire, in via principale, delle conseguenze dell'uso della moneta digitale;
    da una statistica condotta dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca dei regolamenti internazionali e dalla Banca centrale europea emerge che tra il 1990 e il 2000 c’è stata una sostanziale invarianza del rapporto circolante/prodotto interno lordo nell'ambito dei G10 più l'Australia. Belgio, Francia e Svezia presentano una riduzione del rapporto circolante/prodotto interno lordo, mentre altri Paesi, quali l'Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, presentano un aumento dello stesso;
    un limite stringente alla circolazione del contante, così come previsto attualmente nell'ordinamento italiano, rappresenta l'ennesimo colpo a un'economia già in forte crisi, in cui la contrazione dei consumi ha penalizzato fortemente la ripresa. Senza dimenticare, infine, i costi che sostengono gli esercenti commerciali, i quali sono in tal modo costretti, loro malgrado, a cedere una fetta dei loro pagamenti agli istituti finanziari;
    se da una parte uno dei maggiori vantaggi del passaggio ad una moneta completamente elettronica porterebbe come beneficio una considerevole diminuzioni delle dimensioni dell'economia sommersa e illegale, dall'altra porterebbe ad una diminuzione nonché violazione della privacy del cittadino;
    ogni movimento sarebbe dunque tracciato, senza considerare il fatto che alle compagnie che offrono servizi di carte di credito e di debito verrebbe dato un potere più grande dovuto al possesso di informazioni molto più dettagliate sui singoli utenti;
    secondo uno studio Censis del 2014, soprattutto a fronte della crisi economica, gli italiani hanno preferito tenere i soldi liquidi, a disposizione per ogni evenienza. Infatti, il valore di contanti e depositi bancari è aumentato, secondo il Censis, di 234 miliardi di euro negli ultimi 7 anni: le consistenze sono passate dai 975 miliardi di euro del 2007 a 1.209 miliardi nel 2014, con un incremento del 9,2 per cento in termini reali. La liquidità costituisce, quindi, il 30 per cento del portafoglio delle attività finanziarie delle famiglie, mentre era solo il 25 per cento nell'anno prima della crisi;
    l'Istat, nell'indagine «I consumi degli italiani», segnala che il mezzo di pagamento più diffuso tra le famiglie è il denaro contante, soprattutto nel caso degli anziani, single (95,9 per cento) o in coppia (92,8 per cento). Il 37,9 per cento delle famiglie usa il bancomat e il 10,9 per cento la carta di credito;
    la Cgia di Mestre, attraverso uno studio, ha rilevato come nel nostro Paese l'utilizzo di banconote sia sempre più in crescita. Nel 2014 la massa monetaria complessiva ha raggiunto i 164,5 miliardi di euro e l'incremento percentuale è stato del 30,4 per cento, con una variazione dell'incidenza delle banconote sul prodotto interno lordo del + 2,4 per cento, con un aumento dell'inflazione del 10 per cento;
    è stato rielevato che circa 15 milioni di italiani non hanno un proprio conto corrente presso una banca e questo comporta inevitabilmente un diffuso utilizzo di contante. Ne deriva, quindi, che, non avendo alcun rapporto con gli istituti di credito, milioni di persone non utilizzano alcuna forma di pagamento tracciabile;
    un dato importante da rilevare è che non vi è una stretta correlazione tra l'utilizzo del contante e l'evasione fiscale. Infatti, seppur nel 2010 e 2011 l'utilizzo del contante sia diminuito, l'evasione, anziché conoscere una battuta d'arresto, è aumentata;
    a conferma di tale ipotesi, infatti, tra il 2000 e il 2012, l'utilizzo del denaro è rimasto stabile fino al giugno del 2008, mentre l'evasione fiscale ha registrato delle oscillazioni fino al 2006 per poi decrescere fino al 2010. Tra il 2010 e il 2011 l'utilizzo del contante si è ulteriormente abbassato e l'evasione, invece, è salita al 16 per cento del prodotto interno lordo, per poi regredire nel 2012 sotto al 14 per cento;
    in riferimento ai costi del pos (point of sale), relativi in particolar modo all'installazione e alla gestione, risultano abbastanza elevati considerato che hanno una componente fissa e una variabile. I costi fissi coprono la disponibilità dell'apparecchiatura pos e dipendono dalle diverse funzionalità che il terminale può offrire e dal tipo di tecnologia utilizzata per il collegamento, mentre i costi variabili sono legati al numero e all'ammontare delle transazioni effettuate dalla clientela e dipendono dal tipo di circuito utilizzato;
    dagli ultimi dati ufficiali (riferiti al dicembre 2012) della Banca dei regolamenti internazionali, peraltro ripresi anche nell'appendice della relazione annuale presentata da Banca d'Italia il 31 maggio 2015, emerge che in Italia sono installati nei punti di vendita 1.501.600 terminali pos, contro 1.834.000 della Francia e 720.000 della Germania;
    per quanto riguarda l'ammontare totale in euro delle transazioni, in Francia si attestano sui 398 miliardi, in Germania sui 174 miliardi e, infine, in Italia sui 160 miliardi. Inoltre, per l'utilizzo dei bonifici emergono differenze ancora più marcate tra i tre Paesi europei considerati, anche se in questo caso è la Germania (56.600 miliardi di euro) che supera di oltre il doppio la Francia (24.100 miliardi di euro) e di circa 7 volte l'Italia (7.800 miliardi di euro);
    all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» viene stabilito che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'Associazione bancaria italiana e le associazioni delle imprese rappresentative a livello nazionale avrebbero dovuto definire le regole generali per assicurare un'equilibrata riduzione delle commissioni a carico dei beneficiari delle transazioni effettuate mediante carte di pagamento;
    all'articolo 12, comma 10, del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» viene stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure definite ai sensi del comma 9, le stesse dovranno essere fissata con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
    alla luce di quanto previsto dalla normativa in vigore ed essendosi tenuti diversi incontri tra le associazioni di imprese, non è stato ancora raggiunto una sintesi su un testo che preveda una «equilibrata riduzione delle commissioni» nei tempi previsti;
    il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto 14 febbraio 2014, n. 51, ha, invece, emanato un regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, ai sensi dell'articolo 12, commi 9 e 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
    tale regolamento non ha provveduto in alcun modo a dare attuazione a quanto stabilito dall'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, in merito alla definizione di «regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuale mediante carte di pagamento»;
    a febbraio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha manifestato la volontà di alzare il limite di 1.000 euro a 3.000, al fine di «allentare la briglia» in favore di una maggiore flessibilità. L'innalzamento della soglia limite per l'utilizzo del contante, ha poi precisato Renzi, sarà varato solo dopo l'adozione del decreto legislativo sulla fattura elettronica;
    il 24 aprile 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, tre decreti attuativi della riforma fiscale (legge delega n. 23 del 2014), che ora passano alle Camere per il prescritto parere, tra i quali vi è anche quello relativo all'introduzione della «fatturazione elettronica». In particolare, quest'ultimo è volto ad introdurre misure volte ad incentivare, mediante la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili, a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché di adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto (iva) e le transazioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti, nonché a prevedere specifici strumenti di controllo relativamente alle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'approvazione di tale decreto sancisce, quindi, la possibilità da parte dell'attuale Governo di poter rispettare l'impegno di cui a febbraio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi si era assunto la responsabilità in prima persona,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni iniziativa normativa al fine di procedere ad una revisione della disciplina attualmente in vigore in merito alla riduzione del limite per la tracciabilità e il contrasto all'uso del contante, innalzando la soglia limite dai 1000 euro ai 3000 euro, in armonia con quanto previsto negli altri principali Paesi europei;
   a dare piena attuazione alla disposizione di cui all'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, al fine di stabilire regole generali per assicurare un'equilibrata riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, proseguendo celermente nella convocazione e nella tenuta dei tavoli tecnici presso il Ministero dello sviluppo economico, al fine di promuovere accordi fra sistema bancario e le associazioni imprenditoriali, volti all'abbattimento dei costi di gestione dei pos, assumendo iniziative per prevedere anche forme di defiscalizzazione degli oneri connessi all'installazione ed alla gestione dei dispositivi sotto forma di credito d'imposta;
   ad assumere iniziative per prevedere l'innalzamento dell'importo minimo oltre il quale si applica l'obbligo di accettare pagamenti elettronici o l'esclusione temporanea dal provvedimento dei settori di attività a basso margine di redditività, individuati attraverso apposito tavolo cui partecipino il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'economia e delle finanze e le parti sociali;
   ad assumere iniziative volte a incrementare la trasparenza delle diverse proposte commerciali delle banche, anche attraverso la pubblicizzazione dei valori della commissioni interbancarie delle diverse banche.
(1-00886) «Brunetta, Palese, Occhiuto».
(8 giugno 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    a partire dal 2008, il legislatore è intervenuto numerose volte per disciplinare l'uso del contante attraverso la fissazione di tetti massimi sempre più bassi e l'introduzione di regole sempre più stringenti sulla tracciabilità dei pagamenti, con il fine di contrastare non soltanto il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, ma anche i fenomeni di elusione e di evasione fiscale;
    il primo intervento in questa materia risale all'inizio degli anni ’90, con il decreto-legge n. 143 del 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 197 del 1991, che ha introdotto un limite, relativo all'uso del contante, degli assegni liberi e dei libretti al portatore, pari a 12.500 euro. Nell'aprile 2008, però, con l'entrata in vigore del decreto legislativo «antiriciclaggio» 21 novembre 2007, n. 231 (emanato in attuazione della direttiva 2005/60/CE e della direttiva 2006/70/ CE), si è cercato di abbassare suddetto limite a euro 5.000. La nuova soglia è, però, rimasta in vigore per pochissimo tempo fino a quando, con il decreto-legge n. 112 del 2008, si è provveduto a ripristinarla al valore precedente di 12.500 euro. Successivamente, questa è stata nuovamente abbassata a euro 5.000, con l'entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, per poi dimezzarsi a euro 2.500 ad opera decreto-legge n. 138 del 2011;
    gli ultimi interventi legislativi più importanti sono stati introdotti con il decreto-legge «salva Italia» (decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), il decreto-legge «semplificazioni» (decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35);
    l'articolo 12 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha, infatti, modificato l'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo n. 231 del 2007, riducendo la soglia dei pagamenti da euro 2.500 a 1.000 per i pagamenti in contanti e l'utilizzo di assegni bancari/postali trasferibili, dei vagli bancari o postali al portatore, nonché dei libretti di deposito bancari o postali al portatore;
    con il decreto-legge «semplificazioni» si è, invece, introdotta una deroga alle norme sulla limitazione del contante in caso di acquisto di beni e servizi da parte dei cittadini extra-Unione europea presso i commercianti al minuto e le agenzie di viaggio e turismo e si sono introdotte, al contempo, nuove sanzioni per i trasferimenti transfrontalieri di denaro contante;
    per effetto dell'articolo 12 del decreto-legge «salva Italia», che ha a sua volta modificato il decreto legislativo «antiriciclaggio», è quindi vietato il trasferimento di denaro contante e di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, anche privati, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a euro 1.000. Ugualmente si è vietato il trasferimento con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati, ossia riferiti ad «un'operazione unitaria sotto il profilo economico di valore pari o superiore ai limiti stabiliti (...), posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni, ferma restando la sussistenza dell'operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale». Il frazionamento è, quindi, ammesso soltanto quando questo sia connaturato all'operazione commerciale (come per i contratti periodici) o conseguenza di un preventivo accordo tra le parti (pagamento rateale) e operazioni di prelievo e/o versamento di denaro contante richieste da un cliente ad una banca;
    tale norma trova applicazione anche per il money transfer, ossia nel caso di trasferimento fondi all'estero, per i quali soltanto sotto la soglia dei 1.000 euro è possibile il trasferimento di fondi senza obblighi di documentazione;
    unica deroga a questo regime è prevista dal successivo decreto-legge «semplificazioni» che ha previsto, per gli operatori del settore del commercio al minuto e le agenzie di viaggio e turismo la possibilità di vendere beni e servizi a cittadini stranieri non residenti in Italia, entro il limite di 15.000 euro, ma gli adempimenti a carico del cedente del bene o del prestatore del servizio restano comunque onerosi ed è possibile usufruire di tale deroga soltanto quando l'acquirente sia una persona fisica, che non abbia cittadinanza italiana né quella di uno dei Paesi dell'Unione europea e dello spazio economico europeo (Liechtenstein, Islanda e Norvegia) e risieda al di fuori del territorio dello Stato. Le obbligazioni da rispettate consistono, infatti: nell'acquisizione dal cliente della fotocopia del passaporto e dell'apposita autocertificazione ex decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la residenza (non italiana); nel versare il denaro incassato sul proprio conto corrente entro il primo giorno feriale successivo all'operazione; nel consegnare alla banca o alla posta copia della ricevuta della comunicazione all'Agenzia delle entrate, da effettuare esclusivamente in via telematica;
    tali misure, oltre ad aver generato un aumento degli oneri finanziari e delle commissioni sulle singole transazioni a carico dei cittadini e a favore del sistema bancario, sta determinando da tempo gravi ripercussioni su più settori, come il turismo e il commercio, laddove sono sempre di più i turisti italiani che preferiscono trascorrere i viaggi o i periodi di vacanza in altri Paesi dove possono pagare comodamente con denaro contante, piuttosto che restare in Italia e pagare con carta di credito o assegno bancario, ma, soprattutto, ne stanno risentendo i flussi turistici provenienti dall'estero, in particolare da quelle aree o quei Paesi per cui non è possibile avere la deroga (Unione europea e spazio economico europeo), che, come denunciano gli operatori del settore, hanno subito un gravoso calo dovuto alle nuove imposizioni sulla normativa in materia di tracciabilità. Ugualmente, per i turisti provenienti da Paesi che rientrano nel regime derogatorio, gli eccessivi adempimenti a carico degli operatori, ricadenti inequivocabilmente anche sui cittadini extra Unione europea, frenano l'acquisto di beni e servizi nel nostro Paese da parte di questi turisti, dirottandoli verso mete estere. Questo accade specialmente nelle aree transfrontaliere, dove, per alloggiare e fare acquisti, i turisti esteri possono facilmente e velocemente raggiungersi località in cui non sono vigenti oneri né soglie, o in ogni caso, la circolazione di cartamoneta liquida non è soggetta ad un limite così basso;
    inoltre, nelle zone transfrontaliere gli operatori economici di ogni settore risultano oltremodo svantaggiati: il loro volume degli affari diminuisce anche a causa degli stessi cittadini italiani che, abitando nelle zone di confine, possono facilmente recarsi nel territorio dei Paesi confinanti non soltanto per acquistare beni o servizi, ma anche per svolgere qualsiasi tipo di attività economica, compresa l'apertura di esercizi commerciali o attività d'impresa;
    l'Italia, infatti, insieme al solo Portogallo, è il Paese europeo con il limite più basso: la Francia e il Belgio hanno stabilito a 3.000 euro il valore massimo di uso di contante, 2.500 euro la Spagna, 1.500 euro la Grecia, mentre ben 11 Paesi non prevedono alcun limite, tra cui l'Austria e la Slovenia. Questi ultimi due, in particolare, sono proprio i due Paesi confinanti con l'Italia che hanno maggiormente giovato dell'introduzione del limite all'uso della cartamoneta in Italia, vedendo riversarsi nei loro confini non soltanto i turisti che, senza una tale normativa, avrebbero scelto il nostro Paese, ma anche le stesse attività economiche e commerciali italiane di qualsiasi natura e comparto, con conseguente sottrazione di prodotto interno lordo italiano;
    da tempo gli operatori economici richiedono che sia rivista tale soglia. La giustificazione addotta all'introduzione di una simile normativa, ossia la lotta all'evasione e all'elusione fiscale sembra da tempo essersi rivelata infondata. Da ultimo, anche un recente studio della Cgia di Mestre ha confermato come, nonostante l'introduzione di tali misure, l'evasione fiscale non abbia registrato alcun trend in diminuzione;
    innanzitutto è necessario mettere in evidenza come, in Italia, la percentuale di unbanked, ossia persone che non hanno un conto corrente postale o bancario, raggiunga il 29 per cento della popolazione, pari a circa 15 milioni, rispetto alle percentuali molto più basse in Francia e Regno Unito (3 per cento) e Germania (2 per cento);
    le cause di questo fenomeno sono da ricercare in ragioni culturali e sociali di una parte del nostro Paese in cui molti cittadini, di età avanzata e con un basso livello di istruzione, preferiscono tenere il denaro liquido piuttosto che depositarlo in una banca o alla posta, anche in ragione degli elevati costi richiesti per l'apertura e la tenuta di un conto corrente;
    quindi, nonostante l'Italia abbia il limite più basso d'Europa, questo non sembra aver apportato effetti benefici alla lotta contro il fenomeno dell'evasione e dell'elusione fiscale, poiché non sembra esserci alcuna correlazione tra il limite all'uso di denaro contante e il rapporto tra la base imponibile iva non dichiarata e il prodotto interno lordo. Le ricerche della Cgia hanno, infatti, dimostrato come: «Tra il 2000 e il 2012 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), a fronte di una soglia limite all'uso del denaro che è rimasta pressoché stabile fino al giugno 2008, l'evasione ha registrato un andamento altalenante fino al 2006 per poi scivolare progressivamente fino al 2010. Se tra il 2010 e l'anno successivo l’»asticella« del limite al contante si è ulteriormente abbassata (passando da 5.000 a 1.000 euro), l'evasione, invece, è salita fino a sfiorare il 16 per cento del prodotto interno lordo, per poi ridiscendere nel 2012 sotto quota 14 per cento»;
    dunque, l'unico effetto positivo della limitazione dell'uso del contante è ascrivibile alla lotta al riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite, il cui volume non è però rilevato nelle statistiche ufficiali;
    di converso, gli effetti depressivi sul prodotto interno lordo sono certi anche se difficilmente quantificabili;
    a ciò si aggiunge un'ulteriore difficoltà degli operatori economici, di non minore importanza: con l'articolo 15, commi 4 e 5, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese» (convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221), si è infatti introdotto l'obbligo del pagamento elettronico per le prestazioni professionali;
    la disciplina prevede che «a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito». Il decreto ministeriale, così come stabilito del decreto-legge, ha successivamente stabilito a 30 euro l'importo minimo oltre il quale si rende obbligatorio per gli esercenti accettare il pagamento elettronico da parte del cliente;
    una simile previsione è andata soltanto ad aggravare ulteriormente gli esercenti, senza alcun particolare vantaggio per i consumatori, la maggior parte dei quali, secondo ripetute stime, non sente la necessità di dover cambiare le proprie abitudini di pagamento;
    mentre, per i consumatori, normalmente, non sono previste commissioni, non è così per gli esercenti che sono costretti a versare alle banche delle esose commissioni, quasi fosse un'imposta aggiuntiva gravante su questa parte di contribuenti. La percentuale di commissioni da versare agli istituti di credito, calcolata sugli importi incassati mediante carta di credito o di debito, è pari a: in caso di bancomat, dallo 0,5 allo 0,7 per cento e, in caso di carte di credito o prepagate, dall'1 fino al 4 per cento. A questi costi si devono poi sommare la spesa per l'affitto del pos per un costo totale che raggiunge il 2-3 per cento del fatturato;
    per i consumatori esiste, altresì, il rischio che le società di emissione e di gestione delle carte di credito, o talvolta anche le società che governano i circuiti di pagamento, possano strumentalmente utilizzare i dati sugli acquisti effettuati dai clienti per fornire, ad uso commerciale, informazioni a terzi circa le preferenze di questi ultimi;
    nonostante le proteste degli esercenti e delle loro rappresentanze (Confesercenti ha subito stimato una spesa aggiuntiva per le piccole e medie imprese pari a 5 miliardi di euro ogni anno), i Governi che sia sono succeduti dal 2012 ad oggi sono sempre rimasti impassibili di fronte alle difficoltà che questi hanno sollevato nei confronti dei maggiori oneri a cui sono stati sottoposti, continuando a ritenere tali misure strumenti adeguati per la lotta all'evasione, mentre invece, come nel caso del limite all'uso del contante, questa sembra essere una normativa vantaggiosa esclusivamente per il settore bancario che in questo modo aumenta in modo certo i propri profitti;
    sembra doveroso ed opportuno, dopo aver assistito a quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare una perseverante opera di sostegno dei poteri economici forti del Paese, occuparsi ora in maniera concreta e tangibile delle problematiche ricadenti sulle piccole e medie imprese, sui commercianti e sui professionisti in generale, soprattutto per le gravi difficoltà economiche che questi sono ancora costretti a dover fronteggiare, perché la strada per uscire dalla crisi è ancora molto lunga e tortuosa,

impegna il Governo:

   ad assumere le opportune iniziative normative e, in particolare, regolamentari al fine di:
    a) anteporre necessariamente all'introduzione di soglie massime all'uso del contante, quale efficace misura di contrasto all'evasione fiscale, il preliminare accordo con gli altri Paesi dell'Unione europea e, in particolare, con quelli confinanti con l'Italia per la definizione di soglie uguali per tutti, al fine di evitare effetti distorsivi della concorrenza;
    b) in mancanza del suddetto accordo, eliminare qualsiasi limite all'uso e alla circolazione di denaro contante in Italia, valutate l'inefficacia di un simile strumento nella lotta all'evasione fiscale e la perdita di prodotto interno lordo conseguente ai danni che tale normativa sta arrecando a tutti i settori economici del Paese, soprattutto nelle zone transfrontaliere e, tra queste, in particolar modo in quelle confinanti con Austria e Slovenia, come specificato in premessa;
    c) a fare in modo che il sistema bancario adotti percentuali maggiormente favorevoli sulle commissioni dovute per il pagamento elettronico imposto ai soggetti dell'articolo 15, commi 4 e 5, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, assicurando, altresì, una maggior tutela della tracciabilità dei dati sugli acquisti effettuati affinché le società interessate al sistema di pagamento telematico non utilizzino in maniera impropria le propensioni all'acquisto e le preferenze commerciali dei clienti.
(1-00891)
«Busin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(9 giugno 2015)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   TONINELLI, NUTI, COZZOLINO, CECCONI, DADONE, DIENI e D'AMBROSIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 aprile 2015 il Ministro interrogato risulta essere stato reso edotto della gravissima situazione del tribunale di Lodi sotto il profilo della sicurezza dal competente procuratore della Repubblica;
   il dottor Vincenzo Russo, infatti, ha indirizzato in quella data una lettera circostanziata ai Ministri della giustizia e dell'interno, alla procura generale di Milano, al questore di Lodi e ai comandi provinciali di carabinieri, guardia di finanza e forestale, nonché al sindaco di Lodi. Nella lettera il procuratore lamentava l'insoddisfacente situazione del sistema di sicurezza del tribunale e aggiungeva, in particolare, che da alcune settimane non funzionava la chiusura magnetica della porta che dal garage dà accesso agli uffici;
   quasi un mese dopo, il 26 maggio 2015, una donna di 38 anni è riuscita ad entrare all'interno del palazzo di Giustizia di Lodi, avendo superato i controlli e le misure di sicurezza con un coltello dotato di una lama di 32 centimetri nascosto nella sua borsa, per poi tentare di aggredire un magistrato, probabilmente con intenti omicidi;
   a seguito di tale gravissimo episodio è emerso che ciò è stato possibile a causa di un grave problema di sicurezza all'interno del tribunale, in particolare per via del fatto che il metal detector necessario a individuare le armi ed impedirne l'ingresso all'interno del personale era fuori uso da sei mesi (come riportato dal quotidiano Il Cittadino di Lodi del 27 maggio 2015). È, quindi, evidente che nei mesi in cui lo strumento di rilevamento era essenziale per la sicurezza, chiunque avrebbe potuto entrare all'interno del tribunale portando con sé delle armi di qualsiasi tipo. Infatti, lo stesso prefetto Antonio Corona e il presidente del tribunale Ambrogio Ceron hanno verificato che il metal detector in questione non dava alcun segnale di allarme neppure dopo il passaggio della pistola semiautomatica di una guardia giurata del tribunale;
   è così emerso che questa intollerabile carenza nel sistema di sicurezza del tribunale lodigiano sarebbe conseguenza di un'indisponibilità finanziaria in capo all'ente preposto alla manutenzione ovvero il comune, causata dalla morosità del Ministero della giustizia nei confronti dell'ente locale in relazione a queste spese. Più specificamente, il comune non riceverebbe dal Ministero il canone d'affitto dell'immobile, ma solo un parziale rimborso delle spese di funzionamento: secondo i calcoli il debito del Ministero ammonterebbe a 6.402.020,19 euro;
   dal 1997 a fronte di 14,1 milioni di euro di rimborsi richiesti fino al 2014, ne sarebbero stati riconosciuti a titolo provvisorio o definitivo 12,6 milioni di euro;
   alla luce dei tragici avvenimenti del 9 aprile 2015 al palazzo di giustizia di Milano, ovvero dell'omicidio del giudice Ferdinando Ciampi, dell'avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani e di Giorgio Erba, ci si chiede come sia possibile che vi sia un palazzo di giustizia sprovvisto di strumenti essenziali e minimi per la prevenzione di pericoli mortali per chi vi opera svolgendo la delicatissima funzione di amministrazione della giustizia;
   sempre la stampa (Il Giorno del 28 maggio 2015, nella sezione della cronaca di Lodi) riporta le dichiarazioni dell'onorevole Lorenzo Guerini, vicesegretario del principale partito della maggioranza parlamentare, secondo le quali Governo e Parlamento avrebbero risolto il problema con la legge di stabilità per il 2015, in cui è stato stabilito infatti che da settembre i comuni verranno sgravati da queste spese, poste in capo ad essi dalla precedente legge del 1941, e tali spese saranno poste direttamente a carico del Ministero della giustizia. A questo proposito in questa sede si evidenzia che, come sopra riportato, l'attribuzione al Ministero della giustizia delle spese di gestione dei tribunali di per sé non sembra essere in alcun modo risolutiva, dato che la gravissima situazione del tribunale lodigiano è stata causata proprio dalla mancata erogazione al comune di Lodi dei rimborsi dovuti in base alle stesse spese, per cui il Ministero è già ad oggi, di fatto, responsabile della mancata erogazione che ha determinato la questione oggetto della presente interrogazione –:
   quanti e quali siano i tribunali italiani nei quali sono stati rilevati e segnalati, da parte degli organi competenti, analoghi problemi relativi alla sicurezza e quali iniziative il Ministro abbia adottato e intenda adottare per risolvere il problema delle carenze relative alla sicurezza nei tribunali. (3-01523)
(9 giugno 2015)

   ROSSOMANDO, FERRANTI, VERINI, AMODDIO, BAZOLI, BERRETTA, CAMPANA, ERMINI, GIULIANI, GRECO, GIUSEPPE GUERINI, IORI, LEVA, MAGORNO, MARZANO, MATTIELLO, MORANI, GIUDITTA PINI, ROSTAN, TARTAGLIONE, VAZIO, ZAN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, «Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile», convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014 n. 162, è stato avviato un importante percorso per affrontare il grave problema della lentezza della giustizia civile e della mole di arretrato dei procedimenti pendenti, attraverso il potenziamento di strumenti per la composizione stragiudiziale delle controversie, quali la negoziazione assistita;
   in particolare, proprio per quanto riguarda lo strumento della negoziazione assistita, ossia un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di uno o più avvocati, è stato previsto che il ricorso a tale procedura sia condizione di procedibilità per le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazioni di veicoli e natanti e per le domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non superiori a 50 mila euro. L'obbligo di ricorso alla negoziazione è in vigore dal 9 febbraio 2015;
   di grande importanza appare anche la disposizione prevista all'articolo 11 del medesimo decreto-legge n. 132 del 2014, dove si prevede la raccolta dei dati concernenti le procedure di negoziazione assistita, con l'obbligo per il Ministero della giustizia di una relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione della nuova disciplina;
   da notizie di stampa si apprende che sarebbe intenzione da parte del Ministero della giustizia quella di potenziare le cosiddette adr (alternative dispute resolution), ovvero le procedure alternative al processo, e di procedere all'assunzione di nuove risorse di personale da destinare a quei tribunali che metteranno a punto un piano per lo smaltimento dell'arretrato –:
   se il Ministro interrogato sia già in possesso di un primo dato di monitoraggio relativo all'utilizzo dello strumento della negoziazione assistita e quali siano le modalità e i tempi per la realizzazione degli interventi volti a potenziare gli strumenti e le misure alternative al processo previsti nel decreto-legge n. 132 del 2014.
(3-01524)
(9 giugno 2015)

   RUSSO e BRUNETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 31 maggio 2015 si sono svolte le elezioni rinnovo del consiglio regionale della regione Campania;
   alla carica di presidente delle regione è risultato eletto, allo stato, il candidato Vincenzo De Luca;
   il predetto candidato risulta attualmente condannato in primo grado con sentenza n. 153/15 dal tribunale di Salerno, per i reati di cui agli articolo 81, capoverso, 110 e 323 del codice penale;
   ai sensi dell'articolo 8, commi 1, lettera a), e 3, del decreto legislativo n. 235 del 2012, i titolari della carica di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, che abbiano subito una condanna di primo grado per i predetti reati, sono sospesi di diritto dalla stessa carica per un periodo di diciotto mesi;
   secondo la prevalente e consolidata giurisprudenza e come risulta dalla costante prassi applicativa della norma (si veda, tra gli altri, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 marzo 2013 di sospensione del signor Angelo Michele Iorio), la sospensione di diritto opera con effetto dichiarativo sin dalla proclamazione dell'elezione dell'interessato;
   nella risposta in data 5 giugno 2015 all'interpellanza urgente degli onorevoli Paolo Russo e Renato Brunetta, il Governo ha precisato che «il presupposto per il tempestivo avvio del procedimento di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 235 del 2012, finalizzato all'adozione della sospensione, di competenza del Consiglio dei ministri» è «la proclamazione degli eletti debitamente ufficializzata»;
   tale ufficializzazione, sempre in base alla prassi costantemente adottata dal Governo (si veda, tra gli altri, il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e, per quanto riguarda la regione Campania, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 maggio 2010, relativo ad analoga fattispecie, sospensione del signor Alberico Gambino ai sensi dell'articolo 15, commi 4-bis e 4-ter, della legge n. 55 del 1990), consiste nell'immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri, da parte dell'ufficio territoriale del governo, dell'avvenuta elezione dell'interessato e dell'avvenuta proclamazione della stessa elezione;
   la sentenza penale in questione è già nota all'amministrazione dell'interno, essendosi proceduto, in conseguenza della stessa, con provvedimento del prefetto di Salerno, a sospendere il predetto candidato dalla carica di sindaco di Salerno, ricoperta in precedenza, in applicazione dell'articolo 10 dello stesso decreto legislativo; per cui non è necessario attendere la comunicazione della sentenza da parte della cancelleria del tribunale, ai fini dell'assunzione dei conseguenti provvedimenti;
   del resto la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 13563 del 2012) ha già precisato che l'iniziativa dell'amministrazione concernente l'avvio e l'adozione del procedimento di sospensione, indipendente dalla comunicazione della cancelleria del tribunale, attiene alla fase cognitiva del provvedimento, senza incidere sulla ritualità procedurale dell'irrogazione della sospensione;
   nei precedenti casi in cui il presupposto della sospensione si è verificato prima della proclamazione dell'elezione alla carica (si vedano ancora i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri citati in precedenza), le predette comunicazioni dell'ufficio territoriale del governo sono sempre avvenute prima della riunione di insediamento del consiglio regionale della quale il soggetto destinatario del provvedimento di sospensione avrebbe fatto parte; e, nel caso della comunicazione dell'elezione, in data antecedente alla proclamazione dell'eletto; così come i relativi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di sospensione sono stati adottati e comunicati ai consigli regionali interessati in data antecedente alla prima adunanza degli stessi;
   come confermato dalla citata risposta ad interpellanza urgente, in data 5 giugno 2015, nel caso di specie la sollecitudine degli adempimenti amministrativi da parte degli organi dell'amministrazione dell'interno interessati «verrà in ogni caso assicurata analogamente a quanto avvenuto in precedenza»;
   oltre che al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento rispetto a casi analoghi, la conferma della tempestività degli atti dell'amministrazione dell'interno in conformità alla precedente prassi risulta particolarmente rilevante nel caso di specie, nel quale la circostanza che il signor Vincenzo De Luca risulti eletto alla carica di presidente di regione comporta che, attesi il carattere dichiarativo del provvedimento di sospensione e la sua efficacia sin dal momento della proclamazione, lo stesso De Luca non potrà legittimamente compiere alcun atto afferente la carica di presidente per tutto il periodo di sospensione dalla stessa, pena l'assoluta e insanabile nullità degli atti predetti –:
   se, in ossequio alla prassi seguita in precedenti casi analoghi, nel caso di specie, la prefettura-ufficio territoriale del governo di Napoli abbia già provveduto a comunicare al Presidente del Consiglio dei ministri, e in quale data, l'avvenuta elezione del signor Vincenzo De Luca a presidente della regione Campania, nelle more della proclamazione, e se, una volta avvenuta quest'ultima, la suddetta prefettura-ufficio territoriale del governo provvederà a comunicare immediatamente al Presidente del Consiglio dei ministri la proclamazione del signor Vincenzo De Luca alla predetta carica, sì da consentire la tempestiva adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di sospensione dalla carica di presidente della giunta regionale e la sua comunicazione al nuovo consiglio regionale antecedentemente alla prima adunanza dello stesso, ai fini dei conseguenti adempimenti di legge, nonché prima del compimento di qualsivoglia atto da parte dello stesso signor Vincenzo De Luca, nella qualità di presidente della regione Campania. (3-01525)
(9 giugno 2015)

   SCOTTO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, reca il «Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190»;
   tale normativa disciplina l'incandidabilità e la decadenza dei politici eletti ed impone l'immediata sospensione dall'incarico nei confronti degli amministratori pubblici condannati anche solo in primo grado per una serie di reati, tra cui quelli contro la pubblica amministrazione;
   l'articolo 8 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, stabilisce che: «Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate all'articolo 7, comma 1, coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo 7, comma 1, lettera a), b) e c)», e cioè, tra le altre cose, per corruzione, concussione, peculato e abuso d'ufficio;
   le cariche indicate all'articolo 7 sono quelle di «presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali»;
   il 31 maggio 2015 si sono svolte le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale della regione Campania;
   alla carica di presidente della regione è risultato eletto, allo stato e salva verifica da parte dei competenti uffici centrale circoscrizionale e centrale regionale, il candidato Vincenzo De Luca;
   Vincenzo De Luca è stato condannato a gennaio 2015 in primo grado a un anno di reclusione per abuso d'ufficio;
   la condanna prevedeva anche l'interdizione per un anno dai pubblici uffici;
   il caso di Vincenzo De Luca, dunque, rientra nell'ambito dell'applicazione del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, e quindi in caso di elezione è per lui prevista, ai sensi della normativa vigente, la sospensione dalla carica;
   secondo la prevalente e consolidata giurisprudenza la sospensione di diritto opera con effetto dichiarativo sin dal momento in cui è intervenuta la sentenza di condanna;
   pertanto, la sospensione del candidato in questione, ove risultasse proclamato presidente della regione, dovrebbe essere disposta senza indugio e con effetto immediato;
   il comma quarto dell'articolo 8 già citato prevede che, a cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero, i provvedimenti giudiziari che comportano la sospensione ai sensi del comma 1 siano comunicati al prefetto del capoluogo della regione coinvolta, cosicché egli ne dia immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri;
   quest'ultimo, sentiti il Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell'interno, adotta il provvedimento che accerta la sospensione;
   attualmente il Presidente del Consiglio dei ministri è anche Ministro per gli affari regionali ad interim;
   il parere del Ministro dell'interno non è vincolante;
   la sentenza penale in questione è già nota all'amministrazione dell'interno essendosi proceduto, in conseguenza della stessa, con provvedimento del prefetto di Salerno, a sospendere il predetto candidato dalla carica di sindaco di Salerno, ricoperta in precedenza, in applicazione dell'articolo 10 dello stesso decreto legislativo;
   mentre la legge specifica che il prefetto del capoluogo regionale debba dare comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri immediatamente, nulla è detto dei tempi con cui il Presidente del Consiglio dei ministri debba adottare il provvedimento che accerta la sospensione;
   Vincenzo De Luca era il candidato di riferimento del Presidente del Consiglio dei ministri in Campania per queste elezioni regionali, come ampiamente emerso anche dalla più recente visita del Presidente del Consiglio dei ministri in Campania;
   il Presidente del Consiglio dei ministri, dunque, si trova oggi ad avviso degli interroganti in una condizione di evidente conflitto di interessi;
   infatti, ai sensi della cosiddetta «legge Severino», il segretario nazionale del Partito democratico, in qualità di Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbe adottare il provvedimento che accerta la sospensione del candidato del suo partito dopo aver espresso un parere a riguardo in qualità di responsabile del dipartimento per gli affari regionali;
   non è da sottovalutare come la mancanza di tempestività nell'adozione di tale atto potrebbe permettere un aggiramento della normativa vigente, dando il tempo a De Luca di formare una giunta regionale e garantire, una volta intervenuta la sospensione, il prosieguo della legislatura regionale attraverso il vicepresidente nominato;
   vi sono anche dubbi in merito a quest'ultima possibilità avanzati da esimi costituzionalisti, che sostengono come, mentre nei comuni la sospensione del sindaco non comporti lo scioglimento della giunta, nelle regioni la sospensione del presidente porterebbe anche allo scioglimento del consiglio e, quindi, a nuove elezioni;
   ai sensi dell'articolo 7 della legge regionale Campania n. 4 del 2009, la proclamazione dell'elezione del presidente della giunta regionale campana è formalizzata nel processo verbale redatto dall'ufficio centrale medesimo e consegnato alla presidenza provvisoria del consiglio regionale, nella prima adunanza del consiglio stesso, che ne rilascia ricevuta;
   è la proclamazione degli eletti, dunque, debitamente ufficializzata, che viene a concretare, nella fattispecie, il presupposto per il tempestivo avvio del procedimento di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 235 del 2012, finalizzato all'adozione della sospensione di competenza del Presidente del Consiglio dei ministri;
   ciò comunque implicherebbe il dovere, da parte delle istituzioni competenti, di far scattare immediatamente l'atto sospensivo, senza attendere la nomina della giunta e, quindi, del vicepresidente;
   secondo esperti giuristi, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale è indubbio che la sospensione obbligatoria integri gli estremi di un vero e proprio impedimento del presidente che gli preclude l'esercizio delle funzioni connesse alla carica, con conseguente impossibilità di compiere qualunque atto;
   la stessa Avvocatura dello Stato ha in passato evidenziato come a nulla valga lamentare che, con l'automatica sospensione, organi elettivi possano risultare decapitati o paralizzati, con conseguente scioglimento degli stessi, perché nessun inconveniente può ostacolare l'applicazione di una legge volta a interdire (anche se solo temporaneamente) ogni contatto tra la funzione pubblica e la persona incompatibile;
   la sospensione dovrebbe avvenire immediatamente dopo la proclamazione degli eletti, dunque prima della nomina della giunta e del vicepresidente, così da evitare che la normativa vigente venga, di fatto, aggirata con la creazione di un pericoloso precedente –:
   quali misure il Governo intenda adottare in merito alle previsioni della cosiddetta «legge Severino» che porterebbe alla sospensione del presidente della regione, comportando anche secondo gli interroganti lo scioglimento del consiglio e, di conseguenza, nuove elezioni. (3-01526)
(9 giugno 2015)

   DELLAI, CAPELLI, GIGLI, FAUTTILLI, CARUSO, MARAZZITI, FITZGERALD NISSOLI, SANTERINI, LO MONTE, TABACCI, SBERNA e PIEPOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gli ultimi sbarchi di profughi provenienti dalla Libia (oltre 5 mila migranti salvati nelle ultime 48 ore) hanno prodotto una serie di dichiarazioni di insofferenza da parti dei presidenti delle regioni Lombardia, Veneto e Liguria, tali da minacciare addirittura la riduzione dei trasferimenti regionali ai sindaci del territorio che continueranno a ospitare nuovi migranti, frutto di una reazione che appare agli interroganti intollerante rispetto al dramma umanitario dei migranti;
   il presidente della regione Lombardia avrebbe perfino scritto una lettera ai prefetti per diffidarli dal portare nel territorio lombardo nuovi profughi, mentre il leader della Lega Nord Matteo Salvini ha pubblicamente annunciato di «bloccare le prefetture» e di «presidiare tutte quelle strutture che, a spese degli italiani, qualcuno vuole mettere a disposizione di migliaia di immigrati clandestini», qualora gli immigrati fossero trasferiti al Nord;
   rispetto alla diffida ai comuni della regione Lombardia ad accogliere nuovi immigrati il prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, ha comunicato che «Milano attende le direttive e gli invii che il Governo effettuerà e risponderà secondo i criteri generali»;
   le dichiarazioni del presidente Maroni, seguite da quelle del presidente Zaia e del non ancora insediato presidente della Liguria, Toti, hanno determinato l'immediata censura del Governo attraverso il Vice Ministro dell'interno, che ha denunciato l'illegittimità dell'intervento del presidente della regione Lombardia, che è stato peraltro Ministro dell'interno e ha gestito un'emergenza immigrazione analoga, imponendo la presenza di immigrati nei diversi territori;
   anche il presidente dell'Anci ha sottolineato l'illegittimità delle dichiarazioni del presidente Maroni, in quanto «non è nei poteri di un presidente di regione decidere quale politica di accoglienza di profughi persegue il nostro Paese. Tanto meno è accettabile che si minaccino in modo ritorsivo, e illegalmente, riduzioni di risorse ai comuni che ospitano profughi»;
   per il presidente della regione Piemonte, Chiamparino, le dichiarazioni rese da Maroni e Zaia sono evidentemente strumentali, sottolineando che «un'eventuale interruzione dei trasferimenti ai comuni sarebbe oggetto di innumerevoli ricorsi»;
   si fa presente che nel 2011 l'allora Ministro dell'interno Maroni aveva siglato un accordo con gli enti locali «per affrontare l'emergenza profughi attraverso uno sforzo comune affinché fino a 50 mila profughi siano equamente distribuiti nel territorio nazionale, in ciascuna regione escluso l'Abruzzo (che aveva subito il terremoto)», cercando ed in quel caso ottenendo, in un momento di massima criticità, una collaborazione piena per evitare situazione di sovraffollamento in alcune regioni, come sta accadendo negli ultimi mesi in Sicilia, in Puglia, in Calabria e in parte in Campania e nel Lazio;
   la situazione descritta in premessa appare grave anche perché chi riveste importanti cariche istituzionali dovrebbe agire sempre con senso di responsabilità nei momenti in cui il proprio Paese si trova a dover fronteggiare emergenze che necessiterebbero di maggiore coralità e cooperazione –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per fronteggiare tali emergenze, promuovendo la massima cooperazione tra i soggetti istituzionali coinvolti.
(3-01527)
(9 giugno 2015)

   PISICCHIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia meridionale è da anni terra di approdo di un flusso migratorio che ha assunto dimensioni ormai insostenibili, con stime per il futuro che variano da 500.000 a 750.000 nuovi arrivi;
   nel nostro Paese nel 2014 sono già arrivati 174.000 immigrati non regolari, di cui 11.000 minori e 54.000 nei primi cinque mesi del 2015;
   l'onere dell'accoglienza grava in massima parte, se si esclude il Lazio, sulle regioni del Sud, con la Sicilia che arriva ad ospitarne il 20 per cento;
   il dramma della migrazione di intere popolazioni si abbatte su regioni che scontano ancora un divario con il resto del Paese a causa di problemi strutturali che ancora non sono stati affrontati con un piano di rilancio;
   l'Italia versa ogni anno circa sedici miliardi di euro all'Unione europea, ma i costi dell'emergenza umanitaria continuano a ricadere sul nostro Paese e sulle sue regioni meno ricche;
   i costi dell'assistenza ai migranti ed ai richiedenti asilo dal 2011 a fine 2014 sono stati pari a circa 2 miliardi e 288 milioni di euro e la stima per il solo 2015 raggiunge il miliardo;
   il piano europeo di redistribuzione dei migranti sta trovando forti resistenze da parte dei Paesi del Nord Europa;
   d'altro canto, non sembra che esista un'adeguata consapevolezza da parte delle istituzioni europee d'essere di fronte ad un'emergenza umanitaria di proporzioni bibliche, rispetto alla quale appaiono del tutto insufficienti le politiche di respingimento, mentre invece sarebbe indispensabile l'approntamento di una sorta di «piano Marshall» per i Paesi africani così drammaticamente colpiti da guerre, carestie e sottosviluppo –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per sostenere lo sforzo umanitario delle regioni meridionali, considerando anche di negoziare il ristoro dei costi sostenuti per l'accoglienza ai migranti, deducendoli dal contributo annuale italiano al bilancio dell'Unione europea.
(3-01528)
(9 giugno 2015)

   TANCREDI e DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dall'inizio del 2015 l'entità delle persone tratte in salvo nel Mediterraneo del Sud provenienti dal Nord Africa e principalmente dalla Libia non ha subito la benché minima flessione, superando, potenzialmente, la cifra record del 2014;
   la maggior parte delle persone salvate dai mezzi navali dell'operazione europea Triton è sbarcata in Italia e ha chiesto protezione internazionale;
   il Governo ha più volte sollecitato l'Unione europea a considerare il braccio di mare che separa l'Italia dal Nord Africa non come frontiera italiana, bensì come parte della frontiera esterna comune europea;
   il Governo ha più volte chiesto all'Europa di farsi carico del flusso costante di persone in fuga da guerre e persecuzioni il cui sogno è di crearsi una nuova vita in Europa e non solo nello Stato membro di primo approdo, che è quasi sempre l'Italia;
   l'operazione Triton ha sì sgravato l'Italia dall'onere di esser l'unico Stato membro a sopportare il costo dei salvataggi, ma, per rispondere alle regole europee, finisce col gravare l'Italia del maggior peso dell'accoglienza –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere in Europa affinché la pressione dei richiedenti protezione sull'Italia diminuisca e siano anche altri Stati membri a farsi carico del fenomeno. (3-01529)
(9 giugno 2015)

   DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   diversi organi di stampa hanno riportato nei giorni scorsi la notizia di una riunione informale presso la questura di Roma per decidere la chiusura di almeno 6 commissariati della capitale, tra cui i commissariati di Porta Pia, Trastevere, Torpignattara, Appio Nuovo, Monte Mario e Villa Glori, e l'accorpamento in strutture più grandi di quelli di Monteverde, San Lorenzo, Porta Maggiore, San Giovanni, Prati e Vescovio;
   secondo quanto sostengono i sindacati della Polizia di Stato, la decisione di chiudere i posti di polizia serve a risparmiare sugli affitti degli immobili; tali misure, unite al blocco del turn over che ha fortemente penalizzato le forze di polizia e alla situazione ormai cronica di carenza di organico avvertita anche nella capitale, rende sempre più difficile la gestione della pubblica sicurezza da parte degli operatori delle forze dell'ordine che vi prestano servizio;
   sempre da fonti sindacali si apprende che molti investigatori dell'antiterrorismo, del servizio centrale operativo (sco), della scientifica e specialisti della lotta all'immigrazione clandestina sono stati trasferiti a Milano fino al mese di ottobre 2014 (per vigilare sull'Expo) e questo ha ulteriormente inciso sulle già ridotte dotazioni di organico della città di Roma –:
   quali iniziative intenda adottare per evitare che questi importanti presidi sul territorio vengano chiusi con grave danno per la capitale e per gli operatori delle forze dell'ordine che vi prestano servizio. (3-01530)
(9 giugno 2015)

   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI. GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito più ampio dell'inchiesta nota come «mafia capitale», Giuseppe Castiglione, Sottosegretario alle politiche agricole, alimentari e forestali, iscritto al partito del Nuovo Centrodestra, risulta indagato per turbativa d'asta, con riguardo agli appalti per il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania);
   l'indagine a carico di Castiglione porta a cinque il numero di Sottosegretari del Governo raggiunti da avviso di garanzia;
   già nel 1999 Castiglione era stato arrestato nell'inchiesta sulle tangenti per la costruzione del nuovo Ospedale Garibaldi di Catania, con le accuse di turbativa d'asta e concorso esterno in associazione mafiosa. Condannato in primo grado a dieci mesi per tentata turbativa d'asta, è stato poi assolto;
   dal 2008 Castiglione, in quanto presidente della provincia di Catania, è «soggetto attuatore» del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. Da quella posizione deriva l'iscrizione, in questi giorni, nel registro degli indagati;
   l'inchiesta su «mafia capitale» sta portando in evidenza un vasto, radicato e cinico intreccio di interessi sviluppatosi sulla gestione dei migranti, definito un business «più redditizio della droga», nel quale amministratori, politici locali, burocrati, cooperative e malavita hanno costruito un sodalizio che trae denaro e potere dall'arrivo di migliaia di disperati e che patirebbe un danno economico da una diversa gestione del fenomeno teso a ridurre gli arrivi o ad una diversa gestione degli sbarcati;
   nel frattempo, secondo il britannico Guardian, che cita fonti della Royal Navy, sulle coste meridionali del Mediterraneo stazionerebbero ormai tra i 450 mila ed i 500 mila migranti in attesa di imbarcarsi verso le sponde italiane, in un flusso in continua crescita, dall'evidente pesantissimo impatto sociale e economico sull'Italia e sull'Europa;
   è conseguentemente doveroso che la gestione delle operazioni relative agli sbarchi e alla presenza di migranti nel Paese avvenga nel segno dell'assoluta e rigorosa trasparenza, con correttezza ed assoluta integrità morale e politica;
   ad avviso degli interroganti, attesa la grande rilevanza assunta dal fenomeno migratorio verso le coste del nostro Paese, in grande aumento d'intensità dal 2014, sarebbe opportuno che il Sottosegretario Castiglione rassegnasse le proprie dimissioni dal Governo, anche allo scopo di dissipare la sussistenza di eventuali conflitti d'interesse ed illeciti nella gestione dell'afflusso dei migranti richiedenti asilo, ancor prima che le fattispecie contestate nei suoi confronti dall'inchiesta trovino definizione per via giudiziaria –:
   se, stante la prefigurata diffusione di attività corruttiva e criminale nell'attuale sistema di assegnazioni di servizi - tramite o meno gara d'appalto - relativi alla gestione dei migranti, il Ministro interrogato non intenda sospendere e revocare tutti gli attuali affidamenti, a partire da quello per il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, per evitare il rischio di mantenere in atto fonti di finanziamento illecito per attività criminose. (3-01531)
(9 giugno 2015)

   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni sono stati effettuati ulteriori arresti nell'ambito dell'inchiesta balzata alle cronache come «mafia capitale» nel dicembre del 2014;
   dal prosieguo dell'inchiesta continuano ad emergere sia dettagli sul sistema di gestione clientelare dei servizi per l'accoglienza del comune di Roma, sia irregolarità nell'aggiudicazione di appalti di altra natura;
   già più di un anno fa la relazione redatta dagli ispettori della Ragioneria generale dello Stato, incaricati di capire le origini delle difficoltà finanziarie che stava attraversando il comune di Roma, aveva evidenziato come sia gli affidamenti alle cooperative ora incriminate, sia le proroghe degli stessi, fossero avvenuti in aperta violazione della legge sulle gare pubbliche;
   per quanto consta agli interroganti, nell'ambito della spesa sociale nei diciotto mesi compresi tra il 1o luglio 2013 e il 31 dicembre 2014, che ammonta a poco più di 221 milioni, 1489 procedure, 23,77 per cento affidamenti diretti, 7,25 per cento procedure negoziate, 67,9 per cento proroghe, 1,07 per cento avvisi pubblici, numero procedure sopra soglia 7,79 per cento;
   per quanto risulta agli interroganti, nel secondo semestre del 2013, dopo l'insediamento della giunta Marino, gli stanziamenti comunali in favore delle persone con disabilità si sono ridotte del 29,5 per cento, mentre quelle destinate ad interventi in favore degli immigrati sono aumentati quasi del 600 per cento –:
   in che modo intenda intervenire, se del caso anche attraverso iniziative normative, al fine di garantire il rispetto da parte delle amministrazioni locali delle vigenti normative in materia di appalti relativi al sistema di gestione dell'accoglienza e dell'assistenza agli immigrati. (3-01532)
(9 giugno 2015)