TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 431 di Mercoledì 20 maggio 2015
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
LUPI, DORINA BIANCHI e MINARDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nelle grandi città i fenomeni delinquenziali determinano allarme e preoccupazione nella cittadinanza, turbata soprattutto dalle aggressioni patrimoniali, che, a volte, registrano la violazione del domicilio, cioè del luogo in cui ogni persona vorrebbe sentirsi protetta e al sicuro;
la microdelinquenza, che è tale solo dal punto di vista della sua contrapposizione alla grande delinquenza organizzata, ma che non per questo è meno aggressiva e pericolosa, in quanto capace di colpire i più deboli e indifesi, sembra ormai richiedere ulteriori misure che ne contrastino l'offensività, ridando fiducia ai cittadini e, soprattutto, migliorandone la percezione di sicurezza –:
quali interventi e misure il Ministro interrogato intenda promuovere in materia, specificando quelle che saranno le direttrici su cui verrà a imperniarsi il provvedimento che il Ministro medesimo ha già prefigurato più volte nei suoi interventi pubblici. (3-01506)
(19 maggio 2015)
TONINELLI, NUTI, DADONE, CECCONI, COZZOLINO, DIENI e D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
da una recente inchiesta – in particolare si fa riferimento all'articolo di Emiliano Fittipaldi «La rete di potere intorno ad Angelino Alfano. Tra moglie e avvocati, giro d'affari da capogiro», apparso su l'Espresso del 16 aprile 2015 – si apprende dell'esistenza di una serie di incarichi, affidati a vario titolo a professionisti legati al Ministro interrogato da vincoli di coniugio o commensalità;
in particolare, nell'articolo si fa riferimento all'attribuzione dell'incarico di «soggetto attuatore giuridico del piano carceri» dal 2010 al 2012, affidato dall'allora Ministro della giustizia Alfano all'avvocato Andrea Gemma, che sarebbe legato a lui da un forte legame di amicizia personale, maturato in occasione della frequentazione del corso di dottorato in «diritto dell'impresa» svolto dal Ministro interrogato presso l'Università di Palermo;
a tale incarico si aggiungono per l'avvocato Gemma una serie di incarichi pubblici (tra i quali quello di commissario straordinario della Valtur, su nomina dell'allora Ministro dello sviluppo economico Paolo Romani, nonostante suo padre, l'avvocato Sergio Gemma, del medesimo studio legale avesse svolto l'incarico di presidente del collegio sindacale della stessa società) nell'ambito di società pubbliche (Equitalia giustizia, Trenitalia, Fs logistica e Sogin), nonché da ultimo, tra quelli di maggior rilievo, l'incarico di consigliere di amministrazione della più grande società partecipata dello Stato, l’Eni. Secondo quanto riportato dalla stampa, tale nomina è avvenuta «in quota Ncd» (così Franca Selvatici, in «E nelle carte spunta il nome di Alfano. “Maurizio gli ha detto di quell'azienda”», su la Repubblica del 18 marzo 2015), ovvero su indicazione del partito di cui il Ministro interrogato è segretario e del quale l'avvocato Andrea Gemma è anche difensore in sede giudiziaria;
appare anche rilevante evidenziare che, sempre secondo quanto riportato dalla stampa, in qualità di commissario straordinario della Sigrec spa, Società italiana gestione e incasso crediti, società in liquidazione del gruppo Unicredit, l'avvocato Gemma ha affidato alcuni incarichi difensivi della stessa società all'avvocato Tiziana Miceli, moglie del Ministro interrogato. Dalla stampa si apprende che questo non sarebbe il solo incarico affidato all'avvocato Miceli su decisione dell'avvocato Gemma;
la stessa fonte riferisce dell'affidamento recente («tra fine 2014 e inizio 2015») all'avvocato Miceli di cinque consulenze da parte della concessionaria di servizi assicurativi pubblici Consap, interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, i cui compensi, ai sensi delle relative determine, «saranno quantificati all'esito delle attività»; anche in questo caso è rilevante notare come l'amministratore delegato della Consap, Mauro Masi, già direttore generale della Rai, nominato in tale ruolo da un Consiglio dei ministri di cui faceva parte il Ministro interrogato, sia in rapporti di vicinato con il Ministro interrogato e con l'avvocato Miceli, con i quali condivide lo stabile di residenza (come riporta Renato Stanco in «Tiziana Miceli, moglie di Alfano e miss consulenze» su Lettera43 del 17 aprile 2015);
all'avvocato Gemma, sempre secondo quanto riportato, è stato attribuito, inoltre, da Giuseppe Caruso, già direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nominato in tale ruolo da un Consiglio dei ministri di cui faceva parte lo stesso Ministro interrogato, anche l'incarico di commissario dell’Immobiliare Strasburgo, società «confiscata al costruttore Vincenzo Piazza, indicato come prestanome dei capi di Cosa Nostra», detentrice di beni sequestrati del valore di «centinaia di milioni»;
infine, sempre l'avvocato Gemma ha recentemente ottenuto l'affidamento dei servizi legali per Expo 2015, insieme all'avvocato Angelo Clarizia, con lo studio del quale l'avvocato Miceli avrebbe collaborato nella difesa della società Serit;
fatto salvo che non sembra esserci alcun evidente profilo di carattere penale, dal quadro riportato appare emergere una commistione di interessi tale da indurre a riflettere sull'opportunità dell'affidamento di incarichi pubblici in tale volume a persone così strettamente legate al Ministro interrogato;
a parere degli interroganti il complesso delle vicende sopra riportate desta perplessità circa il comportamento di un Ministro della Repubblica, che deve essere sempre improntato a un rigore tale da far sì che si eviti qualsiasi sospetto circa l'utilizzo delle risorse pubbliche e l'imparzialità dell'azione amministrativa –:
quali elementi intenda fornire in relazione a tutto quanto illustrato in premessa, anche in considerazione del rigore che deve necessariamente contraddistinguere l'azione di un Ministro della Repubblica. (3-01507)
(19 maggio 2015)
RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
lunedì 11 maggio 2015 è stato sgomberato un campo abusivo nel quartiere romano di Ponte Mammolo, in Via Messidoro, e sono stati rasi al suolo anche alcuni edifici costruiti abusivamente;
nel campo vivevano circa quattrocento migranti, tra i quali anche donne e bambini, in maggioranza provenienti da Paesi nordafricani, alcuni dei quali rifugiati politici o in attesa del riconoscimento;
a distanza di circa una settimana dallo sgombero la situazione nella zona è allarmante perché circa un centinaio delle persone sgomberate è rimasto nel piazzale davanti al luogo dove sorgeva il piccolo quartiere abusivo, in condizioni di gravissimo disagio per loro stessi e per tutti i residenti della zona;
sempre a Roma, nel quartiere di Casale San Nicola, a La Storta, sarebbe in atto la riconversione dell'edificio di una ex scuola privata in centro di accoglienza per migranti;
la struttura in questione non possiede i requisiti necessari per ottenere l'abitabilità per così tante persone ed è ubicato in un luogo isolato e privo delle opere di urbanizzazione primaria, quali il sistema fognario e l'illuminazione stradale, oltre a non rispettare le condizioni minime di sicurezza;
in particolare a Roma, i centri di accoglienza per migranti insistono per la stragrande maggioranza in zone periferiche, che già sopportano numerosi altri disagi e non riescono a fare fronte alle problematiche derivanti dall'insediamento di centinaia di migranti;
la gestione dell'accoglienza dei migranti deve avvenire nel rispetto della sicurezza e della dignità sia degli stessi migranti sia delle popolazioni residenti e deve rispettare un'equa distribuzione sul territorio –:
quali iniziative intenda assumere in merito ai fatti di cui in premessa al fine di garantire la sicurezza sia dei migranti sia dei residenti e se non ritenga di fornire indicazioni agli enti interessati per un'equilibrata distribuzione nei territori delle strutture destinate all'accoglienza ed alla gestione dei flussi migratori. (3-01508)
(19 maggio 2015)
GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'opportunità di stabilire un limite massimo agli stipendi/emolumenti di manager e dirigenti pubblici è stato oggetto nella XVI legislatura di diverse iniziative (emendamenti, ordini del giorno, proposte di legge, atti di sindacato ispettivo) da parte della Lega Nord;
finalmente, il principio di prefissare un tetto per chiunque percepisca a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali è entrato nel nostro ordinamento con le norme contenute nel cosiddetto «decreto salva-Italia» (che ha fissato un tetto al primo presidente della Corte di cassazione, di circa 300 mila euro) e con la previsione di una «sforbiciata» del 25 per cento di «tutti i compensi a qualunque titolo determinati» contenuta nel cosiddetto «decreto del fare»;
la Lega Nord, tuttavia, ha da subito denunciato l'inutilità di tale novella legislativa, in quanto a rischio di non produrre gli effetti sperati per la scelta di fissare un limite troppo alto, parametrato al primo presidente della Corte di cassazione, cioè al magistrato con funzioni direttive apicali, proponendo – di contro – un'assimilazione al trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di sezione della Corte di cassazione ed equiparate;
alle predette norme di legge hanno fatto seguito: il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo dell'articolo 23-ter del «salva-Italia» (XVI legislatura – atto Governo n. 439 – Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti indicati nell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) ed il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze che ha fissato a 294 mila euro il tetto massimo per i compensi degli amministratori con deleghe di Rai, Anas e Ferrovie, mentre per le altre 18 società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze si fissano compensi all'80 o al 50 per cento del trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione (i circa 300 mila euro) (XVII legislatura – atto Governo n. 27 – Schema di decreto del Ministro dell'economia e delle finanze relativo ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze);
con il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale», all'articolo 13, in materia di limite massimo al trattamento economico del personale pubblico e delle società partecipate, tale limite viene fissato dal Governo Renzi, con decorrenza 1o maggio 2014, in 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali a carico del dipendente;
benché dalla norma siano escluse le società quotate e quelle che emettono strumenti finanziari in mercati regolamentati, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di volere esercitare una moral suasion tesa ad indurre anche tali manager ad una autoriduzione degli emolumenti;
stando alle sue stesse dichiarazioni, rilasciate pochi giorni fa, l'amministratore delegato di Poste (100 per cento capitale pubblico), Francesco Caio, nominato a maggio 2014, godrebbe di un trattamento economico pari ad 1 milione e 200 mila euro annui, quasi 5 volte il tetto imposto dal Governo Renzi alle società di proprietà dello Stato –:
quanti e quali siano gli amministratori di società a partecipazione pubblica, benché quotate o che emettono strumenti finanziari in mercati regolamentati, che registrano trattamenti economici complessivi superiori al tetto fissato dall'articolo 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, e quale risparmio si sia ottenuto dal 1o maggio 2014 ad oggi con l'applicazione della norma citata insieme alla cosiddetta moral suasion esercitata dal Presidente del Consiglio dei ministri per un'autoriduzione degli stipendi dei manager esclusi dall'applicazione dell'articolo. (3-01509)
(19 maggio 2015)
TABACCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'opera riformatrice che il Governo sta svolgendo unitamente ad una congiuntura favorevole sul piano internazionale, grazie alla svalutazione dell'euro rispetto al dollaro, alla forte riduzione del prezzo del petrolio e agli interventi della Banca centrale Europea guidata da Mario Draghi, induce finalmente ad un cauto ottimismo sulle possibilità di invertire il trend economico degli ultimi anni, passando dalla recessione ad una nuova fase di ripresa economica;
i dati Istat relativi al primo trimestre del 2015 rappresentano un primo elemento di conferma del possibile cambio di scenario per il nostro Paese in positivo, ma è evidente che la strada da percorrere è ancora lunga per consolidare e rafforzare il processo di ritorno alla crescita;
la qualità dell'azione del Governo, oltre che sulla capacità di introdurre e far approvare nel corso della legislatura le misure di riforma ormai improrogabili nei più diversi settori dell'attività pubblica e privata, verrà comunque misurata anche sulla capacità di incidere sulla spesa pubblica attraverso un'attenta ed ampia operazione di spending review attraverso la quale reperire rapidamente ulteriori risorse per rilanciare l'economia;
l'intento ripetutamente manifestato dal Governo di scongiurare l'aumento dell'iva nel 2016 attraverso la revisione della spesa rappresenta un'occasione per raggiungere finalmente un obiettivo sempre mancato dagli Esecutivi precedenti, che miri a radiografare in modo completo le singole voci che compongono il bilancio dello Stato, creando le premesse per un superamento definitivo dello schema dei tagli lineari, che, lungi dal produrre gli effetti dichiarati, non hanno frenato l'incremento del debito pubblico ed hanno anzi aumentato le diseguaglianze nel Paese, colpendo allo stesso modo situazioni differenti;
anche il nuovo commissario per la revisione della spesa, Yoram Gutgeld, come il suo predecessore Carlo Cottarelli, ha individuato una serie di settori dell'attività pubblica su cui è possibile intervenire per realizzare risparmi di spesa;
la scelta dei settori sui quali attuare la spending review rappresenta un'opzione prettamente politica, che può essere preparata dai tecnici ma non operata da questi ultimi –:
se il Ministro interrogato ritenga di confermare la volontà del Governo di procedere sul piano della revisione della spesa pubblica e di esporre al Parlamento le linee guida tracciate dal Governo per la sua attuazione, aggiornando gli importi previsti dei risparmi da essa derivanti, l'impatto e le ricadute in termini di miglioramento dei conti pubblici. (3-01510)
(19 maggio 2015)
MARTELLA, CAUSI, TARANTO, GINATO, BONIFAZI, CAPOZZOLO, CARBONE, CARELLA, COLANINNO, CURRÒ, DE MARIA, MARCO DI MAIO, MARCO DI STEFANO, FRAGOMELI, FREGOLENT, GITTI, GUTGELD, LODOLINI, MORETTO, PELILLO, PETRINI, RIBAUDO, SANGA, ZOGGIA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
dopo i segnali di ripresa evidenziati nell'ultimo trimestre del 2014, nel 2015 l'economia italiana, uscendo dalla recessione, si avvia a una fase ciclica espansiva determinata da fattori sia di natura esogena, dovuti al favorevole andamento di alcune variabili internazionali, sia legati alla domanda interna, connessi con la politica economica del Governo;
tuttavia, per garantire che l'impulso impresso alla domanda si traduca in una crescita durevole, occorrono riforme nel campo del finanziamento delle imprese che incidano sulla capacità dell'economia di rispondere ai cambiamenti strutturali;
le misure di politica monetaria adottate dalla Banca centrale europea nel corso degli ultimi anni, in particolare la riduzione dei tassi d'interesse, l'incremento della liquidità per gli intermediari condizionata al finanziamento di attività produttive, nonché, da ultimo, l'avvio del programma di acquisto di titoli di Stato quantitative easing, stanno contribuendo a rafforzare le condizioni di liquidità delle banche italiane e a incrementare l'erogazione di prestiti al settore privato, una condizione fondamentale per la ripresa dell'economia;
la crisi, tuttavia, ha lasciato un'eredità molto pesante in termini di crediti inesigibili da imprese uscite dal mercato o in gravi difficoltà, che appesantiscono i bilanci bancari e limitano la capacità di erogare nuovi finanziamenti; dal 2008 al 2014 i crediti deteriorati dell'intero sistema bancario sono aumentati da 131 a 350 miliardi di euro e la loro incidenza sul complesso dei prestiti è salita di circa 12 punti percentuali, al 17,7 per cento, come riporta l'ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato dalla Banca d'Italia;
tale questione costituisce un elemento fondamentale da affrontare tempestivamente per poter completare l'uscita dell'economia dalla fase di crisi finanziaria; tra le possibili soluzioni per alleggerire i bilanci bancari dall'eccessivo e crescente peso dei crediti deteriorati, «un intervento diretto dello Stato che, nel rispetto della disciplina europea sulla concorrenza, favorisca lo sviluppo di un mercato secondario di queste attività potrebbe contribuire a liberare risorse di cui beneficerebbero in primo luogo le imprese», come ricordato dal Governatore della Banca d'Italia Visco in un convegno tenutosi nel marzo 2015;
alcuni Paesi europei hanno già adottato soluzioni per la gestione delle sofferenze bancarie, che si sono rivelate di particolare efficacia, laddove sono riuscite a ristabilire la fiducia nel sistema finanziario attraverso la creazione di una struttura in grado di recuperare effettivamente i crediti deteriorati, come in Gran Bretagna (con la proprietà del veicolo esclusivamente in mano pubblica) e in Spagna e Irlanda (anche con il coinvolgimento dell'azionariato privato);
un possibile ostacolo allo sviluppo di misure analoghe in Italia è costituito dalla compatibilità con le regole europee in materia di aiuti di Stato, divenute più restrittive dal 2013;
su questa prospettiva si è tenuto il 23 aprile 2015 un incontro a Bruxelles tra il Ministro interrogato e la Commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager, nel quale sembrerebbero essere emerse prospettive incoraggianti; recentemente la Commissaria ha ribadito che la Commissione europea si fa forte della sua esperienza «nella definizione delle misure per gli asset bancari deteriorati attuate in altri Stati membri per aiutare le autorità italiane a individuare la strada più appropriata per fronteggiare la situazione», specificando di non aver preso alcuna decisione formale in relazione alla compatibilità con le regole sugli aiuti di Stato, non avendo finora ricevuto una notifica formale da parte del nostro Paese;
durante un'audizione al Senato della Repubblica, tenutasi il 5 maggio 2015, il Ministro interrogato ha anticipato alcuni dettagli tecnici in merito alle possibili modalità di attuazione di un mercato dedicato ai crediti deteriorati, con l'eventuale utilizzo di una garanzia statale e l'adozione di misure per accelerare le procedure fallimentari;
ancora negli scorsi giorni, il Fondo monetario internazionale ha sottolineato come il nodo dei crediti in sofferenza stia «divenendo una questione di importanza sistemica», in quanto causa del fatto che «i prestiti alle piccole e medie imprese continuano ad essere scarsi e costosi» ed ha conseguentemente sollecitato azioni utili a «rafforzare i bilanci delle banche e delle imprese» ed a consentire «nuovi prestiti a imprese e settori produttivi»;
sempre negli scorsi giorni, gli organi di informazione hanno fornito anticipazioni su un possibile ed imminente intervento governativo in materia di non performing loans, che ricomprenderebbe – oltre al tema della cosiddetta bad bank – misure di riforma del recupero crediti e della deducibilità delle perdite su crediti –:
quale sia lo stato dell'interlocuzione in corso con gli organi europei e quali le ipotesi di attuazione, in vista dell'eventuale adozione delle annunciate iniziative finalizzate alla realizzazione di un meccanismo di gestione dei crediti bancari deteriorati. (3-01511)
(19 maggio 2015)
MELILLA, PELLEGRINO, ZARATTI, RICCIATTI e FERRARA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
la regione Abruzzo rischia di trasformarsi da regione dei parchi a distretto petrolifero;
in un recente dossier delle associazioni ambientaliste si evidenzia lo stato attuale delle ricerche e perforazioni di idrocarburi in Abruzzo (in terra e in mare): 2.213,05 chilometri quadrati interessati da permessi di ricerca, 441,29 chilometri quadrati interessati da concessioni di coltivazione, 101,03 chilometri quadrati interessati da concessioni di stoccaggio, 35,72 chilometri quadrati interessati da istanze per concessione di coltivazione, 1.018 chilometri quadrati interessati da istanze per concessioni di stoccaggio, 4.222,80 chilometri quadrati interessati da istanze per permessi di ricerca;
in una nota il Wwf Abruzzo sottolinea come nel 2009 il 51,7 per cento del territorio era interessato da istanze di ricerca ed estrazione di idrocarburi;
in queste settimane il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dato, o si accinge a dare, il proprio parere positivo ad una decina di nuovi pozzi destinati alla ricerca o all'estrazione di petrolio, tutti all'interno delle 12 miglia:
a) Elsa2, società Petroceltic, un pozzo esplorativo a 7 chilometri dalla spiaggia di Lido Riccio a Ortona (Chieti) (parere positivo della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS a marzo 2015, in attesa del decreto);
b) Ombrina mare, società Rockhopper, 4-6 pozzi di estrazione a circa 6 chilometri dalla costa di fronte a San Vito Chietino (parere positivo della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS a marzo 2015, in attesa del decreto);
c) Rospo mare, società Edison, 3-4 nuovi pozzi di estrazione a 20 chilometri dalla costa di fronte a Vasto (decreto di compatibilità ambientale emanato il 15 aprile 2015);
praticamente è interessato tutto il fronte della costa teatina, con un progetto a nord (Elsa2), uno al centro (Ombrina) e uno al sud (Rospo mare), in un'area in cui vi è il parco nazionale della costa teatina;
sono tutti progetti fermati nel 2010 dal decreto dell'allora Ministra dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Prestigiacomo che vietava nuove trivellazioni all'interno delle 12 miglia e «resuscitati» colpevolmente dal decreto del Ministro dello sviluppo economico Passera del Governo Monti nel 2012, che escludeva dall'applicazione del provvedimento i procedimenti in corso. Sono numerose le criticità procedurali e di contenuto:
a) il parere del comitato VIA considerato valido è quello rilasciato nel 2009, senza tener conto delle mutate condizioni ambientali e sociali;
b) non viene considerato l'effetto cumulo con gli altri progetti;
c) tutte queste procedure sono state assoggettate a valutazione ambientale strategica, con il paradosso che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le richiede al Governo croato per le loro nuove concessioni in Adriatico e poi non applica la procedura a quelle di propria competenza;
d) non è stato ripubblicato, come invece accaduto per Ombrina, il progetto per le osservazioni del pubblico alla procedura di valutazione di impatto ambientale-autorizzazione integrata ambientale congiunta;
e) l'analisi del rischio per gli incidenti non è stata esaminata dalla commissione, che però l'ha richiesta entro l'avvio dei lavori (quindi è riconosciuto come aspetto critico del progetto). La procedura di valutazione d'impatto ambientale, a giudizio degli interroganti, così perde totalmente di significato, se gli elementi indispensabili per una corretta valutazione vengono rimandati alla fase esecutiva –:
se non si intenda intervenire al fine di non concedere le autorizzazioni ed evitare che tutti i suddetti interventi mettano a serio rischio il futuro ambientale della regione Abruzzo e del Mare Adriatico. (3-01512)
(19 maggio 2015)
LOCATELLI e PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il 15 ottobre 2014 Italcementi spa ha consegnato alla provincia di Bergamo l'istanza di modifica sostanziale dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata per lo stabilimento di Calusco d'Adda, presentando anche contestuale istanza di valutazione di impatto ambientale,
il progetto presentato da Italcementi spa prevede: l'incremento da 30 mila a 110 mila tonnellate all'anno del quantitativo di combustibili (costituiti da rifiuti solidi non pericolosi: combustibili solidi secondari) da utilizzare nel forno di cottura del clinker in parziale sostituzione dei combustibili fossili convenzionali; la diversificazione delle tipologie di rifiuti combustibili solidi secondari utilizzabili. Oltre al combustibile derivato da rifiuti, per cui è già è previsto e autorizzato l'utilizzo, Italcementi spa prevede di utilizzare rifiuti costituiti da plastiche e gomme, pneumatici finemente triturati, coriandolo di matrice plastica, biomasse legnose, fanghi biologici essiccati, fanghi dal trattamento biologico delle acque reflue industriali essiccati, fanghi da altri trattamenti acque reflue industriali essiccati; l'utilizzo di combustibili solidi secondari ex decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22 (non rifiuto);
i cementifici sono definiti dalla normativa «industrie insalubri di 1a classe» (decreto del Ministero della sanità del 5 settembre 1994) e hanno limiti di emissioni da 3 a 7 volte superiori a quelli degli inceneritori;
il Parlamento europeo, con la risoluzione del 24 maggio 2012, si è espresso per il divieto di destinare a incenerimento i rifiuti riciclabili e, più recentemente, la Commissione europea il 2 luglio 2014 ha ribadito tale indirizzo nella comunicazione «Verso un'economia circolare: un programma rifiuti zero per l'Europa»;
studi clinici rilevano la correlazione fra picchi d'inquinamento atmosferico (Pm10, NOx) e impatti sulla salute dei cittadini del territorio;
l'inquinamento ambientale causato dall'utilizzo del combustibile solido secondario è particolarmente impattante, in quanto dalla sua combustione derivano composti (diossine, furani, pcb) che sono normalmente assenti nelle emissioni da combustibili fossili e che, immessi in atmosfera con il particolato ultrasottile (pm 2,5 › 0,1), non sono adeguatamente intercettati dai sistemi di filtrazione e abbattimento;
l'11 febbraio 2015 si è tenuto il primo incontro della conferenza dei servizi indetta dalla provincia di Bergamo per confrontarsi con gli enti interessati sulla richiesta di Italcementi spa di aumentare i rifiuti costituiti da combustibili solidi secondari bruciati nello stabilimento di Calusco d'Adda. Alla conferenza, oltre a Italcementi spa, alla provincia di Bergamo, all'azienda sanitaria locale, all'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente e al comune di Calusco, hanno partecipato i sindaci o i loro delegati dei comuni di Paderno d'Adda, Imbersago, Robbiate, Verderio e Solza, che nel dicembre 2014 avevano chiesto alla provincia di Bergamo, tramite una lettera pubblica, di prendere parte alla procedura di verifica di impatto ambientale sul progetto di Italcementi spa;
il 6 marzo 2015 poi i comuni sopra citati hanno portato sul tavolo della provincia di Bergamo le proprie osservazioni tecniche;
i punti principali in discussione riguardano la tracciabilità e la qualità dei rifiuti bruciati, che il territorio chiede che vengano garantiti da un ente terzo, così come i controlli sulle emissioni;
un altro punto ha riguardato lo scalo ferroviario tra lo stabilimento e la stazione di Calusco d'Adda, della cui costruzione, secondo gli accordi del 2012, Italcementi spa si sarebbe dovuta occupare e sui quali, invece, lamenta difficoltà con le Ferrovie dello Stato che non si interessano del progetto;
per pareggiare il potere calorifico del carbone occorrono 1,8 chilogrammi di combustibile solido secondario per ciascun chilogrammo di carbone; pertanto, l'incremento della produzione dell'impianto in combinazione con la mancata realizzazione dello scalo ferroviario e il minor potere calorifico del carbone creerà senz'altro un incremento cospicuo del traffico indotto dal trasporto del combustibile su gomma, che incrementerà gli impatti sulle matrici ambientali, atmosfera e rumore;
non molti mesi orsono il Governo, con l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha previsto un piano nazionale per individuare la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale e uno dei requisiti posti per il funzionamento degli impianti è stato il rispetto delle disposizioni sulla qualità dell'aria di cui al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155;
inoltre, il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 14 febbraio 2013, n. 22, recante «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni», all'articolo 15, prevede l'istituzione di un comitato di vigilanza e controllo, presso il Ministero, con il compito, tra gli altri, di garantire il monitoraggio della produzione e dell'utilizzo del combustibile solido secondario-combustibile ai fini di una maggiore tutela ambientale, nonché la verifica dell'applicazione di criteri di efficienza, efficacia ed economicità e, inoltre, di intraprendere le iniziative idonee a portare a conoscenza del pubblico informazioni utili o opportune in relazione alla produzione e all'utilizzo del combustibile solido secondario-combustibile, anche sulla base dei dati trasmessi dai produttori e dagli utilizzatori;
infine, il 22 ottobre 2013, l'Assemblea della Camera dei deputati ha discusso una serie di mozioni presentate da tutti gruppi parlamentari sull'utilizzo del combustibile solido secondario e sulle implicazioni che ciò comporta per la salute dei cittadini e il 12 settembre 2013 ha approvato una mozione (la n. 1-00193), che, tra l'altro, impegna il Governo: «ad avviare approfondimenti tecnici multidisciplinari per verificare se e a quali condizioni l'utilizzo del combustibile solido secondario nei cementifici non determina rischi per la salute e per l'ambiente, con particolare riferimento alle effettive emissioni di sostanze inquinanti derivanti dall'uso dei rifiuti come combustibili, che tengano conto non solo del funzionamento degli impianti a regime e in condizioni di massima sicurezza, ma anche dei possibili rischi derivanti da malfunzionamenti, fuori servizio e gestione dei transitori; a fornire, a seguito di tali accertamenti preliminari, un quadro aggiornato sull'attuazione, da parte dei settori industriali coinvolti, del potenziale costituito dal combustibile solido secondario, fornendo anche informazioni circa i processi autorizzativi avviati a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 22 del 2013 (...)»;
l'articolo 32 della Costituzione sancisce la tutela della salute come «diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività» e, quindi, di fatto, obbliga lo Stato a promuovere ogni opportuna iniziativa e ad adottare precisi comportamenti finalizzati alla migliore tutela possibile della salute in termini di generalità e di globalità,
il Governo, in attuazione degli impegni assunti il 22 ottobre 2013 a seguito dell'approvazione della mozione n. 1-00193, dovrebbe aver già dato avvio alla ricognizione dello stato di utilizzo del combustibile solido secondario da parte dei cementifici sul territorio nazionale, compreso, quindi, l'impianto Italcementi spa di Calusco d'Adda –:
se il Ministro interrogato abbia assunto o intenda assumere le opportune iniziative a tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini, anche utilizzando il nucleo operativo ecologico dei carabinieri, per verificare lo stato dei luoghi e il livello d'inquinamento dell'area in cui sorge il cementificio, nonché il tipo di combustibile solido secondario utilizzato dall'azienda (se combustibile solido secondario o combustibile solido secondario-combustibile, ossia combustibile certificato e di qualità), la tracciabilità del combustibile, la quantità e qualità degli inquinanti che si prevede l'impianto possa emettere a seguito dell'incremento di utilizzo di combustibile solido secondario, nonché i monitoraggi previsti. (3-01513)
(19 maggio 2015)
PINNA, SOTTANELLI, ANTIMO CESARO e VARGIU. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione italiana sancisce che «le pene
devono tendere alla rieducazione del condannato»;
l'ideale rieducativo rappresenta l'unico riferimento esplicito alle funzioni della pena che si trovi nel testo ed è finalizzato al progressivo reinserimento armonico della persona nella società;
il combinato disposto dell'articolo 27, terzo comma, e dell'articolo 31, secondo comma, della Costituzione – letto quest'ultimo alla luce degli obblighi enunciati in numerose convenzioni internazionali, quali la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948), la Dichiarazione dei diritti del fanciullo (1959), le Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile (1985) e la Convenzione di New York sui diritti fondamentali del fanciullo (1989) – fa sì che la funzione rieducativa per i minorenni assuma un diverso significato rispetto a quello riferibile alla generalità delle persone;
al riguardo, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 168 del 1994, così come in successive pronunce, ha affermato che tale funzione «per i soggetti minori di età è da considerarsi se non esclusiva, certamente preminente» e, «proprio perché applicata nei confronti di un soggetto ancora in formazione e alla ricerca della propria identità», ha «una connotazione educativa più che rieducativa, in funzione del suo inserimento maturo nel consorzio sociale»;
il sistema penale per il minore rappresenta uno strumento di educazione rafforzata, finalizzato a collegare una sanzione al comportamento illecito e a determinare un'evoluzione positiva della personalità del soggetto, incentivandolo al rispetto dei valori della società;
in Italia, gli istituti penali per i minorenni sono 19 e assicurano l'esecuzione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria, quali la custodia cautelare o l'espiazione di pena nei confronti di minorenni autori di reato; al contempo, in tali strutture dovrebbero essere garantiti i diritti soggettivi dei minori alla crescita armonica psico-fisica, allo studio, alla salute, con particolare riguardo alla non interruzione dei processi educativi in atto ed al mantenimento dei legami con figure significative;
tuttavia, la situazione della giustizia minorile presenta diverse problematiche, fra cui una costante riduzione delle risorse finanziarie ed umane e la gestione non sempre efficace ed efficiente svolta dalle stesse amministrazioni preposte alla garanzia dei servizi minimi essenziali;
l'istituto penale per i minorenni di Quartucciu (unico istituto rientrante in tale categoria in Sardegna) provvede a dare esecuzione ai provvedimenti privativi della libertà a carico di giovani di età compresa tra i 14 ed i 21 anni, emessi da un'autorità giudiziaria del tribunale per i minorenni, la cui competenza territoriale riguarda il distretto di corte d'appello di Sassari e Cagliari;
l'edificio ospitante l'istituto sardo è stato costruito nei primi anni ’80, al fine di accogliere detenuti adulti ad alta pericolosità: per questo motivo, è situato in una zona lontana dalla vita sociale, nonché blindato e separato dal resto dell'area da un alto muro di cinta e diversi cancelli di sicurezza;
tale carattere tipico delle strutture di massima sicurezza mal si adatta alla natura della giustizia minorile, attenta ad adottare accorgimenti orientati a mitigare il contesto detentivo, rivolgendo al minore una tutela particolare;
è evidente che la situazione dell'istituto di Quartucciu presenta diverse problematicità: ne è l'amara riprova la recente lettera dell'ormai ex cappellano don Ettore Cannavera che, dopo 23 anni, ha scelto di dimettersi dall'incarico, denunciando una situazione non più sostenibile: «desidero segnalare la scarsa attenzione nei confronti della rieducazione e del recupero dei ragazzi affidatici dalla magistratura da parte degli enti che hanno in carico la supervisione dello stesso carcere: il dipartimento della giustizia minorile e il centro di giustizia minorile di Cagliari. Sottolineo, inoltre, le condizioni di abbandono in cui versa l'edificio stesso del carcere, circostanza che insieme alle altre condiziona pesantemente il progetto educativo già di per sé di difficile attuazione. Dopo ventitré anni di servizio volontario e di presenza assidua nel carcere di Quartucciu, negli ultimi due ho deciso di diradare gradualmente la mia presenza per l'incapacità di riconoscervi ancora un luogo ove si svolga quell'opera di recupero educativo e di reinserimento sociale che la nostra Costituzione attribuisce alla pena (articolo 27). Nel nostro carcere minorile si pratica una pedagogia penitenziaria che non riesco più a condividere. Scrive Gabrio Forti che una giustizia penale è democratica “in quanto mai disgiunta dall'impegno a generare solide risposte educative alla trasgressione”. Questo deve essere l'impegno di quanti operano attorno alla colpa, alla pena, alla riconciliazione. Nel carcere di Quartucciu, invece, le risposte pedagogiche latitano: tutto o quasi è subordinato alle sole esigenze di custodia e di sicurezza»;
tuttavia, il problema non è unicamente sociale, ma anche economico: attualmente, l'istituto ospita meno di dieci minori, a fronte di una capienza molto maggiore, con spese enormi pari a circa 1.000/1.200 euro giornaliere per ragazzo (comprensive delle spese di utenza);
si tratta di cifre non più sostenibili per l'inadeguatezza della struttura: infatti, dell'edificio viene sfruttata solo una piccola parte (la restante area è completamente inutilizzata) ed è impossibile, a causa di problematiche strutturali, parcellizzare le utenze con un conseguente dispendio di energia (il consumo di luce e gas nei mesi invernali è pari a quello che si sosterrebbe se tutte le sezioni fossero attive e occupate, ma i detenuti ad oggi sono solo sei);
si dovrebbe valutare, eventualmente, uno spostamento in altra sede, più piccola e funzionale allo scopo, possibilmente situata all'interno della zona abitata della città di Cagliari, al fine di garantire la necessaria osmosi fra minore e contesto esterno per assicurare l'attuazione del percorso rieducativo all'interno del tessuto sociale;
in tempi di spending review tale situazione non è ammissibile: è pertanto necessario che venga fatta una scelta di tipo sociale ed economico –:
se, a fronte delle diverse segnalazioni e testimonianze riportate dagli organi di stampa (emblematica quella dell'ex cappellano don Ettore Cannavera citata in premessa), ritenga opportuno effettuare attenti controlli all'interno dell'istituto penitenziario minorile di Quartucciu, allo scopo di verificare l'adeguatezza dell'edificio, della gestione amministrativa, nonché delle attività svolte nella struttura sarda, nonché valutare l'opportunità di destinare l'edificio che attualmente ospita l'istituto penale per i minorenni al suo originale uso, ossia istituto penitenziario per adulti, anche alla luce del sovraffollamento che attualmente sta gravando sulla struttura penitenziaria di Uta.
(3-01514)
(19 maggio 2015)
RUSSO, SARRO, CASTIELLO e PALESE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il tema della demolizione dei manufatti abusivi costituisce, in modo particolare nel Mezzogiorno, un argomento che tocca sensibilità particolari a causa della diffusione del fenomeno e della presenza di vaste aree in cui l'illegalità, certamente censurabile, ha fornito, in ogni caso, risposte immediate ad esigenze abitative, e quindi esistenziali e primarie, che meritano considerazione;
a ciò deve aggiungersi la scelta, operata dalla giunta regionale di centrosinistra (con leggi regionali poi dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale), di discriminare, nell'accesso all'ultimo provvedimento di sanatoria edilizia disposto dal legislatore nazionale, proprio i cittadini campani, ovvero quelli di una regione che, anche a causa di un andamento demografico ancora, fortunatamente, positivo, è caratterizzata da oggettive situazioni di tensione abitativa;
in Campania sono circa settantamila le persone che hanno subito il sopruso di quanto disposto dalla giunta di centrosinistra dell'epoca, che ritenne di non fare applicare per la Campania una norma nazionale di sanatoria;
il dramma della perdita della casa in cui si vive riguarda tanti nuclei familiari, in particolare i meno abbienti. Questi ultimi, molto spesso, sono senza alternativa e non sanno dove trasferirsi perché non dispongono di altra proprietà. Ciononostante le istituzioni sono obbligate a procedere per il rispetto della legge;
vale la pena sottolineare che il tema è nazionale, così come di respiro nazionale sono le soluzioni di riforma proposte in vari disegni di legge intesi a dare una qualche risposta definitiva al problema, senza veicolare alcuna forma di condono, neanche surrettizio, ma al contrario, ponendo le basi per una più razionale sistemazione, nell'ottica del principio della separazione dei poteri, delle procedure sanzionatorie degli illeciti urbanistici, con particolare riferimento agli ordini di demolizione;
il contrasto all'abusivismo edilizio, infatti, risulta affidato, nel sistema delle leggi vigenti (ovvero il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), ad una logica del doppio binario, poggiata cioè sia sull'azione repressiva dell'autorità giudiziaria, sia su quella dell'autorità amministrativa. Naturalmente le due autorità operano con forme e modalità differenti, ispirate rispettivamente ai principi del processo penale e della procedura amministrativa;
vi è, peraltro, un momento di significativa interferenza tra le due azioni, rappresentato proprio dall'ordine di demolizione adottato dal giudice con la sentenza di condanna, ai sensi dell'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che in questa parte riproduce l'originario articolo 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Tale ordine, infatti, per unanime e consolidato orientamento dottrinario e giurisprudenziale, ha natura di sanzione amministrativa e ha contenuto ripristinatorio eccezionalmente attribuito alla competenza dell'autorità giudiziaria. D'altra parte, proprio con riferimento alla natura amministrativa di tale ingiunzione, si sono affermati principi di maggior severità rispetto a quelli applicabili alle sanzioni penali. Esso comunque, in quanto contenuto in una sentenza di condanna penale, è suscettibile di esecuzione coattiva ad iniziativa dell'ufficio del pubblico ministero. Non vi è dubbio, in conclusione, che l'affidamento di questo potere sostanzialmente amministrativo al giudice ha carattere eccezionale e di deroga ai principi fondamentali del riparto tra i poteri dello Stato;
le ragioni che circa trent'anni fa indussero a riconoscere al giudice penale questo potere amministrativo extra ordinem non sono più convincenti e hanno prodotto nel tempo gravi distorsioni ed obiettive situazioni di iniquità: le esecuzioni degli ordini di demolizione, accumulati a migliaia negli uffici di esecuzione delle procure (soprattutto meridionali), e le esecuzioni realmente avvenute sono state effettuate secondo logiche imperscrutabili o sostanzialmente inique. Ci si riferisce, in particolare, alle esecuzioni eseguite sulla base del mero ordine cronologico fondato esclusivamente sulla data del passaggio in giudicato della sentenza che può portare, come di fatto è accaduto, all'abbattimento di piccoli abusi edilizi di necessità in luogo di abusi certamente speculativi collegati ad imprese, ad esempio, alberghiere o commerciali;
la soluzione più corretta e rispettosa dei principi sarebbe stata quella di porre fine alla sottrazione al potere esecutivo di un'incombenza certamente amministrativa, restituendola, invece, ad una delle sue più prestigiose articolazioni, quale la prefettura. Tale soluzione avrebbe garantito il necessario distacco dell'organo investito del potere-dovere della demolizione dalle pressioni delle comunità territoriali;
anche dal punto di vista procedurale si sarebbe posto fine all'improprio concorso di competenze, riportando il sistema a coerenza e riconducendo tutti gli interventi all'ambito più pertinente e corretto dell'azione amministrativa, condotta cioè da organi amministrativi nelle forme del procedimento amministrativo e con le garanzie della tutela giurisdizionale amministrativa;
non deve sorprendere, dunque, che siano stati presentati, nella XVI come nella XVII legislatura, diversi disegni di legge intesi a rimuovere, con esclusione delle operazioni edilizie di carattere speculativo, queste condizioni di discriminazione –:
quali iniziative, in particolare di carattere normativo, intenda intraprendere per razionalizzare e rendere più eque le procedure sanzionatorie degli illeciti urbanistici, con particolare riferimento all'attuale sistema con il quale si procede alla demolizione dei manufatti abusivi, caratterizzato da numerose criticità ed improprietà di struttura, in tal modo evitando che si verifichino situazioni come quella della regione Campania connotata, ad avviso degli interroganti, da notevoli anomalie. (3-01515)
(19 maggio 2015)