TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 414 di Giovedì 23 aprile 2015

 
.

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO ALLA COSIDDETTA CARTA DI MILANO, IN RELAZIONE AD EXPO 2015

   La Camera,
   premesso che:
    la Carta di Milano vuole essere un «patto sul cibo» da consegnare al pianeta per vincere la sfida alimentare globale. Una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati e dei cittadini del mondo per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti;
    la Carta nasce dalla sintesi di un percorso di ricerca, di confronto, di idee e di culture sul tema di Expo 2015 «Nutrire il Pianeta, energie per la vita», avviato da Laboratorio Expo fin dal 2013 e proseguito in vari incontri, fino all'evento organizzato il 7 febbraio 2015 a Milano «Expo delle idee» articolato in 42 tavoli di lavoro suddivisi in quattro percorsi di studio: le dimensioni dello sviluppo tra equità e sostenibilità, la cultura del cibo, l'agricoltura, gli alimenti e la salute per un futuro sostenibile, la città umana e i futuri possibili tra smart e slow city;
    la versione finale della Carta verrà presentata al pubblico il 28 aprile 2015; il testo sarà, poi, condiviso il 4 giugno 2015 con i Ministri dell'agricoltura dei 147 Paesi partecipanti ad Expo 2015 e, infine, il 16 ottobre 2015 il documento verrà consegnato al Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, in occasione della sua visita all'Expo;
    la Carta rappresenta un percorso bottom-up, ovvero dal basso verso l'alto: essa, infatti, vedrà protagonisti i cittadini, la società civile e le imprese che saranno chiamate, dal 1o maggio 2015, a sottoscrivere la Carta assumendosi la responsabilità di dare attuazione a precisi impegni. La Carta, infatti, conterrà una serie di impegni per cittadini, società civile e imprese contro lo spreco alimentare, per l'alimentazione sostenibile, per il diritto alla nutrizione, contro l'uso scorretto del suolo e delle risorse naturali. Saranno poi i cittadini, la società civile e le imprese a chiedere ai Governi e ai Parlamenti di tutto il mondo di assumere ulteriori impegni, giuridici e politici, puntualmente indicati dalla Carta;
    in questo senso la Carta rappresenta un modello del tutto innovativo di «protocollo» per il cibo: non sono i Governi a imporre dall'alto gli impegni, ma sono cittadini, società civile e imprese a impegnarsi in prima persona e a chiedere ai Governi di impegnarsi per raggiungere gli obiettivi del millennio;
    sostenendo la Carta di Milano, il Governo italiano fa propria la sfida di un sistema alimentare globale sostenibile attraverso azioni mirate a combattere lo spreco di cibo, favorire l'agricoltura sostenibile e contrastare fame e obesità. La strada da percorrere è indicata dalle parole di Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali con delega a Expo 2015: «La principale eredità di Expo è di contenuto e l'Italia darà anima al grande tema “Nutrire il Pianeta, energie per la vita” con la Carta di Milano, un protocollo per tutti i Paesi che decideranno di aderirvi e che in autunno arriverà a New York nella sede Onu per la definizione dei nuovi obiettivi del millennio». Un'eredità, dunque, di contenuto e di sostanza: immateriale nella sua definizione ma concreta, operativa e tangibile nella sua attuazione;
    secondo la Commissione europea la produzione e il consumo di cibo generano il 20-30 per cento di tutti gli impatti ambientali dell'Europa, il 17 per cento delle emissioni di gas serra, il 28 per cento di consumo di risorse materiali e altri impatti come consumo di suolo, perdita di biodiversità, deforestazione. Negli ultimi anni, inoltre, il settore agroalimentare è divenuto terreno di numerose illegalità gestite anche dalla criminalità organizzata. Ma l'agricoltura può in realtà divenire un'importante prospettiva di futuro per il nostro pianeta, sul piano economico e ambientale, ma anche culturale e sociale. Questo è possibile se si riscopre e si coltiva una relazione stretta fra cibo e produzione, se sono valorizzate e privilegiate le numerose pratiche agricole sostenibili, che da anni dimostrano di essere efficaci e di rappresentare una valida alternativa, se si favorisce la diffusione di un modello di agricoltura multifunzionale;
    sarebbe opportuno rilanciare la filiera corta di produzione creando una relazione diretta tra il produttore e il consumatore, che significa prima di tutto prodotti sempre freschi, genuini e di maggiore qualità, con dei costi molto contenuti e con un'attenzione anche all'ambiente. Essendo prodotti provenienti dal territorio le merci compiono meno passaggi, non devono essere imballate più volte e consentono una sensibile riduzione delle emissioni di anidride carbonica derivate dal trasporto; si incentiverebbe, altresì, anche la conoscenza dei prodotti tipici locali all'interno delle scuole, prodotti apprezzati e invidiati in tutto il mondo;
    il consumo di prodotti tipici e del territorio concorre al mantenimento di un buon stato di salute ed è, pertanto, particolarmente indicato per i bambini, ai fini di una corretta educazione alimentare. Il consumo di prodotti tipici e di qualità concorre, altresì, al mantenimento di forme di agricoltura ancorate al territorio e, quindi, anche alla tutela ed allo sviluppo dei valori economici, sociali e culturali che sono propri dei territori di cui gli stessi prodotti sono espressione;
    il cibo che si mangia, il modo in cui lo si produce, gli effetti sul nostro pianeta. Questi sono i temi di Expo 2015 e su questi temi tutto il mondo è chiamato a dare un contributo. Expo è un incrocio di culture. Fin dalla prima edizione londinese del 1851, le Expo servono soprattutto a questo: fare incontrare culture, etnie e comunità nazionali. A Milano ci saranno rappresentanti di 147 Pesi e turisti da tutto il mondo;
    per la prima volta nella storia delle Esposizioni universali, i Paesi partecipanti verranno raggruppati, anziché per criteri geografici, secondo identità tematiche e filiere alimentari. Sono nove i cluster telematici presenti a Expo Milano 2015: riso, cacao, caffè, frutta e legumi, spezie, cereali e tuberi, bio-Mediterraneo, isole, mare e cibo, zone aride. Al loro interno saranno visitabili aree comuni – mercato, mostra, eventi, degustazioni – e spazi espositivi individuali, in cui ciascun Paese interpreterà a modo proprio i temi dell'Esposizione;
    se si guarda al sistema alimentare globale ci si accorge di tre grandi paradossi del nostro tempo riguardanti il cibo: a fronte di un numero elevatissimo di persone che non vi hanno accesso, un terzo della produzione nel mondo è destinato ad alimentare gli animali e una quota crescente dei terreni agricoli è dedicata alla produzione di biocarburanti per alimentare le auto. E, a fronte di quasi un miliardo di persone al mondo che patiscono la fame o sono malnutrite, circa un miliardo e mezzo soffre le conseguenze dell'eccesso di cibo, aumentando il rischio di diabete, tumori e patologie cardiovascolari. Ogni anno si registrano 36 milioni di decessi per assenza di cibo e 29 milioni di decessi per eccesso di cibo, 144 milioni di bambini sono sottopeso, 155 milioni di bambini sono obesi o in sovrappeso. Infine, ogni anno viene sprecato un terzo della produzione alimentare globale, per un totale di circa 1,3 milioni di tonnellate all'anno, una quantità che sarebbe sufficiente a nutrire quasi un miliardo di persone che soffrono la fame o sono malnutrite. Nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima parte della filiera agroalimentare, soprattutto a causa dei limiti nelle tecniche di coltivazione, raccolta e conservazione o per la mancanza di adeguate infrastrutture per il trasporto e l'immagazzinamento. Nei Paesi industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali della filiera agroalimentare (consumo domestico e ristorazione, in particolare);
    compito di Expo è fornire una valida risposta alla domanda se la crescita esponenziale dell'accaparramento delle terre (land grabbing), l'intensificazione dell'agricoltura mediante un eccessivo input di fertilizzanti e pesticidi, l'introduzione di organismi geneticamente modificati siano gli unici strumenti che si hanno per sfamare il mondo oppure se sia nostro dovere, in primo luogo, rendere l'intera filiera del cibo, dalla produzione alla trasformazione e consumo, inclusi stili di vita alimentari, più efficiente e sostenibile;
    il modello degli organismi geneticamente modificati è del tutto contrario e controproducente per gli interessi del settore agroalimentare del nostro Paese, che si basa sulla tipicità e sulla qualità. Per l'Italia, gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico del made in Italy;
    di «ritorno alla terra» in Italia si parla ormai da diversi anni. La crisi e la disoccupazione spingono i più giovani a cercare nuove strade: anche in professioni, quelle agricole, che fino a qualche anno fa erano snobbate e considerate un retaggio del passato. È un fenomeno ancora marginale da un punto di vista numerico, ma che porta nuova linfa – e nuove competenze – nell'agricoltura italiana e che va seguito con attenzione;
    in tale contesto si segnala l'importanza del progetto, We-women for Expo, che parla di nutrimento mettendo al centro la cultura femminile, con la convinzione che la sostenibilità del pianeta passa attraverso una nuova alleanza tra cibo e cultura e che le artefici di questo nuovo sguardo e nuovo patto per il futuro debbano essere le donne;
    l'acqua è destinata a diventare una risorsa strategica quanto il petrolio, se non di più. Già oggi la scarsità d'acqua colpisce circa 1,2 miliardi di persone in ogni continente e altre 500 milioni di persone si troveranno presto a fare i conti con la siccità a causa del cambiamento climatico. Il consumo d'acqua potabile è cresciuto a velocità doppia rispetto alla crescita della popolazione nell'ultimo secolo. La produzione di cibo è in assoluto uno dei fattori che incidono di più sul consumo d'acqua potabile e ridurre l'impronta idrica degli alimenti è una priorità strategica;
    senza ricerca non c’è futuro, anche nel settore agroalimentare. La Carta di Milano è l'occasione per definire strategie di sviluppo scientifico dalla pesca sostenibile al consumo di suolo, dalle biotecnologie all'agricoltura di precisione, dagli organismi geneticamente modificati alla gestione degli scarti alimentari, dal food packaging al food-print;
    a fine ’800 esistevano circa 8.000 varietà di frutta. Oggi ce ne sono meno di 2.000. Le motivazioni sono diverse: l'industrializzazione dei processi produttivi, il cambiamento climatico e quello delle abitudini alimentari. Le varietà sopravvissute sono quelle più convenienti da produrre e più adatte al trasporto. È necessario sostenere tutti quei processi che favoriscono il ritorno ad un maggiore biodiversità. La biodiversità comprende la vita in tutte le sue forme e implica la centralità della tutela di tutte le specie viventi sulla terra. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha sancito il valore di tale patrimonio nel 1992 – a Rio De Janeiro – siglando la Convenzione sulla diversità biologica. Quando si rinuncia alla biodiversità in agricoltura si corrono gravi rischi, perché si rende facile la vita dei parassiti e si mettono a repentaglio intere filiere produttive;
    la sicurezza alimentare è una questione complessa che coinvolge l'intera filiera agroalimentare. Attiene ai rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi a cibi, mangimi e materiali a contatto; ma anche alle contraffazioni, alla tracciabilità, alle etichettature. Nonostante i piani nazionali integrati e gli accordi comunitari, le sfide da affrontare sono ancora difficili e richiedono soluzioni globali;
    le frodi e le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare rappresentano un fenomeno preoccupante e, nonostante l'intensificarsi dei controlli, continuano a svilupparsi in maniera crescente e fanno perdere risorse al nostro Paese, risorse che creano indispensabili rapporti commerciali che sono fondamentali per l'economia del territorio;
    l'educazione alimentare è senza dubbio un investimento importante per il futuro. Tutti gli studi dimostrano come un'alimentazione corretta sia il principale alleato nella prevenzione di malattie cardiovascolari e tumori, le malattie da cui deriva la maggior parte della spesa sanitaria;
    in tale contesto la dieta mediterranea, patrimonio culturale immateriale dell'Unesco, è un vero e proprio stile di vita che incorpora saperi, sapori, elaborazioni, prodotti alimentari, coltivazioni e spazi sociali legati ai territori. Proprio per valorizzare i valori legati alla dieta mediterranea e rivendicare una sorta di «orgoglio mediterraneo», l'Expo, su proposta del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, dedicherà una settimana di incontri, dibattiti, sperimentazioni alla «Dieta mediterranea patrimonio dell'umanità Unesco» dal 14 al 20 settembre 2015;
    le indicazioni geografiche dop (denominazione di origina protetta) e igp (indicazione geografica protetta) sono strumenti fondamentali per tutelare il made in Italy. I prodotti DOP e IGP italiani, infatti, rappresentano il 40 per cento dell'intera produzione a denominazione comunitaria, con un fatturato complessiva alla produzione di circa 7 miliardi di euro;
    dal falso olio extravergine di oliva ai prodotti Italian sounding che abbondano sui mercati internazionali: la contraffazione dei prodotti alimentari è una minaccia per la sicurezza dei consumatori e un danno per le imprese del settore, in particolare quelle che operano sui prodotti di alta qualità;
    la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari Italian sounding a livello internazionale hanno anche un rilevante impatto in termini di perdita di posti di lavoro che si potrebbero creare nel Paese con un'azione di contrasto a livello nazionale ed internazionale;
    dalle mozzarelle ai terreni agricoli, dai ristoranti all'autotrasporto, il business dell'agromafia fattura in Italia circa 14 miliardi di euro, trovando terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi e offrendo alla criminalità organizzata un appetibile strumento per riciclare denaro frutto di attività criminose;
    la creazione di un modello di allevamento, consumo e produzione sostenibili necessita di un intervento globale in cui le azioni dei Governi e delle istituzioni siano tese alla protezione e alla conservazione delle risorse del pianeta, allo sviluppo sostenibile, ad un uso efficiente delle risorse, alla lotta contro la fame e ad affermare il diritto alla sicurezza alimentare per tutti gli abitanti del pianeta ed è importante che la Carta di Milano sia il luogo d'assunzione di impegni di buone pratiche e modelli sostenibili in termini di politiche agricole;
    occorre evidenziare, anche in occasione di Expo 2015, il primato dell'agroalimentare e della sicurezza dei prodotti made in Italy; considerando, a tal fine, la possibilità di reintrodurre il vincolo per le aziende produttrici di scrivere sulle etichette lo stabilimento di produzione e di confezionamento dei prodotti alimentari allo scopo non solo di tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori, ma anche di permettere loro di scegliere un alimento rispetto a un altro, anche in base al Paese o alla regione dove questo è prodotto, per la tutela anche del made in Italy,

impegna il Governo:

   ad assumere il diritto al cibo come un diritto fondamentale anche valutando l'opportunità di adottare iniziative per inserirlo nella Costituzione;
   ad adoperarsi affinché la Carta di Milano sancisca un «patto per il cibo» che sia una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti, prevedendo, in particolare, i seguenti impegni:
    a) individuazione di un meccanismo che permetta ai Governi e ai sistemi di produzione, trasformazione e commercializzazione della filiera agroalimentare il raggiungimento di risultati dichiarati in modo esplicito e trasparente, prevedendo, ad esempio, che ogni singolo Paese sia tenuto a comunicare le finalità che intende raggiungere e gli obiettivi realizzati nell'ambito dei rapporti Ocse in modo che possano essere monitorati e giudicati dai cittadini;
    b) contenimento e riduzione del consumo di suolo in modo da limitarne l'impermeabilizzazione ed incremento delle food policies in modo da concentrare l'attenzione sulle funzioni ambientali ed agricole del suolo piuttosto che sugli usi urbanistici, per il contrasto al dissesto idrogeologico e per la produzione di cibo di qualità;
    c) incremento delle risorse per la ricerca scientifica ed applicata in agricoltura, al fine di sviluppare modelli di adattamento delle colture ai cambiamenti climatici e di migliorare la produttività agricola nell'ambito della biodiversità, con particolare riguardo alle principali colture euro-mediterranee;
    d) predisposizione di politiche agricole a sostegno dell'agricoltura contadina familiare, dei modelli di aziende biologiche, degli agricoltori che lavorano in modo ecosostenibile e dei piccoli agricoltori locali, consentendo il recupero e la coltivazione dei prodotti tradizionali, la migliore preservazione della biodiversità agraria con la conservazione e la valorizzazione delle varietà delle sementi, lo sviluppo di reti di acquisto di prodotti a chilometro zero, nonché il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche dei piccoli agricoltori;
    e) promozione dell'agricoltura urbana attraverso la creazione di orti urbani e di spazi destinati alla coltivazione, previa assegnazione in comodato ai cittadini da parte dei comuni;
    f) implementazione delle esperienze di agricoltura sociale e degli aspetti connessi alla multifunzionalità agricola e delle politiche connesse al ricambio generazionale e al sostegno delle donne in agricoltura, anche attraverso l'introduzione di apposite misure agevolative, nel rispetto dei vincoli di bilancio, e l'istituzione di banche dati nazionali delle terre incolte e abbandonate;
    g) promozione di azioni educative nella scuola finalizzate a rendere noti i cibi che figurano nella dieta, cosa e quanto si spreca sia come consumatori finali che nell'ambito del processo produttivo, le modalità di produzione del cibo, con particolare riferimento all'impatto sull'ambiente e sulla salute, valorizzando in particolare, a tal fine, le istituzioni scolastiche ubicate nelle aree marginali montane e soggette a spopolamento;
   in considerazione delle dimensioni assunte dal fenomeno dello spreco alimentare e, soprattutto, dalla portata dei suoi impatti, a sostenere le azioni necessarie a contrastare il fenomeno ed in particolare:
    a) a dare un significato univoco ai termini food losses e food waste e ad armonizzare a livello internazionale la raccolta dei dati statistici;
    b) a comprendere le ragioni degli sprechi alimentari nelle varie filiere agroalimentari e a valutarne meglio gli impatti;
    c) ad investire prima nella riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e poi sul loro recupero;
    d) ad avviare iniziative di recupero degli sprechi non ancora eliminati attraverso la distribuzione a persone svantaggiate e l'impiego come mangime o, come ultima alternativa, per la produzione di bioenergia;
    e) a favorire lo sviluppo di accordi di filiera tra agricoltori, produttori e distributori per una programmazione più corretta dell'offerta alimentare, anche al fine di prevedere condizioni adeguate, data l'importanza che riveste Expo 2015, affinché i produttori italiani di filiera corta siano in grado di presentarsi nel modo migliore al pubblico internazionale e dare, quindi, l'occasione alle qualità italiane di arrivare sui mercati esteri;
    f) a rendere il consumatore consapevole dello spreco e a insegnargli, a partire dalla scuola, come rendere più sostenibili l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale del cibo;
   ad istituire la «settimana della dieta mediterranea» coinvolgendo scuole, enti di ricerca, soggetti pubblici e privati, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica, diffondere, e far conoscere la cultura del mangiare mediterraneo e i suoi effetti benefici non solo sulla salute ma anche sui territori, sul paesaggio, sulla biodiversità agricola;
   ad individuare le possibili modifiche, nell'ambito dell'Unione europea e a livello nazionale, alla normativa in materia di appalti pubblici, prevedendo misure premiali nell'affidamento dei servizi di ristorazione scolastica e collettiva a favore delle aziende agricole che adottino metodi di produzione ecocompatibili o che svolgano una funzione di particolare rilevanza sociale;
   ad assumere le possibili iniziative al fine di contrastare il fenomeno del land grabbing, adottando modelli di sviluppo sostenibili che non incidano negativamente sui Paesi più poveri e sulla loro sicurezza alimentare e preservando il patrimonio legato alla terra e alle tradizioni locali, in modo da permettere lo sviluppo di economie rispettose della storia di ciascun popolo e del loro patrimonio agricolo;
   a razionalizzare l'utilizzo di agroenergie al fine di evitare che esse confliggano con la produzione di cibo e siano concentrate in aree marginali;
   a rafforzare controlli e strumenti per combattere le fitopatie alloctone;
   a promuovere il made in Italy, sia attraverso un modello innovativo di rete territoriale (dato che Expo è già oggi un metodo di lavoro fondato su progetti che mettono in dialogo le eccellenze italiane con i protagonisti della vita economica, sociale, culturale delle aree del mondo coinvolte), sia con un impegno forte e concreto, soprattutto in ambito europeo, per proteggere e valorizzare il made in attraverso norme chiare e adeguate, assumendo ogni iniziativa utile in tal senso anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano;
   a mettere in evidenza nella Carta di Milano l'esigenza di tutelare i prodotti di qualità attraverso le denominazioni di origine protette, parte rilevante delle economie di molti Paesi partecipanti ad Expo, a partire da quella italiana, anche al fine di adottare scelte che possano valorizzare davvero il made in Italy, affinché Expo sia una importante occasione per indicare impegni precisi da parte dei Paesi partecipanti atti a contrastare il dilagante fenomeno della contraffazione e delle sofisticazioni in campo agroalimentare;
   a promuovere il modello Expo 2015 nella solidarietà e nella cooperazione internazionale, valorizzando i progetti di sviluppo avviati in tutti i continenti, con decine di accordi stretti con le maggiori organizzazioni internazionali, come Fao, Onu, Millennium campaign, World food programme;
   ad adoperarsi, nell'ambito dei lavori concernenti l'elaborazione della Carta di Milano, affinché prosegua l'impegno nato con Expo Milano 2015 per il trasferimento tecnologico e di conoscenza ai Paesi in via di sviluppo con riferimento alle più recenti innovazioni, per garantire, a costi contenuti, un approvvigionamento più sicuro di cibo e acqua per la popolazione;
   a sostenere un impegno preciso all'interno delle Nazioni Unite e di tutte le organizzazioni internazionali affinché anche la Carta di Milano e i sei mesi di Expo diventino un'occasione planetaria per condannare lo sfruttamento che alcune realtà locali fanno dei minori in stato di indigenza;
   a sensibilizzare i cittadini in una più consapevole attenzione ai modelli nutrizionali, adoperandosi affinché, anche alla luce degli obiettivi della Carta di Milano, possa essere sviluppata un'incisiva educazione nei confronti dei consumatori in modo che aumenti sensibilmente la coscienza individuale e collettiva in relazione al valore primario del cibo;
   a favorire l'orientamento a modelli nutrizionali più sani attraverso il potenziamento della ricerca scientifica e tecnologica e la predisposizione di una campagna di comunicazione e di informazione ai cittadini al fine di adottare stili di vita sani;
   a contrastare con misure adeguate il fenomeno dell'infiltrazione nei processi produttivi agricoli di qualsiasi forma di criminalità organizzata, un pericoloso fenomeno che si sta sempre più diffondendo nel settore primario;
   ad assumere le opportune iniziative al fine di continuare, anche dopo Expo 2015, a prevedere il divieto dell'uso di organismi geneticamente modificati nelle produzioni agroalimentari e forestali in campo aperto, poiché il valore aggiunto delle produzioni italiane è dato dalla loro specificità ed una contaminazione da organismi geneticamente modificati porterebbe alla distruzione del sistema agroalimentare italiano e della biodiversità presente in Italia così come lo si conosce oggi, con le sue eccellenze, le sue varietà e le sue tipicità.
(1-00769)
(Nuova formulazione) «Speranza, Dellai, Gelmini, De Girolamo, Scotto, Guidesi, Catania, Rostellato, Schullian, Pastorelli, Oliverio, Sani, Fauttilli, Fregolent, Martella, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Gadda, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Mucci, Palma, Prina, Prodani, Rizzetto Romanini, Segoni, Taricco, Tentori, Turco, Venittelli, Zanin, Amoddio, Zaccagnini, Franco Bordo, Palazzotto, Pellegrino, Zaratti, Fratoianni, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Palese, Occhiuto, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti, Dorina Bianchi, Vignali, Alli, Tancredi».
(31 marzo 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Esposizione universale Expo 2015, che avrà luogo a Milano tra il 1o maggio e il 31 ottobre 2015, ha scelto come tema «Nutrire il Pianeta, energia per la vita», puntando l'attenzione su tutto ciò che riguarda l'alimentazione mondiale: dal problema della mancanza di cibo in alcune zone del pianeta, all'educazione alimentare, fino alla conoscenza delle attività legate alla produzione dell'agroalimentare e alle innovazioni introdotte rispetto all'agricoltura tradizionale, quali gli organismi geneticamente modificati;
    oltre agli aspetti legati alle attività economiche, la principale eredità di Expo 2015 è di contenuto e riguarda il diritto ad un'alimentazione sana, sicura e soprattutto sufficiente per tutto il pianeta, principalmente attraverso una rivalutazione dell'importanza del territorio, della redistribuzione e della genuinità del cibo, nonché della preservazione ed individuazione dei migliori strumenti di controllo e di innovazione;
    la Carta di Milano, una sorta di protocollo sul cibo che nasce da un percorso di ricerca, confronto e proposta sui temi di Expo, non è solo un documento di intenti, ma contiene una serie di impegni per cittadini, società civile ed imprese per un'alimentazione sostenibile, per il diritto universale alla nutrizione, per il contrasto al consumo del suolo agricolo e all'uso scorretto delle risorse naturali in quanto beni comuni, ed è finalizzata a sollecitare un'assunzione di responsabilità in tale direzione da parte dei Governi e dei Parlamenti di tutto il mondo;
    sostenendo la Carta di Milano anche il Governo italiano assume gli impegni che in essa sono contenuti. Il settore agroalimentare è una delle eccellenze del nostro Paese, tanto da essere l'unico settore in crescita – sia in termini di occupazione che di export di prodotti – in un momento di grave crisi economica come quello attuale; esso comprende, oltre alle grandi produzioni, anche tutti i prodotti tradizionali e locali derivanti dall'attività della piccola agricoltura contadina;
    molte sono le associazioni di cosiddetti «agricoltori contadini» che in questi anni stanno portando avanti la battaglia per il riconoscimento a livello nazionale di un'agricoltura piccola ma foriera di grande valore per la riscoperta e conservazione di colture tradizionali lavorate con metodi naturali, sostenibili e biologici;
    la piccola agricoltura contadina sposa pienamente il tema dell'Expo 2015, poiché ha come obiettivi quello di valorizzare le colture locali e disincentivare il consumo di prodotti che non siano derivanti da una filiera corta; di contemplare metodi di lavorazione, coltivazione e allevamento sostenibili e che usino la biodiversità agroalimentare come mezzo per rispondere alle sfide che impone il cambiamento climatico;
    circa 9 su 10 delle 570 milioni di aziende agricole esistenti al mondo sono gestite da famiglie e costituiscono un fattore potenzialmente cruciale di cambiamento verso il raggiungimento della sicurezza alimentare e l'eliminazione della fame; come afferma l'ultimo rapporto dell'Onu e come scrive lo stesso direttore generale della Fao, José Graziano de Silva, nell'introduzione al nuovo rapporto Fao, «le aziende agricole a conduzione familiare producono circa l'80 per cento del cibo a livello mondiale. La loro significativa presenza e la loro produzione testimoniano che esse sono cruciali per la soluzione del problema della fame che affligge 800 milione di persone (...) e che sono una componente chiave dei sistemi alimentari sani di cui abbiamo bisogno per condurre delle vite più sane»;
    è evidente che la strada da intraprendere, che verrà indicata dalla Carta di Milano, è in netta antitesi con quella adottata dalle multinazionali che producono cibo globalizzato (a danno delle tradizioni alimentari locali) e che spesso distruggono le sementi millenarie di alto valore per la sopravvivenza dell'agricoltura sana e di qualità. Infatti, è con l'agricoltura intensiva che si preparano cibi artefatti, sempre meno naturali, organismi geneticamente modificati, ridotti a qualcosa di simile al carburante necessario ad alimentare la «macchina umana» e che sottostanno all'esigenza di produrre sempre di più per consumare di più, per fare solo sempre più profitto;
    il 2015 è stato indicato dall'Onu come l'anno internazionale del suolo; è noto che esiste una stretta correlazione tra estensione della superficie agricola e sicurezza alimentare, eppure, ad esempio, in Italia il ritmo con cui si continua a perdere suolo agricolo è di 11 ettari all'ora, ovvero circa 2.000 alla settimana, 8.000 al mese. In poco meno di 20 anni si sono perduti qualcosa come due milioni di ettari coltivati, ovvero l'incredibile percentuale del 16 per cento di tutte le campagne agricole del Paese;
    la crescente sottrazione di suolo per uso agricolo rischia di incidere pesantemente sul costo dell'approvvigionamento alimentare in Italia, dove attualmente è coperto solo il fabbisogno di cibo di tre cittadini su quattro e si rendono pertanto necessarie le importazioni per coprire il restante deficit produttivo. Quindi, da una parte cresce la domanda di cibo, dall'altra diminuiscono le terre coltivate. Questa contraddizione va fermata non solo in Italia, ma in tutto il pianeta, onde evitare l'incremento della dipendenza dall'estero nel campo agroalimentare, in un contesto globale in cui le stime di Fao e Ocse parlano, per i prossimi anni, di un rallentamento della crescita produttiva mondiale, a cui si affianca però la costante crescita demografica che porterà nel 2050 a superare la soglia dei 9 miliardi di abitanti nel pianeta;
    l'Expo delle idee è stato avviato l'8 dicembre; in quella sede 42 tavoli tematici hanno dato il via ad un'elaborazione collettiva che si concluderà con la cosiddetta Carta di Milano. Il focus, come si sa, è puntato sulla nuova frontiera del diritto: il cibo per tutti. Malgrado l'ambizione, i gruppi di lavoro non hanno individuato un panel da dedicare al consumo del suolo indebolendo così la struttura dell'intero impianto;
    il 31 marzo 2015, in sede di presentazione del SOER 2015, dossier di valutazione integrata dell'ambiente in Europa, Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell'Agenzia europea dell'ambiente, ha sottolineato come manchi tuttora un obiettivo europeo comune sulla tutela del suolo, per il quale si prevede un trend di deterioramento anche per i prossimi 20 anni;
    l'uso sempre più frequente di fitosanitari in agricoltura specialmente se usati in maniera massiccia, può comportare danni alla salute; secondo il recente rapporto di cancerogenicità redatto dalla Iarc, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità, il glifosato, principale componente di molti erbicidi, è stato classificato come «probabilmente cancerogeno» assieme ai due insetticidi malatione e diazinone; mentre per gli insetticidi parathion e tetrachlorvinphos (Tcvp), già proibiti o di utilizzo ristretto in molti Paesi, la classificazione è stata quella di «possibili» agenti cancerogeni;
    tra i fitosanitari figurano anche i pesticidi, attualmente in discussione in quanto barriere non tariffarie al commercio, oggetto di accordi come il TTIP; nell'ottica di favorire il commercio, le grandi aziende di ogni settore, incluso quello agroalimentare, puntano in accordo con la Commissione europea e il Governo degli Usa a togliere ogni barriera normativa in merito ai pesticidi non autorizzati e ai loro limiti massimi residui, seguendo la logica del minimo comun denominatore;
    uno studio dell'università di Harvard ha recentemente verificato la possibile correlazione tra il consumo di cibi contaminati da pesticidi e i problemi di fertilità maschile. L'effetto negativo di queste sostanze sulla fertilità era stato documentato solo in soggetti esposti per motivi professionali; ora invece è stato provato anche in relazione al consumo di pesticidi direttamente ingeriti attraverso l'alimentazione;
    il consumo di alimenti di origine animale, legato al modello culturale ed economico dei Paesi industrializzati, è in continua crescita, con implicazioni sulla salute, sulla spesa sanitaria, sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare, considerato che, secondo i dati Fao, nel 2050 la popolazione arriverà oltre i 9 miliardi di persone, con il conseguente problema di raddoppiare la produzione globale di cibo, mentre le risorse sostenibili sono limitate;
    dagli anni Sessanta, infatti, l'Italia ha visto quasi triplicare i propri consumi di carne, da 31 a 87 chili nel 2011, contrariamente alle raccomandazioni delle linee guida internazionali sulla salute e alle indicazioni dell'equilibrata dieta mediterranea. Secondo l'edizione 2010 delle Dietary Guidelines for Americans, una dieta di 3400 calorie giornaliere ammette, all'anno, per non essere dannosa, un consumo massimo complessivo di carne e uova pari a 50,12 chili e di 16,2 per il pesce. I dati Fao, invece, indicano che l'Italia ha un consumo medio, rispettivamente, di 103 e di 24,6 chili annui;
    la produzione di alimenti di origine animale, dovuta alla crescente richiesta dei consumi, ha un forte impatto ambientale. È la principale causa del consumo di risorse indispensabili come l'acqua e il fosforo, sta portando al consumo e al degrado del suolo – per produrre mangimi e per la deforestazione destinata al pascolo – con conseguente minaccia alla biodiversità e alla fertilità e contribuisce, in maniera importante, all'inquinamento dell'acqua e dell'aria;
    gli allevamenti, infatti, producono il 14,5 per cento delle emissioni globali di gas serra, con un'incidenza significativa sul cambiamento climatico. Per questo, secondo l’Intergovernmental panel on climate change Ipcc – solo diminuendo il consumo di cibo di origine animale a una media di 90 grammi al giorno, come raccomandato dalle linee guida mediche inglesi, si potrebbe raggiungere, dal 2030, una riduzione di 2,15 miliardi di tonnellate di anidride carbonica l'anno,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano, per:
    a) promuovere il contenimento del consumo del suolo e il riuso del suolo edificato al fine di ottenere il reale «consumo di suolo zero»;
    b) promuovere ogni possibile metodo alternativo all'utilizzo dei fitosanitari di sintesi, ivi inclusi quelli per il comune diserbo, anche costruendo una rete di coordinamento a livello mondiale;
    c) promuovere, in occasione di negoziati internazionali volti alla conclusione di accordi commerciali internazionali, il rispetto di elevati parametri di sicurezza umana e ambientale;
    d) promuovere la riduzione del consumo di alimenti di origine animale, come azione imprescindibile per migliorare la salute dei cittadini e l'impatto ambientale, che sta portando alla perdita irreversibile di risorse naturali critiche e all'aumento delle emissioni inquinanti, indirizzando la società verso scelte alimentari consapevoli e responsabili, che possano garantire la salvaguardia dell'ambiente e un sistema più equo della distribuzione delle risorse per la futura sicurezza alimentare;
    e) sostenere un cambiamento virtuoso dello stile di vita dei cittadini verso modelli culturali, economici e sociali più salubri e sostenibili, attraverso la promozione di attività di informazione e sensibilizzazione e mediante iniziative per l'introduzione, nei luoghi di ristorazione pubblici o convenzionati, di un'adeguata alternativa di menù privi di alimenti di origine animale;
   ad intraprendere ogni utile azione, specialmente in occasione di Expo 2015, volta a promuovere un'alimentazione sana e un'agricoltura biologica e priva di organismi geneticamente modificati;
   a riservare, nell'ambito dell'esposizione, distinti padiglioni all'agricoltura biologica e di qualità e alla promozione di colture «ogm free»;
   a promuovere, nell'ambito dell'esposizione, l'agricoltura familiare, anche garantendo alle aziende che hanno tali caratteristiche la possibilità di usufruire gratuitamente di stand, i cui costi andrebbero a carico delle multinazionali presenti;
    a promuovere in sede di Unione europea la ripresa dei lavori concernenti la direttiva in materia di protezione del suolo tramite tutti gli strumenti possibili, anche considerando quelli previsti dall'articolo 20, paragrafo 2, del Trattato sull'Unione europea, e dagli articoli 326-334 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
(1-00778)
«Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Busto, De Rosa, Mannino, Terzoni».
(8 aprile 2015)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE AGLI ENTI LOCALI ADEGUATI TRASFERIMENTI DI RISORSE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A QUELLI NECESSARI PER L'ESPLETAMENTO DEI SERVIZI SOCIALI ESSENZIALI, ANCHE IN RELAZIONE ALLE DISPOSIZIONI DELLA LEGGE DI STABILITÀ PER IL 2015

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni i Governi centrali che si sono succeduti, nell'operare tagli per contenere la spesa pubblica, hanno di fatto strangolato l'economia degli enti locali;
    in un momento di difficoltà come quello che ha vissuto il nostro Paese negli ultimi anni è giusto che ognuno faccia la sua parte, nessuno escluso; inoltre, tale operazione ha provocato – in un primo momento ed entro certi limiti – un virtuoso contenimento delle spese inutili ed un taglio degli sprechi purtroppo molto presenti nella spesa pubblica del nostro Paese;
    tuttavia negli anni, e segnatamente con la legge di stabilità per il 2015 del Governo Renzi, si è giunti ad un livello di insostenibilità tale da pregiudicare seriamente le ormai già esigue spese dei bilanci comunali destinate al welfare, con particolare riferimento al sostegno delle fasce sociali più deboli;
    è chiaramente molto facile e demagogico vantarsi di ridurre la pressione fiscale tagliando i trasferimenti agli enti territoriali;
    occorre considerare che il comune è percepito da larghe fasce della popolazione come l'ente più vicino ai cittadini e il sindaco rappresenta una figura di riferimento, in quanto rappresentante dello Stato. Il sindaco è, soprattutto, l'ultimo baluardo in difesa dei diritti dei più deboli;
    i servizi sociali, infatti, da sempre assorbono la maggior parte delle risorse di cui dispongono i comuni (dopo le spese di personale e del servizio rifiuti): minori senza famiglia, anziani, disabili, emergenza casa. Sono tutte realtà alle quali i comuni cercano di dare una risposta;
    l'ammontare dei tagli significa una riduzione dei servizi che si ripercuote inevitabilmente sui più deboli; in una prima fase, infatti, gli amministratori hanno tagliato ciò che era importante, ma non fondamentale per la tenuta sociale: cultura, commercio, sport, viabilità, turismo e così via (si fa un gran parlare di cultura e turismo, ma quasi nulle sono ormai le risorse che i comuni riescono a destinare ogni anno agli assessorati competenti);
    negli ultimi 5 anni i comuni hanno visto ridursi le proprie risorse disponibili per la spesa corrente di oltre il 20 per cento: l'emergenza ora riguarda i servizi sociali ed educativi. Ormai i comuni non sono in grado neppure di garantire i servizi primari;
    un ulteriore elemento di difficoltà per i comuni è l'incertezza nella quale vengono costretti a lavorare, dal momento che ogni anno viene cambiata la fiscalità locale e le informazioni definitive sulle risorse di cui i comuni potranno disporre arrivano sempre ad anno ampiamente iniziato. Ciò rende del tutto aleatorio, se non impossibile, strutturare una programmazione seria e pluriennale e chiudere il bilancio preventivo entro la data prevista dalla legge, ovvero il 31 dicembre;
    i sindaci si sono ritrovati soli e hanno provato a protestare come potevano, per cercare di far capire ai cittadini cosa stava accadendo, così come accaduto;
    solo per fare tre piccoli esempi, il comune di Isola Rizza, 3.300 abitanti in provincia di Verona, ha deciso di chiudere per tre giorni, in segno di protesta, le porte del municipio. Il sindaco vuole fare capire come la misura sia ormai colma;
    l'ANCI Sicilia ha organizzato una serie di dimostrazioni di protesta: il 29 gennaio 2015 oltre 390 comuni hanno spento le luci dalle 19 alle 19.05, mentre il 9 febbraio 2015 oltre 200 consigli comunali della regione siciliana hanno approvato – tutti nella medesima data – una risoluzione nella quale si chiedeva al Governo centrale di: costituire un tavolo permanente di concertazione tra Stato, regione siciliana e comuni dell'isola per affrontare la grave crisi finanziaria; modificare la norma che ha rivisto il regime di esenzioni dall'IMU per i terreni agricoli, con particolare riferimento all'imposta relativa al 2014; contenere i tagli a valere sul fondo di solidarietà nazionale; rendere più flessibili le regole relative al patto di stabilità, anche al fine di favorire, laddove possibile, le spese per investimenti; prevedere misure che, anche in relazione all'attuazione dell'armonizzazione contabile dei bilanci, possano far fronte al crescente fenomeno di comuni che dichiarano il dissesto finanziario; rivedere la norma che ha previsto il definanziamento dei fondi per la politica agricola comune;
    nella legge di stabilità per l'anno 2015 dei 16,6 miliardi di euro di tagli di spesa, ben il 49 per cento, ovvero 8,1 miliardi, sono a carico di comuni, province e regioni: si tratta di una quota decisamente superiore al peso che le amministrazioni locali hanno sul totale della spesa pubblica (29 per cento). Volendo fare un confronto, i tagli alle amministrazioni locali è pari al quadruplo di quanto tagliato ai ministeri (2 miliardi di euro nel 2015);
    il contributo maggiore è quello richiesto alle regioni (4 miliardi di euro), laddove 1,2 miliardi di euro è il taglio del fondo di solidarietà comunale e 1 miliardo di euro (che salirà a 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi dal 2017) è il contributo richiesto alle province e città metropolitane; nella valutazione occorre considerare anche i tagli decisi dal 2015 con il decreto-legge n. 66 del 2014;
    gli enti locali in questa fase debbono anche far fronte all'avvio del fondo per i crediti di dubbia esigibilità, previsto dall'armonizzazione contabile, che equivale ad un taglio di spesa 1,9 miliardi di euro annui a partire dal 2015 e rientra nel calcolo del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità;
    secondo quanto si legge a pagina VII della relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti territoriali per l'esercizio 2013, depositata il 29 dicembre 2014, tali tagli «riducendo gravemente le possibilità di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal titolo V della Costituzione, rendendo necessaria l'adozione di strumenti idonei affinché i futuri interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura finanziaria in grado di salvaguardare il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali (...) Senza un più deciso e convinto sostegno alle politiche redistributive e di intervento compensativo volte a rimuovere le cause strutturali dei divari regionali che si frappongono allo sviluppo ed all'integrazione economica delle aree più marginalizzate del Meridione, i problemi di ritardo nell'infrastrutturazione territoriale non potranno che aggravarsi e gli ostacoli ad una maggiore crescita economica saranno più difficilmente contrastabili di fronte all'emergere di fattori di crisi prodotti dall'attuale fase recessiva e dalle inevitabili tensioni che ad essi si accompagnano»;
    e ancora, alle pagine 14 e 15 di detta relazione, si legge: «Dal quadro delle misure complessivamente adottate, deve dunque ritenersi che il patto di stabilità interno abbia costituito, in questi anni, lo strumento principe non solo per realizzare le finalità di finanziamento del debito pubblico e di consolidamento dei conti pubblici, ma anche per attuare un percorso di progressivo ridimensionamento delle funzioni di spesa delle autonomie territoriali e di quelle regionali in particolare. Attraverso l'imposizione di tetti di spesa e vincoli ai saldi di bilancio, il patto di stabilità interno ha realizzato, a valere sulle finanze degli enti territoriali, economie per complessivi 33,4 miliardi di euro, parte delle quali si sono tradotte in corrispondenti tagli ai trasferimenti statali, con relative economie di spesa e benefico impatto sul saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato. L'entità di tali misure di contenimento della finanza territoriale è rapportabile al complessivo effetto di contenimento della spesa realizzato dal 2009 a carico delle amministrazioni centrali e degli enti previdenziali messi insieme (pari a circa 35 miliardi di euro). Tuttavia, poiché la spesa primaria annua degli enti territoriali (esclusa la componente sanitaria) corrispondeva, nel 2009, a circa 112 miliardi di euro, a fronte di un'omologa spesa primaria di amministrazioni centrali ed enti previdenziali pari a circa 506 miliardi di euro, appare evidente la misura del sovradimensionamento del contributo della finanza territoriale al riequilibrio dei conti pubblici. In altri termini, lo sforzo di risanamento richiesto alle amministrazioni territoriali con i vincoli disposti dal patto di stabilità interno risulta non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, il che ha prodotto un drastico ridimensionamento delle funzioni di spesa di queste ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche»; ciò è confermato anche dallo studio Ifel-Fondazione Anci dal titolo «La finanza comunale in sintesi» dell'ottobre 2014. Nell'introduzione a tale documento (pagine 5 e 6) si legge che «anche per effetto della persistente crisi finanziaria che attraversa il Paese ormai da qualche anno, i comuni vivono una stagione di profondo malessere. Le difficoltà assumono certamente una dimensione finanziaria, con risorse sempre più scarse disponibili in bilancio, ma sono dovute anche ad un quadro normativo incerto, confuso e in definitiva restio nel valorizzare compiutamente l'autonomia degli enti locali. Ne deriva una condizione di crescente difficoltà, sia sul piano programmatico che in fase gestionale, resa ancor più delicata dal ruolo di “gabelliere dello Stato” affidato negli ultimi anni dal Governo centrale ai comuni, di fatto obbligati ad aumentare in misura significativa le imposte locali, senza, però, essere nelle condizioni di poter offrire maggiori servizi ed investimenti alle comunità di riferimento. (...) Esclusi alcuni fattori intervenuti sul piano contabile e la componente inflazionistica, infatti, negli ultimi anni il trend della spesa corrente comunale evidenzia una crescita pressoché nulla, accompagnata da una drastica contrazione degli investimenti, soprattutto a causa dei vincoli sempre più stringenti imposti dal patto di stabilità interno»;
    tale situazione si rivela ogni giorno sempre più insostenibile per la tenuta del patto sociale che tiene insieme i cittadini italiani;
    peraltro, occorre considerare che nelle ultime settimane numerose fonti di stampa denunciano pubblicamente il rischio di commissariamento diffuso che potrebbe riguardare moltissime amministrazioni locali, dal momento che le sanzioni per chi non approverà in tempo il consuntivo 2014 prevedono la sospensione di tutti i pagamenti (fondo di solidarietà in primis) fino a quando i dati non arriveranno ai Ministeri seguendo la procedura stabilita; ciò comporterà che molte amministrazioni locali avranno serie difficoltà a rispettare la data di scadenza fissata per il 30 aprile 2015;
    anche l'Anutel, mediante lettera inviata al Ministro dell'interno, ha chiesto di spostare la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio 2015;
    per circa 400 comuni italiani, quelli che negli anni scorsi hanno già avviato la sperimentazione della riforma della contabilità, la situazione risulta essere disperata, in quanto con il consuntivo si troveranno costretti ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi. A questa già critica situazione si aggiunge anche la novità in arrivo da Arconet riguardante gli obblighi di accantonamento nel fondo crediti di dubbia esigibilità nel rendiconto;
    il testo unico enti locali impone la consegna del rendiconto ai revisori almeno venti giorni prima dell'avvio in consiglio della sessione di bilancio; quindi, gli enti locali, per poter sperare di rispettare il termine del 30 aprile 2015, dovrebbero avere già deliberato il bilancio in giunta;
    anche nel 2014 la scadenza ha subito una dilazione, con nuova data fissata al 30 giugno 2014, a seguito della revisione straordinaria del gettito prodotto nel 2013 dall'IMU sui fabbricati di categoria D avviata dal decreto «salva Roma ter»;
    infine, a seguito della conferma del regime 2014 della TASI e dell'IMU recata dal comma 679 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per l'anno 2015), si rende necessario ripristinare il fondo straordinario integrativo di 625 milioni di euro già erogato per l'anno 2014, in considerazione dell'impossibilità per un'ampia fascia di comuni di ricostituire il gettito già acquisibile con il previgente regime IMU, per effetto dei più stringenti limiti all'aliquota massima della TASI introdotti originariamente per il solo 2014;
    tale integrazione riguarda circa 1.800 comuni per una popolazione di oltre 30 milioni di abitanti. La sua abrogazione porterebbe ad una crisi insanabile gli equilibri di molti di tali enti, anche considerando gli effetti della nuova contabilità e dei rilevanti ulteriori tagli disposti dalla stessa legge di stabilità per l'anno 2015;
    l'incidenza del mancato consolidamento è resa ben evidente dalla considerazione che circa la metà dei comuni in questione subirebbero un taglio aggiuntivo (rispetto a quanto espressamente stabilito dalla legge) pari a oltre il 50 per cento, con punte del 300 per cento. Di questi comuni particolarmente colpiti, oltre 600 sono di dimensioni minori (fino a 10 mila abitanti),

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per ripristinare integralmente il valore complessivo dei trasferimenti tagliati con la legge di stabilità per l'anno 2015;
   a non effettuare ulteriori riduzioni, negli anni futuri, fino a quando lo sforzo richiesto in termini percentuali agli enti locali non sia stato sostenuto anche dalle istituzioni centrali;
   a garantire in ogni caso, anche agli enti locali in dissesto, i trasferimenti necessari all'espletamento dei servizi sociali essenziali, come l'assistenza ai cittadini disabili;
   a garantire agli enti locali i tempi necessari per una programmazione seria, assumendo iniziative per definire norme certe sull'ammontare delle risorse di cui potranno disporre nell'anno seguente entro la fine del mese di ottobre, in modo da permettere di approvare i bilanci previsionali entro il 31 dicembre di ogni anno;
   a non ridurre i trasferimenti a disposizione degli enti locali nell'esercizio in corso e a non assumere iniziative per la modifica delle norme sulla fiscalità locale;
   pur a spesa complessiva invariata per l'insieme delle amministrazioni comunali, a definire con idonee analisi e un confronto con le autonomie locali i fabbisogni standard degli enti anche in termini di personale e dei relativi tetti di spesa, definendo un criterio il più possibile uniforme a livello nazionale che regoli il rapporto spesa del personale/popolosità dell'ente, in modo da distribuire al meglio la spesa dei comuni e giungendo così a criteri razionali che raggruppino i fabbisogni di comuni di pari livello e popolazione, con il superamento dell'attuale criterio di blocco/riduzione orizzontale ed acritico di tale spesa per ciascun comune indipendentemente dalla sua efficienza e dalle sue necessità comparabili;
   a svincolare dai tetti di spesa i costi di formazione del personale per delimitati settori e corsi autorizzati a livello centrale finalizzate ad incrementare la capacita di analisi sull'efficienza di spesa dei servizi, quali efficienza energetica, ricaduta socioeconomica di indotto delle azioni, digitalizzazione;
   ad assumere iniziative normative per spostare, alla luce di quanto esposto in premessa, la data ultima di approvazione dei consuntivi 2014 al 31 maggio o al 30 giugno 2015;
   al fine di far fronte alle minori risorse e garantire i servizi ai cittadini e, quindi, di porre in essere tutte le azioni necessarie a ridurre la spesa corrente tra cui la rinegoziazione del debito, consentire l'utilizzo di tutte le fonti disponibili, compreso l'avanzo e la ristrutturazione del debito mediante accensione di nuovi prestiti (come previsto dal comma 2 dell'articolo 41 della legge n. 448 del 2001), assumendo un'iniziativa normativa per abrogare il vincolo di utilizzo esclusivo dei proventi da dismissioni che riguarda il rimborso dei prestiti obbligazionari;
   in conseguenza della decisione di posticipare l'avvio della local tax, ad assumere iniziative normative per ripristinare il trasferimento integrativo di 625 milioni di euro, indispensabile agli enti locali, già oggetto di pesanti tagli sulle risorse del fondo di solidarietà comunale, per garantire i servizi essenziali ai cittadini.
(1-00741)
(Nuova formulazione) «Luigi Di Maio, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(20 febbraio 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo calcoli della Cgia di Mestre dal 2011 al 2015 i tagli ai trasferimenti sarebbero costati ai comuni 27,3 miliardi di euro. Si tratta di tagli che i comuni hanno dovuto compensare con aumenti dei tributi locali a partire dall'addizionale Irpef per garantire servizi essenziali ai cittadini. Solo nel 2014 i tributi comunali sono saliti del 9 per cento;
    complessivamente dal 2009 ad oggi le misure di austerità sarebbero costate agli enti locali 26,4 miliardi di euro, mentre per lo stesso periodo i tagli subiti dai ministeri sarebbero pari a soli 6,4 miliardi di euro;
    nel 2015 la maggior parte dei tagli si è concentrata su regioni e enti locali per 5,2 miliardi di euro;
    sui comuni, in seguito all'approvazione della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), gravano in modo determinante non solo i tagli, ma anche l'avvio della riforma della contabilità pubblica. In particolare, il primo atto dell'applicazione dei nuovi principi contabili sarà costituito dal riaccertamento straordinario dei residui attivi. A seguito di questa operazione e poi di anno in anno, la massa di residui in bilancio che eccede la dimensione di ragionevoli previsioni di realizzo, anche posposto nel tempo, viene accantonata sul Fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde), contribuendo ad una contrazione della spesa di pari importo sul bilancio corrente;
    i vincoli effettivi della manovra finanziaria (obiettivo nominale di patto di stabilità e Fondo crediti di dubbia esigibilità) costituiscono per la finanza pubblica due componenti dello stesso risultato atteso: un contributo da parte dei comuni di circa 3,4 miliardi di euro. È con questa dimensione di manovra che ciascun comune avrebbe comunque dovuto fare i conti nella formulazione del proprio bilancio di previsione;
    infatti, a fronte di un'evidente riduzione della percentuale prevista per la determinazione del saldo obiettivo ai fini del patto di stabilità (ora pari a 1,8 miliardi di euro) deve aggiungersi la stima degli effetti dell'introduzione del nuovo sistema contabile a regime (1,75 miliardi di euro a titolo di Fondo crediti di dubbia esigibilità, come da stima ministeriale) per un importo complessivo pari a 3,350 miliardi di euro. La reale riduzione dell'obiettivo, tenendo conto del forte impatto sui bilanci dell'armonizzazione contabile, è pari al 19 per cento rispetto al 2014;
    l'alleggerimento degli effetti dell'armonizzazione, già ottenuto con modifiche alla legge di stabilità, ha fornito agli enti più flessibilità nella gestione finanziaria (tagli non computati in «riduzione della spesa corrente», accantonamento graduale del Fondo crediti di dubbia esigibilità sui bilanci, rinegoziabilità generale dei mutui), confermando però nella sostanza le dimensioni generali dell'intervento;
    la proposta approvata dalla Conferenza Stato-città e autonomie locali nel febbraio 2015 punta a dimensionare in modo più sostenibile e razionale il contributo di ciascun comune e lascia al singolo ente la decisione sul riparto del proprio obiettivo complessivo tra ammontare del Fondo crediti di dubbia esigibilità effettivamente accantonato in previsione e obiettivo del patto di stabilità vero e proprio. Il nuovo meccanismo contiene due profili di innovazione: la revisione dei criteri di calcolo, basati sulla spesa corrente, non modificati dal 2011, dai quali deriva il 60 per cento dell'obiettivo; l'introduzione di nuovi criteri connessi alla capacità di riscossione per il calcolo del restante 40 per cento;
    la prima parte della revisione è in qualche misura un atto dovuto. I criteri sottostanti alla quantificazione inserita nella legge di stabilità facevano ancora riferimento alla sterilizzazione dei tagli previsti dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in proporzione dei «trasferimenti statali» del 2010, dai quali è ormai trascorsa un'intera epoca. Con la forte riduzione dell'obiettivo nominale (da 4,4 a 1,8 miliardi di euro), l'utilizzo di un parametro così obsoleto – in pratica la dotazione di trasferimenti, ormai aboliti – avrebbe determinato disparità insostenibili. Il metodo considera l'effetto di tutti i tagli intervenuti dal 2011 al 2014, esclude dai calcoli l'anno con livello di spesa corrente più elevato nel quadriennio 2009-2012, esclude le spese per il servizio rifiuti (finanziato da un prelievo fiscale dedicato) e trasporto locale, abbattendo le variazioni dovute alle diverse previsioni dei contratti di servizio e agli alterni andamenti dei contributi regionali sul trasporto pubblico;
    a queste razionalizzazioni si aggiunge una correzione a favore degli enti che mostrano una tendenza alla riduzione della spesa corrente. Una necessaria clausola di salvaguardia assicura che questa quota di obiettivo non produca aggravi superiori al 20 per cento rispetto all'obiettivo 2014 riproporzionato;
    la seconda quota introduce il criterio della capacità di riscossione delle entrate proprie, che risponde all'esigenza contingente di collegare l'obiettivo finanziario a una proxy del Fondo crediti di dubbia esigibilità. Se un comune registra un indice di capacità di riscossione più elevato, ci si può attendere un minore ammontare del Fondo crediti di dubbia esigibilità imputato sul bilancio di previsione e quindi, in assenza di un correttivo specifico, l'obiettivo del patto di stabilità che ne risulterebbe sarebbe troppo elevato. Si tratta di un'esigenza contingente, poiché l'emersione dell'effettivo impatto del Fondo crediti di dubbia esigibilità permetterà di determinare questa componente della manovra anche a livello di singolo ente, già nel corso del 2015 e certamente dal 2016;
    infine, ad alcune esigenze di alleggerimento del patto di stabilità (enti capofila, oneri imprevedibili, messa in sicurezza delle scuole e del territorio, bonifiche dell'amianto) contribuisce un fondo di 100 milioni di euro da redistribuire in corso d'anno;
    c’è da augurarsi che l'allentamento dei vincoli generali di finanza pubblica e la consapevolezza della sproporzione degli oneri richiesti ai comuni possano riaprire il percorso di superamento del patto di stabilità e di autonomia finanziaria locale di cui il Paese ha bisogno;
    è ancora in corso la trattativa riguardante i tagli previsti dalla legge di stabilità del 2015 e pari a oltre tre miliardi. I problemi sono molteplici e riguardano:
     a) il contributo alla manovra 2015 delle città metropolitane, contributo che necessita di un riequilibrio del carico tra le varie città (la versione definitiva ha alleggerito il carico comunque fino a quota 256 milioni di euro). I tagli infatti si scaricano per oltre il 75 per cento su Roma, Firenze e Napoli;
     b) la riforma del patto di stabilità e delle sanzioni per chi lo ha sforato nel 2014, in particolare per le città metropolitane che hanno ereditato tale sforamento dalle province;
     c) la replica del fondo perequativo IMU-Tasi di 625 milioni di euro, risorse distribuite nel 2014 a 1.800 comuni, essendo il fondo previsto per il solo 2014 ed essendo però la local tax rinviata al 2016;
     d) lo stanziamento di maggiori ed adeguate risorse finanziarie da parte del Governo da destinare all'eventuale scostamento tra il gettito effettivamente riscosso dai comuni e le stime ministeriali del gettito atteso in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani di cui al decreto-legge n. 4 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 34 del 2015 (cosiddetta IMU agricola), al fine di evitare scompensi sugli equilibri dei bilanci di competenza 2014 e i conseguenti rischi di mancato rispetto del patto si stabilità da parte degli enti locali;
     e) inoltre, la questione delle province e dei loro dipendenti (l'Unione delle province d'Italia denuncia che anche le poche province che riusciranno a chiudere i bilanci nel 2015 non riusciranno a farlo nel 2016) per la parte che concerne l'assorbimento di tale personale da parte delle città metropolitane e dei comuni;
    si prospettano alcune ipotesi – non tutte condivisibili – per risolvere le questioni ancora da definire, tra le quali:
     a) una rinegoziazione dei mutui con la Cassa depositi e prestiti aggiornando i tassi di interesse a quelli di mercato;
     b) l'introduzione di una tassa di un euro o due per ogni passeggero sui biglietti di aerei e navi;
     c) la possibilità di utilizzare in via eccezionale i proventi dalle dismissioni per finanziare la spesa corrente;
    si prevede che il decreto-legge sugli enti locali sia varato dal Governo entro aprile 2015 per risolvere queste questioni ereditate dalla legge di stabilità 2015;
    è anche ancora da definire l'introduzione della nuova tassa unica sulla casa la cosiddetta local tax;
    l'avvio a regime della riforma dei conti pubblici ha messo in affanno i sindaci che temono di non riuscire a varare il rendiconto entro il 30 aprile 2015 e chiedono uno spostamento della scadenza al 30 giugno 2015. Con i consuntivi i comuni devono compiere il riaccertamento straordinario dei residui per pulire i bilanci da entrate iscritte ma mai riscosse,

impegna il Governo:

   a dare seguito all'accordo quadro siglato nella Conferenza Stato-città e autonomie locali del 31 marzo 2015;
   a dare risposte positive a quanto chiesto dai comuni in merito all'applicazione della legge di stabilità 2015;
   ad assumere iniziative normative per sopprimere i tagli ai trasferimenti ai comuni, eventualmente compensandoli con riduzioni delle spese delle amministrazioni statali;
   ad accelerare la rinegoziazione dei mutui con Cassa depositi e prestiti e, più in generale, a rivedere le condizioni alle quali vengono erogati mutui ai comuni;
   ad assumere iniziative per ricostituire per il 2015 il fondo compensativo di 625 milioni di euro già riconosciuto per il 2014;
   ad assumere iniziative per stanziare maggiori ed adeguate risorse finanziarie da parte del Governo da destinare all'eventuale scostamento tra il gettito effettivamente riscosso dai comuni e le stime ministeriali del gettito atteso in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani di cui al decreto-legge n. 4 del 2015, e successive modificazioni;
   ad assumere iniziative per rimodulare in maniera consistente verso il basso le sanzioni per le città metropolitane per lo sforamento del patto di stabilità ereditato dalle province;
   a garantire ai comuni i tempi indispensabili per la redazione dei bilanci, definendo ogni anno entro una data precisa le risorse a loro disposizione e dando poi loro due-tre mesi di tempo da tale scadenza per l'approvazione dei bilanci;
   a non modificare nell'esercizio in corso le disposizioni relative alla fiscalità locale e a non ridurre per il medesimo esercizio i trasferimenti a loro favore.
(1-00822)
«Melilla, Marcon, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Matarrelli, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».
(21 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    dal 2007 al 2014 gli enti locali, e i comuni in particolare, hanno contribuito al risanamento della finanza pubblica per 16,4 miliardi di euro, di cui 8 miliardi e 700 milioni in termini di patto di stabilità interno e 7 miliardi e 700 milioni di euro in termini di riduzione di trasferimenti;
    in tale ambito, gli effetti della crisi economica e finanziaria, tutt'altro che superata in via definitiva, hanno imposto ai Governi, succedutisi a partire dalla fine del 2007, una serie di interventi legislativi dapprima per contrastare gli effetti del contagio della crisi economica internazionale e successivamente per scongiurare una crisi del debito italiano e riacquistare credibilità sui mercati finanziari, oltre che imboccare un sentiero virtuoso nel riordino dei conti pubblici;
    all'interno del sopra esposto scenario economico, l'evoluzione recente del governo locale è stata profondamente contrassegnata da misure indotte dalla crisi economica, che, sotto la spinta di urgenze reiterate, hanno inciso non solo sui flussi di risorse disponibili, ma sugli stessi assetti strutturali degli enti locali;
    gli orientamenti normativi sugli enti locali, che a partire dalla XVI legislatura sono stati introdotti, hanno riguardato diversi profili: dalla riduzione dei trasferimenti di risorse e dalla definizione di un nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie, fino al contenimento dei costi degli apparati e all'aumento della funzionalità degli enti stessi;
    a tal fine, la stretta finanziaria imposta anche dal patto di stabilità si è scaricata principalmente sulla spesa maggiormente comprimibile, quella per gli investimenti, che ha registrato una preoccupante riduzione nel corso degli ultimi anni;
    gli effetti costanti e al contempo spesso distorsivi delle continue riduzioni dei trasferimenti nei riguardi degli enti locali, che aumentano in maniera evidente, come confermato anche dalle decisioni adottate dal Governo all'interno della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015) rafforzano la convinzione, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come il contributo richiesto agli enti locali per il risanamento dei conti pubblici non sia più sostenibile, sia in ordine alla parte di investimenti che per la parte corrente;
    tra gli effetti provocati dalla manovra economica del dicembre 2014, la diminuzione degli investimenti nei confronti degli enti locali ha interessato settori importantissimi per la qualità della vita e per la sicurezza degli individui; in particolare, i comuni e le regioni, a cui spetta il compito di realizzare le opere di tutela del territorio (rischio idrogeologico e infrastrutture di rete), infrastrutture per la viabilità e i trasporti, opere a servizio della scuola e interventi per la pubblica sicurezza e la giustizia, hanno subito gravissime ripercussioni dalle pesantissime riduzioni di trasferimenti, il cui prezzo sociale dell'impatto delle recenti manovre finanziarie su questi interventi (in particolare quelle decise del Governo Monti) è divenuto ormai insostenibile per la collettività e per le imprese;
    ulteriori profili di criticità, che si rinvengono dal riassetto delle risorse disponibili e dai tagli subiti dagli enti locali, si evidenziano anche dalla disciplina dei principali tributi, oggetto di continui cambiamenti (di solito calcolati a gettiti standard), che ha determinato evidenti scompensi nei bilanci e nei margini d'intervento, le cui variazioni compensative delle assegnazioni statali (aggiustamenti operati a fronte di cambiamenti delle norme sui tributi locali), hanno provocato continue modifiche all'assetto delle entrate comunali e nella struttura del gettito dei tributi a base immobiliare;
    a tal fine, i trasferimenti statali complessivi sono passati da circa 16,5 miliardi di euro del 2010 a 2,5 miliardi di euro del 2013, determinando, nella sostanza, la parziale tenuta delle capacità di entrate realizzata con aumenti della pressione fiscale locale molto accentuati e in larga parte ascrivibili a passaggi obbligati: sostituzione dell'ICI con l'IMU, rafforzata sia attraverso il maggior valore imponibile di base, sia per effetto dell'aliquota di base superiore al livello ICI; applicazione della TASI a tutta la platea contributiva;
    la legge di stabilità per il 2015, unitamente alle disposizioni contenute all'interno del decreto legislativo n. 126 del 2014, che interviene per l'attuazione dell’«armonizzazione dei bilanci», ha comportato un effetto combinato di riduzione delle risorse correnti comunali sul 2015 per oltre 3,7 miliardi di euro; cifra a cui si giunge sommando gli impatti finanziari dei diversi provvedimenti riguardanti la finanza comunale e che configura uno scenario iniquo e difficilmente sostenibile anche nel breve periodo, ai diversi livelli di governo locale;
    secondo l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre-Cgia, inoltre, le riduzioni effettuate dallo Stato nei confronti dei comuni e delle regioni a statuto ordinario, raggiungono rispettivamente 8,3 miliardi di euro e 9,7 miliardi di euro, mentre per quelle a statuto speciale la quota dei mancati trasferimenti è stabilizzata a 3,3 miliardi di euro, raggiungendo nel complesso degli ultimi anni un mancato trasferimento alle regioni e agli enti locali pari a oltre 25 miliardi di euro, compensati aumentando le tasse locali e riducendo i servizi anche quelli essenziali alle comunità locali, come la sanità, il trasporto pubblico locale, il welfare;
    anche l'analisi della Corte dei conti sulle manovre di contenimento della spesa dello Stato, nel periodo 2008-2013, evidenzia che le riduzioni che hanno portato al contemporaneo determinarsi di consistenti tagli ai trasferimenti correnti, di un cospicuo avanzo di cassa e di una riduzione delle risorse destinate ai servizi essenziali, hanno provocato la crescita pericolosa dei debiti fuori bilancio degli enti locali, ovvero quelli che non concorrono alla formazione del bilancio;
    gli effetti penalizzanti si sono riscontrati, in particolare, sulle regioni del Mezzogiorno, con forti contrazioni degli investimenti, che hanno aumentato il divario regionale con le aree del Centro-Nord;
    misure in netta controtendenza rispetto a quelle in precedenza indicate, finalizzate a garantire l'espletamento dei servizi sociali essenziali, anche in relazione alle disposizioni divenute insostenibili nei riguardi degli enti locali (che a partire dall'ultimo quinquennio e da ultimo, la legge di stabilità 2015, hanno ripetutamente operato riduzioni di trasferimenti, intervenendo sulla leva fiscale offrendo al contempo servizi essenziali sempre più inadeguati), appaiono conseguentemente urgenti e necessarie, al fine di ripristinare, da un lato, un livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e, dall'altro, il funzionamento fondamentale degli enti locali, incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale;
    la necessità di valutare la dinamica della fiscalità locale senza compararla con la drastica riduzione dei trasferimenti dello Stato a favore degli enti locali conferma, inoltre, che tale raffronto rende evidente, che i tagli subiti dal 2007 ad oggi sono stati nettamente superiori all'incremento della fiscalità locale, che peraltro rappresenta attualmente lo strumento di finanziamento di servizi essenziali per i cittadini (asili nido, scuole materne, assistenza domiciliare, sostegno alla non autosufficienza, politiche abitative, tutela ambientale, trasporto pubblico locale, politiche educative e culturali), i cui livelli di tassazione hanno raggiunto dimensioni emergenziali;
    a tal fine, l'attuale quadro finanziario degli enti locali di evidente difficoltà impone rapide correzioni attraverso l'interruzione delle riduzioni dei trasferimenti del bilancio dello Stato, i cui meccanismi di riequilibrio dei trasferimenti erariali per compensare le variazioni del gettito per gli enti locali si sono dimostrati peraltro insufficienti,

impegna il Governo:

   a prevedere iniziative urgenti e necessarie in favore degli enti locali finalizzate a:
    a) riconsiderare gli interventi in favore degli enti locali, attraverso l'aumento degli spazi di esclusione dal patto di stabilità interno, in particolare per le città metropolitane, incluse le misure riconducibili all'edilizia scolastica, in considerazione del fatto che la legge di stabilità per il 2015 prevede che nel computo del patto non siano valutate le spese di province e città metropolitane per interventi di edilizia scolastica, fino ad un massimo di 50 milioni nel 2015 e 50 milioni nel 2016;
    b) ripristinare le risorse decurtate con le correzioni, definite dalla legge di stabilità per il 2015, a carico degli enti locali di circa 15,3 miliardi di euro nel triennio, ottenute, tra l'altro, attraverso la riduzione del fondo di solidarietà comunale per 3,6 miliardi di euro e la riduzione della spesa corrente delle province e delle città metropolitane per 6 miliardi di euro;
    c) prevedere misure in favore degli enti locali in dissesto finanziario o in predissesto, ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 267 del 2000, che hanno presentato i piani di riequilibrio finanziario per i quali sia intervenuta una deliberazione di diniego da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti, per garantire in ogni caso i servizi essenziali, quale quelli della raccolta dei rifiuti, dell'assistenza ai disabili e agli anziani;
    d) a garantire agli enti locali un periodo temporale congruo e ragionevole per una programmazione finanziaria e strategica, al fine di conoscere l'esatto ammontare delle risorse disponibili di cui gli enti locali potranno disporre per l'anno successivo e comunque entro la fine del mese di ottobre 2015;
    e) rimuovere i numerosi vincoli ordinamentali imposti, nel corso dei provvedimenti degli ultimi anni, agli enti locali, e in particolare ai comuni, adottando i saldi come unico criterio per definire lo sforzo richiesto a ciascun comparto della pubblica amministrazione;
    f) ripristinare, infine, il fondo finanziamento metropolitane delle grandi aree urbane, le cui risorse pari a 1 miliardo di euro, sono state eliminate dalla legge di stabilità per il 2015, determinando gravi effetti nei confronti dei comuni, in termini di riduzione delle risorse per la spesa corrente, senza alcun intervento compensativo sulla spesa per gli investimenti.
(1-00824) «Palese, Occhiuto».
(21 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    il cambiamento dell'assetto istituzionale e finanziario degli enti territoriali costituisce uno snodo centrale nell'ambito della complessiva azione riformatrice del Governo e del processo di risanamento del Paese;
    dal primo punto di vista, l'intervento più significativo è costituito dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, che ha dettato un'ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo l'istituzione e la disciplina delle città metropolitane, la ridefinizione del sistema delle province ed una nuova disciplina in materia di unioni e fusioni di comuni;
    a ciò si unisce, sotto il profilo della contabilità, il decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, adottato in attuazione della delega contenuta nella legge n. 42 del 2009, che ridisciplina il coordinamento della finanza pubblica al fine di rafforzare le attività di programmazione, gestione, monitoraggio, controllo e rendicontazione finanziaria tra i diversi enti che compongono la pubblica amministrazione e di favorire un migliore raccordo della disciplina contabile interna con quella adottata in ambito europeo ai fini del rispetto del patto di stabilità e crescita;
    dal punto di vista finanziario e del risanamento, per le disposizioni contenute nella legge 29 dicembre 2014, n. 190, gli enti territoriali concorreranno complessivamente al contenimento della spesa pubblica per circa 6,2 miliardi di euro nel 2015, 7,2 nel 2016 e 8,2 nel 2017, senza tener conto delle ulteriori riduzioni operate dal decreto-legge n. 66 del 2014;
    in particolare, il comma 435 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015 ha stabilito la riduzione della dotazione del fondo di solidarietà comunale di 1.200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015; il comma 418 ha operato una riduzione della spesa corrente per province e città metropolitane di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. Infine, il comma 398 ha disciplinato un contributo aggiuntivo alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario, per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, pari a 3.452 milioni di euro e il comma 400 ha stabilito entità e modalità a contributo aggiuntivo pari a 467 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 per le regioni a statuto speciale;
    si tratta oggettivamente di riduzioni molto significative per gli enti territoriali che si aggiungono a quelle già operate nel corso della XVI legislatura, pari a circa 34 miliardi di euro;
    la dimensione dello sforzo richiesto alle amministrazioni territoriali rende necessario prevedere un contesto più orientato a definire indirizzi e incentivi che non a prescrivere specifici vincoli, accogliendo anche talune richieste provenienti dai vari comparti;
    una prima risposta a questa impostazione è costituita dall'incremento al 20 per cento della quota del fondo di solidarietà comunale spettante ai comuni delle regioni a statuto ordinario sulla base delle capacità fiscali e dei fabbisogni standard e l'avvio del processo di riforma del meccanismo del patto di stabilità che è stato allentato per complessivi 2.889 milioni annui, di cui 2.650 milioni ai comuni e 239 milioni alle province;
    nel documento di economia e finanza il Governo si impegna a proseguire in questa direzione favorendo il progressivo passaggio da un sistema basato sulla spesa storica ad uno che utilizza costi e fabbisogni standard, più razionale ed efficiente, in cui vengano premiati con maggiori spazi finanziari e, quindi, maggiori possibilità di investimento gli enti che hanno ridotto la spesa corrente e che hanno una maggiore capacità di riscossione delle entrate proprie;
    ulteriori misure a beneficio del comparto degli enti locali sono la possibilità di destinare i proventi delle concessioni edilizie per il finanziamento di spese correnti, la facoltà di rinegoziare mutui, l'innalzamento dall'8 al 10 per cento dell'importo massimo degli interessi passivi rispetto alle entrate dei primi tre titoli delle entrate del rendiconto per poter assumere nuovi mutui o finanziamenti, il passaggio da tre a cinque dodicesimi del limite massimo di ricorso degli enti locali ad anticipazioni di tesoreria, l'assegnazione delle maggiori somme riscosse per effetto della partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale;
    rispetto alle regioni a Statuto ordinario, per le quali il comma 463 ha introdotto la disciplina del pareggio di bilancio, si è prevista una fase transitoria per l'anno 2015 finalizzata a rendere più flessibile il passaggio al nuovo sistema;
    inoltre, i commi da 484 a 488 hanno esteso anche al 2015 la disciplina del patto verticale incentivato, che favorisce una maggiore flessibilità per il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti territoriali;
    a fronte dell'importante contributo al risanamento dei conti pubblici che arriva dagli enti territoriali, permangono alcune situazioni di criticità che potrebbero incidere sul livello e sulla qualità di erogazione di servizi ai cittadini, in particolare per quel che riguarda l'attuazione del Patto per la salute per gli anni successivi al 2015, il riparto del taglio alle città metropolitane e il rifinanziamento di 625 milioni del fondo compensativo IMU-TASI;
    su questi argomenti si stanno svolgendo incontri politici e tecnici con le rappresentanze delle parti interessate finalizzati a individuare soluzioni condivise alle questioni tuttora aperte;
    l'importanza del comparto territoriale richiede interventi organici e di ampio respiro da attuare necessariamente all'interno di un percorso condiviso a tutti i livelli istituzionali, a cominciare dalla ridefinizione e semplificazione della fiscalità immobiliare comunale in coerenza con gli indirizzi contenuti nel documento di economia e finanza 2015,

impegna il Governo:

   ad adottare con la massima sollecitudine ogni iniziativa utile volta a dare soluzione alle principali criticità normative relative agli enti territoriali, con particolare riferimento:
    a) all'attuazione dell'intesa del 19 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in particolare in merito alla rideterminazione degli obiettivi del patto di stabilità interno dei comuni per gli anni 2015-2018 e delle sanzioni per mancato raggiungimento degli obiettivi;
    b) alla sostenibilità del concorso al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica per il comparto province e città metropolitane, stabilendo la possibilità di rinegoziare i mutui e utilizzare gli spazi ottenuti a copertura di spese correnti, l'esclusione dalla sanzione sul personale delle proroghe dei contratti di lavoro a tempo determinato (anche per le città metropolitane e le province che non hanno rispettato il patto di stabilità nel 2014) e la disapplicazione dei limiti alle assunzioni per l'assorbimento del personale;
    c) alla gradualità e flessibilità della fase di avvio a regime dell'armonizzazione contabile;
    d) all'introduzione di meccanismi di perequazione per l'applicazione delle nuove norme in materia di Imu-agricola e al rinnovo, almeno parzialmente, di quelli previsti per il passaggio dall'Imu alla Tasi;
    e) all'attuazione dell'intesa del 26 febbraio 2015 raggiunta in seno alla Conferenza Stato-regioni in merito alle disposizioni di cui all'articolo 1, commi 398, 465 e 484, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
   a valutare l'opportunità di consentire a province e città metropolitane di non approvare il bilancio pluriennale, limitandosi al solo bilancio di previsione 2015 in cui siano illustrate le spese sostenute per funzioni fondamentali e funzioni non fondamentali, in modo da accertare le entrate effettivamente destinate all'esercizio di tali funzioni, e consentendo, in via eccezionale, l'utilizzo degli avanzi di gestione 2014 per il conseguimento degli equilibri;
   a definire entro il 2015 un assetto stabile della finanza locale in grado di consentire reale autonomia ed effettive e virtuose possibilità di programmazione da parte degli enti locali;
   a procedere al riordino e alla semplificazione, all'interno della legge di stabilità per l'anno 2016, della fiscalità immobiliare comunale, al fine di garantire un assetto legislativo e finanziario definitivo e stabile in materia, prevedendo, altresì, adeguate forme di perequazione verticale e meccanismi di monitoraggio e verifica dei criteri di alimentazione e distribuzione tra i comuni delle risorse del fondo di solidarietà comunale;
   a proseguire e rafforzare ulteriormente il percorso già avviato volto a rilanciare e sostenere i programmi di investimento degli enti locali.
(1-00825)
«Marchi, Tancredi, Paola Bragantini, Misiani, Guerra, Laforgia, Melilli, Causi, Marchetti, Fragomeli, Carnevali».
(21 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    le manovre finanziarie dispongono oneri e tagli di spesa, a cui sono chiamati a dare il proprio contributo per il raggiungimento di fini essenziali per la ripresa del Paese, non solo lo Stato, ma anche le altre articolazioni della Repubblica, quali regioni ed enti locali. Dunque, come ha chiarito la Corte costituzionale, lo Stato centrale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, con «disciplina di principio», per ragioni di coordinamento finanziario connesse a obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari (si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2011);
    tuttavia, negli ultimi anni, in particolare dall'anno 2008, tra taglio dei trasferimenti e patto di stabilità, è stato imposto agli enti locali un contributo per il risanamento dei conti pubblici nettamente superiore a quello sostenuto dalle amministrazioni centrali dello Stato. In particolare, dal 2010 ad oggi, i comuni hanno fatto sacrifici per ben 17 miliardi di euro;
    anche i tagli di spesa previsti dall'ultima legge di stabilità, hanno visto un carico sugli enti locali di 8,1 miliardi di euro di tagli, somma quattro volte superiore al taglio disposto per i Ministeri, quantificato in 2 miliardi di euro nel 2015, su un importo totale di 16,6 miliardi di euro. Per il risanamento della spesa pubblica, alle regioni è stato richiesto il contributo più oneroso, per un importo di 4 miliardi di euro, sul fondo di solidarietà comunale è stato disposto un taglio di 1,2 miliardi di euro, mentre le province e città metropolitane contribuiranno per un importo di 1 miliardo di euro (che raggiungerà 2 miliardi di euro nel 2016 e 3 miliardi di euro dal 2017). Tra l'altro, il taglio di risorse approvato con la legge di stabilità 2015 ha inciso negativamente sul difficile processo di riordino delle province disposto dalla cosiddetta riforma Delrio, mettendo in luce l'assenza di un idoneo coordinamento legislativo del Governo, per il palese contrasto tra norme;
    i tagli disposti dalla predetta legge di stabilità si sono aggiunti a quelli previsti nel 2015 dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale» che individua come destinatari delle misure finanziarie contenute province, città metropolitane e comuni;
    è sempre più accesa la protesta degli amministratori locali contro i tagli di spesa applicati agli enti. Sul punto, è stato di recente espresso un forte dissenso dai comuni siciliani rispetto ai tagli del Governo, accusato di restare immobile dinnanzi all'allarme lanciato contro queste manovre finanziarie che provocano ricadute negative sul territorio. Si lamenta una grave e insostenibile mancanza di trasferimenti e l'inadempienza del Governo, con conseguenti e dannosi effetti sulla gestione della spesa degli enti locali. A pagarne le conseguenze sono soprattutto i cittadini che si vedono recapitare bollette più esose da parte dei comuni costretti ad aumentare le tasse, per le scelte dell'Esecutivo. Ormai, si apprende sempre più frequentemente di comuni in dissesto o in pre-dissesto o di comuni che devono fronteggiare emergenze senza alcun sostegno da parte delle istituzioni nazionali;
    si ritiene, quindi, che nel tempo si sia verificato un meccanismo distorto di tagli a carico degli enti locali e di conseguenti trasferimenti delle risorse risparmiate in favore dell'Erario statale, che rischia di essere non conforme ai principi di solidarietà, uguaglianza, adeguatezza, nonché dei principi costituzionali dell'autonomia (anche finanziaria) degli enti territoriali, del decentramento e di sussidiarietà;
    detto squilibrio delle manovre di finanza pubblica è stato individuato dalla Corte dei conti, sezione delle autonomie, nella relazione sulla gestione finanziaria 2013 degli enti territoriali, dove i giudici contabili affermano che è stato «richiesto alle autonomie territoriali (a quelle regionali in particolare) uno sforzo di risanamento non proporzionato all'entità delle risorse gestibili dalle stesse, a vantaggio di altri comparti amministrativi che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche». Di conseguenza, «le predette misure di austerità, riducendo gravemente le possibilità di intervento e di gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal Titolo V, della Parte II, della Costituzione»;
    ed ancora, la Corte dei conti, nell'analizzare i risultati delle manovre di contenimento della spesa e di stimolo alla crescita economica tra l'anno 2008 e 2013, ha messo in evidenza l'attuazione di consistenti tagli ai trasferimenti correnti e di una riduzione delle risorse destinate ai servizi essenziali ai cittadini ossia: asili nido, scuole materne, assistenza domiciliare, sostegno alla non autosufficienza, politiche abitative, tutela ambientale, trasporto pubblico locale, politiche educative e culturali. Dalle manovre restrittive risultano maggiormente penalizzate le regioni (i cui tagli alla spesa primaria hanno raggiunto il 16 per cento nel triennio 2010-2012), nonché, a livello territoriale, le amministrazioni del Mezzogiorno, con consistenti contrazioni di risorse soprattutto in conto capitale;
    l'analisi della Corte dei conti ha, dunque, rilevato che il peso delle manovre di bilancio applicate dalla Stato con i tagli a regioni, comuni e province, è ricaduto direttamente sui cittadini determinando un'evidente diminuzione delle risorse previste per fornire i servizi essenziali, indispensabili per garantire ai cittadini il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati;
    è, dunque, di tutta evidenza che la politica di tagli generalizzati alla spesa e alle risorse degli enti territoriali, di cui l'ultima legge di stabilità ne è un chiaro esempio, impedisce agli stessi di svolgere le proprie funzioni con il concreto rischio di violare quelle garanzie che la Costituzione assicura agli enti locali proprio per l'esercizio delle rispettive funzioni;
    la logica di tagli finanziari perseguita negli anni dall'Esecutivo determina un'evidente disparità di trattamento e di sacrifici tra i vari comparti della pubblica amministrazione, determinando una posizione di grave svantaggio per le autonomie locali, in violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione, i cui principi sono applicabili anche rispetto agli enti pubblici;
    per quanto predetto, quindi, è vero che il Governo, con una disciplina di principio, può imporre alle regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario, vincoli alle politiche di bilancio, che oggettivamente si traducono in una indiretta limitazione all'autonomia di spesa degli enti territoriali. Tuttavia, è del pari vero che la predetta funzione di coordinamento della finanza pubblica, che ha il fine di garantire il perseguimento di obiettivi nazionali, deve essere svolta nel rispetto di criteri che consentano il rispetto dell'autonomia delle regioni e degli enti locali in conformità ai principi generali di ragionevolezza e proporzionalità dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato (Corte costituzionale, sentenza n. 236 del 2013). Di contro, questi principi appaiono di frequente lesi proprio perché, come confermato dalla Corte dei conti, i tagli e le manovre finanziarie applicate nel tempo dal Governo, hanno richiesto un sacrificio alle autonomie locali che si ritiene illegittimamente sproporzionato a quello sostenuto da altri comparti e, in particolar modo, dalle amministrazioni di livello centrale;
    ed ancora, un ulteriore potenziale profilo di incostituzionalità delle disposizioni che attuano questi tagli indiscriminati si individua anche rispetto all'articolo 5 della Costituzione in violazione delle esigenze dell'autonomia e del decentramento. Tale norma prevede che la Repubblica ha il preciso dovere di riconoscere e promuovere le autonomie locali, anche adeguando «i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento». Tuttavia, se si impongono tagli eccessivi alle risorse finanziarie a disposizione delle amministrazioni locali, le esigenze dell'autonomia e del decentramento tutelate dall'articolo 5 della Costituzione vengono secondo i firmatari del presente atto di indirizzo totalmente lese;
    attraverso il drastico taglio delle risorse degli enti territoriali viene non solo gravemente compromessa l'autonomia delle realtà locali, ma si va a pregiudicare l'intero assetto ordinamentale che si regge sul principio di sussidiarietà. È assurdo, inoltre, che tali manovre non tengano conto anche delle specifiche difficoltà delle amministrazioni locali rispetto al reperimento dei fondi necessari a garantire l'erogazione dei servizi essenziali ai cittadini;
    ebbene, il taglio alla spesa corrente imposto negli ultimi anni con una moltitudine di interventi legislativi, che hanno svuotato progressivamente gli enti locali della loro autonomia con la progressiva riduzione delle risorse a disposizione e l'imposizione di un trasferimento all'Erario centrale delle risorse risparmiate senza la previsione di adeguati trasferimenti statali che vadano a compensare le decurtazioni subite dagli enti locali, nel tempo ha generato degli effetti che compromettono seriamente la programmazione di bilancio degli enti medesimi. Ciò rende impossibile agli stessi di far fronte alle spese programmate, con grave pregiudizio dei bisogni primari dei cittadini;
    i contributi richiesti con le manovre finanziarie non possono pregiudicare il regolare e corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali. Inoltre, gli interventi del Governo in questione devono essere disposti assicurando una proporzione tra il concorso finanziario delle amministrazioni centrali e di quelle locali, anche correggendo gli squilibri economico-sociali che emergono tra le diverse aree del Paese;
    la necessità di un intervento correttivo al meccanismo dei tagli a carico degli enti è evidente anche per escludere la proposizione di ulteriori ricorsi da parte di regioni e enti locali per eccepire i profili di incostituzionalità delle manovre. A riguardo, infatti, si fa presente che la regione Veneto ha depositato il 24 febbraio 2015 ricorso alla Corte costituzionale contro la legge di stabilità 2015 nella parte in cui impone alle regioni ordinarie un taglio di 5,7 miliardi di euro, che si aggiunge a quelli disposti per oltre 15 miliardi di euro dalle ultime manovre;
    ma vi è di più, in quanto tale errata politica dei tagli potrebbe, di conseguenza, spingere anche le regioni ad adottare provvedimenti troppo onerosi nei confronti dei comuni. Sul punto, si è appreso della class action di 55 comuni del Friuli Venezia Giulia che, lamentando la violazione della loro «autonomia finanziaria di entrata e di spesa», hanno proposto, il 20 aprile 2015, ricorso contro la regione avverso un provvedimento, avente ad oggetto la proposta di perimetrazione delle future unioni territoriali intercomunali, che, tra gli altri interventi, impone tagli che pregiudicano i comuni, come quello del 30 per cento dei trasferimenti qualora decidano di non aderire ad una unione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative volte a modificare quanto stabilito dalla legge di stabilità 2015, idonee a reintegrare i trasferimenti tagliati;
   ad assumere immediate iniziative individuando criteri affinché i limiti disposti alle politiche di bilancio di regioni ed enti locali, attuati con i tagli di spesa, siano idonei a garantire che i mezzi di copertura finanziaria, da un lato, salvaguardino l'adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali e, dall'altro, assicurino una proporzione tra il contributo finanziario imposto alle amministrazioni locali rispetto a quelle centrali, nonché un adeguato concorso finanziario dello Stato per gli interventi correttivi degli squilibri economico-sociali che sussistono tra le diverse aree del territorio nazionale.
(1-00826)
«Rizzetto, Barbanti, Rostellato, Mucci, Baldassarre, Artini, Prodani, Segoni, Turco, Bechis».
(22 aprile 2015)

   La Camera,
   premesso che:
    la situazione odierna nella quale gli enti locali si trovano a svolgere i servizi ai cittadini costituzionalmente loro assegnati risente, esclusivamente in chiave negativa, di almeno 5 fattori: lo stratificarsi di tagli alle risorse degli enti locali e territoriali, la mancata attuazione del federalismo fiscale, la crisi economica che ha aumentato le esigenze di servizi sociali, l'emergenza sbarchi con conseguente imposizione agli enti di garantire ospitalità, e la legge n. 56 del 2014 che ha avviato una riforma delle province in mancanza di chiarezza istituzionale e di strumenti normativi e finanziari adeguati;
    secondo un calcolo riassuntivo diffuso dalla Cgia di Mestre nel gennaio 2015, complessivamente tra il 2011 ed il 2015 (dalla prima manovra Monti all'ultima legge di stabilità del Governo Letta) gli enti locali e territoriali complessivamente hanno subito una decurtazione superiore ai 25 miliardi di euro. Ciò ha permesso allo Stato centrale di dimostrare un miglioramento sul fronte della spesa quasi interamente scaricato sui bilanci degli enti locali e territoriali. Sui soli comuni il taglio è stato di 8,31 miliardi di euro e di 3,74 miliardi di euro per le province;
    il Documento di economia e finanza presentato recentemente dal Governo non interviene a rimodulare o ridimensionare i tagli per gli enti locali, in particolare le province, che in base all'ultima legge di stabilità sono chiamate ad uno sforzo superiore alla propria capacità di sostenere tagli e che, come già annunciato da amministratori di tutti i colori politici, potrebbero dichiarare il default;
    in mancanza di attuazione del federalismo fiscale e del meccanismo di finanziamento basato su costi e fabbisogni standard, il taglio si è trasformato, anziché in uno strumento di riduzione degli sprechi e della spesa improduttiva, in un meccanismo opposto, punitivo ed ingiusto: anziché premiare i comuni virtuosi e responsabilizzare le cattive amministrazioni, i tagli applicati in maniera lineare hanno reso impossibile l'amministrazione di chi non aveva margini di spreco. Nella sostanza, una spending review boomerang che ha trattato i servizi ai cittadini come se fossero sprechi e non ha saputo evidenziare né intaccare le sacche di cattiva amministrazione;
    i continui interventi sui tributi locali (soprattutto sull'IMU, che in due anni è stata oggetto di 4 modifiche strutturali e 10 decreti parziali), intervenuti anche in corso d'anno, hanno impedito la programmazione di bilancio da parte degli enti, hanno determinato un raddoppio delle imposte per i cittadini senza che a ciò corrispondesse alcuna risorsa aggiuntiva per i servizi municipali, ma soprattutto hanno spezzato la tracciabilità del tributo locale, perché in larga parte ed in diverse forme quanto incassato dai comuni come esattori è stato incamerato dallo stato centrale rendendo ancora più difficile stabilire una corrispondenza con i reali fabbisogni e fissare fabbisogni standard dal lato della spesa;
    all'indomani della legge n. 56 del 2014 intervenuta sulle province e città metropolitane, i nuovi enti di area vasta sono titolari di quattro funzioni fondamentali, prevedendo una ridistribuzione delle altre tra comuni e regioni (e invece nessun onere per lo Stato): la gestione e manutenzione delle strade provinciali; la gestione e manutenzione delle scuole superiori; la tutela e valorizzazione dell'ambiente; l'assistenza ai comuni;
    la legge di stabilità 2015 prevede il versamento allo Stato da parte delle province di 1 miliardo di euro per il 2015, 1 ulteriore miliardo di euro per il 2016 e 1 ulteriore nuovo miliardo di euro per il 2017, incidendo per oltre il 15 per cento sulla spesa totale delle province. Il legame tra funzioni fondamentali, funzioni trasferite, risorse e garanzia di copertura finanziaria viene dunque completamente ignorato;
    dal lato dei comuni, ai tagli citati corrisponde un aumento degli oneri conseguente alle crescenti esigenze di servizi sociali per fronteggiare crescenti situazioni di sofferenza e di povertà della popolazione, oltre ad una crescente evasione delle imposte municipali determinata da impossibilità di farvi fronte da parte dei cittadini;
    anche il costo dell'accoglienza di migranti è in larga parte a carico dei comuni: in maniera integrale per ciò che riguarda i minori non accompagnati, in forma di anticipazione forzata allo Stato delle spese sostenute per i migranti assegnati dalle prefetture;
    i comuni non hanno invece la possibilità economica di fare fronte alla crescente domanda di sicurezza da parte dei cittadini, non potendo, a causa delle regole del patto di stabilità interno, liberare risorse per investimenti sulla sorveglianza, sulla polizia locale, sulla bonifica di zone a rischio del proprio territorio,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a superare le attuali regole del patto di stabilità interno per gli enti locali per garantire agli enti virtuosi di investire in azioni per la sicurezza pubblica e i programmi di sostegno sociale per i cittadini residenti in difficoltà;
   ad assumere iniziative per rivedere i tagli imposti alle province dalla legge di stabilità 2015 in modo da garantire che esse possano svolgere le funzioni assegnate e possano essere trasferite le risorse riferite alle funzioni non fondamentali agli enti che assumeranno le funzioni stesse;
   ad applicare immediatamente i costi standard previsti dalla legge sul federalismo fiscale come vera modalità di riduzione degli sprechi ed efficientamento delle amministrazioni.
(1-00830)
«Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».
(22 aprile 2015)