TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 403 di Mercoledì 1 aprile 2015

 
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PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONI IN SEDE LEGISLATIVA

alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e VIII (Ambiente):
MATTEO BRAGANTINI ed altri: «Modifiche all'articolo 17 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, in materia di contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza». (219)
(Le Commissioni hanno elaborato un nuovo testo).

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   MOLEA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro della salute dell'8 agosto 2014 pubblicato nella Gazzetta ufficiale 18 ottobre 2014, n. 243, contiene le linee guida in materia di certificati medici per l'attività sportiva non agonistica, che prevedono per i praticanti detta attività una certificazione basata su alcuni accertamenti clinici e diagnostici;
   l'attività ludico-motoria, in base all'articolo 42-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, non esige alcuna certificazione medica;
   molte associazioni sportive e palestre, non essendo chiara la distinzione fra attività non agonistiche e ludico-motorie in termini di impegno fisico del praticante, caratteristiche e tipologia dell'attività, richiedono comunque una certificazione medica per attività non agonistica, la quale risulta, quindi, spesso essere inappropriata, oltre che onerosa;
   in questo senso desta molte perplessità tra gli operatori la previsione, requisito obbligatorio per la certificazione, dell'elettrocardiogramma «una volta nella vita», intervento di scarsa efficacia preventiva per tutte le persone in buona salute, mentre occorrerebbero opportuni approfondimenti per gli affetti da patologie croniche comportanti un aumentato rischio cardiovascolare;
   una comprovata esperienza scientifica ha dimostrato poi l'inefficacia dell'utilizzo di accertamenti sanitari preventivi a livello di popolazione, se non in presenza di programmi strutturati, supportati da rigorosi studi propedeutici e da un continuo monitoraggio dei risultati;
   l'obbligatorietà di una certificazione sanitaria per accedere a determinate attività è, in modo differente per ogni regione, una misura impegnativa e onerosa, che limita la libertà individuale in relazione alla tutela della salute e dovrebbe, pertanto, essere utilizzata in modo rigoroso e non estesa indiscriminatamente a qualsiasi situazione in cui potrebbe essere esposta a rischio la salute individuale;
   l'onerosità di tale certificazione obbligatoria discrimina le persone con un basso livello di reddito e quei soggetti, in particolare disabili e minori, che avrebbero più necessità di accedere alla pratica motoria;
   la prescrizione di un gran numero di elettrocardiogrammi a riposo finalizzati al rilascio del certificato, anche se spesso diversamente motivati, provoca l'aumento delle liste d'attesa e un aggravio immotivato dei costi per il sistema sanitario nazionale;
   alcune regioni, tra cui l'Emilia-Romagna, si sono attrezzate per garantire a minori e disabili la gratuità del rilascio delle certificazioni di idoneità non agonistica e la possibilità di accedere agli esami necessari in tempi ragionevoli, comunque entro i 30 giorni;
   il suddetto decreto del Ministero della salute dell'8 agosto 2014 elude il tema più volte sollevato della differenza di trattamento tra le attività organizzate da associazioni e società sportive iscritte al registro del Coni e le medesime attività proposte al di fuori dell'organizzazione sportiva, ancorché organizzate da soggetti privati for profit o associativi non sportivi, per le quali non viene richiesta alcuna certificazione ai praticanti, differenziando così la tutela della salute degli sportivi in relazione all'organizzatore e non al tipo di attività –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per garantire l'uniformità dell'applicazione del decreto ministeriale citato in premessa su tutto il territorio nazionale, evitare le richieste di certificazione inappropriate, tutelare nello stesso modo gli sportivi praticanti attività simili indifferentemente dallo status degli organizzatori e se non ritenga opportuno assumere iniziative per assicurare almeno per i minori e i disabili la gratuità del rilascio delle certificazioni di idoneità non agonistica. (3-01401)
(31 marzo 2015)

   DORINA BIANCHI, CALABRÒ e ROCCELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno della contraffazione e dell'importazione illegale di farmaci registra, a livello mondiale, una forte crescita;
   anche in Italia la tendenza è confermata dai numerosi sequestri di prodotti illegali o falsificati effettuati in ambito doganale e sul territorio nella rete di distribuzione illegale;
   il problema è in larga parte legato al moltiplicarsi di farmacie web non autorizzate, che vendono prodotti illegali, come, ad esempio, farmaci per le disfunzioni erettili o per la perdita di peso, a prezzi vantaggiosi e senza richiedere la ricetta medica, eludendo tutte le misure previste dalla normativa vigente nel nostro Paese a tutela della salute pubblica;
   una direttiva europea, la n. 62/2011, consentirà a breve anche nel nostro Paese la vendita e l'acquisto di farmaci attraverso siti web autorizzati, arricchiti da un bollino europeo e dal dominio ad hoc «pharmacy» di riconoscimento per le farmacie on line certificate e affidabili –:
   a che punto sia il processo di approvazione dei decreti attuativi in Italia della direttiva europea n. 62/2011, la quale, consentendo l'acquisto di farmaci attraverso siti web autorizzati, accrescerà l'affidabilità dei prodotti, nonché la sicurezza dei cittadini. (3-01402)
(31 marzo 2015)

   NICCHI, SCOTTO, DANIELE FARINA, SANNICANDRO, COSTANTINO, PELLEGRINO, MELILLA, PALAZZOTTO, QUARANTA e MATARRELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è ormai improcrastinabile avviare in Parlamento e nel Paese un confronto, nel rispetto reciproco di posizioni diverse, sul ruolo che deve avere lo Stato e la sua legislazione rispetto alle decisioni individuali che riguardano la propria vita e al diritto di ciascun individuo di scegliere le modalità di interruzione della propria esistenza, nel caso di patologie non curabili e in fase terminale;
   il 18 marzo 2014, l'allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, era intervenuto auspicando un intervento normativo sul tema: «il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee sulle condizioni estreme di migliaia di malati terminali in Italia»;
   nel caso di un individuo affetto da patologie non curabili e pervenute alla fase terminale non appare insensato, ma anzi diventa un dovere giuridico e morale, attribuirgli la facoltà di scegliere la modalità della propria esistenza, definendo con chiarezza una normativa che impedisca abusi e tenga conto dell'effettiva volontà della persona malata;
   il 13 settembre 2013 è stata presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge d'iniziativa popolare, recante «Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell'eutanasia», che si unisce ad altre proposte di legge di iniziativa parlamentare già depositate e riguardanti l'eutanasia e il cosiddetto «testamento biologico»;
   nella sua relazione illustrativa, la suddetta proposta di legge d'iniziativa popolare ricorda come «ben oltre la metà degli italiani, secondo ogni rilevazione statistica, è a favore dell'eutanasia legale, per poter scegliere, in determinate condizioni, una morte opportuna invece che imposta nella sofferenza. I vertici dei partiti e la stampa nazionale, invece, preferiscono non parlarne: niente dibattiti su come si muore in Italia, tranne quando alcune storie personali si impongono: Eluana e Beppino Englaro, Giovanni Nuvoli, i leader radicali Luca Coscioni e Piero Welby» –:
   quali siano gli orientamenti e le eventuali iniziative del Governo in merito all'introduzione di una disciplina volta a regolamentare il «fine vita». (3-01403)
(31 marzo 2015)

   BECHIS, BALDASSARRE, ARTINI, BARBANTI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, ROSTELLATO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», prevede quanto segue: «Entro il mese di febbraio, a partire dall'anno successivo a quello dell'entrata in vigore della presente legge, il Ministro della sanità presenta al Parlamento una relazione sull'attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione. Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministro. Analoga relazione presenta il Ministro di grazia e giustizia per quanto riguarda le questioni di specifica competenza del suo Dicastero.»;
   parrebbe che in data odierna il Ministro interrogato non abbia ancora ottemperato agli obblighi di legge di cui sopra –:
   quali siano le motivazioni dettagliate per cui il Ministro interrogato non abbia ancora provveduto ad ottemperare agli obblighi di legge. (3-01404)
(31 marzo 2015)

   L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle attività svolte dal progetto Cost 873, rete europea di ricerca nel settore fitosanitario, nel luglio 2010 l'Istituto agronomico mediterraneo di Bari è stato indicato dal coordinatore della rete, dottor Jaap Janse, anche in considerazione dell'idoneità delle strutture ivi presenti, come sede di incontro e di attività di ricerca per la definizione dei protocolli di diagnosi dei patogeni da quarantena xylella fastidiosa e candidatus liberibacter;
   al fine di procedere all'ordine del suddetto materiale, l'istituto in parola ha richiesto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, settore fitosanitario, dei fertilizzanti e dei materiali di propagazione, l'autorizzazione temporanea all'introduzione, detenzione e manipolazione di materiale infetto dai suddetti patogeni per uso di ricerca, così come disposto dagli articoli 45 e 46 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214;
   nel mese di agosto 2010 il Ministero citato comunicava all'Istituto agronomico mediterraneo di Bari e al servizio fitosanitario regionale l'approvazione dell'attività di ricerca in questione, autorizzando, relativamente a xylella fastidiosa, l'importazione, nel territorio italiano, di n. 4 ceppi liofilizzati di xylella fastidiosa dal Belgio, collezione Lmg bacteria catalogue, Università di Gent per scopo di sperimentazione e ricerca scientifica, n. 2 vasi di piante di vite inoculate e n. 4 rami secchi di vite infetti;
   sebbene risulti che le attività di importazione, detenzione e manipolazione di ceppi di xylella fastidiosa si siano svolte in ottemperanza a tutte le procedure di sicurezza previste, come emerge dai verbali redatti in tutte la fasi, dall'apertura dei contenitori fino alla distruzione del materiale, nel documento di richiesta è fatto riferimento a quattro ceppi importati, ma non è specificata la sub-specie, né il numero di identificazione della coltura, indispensabile ai fini della verifica in banca dati dell'identità e dall'appartenenza alla sottospecie;
   la mancanza delle suddette specificazioni tecniche rende impossibile dimostrare con certezza che il ceppo di xylella fastidiosa importato sia patogeno solo sulla vite e non anche su altri tipi di vegetali;
   il trasferimento di colture di patogeni da quarantena così pericolosi, come la xylella fastidiosa, non può avvenire per posta ordinaria ma solo per corriere, il quale, peraltro, è tenuto a conoscere nel dettaglio la pericolosità del materiale che trasporta, al fine di adottare le opportune precauzioni –:
   perché nell'autorizzazione all'introduzione, detenzione e manipolazione di materiale infetto dal patogeno xylella fastidiosa nell'ambito delle attività di ricerca del programma Cost 873, secondo quanto risulta agli interroganti non si sia specificata né la sub-specie, né il numero identificativo del ceppo, indispensabili a valutare la qualità del materiale in relazione alla sua idoneità alle prove di laboratorio sulla vite e a garantire che le operazioni di ricerca si svolgessero in condizioni di assoluta sicurezza, evitando ogni qualsiasi rischio di contaminazione. (3-01405)
(31 marzo 2015)

   GIGLI e FAUTTILLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della manifestazione Vinitaly di Verona è stata sollevata la problematica collegata alle autorizzazioni delle nuove varietà di vite;
   secondo l'Istituto di genomica applicata dell'Università di Udine, nel corso degli anni si sono sviluppate alcune varietà di vite resistenti alle malattie. Si tratta di vitigni che non subiscono gli attacchi della peronospora e dell'oidio, le due principali e più diffuse patologie dei vigneti;
   questi vitigni consentono di produrre vini di qualità, abbattendo al tempo stesso il ricorso ai trattamenti chimici. Con evidenti vantaggi sia sul piano della sostenibilità ambientale, sia di quella economica;
   risulterebbe che queste varietà, in tutto dieci, a oltre due anni dalla domanda non abbiano ancora ottenuto l'iscrizione nel registro nazionale delle varietà di vite, necessaria per passare dalla fase sperimentale alla produzione;
   secondo i tecnici del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, i problemi riguarderebbero le denominazioni adottate, in quanto farebbero riferimento al «parentale» ovvero al vitigno principale (come Cabernet, Merlot o Sauvignon) e che, pertanto, potrebbero generare confusione con le coltivazioni convenzionali;
   tuttavia, nuove varietà resistenti e con analoghe denominazioni, come Cabernet Cortis e Cabernet Carbon, sono già state registrate in Italia, anche se sono state create in Germania;
   questa vicenda rischia di penalizzare i viticoltori italiani rispetto a Paesi in cui l’iter autorizzativo è molto più breve, con il rischio che questi prodotti possano arrivare sul mercato prima di quelli italiani –:
   per quale motivo i dubbi opposti ai vitigni in attesa di iscrizione non siano stati sollevati per i vitigni tedeschi e se non ritenga che tali difficoltà possano essere superate ricorrendo ad un marchio ad hoc per le nuove piante resistenti. (3-01406)
(31 marzo 2015)

   GRIMOLDI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 della legge europea n. 97/2013 interviene a seguito della procedura di pre-infrazione (EU Pilot 4277/12/MARK) riferita a violazioni della direttiva «servizi» (2006/123/CE) da parte di leggi regionali, che consentono l'esercizio della professione di guida turistica soltanto nel territorio regionale di competenza; tale procedura è stata attivata al fine di consentire la libera prestazione di servizi da parte guide turistiche di altri Stati membri su tutto il territorio nazionale;
   ai sensi del comma 2 dell'articolo 3, i cittadini comunitari, che abbiano ottenuto l'abilitazione in un altro Stato membro per operare in regime di libera prestazione di servizi, non necessitano, invece, di autorizzazioni o abilitazioni, ad eccezione che per i siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico da individuare con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   alla professione di guida turistica, in quanto professione regolamentata, non si deve applicare la direttiva 2006/123/CE (servizi), ma deve essere applicata, più correttamente, la disciplina prevista dalla direttiva «professioni» (2005/36/CE) recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 206 del 2007;
   bisogna tenere presente la distinzione tra la guida turistica, specializzata nell'illustrazione di un determinato patrimonio culturale, e l'accompagnatore turistico, che svolge un'altra attività con funzioni di assistenza tecnica e logistica a favore dei clienti nel corso di un viaggio;
   la guida turistica affianca i visitatori nella lingua da loro scelta, interpreta il patrimonio culturale e naturale di un territorio e possiede, normalmente, una qualificazione specifica per un determinato territorio; tale qualificazione è rilasciata e riconosciuta dall'autorità competente del Paese visitato;
   al contrario, l'accompagnatore turistico conduce e supervisiona lo svolgimento del viaggio per conto del tour operator, assicurando il compimento del programma, e fornisce informazioni pratiche sui luoghi visitati;
   l'esercizio della professione in Italia è regolamentato e vi si accede tramite esami volti ad accertare le competenze al fine del rilascio dell'abilitazione che ha valore all'interno di un ambito territoriale delimitato – provinciale, regionale – visto che sarebbe impossibile effettuare visite guidate su tutto il territorio italiano, il cui patrimonio va dalla preistoria all'arte contemporanea e conta centinaia di migliaia di beni culturali;
   inoltre, il regime fiscale iniquo costringe alla chiusura molte partite iva, mentre gli stranieri, che non pagano le tasse in Italia, si avvantaggiano delle leggi in sfavore del cittadino italiano;
   il 29 gennaio 2015 il Ministro interrogato ha firmato un decreto in cui si stabiliscono i criteri generali di accesso alla professione di guida turistica, delegando in via concorrente alle regioni le verifiche del caso;
   per le guide già abilitate, con regolari esami pubblici, iscritte in regolari elenchi pubblici regionali o provinciali, si richiede di sostenere esami per poter estendere la validità delle abilitazioni provinciali ad altri siti cosiddetti protetti, in cui solo le guide fornite di questa ulteriore specializzazione potranno esercitare;
   l'Etoa, la potente associazione di tour operator europei, ha sempre sostenuto tali posizioni; interessi analoghi sono sostenuti dalle società di servizi aggiuntivi, alle quali vengono concessi in affido i servizi di biglietteria, pulizia, vendita di libri e che invece vendono anche i servizi di visite guidate, condotte da personale non abilitato, quindi contravvenendo alle leggi vigenti e sottopagando il personale;
   il mercato dei «servizi aggiuntivi», cioè la gestione delle biglietterie e dei bookshop dei principali siti archeologici e musei d'Italia, è appannaggio di pochissimi operatori: la Coopculture assieme all’Electa, Civita cultura, società strumentale dell'associazione Civita (con al vertice Gianni Letta), il cui presidente è Luigi Abete, Gebart (fondata da Luigi Abete), Zetema: fondata da Civita insieme ad Acea e Costa edutainment, poi acquisita al 100 per cento dal comune di Roma, attiva nelle gestione indiretta degli istituti culturali di proprietà del Campidoglio. Curioso il fatto che l'amministratore delegato di Zetema, Albino Ruberti, siede anche nei vertici di Federculture, cui aderisce Zetema;
   le convenzioni dei servizi aggiuntivi sono scadute da diversi anni; ma, invece di fare un concorso pubblico, sono state sempre «prorogate» e continuano ad esserlo;
   desta perplessità sapere che il direttore generale per la valorizzazione del patrimonio (nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) è Anna Maria Buzzi, sorella di Salvatore Buzzi, il capo della Coop 29 giugno coinvolta nello scandalo di «Mafia capitale» –:
   se intenda ritirare il decreto ministeriale del 29 gennaio 2015 fino all'emanazione di una legge di riforma complessiva della professione di guida turistica e se intenda dare attuazione a quanto promesso, già da molto tempo, e cioè di effettuare gare pubbliche per l'affidamento dei servizi aggiuntivi presso i siti museali.
(3-01407)
(31 marzo 2015)

   PICCOLI NARDELLI, COSCIA, ASCANI, BLAZINA, BOSSA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, D'OTTAVIO, GHIZZONI, MALISANI, MALPEZZI, MANZI, NARDUOLO, ORFINI, PES, RAMPI, ROCCHI, ANDREA ROMANO, PAOLO ROSSI, SGAMBATO, VENTRICELLI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nella conferenza stampa del 19 febbraio 2015 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha annunciato l'avvio di una collaborazione con la Consip, mirata ad assicurare meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi da svolgere nei nuovi musei autonomi e nei poli museali regionali, con l'obiettivo di realizzare un servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita a livello nazionale, fruibile da tutti i siti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e facoltativamente dagli enti locali;
   alcuni operatori dei «servizi aggiuntivi» – pur rilevando l'interesse per una procedura di grande innovazione – esprimono il timore che possa essere bandita una gara nazionale avente ad oggetto il solo servizio di biglietteria per tutti i siti culturali, servizio che verrebbe, in questo modo, ad essere separato dalle attività di valorizzazione da affidare in concessione, privando, di fatto, il concessionario di una fondamentale leva finanziaria e commerciale che costituisce uno dei pilastri del marketing culturale, parte integrante di un servizio completo che è rischioso parcellizzare;
   la riforma del codice dei beni e delle attività culturali – decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 117 – precisa che i «servizi aggiuntivi» possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria –:
   con quali tempi e modalità il Ministro interrogato intenda procedere alla sottoscrizione dell'annunciato accordo con la Consip, con particolare riferimento alle modalità relative al servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita a livello nazionale, tenuto conto dei timori sopra esposti. (3-01408)
(31 marzo 2015)

   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la società Eur spa, incaricata della tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare costituito dalle opere realizzate per l'Esposizione universale del 1942, tutelato ai sensi del codice dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e da un vasto patrimonio di parchi e giardini di pregio, anch'esso sottoposto a vincolo da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nel 2007 ha dato avvio alla realizzazione del Nuovo centro congressi, la cosiddetta Nuvola, progettata dall'architetto Massimiliano Fuksas;
   per far fronte agli oneri derivanti dalla realizzazione di tale opera, la società, che sinora aveva sempre chiuso i bilanci in utile, ha cominciato a registrare un decremento nei risultati di esercizio, passando da un volume di ricavi pari a 20 milioni di euro nel 2006 ad appena 700.000 euro nel 2013;
   a fronte dell'indebitamento della Eur spa per sostenere gli oneri connessi all'ultimazione dei lavori della «Nuvola», sino al mese di novembre 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze, socio maggioritario di Eur spa, aveva dichiarato che avrebbe ricapitalizzato la stessa società per un importo di 140 milioni di euro, garantendo la continuità aziendale;
   in data 12 dicembre 2014, invece, a fronte della mancata ricapitalizzazione, il consiglio di amministrazione di Eur spa si è trovata costretta a deliberare la richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo ai sensi dell'articolo 161, comma 6, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, che è stata accolta dal tribunale di Roma il 23 dicembre 2014;
   in base alle indicazioni del tribunale, la società dovrà predisporre entro il 24 aprile 2015 una proposta di concordato preventivo in continuità aziendale, ovvero il deposito di una domanda di accordo di ristrutturazione del debito;
   il 16 febbraio 2014 si è svolta un'assemblea straordinaria dei soci della società Eur spa che ha approvato una modifica statutaria finalizzata a poter procedere alla dismissione di alcuni degli immobili appartenenti al patrimonio della stessa;
   gli immobili destinati all'alienazione sembrerebbero essere Palazzo delle arti e tradizioni popolari, Palazzo della scienza universale, Palazzo dell'arte moderna, Palazzo dell'agricoltura e delle bonifiche e Palazzo dell'Archivio di Stato, Palazzo dell'urbanistica;
   questi palazzi sono veri e propri gioielli storici e artistici e, attraverso la redditività delle superfici in locazione e lo sviluppo dei servizi connessi, hanno consentito ad Eur spa di mantenere stabile il livello dei valori locativi con i quali si è da sempre autofinanziata;
   la sottrazione di tali edifici dal patrimonio immobiliare dell’Eur spa, a fronte di un ricavo una tantum e che dovrà comunque essere destinato al completamento del centro congressi e al ripianamento del debito, determinerà una perdita economica per circa 20 milioni di euro l'anno, alle quali si andrebbero a sommare altre decine milioni di euro di penali per l'estinzione anticipata dei mutui contratti con le banche, con le ovvie ripercussioni negative sulla solidità finanziaria della società e sui livelli occupazionali della stessa;
   inoltre, il passaggio della proprietà di tali beni in capo a società quali Invimit, Cassa depositi e prestiti e Inail, che allo stato sembrano essere gli acquirenti pubblici interessati, o addirittura a società private, significa consegnarli nelle mani di soggetti a parere dell'interrogante inesperti e privi di qualunque know how in materia di gestioni immobiliari di alto valore artistico e culturale, distraendoli, di fatto, dalle finalità di conservazione e valorizzazione promosse dalla società Eur spa –:
   se non ritenga di avviare le opportune ed urgenti verifiche di competenza rispetto alla liceità delle alienazioni di cui in premessa, nonché ogni iniziativa utile al fine di mantenere la proprietà di tali edifici alla società Eur spa per la loro tutela e valorizzazione in base alle previsioni del codice dei beni culturali, anche attraverso l'istituzione di un tavolo con il Ministero dell'economia e delle finanze volto ad elaborare una diversa modalità di copertura degli oneri che gravano su Eur spa. (3-01409)
(31 marzo 2015)

   BRUNETTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   di recente, il tema dell'opacità nella gestione del debito pubblico italiano è stato più volte portato all'attenzione del Governo e del Ministro interrogato, anche attraverso l'utilizzo degli strumenti di sindacato ispettivo a disposizione dei parlamentari, senza ottenere risposte soddisfacenti;
   quello dei titoli derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze italiano per ridurre l'incertezza sul servizio del debito pubblico è un tema cruciale di cui si discute da tempo, senza avere, però, a disposizione i dati reali del fenomeno;
   i dati reali sono fondamentali per fare chiarezza su una questione avvolta da troppe zone d'ombra: relazioni potenzialmente perverse con le controparti, automatismi non meglio specificati, conflitti di interesse, probabili connivenze, assenza di regole e totale mancanza di controllo dimostrata in tutti questi anni di gestione autoreferenziale;
   quanto emerge dalle poche informazioni disponibili (a partire da quelle offerte di recente dal direttore generale del debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze, dottoressa Maria Cannata, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati deliberata dalla Commissione finanze della Camera dei deputati) non ha, infatti, contribuito a fare chiarezza sulle questioni, in quanto non sono stati forniti né i contenuti dei contratti di derivati dello Stato italiano ancora in essere, né informazioni sulle controparti e sugli importi, né i dati in merito ai tempi e alle clausole degli stessi;
   la totale opacità di gestione e il muro di silenzio dinnanzi alle continue richieste di garanzia del principio di total disclosure, stabilito sin dal decreto legislativo n. 150 del 2009 e proprio di tutta l'attività della pubblica amministrazione, non fanno altro che alimentare sospetti, così come ingiustificati e ingiustificabili sono i ripetuti appelli del Ministero dell'economia e delle finanze alla riservatezza delle informazioni per evitare la reazione dei mercati;
   è per questo che abbiamo già chiesto, anche attraverso lo strumento dell'interpellanza urgente, nonché con una specifica richiesta di accesso agli atti avanzata dall'interrogante e dai deputati della Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati del gruppo Forza Italia, innanzitutto total disclosure, ovvero la totale messa a disposizione di tutte le informazioni, con riferimento ai contratti derivati collegati ai titoli di Stato emessi dal Ministero dell'economia e delle finanze italiano, e la pubblicazione integrale degli stessi. Chiamato a rispondere all'interpellanza urgente, il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta rispondeva semplicemente che «tutte le informazioni possibili sono già presenti sul sito del Ministero, con un livello di trasparenza più ampio di quello della maggior parte degli emittenti sovrani»;
   alla richiesta di accesso agli atti avanzata dai parlamentari del gruppo Forza Italia non abbiamo ottenuto ancora formale risposta;
   abbiamo, inoltre, invocato trasparenza su un altro aspetto inquietante della gestione opaca del debito sovrano italiano: il tema delle «porte girevoli». Molti direttori generali del Ministero dell'economia e delle finanze e molti Ministri, infatti, persone tutte qualificate e rispettabilissime, hanno infatti svolto attività lavorativa per quelle stesse banche con le quali avevano stipulato, dal Ministero dell'economia e delle finanze, contratti miliardari;
   abbiamo, inoltre, predisposto un'ulteriore interpellanza urgente, con una trentina di domande molto puntuali, che avrebbero potuto aiutare a chiarire molti punti oscuri; il Vice Ministro Luigi Casero, chiamato a rispondere in rappresentanza del Ministero dell'economia e delle finanze, non ha però saputo offrire a giudizio dell'interrogante alcuna risposta precisa ai quesiti posti;
   la stessa dottoressa Cannata, con provvedimento del 25 febbraio 2015, proprio a seguito di un'analoga richiesta di accesso agli atti inviata dai deputati delle Commissioni bilancio e finanze della Camera dei deputati del MoVimento 5 Stelle, ha negato l'accesso alla documentazione relativa ai contratti aventi ad oggetto derivati stipulati dallo Stato italiano;
   il diniego di accesso è stato motivato su rilievi ostativi destituiti di fondamento; se, infatti, il Ministero dell'economia e delle finanze obietta che, ai sensi del decreto legislativo n.33 del 2013, «non appare sussistere in capo al Ministero obbligo di ostensione dei documenti richiesti», allo stesso tempo non indica le disposizioni di legge ritenute ostative all'accesso ai documenti richiesti, sicché il provvedimento di diniego ad avviso dell'interrogante risulta assolutamente illegittimo in quanto carente di motivazione;
   è, quindi, evidente che non sono state indicate le disposizioni preclusive all'accesso semplicemente perché non esistono; infatti, dalla lettura del decreto legislativo citato, da valersi ormai come l'unica fonte degli obblighi di trasparenza della pubblica amministrazione, non solo non si ricava alcuna previsione che impedisca l'ostensione della documentazione richiesta (non essendo ascrivibile la fattispecie considerata e nessuna di quelle contemplate all'articolo 4, rubricato «limiti alla trasparenza»), ma, al contrario, si rinvengono disposizioni positive che sanciscono il relativo obbligo;
   il combinato disposto degli articoli 1 («Principio generale di trasparenza») e 23 («Obblighi di pubblicazione concernenti i provvedimenti amministrativi»), comma 1, lettera d), costituisce, infatti, la fonte dell'obbligo di pubblicare tutti i dati relativi agli accordi stipulati dall'amministrazione con soggetti privati e non consta alcuna esclusione (infatti non indicata), dall'ambito applicativo oggettivo di tali disposizioni, dei contratti aventi ad oggetti strumenti finanziari (come quelli in oggetto);
   ne consegue che, alla stregua della normativa citata, il Ministero dell'economia e delle finanze è obbligato a pubblicare i contratti in oggetto e, in ogni caso, a renderli conoscibili a chiunque eserciti il diritto all'accesso civico, nelle forme e con le modalità stabilite dall'articolo 5 del decreto legislativo suddetto;
   inoltre, i richiedenti l'accesso ai documenti sono deputati assegnati alla commissione parlamentare che si occupa di bilancio e di finanza pubblica, sicché tale richiesta non può intendersi come finalizzata ad un «controllo generalizzato dell'operato della pubblica amministrazione», e, come tale, vietato secondo il disposto di cui all'articolo 24, comma 3, della legge n. 241 del 1990. La richiesta è, infatti, preordinata all'esercizio delle funzioni parlamentari e, quindi, supportata da un interesse diretto, concreto ed attuale alla conoscenza della documentazione richiesta;
   a tal proposito la giurisprudenza ha, infatti, chiarito che «l'esercizio del diritto di accesso non è consentito per finalità di mero controllo della legalità dell'azione amministrativa, ma la sua istanza dev'essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all'istante da uno specifico nesso» (ex multis Consiglio di Stato, sezione V, 20 gennaio 2015, n. 166). E pare davvero difficile negare i predetti caratteri (per come stabiliti da una costante giurisprudenza amministrativa) nella posizione soggettiva del deputato, che, per ragioni inerenti all'esercizio del suo mandato parlamentare (e non per mera curiosità o per finalità emulative), intenda conoscere i documenti amministrativi che gli servono per svolgere le sue prerogative nella commissione parlamentare che si occupa della materia interessata dagli atti oggetto della richiesta di accesso –:
   in quali tempi il Ministero dell'economia e delle finanze intenda garantire la piena attuazione del principio di total disclosure che deve governare tutta l'attività dell'amministrazione pubblica, ai sensi di quanto stabilito sin dal decreto legislativo n. 150 del 2009, pubblicando in versione integrale tutti i contratti derivati in essere dello Stato italiano, al fine di rendere note a tutti tutte le informazioni in merito ai contenuti, alle controparti, agli importi e alle clausole degli stessi, e, in ogni caso, quando intenda assicurare accesso alla documentazione relativa ai contratti derivati, così come da richiesta formale trasmessa dai deputati del gruppo Forza Italia il 27 marzo 2015, posto che, non essendovi alcuna normativa ostativa all'accesso, deve riconoscersi tale diritto alla stregua della disciplina legislativa richiamata in premessa. (3-01410)
(31 marzo 2015)