TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 389 di Mercoledì 11 marzo 2015

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   BINETTI e DORINA BIANCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato ha recentemente annunciato che nella prima settimana di febbraio 2015 dovrebbe finalmente realizzarsi l'ampliamento dei livelli essenziali di assistenza e l'inserimento in elenco di oltre 110 malattie rare;
   anche i colossi farmaceutici si stanno attualmente interessando con rinnovato impegno di malattie rare, confinate finora ai margini della ricerca per le scarsa redditività commerciale dei farmaci orfani;
   questo avviene spesso attraverso l'acquisizione di piccole aziende che si dedicano intensivamente alla ricerca di singoli farmaci specifici per singole patologie, oppure attraverso l'acquisizione di aziende biotech per lo sviluppo della diagnostica molecolare, che costituisce un importante punto di riferimento per la personalizzazione delle cure: recentemente, una grande multinazionale ha acquisito un'azienda biotecnologica francese, impegnata nella ricerca sperimentale di molecole per l'atrofia muscolare spinale, una malattia rara, altamente disabilitante nelle funzioni motorie e che ha un grande impatto sociale sulle famiglie;
   occuparsi di farmaci orfani non può essere un evento isolato né casuale, bensì deve prevedere una strategia che coinvolga tutta l'industria farmaceutica che si impegni maggiormente a promuovere farmaci per la cura delle malattie rare e rispondere alle esigenze di malattie di grande impatto sociale, dove c’è ancora un estremo bisogno di ricerca e innovazione, per poter soddisfare le gravi necessità di pazienti affetti da malattie dove una cura ancora non c’è;
   i farmaci innovativi e il comparto diagnostico rappresentano anche settori che contribuiscono in modo significativo alla crescita del volume di affari delle grandi case farmaceutiche, come, ad esempio, la Roche, che nel 2014 ha registrato vendite per 47.462 milioni di franchi svizzeri, pari a circa 50 miliardi di euro, contro i 46.780 milioni del 2013. I farmaci hanno contribuito a creare questo volume di affari per una quota di 36.696 milioni di franchi, mentre la divisione diagnostica si è attestata su circa 11.000 milioni di franchi, con un incremento del 3 per cento per la diagnostica e dell'1 per cento per la farmaceutica;
   in Italia, invece, si è registrato un dato in controtendenza con una flessione complessiva della spesa e del consumo dei farmaci a causa degli effetti del meccanismo di ripiano dello sfondamento della spesa farmaceutica ospedaliera, imposto dal Governo: il payback ospedaliero colpisce, soprattutto, le aziende che investono maggiormente in innovazione;
   ma ciò nonostante l'Italia conserva una forte capacità innovativa in ambito farmacologico che si sviluppa, soprattutto, nella migrazione all'estero dei giovani ricercatori e nell'estrema difficoltà a favorire il ritorno in Italia dei ricercatori senior più esperti anche nella fase di management della ricerca;
   la ricerca farmacologica rappresenta un nodo cruciale che intercetta l'impegno di più ministeri: dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al Ministero della salute, dallo Ministero dello sviluppo economico al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Senza dimenticare il decisivo Ministero dell'economia e delle finanze; il futuro della ricerca farmacologica riguarda l'immunoterapia, che rende possibile disporre di cure altamente personalizzate, come è necessario, soprattutto, nel caso di malattie rare; è ormai consolidata l'ipotesi che il farmaco non debba più colpire in modo sistemico, ma in modo mirato, per cui occorre personalizzare anche l'approccio diagnostico con sistemi di analisi molecolare, completamente automatizzati, sempre più integrati e connessi fra loro, per aumentare appropriatezza ed efficienza;
   risultati e obiettivi strategici confermano la primaria importanza della ricerca nel settore farmacologico che contribuisce in modo significativo a fare da motore trainante dell'economia anche attraverso la creazione di posti di lavoro altamente qualificati, in grado di attrarre giovani ricercatori brillanti e creativi –:
    in che modo il Ministero della salute intenda intervenire a sostegno della ricerca nel campo delle malattie rare, per individuare percorsi terapeutici innovativi e personalizzati, in modo da favorire l'appropriatezza nella somministrazione dei farmaci e la riduzione del disagio sociale, con i conseguenti costi che queste patologie generano, condizionando pesantemente la qualità di vita delle persone malate e delle loro famiglie. (3-01346)
(10 marzo 2015)

   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 23 luglio 2014 la Commissione XII (affari sociali) della Camera dei deputati, dopo un lungo e attento dibattito, ha approvato la risoluzione Lenzi ed altri n. 8-00068, nuovo testo, «Iniziative volte a fronteggiare la peste suina africana e la malattia vescicolare suina»;
   nella citata risoluzione si osservava, tra l'altro, che per quel che riguardava la malattia vescicolare suina, «l'accreditamento aziendale e regionale di indennità da malattia vescicolare suina consente la possibilità di movimentazione degli animali e delle carni, ma attualmente in Italia non si ha l'accreditamento di tutte le regioni per l'indennità da malattia vescicolare suina. Infatti ad oggi le regioni Campania e Calabria presentano ancora dei focolai»;
   per quel che riguarda la peste suina africana, è noto che questa malattia, contagiosa tra gli animali ma non per l'uomo, sta costituendo un grosso freno alle esportazioni di carne suine, stante anche quanto stabilito dalla Commissione europea che, con propria decisione esecuzione 2011/852/UE, ha definito tutta la Sardegna territorio «ad alto rischio»;
   il Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori, Tonio Borg, ha evidenziato il rischio della diffusione della peste suina africana al di fuori della Sardegna, con gravissimi danni per tutto l'allevamento suino europeo;
   la Giunta Regionale della Sardegna, con deliberazione n.25/18 del 2 luglio ha disposto la redazione e l'attuazione di un piano d'azione straordinario e l'istituzione di un comitato ristretto d'indirizzo per l'eradicazione della peste suina africana;
   a questo è seguita la legge regionale 22 dicembre 2014, n. 34, «Disposizioni urgenti per l'eradicazione della peste suina africana», e, infine, la delibera 5/6 del 6 febbraio 2015, che ha approvato definitivamente il piano d'azione straordinario sopra citato;
   la Commissione europea ha approvato il piano d'azione straordinario sopra citato, deliberando un co-finanziamento pari a 3.500.000 di euro, per contribuire a debellare il virus entro il 2017. Attualmente la somma è suddivisa in due tranche: 2 milioni di euro per il 2015; 1.500.000 di euro per il 2016;
   appare, quindi, evidente l'efficace e fattivo impegno messo in campo dalla regione Sardegna per l'eradicazione della malattia, riconosciuto anche dalla Commissione europea;
   le audizioni effettuate dalla Commissione XII (affari sociali) della Camera dei deputati, durante la discussione della risoluzione ricordata, hanno sottolineato tra le criticità più gravi l'insufficiente attività di controllo in porti ed aeroporti;
   il problema della mancanza di controlli non vale solo per l'esportazione, ma anche per l'importazione;
   è, infatti, noto che molte merci provenienti dall'estero sono introdotte in Sardegna senza nessuna necessaria autorizzazione e senza che vengano svolti i previsti controlli sanitari;
   in tempi recenti, inoltre, proprio la carenza di controlli ha causato la diffusione di gravi virosi che hanno pesantemente danneggiato l'economia sarda e minacciato la salute delle persone;
   in particolare, così come per le esportazioni, anche per le importazioni si registra una mancanza totale di controlli effettivi, in particolare per quel che riguarda le merci che si muovono su gomma ed escono dalle aree portuali;
   il controllo sistematico delle merci e dei prodotti importati in Sardegna dovrebbe essere di competenza del Ministero della salute; si effettua presso punti di ispezione frontaliera che sono del tutto inesistenti in Sardegna;
   la totale assenza di presidi statali nel caso di importazioni dirette in Sardegna rischia di creare gravi problemi di salute, non solo per la popolazione sarda, ma anche per quella italiana ed europea;
   la risoluzione della Commissione XII (affari sociali) della Camera dei deputati, al punto l), impegna il Governo a «rafforzare i controlli su porti e aeroporti, anche favorendo l'istituzione in Sardegna di un punto di ispezione frontaliera»;
   è, inoltre, noto che in occasione dell'Expo sarà possibile importare, in accordo con le specifiche procedure che verranno messe in atto dall'Italia, alimenti di origine animale provenienti da Paesi extra Unione europea anche se non conformi ai requisiti sanitari europei, a condizione che detti alimenti vengano consumati solo nell'ambito dell'Expo;
   sarebbe auspicabile che la stessa possibilità fosse data anche alla Sardegna, per quel che riguarda, in particolare, i prodotti a base di carni suine sarde, trattati termicamente;
   l'istituzione dei punti frontiera in Sardegna sarebbe certamente un utile strumento per consentire che i prodotti a base di carni suine sarde trattati termicamente, sopra ricordati, possano venire introdotti in totale sicurezza e consumati durante l'Expo 2015 –:
   se il Ministro interrogato abbia iniziato ad ottemperare all'impegno preso con l'approvazione della risoluzione citata in premessa, cui il Governo ha dato parere favorevole, e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza abbia intrapreso per l'istituzione di punti frontiera in Sardegna, in modo da garantire un maggiore controllo e una più sicura tutela della salute dei cittadini. (3-01347)
(10 marzo 2015)

   GALGANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 10 luglio 2014 è stata siglata tra Governo e regioni l'intesa con la quale si è approvato il documento «Patto per la salute 2014-2016»;
   all'articolo 6 dell'accordo (assistenza socio-sanitaria) viene stabilito che le relative prestazioni «sono effettuate nei limiti delle risorse previste» (comma 1); «le regioni disciplinano i principi e gli strumenti per l'integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, socio-sanitarie e sociali, particolarmente per le aree della non autosufficienza, della disabilità, della salute mentale adulta e dell'età evolutiva, dell'assistenza ai minori e delle dipendenze e forniscono indicazioni alle Asl ed agli altri enti del sistema sanitario regionale per l'erogazione congiunta degli interventi, nei limiti delle risorse programmate per il servizio sanitario regionale e per il sistema dei servizi sociali per le rispettive competenze» (comma 2); «le regioni si impegnano ad armonizzare i servizi socio-sanitari, individuando standard minimi qualificanti di erogazione delle prestazioni socio-sanitarie che saranno definite anche in base al numero e alla tipologia del personale impiegato» (comma 8);
   la tutela della salute rappresenta un diritto fondamentale, sancito dall'articolo 32 della Costituzione;
   lo Stato, ex articolo 117 della Costituzione, ha legislazione esclusiva in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»; la legge n. 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, stabilisce che esso debba assicurare «la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali ne siano le cause, la fenomenologia e la durata» (articolo 2) e che esso opera «nei confronti di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio» (articolo 1);
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, richiamato dall'articolo 54 della legge n. 289 del 2002, sono stati definiti i livelli essenziali di assistenza delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie;
   nella sentenza n. 509 del 2000 la Corte costituzionale ha precisato che il diritto alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie «è garantito ad ogni persona come un diritto costituzionalmente condizionato all'attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti (...) Bilanciamento che, tra l'altro, deve tenere conto dei limiti oggettivi che il legislatore incontra in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone, restando salvo, in ogni caso, quel nucleo irriducibile alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana (...), il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l'attuazione di quel diritto»;
   in una recente pronuncia del 2013 (sentenza n. 36), la Corte costituzionale ha precisato che «l'attività sanitaria e socio-sanitaria a favore di anziani non autosufficienti è elencata tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001». Nella stessa sentenza, la Corte costituzionale ha definito non autosufficienti le «persone anziane o disabili che non possono provvedere alla cura della propria persona e mantenere una normale vita di relazione senza l'aiuto determinante di altri»;
   la limitazione delle prestazioni socio-sanitarie alle risorse previste viola, a giudizio dell'interrogante, il principio della tutela della salute espresso dalla Costituzione e dalle leggi vigenti in materia di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie;
   l'assegnazione alle regioni del compito di disciplinare «i principi e gli strumenti per l'integrazione dei servizi e delle attività sanitarie, socio-sanitarie e sociali» e di individuare «standard minimi qualificanti di erogazione delle prestazioni socio-sanitarie» contrasta con l'esclusiva titolarità dello Stato nella definizione dei livelli essenziali delle prestazioni;
   le suddette disposizioni del Patto per la salute annullano, di fatto, il diritto alle cure sanitarie e socio-sanitarie per milioni di concittadini malati e/o colpiti da handicap gravemente invalidante, introducendo un'inaccettabile discriminazione non solo fra i malati acuti e quelli cronici non autosufficienti, ma anche fra malati autosufficienti e malati non autosufficienti colpiti da analoghe patologie acute;
   mediante tali provvedimenti si introduce un elemento di discrezionalità nell'attività del medico che può determinare l'accesso o meno alle cure per un paziente in funzione della sua classificazione come malato necessitante dell'assistenza socio-sanitaria limitata alla disponibilità di risorse, anziché di quella sanitaria non vincolata alla quantità di risorse disponibili;
   la risoluzione n. 8-00191 (approvata all'unanimità dalla Commissione affari sociali della Camera dei deputati l'11 luglio 2012) prevedeva di adottare le iniziative necessarie per assicurare la corretta attuazione e la concreta esigibilità delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie previste dai livelli essenziali di assistenza alle persone con handicap invalidanti, agli anziani malati cronici non autosufficienti, ai soggetti colpiti dal morbo di Alzheimer o da altre forme neurodegenerative e di demenza senile e ai pazienti psichiatrici, assicurando loro l'erogazione delle prestazioni domiciliari, semiresidenziali e residenziali;
   la medesima tematica è stata trattata nel corso della XVII legislatura con l'ordine del giorno n. 9/02679-bis-A/088, accolto dal Governo –:
   se non ritenga opportuno dare tempestiva attuazione agli impegni presi attraverso gli atti di indirizzo citati in premessa, anche prendendo in considerazione una revisione dell'articolo 6 del «Patto per la salute 2014-2016», che non è più in grado di assicurare livelli essenziali garantiti per tutti su tutto il territorio nazionale, così come previsto dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. (3-01348)
(10 marzo 2015)

   RONDINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e SIMONETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 30 settembre 2014 l'Agenzia italiana del farmaco e l'azienda farmaceutica Gilead sciences hanno raggiunto l'accordo per la rimborsabilità del farmaco Sofosbuvir, il cui nome in commercio è Sovaldi, per il trattamento dei pazienti affetti da epatite cronica C;
   il 5 dicembre 2014 è stata pubblicata la delibera in Gazzetta Ufficiale con l'autorizzazione all'immissione in commercio e i criteri di rimborsabilità da parte del servizio sanitario nazionale e dal 6 dicembre 2014 viene installata su piattaforma web dell'Agenzia italiana del farmaco il registro del farmaco con l'indicazione terapeutica: «Sovaldi è un medicinale soggetto a prescrizione medica limitativa, da rinnovare di volta in volta (RNRL), da ospedali o specialisti (internista, specialista in malattie infettive, gastroenterologo). L'erogazione di Sovaldi a carico del servizio sanitario nazionale è consentita solo su prescrizione di centri specialistici all'uopo individuati dalle singole regioni». Per potersi fare prescrivere il farmaco, è infatti necessario che la regione di appartenenza abbia individuato i centri prescrittori e li abbia comunicati all'Agenzia italiana del farmaco;
   si stima che in Italia siano circa 70-80 mila i pazienti più gravi a fronte di una patologia diagnosticata a 400-500 mila casi e con una stima complessiva, comprensiva anche di quelli non diagnosticati, di un milione di casi;
   con la legge di stabilità per il 2015 è stata prevista, ai commi 593-598, l'istituzione di un fondo speciale di 1 miliardo di euro per il rimborso alle regioni per l'acquisto di farmaci innovativi, per il biennio 2015 e 2016. Il fondo è alimentato da un contributo statale alla diffusione di farmaci innovativi e da una quota delle risorse destinate alla realizzazione degli obiettivi specifici del piano sanitario nazionale. Tale fondo prevede il pagamento degli importi alle regioni in proporzione ai costi sostenuti per l'acquisto di farmaci innovativi;
   tuttavia, come ha sottolineato anche il direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco Luca Pani, nel corso della presentazione del rapporto OsMed «L'uso dei farmaci in Italia dal gennaio-settembre 2014», il 26 gennaio 2015, i 20 sistemi sanitari regionali diversi stanno facendo sì che il farmaco sia erogato a soli 30 pazienti e solo in 5-6 regioni;
   una volta individuati e sanciti con delibere i centri prescrittori, le regioni devono individuare le regole di distribuzione del farmaco. Le delibere per la distribuzione del farmaco sono state attualmente adottate solo in 9 regioni: Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Marche, Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna, mentre Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Abruzzo e Basilicata non avrebbero attivato il programma di dispensazione del farmaco. Le regioni che invece non hanno ancora individuato i centri di prescrizione Sofosbuvir sono: Sicilia, Campania, Calabria e Molise. Dunque, soltanto l'81 per cento (17 su 20) dei sistemi sanitari regionali ha attivato i centri prescrittori, con un totale di 234 reparti. La situazione crea, così, delle discrepanze nella prescrizione ed erogazione del nuovo farmaco ai pazienti malati di epatite C, non assicurando equo ed uguale accesso alla cura;
   il presidente dell'associazione EpaC, Ivan Gardini, sostiene che il motivo per cui le regioni stanno avendo ritardi nell'avviare le misure normative locali necessarie all'erogazione di Sofosbuvir è che «il fondo stanziato dalla legge di stabilità per il 2015 per acquistare il farmaco non sia ancora nella disponibilità delle regioni, spingendole a procedere molto lentamente perché intanto devono anticipare i soldi»;
   il termine per la definizione delle procedure amministrative necessarie all'inserimento di Sovaldi nei prontuari terapeutici ospedalieri regionali è scaduto il 4 febbraio 2015. Si evidenzia che il Ministro interrogato, il 12 febbraio 2015, ha dato incarico ai nuclei antisofisticazione di compiere «accertamenti urgenti presso gli uffici competenti delle regioni al fine di verificare lo stato di attuazione della dispensazione a carico del servizio sanitario nazionale del nuovo farmaco», mostrando impegno e interesse per la problematica;
   è, infine, del 7 febbraio 2015 la notizia che alcuni malati di epatite C, seguiti dallo studio legale Defilippi&associati di Parma, si sono rivolti ai giudici di Roma, Parma e Milano chiedendo, con provvedimento di urgenza, di «ordinare al Ministero della salute e all'azienda farmaceutica Gilead science l'immediata cessazione della condotta sino a questo momento posta in essere in danno del malato», fornendo «immediatamente la cura completa del farmaco Sofosbuvir pari a circa 40 pastiglie, ponendo le spese a carico del servizio sanitario nazionale»;
   il 5 novembre 2014 il Ministro interrogato, già in risposta all'interrogazione n. 3-01133 dell'onorevole Miotto sulle «iniziative di competenza per la determinazione unica del prezzo dei farmaci nell'ambito dell'Unione europea, nonché iniziative urgenti per garantire l'accesso al farmaco Sovaldi per la cura dell'epatite C e per la pubblicazione del piano nazionale per la prevenzione delle epatiti virali», assicurava il suo impegno per «la definizione dei criteri di accesso alla terapia in questione per ottenere il massimo beneficio, garantendo anche la sostenibilità del sistema e l'equità e l'omogeneità dell'accesso stesso; è una priorità che ritiene nazionale e che non può essere gestita regione per regione in base alle differenti disponibilità economiche»;
   il 21 gennaio 2015 nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla «Sostenibilità del servizio sanitario nazionale» in Commissione igiene e sanità del Senato della Repubblica, il direttore generale dell'Agenas Francesco Bevere ha sottolineato l'importanza di rafforzare il monitoraggio, l'analisi e il controllo dell'andamento dei singoli sistemi sanitari regionali, che significa, tra l'altro, «controllare le attività degli erogatori sanitari per verificare che ne siano rispettati tutti gli standard previsti e, al contempo, che, nel momento in cui l'erogazione dei servizi viene messa a repentaglio, Agenas, assieme al Ministero ed alle regioni, sarà in grado di individuare preventivamente ogni scostamento, affinché esso non produca nel tempo difetti nella performance gestionale e nella complessiva erogazione dei servizi sanitari, a danno dei cittadini» –:
   in considerazione di quanto espresso in premessa e alla luce della necessità di garantire a tutti i pazienti, indipendentemente dalla loro regione di appartenenza, l'accesso al farmaco, come si intenda garantire, in tempi brevi, la capillare distribuzione delle nuove terapie hcv su tutto il territorio nazionale e permettere ad ogni malato un equo accesso alla cura e quali azioni si intendano intraprendere per rafforzare e assicurare il ruolo di monitoraggio e controllo dell'Agenas e del Ministero della salute nei confronti dei sistemi sanitari regionali. (3-01349)
(10 marzo 2015)

   RIZZETTO, MUCCI, BARBANTI, BALDASSARRE, ARTINI, ROSTELLATO, PRODANI, SEGONI, TURCO e BECHIS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i livelli essenziali di assistenza sono le prestazioni e i servizi che il servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini e non sono aggiornati dal 2001. Ciò implica che tutta una serie di nuovi ausili non sono a disposizione dei malati, in modo particolare quelli più gravi;
   il nomenclatore è il documento emanato dal Ministero della salute che stabilisce la tipologia e le modalità di fornitura di protesi e ausili a carico del servizio sanitario nazionale. Il nomenclatore tariffario attualmente in vigore è quello stabilito dal decreto ministeriale 27 agosto 1999, n. 332, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 1999 («Regolamento recante norme per le prestazioni di assistenza protesica erogabili nell'ambito del servizio sanitario nazionale: modalità di erogazione e tariffe»);
   il 10 luglio 2008 il Sottosegretario pro tempore Giuseppe Pizza a nome del Governo in risposta ad una interpellanza affermava: «Solo quando il confronto con le regioni avrà consentito di valutare tutta la complessità delle questioni poste, sarà possibile formulare previsioni realistiche circa l'approvazione dei nuovi livelli essenziali di assistenza»;
   il 23 giugno 2010 il Ministro pro tempore Fazio dichiarava che quanto di competenza del suo Ministero e, in particolare, l'intesa realizzatasi nella Conferenza Stato-regioni è stata completata nel mese di febbraio e che la bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di revisione dei livelli essenziali di assistenza, con nuove disposizioni rispetto alla versione licenziata dall'ex Ministro Turco, è ormai pronta;
   il 18 ottobre 2012 alla Camera dei deputati veniva accolto l'ordine del giorno Farina Coscioni con il quale il Governo pro tempore si impegnava «a non arrivare alla scadenza ultima del 31 maggio 2013 per aggiornare il nomenclatore, ma a compiere ogni sforzo necessario per anticipare il più possibile la revisione della nomenclatura dei dispositivi erogabili»;
   l'8 novembre 2012 il decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, viene approvato e all'articolo 5, recante «Aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza con particolare riferimento alle persone affette da malattie croniche, da malattie rare, nonché da ludopatia», prevede che: «Nel rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica, con la procedura di cui all'articolo 6, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 31 dicembre 2012, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e con il parere delle Commissioni parlamentari competenti, si provvede all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502»;
   al comma 2-bis del predetto decreto: «Il Ministro della salute procede entro il 31 maggio 2013 all'aggiornamento del nomenclatore tariffario di cui all'articolo 11 del decreto ministeriale del 27 agosto 1999, n. 332»;
   il 13 novembre 2013 durante la seduta di interrogazioni a risposta immediata in Assemblea alla Camera dei deputati il Ministro interrogato ha dichiarato, tra l'altro: «è mia ferma volontà inserire il progetto di aggiornamento dell'attuale nomenclatore tariffario delle protesi per i soggetti disabili nella prossima iniziativa di politica sanitaria, qual è il Patto per la salute 2013-2015, che nel rispetto degli attuali vincoli di finanza pubblica è in corso di perfezionamento con le regioni e che mi auguro possa essere adottato entro la fine dell'anno in corso»;
   il 20 marzo 2014 in Commissione affari sociali della Camera dei deputati viene approvata la risoluzione n. 8-00040. con la quale il Governo si impegna «ad adottare con urgenza, e comunque non oltre il 30 giugno 2014, il decreto di aggiornamento del nomenclatore tariffario dei dispositivi medici, al fine di corrispondere alla legittima aspettativa dei pazienti che hanno il diritto di poter disporre di ausili e dispositivi provenienti dal più attuale stato di avanzamento del progresso tecnologico nel settore della produzione degli stessi, nonché a mettere in atto tutte le iniziative necessarie affinché l'aggiornamento sia biennale»;
   in data 2 luglio 2014, rispondendo all'interrogazione n. 3-00914 sull'attuazione del Patto per la salute 2014-2016, il Ministro interrogato affermava che l'aggiornamento «dei livelli essenziali di assistenza, attesissimo da tutti gli operatori, ma anche dalle associazioni delle famiglie, dei malati, soprattutto di malattie rare, ormai da più di dieci anni (...) avverrà entro il 31 dicembre 2014. La stessa cosa per quanto riguarda il regolatore del nomenclatore tariffario per le protesi audiovisive che, ricordiamolo, non era aggiornato dagli anni ’90, questo ovviamente in attuazione dei principi di equità, innovazione e appropriatezza e nel rispetto degli equilibri programmatici della finanza pubblica»;
   il 16 luglio 2014 la programmazione economico-finanziaria 2014-2016 fissata dal Patto della salute stabilisce che si provveda al tanto atteso aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza entro il 31 dicembre 2014. L'aggiornamento, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è adottato d'intesa con la Conferenza Stato-regioni e dovrà avvenire in attuazione dei principi di equità, innovazione ed appropriatezza e nel rispetto degli equilibri programmati della finanza pubblica;
   il 17 settembre 2014 il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, al programma televisivo Le Iene, dichiarava «il nomenclatore sarà aggiornato entro dicembre» –:
   se e quando sia prevista o prevedibile la seduta del Consiglio dei ministri per l'adozione del decreto sui nuovi livelli essenziali di assistenza e sull'assistenza protesica. (3-01350)
(10 marzo 2015)

   D'INCECCO, LENZI, GELLI, ALBINI, AMATO, ARGENTIN, BECATTINI, BENI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, FOSSATI, GRASSI, MARIANO, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PIAZZONI, PICCIONE, SBROLLINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi giorni regioni, Ministero della salute e sindacati della medicina convenzionata hanno raggiunto l'intesa su un documento che modifica l'atto di indirizzo per riaprire le trattative finalizzate alla riorganizzazione delle cure primarie;
   l'intesa – firmata da tutti i sindacati medici tranne che da Snami, Smi (per quanto riguarda la parte della medicina generale) e Unp – prevede che lo studio del singolo medico di famiglia rimanga integrato con l'aggregazione funzionale territoriale, una delle strutture centrali della riorganizzazione delle cure del territorio. Questa dovrà avere almeno una sede di riferimento presso la quale vengono svolte le funzioni di coordinamento, di condivisione e di audit. Per il finanziamento sono previste, nel rispetto degli attuali livelli retributivi, due quote: una per le attività del singolo medico e una per le aggregazioni funzionali territoriali;
   come sottolineato dallo stesso Sottosegretario per la salute Vito de Filippo, «il documento varato nella notte scorsa tra le regioni e i sindacati dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta e della specialistica ambulatoriale, fa definitivamente prendere corpo al nuovo sistema di organizzazione dell'assistenza sanitaria voluto dal Patto della salute che prevede un forte riequilibrio in favore della presenza territoriale piuttosto limitando un eccessivo ricorso all'ospedalizzazione (...) i medici di famiglia e pediatri di libera scelta si integreranno con medici della continuità assistenziale, specialisti convenzionati, infermieri e altri professionisti sanitari e sociali per dare vita a un sistema di assistenza più prossimo ai pazienti in grado di dare risposte alle esigenze di salute 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 senza impropri ricorsi al sistema dell'emergenza urgenza e agli ospedali»;
   il testo condiviso tra regioni e sindacati chiarisce alcuni temi strategici, fra cui il ruolo unico della medicina generale, le problematiche legate al finanziamento dei fattori produttivi, l'organizzazione delle aggregazioni funzionali territoriali, le unità complesse per le cure primarie, il rapporto di convenzionamento con il servizio sanitario nazionale –:
   alla luce del nuovo accordo raggiunto tra le parti in causa, quali siano i tempi di attuazione della riforma della medicina territoriale e quale ruolo effettivo si intenda dare ai medici di famiglia e ai pediatri di libera scelta. (3-01351)
(10 marzo 2015)

   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i regolamenti comunitari n. 804/68, n. 856/84 e n. 1234/2007 («regolamento unico OCM») assegnano, a ciascuno Stato membro, dei massimali di produzione del latte e di prodotti lattieri che non possono essere superati. All'interno di ciascuno Stato membro, poi, la quota viene divisa fra i vari produttori lattieri, ciascuno dei quali, pertanto, non può superare una soglia specifica;
   lo sforamento di tale tetto massimo, da parte del singolo produttore, impone al medesimo di pagare, sulla produzione in eccedenza e in favore dello Stato cui appartiene, un importo di denaro qualificato come «prelievo supplementare»;
   l'articolo 66 del regolamento (CE) n. 1234/2007 del 22 ottobre 2007 ha prorogato il sistema delle «quote latte» fino alla campagna lattiera del 2014/2015. Il regime delle quote cesserà il 31 marzo 2015;
   il mancato pagamento dei «prelievi», da parte delle imprese italiane, ha costituito oggetto di una serie di procedure di infrazione già promosse dalla Commissione europea fra il 1994 e il 1998, poi archiviate a seguito del ripetuto intervento del legislatore italiano, con una serie di provvedimenti ritenuti dalla Commissione europea adeguati a soddisfare le proprie richieste;
   con decisione 2003/530/CE del 16 luglio 2003, la Commissione europea ha concesso la rateizzazione dei pagamenti dovuti da quelle aziende che, avendo già contestato in sede giudiziale le ingiunzioni delle amministrazioni italiane al pagamento dei prelievi, si fossero ritirate dal contenzioso. Un certo numero di produttori aderì a detti piani di rateizzazione;
   la Commissione europea, in data 20 giugno 2013, ha inviato all'Italia la messa in mora. Di fatto, la Commissione europea ha posto l'Italia sotto procedura di infrazione (n. 2013/2092 – articolo 258 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea) per il mancato recupero alle casse dello Stato, a tutt'oggi, di prelievi per un importo di 1,423 miliardi di euro. Questa cifra corrisponde al debito, fino ad oggi e per le campagne dal 1995/1996 al 2008/2009, dei produttori lattieri che non hanno aderito ai programmi di rateizzazione (per scelta o in quanto esclusi dalla «copertura» di cui alla citata decisione), calcolato al netto di 158 milioni di euro non più recuperabili;
   a seguito della notifica della messa in mora, la Commissione europea ha emesso in data 10 luglio 2014 un parere motivato, che rappresenta la seconda tappa della procedura di infrazione. Nel parere si chiedeva all'Italia di trasmettere una risposta soddisfacente in merito all'attività di recupero delle multe arretrate non ancora pagate da quei appena 2.000 produttori, di cui 600 di loro devono pagare somme superiori a 300.000 euro, a fronte di oltre 35.000 allevatori in regola;
   la Corte dei conti nel 2012 aveva denunciato, con una relazione circostanziata, il rischio dell'apertura di una falla nel bilancio dello Stato e, precisamente, «questo modo di procedere consente di mantenere sommerso un debito a carico del bilancio statale», sottolineando la pericolosità finanziaria delle ingenti anticipazioni di tesoreria;
   lo Stato italiano per far fronte agli impegni con la Commissione europea, che altrimenti si sarebbe rivalsa sui contributi agli agricoltori, è ricorso alle anticipazioni di tesoreria statale, il tutto per sanare un buco di complessivi 4,4 miliardi di euro;
   con la deliberazione n. 12/2014/G del 9 ottobre 2014, la sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti ha ricostruito la vicenda del mancato recupero delle «quote latte». Nel paragrafo «Valutazioni conclusive sui mancati recuperi» si legge che: «la Corte dei conti ha svolto, nell'anno 2012, un'indagine su “Quote latte: la gestione degli interventi di recupero delle somme pagate dallo Stato in luogo degli allevatori per eccesso di produzione (delib. n. 20/2012/G)” e, nel 2013, una successiva sugli esiti della prima, “Quote latte: la gestione delle misure consequenziali finalizzate alla rimozione delle disfunzioni rilevate nel recupero del prelievo a carico degli allevatori (delib. n. 11/2013/G)”. Le relazioni hanno riscontrato notevoli criticità sulle modalità di gestione degli interventi, individuando, altresì, le cause dei ritardi nei recuperi e le responsabilità dei molteplici soggetti istituzionali operanti nel settore. La conseguenza finanziaria della cattiva gestione trentennale delle quote latte – caratterizzata dalla confusione della normativa, delle procedure, delle competenze e delle responsabilità dei soggetti investiti e dall'incertezza sui dati di produzione – si è tradotta in un esborso complessivo nei confronti dell'Unione europea, ad oggi, di oltre 4,4 miliardi di euro. Per il periodo precedente la campagna lattiera 1995/96, l'onere si è scaricato interamente sull'erario, mentre le somme teoricamente recuperabili nei confronti degli allevatori – e già anticipate all'Unione europea a carico della fiscalità generale – superano l'importo di 2.537 milioni. Tuttavia, risultava imputabile ai produttori, secondo l'Agea, nel mese di dicembre 2012, il minor ammontare di 2.263 milioni, ridotto a 2.260 nel settembre 2013, ed ulteriormente diminuito a 2.207 milioni, secondo la comunicazione del luglio 2014. Di esso, il recuperato effettivo è trascurabile. L'accollo da parte dello Stato dell'onere del prelievo si configura come violazione non solo della regolamentazione dell'Unione europea, ma, altresì, degli obiettivi della sua politica economica, indirizzati all'efficiente organizzazione del mercato lattiero-caseario, al suo assetto strutturale in linea con la necessità di contenere le produzioni ed alla tutela della libera concorrenza tra i produttori del settore»;
   la Commissione europea, in data 26 febbraio 2015, ha deferito l'Italia alla Corte di giustizia europea per il mancato recupero, su un totale di 2,265 miliardi di euro, di 1,395 miliardi di multe dovuti dai produttori di latte che nelle campagne dal 1995 al 2009 avevano superato le rispettive quote di produzione assegnata all'Italia dall'Unione europea;
   la Commissione europea nelle sue comunicazioni inviate più volte al Governo italiano ha stigmatizzato che: «risulta evidente che le autorità italiane non hanno preso le misure opportune per recuperare il prelievo dai singoli produttori e caseifici». Dell'importo complessivo di 2,305 miliardi di euro, circa 1,752 miliardi non sono stati ancora recuperati. Parte di questo importo sembra considerato perso o rientra in un piano a tappe di 14 anni, ma la Commissione europea stima che siano tuttora dovute sanzioni per un importo pari a 1,343 miliardi di euro;
   il deferimento alla Corte di giustizia europea è la terza tappa della procedura di infrazione che consentirà alla Corte di constatare l'inadempienza che, successivamente, si tradurrà in una maxi sanzione pecuniaria;
   nell'ultimo anno di attuazione delle «quote latte» c’è il rischio concreto dell'arrivo di nuove multe a causa del superamento da parte dell'Italia del proprio livello quantitativo di produzione assegnata dall'Unione europea;
   secondo l'ultimo aggiornamento dei dati dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, Agea, si evidenzia un aumento della produzione del 3,24 per cento rispetto all'anno scorso, con un incremento in valori assoluti di 2,561 milioni di quintali, sulla base dei primi nove mesi della campagna relativa al periodo che va dal 1o aprile 2014 al 31 marzo 2015;
   si prevede il primo splafonamento dopo l'introduzione della legge n. 33 del 2009, la quale prevede la possibilità di compensazione solo agli allevamenti di montagna e delle zone svantaggiate, a quegli allevamenti che non hanno superato il livello produttivo 2007-2008 e ultimi, in ordine prioritario, a quegli allevamenti che producono entro e non oltre il 6 per cento della quota loro assegnata;
   il Commissario europeo all'agricoltura, Phil Hogan, ha annunciato un provvedimento per consentire di rateizzare le multe di quest'anno a carico degli allevatori per un massimo di tre anni e senza interessi;
   la legge di stabilità per il 2015, con l'articolo 1, comma 214, istituisce presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali il «Fondo per gli investimenti nel settore lattiero caseario», dotato di 8 milioni di euro nel 2015 e 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017;
   la finalità indicata nella norma è quella di contribuire alla ristrutturazione del settore lattiero-caseario, anche in ragione del superamento del regime europeo delle «quote latte», nonché di contribuire al miglioramento della qualità del latte bovino;
   i criteri e le modalità di accesso ai contributi saranno definite con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni;
   sono esclusi dai contributi i produttori che non risultano in regola con il pagamento delle multe legate all'eccesso di produzione di latte rispetto alle quote assegnate in sede europea e quelli che hanno aderito al programma di rateizzazione, ma non hanno adempiuto nei tempi ai previsti pagamenti;
   in considerazione del fatto che le «quote latte» termineranno il 31 marzo 2015, ad oggi manca ancora il decreto per rendere operativo il predetto fondo che opererà attraverso il «Piano latte qualità» che agirà quale sostegno alla produzione –:
   a quanto ammonti la reale composizione del debito, tra sanzioni e interessi, sulle «quote latte» che lo Stato deve recuperare da quei soggetti inadempienti e quali azioni il Governo abbia assunto o intenda assumere, al fine di individuare, al di là di quelle che all'interrogante appaiono delle evidenti responsabilità di copertura politica, i soggetti responsabili, individuali e non, delle mancate attività di vigilanza e controllo e per non aver attivato nei tempi dovuti le opportune misure finalizzate al recupero delle somme dovute, che hanno portato, conseguentemente, il nostro Paese ad essere deferito alla Corte di giustizia europea con la reale possibilità di vedere comminata all'Italia una maxi sanzione pecuniaria. (3-01352)
(10 marzo 2015)

   FAENZI e PALESE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'ondata di maltempo della scorsa settimana, che ha interessato gran parte del Paese, ha portato con sé ancora una volta gravi danni alle infrastrutture viarie e a numerose attività produttive, determinando forti disagi alle comunità coinvolte e ingenti danni;
   il territorio della regione Toscana, in particolare, è stato investito da una tempesta di vento, con raffiche ad oltre 160 chilometri orari, che ha causato consistenti danni all'economia del territorio, pari a circa 400 milioni di euro di cui 300 milioni di euro, nei riguardi del settore florovivaistico, il cui distretto è concentrato, in particolare, nella provincia di Pistoia, nel pratese ed in Versilia;
   il medesimo comparto, con circa 1.300 aziende, impegnate a coltivare 5 mila ettari di terreno, che garantisce occupazione a oltre 12 mila addetti, rappresenta un fondamentale volano per l'economia agricola toscana, le cui avversità atmosferiche, causate dalla furia del vento, hanno determinato un gravissima battuta d'arresto, in termini produttivi alla vigilia della primavera 2015, che rappresenta il momento più importante delle spedizioni dirette per l'80 per cento all'estero;
   la richiesta dello stato di calamità naturale e l'attivazione in tempi rapidi di misure straordinarie in favore delle imprese del settore agricolo, la cui stima dei danni risulta pari al 50 per cento della produzione del distretto vivaistico toscano, risulta, pertanto, ad avviso degli interroganti, urgente e necessaria, al fine del ripristino delle condizioni di normalità, per la vasta area territoriale interessata e per il proseguimento dell'attività di produzione di un segmento dell'economia regionale della Toscana di primaria importanza, quale quello florovivaistico in precedenza richiamato –:
   quali valutazioni intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se a tal fine non ritenga urgente e opportuno promuovere immediatamente la deliberazione dello stato di calamità naturale in favore della regione Toscana, nei riguardi del distretto florovivaistico, dato che le prime dichiarazioni del Ministro interrogato, secondo le quali sarà possibile intervenire attraverso l'utilizzo di una quota prevista dal fondo nazionale di solidarietà, appaiono decisamente insufficienti. (3-01353)
(10 marzo 2015)

   GIORGIA MELONI e RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le norme nazionali, adottate in attuazione delle direttive dell'Unione europea sulla libera circolazione dei medici ed il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, hanno previsto la riforma dei criteri per l'accesso alle scuole di specializzazione medica e la riduzione della durata dei relativi corsi, al fine di uniformare tale fase di formazione alle regole comunitarie;
   nell'ambito della riforma il previgente sistema di accesso alle scuole di specializzazione decentrato a livello di singole università è stato sostituito con un concorso nazionale, affidato ad una commissione unica costituita presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e la formazione di un'unica graduatoria nazionale, in base alla quale i vincitori del concorso saranno destinati alle sedi presenti in tutto il territorio nazionale;
   il primo concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione medica si è svolto nel mese di ottobre 2014 e ha visto la messa a bando di appena cinquemila contratti a fronte degli oltre ottomila richiesti dal Ministero della salute per soddisfare le esigenze del servizio sanitario nazionale;
   il concorso, al quale hanno preso parte oltre dodicimila medici, è stato svolto a mezzo informatico in quattro giorni diversi in più sedi dislocate in tutta Italia e, stando alle denunce fatte dai candidati, alcune di queste non erano dotate delle caratteristiche stabilite nel bando di concorso;
   inoltre, durante lo svolgimento avrebbero avuto luogo diverse irregolarità, riportate anche nei verbali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, tra le quali commissioni particolarmente disattente nella vigilanza dei candidati, computer connessi ad internet, blackout di alcuni pc e/o di intere sedi con ripetizione della prova da parte dei candidati dopo decine di minuti, tempo durante il quale i concorrenti hanno avuto la possibilità di confrontarsi tra loro, cellulari a disposizione dei candidati, mancato rispetto delle direttive presenti nel bando per l'assegnazione dei candidati alle postazioni;
   durante lo svolgimento del concorso si è, altresì, verificata un'inversione dei quiz tra due diverse aree, quella medica e quella dei servizi clinici, che ha determinato dapprima una comunicazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai partecipanti al concorso per avvisarli che avrebbero dovuto ripetere le prove oggetto di inversione;
   successivamente, invece, la stessa commissione nazionale incaricata di validare le domande ha stabilito che non fosse necessario annullare integralmente le prove, poiché solo alcuni quesiti non risultavano intercambiabili tra le due aree e che solo tre di questi sarebbero stati oggetto di annullamento;
   in esito a tale valutazione il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha deciso di neutralizzare solo due dei tre quesiti da annullare, di fatto riducendo quelli validi ai fini dell'attribuzione del punteggio da trenta a ventotto;
   come riportato anche da fonti giornalistiche tali accessi nei compiti non sono stati verbalizzati;
   parte dei medici esclusi dalle graduatorie si è rivolta alla giustizia amministrativa, mentre il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha redatto una nota inviata all'Avvocatura dello Stato nella quale evidenzia le ripercussioni economiche che originerebbero dall'accoglimento di tali ricorsi;
   il 28 febbraio 2015, data ultima entro la quale doveva essere bandito il prossimo concorso, sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stato pubblicato un comunicato stampa con il quale si annunciano le modifiche proposte al regolamento per lo svolgimento del prossimo concorso, tra le quali quella relativa alle modalità di scorrimento delle graduatorie in base alle preferenze espresse dai candidati, modalità che in occasione del primo concorso hanno formato l'oggetto di gran parte dei suddetti ricorsi –:
   quali chiarimenti intenda fornire rispetto alla vicenda richiamata in premessa e quali urgenti iniziative intenda assumere in merito alle irregolarità verificatesi e al fine di sanare la posizione dei candidati ricorrenti. (3-01354)
(10 marzo 2015)

   CHIMIENTI, TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, LOMBARDI, DALL'OSSO, SIMONE VALENTE, BRESCIA, MARZANA, LUIGI GALLO, D'UVA, DI BENEDETTO e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi ha presentato il giorno 3 settembre 2014 alla stampa il dossier «La buona scuola»;
   «La buona scuola» prevedeva espressamente l'immissione in ruolo di oltre 148.000 mila docenti precari a settembre 2015, assorbendone il 90 per cento da graduatorie ad esaurimento e il 10 per cento da concorso 2012;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, così come dai siti di settore, nel corso delle ultime settimane la platea dei docenti interessati dal piano di assunzioni straordinario annunciato nel dossier «La buona scuola» è stata più volte oggetto di revisioni e modifiche;
   in più occasioni, il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, il Ministro interrogato e i Sottosegretari hanno ribadito l'intenzione di inserire il piano straordinario di assunzione dei docenti in un decreto-legge;
   in data 23 febbraio 2015 la senatrice del Partito democratico Francesca Puglisi, in un'assemblea al liceo Sabin di Bologna, aveva affermato l'imminente decretazione d'urgenza su «assunzioni, organico aggiuntivo di 2-5 insegnanti in più per scuola, trasformazione di parte degli scatti di anzianità in merito tramite crediti formativi per tutti i docenti, valutazione del personale e delle scuole, educazione degli adulti, alternanza scuola lavoro, curriculum personalizzato»;
   la data di uscita del decreto-legge sulla scuola era stata stabilita per il 27 febbraio 2015, per poi slittare al 3 marzo 2015: come riportato in un articolo di Repubblica.it, a firma Salvo Intravaia, pubblicato il 25 febbraio 2015, lo slittamento del decreto-legge di una settimana sarebbe stato causato dalle «difficoltà dei tecnici del Ministero dell'istruzione, alla ricerca della quadra tra le dichiarazioni del Premier Matteo Renzi e la realtà della complessa macchina scolastica italiana»;
   in un'intervista del 30 gennaio 2015 a Il Corriere della Sera, il Ministro interrogato ha dichiarato sul tema delle assunzioni che «saranno tutti assunti il 1o settembre e dovranno restare almeno tre anni nel posto che scelgono», riferendosi ai docenti precari delle graduatorie ad esaurimento e confermando dunque l'intenzione di varare in tempi brevissimi un apposito decreto legge;
   in data 2 marzo 2015, alla vigilia del Consiglio dei ministri che con una settimana di ritardo avrebbe dovuto presentare il decreto-legge sulla scuola, contenente tra le altre misure il piano straordinario di immissione in ruolo di circa 120 mila docenti a settembre 2015, iniziano a rincorrersi le voci circa un nuovo cambio di programma da parte del Governo: non più un decreto-legge e un disegno di legge abbinato, ma solo un disegno di legge;
   la motivazione di questo cambio di direzione, secondo quanto riportato dai maggiori quotidiani di informazione, tra cui Il Messaggero, sarebbe da ricercare nella volontà del Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi di «dare un messaggio al Parlamento e coinvolgere le opposizioni nello spirito delle dichiarazioni del Presidente della Repubblica»;
   nella serata del 3 marzo 2015, il Consiglio dei ministri, con una nuova inversione di rotta, presenta unicamente le linee guida della riforma della scuola, rinviando nuovamente la pubblicazione del disegno di legge;
   durante la conferenza stampa a seguito del Consiglio dei ministri, il Presidente del Consiglio dei ministri ha assicurato che le assunzioni dei precari a partire dal 1o settembre 2015 «non slitteranno», dal momento che le risorse economiche ci sono: «Un miliardo subito che diventeranno tre nel 2016»; e che il disegno di legge sarà approvato martedì 10 marzo 2015 in un nuovo Consiglio dei ministri: «Non c’è nessun passo indietro del Governo e ci sono le condizioni per non usare strumenti di urgenza»;
   tali affermazioni sono state più volte ripetute e riprese anche dal Sottosegretario per l'istruzione, l'università e la ricerca Davide Faraone, che in data 4 marzo 2015 ha dichiarato a 24 Mattino che «se il Parlamento non sarà collaborativo nell'attuazione della riforma della scuola, il Governo non starà ad aspettare a braccia conserte, ma agirà velocemente per non mettere in discussione l'assunzione degli insegnanti precari. Il decreto-legge sarà quindi utilizzato come extrema ratio»;
   la volontà di procedere all'immissione in ruolo dei precari unitamente all'adozione delle altre misure di più ampio respiro sulla scuola, facendole confluire nel medesimo strumento normativo, un disegno di legge e non un decreto-legge, ha gettato nell'allarme i docenti inizialmente interessati dal piano di assunzioni e molte sigle sindacali che, come nel caso della Flc Cgil, per bocca del segretario Pantaleo, ha dichiarato: «Si vuole imporre attraverso un futuro disegno di legge una riforma della scuola che non si capisce bene quale possa essere. In merito alle assunzioni, siamo fuori tempo massimo, la scuola ha meccanismi complicati: dopo aver illuso 150 mila precari adesso si decide di cambiare rotta. C’è un tentativo di aggirare anche la sentenza della Corte di Giustizia europea»;
   i rischi connessi alla scelta di emanare un disegno di legge sono stati esposti anche da Marcello Pacifico, presidente del sindacato Anief: «Per poter fare il piano di assunzioni va fatto un censimento che il Governo non ha ancora eseguito sui posti vacanti. Martedì prossimo serve che a palazzo Chigi tornino sui loro passi e facciano un decreto-legge sulla questione dei precari, scorporando tutto il resto, altrimenti sarà a rischio l'anno scolastico. Se si faranno assunzioni dopo il 1o settembre 2015, queste ultime non avranno validità giuridica per l'anno scolastico e andranno ad influire sulle supplenze avviate»;
   secondo uno scenario tratteggiato dal sito di settore orizzontescuola.it in data 5 marzo 2015, il piano di assunzioni del Governo finirebbe per coinvolgere appena 40 mila docenti e sarebbe legato ai posti effettivamente disponibili dell'organico di diritto e corrispondenti al piano pluriennale di assunzioni varato dal Governo Letta –:
   se e con quali tempistiche intenda intraprendere azioni al fine di garantire l'immissione in ruolo dei 150 mila docenti precari a partire dal 1o settembre 2015, così come già annunciato nel documento del Governo denominato «La buona scuola». (3-01355)
(10 marzo 2015)