TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 377 di Mercoledì 18 febbraio 2015

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Eur spa è una società detenuta al 90 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e al 10 per cento da Roma capitale, che persegue da statuto societario l'obiettivo della tutela e della valorizzazione del patrimonio immobiliare costituito dalle opere realizzate per l'Esposizione universale del 1942, tutelato ai sensi del codice dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e da un vasto patrimonio costituito da oltre 70 ettari di parchi e giardini di pregio, anch'esso sottoposto a vincolo da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nel 2010;
   Eur spa è stata chiamata a gestire l'unitarietà di un patrimonio ritenuto di notevole interesse storico, architettonico e paesaggistico e pertanto meritevole di una particolare tutela, in quanto tra i maggiori esempi di architettura razionalista e modello di pianificazione urbanistica e architettonica, per tale ragione oggetto di studi nelle più importanti università internazionali;
   la società, che ha mantenuto stabile il livello dei valori locativi, mantenendo pressoché inalterati i ricavi, ha chiuso i bilanci degli ultimi anni in utile, registrando una performance media su valori oscillanti tra 20 milioni di euro nel 2006 a 700.000 euro nel 2013;
   Eur spa è il soggetto realizzatore del Nuovo centro congressi, i cui lavori sono iniziati nel 2008, e per fare fronte con risorse proprie – fatto salvo una piccola quota di finanziamenti a valere sul fondo per Roma Capitale – alla realizzazione degli stessi, nel luglio 2010 si è trovata nella condizione di dover sottoscrivere un contratto di finanziamento con un pool di istituti di credito per un importo totale di 190 milioni di euro, dovendo prevedere garanzie ipotecarie su immobili di proprietà oltre ad ulteriori garanzie reali (cessione in garanzia di crediti presenti e futuri, pegno sui conti correnti);
   essendosi Eur spa autofinanziata attraverso la redditività delle superfici in locazione e lo sviluppo dei servizi connessi, non avrebbe – in coerenza con gli utili registrati autonomamente – potuto sostenere economicamente i costi necessari per la realizzazione dell'opera pubblica Nuovo centro congressi, se non attraverso la vendita dell'albergo annesso, non concretizzatasi a causa di mutate condizioni del mercato immobiliare, o mediante una capitalizzazione da parte dell'azionista di riferimento, il Ministero dell'economia e delle finanze, attesa e mai giunta;
   proprio le molteplici significative incertezze in merito alla continuità aziendale e, in particolare, alla continuità finanziaria della società sono unicamente da riferire alla realizzazione dell'investimento immobiliare del Nuovo centro congressi;
   Eur spa, a seguito dell'assemblea straordinaria degli azionisti convocata per il 9 dicembre 2014, in mancanza della ricapitalizzazione attesa, ha richiesto in data 12 dicembre 2014 l'ammissione allo strumento di legge di concordato preventivo in bianco, ai sensi dell'articolo 161, comma 6, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, al tribunale di Roma; a quanto si apprende da organi di stampa vi sarebbe un coinvolgimento della società di gestione del risparmio Invimit (partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze), istituita il 19 marzo del 2013 a seguito del decreto-legge n. 98 del 2011, con lo scopo valorizzare il patrimonio pubblico, anche ai fini della dismissione dello stesso, che allo stato attuale sta effettuando sopralluoghi presso immobili ascritti al patrimonio immobiliare di Eur spa;
   la cessione di una quota di beni patrimoniali della Eur spa a Invimit, se confermata, appare all'interrogante avere il solo scopo di garantire il reperimento dei fondi necessari all'ultimazione della singola opera pubblica Nuovo centro congressi, senza alcuna considerazione di ciò che comporterebbe, sia in termini di una drastica riduzione dei ricavi generati dalle locazioni, sia in relazione ai livelli occupazionali, che di necessità vedrebbero una conseguente e rilevante contrazione, mettendo a rischio l'organico attuale composto da 120 unità tra personale dipendente e dirigente;
   i ricavi sinora conseguiti hanno consentito dal 1936, anno di istituzione dell'Ente autonomo Esposizione universale di Roma, e poi dal 2000 fino ad oggi alla Eur spa di manutenere, conservare e valorizzare l'unitarietà di questo patrimonio storico-artistico e paesaggistico, un unicum di indubbio pregio, che merita di restare tale, scongiurando la frammentazione che una gestione non unitaria comporterebbe; negli ambienti immobiliari si è creata grande aspettativa su tale operazione; fatto sta che un patrimonio immobiliare monumentale che ha garantito importanti redditi per decenni potrebbe inspiegabilmente implodere a causa dell'errore strategico rappresentato dalla realizzazione del Nuovo centro congressi, deciso dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal comune di Roma, non certo dalla società; il 22 dicembre 2014 il Governo ha accolto in Assemblea un ordine del giorno al disegno di legge di stabilità per il 2015 presentato dall'interrogante che lo impegnava «ad intraprendere tutte le iniziative che si renderanno necessarie per risolvere le problematiche di Eur spa, escludendo che le attuali difficoltà economico-finanziarie possano in alcun modo ricadere sul personale dipendente e garantendo l'attuale livello occupazionale anche come garanzia di sviluppo di quella capacità produttiva messa a rischio dall'individuazione, da parte dei soci, di progetti altamente complessi e a forte rischio economico finanziario» –:
   quali siano gli intendimenti relativi alla società Eur spa, in particolare rispetto all'eventuale cessione di beni della stessa alla società Invimit, e quali elementi possa fornire in merito alla pericolosa diffusione di notizie circa l'operazione di cui in premessa. (3-01302)
(17 febbraio 2015)

   GIGLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dai media il comune di Roma avrebbe aumentato del 300 per cento la tassa raccolta rifiuti per le scuole paritarie rispetto a quella applicata alle scuole statali;
   quella dell'amministrazione capitolina appare una scelta determinata da mere finalità di tipo economico, per non dire più banalmente di cassa, che si scaricherà sulle famiglie romane; queste, infatti, oltre a pagare come tutti le tasse per la scuola pubblica statale, vedranno aumentare in modo spropositato le rette annuali che pure pagano in aggiunta alle tasse per aver deciso, all'interno del sistema integrato della scuola pubblica, di optare per quella paritaria in nome della libertà di educazione; senza contare che questa decisione potrebbe far saltare i bilanci di molti istituti paritari e rischia di determinare un aggravamento degli oneri a carico della finanza pubblica per effetto dell'aumento del numero di alunni costretti a riversarsi nelle scuole pubbliche statali;
   le scuole paritarie del Lazio hanno già dovuto subire nel 2014 la mancata erogazione, da parte della regione, di oltre 25 milioni di euro per l'individuazione da parte della giunta regionale di altre priorità nel rispetto dei vincoli di bilancio legati al patto di stabilità;
   l'aumento della tassa per la raccolta rifiuti, applicata alle scuole paritarie, oltre a rappresentare secondo l'interrogante un'azione discriminatoria nei confronti degli istituti paritari, e quindi in violazione dell'articolo 3 della Costituzione, mina alla base la libera scelta educativa della famiglie, altro principio costituzionalmente garantito;
   si ricorda che le scuole pubbliche paritarie fanno pienamente parte di diritto e di fatto del sistema nazionale di istruzione e formazione integrati, ai sensi della legge n. 62 del 2000 –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di assumere le necessarie iniziative normative affinché tale decisione, che appare all'interrogante lesiva dei diritti di uguaglianza e della libertà di scelta educativa tutelato dagli articoli 3, 30 e 33 della Costituzione, possa essere prontamente riconsiderata.
(3-01303)
(17 febbraio 2015)

   DI LELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   diversi docenti che hanno superato le prove dell'ultimo concorso sulla scuola, indetto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel 2012 (decreto del direttore generale n. 82 del 2012), che in parte risultano collocati in posizione utile nelle graduatorie di merito della regione di propria appartenenza, auspicano di rientrare nel piano straordinario di immissioni in ruolo del 2015;
   essi vengono qualificati con il termine «riservisti per anno di laurea» e «riservisti sotto soglia 35», in quanto o hanno conseguito la laurea dopo il 2002 o al test preselettivo del concorso a cattedra hanno ottenuto, alle prove preselettive, una votazione tra i 30 e i 34,5 cinquantesimi. A seguito di ricorso da questi presentato, il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha consentito loro di partecipare, in via cautelare, alle restanti prove del concorso stesso, quelle utili alla formazione del punteggio finale, entrando così di diritto nella graduatoria di merito da cui attingere successivamente alle assunzioni;
   discorso analogo vale anche per i dirigenti scolastici, per cui, al fine di tutelare gli interessi pubblici cui è diretta l'attività concreta della pubblica amministrazione e alla luce del principio di buon andamento della stessa, si dovrebbero sanare le numerose situazioni inerenti il concorso per il reclutamento dei dirigenti scolastici bandito con decreto del direttore generale del 13 luglio 2011;
   anche qui si tratta di coloro che, a diverso titolo, hanno superato le prove scritte ed orali del concorso sopra citato, i quali sono stati ammessi con riserva non avendo superato la prova preselettiva;
   sui «riservisti» e su coloro che hanno conseguito la laurea dopo il 2002, però, pesa una riserva, date anche le varie pronunzie di diversi tribunali amministrativi regionali: tribunale amministrativo regionale di Trento, sentenza n. 336 del 2013; tribunale amministrativo regionale del Lazio, sentenze nn. 914 del 13, 124 del 2013, 1000 del 2013, 272 del 2014, 287 del 2014 e 5711 del 2014 e la sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III bis, n. 5711 del 2014, ormai definitiva a tutti gli effetti, in base alla quale sono stati emessi i sotto seguenti decreti: decreto dell'ufficio scolastico regionale della Puglia, protocollo n. 8345 del 19 agosto 2014; decreto dell'ufficio scolastico regionale della Sicilia, protocollo n. 14560 del 21 agosto 2014; decreto dell'ufficio scolastico regionale della Sicilia protocollo n. 13484/USC del 21 luglio 2014);
   a seguito dell'espletamento del concorso sopra citato si sono venute a creare delle disparità di trattamento tra i docenti della scuola;
   l'articolo 4 del decreto-legge n. 115 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 168 del 2005 («decreto legge omnibus»), al comma 2-bis stabilisce: «conseguono a ogni effetto l'abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d'esame scritte e orali previste dal bando, anche se l'ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela»;
   il predetto decreto-legge n. 115 del 2005 sancisce che i candidati che hanno ottenuto l'iscrizione con riserva all'albo possono rivolgersi ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato per far dichiarare la cessazione della materia del contendere;
   si ricorda che la materia descritta in premessa è stata oggetto di un ordine del giorno accolto dal Governo in sede di approvazione del disegno di legge recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» –:
   quali iniziative urgenti il Governo, anche dando attuazione al richiamato ordine del giorno, intenda porre in essere, al fine di prevedere lo scioglimento della riserva per superare, in tempi certi, le situazioni di incertezza che molti docenti, con riferimento alla loro immissione in ruolo, e dirigenti scolastici stanno vivendo.
(3-01304)
(17 febbraio 2015)

   FEDRIGA, PRATAVIERA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è notizia riportata da Il Fatto quotidiano on line quella che secondo tre riviste internazionali l'Italia continua a comprare asbesto, nonostante ne sia stato vietato l'utilizzo con legge n. 257 del 1992, connotandosi come importatrice di ingenti quantità di amianto tra il 2011 ed il 2012;
   secondo il report sulle esportazioni di minerali estratti in India – Indian minerals yearbook 2012 (disponibile dal febbraio 2014) – l'Italia risulta essere il primo acquirente di asbesto indiano al mondo: in questi due anni ha importato 1.040 tonnellate di fibre d'amianto per un importo di circa 26 mila euro;
   sembrerebbe che l'Italia importi asbesto anche dagli Stati Uniti: secondo il «2013 minerals yearbook», pubblicato da Us geological surveys del Governo statunitense, l'Italia – insieme all'India – è l'unico importatore di fibre di amianto prodotte negli Usa per circa 16 mila dollari di export certificato;
   tali notizie traggono spunto dallo stralcio della pubblicazione indiana riportata nella lettera inviata ai membri della Commissione lavoro, previdenza sociale del Senato della Repubblica da parte dell'Osservatorio nazionale amianto, nell'ambito dell'esame dei disegni di legge in materia;
   si presume che tali importazioni illegali siano collegate al comparto edile ed alle organizzazioni criminali che si celano dietro di esso –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito alla vicenda e come intenda garantire la salute pubblica, attesa la forte nocività derivante dall'esposizione o contatto anche di pochissime fibre di amianto.
(3-01305)
(17 febbraio 2015)

   GRILLO, SILVIA GIORDANO, BARONI, DI VITA, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da La Repubblica online del 12 febbraio 2015 che una neonata è morta nell'ambulanza privata che la stava trasferendo da Catania, dove non c'era nessun posto disponibile di rianimazione pediatrica, a Ragusa. Sul caso ha avviato un'indagine la polizia di Stato di Ragusa. «La piccola era venuta alla luce la scorsa notte in una clinica privata di Catania. Dopo un parto regolare, aveva accusato difficoltà respiratorie. I medici avrebbero invano cercato un reparto ospedaliero specializzato dove trasferirla, ma nessuno ha potuto ricevere la neonata. È stato chiesto allora l'intervento del 118, che ha avviato un monitoraggio nei tre ospedali catanesi deve è presente la terapia intensiva pediatrica: il Garibaldi, il Santo Bambino e il Cannizzaro. Ma in nessuno dei tre centri era disponibile un letto. L'unico ospedale della Sicilia orientale che ha risposto all'appello è stato quello di Ragusa. Ma la piccola è morta durante il trasporto in ambulanza. (...) Secondo una prima ricostruzione, la neonata sarebbe entrata in crisi respiratoria dopo il parto, avvenuto la notte scorsa regolarmente nella casa di cura Gibiino a Catania. Nella sala erano presenti il ginecologo di fiducia della donna, un anestesista, un rianimatore e un neonatologo. I medici si sono accorti subito della gravità del quadro clinico della piccola e hanno contattato le unità di terapia intensiva neonatale (utin) di Catania per trasferire d'urgenza la piccola paziente. Ma erano tutte piene, senza disponibilità di posti. È stato così contattato il 118 che ha cercato e trovato una utin disponibile nell'ospedale Paternò-Arezzo di Ragusa. La clinica ha quindi provveduto, con un'ambulanza privata, al trasporto della neonata a Ragusa, con al seguito i medici specialisti della struttura privata. Dopo Vizzini, e in territorio della provincia di Ragusa, prima dell'alba, la piccola paziente ha avuto una violenta crisi. I medici a bordo dell'ambulanza hanno tentato di rianimarla, ma la neonata è morta. All'ambulanza sarebbero a quel punto giunte le indicazioni di portare il piccolo corpo nell'ospedale di destinazione, a Ragusa»;
   Il Corriere del Mezzogiorno del 16 febbraio 2015 riporta: «Sono nove gli indagati dalla procura di Catania nell'ambito dell'inchiesta sulla morte della piccola Nicole, deceduta su un'ambulanza verso Ragusa per mancanza di posti letto negli ospedali della città. Secondo quanto apprende l’Ansa, tra loro medici della clinica Gibiino e personale utin. Il reato ipotizzato è omicidio colposo. Destinatari dell'informazione di garanzia sono 5 medici che hanno operato tra la clinica e il trasferimento in ambulanza della piccola, 2 persone del 118 e altre 2 di altrettante unità di terapia intensiva neonatale»;
   in particolare, per quanto concerne la criticità dei protocolli di comunicazione tra clinica/118 e la gestione dei posti-letto nelle unità di terapia intensiva neonatale e in quelle sub intensiva, si evidenzia l'inosservanza dell'assessorato regionale alla salute in relazione alla non realizzazione del piano di servizio trasporto emergenza neonatale e del sistema di trasporto materno assistito, come da decreto del 2 dicembre 2011 dell'assessorato regionale pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Regione siciliana il 5 gennaio 2012;
   la grave inadempienza in materia dell'assessore regionale è testimoniata anche dalla lettera inviata nel dicembre 2013 dal presidente della Società italiana di neonatologia, dottor Vitaliti all'assessore Lucia Borsellino, il quale affermava: «la Sin (Società italiana di neonatologia) sezione Sicilia attraverso i suoi rappresentanti, presidente e consiglio direttivo, ritiene di dover rilevare con forza a codesto assessorato regionale alla salute i rischi per la donna e la salute dei neonati riguardo alla mancata attuazione della razionalizzazione della rete dei punti nascita regionali e alla mancata attivazione dei centri sten»; a questo si aggiunge anche l'esito dell'indagine conoscitiva del Senato della Repubblica «Nascere sicuri» dal quale emerge l'inadeguatezza della rete siciliana di trasporto dell'emergenza neonatale;
   lo stesso Ministero della salute, per il tramite dell'Agenas, nella valutazione dell'adempimento delle regioni rispetto all'attuazione dei livelli essenziali di assistenza, rilevava nel 2012 che le azioni poste in essere in relazione alla criticità dei punti nascita erano riduttive e poco incisive;
   ne Il Sole 24 ore del 12 febbraio 2015 si legge: «Non può e non deve più succedere» la tragedia della neonata morta in ambulanza in Sicilia per non aver trovato accoglienza in nessun ospedale. Lo ha affermato a Montecitorio il Ministro interrogato, annunciando di aver inviato gli ispettori ministeriali in Sicilia. «Quello che è accaduto – ha detto il Ministro interrogato – è al di fuori di ogni criterio e regola di funzionamento e organizzativa del servizio di assistenza. Gli ispettori dovranno verificare quali sono i livelli essenziali oggi effettivamente garantiti» –:
   se le inadempienze descritte in premessa, soprattutto in relazione ai livelli essenziali e ad altre eventualmente rilevate dagli ispettori del Ministero della salute, non siano da ritenersi sufficienti per procedere alla nomina di un commissario ad acta per la verifica di aspetti di organizzazione e di adeguatezza, al fine di garantire la sicurezza dei pazienti, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione.
(3-01306)
(17 febbraio 2015)

   BURTONE, LENZI, PICCIONE, ALBANELLA, AMODDIO, BERRETTA, CAPODICASA, CARDINALE, CAUSI, CULOTTA, FARAONE, GRECO, GULLO, IACONO, LAURICELLA, MOSCATT, PICCOLI NARDELLI, RACITI, RIBAUDO, SCHIRÒ, TARANTO, ZAPPULLA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 febbraio 2015 è deceduta una neonata che, dopo un parto regolare avvenuto in una clinica privata di Catania, avrebbe accusato disturbi respiratori;
   i medici di fronte a tale situazione hanno deciso di trasferirla in altra struttura specializzata, con rianimazione pediatrica, che però a quanto riportato dalle cronache non avevano posti;
   sarebbe stato chiesto allora l'intervento del 118, che avrebbe avviato un monitoraggio presso tre ospedali catanesi dove è presente la terapia intensiva pediatrica: il Garibaldi, il Santo Bambino e il Cannizzaro;
   in nessuno dei tre centri è risultato esservi disponibilità di posto e l'unico ospedale della Sicilia orientale con disponibilità è risultato essere quello di Ragusa, distante un'ora abbondante di viaggio;
   durante il trasporto la neonata è deceduta;
   non è, purtroppo, il primo caso in cui, in Sicilia, si è verificato un simile dramma;
   il Ministero della salute ha inviato i propri ispettori per fare luce sull'accaduto;
   più volte nell'ambito dei lavori della Commissione parlamentare sugli errori sanitari è stata sollevata dal gruppo parlamentare del Partito democratico la questione relativa al potenziamento dei reparti di rianimazione pediatrica, in particolare nelle aree metropolitane regionali a fronte di incrementi di altre specialità spesso non giustificati –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare, oltre all'invio degli ispettori, in merito al gravissimo episodio riportato in premessa e se non ritenga opportuno approfondire la questione dei punti nascita e dei reparti di rianimazione pediatrica sul territorio regionale, per garantire la massima sicurezza alle partorienti e ai neonati. (3-01307)
(17 febbraio 2015)

   CATANOSO e PALESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 12 febbraio 2015 una bimba appena nata è deceduta a causa di complicazioni respiratorie nel tragitto che l'ambulanza, chiamata dalla clinica privata dov’è avvenuto il parto, ha percorso fino alla prima struttura sanitaria pubblica ed attrezzata più vicina;
   il fatto è accaduto a Catania, città le cui strutture sanitarie pubbliche avrebbero rifiutato il ricovero d'urgenza della neonata a causa della mancanza di posti letto disponibili in terapia intensiva pediatrica;
   la Regione siciliana inspiegabilmente, ancorché sollecitata per anni, non ha attivato nella provincia di Catania le procedure di sten e stam che regolamentano le procedure di trasferimento dei pazienti dalle strutture sanitarie private e pubbliche di primo livello (come nel caso specifico) a quelle di secondo livello dotate di utin;
   il 118 non ha, nel rispetto della normativa vigente, richiesto ugualmente il ricovero della piccola Nicole presso una struttura sanitaria di secondo livello, ingiungendo il ricovero immediato, nella provincia di Catania, piuttosto che dopo ore indicare il possibile ricovero a Ragusa;
   la procura della Repubblica di Catania ha aperto un'inchiesta ed ha iscritto nel registro degli indagati tutti i soggetti coinvolti a qualunque titolo nella vicenda della piccole Nicole Di Pietro;
   questa vicenda suscita sgomento ed indignazione nella cittadinanza e negli operatori della sanità siciliana, soprattutto dopo aver saputo che Gaetano Marchese, direttore della sala operativa dell'elisoccorso siciliano, colpito da aneurisma mentre era in Sardegna, ha chiamato l'elisoccorso del 118 siciliano, chiedendo di essere riportato in Sicilia, dove è stato ricoverato e curato. Un trasferimento definito di routine, una routine che non si è verificata nelle drammatiche ore in cui si è consumata la tragedia della piccola Nicole, alla quale il servizio sanitario regionale non è stato in grado di garantire la necessaria assistenza. Per lei nessun elicottero si è alzato in volo;
   non si ritiene che vi sia essere umano, che si possa definire tale, che possa avere piacere nel causare la morte, volontaria o involontaria, di un neonato, ma le responsabilità ed i ruoli di ognuno dei soggetti coinvolti quella notte devono essere chiariti al di là di ogni ragionevole dubbio o sospetto;
   tenuto conto che la sanità è di competenza regionale e che la Sicilia gode di un maggior grado di autonomia, fa specie che nell'immediatezza dell'accaduto il presidente della regione, come suo solito, abbia pensato di polemizzare e accusare altri piuttosto che farsi un esame di coscienza sui tagli, a giudizio degli interroganti irresponsabili, effettuati alla sanità pubblica regionale;
   la sanità siciliana si trova in uno stato più che «malandato» ed il governo regionale, nella persona del suo presidente, a parere degli interroganti ha dato numerose prove della sua inefficienza e della sua demagogia. La Sicilia ha bisogno, urgente, di soluzioni ai suoi numerosi ed atavici problemi;
   in data 17 febbraio, il quotidiano la Repubblica riportava le dichiarazioni degli ispettori regione-Ministero della salute (non ben intendendosi se costoro fossero funzionari ministeriali o regionali e le cui qualifiche, nel caso specifico, obbligano tutti a verificarne la competenza e la professionalità) in merito alla richiesta al 118 da parte della clinica privata di un ricovero utin per la piccola Nicole. Questi ispettori, secondo quanto riporta il quotidiano, avrebbero dichiarato che la clinica «non ha esposto la gravità del caso»;
   va osservato che la normativa per casi del genere non prescrive che la richiesta utin abbia bisogno di aggettivi ulteriori o di particolari «sceneggiate». Utin è già grave senza bisogno di ulteriori commenti –:
   quali iniziative abbia adottato il Ministro interrogato per accertare, per quanto di competenza, le responsabilità di quanto accaduto e quali siano gli esiti delle ispezioni inviate in Sicilia. (3-01308)
(17 febbraio 2015)

   DORINA BIANCHI, BOSCO, D'ALIA, PAGANO, MINARDO e MISURACA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'opinione pubblica nel fine settimana appena concluso è stata scossa dalla tragedia che si è verificata a Catania, a seguito del decesso della piccola Nicole, morta a poche ora dalla nascita, per difficoltà respiratorie a causa della mancanza di posti letto nelle unità di terapia intensiva di neonatologia di zona;
   da notizie di stampa si è appreso che il Ministro interrogato, parallelamente alle indagini avviate dalla procura della Repubblica, ha tempestivamente incaricato una task force composta da ispettori ministeriali, da rappresentanti dell'Agenas e dai nuclei antisofisticazione, che si è recata sul luogo dell'accaduto e la cui attività deve svolgersi in collaborazione con l'assessorato alla sanità della Regione siciliana, per verificare e valutare – per il territorio della Regione siciliana – in tempi brevissimi gli aspetti organizzativi riferiti alla rete dell'emergenza/urgenza con riguardo al settore della neonatologia;
   sempre con riguardo alla criticità del funzionamento del sistema di emergenza/urgenza della Regione siciliana, tanto più grave appare quanto accaduto con riferimento alla piccola Nicole, se si considera che, sempre da notizie di stampa, si è appreso che sarebbe stato effettuato nel mese di gennaio 2015 da Alghero a Palermo un trasferimento in elisoccorso, coordinato dalla Regione siciliana, a beneficio del direttore del 118 del capoluogo siciliano, per cui era stato accertato un aneurisma –:
   quali siano gli esiti dei primi accertamenti cui è pervenuta la task force incaricata dal Ministro interrogato a svolgere le verifiche. (3-01309)
(17 febbraio 2015)

   BOMBASSEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il brevetto è un titolo di proprietà industriale che conferisce al suo titolare il diritto di sfruttare un'invenzione in regime di monopolio, cioè in esclusiva, sul territorio dello Stato che concede il brevetto. La durata massima di un brevetto è 20 anni dalla data di deposito della domanda;
   la tutela brevettuale in Europa è attualmente basata sul sistema delineato dalla Convenzione di Monaco del 1973 (1) (CM), Convenzione di carattere internazionale che ha istituito l'Organizzazione europea dei brevetti (Oeb), alla quale hanno aderito tutti i Paesi dell'Unione europea, nonché alcuni Paesi europei, non appartenenti all'Unione europea;
   nella fattispecie, un'invenzione può essere tutelata in Italia con un brevetto nazionale oppure con un «brevetto europeo», spesso erroneamente definito comunitario dai non addetti ai lavori. La procedura europea prevede il deposito di una domanda di brevetto in inglese o in francese o in tedesco, all'Ufficio europeo dei brevetti Epo (European patent office), che ha sede principale in Germania, a Monaco di Baviera. Attualmente con una domanda di brevetto europeo si possono designare 38 Stati, cioè gli Stati dell'Unione europea e in aggiunta Albania, Islanda, Liechtenstein, Principato di Monaco, Norvegia, Svizzera, Turchia, San Marino, Repubblica di Macedonia, Serbia. È possibile designare anche Bosnia-Erzegovina e Montenegro pagando una sovrattassa;
   dopo la relativa concessione, il brevetto europeo non è automaticamente valido nei 38 Paesi sopra menzionati; la procedura richiede, infatti, la convalida del brevetto nei Paesi di interesse tra i 38 inizialmente designati. Nella sostanza, il brevetto europeo concesso si trasforma in un fascio di brevetti nazionali, ciascuno dei quali è soggetto alla normativa e alla competenza dei tribunali della corrispondente nazione e le tasse annuali di mantenimento in vita sono dovute in ciascuna nazione nella quale il titolare ha deciso di convalidare il brevetto;
   il costo attuale dell'esistente brevetto europeo risulta molto elevato a causa delle spese per la validazione del titolo nei diversi Paesi designati, che possono raggiungere anche l'85 per cento del costo complessivo: per quanto, infatti, il costo di registrazione di un brevetto vari sensibilmente a seconda della lunghezza dello stesso e del Paese in cui si decide di procedere alla registrazione, i dati presentati dalla Commissione europea prevedono che il costo per ottenere un brevetto valido nei 28 Stati membri sia attualmente corrispondente a circa 36.000 euro (di cui 23.000 euro solo per costi di traduzione). Si tratta di una situazione economicamente insostenibile, che spesso obbliga le imprese italiane a scegliere una protezione brevettuale limitata ad un ristretto numero di Paesi;
   per superare le lacune e i costi del sistema attuale l'Unione europea ha predisposto un nuovo sistema di brevettazione unificata, articola in due pilastri complementari. Il primo consiste in un meccanismo di brevettazione unitaria fondato sui due regolamenti (UE) n. 1257/2012 e n. 1260/2012, attuativi di una cooperazione rafforzata tra 25 Stati membri dell'Unione europea (tutti tranne l'Italia e la Spagna). Il meccanismo consente la registrazione di un brevetto unico presso l'Ufficio europeo dei brevetti che beneficia di una protezione uniforme in tutta l'Unione europea; il brevetto viene rilasciato in inglese, francese o tedesco e pubblicato nella medesima lingua unitamente a una traduzione delle rivendicazioni nelle altre due lingue. Il brevetto è altresì tradotto, mediante un sistema automatico, nelle altre lingue ufficiali dell'Unione europea, che tuttavia non fanno fede;
   il secondo pilastro è costituito da un sistema giurisdizionale unitario che si basa su un accordo internazionale per l'istituzione del Tribunale unificato dei brevetti, sottoscritto il 19 febbraio 2013 da 25 Stati membri (tutti tranne Spagna e Polonia) ma ratificato sinora da cinque Stati firmatari. L'accordo entrerà in vigore una volta ratificato da almeno 13 Stati membri;
   i due regolamenti relativi al rilascio di un titolo brevettuale unico sono entrati in vigore il 30 gennaio 2013. Tuttavia, sarà possibile chiedere la registrazione di brevetti unitari soltanto quando l'accordo sul sistema giurisdizionale unitario sarà entrato in vigore;
   l'Italia non ha aderito, insieme alla Spagna, al primo pilastro del nuovo sistema di brevettazione – che è stato pertanto costituito mediante il ricorso alla cooperazione rafforzata tra gli altri 25 Stati membri dell'Unione europea – ritenendo lesiva del principio di parità linguistica l'utilizzo per la registrazione del brevetto unico europeo esclusivamente inglese, francese o tedesco;
   il 10 giugno 2011 il Governo italiano ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea per chiedere l'annullamento della decisione che autorizzava la cooperazione rafforzata, riprendendo in massima parte le argomentazioni formulate dalla XIV Commissione della Camera dei deputati. Analogo ricorso è stato presentato dal Regno di Spagna, che ha, con un ulteriore ricorso, impugnato i regolamenti attuativi della cooperazione rafforzata;
   con sentenza del 16 aprile 2013, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha respinto il ricorso introdotto da Spagna e Italia, nel giugno del 2011, contro la decisione di autorizzare una cooperazione rafforzata per l'adozione di regolamenti che disciplinano il brevetto unitario «EU»;
   nelle conclusioni depositate in data 18 novembre 2014 (causa C-146/13 – Regno di Spagna contro Parlamento europeo, Consiglio dell'Unione europea) l'Avvocato generale dell'Unione europea, Yves Bot, ha affermato che i ricorsi della Spagna contro i regolamenti che attuano la cooperazione rafforzata nel settore della creazione di una tutela unitaria conferita dal brevetto europeo devono essere respinti poiché «la protezione unitaria fornisce un autentico beneficio dal punto di vista dell'uniformità e dell'integrazione, mentre la scelta linguistica riduce in modo significativo i costi di traduzione e garantisce meglio il principio di certezza del diritto», ritenendo, altresì, che sia appropriato «limitare il numero di lingue del brevetto europeo a effetto unitario, poiché ciò garantisce una tutela unitaria dei brevetti sul territorio degli Stati membri partecipanti alla cooperazione rafforzata pur permettendo una riduzione notevole dei costi di traduzione»;
   come evidenziato anche nel Position paper dell'A.i.c.i.p.i. (Associazione italiana dei consulenti ed esperti in proprietà industriale di enti e imprese) pubblicato in data 11 aprile 2011, in termini di procedura di deposito, si potrebbe prevedere la soluzione linguistica denominata «English soon and always» introducendo una traduzione in lingua inglese fin dalla pubblicazione della domanda, qualora la lingua di procedura sia diversa dall'inglese. Tale traduzione sarebbe a puro scopo informativo e potrebbe essere fornita come servizio offerto dall'Unione europea a spese della stessa (e non del richiedente) con costi complessivi contenuti;
   il sistema di traduzioni sovra menzionato, oltre a soddisfare l'esigenza di informazione tempestiva al pubblico fino a quando le traduzioni automatiche non avranno ancora raggiunto il necessario livello di affidabilità, costituirebbe una base ottimale per essere adattata a servire anche da traduzione del testo del brevetto concesso al termine della procedura d'esame dai richiedenti che avranno optato per la lingua francese o tedesca durante la procedura. Garantirebbe, altresì, la disponibilità di testi in lingua inglese per tutti i brevetti unitari fin dalla loro pubblicazione, rafforzando, da un lato, il concetto di «English soon and always», dall'altro la diffusione e comprensione puntuale e tempestiva più ampia possibile dei brevetti unitari;
   secondo le intenzioni dell'Ufficio europeo dei brevetti i primi brevetti unitari potrebbero rilasciati nei primi mesi nel 2015. Come noto, il nuovo sistema di protezione andrà ad aggiungersi, come valida alternativa, a quello del brevetto europeo attualmente esistente, portando progressivamente ad una riduzione di circa il 70 per cento delle spese sostenute, con vantaggi specifici per le piccole e medie imprese e per gli enti di ricerca, allineando così i costi sostenuti dalle aziende italiane a quelli relativi al deposito del brevetto statunitense e/o giapponese;
   se il nostro Paese restasse escluso dal sistema del brevetto unitario, a subirne le conseguenze sarebbe il tessuto produttivo italiano costretto a sostenere maggiori oneri, nonché a rinunciare ad una protezione aggiuntiva, con il conseguente disincentivo anche per le imprese estere ad investire in attività produttive, commerciali e di ricerca nel territorio –:
   se non si ritenga opportuno adottare, con sollecitudine, iniziative finalizzate all'adesione del nostro Paese alla cooperazione rafforzata sul titolo brevettuale unico europeo, evitando in tal modo un'esclusione dannosa per le imprese italiane già connotate da una compagine produttiva a bassa o media internazionalizzazione e/o capacità finanziaria, e se non sia necessario avanzare, al tempo stesso, nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea, la richiesta di valutare una modifica del regolamento che disciplina il regime linguistico del brevetto unificato, in modo da introdurre la soluzione linguistica «English soon and always» espressa in premessa. (3-01310)
(17 febbraio 2015)

   FRANCO BORDO, NICCHI, PAGLIA, MELILLA, SCOTTO, ZARATTI, AIRAUDO, PLACIDO, PIRAS, FRATOIANNI, RICCIATTI, FERRARA, PELLEGRINO, ZACCAGNINI, PANNARALE, MARCON, DURANTI, GIANCARLO GIORDANO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, KRONBICHLER, MATARRELLI, PALAZZOTTO, QUARANTA e SANNICANDRO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane s.p.a. ha presentato il 16 dicembre 2014 il nuovo piano strategico 2015-2019 e nell'ambito di un suo comunicato stampa evidenzia che il piano prevede un unico gruppo integrato, focalizzato su 3 aree: logistica e servizi postali, pagamenti e transazioni, risparmio e assicurazioni, prevedendosi:
    a) un fatturato in crescita verso i 30 miliardi di euro e una profittabilità che dovrebbe tornare a crescere;
    b) investimenti in piattaforme e servizi digitali per circa 3 miliardi di euro, di cui 500 milioni per la sicurezza e la riqualificazione degli uffici postali come luogo di servizio, assistenza e consulenza ai cittadini e alle famiglie;
    c) una crescita nella logistica pacchi con obiettivo di quota di mercato superiore al 30 per cento nel segmento business to consumer;
    d) lo sviluppo della piattaforma dei pagamenti digitali, incrementando da 20 a 30 milioni di euro le carte di pagamento;
    e) l'ingresso di 8.000 nuove persone (50 per cento nuove professionalità) e la riqualificazione di 7.000 persone;
    f) la ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico, prima della firma del nuovo contratto di programma 2015-2019 prevista per il mese di marzo 2015;
   i contenuti specifici di tale piano non sono ancora noti al Parlamento, ma, secondo quanto risulta agli interroganti – nonostante Poste italiane spa riceva significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali – detto piano dovrebbe prevedere a livello nazionale, nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici;
   al riguardo appare opportuno rammentare che con la delibera n. 342/14/CONS che è stata preceduta da una consultazione pubblica, sono stati modificati i criteri di distribuzione degli uffici postali fissati dall'articolo 2 del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, integrandoli con specifiche previsioni a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone remote del Paese. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, la delibera introduce specifici divieti di chiusura di uffici postali, di cui Poste italiane spa dovrà tener conto nella redazione del piano annuale di razionalizzazione degli uffici postali. Sono state previste particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, infine, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
   nonostante ciò si stanno diffondendo notizie di imminenti decisioni di chiusure di sportelli e uffici in tutta Italia (dalla Toscana all'Emilia-Romagna, dalla Lombardia alla Sicilia, dalla Sardegna all'Abruzzo e in altre regioni), causando quindi notevoli difficoltà e generando una diminuzione della qualità e della fruibilità del servizio fornito alla clientela anche e soprattutto in aree svantaggiate;
   solo per fare qualche esempio, si apprende da fonti giornalistiche che la Toscana è una delle regioni più colpite dai tagli annunciati da Poste italiane spa sull'intero territorio nazionale. Il piano regionale di Poste italiane spa prevede la chiusura di 63 uffici e la riduzione di orario (settimanale o, in alcuni casi, per alcuni mesi dell'anno) di altri 37 sportelli; a Grosseto dovrebbero chiudere 10 uffici e 6 ad aperture ridotte, a Lucca rispettivamente 9 e 6, a Pisa 11 e 4, a Firenze 8 e 6; le chiusure interesseranno anche gli uffici di molti piccoli centri della Maremma dove abitano la maggior parte di anziani: Pereta, Santa Caterina, Selva, Montorgiali, Ravi nel comune di Gavorrano (in cui la percentuale degli abitanti anziani è dell'85 per cento); mentre si avrà una riduzione dell'orario a Montiano, Pontieri, Roccalbegna, Vallerona, Valpiana, Punta Ala;
   lo stesso dicasi per la Lombardia: in provincia di Pavia, da quanto riportato dalla stampa locale, si prevedono la chiusura di 3 uffici (Fossarmato, Zinasco Nuovo, Lambrinia) e la contrazione delle aperture di altri 19 uffici (Arena Po, Brallo, Alagna Lomellina, Corana, Cornale, Ferrera Erbognone, Inverno e Monteleone, Mezzana Bigli, Olevano, Ottobiano, Pometo, Rovescala, San Damiano al Colle, Silvano Pietra, Sommo, Torricella Verzate, Val di Nizza, Valle Salimbene, Zeme); in provincia di Cremona si prevede la chiusura di 3 uffici (Gallignano, Ombriano, Vicomoscano) e la contrazione delle aperture di altri 26 uffici (Acquanegra Cremonese, Bonemerse, Camisano, Capergnanica, Capralba, Casale Cremasco, Casaletto Ceredano, Casalmorano, Castelvisconti, Cicognolo, Credera Rubbiano, Cremosano, Cumignano sul Naviglio, Fiesco, Genivolta, Izano, Malagnino, Martignana di Po, Motta Baluffi, Paderno Ponchielli, Pescarolo, Pieve S. Giacomo, Ricengo, Ripalta Arpina, San Daniele Po, Stagno Lombardo); in provincia di Brescia si prevede la chiusura di 8 uffici (Botticino Mattina, Castelletto di Leno, Mazzano, Provezze di Provaglio d'Iseo, Brozzo di Marcheno, Cogno di Piancogno, Cogozzo di Villa Carcina, Magno di Gardone Valtrompia) e la contrazione delle aperture di altri 8 uffici (San Martino della Battaglia di Desenzano, San Pancrazio di Palazzolo, Incudine, Maderno di Toscolano Maderno, Ono San Pietro, Ponte Caffaro di Bagolino, Prestine, Valvestino); in provincia di Lodi si prevede, infine, la chiusura di 1 ufficio (Zorlesco) e la contrazione delle aperture di altri 9 uffici (Boffalora d'Adda, Cervignano, Crespiatica, Corte Palasio, Santo Stefano, Terranova dei Passerini e Valera Fratta, Caselle Landi, Marudo);
   l'elenco potrebbe essere lunghissimo anche per molte altre regioni d'Italia e le proteste da parte dei rappresentanti delle istituzioni regionali e locali non hanno tardato a giungere all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico tanto da aver costituito oggetto, nei giorni scorsi, di un incontro tra l'amministratore delegato di Poste italiane spa e il Sottosegretario con delega alle comunicazioni;
   ad avviso degli interroganti la decisione di Poste italiane spa di ridurre il perimetro del servizio universale nei modi anzi descritti conferma la volontà da parte della società di perseguire la mera logica del profitto puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, che nulla hanno a che fare con il servizio universale, a scapito delle esigenze della collettività, chiudendo uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici», senza considerare che i servizi postali rappresentano un servizio fondamentale per lo svolgimento delle attività quotidiane di numerosissime imprese, famiglie e residenti anziani che si troveranno nella condizione di non poter più usufruire di prestazioni essenziali, quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti nei territori più disagiati –:
   quali elementi intenda fornire al Parlamento in ordine all'incontro avvenuto nei giorni scorsi con l'amministratore delegato di Poste italiane spa sulla ridefinizione del servizio universale postale e gli effetti conseguenti per la tenuta occupazionale dei soggetti operanti presso le agenzie di recapito e quali iniziative urgenti si intendano assumere per assicurare sia il rispetto delle prescrizioni stabilite dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in ordine al divieto di chiusura degli uffici postali nelle aree svantaggiate, sia, infine, che le determinazioni assunte da Poste italiane spa in ordine alla chiusura degli uffici postali nel territorio nazionale non arrechino disservizi nei confronti degli utenti, contravvenendo a qualsiasi principio di qualità del servizio pubblico che deve essere sempre assicurato in modo efficace e continuativo. (3-01311)
(17 febbraio 2015)