TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 347 di Mercoledì 10 dicembre 2014
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
CORDA, CANCELLERI, PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, RUOCCO, BARBANTI e PISANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
ai sensi dell'articolo 26, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, la cartella di pagamento può essere notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge;
tra gli altri soggetti abilitati per legge, rientrano i messi notificatori di cui all'articolo 45 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, che prevede, infatti, che il concessionario possa nominare uno o più messi notificatori;
quanto al rapporto che lega la figura del messo notificatore al concessionario non v’è alcuna norma che lo qualifica: come detto, l'articolo 26 individua i soggetti che possono essere preposti all'attività di notifica delle cartelle e degli avvisi di intimazione, mentre l'articolo 45 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, dispone che tale «abilitazione» avvenga tramite una nomina espressa da parte del concessionario a svolgere tali funzioni. Il legislatore, dunque, pare abbia voluto limitarsi a concedere ai concessionari la possibilità di nominare soggetti esterni ai quali affidare le attività di notificazione, senza disciplinare in alcun modo la tipologia di rapporto;
tale aspetto assume, tuttavia, particolare rilievo, soprattutto a seguito degli scandali che hanno interessato diverse società del gruppo Equitalia. Ci si riferisce, in particolare, a quanto accaduto per la società Equitalia Sardegna spa. In tale regione, infatti, Equitalia avrebbe affidato in subappalto il servizio di notifica a due società private (la società Tnt postnotifiche srl e la società Recapitalia srl), le quali avrebbero a loro volta affidato le attività di notifica a personale assunto con contratti di lavoro a progetto;
alcuni contribuenti sardi hanno esercitato il loro diritto di accesso agli atti, ai sensi della legge n. 241 del 1990, con il quale hanno chiesto alla società Equitalia sia la tipologia del contratto di lavoro nel quale è inquadrato il messo, sia il relativo atto di nomina. Nonostante le difficoltà ad accedere a codesta documentazione e con l'ausilio di visure camerali, è emerso che ad oggi risultano assunti dalla società Tnt postnotifiche srl 55 lavoratori con regolare contratto (22 nella visura del 2008) per lo svolgimento dell'attività di messi notificatori sulla base dell'appalto nr. 3 aggiudicato il 29 ottobre 2009, coprendo i territori di: Frosinone, L'Aquila, Roma, Grossetto, Latina, Livorno, Siena, Perugia, Macerata, Pesaro, Urbino, Ancona, Ascoli Piceno, Terni, Pistoia, Pisa, Arezzo, Prato, Firenze, Massa Carrara e tutta la Sardegna. Appena 55 lavoratori per un territorio così ampio. Nella realtà le cose sono ben diverse poiché hanno operato per la suddetta società più di 2.000 messi, assunti con contratto di lavoro a progetto per l'esecuzione delle notifiche da parte di una società che ha come oggetto sociale la notifica di cartelle esattoriali;
poiché vi è una perfetta coincidenza tra il progetto che ogni singolo messo è tenuto a realizzare e l'oggetto sociale del committente, dovrebbe trovare applicazione l'articolo del decreto legislativo n. 276 del 2003, che trasforma il rapporto di lavoro in lavoro subordinato. In merito esistono diverse pronunce giurisprudenziali, ma soprattutto la circolare Inps che testualmente recita: «Data la finalità antielusiva della disciplina, un progetto può riguardare anche l'attività principale dell'azienda ma non può mai esaurirsi totalmente nell'oggetto sociale: non può, cioè, coincidere totalmente con l'attività principale o accessorio dell'azienda. Per quanto osservato il singolo messo svolge il servizio con vincoli di orari e modalità operative riconducibili al lavoro subordinato»;
la Tnt postnotifiche srl che ha eseguito le notifiche per conto dell'agente della riscossione in Sardegna per anni (la prima convenzione risale al 2004) avrebbe sfruttato il lavoro dei messi notificatori, lucrando di fatto a danno delle casse dell'Inps e dell'erario, ai quali non verrebbero versati contributi e ritenute fiscali in modo corretto, né regolare;
quanto emerso relativamente ad Equitalia Sardegna ha interessato anche altre società del gruppo operative in altre regioni italiane. È il caso della regione Lazio. Dalla stampa locale, infatti, si apprende di una denuncia nei confronti del gruppo Equitalia proposta dai Comitati riuniti agricoli e dal movimento civico «Dignità sociale» di Latina (si veda http://www.buonenotizie.it), a proposito del cosiddetto caso Latina: «Tecnicamente, la società di riscossione dei tributi affida l'attività di notifica in appalto alla Tnt, che - nel Lazio – la subappalta alla Crc, con dipendenti assunti con contratti a progetto e pagati, per ogni notifica, da 30 centesimi a 1 euro». «Basta una visura alla camera di commercio» ha detto Saieva. «La prima società conta 55 dipendenti, la seconda 88. Troppo pochi per coprire un territorio vasto come il Lazio. Il resto è costituito da lavoratori a progetto. E il progetto, in questo caso, coincide con la ragione sociale. Ne consegue che i messi notificatori inviati da Equitalia per portare, casa per casa, le cartelle esattoriali ai contribuenti non sono abilitati. E il modus operandi è lo stesso in tutta Italia». «Le procedure di Equitalia», ha proseguito l'avvocato, «non rispettano il diritto comunitario. Sono infatti impugnabili, poiché nulle, le cartelle notificate dai messi non abilitati»;
inoltre, è stato già manifestato al Ministro interrogato, a titolo informativo, che numerose posizioni dirigenziali, quasi 800 su 1.200 circa, siano attualmente ricoperte indebitamente da personale non avente la relativa qualifica dirigenziale, essendo stati promossi sul campo e senza un regolare concorso, attraverso l'uso indebito dell'istituto della reggenza. Per tale motivo, tutte le cartelle tributarie firmate negli ultimi dieci anni possono essere dichiarate nulle perché prive del potere di firma del presunto dirigente: anche questo conferma l'illegittimità della situazione creatasi in seno all'amministrazione finanziaria anche a monte della riscossione;
in proposito, pare necessario, per comprendere la situazione d'illegittimità lamentata, rifarsi alla sentenza n. 06884/2011 reg.prov.coll. del tribunale amministrativo regionale del Lazio, secondo la quale «configurandosi il conferimento di un incarico dirigenziale in favore di un funzionario non dirigente alla stregua dell'assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, il relativo atto di conferimento deve considerarsi radicalmente nullo ai sensi dell'articolo 52, comma 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001»;
il Governo Monti, ha cercato di porre rimedio a questo grosso problema; così la l'articolo 8, comma 24, del decreto-legge n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, ha convalidato gli incarichi affidati senza concorso e, in attesa di espletare le nuove procedure concorsuali, ha autorizzato anche l'attribuzione di ulteriori incarichi dirigenziali a funzionari delle stesse agenzie;
una sentenza del Consiglio di Stato (n. 5451/2013 del 18 novembre 2013) ha rimesso la questione di legittimità costituzionale della sanatoria alla Corte costituzionale, che dovrà pronunciarsi su tale situazione;
da quanto si apprende, dunque, al gruppo Equitalia e alle società appaltanti del servizio di notificazione sarebbero imputabili anomalie sia nella conduzione del rapporto lavorativo con i dipendenti (omesso versamento dei contributi previdenziali e delle ritenute fiscali), sia relativamente alla stessa gestione del servizio di notificazione, attraverso l'affidamento dell'attività di notifica a personale non qualificato né abilitato ai sensi di legge –:
se sia a conoscenza delle descritte condotte, ad avviso degli interroganti, di dubbia regolarità commesse dal gruppo Equitalia e dalle società appaltanti del servizio di notificazione e, in particolar modo, dei contratti di lavoro a progetto utilizzati per lo svolgimento di attività di notificazione, dell'omesso versamento di contributi previdenziali e delle ritenute fiscali a favore dei lavoratori, nonché del ricorso a messi notificatori privi della qualifica richiesta dalla legge e del rischio di grave contenzioso dei contribuenti contro lo Stato italiano, e quali iniziative intenda eventualmente assumere per porvi rimedio. (3-01210)
(Presentata il 9 dicembre 2014)
BUSIN, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
a seguito delle innovazioni in materia di part-time nel pubblico impiego, introdotte con l'articolo 73 del decreto-legge n. 112 del 2008 e con l'articolo 16 della legge n. 183 del 2010, è stata modificata la posizione del dipendente richiedente rispetto all'amministrazione datore di lavoro, prevedendo – entro un determinato termine oramai decorso – una sorta di potere di revisione unilaterale del rapporto da parte delle amministrazioni;
l'applicazione di tale norma ha creato non poco contenzioso, creando, di fatto, un pregiudizio nei confronti delle lavoratrici donne, spesso impegnate nella cura dei figli e dei familiari bisognosi di assistenza;
ancor più grave, tuttavia, è verificare che l'applicazione del part-time, a seconda che sia a carattere orizzontale ovvero verticale, ha creato – e tuttora crea – una discriminazione tra le stesse lavoratrici;
l'Inps, infatti, opera un distinguo tra le varie tipologie di part-time, evidenziando che nel part-time di tipo orizzontale il dipendente – sia pure in modo parziale – presta attività lavorativa tutti i giorni, mentre nel part-time verticale l'assenza dal servizio investe l'intera giornata lavorativa;
per l'istituto, pertanto, i periodi di part-time orizzontale costituiscono «prestazione effettiva di lavoro»; viceversa i periodi di part-time verticale, poiché danno luogo ad assenze che investono l'intera giornata, si configurano come «mancata prestazione effettiva di lavoro» e quindi soggetti a decurtazione percentuale ex articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201 del 2011;
tale interpretazione dell'ente previdenziale finisce con il penalizzare una tipologia di part-time rispetto ad un'altra, la cui scelta spesso dipende non già da esigenze del lavoratore, bensì dalla necessità di flessibilità e turni aziendali avvertita dal datore di lavoro, creando, altresì, una forte iniquità in termini di trattamento pensionistico tra i soggetti utilizzati nell'una o nell'altra tipologia di part-time a parità oraria di prestazione d'opera settimanale e versamenti contributivi da parte dell'azienda;
sulla questione del part-time verticale, peraltro, si è espressa la Corte di giustizia europea nella sentenza del 21 gennaio 2010 alle cause riunite C395/08 e C396/08, ritenendo il criterio di determinazione dell'anzianità contributiva nel part-time verticale adottato dall'Inps fonte di discriminazione ed in contrasto con la clausola 4 della direttiva dell'Unione europea n. 97/81 (accordo quadro sul lavoro a tempo parziale);
in particolare, la sentenza riguardava due ricorsi di due dipendenti Alitalia impiegati part-time con la formula «tempo parziale verticale ciclico» prevista dal contratto collettivo nazionale, in base alla quale lavoravano solamente per alcune settimane o mesi dell'anno, con orario pieno o ridotto; i rilievi della Corte di giustizia europea sono stati che non è fondata la tesi dell'Inps in base alla quale il contratto a tempo parziale verticale venga considerato come sospeso durante i periodi non lavorati, giacché secondo la direttiva europea i periodi non lavorati discendono dalla normale esecuzione del contratto di lavoro a part-time e non dalla sua sospensione –:
se il Governo non ritenga doveroso emanare con urgenza ogni iniziativa di competenza tesa a superare l'interpretazione discriminatoria di cui in premessa, dando così attuazione anche alla sentenza della Corte europea che – di fatto – non ha condiviso la posizione dell'Inps e del Governo italiano, e se sia in grado di fornire una stima dei soggetti lavoratori – dipendenti pubblici e privati – in part-time verticale colpiti dall'interpretazione Inps.
(3-01211)
(Presentata il 9 dicembre 2014)
TAGLIALATELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
con il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese», sono state modificate alcune disposizioni in materia di contratto a tempo determinato di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, di attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'Unice, dal Ceep e dal Ces;
l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2014 prevede che «il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1o gennaio dell'anno di assunzione»;
la citata disposizione fa salva, tuttavia, la norma contenuta nel decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, che prevede che l'individuazione di limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati e che sono comunque esclusi da detti limiti i contratti a tempo determinato conclusi nella fase di avvio di nuove attività, per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi, e con lavoratori di età superiore a 55 anni;
nonostante il mantenimento di questi limiti, il nuovo parametro del 20 per cento sul personale impiegato sta creando seri disagi a numerose aziende, sia perché per alcune tipologie di esse impedisce la flessibilità in entrata, sia perché, sul versante opposto, rischia di obbligare alcune imprese a licenziare i lavoratori assunti a tempo determinato eccedenti il predetto limite in base alla previgente normativa;
inoltre, l'individuazione del parametro di riferimento ai contratti a tempo indeterminato in essere al 1o gennaio dell'anno in corso e non al personale effettivamente assunto in azienda al momento dell'eventuale assunzione a tempo determinato rischia di penalizzare le aziende in fase di espansione o di elevata crescita produttiva;
successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge, in diversi settori lavorativi i sindacati, le parti sociali ed i datori di lavoro hanno siglato i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro prevedendo un aumento del contingente di lavoratori a tempo determinato che possono essere impiegati presso le aziende del settore;
specificatamente il contratto collettivo nazionale di lavoro per il commercio ha innalzato detto limite al 28 per cento, il contratto collettivo nazionale di lavoro di edilartigianato ed edilindustria al 25 per cento, quello per le case di cura private al 30 per cento e il contratto collettivo nazionale di lavoro per i lavoratori del settore del trasporto al 35 per cento;
con riferimento allo specifico caso dei lavoratori dell'edilizia, invece, nell'ambito della recente rinegoziazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, la deroga incrementa in determinati casi la soglia percentuale di contratti a termine per le aziende del settore addirittura al 40 per cento, rendendola, tuttavia, applicabile solo al personale iscritto alle liste di «borsa lavoro», che tuttavia non sono ancora operative in molte province d'Italia;
la necessità di autoregolamentazione da parte dei diversi comparti di lavoro, che ha portato all'inserimento nei contratti collettivi nazionali di lavoro delle citate deroghe, dimostra la difficile sostenibilità da parte delle aziende dei contingenti previsti dal citato decreto-legge –:
se non ritenga di intervenire nel senso di prevedere una più esaustiva disciplina dei casi di esclusione dal limite di cui in premessa, se del caso ideando, per le aziende ammesse al regime derogatorio, meccanismi di incentivazione, basati sul modello di sgravi contributivi, per l'assunzione di lavoratori con contratti a tempo determinato di lunga durata. (3-01212)
(Presentata il 9 dicembre 2014)
PASTORELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
come è noto, durante il regime fascista venne costruito sulle rive del Lago di Vico un impianto per la sperimentazione e produzione di armi chimiche e ordigni speciali, il quale occupava un'area di oltre 20 ettari;
con la fine del conflitto detto impianto venne riconvertito per la produzione di candele nebbiogene e fumogeni, protraendosi tale attività fino agli anni ’70;
solo a metà degli anni ’90, ebbero luogo le prime operazioni di bonifica, le quali si conclusero nel 2000 con l'annuncio da parte delle competenti autorità militari che non esistevano ulteriori rischi di contaminazione per le popolazioni limitrofe;
a quanto consta all'interrogante, nel novembre del 2009, nell'ambito di attività di monitoraggio sullo stato ambientale del lago, l'Arpa Lazio eseguiva alcune analisi su un campione di sedimento prelevato ad una profondità di circa 40 metri, le quali evidenziavano valori molto superiori alla soglia di contaminazione per diversi metalli pesanti (cadmio, nichel, arsenico, piombo);
nel 2010 il centro tecnico logistico interforze, in qualità di gestore dell'area militare, confermava la presenza nel terreno di numerose «masse metalliche interrate», nonché di valori di arsenico superiori alla soglia di contaminazione;
tali analisi evidenziavano, dunque, la necessità di rimuovere gli ordigni inesplosi e altri residuati bellici pericolosi ancora presenti nell'impianto, per poi procedere ad una bonifica, la seconda in meno di 10 anni, dell'area;
ad oggi, non risulta che tali nuove operazioni di bonifica abbiano avuto effettivo inizio, mentre l'intero sito, al contrario, giace abbandonato e pericolosamente incustodito, con tutto ciò che ne consegue per la sicurezza della cittadinanza –:
di quali informazioni chiare ed esaustive disponga circa la quantità di ordigni bellici o sostanze pericolose ancora presenti nel suddetto impianto, nonché circa la reale entità del pericolo per le popolazioni che vivono in quelle zone. (3-01213)
(Presentata il 9 dicembre 2014)
ZARATTI, SCOTTO, AIRAUDO, PLACIDO e PIRAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
nonostante numerose fonti istituzionali, politiche e di informazione rappresentino il trasporto aereo italiano come un settore in crisi in cui le numerose vertenze del comparto costituiscono, di fatto, la mera conseguenza di una recessione più generale, dati forniti da importanti e qualificati studi di settore, come Assoaeroporti, dimostrano che le cose non stanno esattamente in questi termini, perché il comparto aereo-aeroportuale ed il suo indotto sembrerebbero essere sotto altri profili tutt'altro che in crisi;
si segnala al riguardo una crescita esponenziale dei passeggeri sulle tratte intercontinentali ed a lungo raggio e, in tale contesto, particolarmente significativo è lo sviluppo dell'intero sistema aeroportuale romano (aeroporti di Fiumicino e di Ciampino) per ciò che riguarda il traffico passeggeri. Agli inizi del mese di ottobre 2014, ad esempio, Aeroporti di Roma (Adr) ha festeggiato il transito del duemilionesimo passeggero in più rispetto all'anno 2013 e sempre nel mese di ottobre 2014 su ottobre 2013 la crescita del traffico passeggeri, solo all'aeroporto di Fiumicino, ha segnato un + 10 per cento;
pur tuttavia, a questa inequivocabile situazione di crescita del comparto fa, purtroppo, da contraltare una situazione drammatica per il lavoro e per l'intera categoria degli addetti operanti nel comparto aereo-aeroportuale, considerato che moltissimi fra questi (circa 15.000) risultano attualmente interessati a vario titolo ed «intensità» da procedure di cassa integrazione, mobilità e contratti di solidarietà e molte delle vertenze attualmente in essere insistono direttamente sugli aeroporti romani;
il gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, per il tramite dell'onorevole Michele Piras, ha già evidenziato durante l'audizione del Ministro interrogato presso la Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni (IX) della Camera dei deputati svoltasi la scorsa settimana, come siano ben 1.634 i lavoratori della compagnia aerea Meridiana minacciati da un licenziamento di massa; 500 lavoratori di Sea handling sono stati agevolati all'uscita dalla società di gestione degli aeroporti milanesi (Linate e Malpensa) e sostituiti da lavoratori interinali e precari che chissà sino a quando potranno continuare a lavorare; e, infine, anche con riferimento alle situazioni di Alitalia e di Groundcare la questione relativa agli esuberi appare tutt'altro che chiusa;
con riferimento alla situazione di Alitalia, si evidenzia come una quarantina di operai licenziati solo a ottobre 2014 sono stati ricollocati, ma con contratti da soli 25 giorni, dal 4 al 28 dicembre 2014, per le manutenzioni dei velivoli Air Berlin e ciò appare quanto mai deprecabile, se non addirittura allucinante, considerato che la precarizzazione dei licenziati rappresenta una beffa dei diritti dei lavoratori e la chiara dimostrazione che il lavoro in Alitalia c'era;
particolarmente grave e preoccupante appare la situazione degli 871 lavoratori della Groundcare di Fiumicino e Ciampino che stanno rischiando il loro posto di lavoro;
con riferimento alla situazione di Groundcare, in particolare, per quanto risulta agli interroganti, in data 5 dicembre 2014 il curatore fallimentare di Groundcare ha inviato una lettera in cui si rappresenta la volontà dello stesso di procedere alla liquidazione o alla vendita a pezzi senza che vi sia stato alcun accordo sindacale. Le trattative per l'acquisto della fallita Groundcare da parte della Gh sembrerebbero ad oggi sospese e le organizzazioni sindacali non hanno, finora, trovato le condizioni per firmare unitariamente un accordo che, con tutta evidenza, reca contenuti inaccettabili ed apre drammatiche prospettive per i lavoratori. Sembrerebbero 350 gli esuberi che rischiano la mobilità senza l'integrazione del fondo speciale del trasporto aereo; c’è poca chiarezza sul destino dei lavoratori ex Globeground e nessuna certezza sulla ricollocazione degli esuberi; si paventa la prospettata riduzione del salario fino al 20 per cento per i lavoratori riassorbiti; sembrerebbe, addirittura, possa verificarsi la trasformazione coatta dei contratti full time in contratti part-time;
per quanto risulta agli interroganti, il curatore fallimentare di Groundcare considera la proposta di acquisto di Gh «la più conveniente», prospettando in caso di mancato accordo la svendita a pezzi dell'azienda e prospettando ancora più pesanti ripercussioni sull'integrità dell'azienda e sui livelli occupazionali;
una proposta di soluzione alla suddetta critica situazione potrebbe essere quella della proroga dell'esercizio provvisorio e della licenza di Groundcare fino alla scadenza della cassa integrazione guadagni straordinaria per maggio 2015 e la soluzione della vertenza nell'ambito del riordino dell'intero sistema aeroportuale romano previsto a partire da gennaio 2015 con revisione degli handler e delle società aeroportuali operanti negli scali romani e contestuale definizione di regole contrattuali, retributive, normative e di livelli di servizio e sicurezza uguali per tutti a tutela dei lavoratori e dei passeggeri –:
quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, alla luce di quanto descritto in premessa, considerata l'enorme contraddizione tra lo sviluppo del mercato del trasporto aereo italiano e la gravissima situazione occupazionale che sta interessando l'intero comparto aereo-aeroportuale, di cui i casi Alitalia, Meridiana, Sea-handlig e Groundcare rappresentano fulgidi esempi, e quali iniziative di competenza intenda adottare per consentire una moratoria dell'esercizio provvisorio e della licenza di Groundcare in attesa della definizione del sistema aeroportuale romano. (3-01214)
(Presentata il 9 dicembre 2014)
LIBRANDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 201, «Notificazione delle violazioni» del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, dispone, al comma 1, che le violazioni del codice devono essere immediatamente contestate al trasgressore, ovvero, a fronte dell'impossibilità dell'immediatezza della contestazione, che la pubblica amministrazione ha novanta giorni di tempo per notificare il verbale al trasgressore;
il suddetto termine di novanta giorni è frutto della modifica introdotta dal legislatore al codice della strada con l'articolo 36 della legge 29 luglio 2010, n. 120, che, in ossequio ai principi di efficienza e speditezza dell'azione amministrativa, ha ridotto il precedente termine di centocinquanta giorni;
il comma 1-bis dell'articolo 201 del codice della strada elenca le ipotesi in cui l'immediatezza della contestazione non è necessaria, includendo tra queste i casi di accertamento della violazione per mezzo di apparecchi elettronici di rilevamento che consentono la determinazione dell'illecito in tempo successivo, essendo il veicolo oggetto del rilievo a distanza dal posto di accertamento e comunque nell'impossibilità di essere fermato in tempo utile;
il comma 1-ter del medesimo articolo precisa che, nell'ipotesi in cui la contestazione non avviene immediatamente, la pubblica amministrazione è tenuta a precisare, nel verbale di notifica inviato al trasgressore, i motivi per cui non è stato possibile procedere con la contestazione immediata;
in alcune fattispecie di trasgressione – in particolare nell'ipotesi di violazione dei limiti di velocità – le moderne apparecchiature elettroniche in dotazione delle pubbliche amministrazioni consentono l'accertamento immediato da parte degli operatori di polizia locale, dal momento che l'invio dei fotogrammi digitali alla centrale operativa avviene in tempo reale;
alcune amministrazioni territoriali (tra queste il comune di Milano), per evitare che la decorrenza del termine di notifica previsto dal legislatore nazionale annulli la validità della sanzione, interpretano estensivamente il termine iniziale (dies a quo) per la notificazione del verbale di accertamento. L'interpretazione estensiva considera dies a quo non il momento in cui l'infrazione è accertata dal dispositivo elettronico, bensì quello in cui l'operatore di polizia locale visiona il fotogramma concernente l'infrazione;
il numero crescente di apparecchiature di rilevamento a disposizione delle amministrazioni locali collocate nell'intero perimetro urbano produce un aumento esponenziale degli accertamenti e, di conseguenza, un potenziale aumento dei carichi di lavoro per le amministrazioni territoriali;
l'interpretazione estensiva del termine indicato dall'articolo 201 del codice della strada è lesivo del diritto alla difesa dei cittadini, dal momento che costoro, a distanza di tempo dall'infrazione, hanno maggiori difficoltà a ricordare dettagli utili per valutare l'opportunità di presentare ricorso in opposizione al verbale di accertamento;
tale interpretazione è, inoltre, in palese violazione del principio fissato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 198 del 1996 in materia di notifica. Secondo l'interpretazione della Corte costituzionale il dies a quo della notifica è da considerarsi quello in cui l'amministrazione è posta nelle condizioni di agire e non quello in cui, assecondando la distribuzione dei carichi di lavoro interni, l'amministrazione valuta discrezionalmente la possibilità di agire;
l'interpretazione estensiva è, altresì, lesiva dello spirito della norma dettata dall'articolo 201 del codice della strada, poiché viola i principi di certezza del diritto, di buona amministrazione e di speditezza dell'azione amministrativa –:
se il Ministro interrogato, a fronte delle ricadute negative per i cittadini prodotte dall'interpretazione estensiva dell'articolo 201 del codice della strada da parte delle amministrazioni locali, non ritenga opportuna l'adozione di una circolare esplicativa in merito alla decorrenza dei termini o l'assunzione di iniziative per una modifica all'articolo 201, comma 1, del codice della strada con la precisazione del dies a quo del termine di 90 giorni concessi all'amministrazione per notificare il verbale di accertamento. (3-01215)
(Presentata il 9 dicembre 2014)
PIEPOLI, BUTTIGLIONE, SBERNA, CERA, GIGLI, BINETTI, SANTERINI e FAUTTILLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
secondo quanto si apprende dalla stampa, sarebbe stato consegnato dal Governo alla task-force di Bruxelles, incaricata di raccogliere le opere di tutti i Paesi dell'Unione europea che si candidano ai finanziamenti del «piano Juncker», l'elenco delle proposte italiane;
non si conoscono i criteri che saranno adottati dall'Unione europea per assegnare i fondi per la realizzazione delle infrastrutture, tuttavia rispetto al rapporto iniziale che raccoglieva circa 2.000 progetti per un valore di 1.300 miliardi di euro, oggi risulterebbe che i progetti illustrativi, ritenuti più seri dai proponenti, siano scesi ad una quarantina che potrebbero, dunque, più facilmente sopravvivere alla selezione;
il gap infrastrutturale del nostro Paese è evidente e mancare la possibilità di attingere alle risorse del «piano Juncker» sarebbe imperdonabile;
sarebbe, pertanto, opportuno concentrare le risorse per finanziare progetti ritenuti fondamentali per la ripresa del nostro Paese –:
quali siano le proposte italiane presentate e se non ritenga che il «piano Junker» rappresenti un'occasione unica per realizzare le infrastrutture necessarie alle ripresa economica del Paese. (3-01216)
(Presentata il 9 dicembre 2014)
COSCIA, PICCOLI NARDELLI, CAUSI, RAMPI, ASCANI, BLAZINA, BOSSA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, D'OTTAVIO, MALISANI, MALPEZZI, MANZI, NARDUOLO, GHIZZONI, PES, ROCCHI, ANDREA ROMANO, PAOLO ROSSI, SGAMBATO, VENTRICELLI, BINI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
in occasione del recente Consiglio formale dei Ministri della cultura – svoltosi il 25 novembre 2014 a Bruxelles – organizzato nel contesto del semestre italiano di presidenza dell'Unione europea e presieduto dal Ministro interrogato, è stato affrontato il tema del diverso regime fiscale applicato agli ebook e ai libri a stampa e dell'importanza di promuovere la lettura come strumento per diffondere il sapere, incoraggiare la creatività, sostenere l'accesso alla cultura e la diversità culturale e sviluppare la consapevolezza dell'identità europea;
recenti dati di settore riportano, grazie al digitale, una crescita nel 2014 del 5 per cento del fatturato, con una stima di ulteriore crescita, anche per gli anni successivi, nel caso in cui il nostro Paese riuscisse ad equiparare e, quindi, ridurre il regime fiscale per i formati digitali;
negli ultimi mesi il Parlamento – a sostegno della linea in più occasioni definita dal Governo – ha convenuto sull'importanza di sostenere il digitale anche manifestando l'intenzione di ridurre sensibilmente l'iva sugli ebook;
il libro è tale indipendentemente dal suo formato e le ragioni per le quali i libri in formato elettronico dovrebbero essere assoggettati alla medesima aliquota iva dei libri di carta sono le stesse: il valore culturale e le esternalità positive che il consumo di libri ha sullo sviluppo economico in una società della conoscenza –:
quali siano state le conclusioni del Consiglio formale dei Ministri della cultura tenutosi a Bruxelles, con particolare riguardo al tema del regime fiscale da applicare agli ebook. (3-01217)
(Presentata il 9 dicembre 2014)
PALESE e PETRENGA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
la recente legge 29 luglio 2014, n. 106, riguardante la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo, si propone un'accelerazione del grande progetto Pompei, ricco di 105 milioni di euro, in gran parte di provenienza dall'Unione europea, da spendere entro la fine del 2015, pena la perdita dei fondi, che costituisce un rischio reale, visti i considerevoli ritardi nelle gare e nell'apertura dei cantieri;
ad oggi, infatti, sono stati spesi solo 1,5 milioni di euro e circa 25 sono stati impegnati, per cui bisogna, dunque, fare in fretta e bene, considerando che si lavora in una zona ad alto inquinamento malavitoso;
per soddisfare l'esigenza di rendere quanto più possibile gli appalti impermeabili a tangenti e criminalità è stata introdotta una serie di vincoli alle gare di Pompei, mal contemperando, però, la giusta trasparenza con la necessità di far presto;
a frenare sarà sicuramente la nuova modalità della procedura negoziata, alla quale ora si può ricorrere per le gare fino a 1,5 milioni di euro, ma bisogna considerare che il vero problema non sta nella soglia, quanto nel fatto che tale tipo di gara è stata, di fatto, ingessata perché d'ora in poi, nella procedura negoziata per l'affidamento dei contratti relativi a lavori, servizi e forniture, si dovrà pubblicare un avviso di pre-informazione e, dopo trenta giorni, comunicare l'elenco delle imprese interessate, a cui inviare l'invito a proporre un'offerta e sulla base di quest'ultima effettuare la selezione;
l'allungamento dei tempi ad almeno due mesi per risolvere la gara ad inviti non aiuta ad un'accelerazione della realizzazione del progetto Pompei, senza considerare che si allunga da 10 a 25 giorni il periodo di tempo entro il quale le prime due imprese classificate devono provare di avere i requisiti richiesti;
non è certo un'accelerazione aver affidato al direttore del progetto Pompei il compito di attestare la rispondenza degli elaborati progettuali a quanto chiesto dal codice degli appalti, tra cui la qualità dell'opera e la conformità alle norme urbanistiche e ambientali, senza considerare che l'ufficio da lui diretto non ha, però, le competenze tecniche per farlo;
a tutto questo si aggiunge che lo staff del progetto Pompei è a ranghi ridotti, dal momento che, delle 25 persone previste, ne sono state reclutate 10, nonostante l'attenzione su Pompei sia stata riaccesa dal grande progetto europeo, dando risalto alle numerose iniziative in corso in Italia e all'estero;
il progetto di una rigenerazione dell'area extra moenia, promosso dall'Unione industriali di Napoli, dimostra una forte attenzione alla rinascita dell'area culturale campana, attenzione che si è concretizzata nell'incontro promosso ultimamente anche con la collaborazione della soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici: «I giacimenti culturali: il nostro passato è il nostro futuro»;
notevole evidenza è stata posta anche all'estero, sia dal British museum di Londra, che ha esaltato l'esperienza della mostra dedicata ai tesori di Pompei che ha totalizzato un record di presenze, sia dall'Università del Texas, che si accinge ad allestire una mostra che si terrà dal 2016 al 2018 sulle due ville di Oplonti (terzo sito Unesco dell'area), nella speranza, come ha annunciato John Clarke, direttore dell’Oplontis project del Texas, di portare molti turisti in Italia;
è proprio questa la contraddizione: i tesori vesuviani soffrono del paradosso di attirare oltre tre milioni di visitatori l'anno che non si fermano, però, sul posto più di qualche ora, tendenza che andrebbe invertita e che rappresenta l'obiettivo fissato già nel grande progetto (che ha superato i livelli di attuazione fissati per fine anno, come fa osservare il soprintendente Massimo Osanna e certifica il Sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni) nella parte che guarda all’extra moenia;
il comitato di gestione, che dovrà approvare il piano di riqualificazione, si dovrebbe riunire a metà dicembre 2014 per studiare interventi da realizzare in partenariato pubblico-privato, ma non è ancora chiaro con quale metodologia agire;
l'Unione industriali studia da tempo una proposta diretta ad evitare che si proceda a pioggia, mentre sarebbe più utile un unico concept in cui si inseriscano i singoli interventi, prevedendo housing sociale, alberghi e forse anche strutture a servizio dell'area archeologica, creando una sorta di primo hub che si estenda da Castellammare di Stabia a Torre Annunziata senza confini ben definiti, ma che congiunga Pompei al mare (recuperando anche linee di trasporto via terra e via mare), con spazi verdi, cercando di cancellare i danni lasciati da industrializzazioni fallimentari e abusivismo;
tale distretto turistico vesuviano integrato aggiungerebbe alle potenzialità naturali, artistiche e archeologiche una buona offerta ricettiva e di intrattenimento e potrebbe, inoltre, dare lavoro a circa cinquemila persone, in un'area oggi con forte tasso di disoccupazione e presenza della malavita;
è fondamentale, come il Ministro interrogato ha ribadito in più occasioni, investire su cultura, talenti, conservazione del patrimonio e anche sul futuro quale condizione per rendere l'Italia vincente nella competizione globale –:
come e in che tempi il Governo intenda attivarsi per portare a conclusione la realizzazione del progetto Pompei per consentire la rinascita dell'area culturale campana. (3-01218)
(Presentata il 9 dicembre 2014)