TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 328 di Lunedì 10 novembre 2014

 
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MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE VOLTE ALLA SEPARAZIONE SOCIETARIA DELLA INFRASTRUTTURA DELLA RETE DI TELECOMUNICAZIONE E ALLA DEFINIZIONE DEL RELATIVO MODELLO DI GOVERNANCE

   La Camera,
   premesso che:
    nell'ultimo decennio l'uso di Internet ha raggiunto dimensioni tali che la disponibilità di connessioni veloci e superveloci per un Paese è ormai una precondizione essenziale per la sua crescita economica e sociale. Numerosi sono gli studi di autorevoli istituzioni internazionali (Ocse, Broadband and the Economy – Banca mondiale, Economic impact of Broadband – Unesco, The State of Broadband 2012) che evidenziano come gli investimenti in banda larga abbiano effetti diretti e indiretti sulla crescita complessiva dei sistemi sociali, sull'efficienza delle imprese, sull'aumento della produttività, dell'innovazione tecnologica e dell'occupazione. La Banca mondiale quantifica che una variazione di 10 punti percentuali della penetrazione della banda larga possa generare una crescita del prodotto interno lordo dei Paesi sviluppati dell'1,2 per cento. In virtù di queste considerazioni, la Commissione europea, nell'ambito dell'Agenda digitale, ha fissato una serie di target per stimolare i Paesi membri alla realizzazione di nuove infrastrutture di telecomunicazione, ponendo l'obiettivo di conseguire entro il 2020 una copertura totale della connessione a 30 megabit al secondo e di 100 megabit al secondo per almeno il 50 per cento della popolazione;
    anche in Italia numerosi sono gli studi volti a misurare l'impatto economico degli investimenti nella banda larga e ultra larga. Una ricerca dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), l'Authority preposta ad assicurare la corretta competizione degli operatori nel mercato delle telecomunicazioni e a tutelare il pluralismo informativo e le libertà fondamentali dei cittadini nell'accesso alla conoscenza e alla comunicazione, evidenzia chiaramente che, se la banda larga arrivasse al 60 per cento delle famiglie e al 90 per cento delle imprese, il potenziale per l'economia italiana sarebbe di un aumento del prodotto interno lordo dell'1,2 per cento, nella peggiore delle ipotesi, e del 12,2 per cento nella migliore;
    a fronte di tali importanti dati, che avrebbero di molto migliorato le capacità di risposta del nostro Paese alla crisi economica, la realizzazione di reti di accesso a Internet ad alta velocità risulta allo stato attuale insoddisfacente. Come dimostra lo scoreboard sui progressi dell'Agenda digitale europea dedicato all'Italia, il nostro Paese vede una copertura della rete Next generation access network (Ngan), con velocità di connessione di almeno 30 megabit al secondo, pari al 14 per cento delle abitazioni contro una media europea del 53,8 per cento, mentre la penetrazione della fibra ultraveloce (ad almeno 100 megabit al secondo) appare del tutto marginale. Secondo dati dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la penetrazione della banda larga in Italia, a fine 2013, constava di meno di 14 milioni di collegamenti su rete fissa e di 38 milioni di cellulari con accesso ad Internet. Dati questi che, pur indicando una crescita, rispetto all'ultimo anno, sono comunque tali da non modificare significativamente il ritardo digitale del nostro Paese, il cui dato più emblematico è quel 45 per cento di popolazione che ancora non usa Internet, anche perché milioni di unità abitative e produttive sono ancora senza nessuna copertura. La situazione, inoltre, si presenta critica anche laddove le unità abitative e produttive sono raggiunte da connessione in quanto la sua qualità è la peggiore in Europa. Secondo il rapporto Akamai sullo stato di Internet 2013, infatti l'Italia compare al 48o posto al mondo per velocità della connessione, ultima nella graduatoria europea poiché anche Cipro e Grecia la superano;
    il ritardo della copertura della rete infrastrutturale di telecomunicazioni nazionale, rispetto agli altri partner europei, è stata fotografata anche nel recente rapporto Caio, il team di esperti istituito dal precedente Governo Letta per fare luce sullo stato degli investimenti nella rete nazionale. Dal rapporto «Raggiungere gli obiettivi Europei 2020 della banda larga in Italia: prospettive e sfide», presentato il 30 gennaio 2014, si sostiene esplicitamente che l'obiettivo della totale copertura della rete con velocità a 30 megabit al secondo entro il 2020 è di impossibile realizzazione per una parte rilevante del Paese e, pertanto, si auspica nelle conclusioni un ruolo attivo, vigile e continuo del Governo e quindi dello Stato al fine del conseguimento degli obiettivi Digital Agenda Europe 2020 che altrimenti, date le condizioni date, rimarrebbero a rischio;
    da questi dati si evince chiaramente come la causa principale della difficoltà del nostro Paese ad uscire dalla crisi economica è imputabile prioritariamente all'inadeguatezza dell'infrastruttura di rete nazionale e questo è paradossale considerando che l'Italia è stata per anni all'avanguardia nel mondo delle telecomunicazioni. Infatti, Telecom Italia prima della privatizzazione era la più importante società di telecomunicazioni del mondo. Con 120.000 dipendenti solo in Italia, contava 30 partecipate estere, disponeva di un ingente ed innovativo patrimonio tecnologico e di know how tale da essere stata la prima a portare sul mercato le carte prepagate e, se non fosse stata privatizzata, la prima a portare la fibra ottica in 20 milioni di abitazioni (progetto «Socrate»). Il suo debito, 20 per cento del fatturato, era assolutamente trascurabile;
    con la privatizzazione avviata dal 1997 dal Governo Prodi ad oggi, Telecom Italia è stata oggetto secondo i firmatari del presente atto di indirizzo della più colossale truffa finanziaria che sia mai stata realizzata nel nostro Paese. Progressivamente depauperata delle proprie risorse umane, finanziarie e strumentali, per ripianare i cospicui debiti serviti per le sue scalate, il gruppo si è trovato nella totale impossibilità di far fronte agli investimenti necessari a colmare il digital divide del nostro Paese e di ammodernare le reti esistenti. Secondo stime di Asati, l'associazione dei piccoli azionisti di Telecom Italia, la privatizzazione è costata direttamente alla compagnia di bandiera 26 miliardi di euro, 70.000 posti di lavoro e la svendita del suo immenso patrimonio tecnologico ed immobiliare e, indirettamente, all'intero sistema Paese per gli inquantificabili costi economici e sociali per l'inadeguatezza della sua infrastruttura;
    attualmente Telecom Italia, oltre ad avere un indebitamento netto pari a circa 28 miliardi di euro e un lordo di 36 miliardi di euro, opera in un mercato domestico caratterizzato da una congiuntura economica negativa e su una rete obsoleta che necessita di urgenti interventi di ammodernamento;
    Internet è uno strumento indispensabile per la libertà di espressione dei cittadini e per l'accesso alle informazioni, all'istruzione, alla formazione, ai servizi sanitari, al turismo ed alla cultura. Ma è un fattore ancor più importante ai fini dello sviluppo e della crescita economica delle imprese poiché la quasi totalità della nostra economia si fonda sulla presenza in rete;
    gli investimenti finora assicurati da Telecom Italia si sono dimostrati insufficienti per garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti dall'Agenda digitale europea e la situazione di forte indebitamento del gruppo non fa presagire un rapido incremento degli stessi tali da garantire l'accesso alla rete a condizioni almeno pari a quelle assicurate negli altri Paesi comunitari. Non solo, la presenza nel board di Telefonica, la compagnia telefonica iberica diretta concorrente sui mercati internazionali di Telecom Italia, è un ulteriore dimostrazione dell'incapacità dell'attuale assetto societario di garantire non solo politiche industriali efficaci ma anche la stessa sicurezza della rete e delle informazioni che vi transitano. Le strategie commerciali di Telefonica sono antitetiche a quelle di Telecom Italia che detiene un asset fondamentale come Tim Brazil, di cui gli spagnoli vogliono liberarsi così come hanno già fatto con Telecom Argentina;
    per ragioni economiche e di sicurezza nazionale occorre agire immediatamente per un ritorno dell'infrastruttura nazionale di telecomunicazione in mano pubblica, attraverso lo scorporo ovvero la separazione societaria della rete, in modo da garantire l’equivalence of input sulla parità di trattamento di tutti gli operatori del mercato, attualmente di difficile realizzazione come ha attestato la recente sentenza del Tar del Lazio 8 maggio 2014, n. 4801, che ha confermato la condanna di Telecom Italia per abuso di posizione dominante, e gli investimenti necessari a raggiungere gli obiettivi dell'Agenda digitale;
    lo scorporo ovvero la separazione societaria della rete non contrasta con la Costituzione e la normativa nazionale ed europea. Non contrasta in primis con l'articolo 41 della Costituzione che pur stabilendo che «l'iniziativa economica privata è libera» questa non «può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Principio di utilità sociale rafforzato dall'articolo 43 della Costituzione che stabilisce che: «ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale». La rete di telecomunicazioni nazionale, che possiede caratteristiche di monopolio naturale, è una risorsa strategica per il nostro Paese, poiché garantisce quei servizi pubblici essenziali e di preminente interesse generale, quali la libertà di comunicazione, l'accesso alla conoscenza, la competitività e la crescita economica delle imprese, che sono costituzionalmente sanciti;
    anche in ambito comunitario non si evincono preclusioni alla separazione e rinazionalizzazione ex lege dell'infrastruttura di rete, in quanto l'articolo 36 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce la tutela e il rispetto dell'accesso ai servizi di interesse economico generale, la cui individuazione rinvia alle legislazioni e prassi nazionali. Inoltre, nell'ambito dei servizi di interesse economico generale, l'articolo 14 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 16 del Trattato che istituisce la Comunità europea) limita la regola della concorrenza preservando aree di intervento in via esclusiva dei poteri pubblici attraverso strumenti normativi anche necessari ed urgenti come i decreti-legge. L'articolo 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 86, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea) invece sancisce che i servizi d'interesse generale sono sottoposti «alle norme di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata» mentre la neutralità rispetto al regime di proprietà, pubblica o privata, delle imprese è sancito dall'articolo 345 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 295 del trattato che istituisce la Comunità europea);
    la normativa nazionale prevede l'adozione da parte dello Stato di poteri speciali (cosiddetti golden power) stabiliti con decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2012, recante «norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni», esercitabili dal Governo. Con riferimento a tali ultimi settori i poteri speciali esercitabili, emanati recentemente dal Governo con i decreti attuativi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale 6 giugno 2014, consistono nella possibilità di far valere il veto dell'Esecutivo alle delibere, agli atti e alle operazioni concernenti asset strategici, qualora essi diano luogo a minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti, ivi compresi le reti e gli impianti necessari ad assicurare l'approvvigionamento minimo e l'operatività dei servizi pubblici essenziali;
    inoltre, esiste anche la possibilità per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di procedere ai sensi dell'articolo 50-bis del codice delle comunicazioni elettroniche, decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, alla separazione funzionale involontaria, imponendo alle imprese verticalmente integrate, nel caso specifico Telecom Italia, la collocazione delle attività relative alla fornitura all'ingrosso di prodotti di accesso in un'entità commerciale operante in modo indipendente, questo se è dimostrata l'incapacità della stessa di garantire un'efficace concorrenza oppure una fornitura all'ingrosso di detti prodotti di accesso;
    la separazione societaria della rete di accesso, oltre che rafforzare l'assetto concorrenziale del mercato a vantaggio dei cittadini, appare una precondizione per consentire l'ingresso di nuovi capitali nella costituenda società in grado di sostenere gli investimenti necessari per l'ammodernamento della rete ed il passaggio alla fibra ottica in linea con gli obiettivi fissati nell'Agenda digitale europea,

impegna il Governo:

   a provvedere, anche ricorrendo ad iniziative normative d'urgenza, al necessario e urgente scorporo, ovvero alla separazione societaria della infrastruttura della rete di telecomunicazione, intendendo con esso il perimetro delle attività e delle risorse relative allo sviluppo e alla gestione della rete di accesso, sia in rame sia in fibra, mediante la costituzione di una società della rete a maggioranza pubblica;
   a consentire nella nuova società l'ingresso anche di privati, in primis gli other licensed operator, favorendo un modello di governance di tipo public company in cui oltre a detenere la maggioranza di capitale pubblico sia garantita un'adeguata rappresentanza nel consiglio di amministrazione di dipendenti e azionisti di minoranza;
   ad assicurare la presentazione di un piano industriale indirizzato ad un più rapido sviluppo delle reti in fibra di nuova generazione, coerentemente con gli obiettivi posti dall'Agenda digitale europea, anche attraverso l'integrazione degli assetti in fibra ottica e rame già di proprietà di enti locali, enti governativi e partecipate e sostenendo la piena tutela e valorizzazione dell'occupazione e del patrimonio di conoscenze e competenze di Telecom Italia;
   a procedere alla riforma dell'istituto dell'offerta pubblica di acquisto, in linea con gli impegni contenuti nella mozione approvata dal Senato della Repubblica il 17 ottobre 2013 e mai attuata, modificando il Testo unico della finanza, in modo da rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, e ad aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, oltre la quale è già prevista per legge l'offerta pubblica di acquisto obbligatoria, una seconda soglia, legata all'accertata situazione di controllo di fatto.
(1-00515)
«Paolo Nicolò Romano, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Dell'Orco, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Spessotto, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spadoni, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(24 giugno 2014)