TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 242 di Martedì 10 giugno 2014

 
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PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla II Commissione (Giustizia):
ERMINI e FERRANTI: «Introduzione dell'articolo 15-bis della legge 28 aprile 2014, n. 67, concernente norme transitorie per l'applicazione della disciplina della sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili». (2344)

INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interpellanza

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro della salute e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   il Transatlantic trade and investment partnership, il cui acronimo è Ttip, il partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti, è un accordo commerciale che è attualmente in corso di negoziato tra l'Unione europea e gli Stati Uniti. Avviato durante il G8 del 17 giugno 2013, questo partenariato, in materia di commercio ed investimenti tra gli Stati Uniti e l'Unione europea, è stato possibile dopo che il Consiglio dei Ministri competenti per il commercio ha approvato, il 14 giugno 2013, il mandato negoziale per la Commissione europea. Fino a questo momento si sono tenuti quattro round negoziali, l'ultimo dei quali si è concluso il 14 marzo 2014 ed è stato dedicato a discutere tutti e tre i pilastri di un accordo futuro: l'accesso al mercato, il contesto normativo e le regole. Nello specifico, il mandato negoziale concordato all'unanimità dagli Stati membri si compone di tre parti: la decisione del Consiglio che autorizza l'apertura dei negoziati; la decisione degli Stati membri che autorizza la Commissione europea a negoziare, per loro conto, le previsioni dell'accordo che cadono al di fuori dei limiti delle competenze dell'Unione europea; le direttive negoziali;
   il quarto round negoziale nello specifico affronta: a) accesso al mercato: i negoziatori hanno discusso tre elementi essenziali: le tariffe, gli scambi di servizi e gli appalti pubblici. Per quanto concerne le tariffe, l'Unione europea e gli Usa hanno già proceduto a un primo scambio di offerte. Per i servizi e gli appalti pubblici i negoziatori hanno esaminato come procedere per arrivare a uno scambio di offerte; b) contesto normativo: i negoziatori sono stati affiancati da un'ampia gamma di esperti e di regolamentatori di entrambe le parti per discutere: 1) la coerenza normativa e l'aumento della compatibilità sul piano regolamentare; 2) gli ostacoli tecnici agli scambi (ots), in merito ai quali entrambe le parti hanno già presentato proposte scritte; 3) le misure sanitarie e fitosanitarie (msf) in relazione alle quali si sta preparando il terreno per presentare a tempo debito proposte scritte;
   l'Unione europea e gli Usa hanno continuato, inoltre, ad esplorare le modalità per raggiungere una maggiore compatibilità regolamentare in certe industrie fondamentali: prodotti farmaceutici, cosmetici, dispositivi medici, industria automobilistica e chimica;
   le discussioni hanno toccato tre ambiti in cui i negoziatori stanno sviluppando approcci innovativi:
    a) sviluppo sostenibile, lavoro e ambiente, per sviluppare gli aspetti che sono già coperti dagli attuali accordi commerciali in vigore tra l'Unione europea e Usa;
    b) scambi di energia e materie prime: un ambito in relazione al quale l'Unione europea desidera includere nel Transatlantic trade and investment partnership un quadro concordato;
    c) dogane e agevolazione degli scambi: è particolarmente importante semplificare e snellire le procedure poiché regole complesse e onerose per lo sdoganamento colpiscono più duramente le piccole imprese e possono scoraggiare gli imprenditori dal vendere i loro prodotti oltremare;
   nel corso del quarto round negoziale nella giornata del 12 marzo 2014, i negoziatori capo dell'Unione europea e degli Usa hanno ribadito il loro impegno a portare avanti, nel corso del 2014, tutti i capitoli negoziali e hanno concordato di tenere un'ulteriore tornata di colloqui a Washington prima dell'estate;
   in data 19 luglio 2013, dal sito del quotidiano Il Fatto quotidiano, un articolo a firma di Paolo Ferrero titolava «La grande truffa della Nato economica, il Ttip»; nello stesso articolo si descriveva come « (...) Che cos’è questo Transatlantic Trade and Investment Partnership il cui acronimo è Ttip? L'obiettivo è dar luogo ad un trattato di libero scambio tra Europa e Nord America che abolisca i dazi doganali e uniformi i regolamenti dei due continenti, in modo da non aver più alcun ostacolo alla libera circolazione delle merci e alla libertà di investimento e di gestione dei servizi. Questo significa abolire i dazi ma soprattutto uniformare i regolamenti Usa e Ue in modo da costruire un unico grande mercato. Per dare una idea dell'enorme importanza di questa operazione, occorre tener presente che tra gli argomenti trattati vi è: “l'accesso al mercato per i prodotti agricoli e industriali, gli appalti pubblici, gli investimenti materiali, l'energia e le materie prime, le materie regolamentari, le misure sanitarie e fitosanitarie, i servizi, i diritti di proprietà intellettuale, lo sviluppo sostenibile, le piccole e medie imprese, la composizione delle controversie, la concorrenza la facilitazione degli scambi, le imprese di proprietà statale”. Le sole produzioni audiovisive sono state tolte dalla trattativa grazie alla meritoria opposizione del governo francese. (...) Il punto più pericoloso è che l'uniformazione dei regolamenti tra Usa e Ue produrrà tendenzialmente una uniformazione al ribasso. Questa ipotesi è così vera che Obama ha chiesto di togliere dal negoziato i mercati finanziari, portando a motivazione che le regole in vigore negli Stati Uniti sono più severe di quelle europee (vero) e dando quindi per scontato che nella trattativa verrebbero rimosse le regole più severe che proprio la sua amministrazione ha inserito. Questa uniformazione al ribasso delle regole avrebbe delle ricadute disastrose sull'Europa ed in particolare sull'Italia. Per quanto riguarda l'agricoltura, negli Usa infatti è possibile coltivare prodotti ogm, è possibile utilizzare gli ormoni nell'allevamento degli animali destinati all'alimentazione, così come non sono riconosciute le denominazioni d'origine controllata. Sarebbe così possibile commercializzare Chianti o Barolo prodotto in California e denominare Parmigiano reggiano qualsiasi formaggio duro. Per quanto riguarda i servizi si ipotizza di escludere dalla trattativa solo quelli per i quali non esiste offerta privata: l'acqua, la sanità, l'istruzione e cioè il complesso dei beni comuni e del welfare rischiano di essere completamente privatizzati e snaturati. Per quanto riguarda l'ambiente le regole Usa sono molto meno vincolanti: non esiste la carbon tax e le aziende potranno contrapporre la loro aspettativa di guadagno alla difesa della salute attuata dagli Stati. Emblematico – nell'ambito del trattato di libero commercio tra Usa e Canada (Nafta) – che lo stato del Québec – che ha votato una moratoria sull'estrazione dello shale gas in nome della difesa della salute della popolazione – sia stato portato di fronte al tribunale arbitrale del Nafta dalle industrie Usa del settore, a causa della perdita di potenziale guadagno derivante dalla sua decisione»;
   dal sito della campagna «Stop TTIP», http://stop-ttip-italia.net/, in data 13 marzo 2014 si pubblica il seguente appello: «STOP TTIP! I movimenti europei a Bruxelles danno il benvenuto ai negoziatori Usa e Ue “nel comunicato si spiegano le ragioni della campagna di mobilitazione internazionale contro l'accordo fra Europa ed America” Il TTIP viene spacciato come una delle più efficaci soluzioni possibili alla crisi economica che ci attanaglia, ma si risolverebbe nell'ennesimo taglio ai servizi pubblici per compensare le perdite della finanza e della speculazione. Anche le valutazioni d'impatto condotte dalla stessa Commissione dimostrano che al massimo il TTIP porterebbe a una crescita dello 0,05 per cento del PIL europeo, a fronte dell'ennesima ondata di liberalizzazione ma, quello che è più grave, ad un azzeramento progressivo degli standard di qualità e di sicurezza dei nostri prodotti agricoli, alimentari, industriali, chimici, della sicurezza sul lavoro, e quindi delle regole e garanzie che democraticamente nazioni e territori hanno conquistato, che vengono liquidati in queste trattative come semplici ostacoli al commercio di cui liberarsi. Per negoziare indisturbati e senza consentire repliche ai cittadini, per di più, i testi legali in discussione sono sottoposti al segreto commerciale, e dunque non disponibili alla lettura nemmeno ai Parlamentari europei regolarmente eletti. Per questo movimenti sociali, associazioni, organizzazioni contadine e sindacati d'Europa e d'America si sono dati appuntamento a Bruxelles per sviluppare una strategia comune, mentre in contemporanea in Italia parte la Campagna STOP TTIP ITALIA promossa da una larga rete di associazioni, organizzazioni sociali, sindacati, comitati» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati e quali azioni si intendano intraprendere;
   se, considerata la portata dei cambiamenti economici e sociali che il Transatlantic trade and investment partnership comporterà, non reputino opportuno fare proprie le istanze della campagna internazionale «STOP TTIP», in modo tale che il nostro Paese si faccia promotore in sede europea della richiesta di accesso ai testi legali in discussione, che attualmente sono sottoposti al segreto commerciale e quindi non disponibili;
   se, considerata l'economia agricola italiana basata sulla biodiversità, non reputino opportuno introdurre nella discussione in seno ai negoziati, clausole volte a tutelare i prodotti made in Italy;
   se, considerato il grave momento di crisi economica e la specificità del contesto italiano, non reputino opportuno introdurre nella discussione, in seno ai negoziati, politiche utili a tutelare il prodotto interno lordo e, di conseguenza, utili alla ripresa della crescita occupazionale;
   se non reputino opportuno chiarire in che modo l'Italia abbia contribuito alle varie fasi della negoziazione circa questo accordo e se non reputino opportuno lo svilupparsi di una maggiore campagna di informazione sia presso la società civile sia fornendo ogni elemento utile al Parlamento.
(2-00482)
«Zaccagnini, Catalano, Tacconi, Labriola, Furnari».
(1o aprile 2014)

B) Interrogazione

   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute e al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   l'Organizzazione europea dei brevetti (in lingua inglese, European Patent Organisation, EPO o EPOrg, per distinguerla dall'Ufficio europeo dei brevetti, il principale organo dell'organizzazione) è un'organizzazione pubblica internazionale creata dalla Convenzione europea dei brevetti. L'Organizzazione europea dei brevetti ha sede a Monaco di Baviera, in Germania. Compito dell'Organizzazione europea dei brevetti è quello di rilasciare brevetti europei. Nonostante quello che il nome sembra suggerire, questi non sono brevetti dell'Unione europea, né brevetti validi in tutta Europa. La Convenzione sulla concessione dei brevetti europei, sulla quale si basa l'Organizzazione europea dei brevetti, offre una singola procedura che termina, tuttavia, non nel rilascio di un singolo brevetto, bensì in un «pacchetto» di brevetti nazionali. L'Organizzazione europea dei brevetti è formata da due organi: l'Ufficio europeo dei brevetti, che opera come organo esecutivo, e il consiglio d'amministrazione, che funge da supervisore e, in minima parte, da organo legislativo. Il vero potere legislativo e il diritto di revisionare la Convenzione sulla concessione dei brevetti europei sono esercitati dagli stessi Stati contraenti in occasione della riunione della Conferenza dei ministri, che si riunisce almeno ogni cinque anni per esaminare le questioni inerenti all'organizzazione e al sistema di brevetto europeo. Inoltre, alle commissioni di ricorso, che non costituiscono organi indipendenti dell'Organizzazione europea dei brevetti ma fanno parte dell'Ufficio europeo dei brevetti, è affidato il potere giudiziario. L'Organizzazione europea dei brevetti, pertanto, è un'organizzazione internazionale modellata sulla forma degli Stati moderni, basata sulla separazione dei poteri;
   come riportato dai maggiori organi di stampa il 16 ottobre 2013, associazioni contadine e della società civile hanno protestato contro i brevetti su piante e animali in parallelo all'incontro del consiglio d'amministrazione dell'Ufficio europeo dei brevetti, la più alta istituzione di controllo in materia di proprietà intellettuale. L'allarme che lanciano gli attivisti è che l'Organizzazione europea dei brevetti sia una «zona franca» per la democrazia. Nel corso di quest'anno, infatti, l'Organizzazione europea dei brevetti ha ignorato le richieste di istituzioni elettive, come il Parlamento Europeo, concedendo brevetti sulla riproduzione di piante e animali prodotti mediante riproduzione convenzionale. Sono stati accordati, per esempio, brevetti all'azienda Syngenta su piante di pepe (EP 1597965) e alla Monsanto su piante di broccoli (EP 1597965). Alla fine di agosto 2013, sempre alla Monsanto, è stato accordato un brevetto sui pomodori sia geneticamente modificati che non modificati (EP 1812575). Solo ultimamente, a seguito di forti proteste, il presidente dell'Organizzazione europea dei brevetti ha deciso di sospendere ulteriori concessioni, ma la decisione è solo temporanea, in attesa di nuove decisioni per ora in sospeso su ulteriori brevetti su broccoli e pomodori;
   il consiglio d'amministrazione riunisce i rappresentanti dei trentotto Paesi membri dell'Organizzazione europea dei brevetti (i ventotto Paesi europei più San Marino, Albania, Norvegia, Svizzera, Liechtenstein, Monaco, Islanda, Serbia, Macedonia e Turchia). Il consiglio sarebbe in grado di cambiare le regole d'attuazione dell'Organizzazione europea dei brevetti in qualsiasi momento, mettendo uno stop definitivo ai brevetti su piante e animali. Per questo motivo, la coalizione internazionale No Patents on Seeds ha contattato i membri del consiglio con una lettera via e-mail, senza per il momento ottenere alcuna risposta. «È un grande successo per il nostro movimento che siano state per ora sospese le concessioni di ulteriori brevetti su piante e animali riprodotti convenzionalmente. Ma dobbiamo arrivare a un divieto permanente ed esaustivo,» ha dichiarato Christoph Then della coalizione No Patents on Seeds «Oggi è la Giornata Mondiale dell'Alimentazione e sarebbe un giorno ideale per un cambiamento legalmente vincolante della politica dell'Epo»;
   pochi giorni prima dell'incontro, alcuni membri del Parlamento europeo, appartenenti al Partito popolare europeo, al gruppo dell'Alleanza social-democratica e ai Verdi hanno inviato una lettera al consiglio d'amministrazione esortando il Consiglio a dar seguito alla risoluzione del Parlamento europeo datata maggio 2012 in cui si «richiama l'Epo ad escludere dai brevetti i prodotti derivati dalla riproduzione convenzionale o da qualsiasi metodo convenzionale di riproduzione, inclusa la riproduzione SMART (riproduzione di precisione) e sul materiale riproduttivo utilizzato per la riproduzione convenzionale». Nel 1999, l'Ufficio europeo dei brevetti ha adottato una direttiva europea (98/44/CE), ma applicando una propria interpretazione, diversa da quella intesa dal Parlamento europeo. L'adozione di una risoluzione per la corretta applicazione di questa direttiva è una delle richieste più pressanti delle organizzazioni che protestano oggi. Dal mese di aprile 2013, 2 milioni di persone hanno firmato una petizione in questo senso. Inoltre, l'opposizione al brevetto della Monsanto sui «broccoli tronchi» ha raggiunto 30.000 firme. Anche il Parlamento tedesco si è espresso contro la brevettabilità di piante e animali derivanti da riproduzione convenzionale nel luglio 2013. Le organizzazioni che si riconoscono nella coalizione No Patents on Seeds sono estremamente preoccupate che i brevetti favoriscano un'ulteriore concentrazione del mercato, rendendo i coltivatori e altri lavoratori della catena alimentare sempre più dipendenti da poche grandi aziende internazionali con il risultato, tra altri, di poter offrire una sempre minore scelta ai consumatori;
   «sottoporre anche i semi alla logica industriale è un pericolo per l'umanità». Lo afferma la fisica e ambientalista indiana Vandana Shiva, che, a partire dalla storica conferenza mondiale sul clima svoltasi a Nairobi nel 2007, si è spesa per sostenere il «manifesto per il futuro delle sementi». Primo caposaldo, la biodiversità: «è la nostra più grande sicurezza», sostiene il «manifesto». «Le sementi sono una risorsa di proprietà comune, da condividere per il benessere di tutti». «La diversificazione è stata la strategia di innovazione agricola più diffusa e di successo negli ultimi 10.000 anni». Vantaggi evidenti: «Aumenta la scelta tra diverse opzioni e le probabilità di adattarsi con successo ai cambiamenti ambientali ed ai bisogni umani». Perciò, in contrasto con l'attuale tendenza verso la monocoltura e l'erosione genetica, proprio la diversità «deve tornare ad essere la strategia di punta per lo sviluppo futuro delle sementi»;
   si tratta di preservare la diversità di semi, di sistemi agricoli, di culture e di innovazioni, ricorda Marco Pagani su Ecoalfabeta, analizzando il «manifesto» di Vandana Shiva. Diversità e, naturalmente, libertà dei semi: «Le sementi sono un dono della natura e delle diverse culture, non un'invenzione industriale. Trasferire questa antica eredità di generazione in generazione è un dovere ed una responsabilità. Le sementi sono una risorsa di proprietà comune, da condividere per il benessere di tutti e da conservare per il benessere delle generazioni future e per questo non possono essere privatizzate o brevettate», checché ne pensino il Wto e l'Unione europea. In gioco, sottolinea Pagani, è quindi «la libertà dei contadini di conservare le sementi, di scambiarle e commerciale, di sviluppare nuove varietà e di difendersi dalla privatizzazione, dalla biopirateria e dalle contaminazioni genetiche degli Ogm». Servono semi per il futuro, liberi da vincoli, per dare cibo alle comunità locali. Agricoltura pulita e riduzione dei gas serra: «Le sementi non devono richiedere input energetici esterni (attraverso i fertilizzanti, i pesticidi e il combustibile) oltre lo stretto necessario». E niente veleni: «Eliminazione di agenti chimici tossici nello sviluppo delle sementi». Il che significa salute, oltre che qualità del cibo, cioè sapore e valore nutrizionale. Vandana Shiva riconosce il protagonismo femminile nell'agricoltura libera: «Le donne rappresentano la maggioranza della forza lavoro agricola e sono le tradizionali custodi della sicurezza, diversità e qualità dei semi: il loro ruolo centrale nella protezione della biodiversità deve essere sostenuto». Insomma, le sementi non sono una faccenda tecnica per esperti agronomi, ma devono interessare tutti, perché ne va del futuro della sovranità alimentare italiana. «Democratizzare l'uso delle sementi – conclude Pagani – è uno dei pilastri per la difesa futura della democrazia sulla terra». Contro le lobby che dettano legge, imponendo sempre nuove dipendenze, fino a far «privatizzare», con tanto di brevetto, anche i semi di pomodoro;
   in occasione della Giornata mondiale dell'alimentazione, Vandana Shiva ha dichiarato che – «La FAO ci dice che più del 70 per cento del cibo proviene da piccole aziende agricole e da piccoli agricoltori. Solo il 10 per cento della soia e del mais prodotti dalla Monsanto è consumato direttamente da noi, e solo perché questo 10 per cento non è etichettato come tale. Se ci fosse l'etichettatura corretta e vera libertà nella scelta del cibo, quella cifra scenderebbe a 0 per cento. L'altro 90 per cento di questi prodotti viene impiegato per carburanti e come mangime per animali. Al contrario di quanto proclamato dalla Monsanto, l'uso degli OGM ha portato una diminuzione dei raccolti e un aumento dell'uso dei pesticidi, fattori portano al deperimento dei suoli, alla perdita di biodiversità e all'indebitamento degli agricoltori, ai suicidi. In India, dove la Monsanto ha il controllo sul 95 per cento delle sementi del cotone, la maggior parte dei 284.000 suicidi di agricoltori ha avuto luogo nella zona di produzione del cotone. In un mondo giusto, la Monsanto sarebbe imputata di ecocidio e di genocidio. Malgrado ciò, per la Giornata Mondiale del Cibo, coll'appoggio dei poteri maggiormente responsabili dello stato della fame nel mondo, la Monsanto si auto-assegna il Premio Mondiale per il Cibo!» dal sito di Navdanya International –:
   se siano a conoscenza dei fatti narrati e quali iniziative intendano intraprendere in sede comunitaria al fine di tutelare la salute dei cittadini, la biodiversità nell'agricoltura italiana e la corretta applicazione della direttiva europea 98/44/CE;
   se non reputino necessario che l'Italia si faccia portavoce in sede europea della necessità di sensibilizzare i cittadini e i Governi sull'importanza delle sementi e della loro salvaguardia e se, a tal proposito, non intendano fare proprie le rivendicazioni che vengono dal movimento No Patents on Seeds;
   se non reputino opportuno finanziare e promuovere, in Italia, le banche dei semi (in particolare quella di Bari) e i centri di documentazione sui semi e rendere fruibile il materiale genetico attraverso la promozione di reti di scambio dei semi e la possibilità di agevolare la commercializzazione dei semi fra gli agricoltori.
(3-00415)
(5 novembre 2013)

C) Interrogazione

   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre del 2011, l'Inail decise di dedicare alla ricostruzione dell'Aquila una parte dei suoi risparmi. L'Inail è una delle strutture della pubblica amministrazione che chiude i suoi conti in attivo: i contributi incassati superano le indennità erogate e il surplus è girato per legge al Tesoro che lo usa per tenere in equilibrio i conti pubblici. Dopo il terremoto dell'Aquila, però, si decise di fare un'eccezione e riservare una parte di quei fondi alla ricostruzione;
   si era previsto che gli interventi dell'Inail potessero avvenire solo nella cosiddetta forma indiretta: vale a dire con un lungo procedimento che comincia con il bando, prosegue con le manifestazioni d'interesse, per poi passare alla valutazione dei progetti da parte di un advisor e chiudere con l'analisi di compatibilità fatta dai Ministeri vigilanti;
   sono passati 1.700 giorni dal terremoto dell'Aquila e, a tutt'oggi, non è stato utilizzato nemmeno un euro di quel tesoretto da 2 miliardi di euro messo a disposizione dall'istituto per ridare vita alla città;
   Giuseppe Lucibello, direttore generale dell'Istituto per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, conferma che il fondo stanziato doveva essere utilizzato per cinque obiettivi: recuperare il centro storico, rimettere a posto le strutture sanitarie, creare un nuovo campus universitario, oltre che per interventi mirati sui beni culturali e sul tessuto urbano;
   quei fondi, però, sono finiti in un labirinto burocratico: dagli investimenti indiretti si è passati a quelli diretti, con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Protezione civile a seguire l’iter dei progetti che dovevano essere presentati sul territorio. Ma nemmeno un anno fa la protezione civile è stata completamente ridisegnata, con la riforma voluta dal Governo Monti, e di quella funzione, di fatto, si sono perse le tracce;
   il direttore generale denuncia, inoltre, che, mentre mancano le risorse per la ricostruzione, in cassaforte restano due miliardi di euro inutilizzati e, alla fine dell'anno, 500 milioni di euro andranno in perenzione, dunque saranno persi definitivamente –:
   se non intenda intervenire d'urgenza affinché i fondi dell'Inail stanziati per la ricostruzione siano effettivamente utilizzati ed evitare il rischio che vadano in perenzione. (3-00483)
(27 novembre 2013)

D) Interrogazione

   PAOLO NICOLÒ ROMANO, D'UVA, TOFALO, SPESSOTTO, MANTERO, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI e LIUZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 6 marzo 2014, durante i lavori di scavo del cantiere del terzo valico di Radimero nel comune di Arquata Scrivia, in provincia di Alessandria, sono emersi importanti reperti archeologici. Sul luogo sono immediatamente intervenuti i tecnici e gli archeologi della Soprintendenza per i beni archeologici della regione Piemonte;
   tali ritrovamenti sono apparsi subito di eccezionale importanza trattandosi dei resti dell'antica città di Libarna, fondata dai romani nel I secolo a.C. in una posizione strategica per dominare la valle attraversata dai torrenti Scrivia e Volvera. Da fonti storiche la città ricevette grande impulso dai provvedimenti dell'89 a.C., con cui Roma concesse il diritto latino alle comunità della Traspadana ed ad alcuni centri liguri, mentre raggiunse la massima fioritura in piena età imperiale, fra il I ed il II secolo d.C.;
   tale scoperta dimostra che l'intera area si configura per essere per importanza e vastità uno dei principali siti archeologici non solo del Piemonte ma dell'intera Europa. Infatti, l'attuale area archeologica di Libarna, situata a sud dell'abitato di Serravalle Scrivia (Alessandria), lungo la strada (ex strada statale n. 35 dei Giovi), che ricalca l'antico tracciato della via Postumia (148 a.C.), la quale collegava il porto di Genova con la pianura padana, protetta fin dal 1924 da vincolo archeologico, coincide solo in minima parte con la città antica;
   la presenza di rilevanti testimonianze archeologiche è conosciuta allo stesso general contractor dei lavori, il Consorzio collegamenti integrati veloci (Cociv), considerando che già nel progetto esecutivo della tratta alta velocità/alta capacità del terzo valico dei Giovi risulta documentato che: «Nel comune di Arquata Scrivia, nelle vicinanze delle opere interessate, NV 30 e C.O.P. 4 sono state localizzate aree centuriate e sono stati segnalati in zona tratti dell'acquedotto romano di Libarna e un tracciato viario romano», mentre nel comune limitrofo di Pozzolo Formigaro «sono stati raccolti dati relativi alla presenza di un insediamento di età del Bronzo e reperti sporadici di epoca romana»;
   a queste importanti notizie, motivo di orgoglio per la cittadinanza, ne sono seguite altre molto più preoccupanti come il mancato blocco dei lavori relativi alla costruzione della galleria di valico del cantiere di Radimero e l'assegnazione delle indagini archeologiche ad una ditta, Lande srl, subappaltante del Cociv, il cui proprietario è sotto processo per violazione delle norme sulla sicurezza, reati ambientali, mancate autorizzazioni, distruzione o deturpamento di bellezze naturali;
   una scoperta di tale portata, ad avviso degli interroganti, non può essere affidata a soggetti sotto inchiesta dalla magistratura e su cui pendono pesanti capi d'accusa, ma, viceversa, è opportuno affidarla direttamente alla Soprintendenza archeologica territorialmente competente affinché siano assicurate accuratezza, competenza ed imparzialità delle indagini archeologiche. Solo in questo modo è possibile salvaguardare un patrimonio di inestimabile valore per il Paese e rassicurare la popolazione locale inquieta per il timore che le ricerche approssimative condotte e i lavori tuttora in corso del cantiere dell'alta velocità sul sito possano compromettere un patrimonio archeologico dall'inestimabile valore;
   la realizzazione del terzo valico presenta notevoli criticità economico-finanziarie, ambientali e sociali tali da spingere lo stesso amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, ad esprimerne pubblicamente, il 1o marzo 2014, la sua contrarietà ad un'opera, da egli stesso definita inutile, che per costi ed impatto ambientale non ha eguali. Infatti, per 150 chilometri di tracciato per collegare Genova con Milano, quando esistono già due linee sotto utilizzate, si prevede un investimento pubblico di oltre 6 miliardi di euro e la devastazione di intere aeree con la costruzione di gallerie invasive che comporterà l'estrazione, come nel caso specifico del cantiere di Radimero, di milioni di metri cubi di smarino, roccia contenente amianto, di cui ancora non sono note le modalità di smaltimento;
   per denunciare tutto questo il 5 aprile 2014 si è tenuta una manifestazione dei comitati locali per chiedere il blocco dei lavori, in modo da permettere scavi archeologici accurati ed imparziali e per convertire tutta l'area dell'antica Libarna in un grande parco archeologico, uno dei più grandi del Paese, che rappresenterebbe uno straordinario volano economico per l'intero territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali urgenti iniziative intenda intraprendere per bloccare i lavori, in modo che vengano eseguiti gli opportuni accertamenti archeologici, impedendo così il compimento di uno scempio annunciato;
   quali iniziative intenda intraprendere per valorizzare l'intera area archeologica di Libarna che, per importanza e vastità, potrebbe rappresentare un rilevante volano economico per l'intero territorio circostante. (3-00757)
(9 aprile 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DELLE VITTIME DELL'AMIANTO

   La Camera,
   premesso che:
    il 28 aprile è la giornata internazionale in memoria delle vittime causate dall'amianto;
    ventidue anni fa nel nostro Paese l'amianto è stato dichiarato fuorilegge. Fino al 2004, in Italia, sono stati 9.166 i casi di mesotelioma maligno riportati nel Registro nazionale dei mesoteliomi (Renam III rapporto 2010);
    ancora oggi, nel nostro Paese, le stime parlano di 800/1.000 persone morte ogni anno per patologie asbesto-correlate. Si tratta di persone esposte in passato nei siti produttivi, perché le malattie asbesto-correlate hanno periodi di latenza assai lunghi, (in letteratura scientifica fino 40 anni);
    il picco di patologie, per il principale tumore causato dall'esposizione alla fibra killer, il mesotelioma pleurico, è previsto entro il 2020-2025;
    i principali soggetti a rischio, e potenziali vittime dell'asbesto, sono stati evidentemente i lavoratori che sono stati a contatto con le fibre nell'attività estrattiva con l'amianto grezzo, nella produzione di manufatti, nella manutenzione degli impianti e nel settore edile. Ma, ancora oggi, molti lavoratori continuano ad essere ad elevato rischio, laddove – disattendendo le previste norme di prevenzione – si opera nella filiera delle bonifiche e dello smaltimento dell'amianto;
    va, peraltro, evidenziato l'alto rischio connesso a fibre di amianto disperse nell'ambiente, che producono esposizioni anche di natura non professionale;
    l'asbesto è stato, ed è, un fattore di rischio, oltre che per i lavoratori, anche per i loro familiari, che potevano respirare le fibre portate a casa con gli abiti da lavoro. Secondo il Registro nazionale dei mesoteliomi, oltre l'8 per cento dei casi è risultato esposto per motivi ambientali (luogo di residenza) o per motivi familiari (la convivenza con familiari professionalmente esposti);
    la legge 27 marzo 1992, n. 257, non consente più in Italia l'estrazione, l'importazione, il commercio e l'esportazione di amianto e materiali contenenti amianto, ma poco si è fatto per la rimozione e le bonifiche;
    i risultati delle azioni di messa in sicurezza e di bonifica dell'amianto, condotte fino ad oggi, mostrano come, malgrado la legge n. 257 del 1992, siano possibili ancora oggi numerose occasioni di esposizione a causa della presenza dell'amianto negli ambienti di lavoro e di vita, a causa del fatto che le attività di risanamento ambientale non sono state sistematiche e complete. In alcune regioni italiane non si conoscono ancora i dati relativi alla mappatura;
    la legge finanziaria 2008 ha provveduto a istituire un fondo presso l'Inail che eroga una prestazione aggiuntiva agli altri benefici già riconosciuti per legge, per le vittime dell'amianto che hanno contratto patologie asbesto-correlate e per esposizione alla fibra «fiberfrax». Tale norma prevede, in caso di premorte del lavoratore, risarcimenti in favore degli eredi. Il finanziamento del fondo è a carico delle imprese per un quarto e del bilancio dello Stato per gli altri tre quarti. L'onere a carico dello Stato dall'anno 2010 è determinato in 22 milioni di euro l'anno, mentre ai suddetti oneri a carico delle imprese si provvede con un'addizionale sui premi assicurativi relativi ai settori delle attività lavorative comportanti esposizione all'amianto;
    con decreto ministeriale 12 gennaio 2011, n. 30, si è provveduto a definire le modalità di organizzazione e finanziamento del fondo, nonché le procedure di erogazione delle prestazioni;
    è importante un intervento di miglioramento a favore del citato Fondo per le vittime dell'amianto: detto fondo deve essere corretto con la destinazione finale anche alle vittime civili, ossia ai cittadini che non hanno la copertura assicurativa professionale obbligatoria dei lavoratori;
    il Consiglio nazionale delle ricerche ha valutato in circa 32 milioni le tonnellate di cemento-amianto da bonificare in relazione a 2,5 miliardi di metri quadri di coperture in cemento-amianto presenti sul territorio nazionale. Si tratta di grandi quantità di amianto che si presentano in diverse forme: dalle coperture di edifici pubblici e privati, canne fumarie, cisterne per l'acqua, tubazioni e condutture, ma anche componenti che entrano in processi produttivi. Senza contare alcuni milioni di tonnellate di amianto filabile che, tutt'oggi, continuano a inquinare il territorio nazionale;
    a rendere fallimentari le bonifiche dell'amianto ci sono anche gli elevati costi dello smaltimento e la totale o quasi mancanza di discariche sul territorio nazionale, che fa sì che solo il 40 per cento venga smaltito in Italia, mentre il restante 60 per cento viene smaltito all'estero; inoltre, non si è avviata nessuna sperimentazione dei processi di inertizzazione, salvo piccole pratiche sperimentali condotte nella regione Sardegna;
    i rischi dovuti all'elevata presenza di materiali contaminati su tutto il territorio nazionale sono acuiti dal clamoroso ritardo sugli interventi di risanamento e bonifica delle strutture in cui è presente la fibra killer;
    si dovrebbero completare i censimenti e le bonifiche su tutto il territorio nazionale e in tutti i luoghi di lavoro, anche con il finanziamento da parte di coloro che hanno inquinato, fatto ammalare e morire cittadini e lavoratori innocenti;
    dal quinto numero di maggio 2014 del «Diario della transizione» del Censis, emerge ancora una volta un quadro grave e preoccupante delle condizioni in cui versano le scuole del nostro Paese. Oltre ai seri problemi strutturali che interessano gran parte degli oltre 41 mila edifici scolastici, si evidenzia come sono circa 2 mila gli edifici che espongono i loro 342 mila alunni all'amianto;
    il Piano nazionale amianto, definito nella Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate di Venezia (novembre 2012) e varato dal Governo Monti nel marzo 2013, elenca una serie di obiettivi suddivisi in tre aree: tutela della salute, tutela dell'ambiente, aspetti di sicurezza del lavoro e previdenziali;
    dopo più di un anno, il Piano nazionale amianto deve ancora passare al vaglio della Conferenza Stato-regioni;
    è ormai improcrastinabile avviare la realizzazione del citato Piano nazionale amianto e provvedere al conseguente finanziamento per delineare un efficace piano di intervento finalizzato a sviluppare: adeguata sorveglianza sanitaria, puntuali censimenti regionali, bonifiche delle aree contaminate, adeguate misure di benefici previdenziali ivi compresa la revisione dell'ultima riforma pensionistica (la cosiddetta riforma Fornero);
    solo alcune regioni hanno individuato precisi obiettivi per l'eliminazione e lo smaltimento dell'amianto dal proprio territorio. Nelle regioni, in generale, manca un censimento preciso e una mappatura completa dei siti contenenti amianto;
    la legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008) aveva istituito il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici», con uno stanziamento di 5 milioni di euro per il 2008, per finanziare gli interventi diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica derivanti dalla presenza di amianto negli edifici pubblici, dando priorità alla messa in sicurezza degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme e degli uffici aperti al pubblico. Detto fondo, istituito dal Governo Prodi, in realtà non è mai stato reso operativo, in quanto i 5 milioni di euro che aveva in dotazione sono stati azzerati dall'ultimo Governo Berlusconi, con il decreto-legge n. 93 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2008,

impegna il Governo:

   ad approvare definitivamente il Piano nazionale amianto, prevedendo i finanziamenti necessari alla sua completa attuazione;
   ad attivarsi, per quanto di competenza, in accordo con le regioni, affinché entro un anno sia concluso il programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati, anche tramite i piani regionali amianto;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse assegnate al Fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla legge finanziaria 2008, e rivedere l'attuale legge pensionistica, per garantire benefici ai lavoratori colpiti da patologie asbesto-correlate;
   ad assumere iniziative per prevedere la possibilità di estendere le prestazioni del Fondo per le vittime dell'amianto non solo a coloro che abbiano contratto una patologia asbesto-correlata per esposizione professionale all'amianto ma anche ai familiari delle vittime o a coloro che comunque, pur non lavorando direttamente con l'amianto, siano stati comunque esposti avendo poi contratto tali patologie;
   a prevedere opportune iniziative volte a salvaguardare i lavoratori che operano nella filiera delle bonifiche dello smaltimento dell'amianto;
   a garantire, per quanto di competenza, un'adeguata sorveglianza sanitaria per gli ex-esposti all'amianto;
   ad assumere iniziative per escludere dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad attivarsi, in sede europea, affinché vengano scorporati dai saldi di finanza pubblica relativi al rispetto del patto di stabilità e crescita le risorse stanziate per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad assumere iniziative per la messa a regime delle detrazioni fiscali attualmente previste per gli interventi di bonifica dei manufatti contenenti amianto dagli edifici, valutando l'opportunità di incrementare le vigenti percentuali di detraibilità;
   ad assumere iniziative per finanziare adeguatamente il Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla legge finanziaria 2008, e mai reso operativo per mancanza di risorse, dando priorità alla messa in sicurezza e bonifica degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme e degli uffici aperti al pubblico;
   a dare priorità, nell'ambito degli interventi urgenti volti alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, agli interventi di bonifica dall'amianto.
(1-00440)
(Nuova formulazione) «Migliore, Di Salvo, Zan, Nicchi, Airaudo, Zaratti, Piazzoni, Pellegrino, Aiello, Lavagno».
(23 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    nonostante l'amianto sia stato messo al bando circa 20 anni fa, con la legge n. 275 del 1992 – dopo una lunga battaglia contro resistenze, reticenze e sottovalutazioni della pericolosità delle particelle d'amianto – studi scientifici ed epidemiologici sostengono che nei prossimi 15/20 anni ci sarà un forte aumento delle malattie asbesto-correlate. Il problema è, quindi, ancora attuale in ragione dell'utilizzo che se ne è fatto, della lunga latenza delle malattie e della presenza di molti siti contaminati;
    tutt'oggi, si stima che siano ancora tra i 30 e i 40 milioni le tonnellate di materiale contaminato che debbono essere smaltite e, nonostante ciò, la commissione prevista dall'articolo 4 della legge n. 257 del 1992, che avrebbe dovuto governare il passaggio da un Italia pesantemente contaminata a un Italia bonificata, non è più operativa, così come il gruppo di lavoro nazionale, che in un primo momento aveva sostituito la commissione, ha cessato le sue funzioni, determinando, di fatto, la totale assenza di una cabina nazionale di regia che coordini la bonifica del territorio;
    si tratta di un fenomeno la cui vastità e gravità sono confermate dai dati derivanti dalla perimetrazione dei siti di interesse nazionale, che ne individuano 57 su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di oltre 300 comuni e con una superficie interessata pari a 1.800 chilometri quadrati di aree marine, lagunari e lacustri e 5.500 chilometri quadrati di aree terrestri;
    secondo stime del Registro nazionale dei mesoteliomi, sono circa 3.000 ogni anno le persone che nel nostro Paese perdono la vita in seguito a patologie asbesto-correlate (con un tasso di incidenza di mesotelioma pleurico che per il 2004 risulta essere di 3,49 casi per 100.000 abitanti per gli uomini e di 1,25 per le donne) e circa il 30 per cento dei casi sono attribuibili ad esposizione non professionale;
    tali dati, già di per sé estremamente allarmanti, non tengono conto delle così dette «vittime attese», poiché, visti i tempi lunghi di incubazione, si presume che il picco della mortalità per le patologie correlate all'amianto si raggiungerà intorno al 2020;
    con la legge n. 244 del 2007 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria per il 2008)», all'articolo 2, commi 440-443, l'allora Governo Prodi istituì il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici» con una dotazione pari a 5 milioni di euro per il 2008, al fine di avviare una campagna di progressiva eliminazione dell'amianto dagli edifici pubblici. Tuttavia, tale fondo, di fatto, non è mai stato operativo visto che è stato interamente svuotato, insieme ad altri stanziamenti, per far fronte agli oneri derivanti dall'applicazione del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 «Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 126 del 2008, per poter concorrere a coprire finanziariamente la totale abrogazione dell'ici sulla prima casa promossa dal Governo Berlusconi;
    il Piano nazionale amianto, definito nella Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate di Venezia nel novembre 2012, approvato dal Governo Monti più di un anno fa, elenca una serie di obiettivi suddivisi in tre aree: tutela della salute, tutela dell'ambiente, aspetti di sicurezza del lavoro e previdenziali. Tuttavia, a tutt'oggi, non è stato ancora esaminato dalla Conferenza Stato-regioni e, nonostante le sollecitazioni avanzate dalle organizzazioni sindacali e dal Presidente dell'Anci, non trova ancora concreta attuazione;
    all'articolo 6, comma 6, della legge n. 257 del 1992, si prevede che annualmente il Governo trasmetta al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione delle norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto, ma l'ultima relazione presentata risale ormai a diversi anni fa;
    si rende necessario ricondurre ad un testo unico armonizzato l'insieme della normativa di settore fin qui emanata;
    per quanto attiene al tema della tutela degli esposti all'amianto, in una prima fase, le misure adottate sono state rivolte nei confronti dei lavoratori, per cui, i primi risarcimenti sono stati riconosciuti nei loro confronti;
    in particolare, con l'articolo 1, commi 241-246, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è stata prevista l'istituzione presso l'Inail di un Fondo per le vittime dell'amianto, finanziato con risorse per tre quarti dello Stato e un quarto dalle imprese;
    i beneficiari del Fondo per le vittime dell'amianto sono i titolari di rendita diretta, anche unificata, ai quali sia stata riconosciuta dall'Inail e dal soppresso Ipsema, una patologia asbesto-correlata per esposizione all'amianto e alla fibra «fiberfrax», individuato ai sensi dell'articolo 85 del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
    il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto (decreto ministeriale 12 gennaio 2011) stabilisce che la prestazione aggiuntiva sia calcolata applicando alla rendita già percepita la misura percentuale definita con decreto interministeriale. Tale prestazione è stata fissata nella misura del 20 per cento per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e del 15 per cento per il 2010;
    per gli anni a decorrere dal 2011, il regolamento non fissa la misura della prestazione aggiuntiva ma ne definisce le modalità di calcolo e di erogazione. La prestazione è calcolata sulla base del rapporto tra le risorse annue effettivamente disponibili nel Fondo per le vittime dell'amianto e la spesa sostenuta dall'Inail per le rendite erogate nell'anno di riferimento ai beneficiari del fondo ed è erogata mediante due acconti (di cui il primo pari al 10 per cento) finanziati utilizzando le risorse provenienti dal bilancio dello Stato e un conguaglio finanziato con le risorse provenienti dall'addizionale riscossa dalle imprese (articolo 2, commi 3 e 4 del decreto ministeriale 12 gennaio 2011);
    al fine di conferire al Fondo per le vittime dell'amianto apposito rilievo contabile, si è proceduto ad instaurare un sistema che si basa sull'istituzione di uno specifico articolo relativo ai «Recuperi e rimborsi di spese per prestazioni istituzionali», dedicato ad accogliere le evidenze contabili del Fondo per le vittime dell'amianto. Ugualmente, accade anche per i pagamenti contabilizzati all'interno di un apposito articolo del capitolo di uscita relativo alla contabilizzazione delle «rendite di inabilità ai superstiti», sull'assunto che tale erogazione consiste in una prestazione aggiuntiva rispetto al pagamento della rendita al beneficiario. Il completo impianto contabile, inoltre, prevede anche la creazione di diversi articoli tecnici tra le partite di giro relative alle «addizionali dei datori di lavoro», necessari sia per l'iniziale contabilizzazione dei finanziamenti derivanti dalle addizionali, sia per il successivo riversamento al capitolo di entrata, ovvero l'eventuale restituzione ai datori di lavoro a seguito di regolazioni addizionali incassate per il Fondo per le vittime dell'amianto;
    la legge n. 244 del 2007 prevede che il Fondo per le vittime dell'amianto sia finanziato per un quarto attraverso il versamento di un'addizionale a carico delle imprese con un gettito complessivo da parte di queste di 10 milioni di euro per gli anni 2008 e 2009 e di 7,3 milioni di euro a decorrere dal 2010;
    per quanto riguarda le prestazioni aggiuntive, ad oggi erogate, se negli anni 2008, 2009, 2010 e 2011 il pagamento è stato effettuato in acconti ma con regolarità e per il 2012 gli importi sono stati erogati entro il 30 giugno 2013, nel 2013 non si è potuto dare corso al pagamento in quanto non sono prevenuti i trasferimenti dello Stato;
    la platea dei beneficiari al 2012, tra reddituali e superstiti, era di 17.501 individui;
    in merito alle somme non utilizzate del Fondo per le vittime dell'amianto per il triennio, esse assommano a 36,2 milioni di euro, ma, tenendo conto delle prestazioni aggiuntive da erogare ai nuovi beneficiari che si evidenzieranno nei prossimi anni, le risorse effettivamente utilizzabili sono valutate in 30,8 milioni di euro;
    la misura della prestazione aggiuntiva nei prossimi anni decresce sensibilmente dal 18,1 per cento calcolato per il 2011 all'8,3 per cento stimato per il 2022;
    nel Piano nazionale amianto è prevista l'utilizzazione di 10 milioni di euro e in questa fase si potrebbe, quindi, utilizzare parte della somma giacente presso il fondo nazionale per la quale i Ministeri competenti a tuttora non si sono ancora pronunciati sui criteri di utilizzazione,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi, per quanto di competenza, affinché l'esito positivo della procedura di esame e di approvazione del Piano nazionale amianto venga assicurato da tutti i soggetti interessati, prevedendo, al riguardo, un preciso cronoprogramma di attuazione per ciascun livello istituzionale coinvolto e l'individuazione delle relative risorse finanziarie e strumentali;
   ad assumere ogni iniziativa utile, d'intesa con le regioni, affinché sia completata entro tempi ravvicinati la mappatura delle fonti di esposizione ad amianto, ovvero dei siti con presenza di materiali contenenti amianto sia friabile che compatto;
   a proseguire, ai fini delle attività di prevenzione, le opere di bonifica ambientale dei siti di interesse nazionale con presenza di amianto e degli edifici al servizio del pubblico, con priorità a strutture sanitarie e scuole, per queste ultime utilizzando le risorse stanziate ai sensi dell'articolo 18 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98;
   a definire un'intesa con le regioni e le province autonome volta a concordare le modalità di regolamentazione delle «micro-raccolte di amianto» anche con il coinvolgimento delle aziende municipalizzate locali di raccolta dei rifiuti e ad individuare, in ogni regione, dei siti di discarica del materiale rimosso, a tal fine individuando cave adatte allo smaltimento in sicurezza di scarti pericolosi;
   ad individuare le risorse necessarie al rifinanziamento del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla finanziaria per il 2008;
   ad assumere iniziative per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva, fissandola in una percentuale che rimanga fissa negli anni per garantire le risorse al fondo anche negli anni futuri;
   ad inserire un criterio di utilizzo delle risorse finanziarie complessive disponibili, anche con riferimento al triennio 2008-2010 e pari a 30,8 milioni di euro, che tenga conto degli aventi diritto relativi agli anni successivi, per i quali non potrebbe non essere garantita la copertura per l'intero periodo di consolidamento, e ad estendere, come previsto dal Piano nazionale amianto, la platea dei destinatari, comprendendovi non solo gli attuali beneficiari professionali, ma anche i familiari dei medesimi colpiti da patologie amianto-correlate (mesotelioma pleurico, peritoneale e altre neoplasie amianto-correlate);
   ad assumere iniziative, anche normative, in tempi ravvicinati, per definire una disciplina che pianifichi la fuoriuscita dalla problematica dell'amianto, anche attraverso la predisposizione di un apposito testo unico che riunifichi e armonizzi tutta la normativa in tema di amianto;
   ad implementare le attività di ricerca sanitaria integrando nella rete dei centri le strutture sanitarie delle aree in cui vi è la maggiore incidenza di patologie asbesto-correlate;
   ad istituire una commissione tecnica per la pianificazione, l'attuazione ed il monitoraggio delle azioni da intraprendersi, finalizzate alle attività di prevenzione, sorveglianza, assistenza e cura dei casi di patologie amianto-correlate.
(1-00200)
(Nuova formulazione) «Bargero, Speranza, Borghi, Cuperlo, Fiorio, Portas, Boccuzzi, Antezza, Amoddio, Basso, Beni, Baruffi, Berlinghieri, Gnecchi, Lodolini, Zanin, Moscatt, Battaglia, Colaninno».
(3 ottobre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il rischio proveniente dall'esposizione all'amianto è noto al legislatore italiano per esito del regio decreto n. 442 del 1909, cui conseguirono il regolamento di cui al decreto legislativo 6 agosto 1916, n. 1136, e la tabella di cui al regio decreto n. 1720 del 1936;
    il nostro Paese si è distinto per la sua prolungata inadempienza in materia di protezione dall'amianto tanto da costringere le istituzioni europee ad intervenire con la procedura di infrazione n. 240/89, definita con la decisione di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 13 dicembre 1990, che dichiarava che l'Italia era venuta meno agli obblighi derivanti dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea, non aver recepito la direttiva 83/477/CEE del 19 settembre 1983 «Sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con una esposizione ad amianto durante il lavoro» entro la scadenza del 1o gennaio 1987;
    la stessa Corte di giustizia dell'Unione europea affermava di aver presentato, a norma dell'articolo 169 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, un ricorso finalizzato a far dichiarare che l'Italia, non avendo recepito la direttiva di cui sopra, fosse venuta meno agli obblighi previsti in forza del Trattato istitutivo della Comunità economica europea;
    la Repubblica italiana, pur ammettendo sostanzialmente di non aver ancora adottato i provvedimenti necessari per l'attuazione della direttiva nel proprio ordinamento, finalmente, dopo qualche anno, recepiva la direttiva con il decreto legislativo n. 277 del 1991, cui fece seguito la legge 27 marzo 1992, n. 257;
    la legge 27 marzo 1992, n. 257, in materia di «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», che ha stabilito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di amianto, la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio, nonché misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori esposti all'amianto, non risulta ad oggi totalmente applicata se si analizzano i dati nazionali legati alla pericolosità dell'amianto e ancora purtroppo drammatici;
    la «Conferenza governativa sull'amianto e le patologie asbesto correlate: stato dell'arte e prospettive», svoltasi a Venezia dal 22 al 24 novembre 2012, ha evidenziato che vi sono ancora oltre 40 mila siti con presenza di amianto sul territorio italiano, di cui circa 400 ad alto rischio;
    la ricognizione sullo stato di attuazione della legge n. 257 del 1992 ha evidenziato un'omogeneità nazionale di non attuazione: in effetti, mancano linee guida in alcune regioni, la progressione delle bonifiche risulta estremamente lenta ed è di circa l'1 per cento all'anno dell'amianto presente in Italia dal 1992, per cui, mantenendo questo ritmo, si ritiene che siano necessari almeno altri 60 anni di lavoro;
    questi dati sono, peraltro, decisamente approssimativi visto che regioni come Sicilia e Calabria, al momento della conferenza di Venezia, non avevano ancora comunicato alcun dato e che gli utilizzatori indiretti di amianto nelle attività produttive non stilano sistematicamente la relazione annuale;
    i decessi connessi con l'esposizione all'amianto sono pari a circa 5000 annuali, di cui circa 1500 per via di mesoteliomi (neoplasia dovuta all'esposizione alle fibre aerodisperse dell'amianto) e il restante tra tumori polmonari e altre patologie asbesto-correlate;
    studi scientifici ed epidemiologici rivelano che il picco si raggiungerà nei prossimi 15 anni a causa del lungo periodo di latenza che caratterizza le malattie asbesto-correlate, in particolare il mesotelioma che, in alcuni casi, può manifestarsi anche dopo 30/40 anni dall'esposizione all'amianto e che ha origine nel mesotelio, la membrana che riveste la maggior parte degli organi interni del corpo, tra cui i polmoni e la parte interna della gabbia toracica (pleura), il cuore (pericardio), l'intestino (peritoneo) e i testicoli (tunica vaginale);
    molto numerose, purtroppo per il nostro Paese, sono le realtà industriali nelle quali si è fatto indiscriminato uso di materiali contenenti amianto e Civitavecchia, come molte altre città, ha dovuto e sta tuttora pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane a causa dell'indiscriminato utilizzo del sopradetto, pericolosissimo inquinante. Nel dicembre 2013, nel territorio di Civitavecchia, sono state rinvenute circa 300 tonnellate di amianto interrate abusivamente nel corso degli anni; si tratta di un potenziale disastro ecologico portato alla luce dal reparto operativo aeronavale della Guardia di finanza che ha ovviamente posto sotto sequestro l'area, con la procura della Repubblica che ha di seguito aperto un'inchiesta per reati ambientali;
    non meno rilevante, a titolo ulteriormente esemplificativo, è il caso di in un popoloso quartiere di Avellino dove è stato effettuato un testing sanitario sulla popolazione scolastica e sui residenti adulti con risultati sconcertanti;
    in quell'area grosse quantità di cemento-amianto sono contenute in un noto stabilimento in pessimo stato di conservazione all'interno di un silos prossimo al crollo;
    la procura della repubblica di Avellino ha disposto il sequestro penale dell'area per disastro ambientale doloso e ha emanato 24 avvisi di garanzia che hanno raggiunto soprattutto ex amministratori comunali;
    il procuratore Cantelmo è stato audito dalla Commissione ambiente del Senato della Repubblica in merito al legame tra inquinamento ambientale e patologie tumorali e gli atti sono stati secretati;
    ad oggi, sono stati accertati più di dieci morti da amianto tra i lavoratori, ma sembrano essere in realtà una trentina. Quasi tutti i 300 ex lavoratori dello stabilimento avellinese sono affetti da patologie asbesto-correlate, pur continuando ad esercitare la loro attività lavorativa, in assenza di regole serie per il prepensionamento;
    risulterà, pertanto, evidente la necessità di invertire una tendenza che, fino ad oggi, ha registrato tanto l'utilizzo indiscriminato di materiali contenenti amianto nei principali cicli produttivi quanto la colpevole inerzia degli enti preposti alla tutela dei lavoratori esposti e delle loro famiglie, al fine di minimizzare, per quanto ancora possibile, le gravi conseguenze di trascuratezze oggi, di fatto, riconosciute e non più ulteriormente tollerabili;
    all'alta concentrazione della mortalità a causa del mesotelioma nel nord del Paese, come ad esempio a Casale Monferrato, dove l'esistenza di un grande impianto per la produzione di manufatti di amianto ha generato un progressivo aumento di mortalità con un'incidenza 40 volte superiore al resto del Piemonte, si stanno aggiungendo altre aree in cui la mortalità per questa neoplasia è particolarmente preoccupante come Bari, Siracusa, Manfredonia e Avellino. Nel capoluogo irpino è tutt'ora localizzato, ancorché dismesso, uno stabilimento denominato Isochimica nel quale, per quasi dieci anni, circa 300 lavoratori hanno scoibentato 360 carrozze all'anno, piene di amianto, dei treni delle Ferrovie dello Stato;
    il rischio connesso alla pericolosità della dispersione nell'aria delle fibre di amianto nelle zone dove si lavorava questo materiale è altissimo non solo fra i lavoratori: secondo il Registro nazionale dei mesoteliomi, oltre l'8 per cento dei casi è stato esposto per motivi ambientali (luogo di residenza) o per motivi familiari (convivenza con lavoratori esposti);
    in Italia mancano ancora dati di mappatura dell'amianto nelle scuole per oltre la metà della regioni italiane e ciò non è accettabile se si pensa che le patologie asbesto-correlate hanno una latenza prolungata e che potrebbero colpire, in particolare, le fasce di minore età. Si stimano dalle 2.000 alle 3.000 «scuole amianto» in Italia. Per quanto riguarda la mappatura, si segnala che esistono sistemi di individuazione dell'amianto visibile dall'alto anche a costi decisamente bassi. Si segnala che i centri operativi regionali afferenti al Registro nazionale dei mesoteliomi hanno subito un depotenziamento che determina la riduzione delle informazioni ottenute da parte degli esposti e che non consente di compilare un registro degli esposti, aggravando la carenza generale di dati in merito ai siti e alle attività produttive contaminate e impedendo la corretta sorveglianza epidemiologica; è da rilevare che oltre l'80 per cento delle circa 440 mila tonnellate di amianto smaltite negli ultimi anni in Italia è stata spedita all'estero, con costi aggiuntivi e incremento dei rischi durante il trasporto. Il costo medio di smaltimento dell'amianto è di 900 euro a tonnellata se esportato (550 per la rimozione, 250 per il conferimento in discarica e 100 euro per il trasporto). L'individuazione di siti regionali compatibili con lo smaltimento che rispondano a criteri di idoneità geologica, paesaggistica e ambientale potrebbe portare a una bonifica a «chilometri zero», che dovrebbe passare naturalmente per il coinvolgimento delle popolazioni interessate anche in merito alla necessità di riduzione del rischio in relazione al progressivo deterioramento dei materiali contenenti amianto presenti in tutto il Paese e garantendo la massima trasparenza dei dati dei controlli dell'inquinamento delle matrici ambientali circostanti gli impianti, coinvolgendo personale di età prossima alla pensione negli impianti stessi per i già citati dati di latenza dello sviluppo di patologie; il Piano nazionale amianto del Governo Monti, scaturito anche dalla governativa sull'amianto e le patologie asbesto-correlate di Venezia, seppur contenga buoni spunti, deve ancora essere approvato dalla Conferenza Stato-regioni e sembrerebbe, per quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, bloccato al Ministero dell'economia e delle finanze per la mancanza di coperture; stante l'urgenza che l'attuale Governo attui i provvedimenti necessari a far fronte a questo tema, nel corso della recente seconda conferenza internazionale dell'Osservatorio nazionale amianto (Ona onlus), tenutasi nell'aula dei gruppi della Camera dei deputati il 20 marzo 2014, dove è stata data voce alle istituzioni, alle associazioni di esposti, ai cittadini e a eminenti scienziati, è emersa oltretutto la necessità di un piano amianto alternativo a quello governativo, che miri in maniera più decisa alla prevenzione primaria, alla ricerca scientifica, alla interdizione dei crimini ambientali lesivi della dignità e dell'incolumità della persona e che, attraverso la valorizzazione delle associazioni e delle autonomie locali, possa permettere di affrontare e risolvere questo enorme problema; è necessario che, in linea con il piano governativo e i piani delle associazioni di esposti all'amianto, siano stabiliti, altresì, termini specifici e tassativi per eseguire e per portare a termine la mappatura delle zone del territorio nazionale interessate dalla presenza di amianto, nonché la bonifica, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 93 del 2001 e del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 101 del 2003, atteso che l'assenza di termine finale rischia di prorogare sine die gli interventi di bonifica e di esporre a rischio cittadini e lavoratori, con maggior rischio di insorgenza di malattie e lesione della pubblica incolumità e con maggiori oneri sociali e sanitari; è urgente stabilire, inoltre, i termini perentori per la decontaminazione dei luoghi di lavoro in ambito civile e militare e per il divieto di esposizione all'amianto,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile a consentire che i lavoratori affetti da patologie asbesto-correlate di origine professionale, qualora non abbiano ancora raggiunto i requisiti per la maturazione del diritto alla pensione, anche dopo la rivalutazione del periodo contributivo ai sensi dell'articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, possano comunque accedere al pensionamento anticipato, con il sistema contributivo, senza rinunciare alle altre provvidenze vigenti;
   a verificare, d'intesa con le regioni, che entro il 30 giugno 2015 venga eseguita la mappatura dell'amianto contenuto nelle scuole, per tutte le regioni italiane, e si proceda entro il 1o gennaio 2020 alla rimozione dello stesso;
   a verificare, anche d'intesa con le regioni, che sia terminata la mappatura dell'amianto in ogni sito di pubblica fruizione entro il 31 dicembre 2016, nonché a porre in essere ogni iniziativa, anche sotto forma di incentivo finanziario, finalizzata ad agevolare le bonifiche da parte dei titolari di edifici pubblici e privati o porzioni di essi, contenenti amianto, ponendo come obiettivo per l'integrale bonifica la data del 1o gennaio 2020;
   ad assumere iniziative per introdurre nel codice penale specifiche fattispecie di reato che sanzionino la violazione di tali obblighi o prevedano l'inasprimento delle pene per fattispecie penali già vigenti;
   a porre l'obbligo in capo al datore di lavoro di provvedere alle bonifiche entro il 1o gennaio 2020, indipendentemente dalla concentrazione di amianto in sospensione e dal periodo di esposizione del lavoratore;
   ad assumere iniziative affinché, per le coperture installate a seguito di sostituzione di opere contenenti amianto, siano utilizzati materiali idonei al loro recupero e al loro riciclo in caso di successiva rimozione;
   ad assumere iniziative affinché, entro il 1o gennaio 2015, la presenza di amianto, in qualunque luogo, sia evidenziata con l'apposizione di un'etichetta chiara e visibile recante l'indicazione della presenza di amianto nonché contrassegni indicanti il pericolo;
   a provvedere, per quanto di competenza, alla creazione di un sistema di informatizzazione e banca dati dei processi di bonifica, alla georeferenziazione e all'individuazione di siti idonei allo stoccaggio dell'amianto in ciascuna regione italiana entro il 1o gennaio 2015, agendo anche nell'ottica di filiera corta di gestione, di riduzione del rischio e dei costi, avendo cura di riferire con cadenza semestrale alle Commissioni parlamentari competenti l'avanzamento di tutti i processi di bonifica relativi agli immobili censiti;
   a rafforzare i sistemi di verifica della tracciabilità dell'amianto, altresì stimolando lo smaltimento sostenibile anche attraverso la determinazione di un prezziario nazionale per singole tipologie di opere di bonifica;
   ad assumere iniziative per predisporre, nell'ambito di misure per la defiscalizzazione degli interventi di rimozione dell'amianto dagli edifici privati, la possibilità di detrazione dall'imposta lorda di un importo pari al 72 per cento delle spese documentate, fino a un ammontare complessivo delle spese non superiore a 96.000 euro per unità immobiliare;
   ad individuare forme di incentivazione e sostegno per privati ed imprese, finalizzate a contestualizzare, alle pratiche di bonifica, la realizzazione di pannelli fotovoltaici;
   a verificare l'omogeneità dei trattamenti delle patologie asbesto-correlate sul territorio nazionale, monitorando, in particolare, i trattamenti chirurgici e chemioterapici, predisponendo adeguate risorse per la valutazione degli outcome clinici e di qualità di vita dei pazienti e incentivando la ricerca clinica e laboratoristica nel settore;
   ad assumere iniziative per escludere, dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto, attivandosi anche in sede europea per lo scorporo dai predetti saldi.
(1-00286)
(Nuova formulazione) «Grande, Sibilia, Bechis, Zolezzi, Prodani, Artini, Pinna, Currò, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, Rizzo, Corda, Fico, Lorefice, Mantero, Di Vita, Vacca, Brescia, Grillo, Dall'Osso, Baroni, Cecconi, Gallinella, Bechis, Parentela, Toninelli, Frusone, Barbanti, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, De Lorenzis, Lupo, Terzoni, De Rosa, Paolo Nicolò Romano, Mannino, Lombardi, Turco, Da Villa».
(17 dicembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il massiccio utilizzo dell'amianto, verificatosi sino alla fine degli anni Ottanta ed il cui uso è stato vietato in Italia da una legge del 1992, ha prodotto un'enorme quantità di patologie e di decessi per quanti sono entrati in contatto con tale materiale. La sua presenza nelle più disparate strutture continua tuttora a produrre malattie asbesto-correlate; dai dati contenuti nel Registro nazionale dei mesoteliomi risulta che l'8 per cento dei casi è dovuto all'esposizione ambientale in abitazioni prossime ai luoghi di lavorazione o alla convivenza con familiari esposti all'amianto per motivi di lavoro;
    oltre ai dati statistici ormai noti a tutti, l'elemento più allarmante messo in risalto dalla comunità scientifica internazionale è quello che riguarda il periodo che va dal 2020 al 2025. In quell'arco di tempo, dicono infatti gli scienziati, si registrerà il picco massimo di patologie asbesto-correlate;
    appare evidente, dunque, come la lotta a questa calamità debba costituire uno degli elementi prioritari che lo Stato deve affrontare, predisponendo misure straordinarie in termini di sostegno ai soggetti colpiti da patologie derivanti dall'esposizione all'amianto ed alle loro famiglie, di diagnosi precoci per i soggetti a rischio, di bonifica dei siti, di rimozione integrale del cancerogeno dai luoghi di lavoro e dalle comunità, di mappatura e tracciatura del rifiuto e di intensificato contrasto all'attività delle ecomafie (nel corso del convegno organizzato dall'Osservatorio nazionale sull'amianto il 19 maggio 2012, sono stati evidenziati gli enormi profitti e gli immensi danni prodotti dalle attività illegali in questo settore;
    è evidente come il fenomeno rivesta rilevanza internazionale: il Parlamento europeo e il Consiglio, con l'ultima direttiva 2009/148/CE del 30 novembre 2009 sulla protezione dei lavoratori esposti al rischio amianto, hanno, infatti, emanato norme più stringenti e con esse hanno stabilito la necessità di una più attenta tutela senza discriminazioni nei confronti delle vittime. E proprio in questa direzione sono state definite misure in relazione ai diritti al prepensionamento (articolo 13, commi 7 e 8, della legge n. 257 del 1992);
    sul piano del sostegno ai soggetti colpiti dalle patologie suindicate ed ai loro familiari (in tale ottica va infatti valutata l'accertata e lunga latenza delle patologie, la presenza attuale di luoghi contaminati ed altro), lo Stato è già intervenuto;
    infatti, con la legge finanziaria per il 2008 (commi 241-246 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244) è stato istituito un Fondo per le vittime dell'amianto presso l'Inail che è diventato operativo a seguito dell'emanazione del decreto ministeriale 12 gennaio 2011. Il Fondo citato eroga una prestazione aggiuntiva alle altre riconosciute per legge, per le vittime dell'amianto, per quanti abbiano contratto patologie asbesto-correlate per esposizione all'amianto e, in caso di premorte, in favore degli eredi. Il finanziamento del Fondo per le vittime dell'amianto è, per un quarto, a carico delle imprese e, per tre quarti, a carico del bilancio dello Stato; l'addizionale a carico delle imprese ha dato un gettito pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e di 7,3 milioni di euro a partire dal 2010; l'onere per lo Stato a decorrere dal 2010 assomma, quindi, a 22 milioni di euro;
    il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto stabilisce che la prestazione aggiuntiva sia calcolata applicando alla rendita già percepita la misura percentuale definita con decreto interministeriale. La prestazione è stata fissata nella misura del 20 per cento per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e del 15 per cento per il 2010. Per gli anni successivi al 2011, il regolamento non fissa la misura della prestazione aggiuntiva, ma ne definisce il sistema di calcolo e di erogazione, secondo modalità decrescenti, dal 18,1 per cento computato per il 2011 all'8,3 per cento stimato per il 2022;
    la platea dei beneficiari, con riferimento al 2012, è di 17.501 soggetti tra aventi diritto e superstiti; le assegnazioni sono state regolari sino alle somme spettanti per il 2012 (erogate nel giugno 2013), ma nel 2013 non vi sono stati i previsti trasferimenti dal bilancio dello Stato;
    presso il Fondo per le vittime dell'amianto sono in giacenza circa 31 milioni di euro effettivamente utilizzabili, che appaiono, però, insufficienti ad assicurare le prestazioni future;
    per quanto concerne invece la bonifica del territorio, occorre ricordare l'importanza di tale operazione che, a distanza di anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, risulta ancora necessaria visto che sono presenti migliaia e migliaia di tonnellate di fibre di amianto e di cemento-amianto nelle fabbriche, negli edifici pubblici e privati e in varie comunità; secondo il Consiglio nazionale delle ricerche si tratta di oltre 32 milioni di tonnellate di cemento-amianto da bonificare, mentre sono ancora esposti agli agenti atmosferici 2,5 miliardi di metri quadri di coperture; risulta problematico anche lo smaltimento per la mancanza di discariche specializzate; il 60 per cento del materiale dismesso viene regolarmente inviato all'estero,

impegna il Governo:

   ad intervenire per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva a valere sul Fondo per le vittime dell'amianto costituito presso l'Inail ai sensi dei commi 241-246 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007, spettante ai soggetti beneficiari, fissandola in una percentuale che rimanga tale nel corso degli anni e individuando le risorse necessarie ad assicurare la piena copertura delle erogazioni spettanti;
   ad operarsi per la piena funzionalità del Piano nazionale amianto, varato dal Governo Monti nel marzo 2013, ancora in sede di esame presso la Conferenza Stato-regioni, valutando la possibilità di incrementarne la dotazione economica, al fine di accelerare gli interventi ivi previsti, diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica derivanti dalla presenza di amianto negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro;
   a valutare la possibilità di escludere dai saldi rilevanti, per la verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le spese per la bonifica dell'amianto, in particolare in edifici pubblici quali scuole, università ed ospedali, assumendo iniziative per prevedere il finanziamento del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, attualmente privo di adeguata dotazione;
   ad intervenire perché venga realizzata un’«Anagrafe dell'edilizia scolastica», anche attraverso l'impegno degli enti locali che potranno indicare al Governo – in maniera tale che questi informi pienamente il Parlamento – le necessità, le priorità e le emergenze da affrontare, al fine di risolvere un allarmante problema che, attualmente, coinvolge ben duemila edifici scolastici, 342 mila alunni, docenti ed operatori scolastici;
   ad assumere iniziative per la messa a regime delle agevolazioni fiscali attualmente previste in favore degli interventi di bonifica dall'amianto effettuati da privati;
   a valutare la necessità di predisporre misure in termini di diagnosi precoce al fine di tutelare la salute dei cittadini esposti al rischio amianto.
(1-00484)
«Dorina Bianchi, Piccone, Scopelliti».
(5 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è stata fino alla fine degli anni Ottanta il secondo maggiore produttore europeo di amianto, in particolare di amianto crisotilo dopo l'ex Unione Sovietica e il maggiore della Comunità europea, nonché uno dei maggiori utilizzatori;
    la storica condanna, nel giugno 2013, a 18 anni di reclusione per disastro doloso di uno dei due manager imputati a Torino nel processo Eternit, ha aperto nuovamente i riflettori sulla drammatica questione delle vittime dell'amianto;
    nonostante il divieto di estrazione, produzione e impiego, imposti dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, infatti, il pericolo di contrarre patologie derivanti dall'esposizione o lavorazione di materiali contenenti amianto in Italia è ancora a livelli altissimi;
    il rischio non si estingue con la cessazione delle lavorazioni, in quanto resta da gestire la presenza di grandi e diffuse quantità di materiali contenenti amianto in matrice friabile, negli edifici civili e industriali, negli impianti e nei mezzi di trasporto (in particolare in quelli navali) e di altrettanto rilevanti presenze di materiali contenenti amianto in matrice compatta il cui progressivo deterioramento, anche semplicemente dovuto alla vetustà del materiale, può essere causa di rilascio di fibre e di conseguente rischio;
    le fibre di asbesto, se inalate, provocano gravi patologie dell'apparato respiratorio (l'asbestosi, il tumore maligno del polmone e della laringe e il mesotelioma pleurico) e neoplasie a carico di altri organi, il mesotelioma peritoneale, pericardico e della tunica vaginale del testicolo, e il tumore maligno dell'ovaio. Causano, inoltre, placche pleuriche e inspessimenti pleurici diffusi. Alcuni studi suggeriscono che siano causa di tumori maligni in ulteriori sedi, quale l'apparato digerente;
    oltre ai lavoratori che hanno prestato la loro attività nelle industrie produttrici di amianto sono potenzialmente esposti a tale rischio sia i lavoratori che inconsapevolmente hanno prestato e prestano la loro attività in luoghi o in situazioni dove persiste la presenza di amianto che i familiari dei lavoratori che potevano respirare le fibre portate a casa, ad esempio con gli abiti da lavoro, e i cittadini che vivevano o vivono tuttora in aree dove è possibile inalare fibre aerodisperse, nonché, qualora vengano disattese le norme di prevenzione, anche i lavoratori impiegati nelle attività di manutenzione, bonifica e gestione dei rifiuti che contengono amianto;
    secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, il numero di casi di malattie legate all'amianto nella sola Unione europea è compreso tra i 20.000 e 30.000 all'anno; in Italia, secondo quanto pubblicato dal Ministero della salute, il mesotelioma ha un'incidenza di 3,6 casi ogni 100 mila abitanti per gli uomini e di 1,6 casi ogni 100 mila per le donne e si registrano, ogni anno, oltre 4.000 vittime per malattie asbesto-correlate. Il problema è la latenza della malattia: oltre 40 anni, o addirittura 50 anni, potrebbero passare prima che i sintomi si manifestino nel malato. Per questo motivo il Ministero della salute attende un picco di ammalati tra il 2015 ed il 2020 e stima le persone a rischio in circa 680 mila;
    nel corso della II Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate di Venezia, organizzata ai sensi della citata legge n. 257 del 1992 (22-24 novembre 2012), si sono confrontate tutte le componenti interessate, insieme a giuristi, scienziati ed esperti epidemiologi e clinici, dell'Università e del Sistema sanitario nazionale, per poter giungere a una proposta di piano operativo comprensivo delle linee di azione per le diverse problematiche identificate. Al termine della Conferenza è stato elaborato un Piano nazionale amianto, contenente la descrizione degli obiettivi e delle principali linee di attività che guideranno l'azione di tutti i soggetti coinvolti nella gestione della materia e che avrebbero dovuto consentire di ottenere rilevanti risultati in un arco temporale variabile tra i tre e i cinque anni successivi alla sua adozione;
    oltre a quelli sanitari, il problema dell'amianto coinvolge aspetti ambientali, economici e previdenziali;
    la legge 23 marzo 2001, n. 93, recante «Disposizioni in campo ambientale», ha disciplinato il finanziamento per la mappatura delle situazioni con presenza di amianto, all'esito della quale sono stati censiti oltre 34.000 siti contaminati da amianto, che potrebbero salire a 500 mila siti al termine della mappatura di tutte le regioni, e circa 80 siti con presenza di amianto di origine naturale;
    a distanza di venti anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, emerge che, sul territorio nazionale, sono ancora presenti complessivamente diversi milioni di tonnellate di materiali e beni contenenti amianto, di cui molte tonnellate di amianto friabile localizzate in siti a destinazione industriale e residenziale pubblici e privati;
    desta particolare allarme la presenza, in un numero elevato ma imprecisato di plessi scolastici, di materiali, anche datati, contenenti amianto;
    si rileva positivamente l'inclusione dei siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto tra i siti di interesse nazionale, operata dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese»;
    tuttavia, secondo la mappatura degli impianti di smaltimento che accettano rifiuti contenenti amianto presentata dall'Inail-Dipia, è emerso che, a fronte degli elevati quantitativi di rifiuti contenenti amianto ancora da smaltire, sul territorio nazionale vi sia un'insufficienza di discariche per tale tipologia di rifiuti. Tale carenza è stata, altresì, confermata nel Piano nazionale amianto;
    sulla base dei dati pervenuti tramite le amministrazioni pubbliche, regionali e locali competenti in materia ed i soggetti proprietari/gestori delle discariche, al giugno 2013 sono stati identificati, su tutto il territorio nazionale, settantatré impianti, dei quali solo diciannove in funzione, ma totalmente assenti nelle regioni Calabria, Campania, Lazio, Molise, nella provincia autonoma di Trento, nelle regioni Sicilia, Umbria, Valle D'Aosta, Veneto e Lombardia;
    la ricerca condotta dall'Inail ha evidenziato che, sebbene le norme vigenti consentano la realizzazione di impianti di inertizzazione/recupero di tale tipologia di rifiuti, non vi è ancora nessun impianto attivo su scala nazionale per questo tipo di smaltimento;
    la legge 27 marzo 1992, n. 257, ha previsto disposizioni a sostegno dei lavoratori del settore, ma la normativa necessita di una revisione alla luce del corposo contenzioso esistente sia rispetto alle procedure per la valutazione dell'esposizione in luoghi di lavoro non più esistenti o non più riproducibili, sia in materia di risarcimento nei confronti sia delle vittime dirette dell'amianto che di quelle non correlate ad esposizione lavorativa all'amianto;
    la legge finanziaria per il 2008 ha istituito un fondo per i lavoratori e, in caso di premorte, in favore degli eredi, destinatari di rendita Inail per aver contratto patologie professionali asbesto-correlate per l'esposizione all'amianto. Tale fondo è finanziato per tre quarti dallo Stato e per un quarto dalle aziende attraverso un'addizionale sui premi;
    si rimarca il fatto che il presupposto per aver diritto al beneficio garantito dal fondo è il godimento di una rendita Inail, con esclusione di ogni altra ipotesi. Rimangono, dunque, esclusi dal beneficio soggetti non assicurati, coloro ai quali l`Inail non ha riconosciuto la patologia come malattia professionale, coloro ai quali l'Inail ha erogato una prestazione diversa dalla rendita (prestazione in capitale) e, ancora, i soggetti ai quali l'Inail non ha indennizzato la prestazione, perché con grado di inabilità inferiore al 16 per cento,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative volte a:
    a) dare concreta attuazione al Piano nazionale amianto;
    b) adeguare la normativa applicativa del Fondo per le vittime dell'amianto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo attualmente discriminatoria, poiché non prevede alcun risarcimento per le vittime che non rientrano nella casistica vigente, nonché prevedere risorse aggiuntive a quelle attualmente stanziate con la legge di stabilità;
    c) monitorare il rispetto dei divieti di commercializzazione e riutilizzo di prodotti contenenti amianto;
    d) promuovere la ricerca su nuove tecniche per lo smaltimento dell'amianto, che assicurino un miglior rapporto costi-efficacia rispetto agli attuali metodi;
    e) sostenere campagne di informazione sul rischio dell'amianto, soprattutto nei luoghi di lavoro, e sulle possibili conseguenze della presenza di amianto dal punto di vista ambientale e sanitario;
    f) completare la mappatura dell'amianto sul territorio nazionale, adoperandosi presso le regioni inadempienti, e attivare idonei interventi di messa in sicurezza e bonifica, a partire dagli edifici scolastici, al fine di garantire la prevenzione nei confronti della popolazione più giovane;
    g) prevedere a tal fine risorse certe e adeguate, anche attraverso misure fiscali agevolative ed incentivanti lo smantellamento e la bonifica dei materiali di amianto;
    h) considerare l'opportunità di escludere i fondi destinati alla bonifica dell'amianto dal calcolo utile ai fini del rispetto del patto di stabilità;
    i) favorire la realizzazione di nuovi siti per il conferimento e lo smaltimento su tutto il territorio e, soprattutto, nelle regioni in cui sono completamente assenti, anche mediante l'impiego di cave e miniere dismesse;
    l) procedere ad un'armonizzazione e semplificazione delle disposizioni in materia attraverso l'elaborazione di un testo unico in materia.
(1-00485)
«De Mita, Dellai, Cera, Binetti, Gigli, Santerini, Sberna».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    è ormai noto che l'amianto è una delle sostanze più devastanti nella storia moderna del mondo del lavoro, non solo per l'Italia e per l'Europa, ma anche per gli altri Paesi del mondo, visto l'utilizzo massiccio che ne è stato fatto;
    grazie alle sue caratteristiche organolettiche, infatti, quali l'assenza di infiammabilità, l'elevata resistenza al calore e la flessibilità, ne è stato fatto un largo uso sia nel settore industriale che in quello dell'edilizia;
    la sua natura fibrosa è alla base delle proprietà tecnologiche, ma, allo stesso tempo, è anche la causa principale della sua nocività, provocando nell'essere umano gravi patologie a carico prevalentemente dell'apparato respiratorio;
    la pericolosità, in particolare, deriva dalla capacità dei materiali di amianto di rilasciare fibre potenzialmente inalabili, nonché dell'estrema suddivisione a cui tali fibre possono giungere. Tale composizione, all'origine delle molteplici applicazioni di questo minerale, è, quindi, anche il suo punto critico per la salute umana perché è in grado di scomporsi in fibre di diametro infinitesimale e facilmente respirabile;
    già nel 1962 la Commissione europea aveva rivolto ai suoi sei Stati membri (Italia, Germania, Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi bassi) una raccomandazione accompagnata dall'elenco delle malattie professionali e di tutti i rischi derivanti dall'esposizione all'amianto, ma solo nel 2005 è entrata in vigore la disposizione che ne vietava totalmente l'uso in Europa;
    l'Italia è stata uno dei maggiori produttori ed utilizzatori di amianto fino alla fine degli anni Ottanta, seconda solo all'Unione Sovietica. Ma è stata anche una delle prime nazioni a dotarsi di una normativa di contrasto. Le prime disposizioni che regolamentano l'uso dell'amianto risalgono al 1986, con l'ordinanza del Ministero della sanità del 26 giugno 1986 che, in recepimento della direttiva europea 83/478/CEE, limitava l'immissione nel mercato; ma è nel 1992, con la legge n. 257, che l'Italia mette al bando tutti i prodotti contenenti amianto, vietando l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione e la produzione di amianto e di prodotti contenenti amianto, secondo un programma di dismissione il cui termine ultimo fu fissato al 28 aprile 1994;
    la legge n. 257 del 1992, in particolare, ha regolamentato il processo di dismissione, definendo i criteri per il finanziamento delle imprese interessate alla riconversione produttiva e per i benefici previdenziali a favore dei lavoratori occupati nella produzione dell'amianto. Successivamente, la legge n. 271 del 1993 ha esteso tali benefici a tutti i lavoratori professionalmente esposti ad amianto;
    la norma citata non si limita a prescrivere la cessazione dell'impiego dell'amianto, ma cerca di prendere in esame la complessa tematica dell'amianto nella sua interezza, mettendo in evidenza alcuni problemi considerati particolarmente rilevanti ai fini della tutela della salute pubblica, connessi alla presenza nell'ambiente di prodotti di amianto liberamente commercializzati ed installati in precedenza;
    sono previste, a tal fine, disposizioni specifiche per il controllo delle imprese impegnate nelle attività di lavorazione, manutenzione, bonifica e smaltimento dell'amianto che annualmente devono inviare una relazione tecnica alle regioni e alle asl, secondo il modello stabilito da una circolare del ministero dell'industria del 1993, nonché l'emanazione di disciplinari tecnici per gli interventi di bonifica. Viene introdotto l'obbligo per coloro che operano nel settore dello smaltimento e della rimozione dell'amianto di iscriversi a una speciale sezione dell'albo delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti;
    proprio in Italia, inoltre, è stata pronunciata quella che si potrebbe definire, agli occhi non solo del nostro Paese ma di tutto il mondo, una sentenza storica, emessa dal tribunale di Torino, prima sezione penale, che, il 13 febbraio 2012, ha condannato la multinazionale svizzera Eternit ed i suoi vertici per disastro ambientale, pronuncia recentemente confermata dalla corte d'appello che, concludendosi con una condanna più pesante di quella inflitta in primo grado, non lascia dubbi sulla pericolosità della fibra killer;
    nonostante la bontà della norma e l'impegno della giurisprudenza, nonostante il fatto che l'uso dell'amianto sia stato completamente bandito nel 1992, il nostro Paese sopporta ancora oggi le conseguenze dei livelli di esposizione soprattutto, a causa dei ritardi sui programmi per la dismissione dell'attività estrattiva dell'amianto e sulle relative attività di bonifica, peraltro molto esose, che comportano una casistica ancora allarmante sul numero di casi di esposizione al letale materiale;
    anche dopo la cessazione delle lavorazioni, resta, infatti, da gestire la presenza di grandi e diffuse quantità di materiali contenenti amianto in matrice friabile, negli edifici civili e industriali, negli impianti e nei mezzi di trasporto (in particolare, in quelli navali), e altrettanto rilevanti presenze di materiali contenenti amianto in matrice compatta, il cui progressivo deterioramento, anche semplicemente dovuto alla vetustà del materiale, può essere causa di rilascio di fibre e di conseguente rischio;
    oltre alla gestione di questa calamità sotto l'aspetto ambientale, è altrettanto necessario valutarne e gestirne la casistica e gli effetti sotto gli aspetti della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Le prime e principali vittime dell'amianto sono state, e continuano ad esserlo, le maestranze esposte a causa della manipolazione delle fibre nell'attività estrattiva, nell'uso dell'amianto grezzo, nella produzione di prodotti e materiali in amianto e nella manutenzione degli impianti e delle strutture edili;
    con la legge finanziaria per il 2008, è stato istituito un Fondo per le vittime dell'amianto presso l'Inail, divenuto operativo nel gennaio 2011. Il Fondo per le vittime dell'amianto eroga una prestazione economica per il sostegno dei lavoratori affetti da una patologia asbesto-correlata o dei loro superstiti ed è finanziato per un quarto dalle imprese e per tre quarti dal bilancio dello Stato, per complessivi 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e 29,3 milioni di euro a decorrere dal 2010;
    per gli anni a regime decorrenti dal 2011, il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto non fissa la misura della prestazione aggiuntiva, ma ne definisce le modalità di calcolo e di erogazione, mediante due acconti e un conguaglio: la misura del primo acconto è fissata in una percentuale pari al 10 per cento della rendita percepita e il relativo importo è erogato mensilmente contestualmente al rateo della rendita stessa, secondo le ordinarie modalità di pagamento dell'Inail, previo trasferimento delle risorse finanziarie provenienti dal bilancio dello Stato. Il secondo acconto è corrisposto in un'unica soluzione entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello di riferimento. La misura percentuale del secondo acconto è calcolata sulla base del rapporto tra le risorse provenienti dal bilancio dello Stato e le spese sostenute per le rendite erogate nell'anno di riferimento ai beneficiari del Fondo per le vittime dell'amianto, tenuto conto del primo acconto corrisposto;
    le assegnazioni, regolarmente erogate per il 2012, appaiono di maggiore difficoltà a partire dal 2013, posto che non sono stati previsti ancora i trasferimenti dal bilancio statale e risultano in giacenza circa 30 milioni di euro, non sufficienti per assicurare la copertura a tutta la platea dei beneficiari;
    inoltre, è ben noto che l'amianto ha rappresentato un rischio, oltre che per i lavoratori, anche per i loro familiari, che potevano respirare le fibre portate a casa, ad esempio con gli abiti da lavoro. Infine, è riconosciuto un rischio di mesotelioma anche a seguito di esposizione ad amianto di natura ambientale sia antropica (per la residenza nei pressi di industrie o di siti con importanti inquinamenti ambientali e per il riutilizzo del materiale di scarto), sia in particolari aree dove sono presenti affioramenti naturali di minerali fibrosi. In queste ultime condizioni è stato rilevato anche un incremento delle patologie pleuriche benigne;
    non è un caso, infatti, che nella casistica del Registro nazionale dei mesoteliomi (Renam) circa l'8-10 per cento dei casi per i quali sono state ricostruite le cause pregresse di esposizione è risultato essere per motivi ambientali (la residenza) o per motivi familiari (la convivenza con familiari professionalmente esposti);
    le erogazioni previste dal Fondo per le vittime dell'amianto non sono estese anche a tutti quei cittadini che non hanno copertura assicurativa professionale obbligatoria dei lavoratori ma che, per motivi ambientali, si sono trovati ad alto rischio espositivo;
    il rischio non si è attenuato, ed è ancora ad alti livelli d'allarme, se si considerano, inoltre, i manufatti contenenti amianto, di cui non fosse nota la presenza, provenienti da Paesi dove esso non è stato ancora bandito;
    lo stato dell'arte sulle conoscenze scientifiche sui rischi da amianto e sulle possibilità di diagnosi e terapia, nonché sui meccanismi di tutela assicurativa e prevenzionistica in Italia, è stato esaminato nella II Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate, organizzata ai sensi della citata legge n. 257 del 1992 (Venezia, 22-24 novembre 2012), dove si sono confrontate tutte le componenti interessate, insieme a giuristi, scienziati ed esperti epidemiologi e clinici, dell'Università e del Servizio sanitario nazionale, per poter giungere a una proposta di piano operativo comprensivo delle linee di azione per le diverse problematiche identificate;
    procura fondato allarme sociale, inoltre, lo studio recentemente pubblicato dal Censis sullo stato di salute delle scuole dei figli, secondo il quale In Italia ci sono 2.000 scuole «che espongono i loro 342.000 alunni e studenti al rischio amianto». Degli oltre 41.000 edifici scolastici statali, il Censis stima in 24.000 gli impianti (elettrici, idraulici e termici) che non funzionano, sono insufficienti o non sono a norma. Sono 9.000 le strutture con gli intonaci a pezzi. In 7.200 edifici occorrerebbe rifare tetti e coperture: interventi sulle strutture portanti;
    la recente assegnazione del 95,7 per cento dei 150 milioni di euro stanziati con il cosiddetto decreto del fare del Governo Letta, per l'avvio immediato di 603 progetti di edilizia scolastica, rappresenta poca cosa rispetto alla necessità di mettere in sicurezza tutta la platea degli edifici scolastici, tanto è che, sulla base delle risorse stanziate e dei ritardi di spesa accumulati, alla fine del 2013, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stimava in 110 anni il tempo necessario per mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici italiani;
    nel corso della citata conferenza del 2012, è stato definito il primo Piano nazionale amianto, ma, a distanza di anni, è ancora in attesa del vaglio della Conferenza Stato-regioni. Di fatto, ciò comporta un notevole ritardo nelle procedure di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati;
    è dovere del Governo attivarsi a tutti i livelli per monitorare le questioni ancora insolute, a tutela dei lavoratori lesi, delle famiglie delle vittime e di tutti i soggetti danneggiati dal mancato rispetto delle norme sulla sicurezza dei lavoratori e dei luoghi di lavoro,

impegna il Governo:

   ad attivarsi, raccordandosi con le regioni, per una rapida conclusione del programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati, adoperandosi altresì presso le regioni per una celere adozione dei piani regionali volti al censimento delle imprese che hanno utilizzato l'amianto nelle attività produttive e delle imprese operanti nel settore delle attività di smaltimento e bonifica, nonché volti al censimento degli edifici con presenza di amianto friabile, con priorità per gli edifici pubblici, i locali aperti al pubblico o di utilizzazione collettiva;
   ad assumere ogni iniziativa normativa volta ad incrementare il Fondo per le vittime dell'amianto, estendendone i benefici e la copertura pensionistica anche ai cittadini colpiti da patologie asbesto-correlate non direttamente impiegati nella manifattura del materiale;
   ad assumere iniziative volte ad escludere dal saldo finanziario, rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, le spese relative alla messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   a promuovere il potenziamento della ricerca e della sorveglianza epidemiologica a livello nazionale ed internazionale, adoperandosi anche nelle sedi decisionali dell'Unione europea affinché, già a partire dal semestre di Presidenza italiana, nell'ambito dell'attuazione della direttiva 2011/24/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, concernente l'applicazione dei diritti relativi all'assistenza transfrontaliera, secondo quanto stabilito dall'articolo 12, paragrafo 2, lettera e), venga creata una rete di ricerca e prevenzione degli Stati membri.
(1-00486)
«Palese, Polverini, Calabria, Mottola, Fucci».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'amianto è sostanza particolarmente insidiosa perché può provocare due diverse malattie: l'asbestosi, frutto dell'accumulo nell'organismo di fibre del materiale, altamente invalidante, ed il mesotelioma pleurico, tumore maligno per la cui insorgenza, anche a distanza di decenni dall'esposizione, è sufficiente l'azione addirittura di pochissime fibre;
    l'uso massiccio di amianto negli anni Sessanta-Settanta nell'industria e nell'edilizia e la conseguente esposizione alla fibra ha fatto registrare nel nostro Paese, nel periodo 1988-1997, 9094 morti per tumore maligno della pleura (5942 uomini, 3152 donne);
    la pericolosità dell'amianto, infatti, investe non soltanto l'ambiente di lavoro ed i soggetti ivi occupati, bensì anche il territorio, considerato che, nelle città ove sono ubicati stabilimenti contenenti amianto, i tassi di mortalità per malattie causate da tale fibra si sono rivelati, nel tempo, sedici volte superiori alla media, restando coinvolti non solo i lavoratori direttamente esposti, ma anche le famiglie che hanno respirato le fibre portate a casa con gli abiti da lavoro e i cittadini che si sono ritrovati ad inalare le fibre aerodisperse nell'ambiente;
    con il riconoscimento, dunque, che l'esposizione all'amianto è altamente nociva per la salute dell'uomo e dell'ambiente, la legge 27 marzo 1992, n. 257, ha disciplinato la cessazione dell'impiego di amianto nelle attività produttive di qualsiasi tipo, vietandone in Italia l'estrazione, il commercio, l'importazione ed esportazione di amianto e/o materiali contenti amianto;
    il problema attualmente consiste nella significativa presenza di prodotti in amianto installati o costruiti in passato ed ancora presenti negli ambienti di vita e di lavoro;
    il nostro Paese è, purtroppo, indietro con le opere di rimozione e bonifica: il Consiglio nazionale delle ricerche ha quantificato in 32 milioni le tonnellate di cemento-amianto da bonificare in relazione a 2,5 miliardi di metri quadri di copertura in cemento-amianto presenti sul territorio italiano;
    a creare intoppi nei piani di bonifica sono la mancanza di puntuali e completi censimenti regionali dei siti contenenti amianto, l'insufficienza ed inadeguatezza di discariche specializzate sul territorio nazionale e gli elevati costi di smaltimento;
    la legge finanziaria per il 2008 aveva istituito il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici», con uno stanziamento iniziale di 5 milioni di euro per il 2008, per finanziare gli interventi diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica, riconoscendo priorità alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, sanitari, caserme ed uffici aperti al pubblico;
    per quanto riguarda la tutela delle vittime dell'amianto, i benefici previdenziali sono riconosciuti ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992 e dell'articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003; il decreto ministeriale 27 ottobre 2004, emanato in attuazione dell'articolo 47 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, ha incluso la categoria dei marittimi tra gli aventi il diritto alla concessione dei benefici previdenziali;
    i marittimi, tuttavia, non sempre riescono a beneficiare delle tutele legislative per esposizione all'amianto a causa dell'atipicità del loro lavoro (luogo e rapporto diverso negli anni, residenza diversa dal compartimento marittimo in cui è iscritta la società marittima, cambio di bandiera e demolizione della nave), che rende oggettivamente impossibile avere un curriculum lavorativo con dichiarazione dell'impresa;
    una prestazione aggiuntiva per le vittime dell'amianto che hanno contratto patologie asbesto-correlate e per esposizione alla fibra «fiberfrax» e, in caso di premorte del lavoratore, in favore degli eredi è erogata dal Fondo per le vittime dell'amianto istituito presso l'Inail. Il finanziamento di tale Fondo è per un quarto a carico delle imprese e per tre quarti a carico del bilancio dello Stato;
    con decreto ministeriale 12 gennaio 20111, n. 30, è stato emanato il regolamento del Fondo per le vittime dell'amianto, che prevede l'erogazione della prestazione in due acconti ed un conguaglio (articolo 2, comma 2) e fissa la prestazione (articolo 2, comma 5) nella misura del 20 per cento della rendita per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e del 15 per cento per il 2010. A decorrere dal 2011, il regolamento non stabilisce la misura della prestazione aggiuntiva, ma ne definisce il sistema di calcolo, secondo modalità decrescenti, dal 18,1 conteggiato per il 2011 all'8,3 stimato per il 2022;
    per il 2012 la platea degli aventi diritto è di 17.501; le assegnazioni sono state regolari sino alle somme spettanti per il 2012 ed erogate nel giugno 2013; nel 2013 però sono mancati i previsti trasferimenti dal bilancio dello Stato;
    i 31 milioni di euro al momento in giacenza presso il Fondo per le vittime dell'amianto risultano insufficienti ad assicurare le prestazioni future;
    secondo l'associazione Ona onlus - Osservatorio nazionale amianto, a 20 anni dalla messa al bando sono 5 mila i decessi ogni anno causati dall'amianto e si prevede un aumento delle malattie dell'85 per cento entro il 2025,

impegna il Governo:

   ad accelerare le operazioni di bonifica e smaltimento dell'amianto negli edifici pubblici, individuando come prioritari gli edifici scolastici e le strutture sanitarie;
   ad assumere iniziative per prevedere l'esclusione dai saldi di finanza pubblica, relativi al rispetto del patto di stabilità interno, delle spese per la bonifica dell'amianto;
   ad adottare le opportune iniziative per la messa a regime delle detrazioni fiscali attualmente previste per gli interventi di bonifica dall'amianto compiuti da privati;
   ad assumere iniziative per incrementare le dotazioni del Fondo per le vittime dell'amianto e del Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici senza ricorrere a nuova ed ulteriore tassazione per le imprese e per i cittadini;
   ad emanare atti di propria competenza che riconoscano valido, in sostituzione del curriculum lavorativo, l'estratto matricolare mercantile o la fotocopia autenticata del libretto di navigazione quale documento probante l'esposizione all'amianto da parte del lavoratore marittimo.
(1-00488)
«Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'amianto è stato utilizzato fino agli anni Ottanta prioritariamente nella coibentazione di edifici, tetti, navi e treni e come materiale da costruzione per l'edilizia, utilizzato per fabbricare tegole, pavimenti, tubazioni, vernici o canne fumarie, a causa dell'eccezionale resistenza al calore della fibra, che ne favorì una massiccia diffusione;
    in seguito all'individuazione dell'amianto come sostanza altamente nociva e cancerogena, all'inizio degli anni Novanta la legge 27 marzo 1992, n. 257, ne ha proibito l'estrazione, la lavorazione e la commercializzazione;
    in Italia sono oltre quattromila le vittime dell'esposizione alla pericolosa fibra e nei prossimi decenni, stante il lungo periodo di latenza del mesotelioma, è previsto un forte incremento dei decessi provocati dall'amianto, che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025;
    nel marzo del 2013 il Ministero della salute ha emanato il Piano nazionale amianto, contenente le «Linee di intervento per un'azione coordinata delle Amministrazioni statali e territoriali», scaturito dalla conferenza nazionale sull'amianto promossa dal Governo nel novembre 2012;
    il Piano nazionale amianto prevede interventi integrati sotto i tre profili sanitario, ambientale e previdenziale, ma attualmente risulta essere inattuato per mancanza di copertura finanziaria;
    tra le azioni previste dal Piano nazionale amianto figurano il completamento della mappatura e del risk assessment dell'amianto del territorio italiano e l'identificazione delle zone con maggior rischio ambientale, degli incentivi per la rimozione delle coperture in eternit e la sostituzione con pannelli fotovoltaici, che, con un investimento di circa venti milioni di euro, consentirebbe la bonifica di oltre dieci milioni di metri quadri e l'individuazione di nuovi siti di smaltimento per rifiuti pericolosi, dato il numero nazionale insufficiente che comporta il conferimento dell'amianto all'estero, determinando un notevole aumento dei costi;
    il Piano nazionale amianto riconosce, altresì, una priorità d'intervento in favore della bonifica degli edifici scolastici, all'interno di molti dei quali si rinvengono ancora strutture contenenti amianto, affinché la bonifica degli stessi sia completata in un arco temporale compreso tra tre e massimo cinque anni;
    in base al Piano nazionale amianto, solo nella classe di rischio più elevata (la numero 1) sarebbero stati rilevati ancora ben 380 siti inquinati e il censimento non è ancora completo, mentre le stime parlano di oltre trentadue milioni di tonnellate di amianto ancora sparse in tutto il territorio nazionale;
    mentre le bonifiche vanno a rilento, e in tutto il Paese aumentano le discariche abusive, che mettono ulteriormente a rischio la salute della popolazione, nulla è stato fatto sul fronte del risanamento ambientale e dello smaltimento dei materiali contenenti amianto, dell'avvio di un'efficace sorveglianza sanitaria ed epidemiologica per gli esposti e della garanzia di risarcimento per le vittime;
    dopo oltre vent'anni dall'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, l'Italia è drammaticamente in ritardo rispetto a quello che si sarebbe potuto e dovuto fare per arginare l'emergenza sanitaria provocata dall'esposizione all'amianto;
    la legge n. 257 del 1992, oltre a stabilire termini e procedure per la dismissione delle attività inerenti all'estrazione e la lavorazione dell'asbesto, ha previsto le prime disposizioni in favore dei lavoratori esposti all'amianto, introducendo diversi benefici per gli stessi, consistenti sostanzialmente in una rivalutazione contributiva del 50 per cento ai fini pensionistici dei periodi lavorativi comportanti un'esposizione al minerale nocivo;
    in particolare, tale beneficio è stato previsto: per i lavoratori di cave e miniere di amianto, a prescindere dalla durata dell'esposizione, per i lavoratori che abbiano contratto una malattia professionale asbesto-correlata, in riferimento al periodo di comprovata esposizione, e per tutti i lavoratori che siano stati esposti per un periodo superiore ai 10 anni;
    i danni derivanti dall'esposizione all'amianto, tuttavia, hanno colpito anche lavoratori molto giovani che non avevano ancora maturato il citato requisito di dieci anni di esposizione, ma sui quali i danni sono ancora peggior perché questi sono in parte stati resi inabili al lavoro al contempo rimanendo esclusi dai benefici per l'accesso pensionistico previsti dalla citata legge;
    sarebbe opportuno valutare l'introduzione di un criterio che permetta di calcolare il requisito temporale dell'esposizione all'amianto differentemente a seconda dell'età del lavoratore;
    inoltre, è stato certificato da numerose indagini sanitarie che il danno non cessa con l'esposizione alla sostanza;
    con la legge finanziaria per il 2008 è stato istituito presso l'Inail un Fondo per le vittime dell'amianto, «in favore di tutte le vittime che hanno contratto patologie asbesto-correlate per esposizione all'amianto e alla fibra “fiberfrax”, e in caso di premorte in favore degli eredi», il cui meccanismo di erogazione è stato configurato come una prestazione aggiuntiva in favore di coloro che siano già titolari di una rendita Inail;
    in relazione alle responsabilità imputabili alle aziende di produzione e lavorazione dell'amianto, nel giugno del 2013 è intervenuta l'importante sentenza di condanna dei vertici dell'azienda Eternit, rinviati a giudizio per i reati di disastro ambientale doloso e di omissione volontaria di cautele antinfortunistiche, con la quale è stato anche disposto il risarcimento di centinaia di parti civili, ammalati di mesotelioma e di altre patologie connesse, e di parenti delle vittime;
    tuttavia, sono migliaia i lavoratori dell'amianto che ancora sono costretti a battersi nelle aule giudiziarie per vedersi riconosciuti il risarcimento dei danni ad essi provocati dall'esposizione all'amianto, tanto che la onlus Osservatorio nazionale amianto nel mese di maggio 2014 ha annunciato la sua intenzione di presentare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo per i mancati riconoscimenti dei benefici contributivi e della sorveglianza sanitaria specifica per gli ex esposti, in Italia, nonché di un'istanza di infrazione a carico della Repubblica italiana in ordine alle mancate bonifiche, alla mancata attuazione del Piano nazionale amianto e alla sua contrarietà ad alcune normative comunitarie,

impegna il Governo:

   a valutare l'adozione delle opportune iniziative normative sia al fine dell'introduzione di un criterio di riequilibrio rispetto al mero requisito temporale per il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge n. 257 del 1992, prevedendo che esso sia legato all'età anagrafica del lavoratore, sia al fine di garantire il risarcimento del danno in favore dei soggetti contaminati;
   a promuovere l'immediato avvio alle opere di bonifica ambientale, sia con riguardo ai grandi siti industriali inseriti nel programma nazionale di bonifica, sia con riguardo alle emergenze locali riguardanti la presenza di amianto in edifici e strutture pubbliche, dando priorità agli edifici scolastici ed alle strutture ospedaliere;
   a finanziare in maniera adeguata il Piano nazionale amianto, affinché si possano tempestivamente realizzare tutti gli interventi in esso previsti, a partire dai censimenti, fino alle operazioni di bonifica dei siti, assumendo iniziative per il ripristino degli incentivi per la sostituzione delle coperture in cemento-amianto con il fotovoltaico, al fine di agevolare ed accelerare la bonifica anche dei siti privati;
   a valutare la realizzazione di un'impiantistica di trattamento e smaltimento a supporto delle operazioni di bonifica, al fine di ridurre i costi connessi a tali operazioni;
   ad operare, attraverso il Sistema sanitario nazionale, per realizzare un sistema di sorveglianza sanitaria dei lavoratori che sono stati esposti ad amianto e la contestuale raccolta di dati sanitari ed amministrativi da strutture ospedaliere ed Inail relativamente alle patologie correlate all'amianto;
   a promuovere campagne di informazione sui rischi per la salute derivanti dall'esposizione alle fibre di amianto e sul comportamento da adottare in presenza di strutture contaminate in ambienti domestici, scolastici o presso i luoghi di lavoro.
(1-00492)
«Taglialatela, Giorgia Meloni, Rampelli».
(9 giugno 2014)

MOZIONI IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA E AMMINISTRATIVA

   La Camera,
   premesso che:
    la semplificazione normativa costituisce – nelle sue diverse declinazioni – una delle questioni fondamentali da affrontare nella prospettiva della modernizzazione e dello sviluppo del Paese;
    in base alle analisi condotte dall'Ocse la complicazione burocratica è una delle prime cause dello svantaggio competitivo nel contesto europeo e globale. Pertanto, le politiche di semplificazione rappresentano un fattore cruciale per la competitività e lo sviluppo del Paese, in ogni suo settore produttivo e commerciale, nonché per il pieno godimento dei diritti di cittadinanza;
    i temi della semplificazione normativa ed amministrativa sono da tempo al centro dell'attenzione della politica, delle istituzioni e dei mass media, anche se i risultati raggiunti non sono all'altezza delle aspettative;
    tanto più utile l'opera di semplificazione si potrà rivelare quanto più sarà finalizzata anche ad una semplificazione delle stesse procedure normative e degli oneri burocratici che pesano sui cittadini e sulle imprese;
    in questa prospettiva, occorre una visione unitaria della semplificazione normativa ed amministrativa, sulla quale innestare un'analisi della legislazione vigente che potrebbe articolarsi in più fasi: la prima fase, del tutto preliminare, dovrebbe consistere in una ricognizione della legislazione vigente nei singoli settori, procedendo anche all'elaborazione di testi unici compilativi, a norma dell'articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400; la seconda fase dovrebbe consistere nella ricognizione degli oneri amministrativi derivanti dalle disposizioni vigenti; la terza fase dovrebbe essere volta ad una semplificazione nel contempo normativa ed amministrativa, che elimini il più possibile o per lo meno alleggerisca gli oneri amministrativi a carico dei cittadini e delle imprese;
    nella prima fase, finalizzata ad organizzare la legislazione vigente nei distinti ambiti delle politiche pubbliche, si potrebbe fare ricorso – senza necessità di conferire al Governo specifiche deleghe – ai testi unici compilativi, previsti dal citato articolo 17-bis della legge n. 400 del 1988;
    in base a tale articolo, i testi unici compilativi: devono individuare puntualmente il testo vigente delle norme; effettuare una ricognizione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni; provvedere al coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti in modo da garantire la coerenza logica e sistematica della normativa; procedere, infine, alla ricognizione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore;
    l'elaborazione dei testi unici compilativi sarà agevolata, rispetto al passato, dall'utilizzazione della banca dati pubblica e gratuita dei testi normativi (www.normattiva.it), nata con la duplice finalità «di facilitarne la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini, nonché di fornire strumenti per l'attività di riordino normativo»;
    i testi unici compilativi potrebbero essere accompagnati da regolamenti emanati a norma dell'articolo 17, comma 4-ter, della citata legge n. 400 del 1988, mediante i quali «si provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all'espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete»;
    si tratta di un'operazione del tutto propedeutica ai successivi obiettivi della semplificazione, che consentirebbe di fare chiarezza nella galassia della stratificata e ramificata legislazione italiana, intanto individuando le normative effettivamente vigenti nei singoli settori e le disposizioni che risultino implicitamente abrogate;
    a quest'opera potrebbe dare il suo fondamentale contributo anche il Consiglio di Stato, al quale, a norma del richiamato articolo 17-bis, potrebbe essere demandata anche la redazione degli schemi dei testi unici;
    sarà fondamentale l'apporto delle organizzazioni rappresentative del mondo delle attività produttive, del commercio, delle professioni, dei lavoratori, nonché dei cittadini e consumatori;
    si potrebbe, inoltre, studiare il coinvolgimento nell'operazione di un nucleo di stagisti, reclutati – eventualmente in base ad una norma ad hoc – tra gli operatori dei diversi settori e tra i laureati ed i laureandi nelle diverse discipline, per assicurare un approccio interdisciplinare, che metta insieme le indispensabili competenze giuridiche con le necessarie competenze settoriali;
    infine, nell'operazione potrebbe essere coinvolto il mondo dell'università e della ricerca, che potrebbe lavorare in sinergia con i singoli Ministeri;
    in questo modo, si potrebbe costruire e realizzare un vasto programma di semplificazione, in grado di coinvolgere tutti i soggetti interessati e di offrire un'opportunità formativa ai giovani,

impegna il Governo:

   a realizzare tutti gli sforzi possibili per mettere in atto una vasta opera di semplificazione legislativa ed amministrativa, a partire dalla predisposizione di testi unici compilativi per ciascun settore delle politiche pubbliche, eventualmente avvalendosi – oltre che del Consiglio di Stato – di stagisti specificamente reclutati per l'attuazione del programma di semplificazione e degli apporti del mondo dell'università e della ricerca.
(1-00265)
«Tabacci, Taricco, Palese, Lavagno, Dorina Bianchi, Monchiero, De Mita, Di Gioia, Ferrari, Taranto, Covello, Gelli, Tartaglione, D'Ottavio, Pisicchio, Mazzoli, Scopelliti».
(28 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la previsione di una legge annuale «per la semplificazione e il riassetto normativo» risale al 1997; aveva l'obiettivo di procedere, in via strutturale e sistematica, alla semplificazione dei procedimenti amministrativi e della normativa; la cadenza annuale è diventata subito biennale, per poi, piano piano, eclissarsi del tutto;
    la semplificazione, come concetto e come principio, risale, nel nostro Paese, alla fine degli anni ’90; l'Italia fu tra i primi Paesi dell'area europea ad adottare tali disposizioni ed è, oggi, da rilevare che era impossibile, all'epoca, prevedere che semplificare sarebbe stato così complicato: preme, infatti, ai firmatari del presente atto di indirizzo segnalare l'impellenza della ripresa delle politiche di semplificazione, in tutti i suoi molteplici aspetti, al fine di contrastare le ricadute negative sulla pubblica amministrazione, sui cittadini e sulle imprese, nonché sul sistema Paese;
    si è appena svolta un'indagine conoscitiva in tal senso promossa dalla Commissione parlamentare per la semplificazione, segno evidente che tali problematiche, benché discusse da molto tempo, risultano, ancora, difficili da aggredire e risolvere;
    la semplificazione – nei suoi molteplici aspetti – non solo è un fattore economico ed è risparmio di tempo, di costi e di energie, ma è anche uno degli elementi dello stato di salute «interno» di un Paese, attentamente valutato da organismi ed analisti internazionali, i quali solitamente piazzano l'Italia in fondo alla graduatoria a causa dell'appesantimento burocratico del sistema italiano, che reca, quale diretta conseguenza, un difficilissimo rapporto dei cittadini e degli operatori economici, che quotidianamente ci convivono, con la pubblica amministrazione, e che rende il nostro Paese scarsamente appetibile per gli investitori stranieri;
    anche la corruzione è un elemento valutato a livello internazionale – quale «disfattore» economico – e qui il nostro Paese si distingue, al contrario, per l'altissima incidenza di questa voce tabellare, che vede emergere l'Italia per fenomeni di malaffare e corruttele: il link, del resto, è indissolubile e statisticamente supportato, quanto in un Paese corrotto la produzione normativa e regolamentare è altissima;
    dalle notizie della stampa del 19 maggio 2014 si apprende, ad esempio, che il 97 per cento degli italiani ritiene il sistema pubblico inefficiente perché corrotto e che è pari al 40 per cento l'aumento dei costi di un appalto medio a causa del versamento di fondi, oltre che ai politici, a tecnici e burocrati;
    c’è un rapporto direttamente proporzionale, statisticamente dimostrato, tra il numero delle leggi con la macchina burocratica che le accompagna e la corruzione: più si gonfiano le norme e gli organici di chi le interpreta e le applica, e più si espande il fenomeno delle tangenti; assicurare trasparenza e certezza ai diritti dei cittadini e delle imprese rappresenta un tassello indispensabile del contrasto alla corruzione: le leggi dovrebbero essere efficaci, poche, semplici e chiare e non dovrebbero essere modificate o rimesse in discussione ad ogni colpo di vento;
    la chiarezza delle regole, la comprensione netta delle norme e delle loro finalità, la semplicità degli adempimenti e delle procedure amministrative rappresentano presidi di garanzia del rispetto della legalità, consentendo a chi vuole rispettare la legge di non incorrere in errore contro la propria volontà e, al contempo, eliminando alibi a chi, invece, ha come fine quello di aggirare o contravvenire alle norme, sfruttandone la farraginosità;
    è la Corte dei conti ad aver sottolineato, in una recente audizione, che l'eccesso di burocratizzazione consente l'insorgere di fenomeni corruttivi – collegati all'esigenza di poter contare sulla possibilità di accelerare, rallentare o evitare passaggi procedurali – i quali, se pur possono considerarsi fenomeni di una corruzione in un certo senso «minore», praticata a basso livello, hanno avuto e continuano ad avere effetti devastanti in termini di immagine della pubblica amministrazione e di fiducia da parte del cittadino e che l'insieme contrasta fortemente con il principio costituzionale del buon andamento, a fronte del fatto che l'azione amministrativa deve orientarsi e produrre risultati utili per la collettività;
    preme segnalare, a questo proposito, un costume ed una prassi esecrabili quanto costanti: ogni qual volta il Governo, ma anche il Parlamento, prendono una decisione, si creano, più o meno regolarmente, nuove strutture e nuove competenze; l'innovazione legislativa diventa strumento principale per garantire la proliferazione o la sopravvivenza di mille burocrazie: a testimonianza di ciò, basta scorrere velocemente i contenuti dei provvedimenti, anche recenti e recentissimi;
    costituisce un dato oggettivo che, con il passaggio da un sistema politico consociativo ad un sistema politico maggioritario, il Governo ha acquisito un potere e, soprattutto, una rilevanza politica maggiore rispetto agli anni precedenti; dal 1994 in poi la preminenza politica dell'Esecutivo nei confronti delle assemblee parlamentari si è tradotta anche in una preminenza del primo sulle seconde per quanto attiene la produzione legislativa; come si evince dalle analisi dell'Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati e, in particolare, i rapporti sullo stato della legislazione, la preminenza dell'Esecutivo nei confronti del Parlamento si è realizzata innanzitutto per il tramite della decretazione d'urgenza, ma anche, complessivamente, attraverso le leggi ordinarie di iniziativa governativa, le leggi di ratifica di trattati internazionali, le leggi a ciclo annuale, quali la legge finanziaria e i relativi collegati prima, e da ultimo la legge di stabilità; altro elemento di rilievo che influisce sulla produzione normativa è costituito dalle leggi che hanno come finalità quella di adeguare l'ordinamento nazionale all'ordinamento europeo;
    dall'inizio della XVII legislatura fino al 15 gennaio 2014, su un totale di 31 leggi approvate, 27, pari all'87,10 per cento, sono di iniziativa governativa e 3 di iniziativa parlamentare; nella XVI legislatura la produzione legislazione è risultata per il 76,04 per cento di iniziativa governativa e per il 20,83 per cento di iniziativa parlamentare; nella XV legislatura la produzione legislativa è stata per l'88,39 per cento di iniziativa governativa e per l'11,61 per cento di iniziativa parlamentare;
    dal punto di vista qualitativo la produzione legislativa delle ultime legislature, che, come dimostrano i dati numerici, è da ascriversi in larga parte all'iniziativa governativa, si caratterizza in senso negativo a causa di un gran numero di provvedimenti dal contenuto estremamente eterogeneo e di difficile lettura per il gran numero di commi da cui sono composti, ciascuno dei quali spesso afferente a discipline e settori i più disparati;
    a questa caratteristica di per sé estremamente negativa ai fini della chiarezza e della semplificazione normativa, se ne è aggiunta un'ulteriore, fortemente legata alla situazione di grave crisi economica determinatasi, in particolare, dall'estate del 2011: da quel momento la produzione legislativa si è ancora di più caratterizzata per una lunga serie di provvedimenti d'urgenza, che, oltre ad acuire l'eterogeneità dei contenuti e la ponderosità, hanno prodotto una legislazione che mutava incessantemente a suon di correzioni, aggiustamenti, modifiche parziali e totali, abrogazioni accavallate, realizzate sovente in un ristretto lasso di tempo;
    negli anni recenti sono stati operati 3 interventi per ridurre il numero di leggi che componevano l'ordinamento italiano, attraverso il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, il decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200, e il decreto legge 14 dicembre 2009, n. 179. Considerato che dall'ultimo di questi interventi sono ormai trascorsi 5 anni, periodo nel quale, come precedentemente descritto, è stata prodotta una legislazione con diversi profili di criticità sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, la riduzione dello stock normativo è, tuttavia, solo il primo passo verso una semplificazione effettiva del sistema amministrativo italiano. Occorre, infatti, portare avanti l'opera di riassetto della normativa vigente, tramite la predisposizione di codici e testi unici, al fine di restituire la certezza del diritto e ridurre gli oneri burocratici gravanti sui cittadini e sulle imprese;
    all'ipertrofia legislativa conseguono ampie aree, per non dire voragini, di inattuazione – per fare un esempio, ammontano, ad oggi, ad oltre 700 gli atti amministrativi da adottare in conseguenza dei provvedimenti adottati dai due Governi precedenti all'attuale: in sostanza, ci sono leggi in vigore monche, prive di efficacia – ciò è da ascriversi anche ad un altro costume invalso nei recenti Governi, quello delle cosiddette «leggi annuncio» o «manifesto», in una sorta di permanente clima pre-elettorale, che poi rimangono prive di effetti tangibili;
    è ancora la Corte dei conti a segnalare un'altra peculiare problematica italiana, inerente alle norme che spesso non sono sufficientemente chiare nelle finalità perseguite, con la conseguenza di contrastanti linee applicative da parte dei soggetti istituzionali cui spetta l'attuazione: in ordine al contenuto dei provvedimenti normativi, infatti, la tecnica legislativa troppo frequentemente rinvia la sua applicabilità a provvedimenti successivi l'adozione dei quali poggia su una pluralità di sedi e livelli istituzionali, con una tempistica spesso oggetto di rinvii e proroghe anche a causa dell'insorgere di interessi contrapposti;
    in sostanza, si è di fronte a competenze ripartite fra amministrazioni diverse, spesso collocate a livelli diversi di governo, fra i quali mancano, il più delle volte, efficaci strumenti di raccordo: il processo diventa codecisionale, passa per un intreccio di pareri, concerti, intese e preliminari che producono ritardi ed inefficienze e spesso rendono impossibile assumere una decisione definitiva;
    è necessaria una ridefinizione degli assetti organizzativi, nonché lo sfoltimento del complesso di enti, agenzie, fondazioni, società facenti capo alle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali, enti ed organismi pubblici che a vario titolo e in modo vano creano affollamento di competenze, sovrapposizione di interessi, incertezza nella decisione finale, rallentamento delle procedure; l'indeterminatezza delle competenze specifiche acuisce la criticità di tale modello organizzativo, che va rivisitato, anche alla luce delle esigenze di contenimento ed ottimizzazione della spesa pubblica;
    in ordine alla richiesta di abolire o fondere gli strati amministrativi intermedi, nel nostro Paese c’è solo l'imbarazzo della scelta, a fronte della loro proliferazione: anche una semplice – ma seria – eliminazione delle duplicazioni di organismi, uffici e servizi avrebbe un impatto economico enorme;
    un punto oltremodo dolente è che nessuno sa con precisione quali e quanti siano gli enti pubblici non economici esistenti ed il fallimento del proposito di procedere, per alcuni, in particolare quelli denominati ufficialmente «inutili», è dovuto in parte anche alla mancanza di una specifica fase preliminare di ricognizione e censimento degli enti pubblici non economici esistenti;
    nell'affrontare il tema della semplificazione normativa a tutti i livelli e in tutte le sue declinazioni, non si può tralasciare un tema estremamente specifico, ma di grande rilievo per l'influenza che ha prodotto sull'ordinamento generale, quale è quello delle ordinanze di protezione civile di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, strumento del quale per molti anni si è fatto un uso estremamente frequente ed in molti casi eccessivo e per finalità oggettivamente diverse da quelle per le quali era stato istituito;
    limitando l'analisi a partire dall'anno 2001, 200 sono state le ordinanze di protezione civile emanate nel triennio 2001-2003, 223 nel triennio 2004-2007, 279 nel triennio 2007-2009 e 217 nel triennio 2010-2012; tale ampio ricorso alle ordinanze di protezione civile è stato favorito dalla possibilità, prevista dall'articolo 5, comma 5, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, di derogare alle norme vigenti, oltre che dalla gestione impropria che per diversi anni è stata operata in merito all'organizzazione dei così detti «Grandi eventi», dei quali l'Expo 2015 è l'ultimo ad essere rimasto in essere;
    poiché alle ordinanze di protezione civile si è fatto ricorso non solo per affrontare situazioni di emergenza determinate da disastri e calamità naturali, ma anche per fronteggiare emergenze sociali e ambientali, quali, ad esempio, la gestione del ciclo dei rifiuti, il traffico e la mobilità, l'immigrazione, le criticità delle carceri, che potevano più propriamente essere affrontate con strumenti quali la decretazione d'urgenza e le successive leggi di conversione in legge, si è dato vita ad una sorta di micro ordinamento parallelo, del quale, però, è molto difficile lo studio sistematico e approfondito anche da parte di esperti del diritto;
    il decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, ha modificato la situazione pregressa, in particolare prevedendo un limite alla durata dello stato di emergenza e alla conseguente gestione commissariale. Va rilevato, altresì, che nel 2014 le ordinanze di protezione civile emanate e pubblicate in Gazzetta ufficiale sono alla data del 23 maggio 2014 già 27;
    nonostante nel corso degli anni siano state emanate ordinanze di protezione civile «omnibus» oppure ordinanze che dettavano novelle ad ordinanze già in vigore, non esiste ad oggi un sistema di pubblicità di questi provvedimenti che ne consenta la consultazione in testo storico e in testo vigente;
    poiché l'unica forma di consultazione ad oggi possibile è quella tramite il testo storico riportato in Gazzetta ufficiale all'atto della pubblicazione, risulta estremamente arduo ricostruire l’iter della normativa e degli atti adottati per gli stati di emergenza che si sono protratti per periodi anche pluriennali ed in merito ai quali sono state emanate molteplici disposizioni, anche con ordinanze di protezione civile vertenti su altro argomento; ne deriva l'opacità di alcune gestioni commissariali di durata pluriennale, in particolare per quanto attiene all'efficacia dei provvedimenti adottati nel corso degli anni;
    in tema di semplificazione amministrativa, è utile ricordare alcuni dati riportati dagli organi della stampa il 20 maggio 2014: 42 primati negativi per l'Italia – se il costo del personale della pubblica amministrazione (10,5 per cento del prodotto interno lordo) è in linea con la media europea, la differenza sta tutta nell'efficienza; l'Italia, secondo Paese manifatturiero nell'Unione europea, impiega 37 giorni per esaurire una procedura di import-export, contro i 16 della Germania, 21 nell'eurozona; in Italia una disputa commerciale dal giudice civile si risolve in 1.185 giorni, contro i 547 dell'eurozona e i 394 della Germania;
    ciò spiega perché la semplificazione amministrativa deve essere considerata parte integrante della riforma della pubblica amministrazione, finalizzata a renderla più efficiente, rapida ed economica – al riguardo i firmatari del presente atto di indirizzo auspicano, infatti, che la rivoluzionaria riforma della pubblica amministrazione, cui il Governo dichiara di accingersi, non sottovaluti il tema indicato;
    risulta, al contempo, assolutamente necessario alleggerire gli oneri burocratici che rendono oltremodo gravosi i rapporti tra i cittadini e le imprese, da una parte, e la pubblica amministrazione dall'altra – questo era anche il titolo di un ambizioso disegno di legge, cosiddetto «Brunetta-Calderoli», risalente alla XVI legislatura, il cui iter si è arrestato insieme al suo contenuto, passato da 30 articoli ad uno solo, recante la codificazione;
    occorre dedicare maggiore attenzione, nell'adozione di atti normativi e amministrativi, alla ricaduta complessiva degli oneri burocratici sui cittadini e sulle imprese;
    il problema principale, da risolvere, risiede a monte: il sistema di acquisizione delle informazioni richieste ai cittadini e alle imprese; vige da oltre un decennio un decreto del Presidente della Repubblica che obbliga le pubbliche amministrazioni, per gli accertamenti istruttori, ad acquisire le informazioni e la documentazione dalle banche dati. Ci si chiede perché gli uffici continuino a pressare e vessare cittadini e imprese con la richiesta di esibizione di documenti, certificati e dati che dovrebbero o potrebbero acquisire altrove e in altro modo;
    attualmente si ha il centro elaborazione dati del Ministero dell'interno, il repertorio nazionale dei dati territoriali, l'anagrafe tributaria, il casellario giudiziale, la banca dati dei contratti pubblici, quelle degli istituti previdenziali, il registro delle imprese e si potrebbe continuare, ma ci si dovrebbe fermare comunque, perché, finora, sembrerebbe che non sia mai stata scattata una fotografia dei grandi database di interesse pubblico, tra i quali gli archivi in possesso dei Ministeri della giustizia e dell'interno e ciò non risulterebbe espressamente previsto neanche dal nuovo codice dell'amministrazione digitale;
    gli oneri burocratici che gravano sulle piccole e medie imprese ammontano a circa 1,2 miliardi di euro – si tratta di un'ingentissima tassa sulla burocrazia che si disperde nei costi per i moduli, le comunicazioni da inviare, le raccomandate, i certificati e gli attestati – in sostanza, oneri impropri;
    vale per tutte, ma per quanto riguarda le piccole e medie imprese, corpo del nostro sistema produttivo, non si può che augurarsi che si prosegua e persegua il processo di semplificazione e riduzione degli oneri burocratici ed amministrativi, ma soprattutto occorre espressamente e concretamente dare attuazione al principio della proporzionalità tra l'onerosità degli adempimenti amministrativi e la dimensione delle imprese;
    altra grave carenza è l'insufficiente utilizzo delle tecnologie informatiche, in grado di ridurre tempi ed oneri dell'azione amministrativa; il nostro Paese è indietro, tra l'altro, per numero di utenti web, per l'accesso e presenza di banda larga – ma è da ricordare che dal 1997, con la legge n. 59, furono introdotti il documento informatico e la firma digitale; l'Italia fu tra le prime nazioni europee ad approvare norme e regole tecniche in materia di documenti informatici e firma digitale e il risultato può dirsi, proprio a fronte di tale dato e di quanto è quotidianamente sotto gli occhi del cittadino e dell'operatore economico, fallimentare;
    mancate attuazioni, ritardi ed inefficienze caratterizzano l'introduzione e l'utilizzo della digitalizzazione nei rapporti dei cittadini e delle imprese con gli uffici pubblici – dal 1993 ad oggi, per l'ufficio a ciò dedicato si è proceduto con accanimento a modificarne l'acronimo, passato da Aipa a Cnipa a DigitPa e ora, sembra, Agid; per l'Agenda digitale, fiore all'occhiello dell'innovazione, al contempo rivoluzione e risoluzione dei cronici ritardi italiani in materia, caricata dell'onere di procedere a progetti del valore, in termini di risparmi per l'intera macchina amministrativa, pari a oltre 60 miliardi di euro, è stata disposta in rapida successione una congerie di norme che via via ne modificavano la struttura, la composizione e la nomina dei vertici, che al momento non ci sono più;
    il Ministro dello sviluppo economico Guidi ha dichiarato, in linea con i suoi predecessori, che «il Governo è consapevole dei ritardi e l'impegno sarà massimo per sbloccare il processo di digitalizzazione a vantaggio dei cittadini e delle imprese»;
    l'Agenda digitale è un'occasione unica per il recupero di competitività del nostro Paese, per una maggiore trasparenza, nonché per il decisivo e definitivo snellimento delle procedure burocratiche e tale da poter contribuire in maniera determinante alla ripresa dello sviluppo economico: il decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, è ad oggi di fatto inattuato, non essendo ancora stati adottati, neppure in minima parte i numerosi decreti attuativi previsti da quel provvedimento,

impegna il Governo:

   a presentare alle Camere una relazione contenente un programma di semplificazione normativa, suddiviso per settori e discipline, sulla base delle risultanze dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione parlamentare per la semplificazione, nonché dei risultati della recente consultazione pubblica di cittadini e imprese, indicando la cadenza temporale degli interventi e delle iniziative finalizzati all'accorpamento delle discipline di settore in codici e testi unici ai sensi all'articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400, avvalendosi del Consiglio di Stato;
   per una normativa chiara, efficace e trasparente, ad attenersi al puntuale rispetto, nell'approvazione dei decreti-legge, dei criteri di cui all'articolo 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e delle specifiche sentenze in materia pronunciate dalla Corte costituzionale, nonché ad evitare, nei medesimi provvedimenti, l'inserimento di disposizioni normative la cui attuazione sia rinviata a provvedimenti attuativi di natura non regolamentare o a provvedimenti attuativi per i quali non sia stato indicato esplicitamente un termine di emanazione;
   ad adottare le opportune iniziative, anche normative, che obblighino le pubbliche amministrazioni all'acquisizione della documentazione necessaria, per gli accertamenti istruttori inerenti ai cittadini e alle imprese, dalle banche dati esistenti o dagli organismi pubblici che ne sono in possesso, in modo tale che ai cittadini e alle imprese non sia richiesta nessuna informazione e nessuna documentazione che le pubbliche amministrazioni possono attingere al loro interno;
   a procedere alla standardizzazione delle procedure, dei moduli e dei modelli utilizzati dalle pubbliche amministrazioni nelle pratiche e nei procedimenti, in modo tale che il cittadino e l'operatore economico possano contare sulla certezza e sull'uniformità degli adempimenti in tutto il territorio nazionale;
   ad adottare misure sanzionatorie nei confronti degli uffici pubblici statali competenti e dei loro responsabili a fronte di inadempienze e ritardi;
   a realizzare un database in formato elettronico che renda accessibile in forma pubblica e gratuita la consultazione dei testi delle ordinanze di protezione civile in testo storico e vigente, di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, valutando di utilizzare a tale scopo il portale Normattiva;
   a procedere immediatamente all'adozione dei provvedimenti attuativi di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, in particolare per quanto attiene la digitalizzazione degli atti della pubblica amministrazione;
   a realizzare il progetto di unificazione, ai fini amministrativi, della carta d'identità elettronica e della tessera sanitaria;
   ad assicurare agli utenti la possibilità di firmare digitalmente qualsiasi istanza o documento da trasmettere alla pubblica amministrazione e di utilizzare la posta elettronica certificata come modello usuale di trasmissione di atti aventi efficacia legale;
   a rendere operativi su tutto il territorio nazionale gli sportelli unici per le attività produttive (suap), al fine del coordinamento degli adempimenti delle imprese, potenziando al contempo il modello dello sportello unico, in modo da estenderlo a tutti i procedimenti complessi;
   a rispettare la disciplina vigente in materia di valutazione di impatto della regolamentazione, con particolare riguardo agli oneri per gli utenti, adottando il principio che non possano essere introdotti nuovi oneri senza ridurne altri;
   a procedere all'approvazione dei regolamenti annuali per la riduzione degli oneri amministrativi e la semplificazione dei procedimenti amministrativi concernenti l'attività di impresa;
   a realizzare interventi di riduzione e semplificazione di procedure obsolete, complicate e inutili, onde alleviare gli aggravi sui cittadini e le imprese, a tal fine eliminando duplicazioni di adempimenti e di competenze;
   con riguardo alla semplificazione degli adempimenti inerenti alle imprese, ad adottare il principio di proporzionalità degli oneri alla dimensione delle imprese;
   a procedere al censimento delle banche dati pubbliche esistenti;
   a procedere al censimento degli enti pubblici.
(1-00487)
«Cozzolino, Mucci, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, Toninelli».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la congiuntura economica internazionale che ha investito il mondo e che ha avuto pesanti ripercussioni anche nel nostro Paese ha fatto emergere tutti i mali di un sistema immobile affetto da una burocrazia elefantiaca, incapace di responsabilizzare gli amministratori, sempre più distante dalle necessità reali dei cittadini, improduttivo e assistenzialista, inadeguato alla valorizzazione dei territori, organizzato senza alcun rispetto dei principi di sussidiarietà orizzontale e verticale, fagocitato da una politica autoreferenziale dimentica del suo primario compito di ricerca del bene comune ma basata esclusivamente sul consenso clientelare;
    la semplificazione ha assunto, negli anni, una valenza strategica, anche a fronte dell'eccesso di regolazione esistente nell'ordinamento italiano che si accompagna, inevitabilmente, a una cattiva qualità e a una scarsa chiarezza del sistema delle regole;
    è stato necessario individuare un meccanismo di revisione sistematica e generalizzata dello stock normativo, che permettesse una drastica riduzione del numero delle norme esistenti e che aiutasse a rendere più leggibile e fruibile il quadro delle regole del Paese;
    con la legge di semplificazione 2005 (legge n. 246 del 2005) è stata introdotta la versione italiana della ghigliottina normativa, il cosiddetto «taglia leggi», che si è rivelato un obiettivo strategico per il miglioramento della qualità della regolazione. Tuttavia, una matura policy di semplificazione non è legata soltanto al numero di norme adottate o soppresse, ma all'effettiva riduzione degli oneri e dei tempi burocratici per i cittadini e le imprese che rappresenta un obiettivo comune a tutti i Paesi dell'Unione europea. Garantire un livello di tutela adeguato, ma senza oneri inutili, identificare il problema che si intende risolvere, condividerlo con i destinatari, identificare le possibili opzioni di intervento, misurando costi e benefici, sono le premesse essenziali per la creazione di un contesto normativo favorevole all'investimento, all'innovazione e all'imprenditorialità;
    la semplificazione normativa e amministrativa e la modernizzazione delle pubbliche amministrazioni rappresentano politiche convergenti da perseguire all'interno di un'ottica unitaria e omogenea volta a migliorare il livello complessivo di competitività del sistema produttivo nazionale e accrescere la fiducia dei cittadini e delle imprese;
    una volta realizzato un sistema di regole razionale e coerente, sarà possibile concludere questo ambizioso progetto di semplificazione e riordino normativo attraverso la codificazione di tutte le disposizioni che regolano la vita dei cittadini e delle istituzioni. Si tratta di una delle più importanti innovazioni legislative che consentirà al nostro Paese di allinearsi agli altri Paesi europei;
    l'obiettivo, infatti, è quello di intervenire affinché la semplificazione «annunciata» si trasformi in semplificazione «percepita» dalle imprese, dai cittadini e dall'intera collettività e, infine, in semplificazione effettivamente «rilevata» a livello statistico ed economico. Soltanto a quel punto gli sforzi di semplificazione potranno produrre benefici effettivi anche sulla competitività del Paese. La stima complessiva del risparmio annuo potenziale a regime, connesso all'attuazione di tutte misure di semplificazione, è pari a oltre ventuno miliardi di euro annui;
    sul tema della semplificazione normativa è essenziale il raccordo con le regioni e le autonomie locali. Occorre individuare un programma e un metodo di lavoro ispirato ad un dialogo costante tra i diversi «livelli di governo», prendendo atto dei profondi cambiamenti in termini di competenze introdotti dalla riforma del titolo V della Costituzione, nella consapevolezza che oggi, in Italia, qualsiasi strategia di semplificazione non può essere condotta a livello esclusivamente nazionale;
    è necessario, pertanto, individuare un percorso congiunto che si ponga come obiettivo la riduzione degli oneri burocratici e una regolazione di qualità per lo sviluppo e la competitività delle aree del Paese al fine di:
     a) individuare i livelli minimi di semplificazione (o definizione dei tetti massimi), nonché i requisiti tecnici omogenei sul territorio, anche al fine di effettuare una misurazione comparativa dei diversi livelli di imposizione burocratica;
     b) individuare i casi pilota in specifici settori di regolazione regionale;
     c) creare linee guida comuni in tema di analisi di impatto della regolazione (air) e verifica dell'impatto della regolazione (vir);
     d) individuare programmi di formazione congiunta per il corretto utilizzo degli strumenti di semplificazione normativa;
    la semplificazione delle leggi e del quadro normativo per tagliare la burocrazia e alleggerire l'Italia è un tema di fondamentale importanza per il rilancio del Paese e viene oramai affrontato dai Governi che si sono succeduti negli anni in modo sistemico. I dati, però, dicono che si sta andando nella direzione opposta: per ogni dieci norme abrogate ne entrano in vigore dodici nuove, senza che molte di esse, però, riescano a diventare operative a causa dei decreti attuativi che regolarmente vengono dimenticati, come emerge chiaramente dal rapporto della Corte dei conti fornito alla Commissione parlamentare per la semplificazione. Riguardo agli adempimenti previsti e mai adottati o adottati con gravi ritardi, si può annotare che alla data del 4 febbraio 2014 risultavano attuati 405 degli 883 adempimenti previsti nei provvedimenti legislativi approvati nella vigenza del Governo Monti e 57 adempimenti dei 394 previsti nella vigenza del Governo Letta;
    la Federdistribuzione ha calcolato che l'1,15 per cento del fatturato del commercio si volatilizza ogni anno per spese di burocrazia: 1,4 miliardi di euro l'anno. Mentre l'associazione dei trasportatori Confetra ha rammentato che secondo l'Ocse sono necessari in Italia mediamente 19 giorni per un'operazione di export, contro i 10 di Francia e Spagna, i 9 della Germania e addirittura i 7 dell'Olanda,

impegna il Governo:

   a rendere operanti, per quanto di competenza, le disposizioni già vigenti in materia di qualità della legislazione, di redazione dell'analisi di impatto della legislazione, dell'analisi tecnico-normativa, nonché di verifica dell'impatto della regolamentazione;
   a implementare i processi di digitalizzazione in corso e la costruzione di un'unica rete informatica nella quale possano confluire tutte le pubbliche amministrazioni;
   ad adottare in tempi rapidi un'agenda per la semplificazione, che individui obiettivi, risultati attesi, responsabilità, scadenze e tempi di realizzazione, modalità di verifica del raggiungimento dei risultati, da rendere accessibili on line in tempo reale;
   a varare, da un lato, in tempi rapidi i decreti attuativi al fine di rendere le norme di semplificazione effettivamente applicabili e, dall'altro lato, ad evitare la proliferazione di nuove complicazioni, dando attuazione alle previsioni della legge n. 180 del 2011, sul divieto di introdurre nuovi oneri per cittadini ed imprese;
   a rafforzare la cooperazione interistituzionale tra Stato, regioni e autonomie locali e la realizzazione condivisa del programma di semplificazione, a partire, ad esempio, dalla standardizzazione della modulistica e delle procedure entro tempi prestabiliti e certi;
   ad avviare in tempi rapidi un sistematico lavoro di redazione di codici e testi unici, anche avvalendosi dell'opera del Consiglio di Stato, partendo dalla redazione di testi unici compilativi, come primo passo verso il riordino delle normative settoriali;
   a varare, attraverso il coinvolgimento delle associazioni di categoria imprenditoriale delle grandi, piccole e medie imprese, un programma di semplificazione amministrativa incentrato sul rapporto fiduciario tra lo Stato e le imprese fondato sullo snellimento delle pratiche burocratiche attraverso il ricorso all'autocertificazione.
(1-00491)
«Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».
(9 giugno 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la semplificazione normativa, intesa come azione di deflazione e riordino della normativa primaria e secondaria vigente, allo scopo di una sua maggiore conoscibilità, coerenza ed organicità, minore ambiguità interpretativa, più agevole applicabilità, nonché come azione di controllo quantitativo e qualitativo della produzione di nuove norme, tanto sotto il profilo politico dell'opportunità delle scelte regolatorie quanto sotto quello tecnico dell'elaborazione degli atti e delle disposizioni normative, rappresenta un obiettivo strategico del Paese, nella prospettiva di renderlo più equo e vivibile per i cittadini, competitivo per gli investimenti produttivi e le attività economiche, credibile e autorevole nella comunità internazionale;
    la semplificazione normativa è comunemente considerata una condizione primaria (seppur non esclusiva, né necessariamente presupposta sul piano del processo di semplificazione) di quella amministrativa, intesa essenzialmente come la riduzione degli adempimenti e degli oneri procedimentali a carico dei cittadini, delle associazioni e delle imprese, nonché come riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture burocratiche nella direzione di una loro maggiore capacità di rispondere ai principi del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione;
    nell'ottica predetta, la semplificazione normativa rientra tra le azioni qualificanti il programma dei Governi della Repubblica nelle legislature più vicine e, in particolare, degli Esecutivi della XVII legislatura, come emerge dalle dichiarazioni programmatiche dei Presidenti del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2013 (Enrico Letta) e del 24 febbraio 2014 (Matteo Renzi), ove sono, altresì, sottolineati il coraggio e la determinazione necessari per individuare e realizzare seriamente ed efficacemente la predetta semplificazione;
    nella XVII legislatura, la Commissione parlamentare per la semplificazione, presieduta dall'onorevole Tabacci, ha svolto un'indagine conoscitiva il cui documento finale offre elementi di conoscenza numerosi e preziosi per determinare le scelte prioritarie su questo piano;
    tale ultimo contributo alla descrizione e comprensione dei problemi e alla rassegna delle possibili soluzioni va integrato con l'ormai corposo complesso di conoscenze che l'ordinamento, dotandosi di rilevanti strumenti operativi (dal Comitato per la legislazione, organo politico della Camera, al servizio per la qualità degli atti normativi e al dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, quali strutture tecniche a supporto rispettivamente del Senato della Repubblica e della Presidenza del Consiglio dei ministri, oltre che alle procedure di analisi tecnico-normativa, analisi di impatto della regolazione e verifica dell'impatto della regolazione concernenti gli atti del Governo), ha prodotto, anche a seguito delle buone pratiche internazionali (paradigmaticamente le linee guida di better regulation dell'Ocse), nonché dei numerosi studi scientifici messi a disposizione dalla ricerca universitaria;
    al possesso di tali, spesso raffinati, strumenti di razionalizzazione e, talora, contenimento e soluzione del problema della complicazione normativa e amministrativa, non hanno finora fatto seguito una volontà politica sufficiente e una capacità realizzativa adeguata a portare a progressi rilevanti nella sua soluzione;
    in particolare, gli sforzi, in ogni caso utili e positivamente valutabili, di semplificazione normativa si sono, da un lato, concentrati nel tentativo di ridurre la quantità degli atti normativi (specialmente di rango primario) esistenti mediante alcune operazioni di riordino settoriale e una vasta azione di sistematica abrogazione, mentre, dall'altro, hanno introdotto nelle procedure di produzione normativa facenti capo al Governo, quale titolare dell'iniziativa legislativa e della potestà di normazione secondaria più attivo, adempimenti di valore strategico finalizzati alla razionalizzazione delle decisioni di produrre nuove norme, in ordine sia alla necessità e qualità tecnica delle medesime sia al loro impatto sulla regolazione esistente, da valutarsi ex ante ed ex post;
    tali sforzi, sul primo versante della riduzione dello «stock normativo», hanno dato risultati tutto sommato modesti, come emerge anche dalla recente indagine conoscitiva sopra citata, o, al più, limitati a singoli e circoscritti settori materiali, a fronte di una sovraesposizione mediatica di alcune di queste operazioni (come quella del cosiddetto «taglia leggi»), rischiando di distanziare l'utilità effettiva da quella percepita e conseguentemente di far considerare meno impellente il ricorso a strumenti più efficaci;
    sul secondo versante, quello della qualità della normazione, essi hanno, invece, faticato a trovare onesto ed effettivo accoglimento nelle prassi ministeriali, con il rischio che una perdurante scorretta applicazione degli strumenti di analisi e valutazione già richiamati finisca per travolgere con un giudizio di inefficacia il complesso di questi, anziché le regole e le pratiche finora ostative di un loro utile impiego;
    in ogni caso, sembra posto in secondo piano, se non nelle analisi, senz'altro nelle soluzioni più frequentemente proposte, il problema che tutti i dati mettono in risalto, ovvero che non vi è semplificazione senza un controllo e una riduzione «in entrata» della produzione normativa, tale da favorire l'autolimitazione nell'esercizio dei poteri d'iniziativa legislativa e di normazione secondaria da parte dei soggetti titolari, nonché l'elaborazione di interventi normativi attenti a prevenire massimamente le controversie interpretative e applicative mediante una corretta formulazione delle disposizioni e il loro corretto inserimento nel tessuto normativo;
    non ci sarà mai efficace semplificazione senza coraggiosi interventi per la cura di quella che si può chiamare «bulimia legislativa», cui non sono estranee le circostanze dell'attuale crisi economico-finanziaria, ma che è bene non nascondersi essere ormai radicata in un clima politico-culturale di permanente emergenza, che non fa che alimentare un circolo vizioso tra richiesta di norme manifesto, scadimento della qualità legislativa e inefficacia della regolazione giuridica;
    un prioritario intervento dovrebbe ambire all’enforcement degli strumenti dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi dell'impatto della regolamentazione, da un lato, e della verifica dell'impatto della regolamentazione (unita alla più complessiva attività di valutazione delle politiche pubbliche), dall'altro;
    sotto il primo profilo, è nota la modesta applicazione dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi dell'impatto della regolamentazione da parte delle strutture ministeriali, spesso ridotte ad adempimento formale e quindi intempestivo rispetto alle potenzialità di favorire una correzione della volontà politica relativa alla produzione delle norme oggetto di analisi, tale da rendere forzosamente inefficace anche il controllo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi per esse previsto ai fini dell'iscrizione all'ordine del giorno dei lavori del Consiglio dei ministri. È allora doveroso valutare l'opportunità di riorganizzare, sotto il profilo strutturale e procedurale, tale fase preparatoria dell'attività normativa del Consiglio dei ministri. In tal senso, potrebbero esaminarsi diverse soluzioni, tra le quali:
   a) la creazione di una struttura interministeriale, di assistenza (cooperativa, ma autonoma) agli uffici legislativi dei diversi ministeri, facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed esclusivamente incaricata di monitorare in itinere la qualità dell'attività normativa ministeriale, collaborando a questa sotto il profilo dello svolgimento degli adempimenti richiesti dall'analisi tecnico-normativa e dall'analisi dell'impatto della regolamentazione, in modo da anticipare il più possibile l'intervento delle valutazioni ad essi coessenziali e da rendere contestuale l'elaborazione dell'intervento normativo con il controllo della sua qualità;
   b) l'attribuzione delle funzioni di controllo relativo al corretto svolgimento degli adempimenti predetti ad un'unità indipendente di esperti – individuando un meccanismo di nomina che consenta di coinvolgere i Presidenti delle Camere – incaricata di una valutazione non vincolante per il dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, che resterebbe competente ad autorizzare l'iscrizione all'ordine del giorno del provvedimento in questione (ferma la sempre garantita possibilità d'esame da parte del Consiglio dei ministri, motivando adeguatamente l'urgenza); interventi, quelli ipotizzati, che consentirebbero, altresì, un riordino delle strutture, nel senso eventualmente di eliminare sovrapposizioni e duplicazioni di competenze;
    sotto il secondo profilo, la verifica dell'impatto della regolazione risulta, nella debole applicazione pratica che se ne fa, paradossalmente scollegata dal circuito di produzione normativa, laddove l'impatto delle precedenti scelte di regolazione, tanto al fine di monitorare l'effettiva applicazione delle norme, quanto al fine di verificarne l'efficacia rispetto alle finalità ad esse presupposte, dovrebbe rappresentare la condizione essenziale per progettare nuovi interventi normativi. Perciò, sarebbe opportuno verificare la possibilità di rafforzare la verifica dell'impatto della regolazione rendendola presupposto necessario, sanzionandone l'assenza o l'inadeguata esecuzione, per l'avvio di ogni nuovo procedimento di normazione. In secondo luogo, va notato come la verifica dell'impatto della regolazione rappresenti uno strumento essenziale, seppur non sufficiente, per la complessiva valutazione delle politiche pubbliche. In quest'ottica, attesa la centralità che tale attività dovrebbe acquisire tra le funzioni della seconda camera secondo i progetti di revisione costituzionale attualmente in discussione al Senato della Repubblica (ad iniziare dal disegno di legge costituzionale Atto Senato n. 1429), si presenta oggi l'opportunità di anticipare la riorganizzazione dell'istituto della verifica dell'impatto della regolazione, incaricando della sua effettuazione un ufficio da individuarsi presso il Senato, composto da personale sia ministeriale sia governativo sia regionale, sotto la diretta responsabilità dell'Ufficio di presidenza di tale Camera;
    un'ulteriore innovazione dovrebbe riguardare le procedure di consultazione pubblica, che gradualmente trovano sempre maggiore diffusione, oltre che presso le autorità indipendenti, anche a livello governativo. Si tratta di procedimenti la cui reale utilità, nonché la corrispondenza ai principi di trasparenza e imparzialità, dipende in buona misura delle regole metodologiche cui sono sottoposti. A questo proposito, è essenziale che Governo e Parlamento avviino un percorso, esso stesso partecipato (seguendo l'esempio di esperienze regionali esistenti), per la produzione di una disciplina organica degli istituti di consultazione e di dibattito pubblico, al fine di definire tali procedure e i relativi standard qualitativi e metodologici, nonché i casi di attivazione obbligatoria. Tale percorso sarebbe di massima utilità anche per migliorare la qualità della produzione normativa tanto a livello governativo quanto parlamentare, secondo quanto può constatarsi osservando alcune esperienze internazionali, come l'ormai consolidato meccanismo di consultazione pubblica in uso presso le istituzioni comunitarie oppure la quasi ventennale esperienza del prelegislative scrutiny in uso presso il Parlamento britannico. A questo riguardo, va notato come il prolungamento dei tempi generato da queste procedure istruttorie del procedimento legislativo sia solo apparente, sia perché è possibile configurare incentivi all'adozione volontaria di tali procedure volti a semplificare e accelerare la fase deliberatoria dell'atto formatosi a seguito delle medesime (come il contingentamento degli emendamenti, l'esame obbligatorio dei soli emendamenti segnalati, l'automatica adozione del procedimento legislativo in sede redigente o deliberante ed altro), sia perché a beneficiare di questa più ponderata elaborazione delle norme è la fase della loro attuazione e applicazione, senza contare che gli interventi normativi così elaborati possono prevedibilmente godere di una maggiore stabilità nel tempo;
    alcuni degli interventi sopra prefigurati possono essere attivati per volontà del Governo, tanto nell'esercizio dei poteri di autoregolazione e di normazione secondaria quanto in quello dell'iniziativa legislativa, mentre altri necessitano di modifiche regolamentari da parte delle Camere; questa mozione vuole essere solo un primo, anche se importante, passo in un percorso essenziale per il rinnovamento del sistema normativo italiano, nell'ambito del quale andrà valutata anche la possibilità di ricorrere, nell'ambito delle riforme costituzionali, allo strumento della legge organica per assicurare un rango superiore ai fondamentali principi della legislazione, in modo da garantirne il rispetto,

impegna il Governo:

   ad avvalersi del potere d'iniziativa legislativa, nonché di quello di normazione primaria e secondaria nell'effettivo rispetto della legge n. 400 del 1988, i cui principi e regole, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono spesso disattesi nel concreto ricorso a tali poteri, specie in sede di decretazione d'urgenza;
   a effettuare una revisione della disciplina concernente l'analisi tecnico-normativa, l'analisi di impatto della regolazione e la verifica dell'impatto della regolazione secondo i principi delineati in premessa, utilizzando tutti i poteri di autoregolamentazione riconosciutigli dalla legge e armonizzando tali interventi con le iniziative in corso di revisione dei regolamenti delle Camere, e in particolare a:
     a) intervenire sulla procedura di formazione dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi di impatto della regolazione, eventualmente anche istituendo una struttura interministeriale autonoma di assistenza agli uffici legislativi dei diversi ministeri, facente capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed esclusivamente incaricata di monitorare in itinere la qualità dell'attività normativa ministeriale, collaborando a questa sotto il profilo dello svolgimento degli adempimenti richiesti dall'analisi tecnico-normativa e dall'analisi di impatto della regolazione, in modo da anticipare il più possibile l'intervento delle valutazioni ad essi coessenziali e da rendere contestuale l'elaborazione dell'intervento normativo con il controllo della sua qualità;
    b) rinforzare il controllo di adeguatezza delle relazioni concernenti l'analisi tecnico-normativa e l'analisi di impatto della regolazione, eventualmente anche attribuendo le funzioni di controllo relativo al corretto svolgimento degli adempimenti predetti ad un'unità indipendente di esperti – individuando un meccanismo di nomina che consenta di coinvolgere i Presidenti delle Camere – incaricata di una valutazione non vincolante per il dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri, che resterebbe competente ad autorizzare l'iscrizione all'ordine del giorno del provvedimento in questione; con ciò consentendo, peraltro, unitamente a quanto proposto sub a) un riordino delle strutture esistenti, eventualmente anche nel senso di eliminare sovrapposizioni e duplicazioni di competenze;
    c) studiare la possibilità che, in caso di parere negativo della predetta unità indipendente ovvero di decisione del Consiglio dei ministri di esaminare un atto nonostante il parere negativo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi circa la sua iscrizione all'ordine del giorno, tali pareri negativi siano esplicitamente richiamati nelle premesse dell'atto di normazione secondaria ovvero nella relazione illustrativa d'accompagnamento al disegno di legge, consentendo così un maggiore controllo in sede parlamentare e di dibattito pubblico;
    d) intervenire sulla disciplina della verifica dell'impatto della regolazione, sia valorizzandola nell'ambito dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi di impatto della regolazione, quale presupposto oggetto di necessaria valutazione in quella sede, sia riordinando le competenze e le procedure per la sua esecuzione, eventualmente considerando la possibilità, in collaborazione con le Camere, di incaricare di tali adempimenti una struttura tecnica formata da componenti di nomina sia governativa sia parlamentare e regionale, configurata in modo tale da poter anticipare in via sperimentale quanto previsto dai progetti di revisione costituzionale all'esame del Senato della Repubblica in ordine alle funzioni di valutazione delle politiche pubbliche da attribuirsi alla seconda Camera;

   ad avviare, insieme al Parlamento e in collaborazione con le regioni e le autonomie locali, un percorso di elaborazione di una disciplina organica concernente le procedure di consultazione e dibattito pubblico, esperibili sia in sede di produzione normativa che in sede di amministrazione attiva.
(1-00493)
«Balduzzi, Antimo Cesaro, Monchiero, Mazziotti Di Celso».
(9 giugno 2014)