TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 238 di Martedì 3 giugno 2014

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A RIDURRE GLI SPRECHI ALIMENTARI

   La Camera,
   premesso che:
    in Italia il fenomeno della povertà ha assunto negli ultimi anni dimensioni sempre più preoccupanti. Dall'ultimo rapporto Istat emerge che il 12,7 per cento delle famiglie, pari a 9,6 milioni di individui, versa in condizioni di povertà relativa, mentre il 6,8 per cento delle famiglie, per un totale di 4,8 milioni di individui, versa in condizioni di povertà assoluta, ovvero non è in grado di acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile;
    da sempre l'aiuto alimentare è il primo intervento che si effettua in ogni percorso di reinserimento sociale;
    in Italia non ci sono mai state politiche sociali organiche per la distribuzione di alimenti agli indigenti e storicamente il sostegno più significativo è sempre pervenuto da organizzazioni non profit che operano in modo capillare sul territorio;
    le organizzazioni non profit utilizzano, per la distribuzione di alimenti agli indigenti, prodotti donati dalle imprese e, fino al 2013, gli alimenti messi a disposizione dal Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead) dell'Unione europea. Tali alimenti costituivano la parte quantitativamente prevalente degli aiuti alimentari complessivamente distribuiti dalle organizzazioni caritative;
    il programma di aiuto alimentare agli indigenti è stato il più importante aiuto pubblico per la distribuzione di alimenti ai poveri ed ha operato, da oltre 20 anni, nell'ambito della Politica agricola comune (Pac) dell'Unione europea. Esso è stato attuato in Italia attraverso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Nel 2013 il budget a disposizione dell'Italia è stato di circa 100 milioni di euro;
    a livello operativo, in Italia, il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti è stato gestito con successo dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) in concorso con la rete nazionale di enti caritativi presenti sul territorio nazionale. Si tratta di un programma efficiente, trasparente, incisivo e con bassissimi costi di gestione. Nel 2013 le spese amministrative e di stoccaggio hanno inciso per il 2 per cento del budget a disposizione, mentre i costi di trasporto hanno inciso per il 4,5 per cento. Negli scorsi anni il programma è arrivato a raggiungere circa 3,5 milioni di persone. I vantaggi di questo programma sono stati un elevato grado di conversione in aiuti alimentari dei fondi erogati, una diffusione capillare sul territorio, un elevato numero di persone raggiunte, un'elevata qualità degli aiuti alimentari erogati, una continuità durante tutto l'arco dell'anno (le campagne sono annuali e, quindi, vengono assicurate forniture che riescono a supportare il bisogno nell'arco dell'anno, senza inopportune pause o concentrazioni);
    a partire dal 2014, questo programma non ha avuto più luogo per l'indisponibilità di alcuni Stati membri dell'Unione europea a finanziare, attraverso la nuova Politica agricola comune, l'acquisto di generi alimentari per scopi sociali. A livello europeo è stato sostituito da un nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead). Questo nuovo fondo non sarà più inserito nella Politica agricola comune ma nel Fondo sociale europeo. Inoltre, il campo di applicazione della nuova misura prevede maggiori margini di manovra per gli Stati membri, che potrebbero decidere di non proseguire l'attuale programma con le medesime modalità;
    ove il Governo adottasse una decisione in tal senso, non dando seguito al precedente programma con le attuali modalità, si innescherebbe una situazione assai grave. Si avrebbe sicuramente un'interruzione nella distribuzione di alimenti agli indigenti, con grandi sofferenze per le persone private di sostegno. Le organizzazioni caritative vedrebbero vanificata l'opera di fondamentale raccordo tra povertà e società costruita negli anni grazie a decine di migliaia di volontari. Di conseguenza, le istituzioni locali verrebbero invase da richieste di sostegno alle quali non sarebbero in grado di rispondere, con il rischio di incorrere in crescenti tensioni sociali al momento non quantificabili, né per dimensione né per intensità;
    nella XVI legislatura, con il decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, era stato istituito il Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, per integrare gli alimenti messi a disposizione dal programma europeo;
    tale fondo, che ricade negli ambiti applicativi del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, è stato rifinanziato con la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), con una quota pari a 10 milioni di euro, decisamente insufficiente per rispondere alle necessità di aiuto,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le opportune iniziative per ridurre l'ammontare degli sprechi alimentari attraverso un maggior recupero di alimenti da destinare agli indigenti;
   ad assumere iniziative per incrementare il fondo previsto dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134;
   ad utilizzare i finanziamenti previsti dal Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), per la prosecuzione, senza soluzione di continuità, del piano di distribuzione di alimenti agli indigenti, finora gestito da Agea in concorso con le organizzazioni caritative.
(1-00146)
(Nuova formulazione) «Catania, Andrea Romano, Dellai, Santerini, Schirò, Balduzzi, Binetti, Capua, Caruso, Causin, Cimmino, D'Agostino, De Mita, Fauttilli, Galgano, Librandi, Matarrese, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Molea, Monchiero, Nesi, Oliaro, Piepoli, Quintarelli, Rabino, Rossi, Sberna, Sottanelli, Vargiu, Vitelli, Antimo Cesaro».
(16 luglio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    lo spreco alimentare ha assunto una dimensione tale da essere considerato un problema su scala mondiale; i dati più gravi riguardano gli Stati Uniti, ma anche l'Europa ed il nostro Paese registrano una dimensione molto grave;
    numerosi rapporti di carattere internazionale riferiscono che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato e, quindi, lo spreco alimentare rappresenta uno scandaloso paradosso dei nostri tempi: mentre, come ricorda la Fao, il numero di persone denutrite sulla terra sfiora il miliardo, la quantità di cibo sprecato nei Paesi industrializzati ammonta a 222 milioni di tonnellate, più o meno pari alla produzione alimentare disponibile nell'Africa subsahariana (230 milioni di tonnellate);
    gli sprechi alimentari gravano, inoltre, sul clima, sulle risorse idriche, sul suolo e sulla biodiversità. La decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas ed effetti serra; ogni chilogrammo di cibo prodotto comporta oltre 4,5 chilogrammi di anidride carbonica equivalente;
    il grave fenomeno degli sprechi alimentari rende evidente la profonda distorsione derivante da un modello di sviluppo sbagliato fondato sull'eccessivo consumo di risorse non rigenerabili. C’è, quindi, una relazione profonda tra la crisi che si sta vivendo ed un modello di consumo massificato, standardizzato, veloce e quantitativo piuttosto che qualitativo, sul quale occorre intervenire per evitare di continuare a produrre diseguaglianza, che è tanto più grave quando si tratta di accesso al cibo e ad una sana e buona alimentazione;
    istituzioni e letteratura specializzata definiscono gli sprechi alimentari in modi diversi; tuttavia, non esiste una definizione univoca di sprechi alimentari né a livello istituzionale, né tanto meno nella letteratura scientifica specializzata. In uno studio condotto dallo Swedish institute for food and biotechnology (SIK), commissionato dalla Fao, è stata proposta la distinzione tra food loss e food waste. I food loss sono «le perdite alimentari che si riscontrano durante le fasi di produzione agricola, post-raccolto e trasformazione degli alimenti», mentre i food waste sono «gli sprechi di cibo che si verificano nell'ultima parte della catena alimentare (distribuzione, vendita e consumo finale)»: i primi dipendono da limiti logistici e infrastrutturali, i secondi da fattori comportamentali;
    la definizione di «spreco alimentare» varia a seconda dei Paesi. In Europa non esiste ancora un'unica definizione, ma, a partire dal 2011, in seno alla Commissione europea (agricoltura e sviluppo rurale), lo si è considerato come «l'insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare, che – per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità della scadenza di consumo, seppure ancora commestibili e quindi potenzialmente destinabili al consumo umano –, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere eliminati e smaltiti, producendo effetti negativi dal punto di vista ambientale, costi economici e mancati guadagni per le imprese»;
    come già detto, lo spreco alimentare riguarda tutti i passaggi che portano gli alimenti dal campo alla tavola. Nei Paesi in via di sviluppo si localizza a monte della filiera agroalimentare, e in quelli sviluppati si localizza a valle della filiera;
    uno studio del 2011 della Commissione europea sullo spreco di cibo indica che gli sprechi a livello domestico sono i più rilevanti: corrispondono al 42 per cento del totale (25 per cento della spesa alimentare per peso) e ammontano a circa 76 chilogrammi pro capite/anno (di cui il 60 per cento potrebbe essere evitato); sono piuttosto consistenti anche la parte relativa ai processi di trasformazione degli alimenti (39 per cento) e in quella riguardante i servizi di ristorazione e catering (14 per cento). Sono più contenuti, invece, gli sprechi a livello distributivo (8 chilogrammi pro capite/anno) anche se, in alcuni casi, la distribuzione è indirettamente responsabile di una parte degli sprechi che avvengono più all'inizio o più a valle della filiera alimentare; secondo il suddetto studio della Commissione europea, che indica come media i 180 chilogrammi pro capite di cibo sprecato, la situazione nell'Unione europea passa dai 579 chilogrammi pro capite dell'Olanda ai 44 chilogrammi pro capite della Grecia, con l'Italia a 149 chilogrammi pro capite, valore sopra la media mondiale, indicata dalla Fao in 95-115 chilogrammi pro capite;
    il rapporto della Fao «Food Wastage footprint: Impact on Natural Resource» del settembre 2013 stima in 750 miliardi di dollari l'anno i costi economici diretti dello spreco alimentare, che ammonta a circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, pari a circa un terzo (il 33 per cento) della produzione totale di cibo destinato al consumo umano. Per produrre il cibo che viene sprecato sono utilizzati 250 chilometri cubi di acqua e 1,4 miliardi di ettari di terreno e immessi in atmosfera all'anno 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra; circa il 54 per cento dello spreco avviene durante la fase di produzione, lavorazione post-raccolto e stoccaggio, mentre il 46 per cento occorre nelle fasi di lavorazione, distribuzione e consumo;
    in Italia i dati raccolti hanno evidenziato come solo la frutta e gli ortaggi gettati via nei punti vendita abbiano comportato il consumo di più di 73 milioni di metri cubi d'acqua (water footprint) in un anno, l'utilizzo di risorse ambientali pari a quasi 400 metri cubi equivalenti (ecological footprint) e l'emissione in atmosfera di più di 8 milioni di chilogrammi di anidride carbonica equivalente (carbon footprint);
    secondo alcune prime stime dell'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, in Italia, nel 2011 lo spreco di cibo a livello domestico è costato a famiglia poco meno di 1.600 euro all'anno; in generale «Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo», (Segrè e Falasconi 2011) ha quantificato in 20 milioni di tonnellate lo spreco alimentare lungo tutta la filiera nazionale; più di recente, esperti del settore hanno chiarito che «in Italia se le perdite della filiera alimentare (agricola, trasformazione e distribuzione) valgono 0,2 punti del Pil, lo spreco domestico rappresenta mezzo punto del Pil, ossia tra 8 e 9 miliardi di euro»;
    secondo la Società italiana di nutrizione umana (Sinu), la disponibilità calorica giornaliera per ogni italiano è di circa 3700 chilocalorie, ossia oltre una volta e mezzo il fabbisogno energetico quotidiano, per cui il surplus di 1700 chilocalorie che ne deriva o provoca sovralimentazione o viene sprecato;
    nei Paesi sviluppati, ma talvolta anche in quelli in via di sviluppo, sono rilevanti le motivazioni di carattere regolamentare ed economico che sono alla base dello spreco. C’è decisamente ancora molto da fare per comprendere le cause delle perdite nella parte iniziale della filiera. Nelle fasi di prima trasformazione del prodotto agricolo e dei semilavorati, le cause che determinano gli sprechi sono individuabili principalmente in malfunzionamenti tecnici e inefficienze nei processi produttivi: normalmente si parla di «scarti di produzione»;
    nella distribuzione e vendita (sia essa all'ingrosso che al dettaglio) gli sprechi dipendono da molteplici cause, tra cui ordinazioni inappropriate e previsioni errate della domanda;
    gli sprechi domestici nascono: dalla difficoltà del consumatore di interpretare correttamente l'etichettatura degli alimenti; perché vengono preparate porzioni troppo abbondanti (tanto nei ristoranti quanto a casa); a causa degli errori commessi in fase di pianificazione degli acquisti (spesso indotti da offerte promozionali); quando gli alimenti non vengono conservati in modo adeguato;
    in particolare, nella filiera ortofrutticola, sugli sprechi incide la possibilità di ritirare parte della produzione per evitare il crollo dei prezzi. Il prodotto ritirato, infatti, è destinato solo in parte alla distribuzione gratuita (alle fasce deboli della popolazione, a scuole e a istituti di pena), mentre per la maggior parte è destinato alla distillazione alcolica (36 per cento), al compostaggio e biodegradazione (55 per cento) e all'alimentazione animale (4 per cento). Questi impieghi sono da considerarsi come sprechi, in quanto implicano la destinazione del prodotto a un uso differente dall'alimentazione umana per cui era stato coltivato;
    nell'industria agroalimentare lo spreco medio ammonta al 2,6 per cento del totale, pari a circa 1,9 milioni di tonnellate di cibo (escludendo l'industria delle bevande). I prodotti scartati sono tendenzialmente gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi e non destinati, invece, alla ridistribuzione alle fasce deboli della popolazione. La maggior parte degli sprechi di cibo è riscontrabile nell'industria lattiero-casearia e nella lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
    per quanto riguarda la fase della distribuzione, l'attività di ricerca condotta dall'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, offre stime sulla quantità di cibo «gettato via» da parte dei mercati all'ingrosso (centri alimentari e mercati ortofrutticoli) e della moderna distribuzione. Al riguardo, emerge che nel 2009 in Italia sono state sprecate 263.645 tonnellate di prodotti alimentari (per un totale di 900 milioni di euro), il 40 per cento delle quali è costituito da prodotti ortofrutticoli;
    un discorso a parte merita lo spreco alimentare nella ristorazione collettiva che, in massima parte, deriva da un'errata impostazione dei menù, da grammature scorrette e da capitolati di gara spesso mal impostati; soprattutto nella ristorazione ospedaliera, le organizzazioni di settore rilevano che le inefficienze previste all'interno dei capitolati degli appalti fanno registrare sprechi nel vassoio che si aggirano intorno al 20-25 per cento, con picchi del 40 per cento in alcune strutture ospedaliere;
    alcune ricerche dell'Osservatorio ristorazione collettiva e nutrizione evidenziano, inoltre, come nella ristorazione scolastica si possono osservare le seguenti percentuali di spreco (ciò che resta sul piatto): 15-17 per cento primi piatti; 20-25 per cento carne; 35-40 per cento ortofrutta;
    infine, per quel che riguarda la ristorazione aziendale, gli sprechi derivano dal cosiddetto fine linea, i cibi che, da bando, devono essere comunque garantiti a fine turno in quantità corrispondente a quella iniziale;
    per ridurre il tema degli sprechi della ristorazione collettiva occorrerebbe intervenire a monte, rivisitando le modalità che portano alla predisposizione dei bandi per evitare che siano inseriti prodotti di grande richiamo ma che poi non vengono mangiati, rivedendo le grammature all'interno dei capitolati, non per limitare il cibo, ma per ponderarlo in base alle caratteristiche dell'utente, lavorando sul triangolo «cibo-famiglia-scuola», prevedendo percorsi di educazione alimentare nelle scuole rivolti non solo a bambini ma, soprattutto, a insegnanti e genitori;
    il 19 gennaio 2012, il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria la risoluzione su come «evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea», in cui definisce lo «spreco alimentare» e si pone l'obiettivo di ridurre del 50 per cento gli sprechi alimentari entro il 2015 e di dedicare il 2014 come anno europeo contro lo spreco alimentare, attraverso una strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
    per raggiungere gli obiettivi della sopradetta risoluzione sono state coinvolte le autonomie locali in progetti contro lo spreco e, in particolare, sono stati organizzati eventi per favorire la massima adesione dei sindaci al progetto «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero», per ridurre progressivamente gli sprechi attraverso il controllo e la prevenzione di tutte le attività pubbliche e private, che implichino la gestione di cibo, acqua, energia, rifiuti, mobilità e comunicazione;
    la Commissione europea, nella comunicazione «Partecipazione dell'UE all'Expo 2015 di Milano» «Nutrire il pianeta: Energia per la vita» del 3 maggio 2013 ha ribadito che «La sicurezza alimentare è diventata negli ultimi quindici anni un elemento centrale delle politiche dell'UE in questo settore e costituisce la base di un vero e proprio modello per il resto del mondo; l'approccio al cibo nell'UE è allo stesso tempo un prerequisito per salvaguardare la salute di cittadini e consumatori e la pietra miliare su cui si basa la reputazione e il successo dell'industria alimentare europea in tutto il mondo. La sostenibilità assume un'importanza sempre più decisiva per i cittadini europei e a livello mondiale, giacché è sempre più importante utilizzare le risorse in modo più razionale, al fine di garantire la prosperità alle generazioni future e di limitare l'impatto sull'ambiente, preservando le risorse naturali già limitate. Considerando tutto ciò, la partecipazione dell'UE dovrebbe avere anche un fine educativo, non solo sensibilizzando i visitatori, ma anche prospettando loro approcci concreti nel settore dell'alimentazione e della sostenibilità, in modo da permettere ai cittadini di cambiare in positivo i propri stili di vita riducendo, ad esempio, lo spreco di cibo e adottando scelte alimentari più sane»;
    a livello nazionale, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha già avviato, nei mesi scorsi, una strategia nazionale e ha adottato, il 7 ottobre 2013, il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, che affronta in modo organico il problema degli sprechi alimentari in Italia, in sintonia con quanto indicato dalla Commissione europea nella tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse. In tale contesto, è stato istituito il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas) ed è stata proclamata, il 5 febbraio 2014, la prima Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare in Italia; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intende raggiungere entro il 2020 una riduzione del 5 per cento, dei rifiuti per unità di prodotto interno lordo, dei rifiuti urbani, del 10 per cento di quelli pericolosi e del 5 per cento di quelli speciali;
    l'Expo 2015, il cui tema è appunto «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita», rappresenta un'opportunità per affrontare il tema degli sprechi alimentari e per studiare soluzioni innovative a livello globale in considerazione della prevista partecipazione di oltre 140 Paesi all'evento; in quest'occasione si potrebbe arrivare alla definizione di una piattaforma di idee in grado di stimolare nuove azioni per ridurre lo spreco alimentare;
    in tale contesto va senza dubbio evidenziato il ruolo dell'educazione come parte integrante della soluzione globale, soprattutto in relazione ai bambini a cui bisogna trasmettere il valore del cibo in quanto risorsa, per influenzarne i futuri comportamenti; allo stesso modo è importante educare la gente a riutilizzare e riciclare il cibo invece di gettarlo via, tanto a livello domestico che a livello di ristorazione collettiva, come in ospedali, mense e ristoranti,

impegna il Governo:

   ad affrontare, con urgenza, il problema dello spreco alimentare lungo tutta la catena dell'approvvigionamento e del consumo, definendo orientamenti e sostenendo strategie per migliorare l'efficienza della catena agroalimentare e promuovendo il confronto con tutte le organizzazioni e le categorie coinvolte, tenendo conto delle iniziative già presenti a livello nazionale;
   a sostenere l'affermazione di modelli agricoli sostenibili e la trasformazione e il riutilizzo alimentare delle eccedenze alimentari nazionali (ad esempio, in zuppe, succhi di frutta, marmellate, gelati e altro) e la loro distribuzione a enti di aiuto alimentare;
   ad incoraggiare l'adozione di misure atte a ridurre gli sprechi alimentari come, ad esempio, l'etichettatura con doppia scadenza (commerciale e di consumo), o le vendite scontate di prodotti in scadenza o danneggiati, e ad incentivare modalità di packaging differenziato tra prodotti freschi e non;
   a prevedere, in sede di aggiudicazione di appalti pubblici, norme di vantaggio per le imprese che adottano misure per ridurre gli sprechi alimentari anche mediante il ricorso ad approvvigionamenti in ambito locale e territoriale che salvaguardino la qualità e la tracciabilità dei prodotti, garantendo inoltre una programmazione adeguata ai consumi effettivi;
   a promuovere presso tutti gli enti pubblici azioni per evitare lo spreco alla fonte mediante nuove modalità di impostazione dei capitolati di gara nella ristorazione collettiva, che favoriscano le elaborazioni di menù su scala regionale, anziché a livello di singola struttura e, laddove non necessario, ad esempio nelle strutture ospedaliere, che prevedano una rotazione dei menù stagionale e non settimanale, evitando inoltre che vengano inseriti nel capitolato prodotti di grande richiamo ma che poi non vengono mangiati e prevedendo le giuste grammature, ponderate in base alle caratteristiche dell'utente;
   a favorire e a promuovere accordi con le maggiori catene distributive e le industrie alimentari nazionali e straniere, al fine di ridurre gli sprechi alimentari, intervenendo sul packaging (con l'obiettivo di ridurre del 10 per cento l'impatto in termini di emissioni di anidride carbonica), sui comportamenti di consumo domestico (con l'obiettivo di ridurre gli sprechi domestici di alimenti e bevande) e sugli sprechi lungo l'intera filiera distributiva (con l'obiettivo di ridurre lo spreco di prodotti e cibo);
   a realizzare iniziative e campagne informative sui prodotti freschi per indicare ai clienti il modo migliore di conservare più a lungo gli alimenti a casa, così da ridurre lo spreco alimentare;
   a sostenere, per quanto di competenza, i progetti dei comuni, delle province e delle regioni volti a consolidare metodi di lavoro che permettano di attivare in maniera progressiva il sistema di donazioni/ritiri, tenendo sotto controllo gli aspetti nutrizionali, igienico-sanitari, logistici e fiscali;
   ad incentivare e a promuovere modelli logistico-organizzativi che permettano di recuperare in totale sicurezza tutte le tipologie di prodotti, inclusi quelli che rientrano nelle categorie dei «freschi» e «freschissimi»;
   a promuovere progetti educativi e di sensibilizzazione, nelle scuole di tutti i livelli e gradi, sulle quantità di cibo sprecato nelle mense e nelle caffetterie delle scuole per consentire l'adozione di diete equilibrate, apprezzando il legame tra agricoltura, alimentazione, ambiente e salute e valorizzando anche competenze ed esperienze degli operatori della ristorazione collettiva;
   ad attivare un coordinamento tra i Ministeri competenti in materia – quali il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero della salute e il Ministero dello sviluppo economico – e la Conferenza Stato-regioni per la riduzione degli sprechi con l'obiettivo di: monitorare e analizzare la dimensione del fenomeno nel nostro Paese; sostenere le azioni per l'utilizzo di alimenti non consumati nella rete del commercio e della ristorazione; minimizzare tutte le perdite e le inefficienze della filiera agroalimentare, favorendo la relazione diretta tra produttori e consumatori e coinvolgendo tutti i soggetti interessati con l'obiettivo di rendere più eco-efficienti la logistica, il trasporto, la gestione delle scorte e gli imballaggi;
   ad adoperarsi in sede comunitaria al fine di sostenere il 2014, quale «anno europeo della lotta allo spreco alimentare», come percorso avviato dall'Italia per sensibilizzare i cittadini e richiamare l'attenzione delle istituzioni su questo importante tema al fine di ridurre lo spreco alimentare.
(1-00052)
(Nuova formulazione) «Fiorio, Cenni, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cova, Covello, Dal Moro, Ferrari, Marrocu, Mongiello, Palma, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin, Speranza, Martella, Narduolo, Quartapelle Procopio».
(27 maggio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    tra gli squilibri più evidenti che caratterizzano la società quello alimentare è senz'altro il più grave ed assume i connotati di un vero e proprio paradosso: a fronte di oltre un miliardo di persone che soffrono per la mancanza di cibo, un numero equivalente si ammala per cause connesse ad eccessiva alimentazione, quali sovrappeso, diabete e malattie cardiovascolari;
    dati recenti evidenziano che solo il 10 per cento delle morti per fame è provocato da guerre e carestie, il resto è causato da malnutrizione cronica dovuta ad una complessità di elementi che vanno dai meccanismi del sistema economico globale fino agli effetti dei cambiamenti climatici;
    tra i dati registrati, quello riferito all'entità dello spreco alimentare mondiale è indubbiamente il più allarmante. Secondo i risultati dello Global food losses and food waste (perdita e spreco di cibo a livello mondiale), commissionato dalla Fao all'Istituto svedese per il cibo e la biotecnologia (SIK), nonostante la crisi, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo viene sprecato ogni anno; lo spreco annuale dei Paesi ricchi, pari a circa 222 milioni di tonnellate, è pari all'intera produzione alimentare netta dell'area subsahariana e impone una riflessione non solo in considerazione dell'impatto economico ed ambientale, ma anche e soprattutto per la portata etica e sociale dei suoi effetti;
    una della questioni più rilevanti è lo squilibrio nella produzione e nella destinazione di cereali: nel mondo sono presenti circa tre miliardi di animali da allevamento e un terzo dell'intera produzione alimentare globale è riservata alla nutrizione zootecnica;
    una quota crescente di terreni agricoli è destinata alla produzione di biocarburanti e negli Stati Uniti addirittura il 45 per cento del consumo annuale di mais è destinato alla produzione di etanolo per carburanti, in competizione con le colture da cibo non solo per la destinazione del prodotto, ma anche per l'uso del terreno e dell'acqua usata per l'irrigazione;
    le cause di perdite e sprechi alimentari sono molteplici e si differenziano a seconda delle varie fasi della filiera agroalimentare; da un lato, il problema riguarda la filiera produttiva che non calcola picchi di produzione, conservazione e ottimizzazione, dall'altro, investe le abitudini alimentari dei Paesi industrializzati determinando un trend preciso di spreco, di poco rispetto per il cibo, per l'agricoltura e per i Paesi in via di sviluppo che soffrono per la fame, la denutrizione e la cattiva alimentazione;
    mentre nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima fase della filiera, per limiti logistici e strutturali, nei Paesi industrializzati gli sprechi si concentrano sul consumo domestico e la ristorazione, principalmente per cause comportamentali;
    le perdite alimentari che si verificano nella fase di coltivazione e raccolto, nei Paesi in via di sviluppo, sono soprattutto il risultato di un'agricoltura poco efficiente, competenze tecniche limitate, pratiche arretrate e dotazioni infrastrutturali inadeguate, mentre nei Paesi a più alto reddito le motivazioni delle perdite in questa fase sono legate più al mancato rispetto di standard qualitativi ed estetici;
    le perdite che si verificano nella fase di trasformazione agricola ed industriale sono dovute soprattutto ad inefficienze dei processi produttivi che provocano danneggiamenti agli alimenti che per questo vengono scartati;
    le perdite nella fase di distribuzione e vendita sono soprattutto dovute ad un'errata previsione della domanda, ai limiti della tecnologia impiegata per la conservazione dei prodotti, agli standard di vendita che determinano l'esclusione di prodotti non conformi, alle strategie di marketing come il «3x2», che determinano sia una maggiore vendita dei prodotti, ma anche lo spostamento dello spreco alimentare al consumo finale;
    gli sprechi nella fase finale di consumo domestico e ristorazione sono dovuti, soprattutto, all'errata pianificazione degli acquisti, all'inadeguata conservazione del cibo, all'errata interpretazione delle etichette di scadenza degli alimenti e alla scarsa consapevolezza dell'impatto economico ed ambientale degli sprechi alimentari;
    per stimare l'impatto ambientale di un alimento andrebbe considerato il suo intero ciclo di vita, dalle emissioni di gas serra generate dai processi, all'utilizzo di risorse idriche; in base a questo si valuta che il cibo sprecato che incide maggiormente sull'ambiente è rappresentato dai prodotti di origine animale, principalmente latte e carne;
    le stime indicano che, a livello europeo, la quantità di cibo sprecato ogni anno ammonta a 89 milioni di tonnellate, 180 chilogrammi pro capite, il 42 per cento nell'uso domestico, il 39 per cento della fase di produzione, il 14 per cento nella fase di ristorazione, il 5 per cento nella fase di vendita all'ingrosso ed al dettaglio;
    secondo lo studio della Commissione europea, che indica come media i 180 chilogrammi pro capite di cibo sprecato, la situazione nell'Unione europea passa dai 579 chilogrammi pro capite dell'Olanda ai 44 chilogrammi pro capite della Grecia, con l'Italia a 149 chilogrammi pro capite – valore sopra la media mondiale indicata dalla Fao in 95-115 chilogrammi pro capite;
    nel nostro Paese, nonostante gli effetti della crisi economica ed il calo dei consumi alimentari, la Coldiretti stima che annualmente si spreca cibo per circa 37 miliardi di euro, sufficienti a nutrire 44 milioni di persone, quindi circa il 3 per cento del prodotto interno lordo finirebbe nella spazzatura;
    sulla base dei dati rilevati dall'Istat, la percentuale della produzione agricola rimasta nei campi ammonta al 3,25 per cento del totale, la percentuale più alta della produzione non raccolta è quella relativa ai cereali, mentre nella filiera ortofrutticola solo in parte il prodotto ritirato viene destinato alla distribuzione gratuita e alle fasce deboli della popolazione, in quanto in gran parte viene destinato alla distillazione alcolica, al compostaggio e all'alimentazione animale, impieghi da considerarsi sprechi in quanto non destinati al consumo umano per cui erano stati coltivati;
    nell'industria agroalimentare i prodotti scartati sono gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi; maggiori sprechi sono quelli dell'industria lattiero-casearia e della lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
    tra i prodotti alimentari che maggiormente vengono sprecati in Italia, rientra il pane. Secondo una recente inchiesta pubblicata dal quotidiano la Repubblica, sarebbero circa 13 mila i quintali di pane buttati ogni giorno, quasi il 25 per cento del pane prodotto destinato alla grande distribuzione. Il pane invenduto, secondo quanto disposto dalla normativa nazionale, deve essere smaltito come rifiuto e per poter essere donato alle popolazioni svantaggiate è necessario che le reti per la distribuzione agli istituti caritativi lo prelevino dai distributori prima che sia reso. Le reti italiane Caritas o laiche, da questo punto di vista, non risultano organizzate e spesso acquistano il pane per il proprio fabbisogno;
    a livello del consumatore finale, i dati indicano che ogni famiglia italiana spreca in media una quantità di cibo del valore di 454 euro l'anno, soprattutto di prodotti freschi (35 per cento), con il 19 per cento di pane e il 16 per cento di frutta e verdura;
    secondo i dati dell'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, per produrre tutto il cibo che si spreca «si butta» fino a 1,226 milioni di metri cubi di acqua, pari all'acqua consumata ogni anno da 19 milioni di italiani e circa 24,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari a circa il 20 per cento delle emissioni di gas serra del settore dei trasporti. Inoltre, si getta via anche il 36 per cento dell'azoto da fertilizzanti, utilizzati inutilmente con tutti gli effetti e i costi ambientali che ne conseguono;
    nel gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per adottare misure urgenti per dimezzare, entro il 2025, gli sprechi alimentari nell'Unione europea e per migliorare l'accesso al cibo per i cittadini più vulnerabili, e, considerando che gli alimenti sono sprecati lungo tutta la catena – produttori, trasformatori, distributori, ristoratori e consumatori – ha chiesto l'attuazione di una strategia coordinata, che combini misure a livello europeo e nazionale per migliorare l'efficienza, comparto per comparto, dell'approvvigionamento alimentare e contrastare con urgenza lo spreco di cibo;
    il 7 ottobre 2013, proprio al fine di poter raggiungere gli obiettivi della sopraddetta risoluzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha adottato il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, all'interno del quale è stato inserito il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas). Il primo passo per la realizzazione del Piano è stata l'istituzione della prima giornata contro lo spreco alimentare;
    l'obiettivo, secondo quanto dichiarato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è raggiungere, entro il 2020, una riduzione del 5 per cento dei rifiuti per unità di prodotto interno lordo dei rifiuti urbani, del 10 per cento di quelli pericolosi e del 5 per cento di quelli speciali,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    a) aggiornare il Parlamento, entro la fine del 2014, «Anno europeo della lotta allo spreco alimentare», circa il percorso avviato per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas), al fine di ridurre lo spreco alimentare in Italia;
    b) promuovere, anche in collaborazione con le scuole di ogni ordine e grado, programmi e corsi di educazione alimentare, di economia ed ecologia domestica, per rendere il consumatore consapevole degli sprechi di cibo, acqua ed energia e dei loro impatti ambientali ed economico-sociali, anche al fine di dimostrare come rendere più sostenibile l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale degli alimenti e, allo stesso tempo, incentivare, per quanto di propria competenza, iniziative finalizzate alla corretta comunicazione da parte della grande e piccola distribuzione nazionale delle modalità di conservazione dei cibi acquistati;
    c) assumere iniziative per rivedere le regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera, in modo da privilegiare le imprese che promuovono azioni concrete per la riduzione a monte degli sprechi, prevedendo e accordando la preferenza ad alimenti italiani e stagionali, e che pongono particolare attenzione alla grammatura, al contenuto calorico e alla rotazione del menù;
    d) promuovere il potenziamento delle reti caritative nazionali al fine di poter recuperare il pane ogni giorno invenduto dalla grande distribuzione per destinarlo alle popolazioni svantaggiate accolte nei centri caritativi nella penisola;
    e) promuovere iniziative volte a contenere lo spreco alimentare nei luoghi di ristorazione, anche prevedendo la possibilità di asporto per il cibo non consumato;
    f) sostenere tutte le iniziative, sia pubbliche che private, finalizzate al recupero di alimenti rimasti invenduti e scartati lungo l'intera filiera agroalimentare per ridistribuirli gratuitamente alle categorie di cittadini meno abbienti;
    g) assumere iniziative per prevedere una diversa articolazione delle informazioni contenute nelle etichette dei prodotti alimentari, integrando la data prevista per la scadenza commerciale con una relativa al termine utile per il consumo dell'alimento.
(1-00088)
(Ulteriore nuova formulazione) «Gagnarli, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gallinella, Parentela, Zaccagnini, Baldassarre, Lupo, Barbanti, Pesco, Zolezzi».
(11 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    in Europa e in Nord America si stima che i consumatori buttino via tra i 95-115 chilogrammi pro capite di cibo l'anno, mentre nel Sud-Est asiatico e nell'Africa subsahariana il dato è di 6-11 chilogrammi pro capite;
    lo spreco alimentare ha assunto, e sta sempre più assumendo, una dimensione di portata mondiale, tant’è che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato. Il problema dello spreco alimentare è da ritenersi connesso alle politiche economiche e di marketing che, negli ultimi vent'anni, hanno prodotto fattori e azioni comportamentali altamente distorsivi della realtà fattuale e delle conseguenze effettuali che da tali modus comportandi e vivendi ne sono conseguite. Le politiche di marketing delle multinazionali e le normative sulla brevettazione dei prodotti agroalimentari hanno contribuito a generare comportamenti sociali tendenti a produrre sempre più «spreco» e «scarto» alimentare. La cultura del «riciclo» e del «riutilizzo» alimentare fatica non poco ad affermarsi rispetto al suo contrario. La sproporzione della produzione alimentare, senza che ciò abbia nel corso degli ultimi quattro lustri consentito di ridurre drasticamente il numero delle persone che nel mondo non hanno accesso alla nutrizione, ha, al contrario, polarizzato, ulteriormente, le fasce sociali del pianeta. Questa paradossale ipertrofia produttiva ha sull'ambiente impatti devastanti e, se non fermata per tempo, irreversibili. Nell'immaginario collettivo dei Paesi cosiddetti «ricchi» l'educazione alimentare, erroneamente, si traduce in «performanti» diete, o nuovi «costumi alimentari», che si rivelano dannosi per l'organismo umano con ricadute sulla spesa sanitaria che diventa crescente a fronte di nuove patologie connesse all'alimentazione. Il tema della «scarsità delle risorse naturali», che deve essere centrale nell'agenda politica di questo millennio, è vissuto, il più delle volte, come un mero esercizio percettivo. I dati sullo spreco di cibo nei Paesi industrializzati ammontano a 222 milioni di tonnellate, ossia il corrispettivo della produzione alimentare disponibile nell'Africa subsahariana che è di 230 milioni di tonnellate;
    a contribuire, ulteriormente, alla «cultura dello scarto alimentare» a valle, e nella produzione delle eccedenze a monte, è il disallineamento tra la domanda e l'offerta e la non conformità del prodotto agli standard di mercato: calibratura della frutta, aspetto della verdura che non deve presentare macchie o quant'altro possa far percepire all'acquirente la non salubrità del prodotto e le pratiche commerciali che incoraggiano i consumatori a comprare più cibo di quello di cui hanno effettivamente bisogno;
    un altro motivo dello spreco alimentare è da imputare alle etichette che indicano la data di scadenza. Sarebbe corretto porre in etichetta la doppia scadenza: il termine minimo di conservazione, che si riferisce alle caratteristiche qualitative del prodotto, «preferibilmente entro» (data di scadenza commerciale del prodotto) e la data di scadenza vera e propria, «da consumarsi entro», (relativa alla salubrità del prodotto alimentare), al fine di evitare confusione sulla commestibilità del cibo. Inoltre, gli imballaggi per alimenti dovrebbero essere offerti anche in confezioni monodose e progettate per la migliore conservazione possibile. Da ultimo, i cibi prossimi alla scadenza e i packaging danneggiati dei prodotti alimentari dovrebbero essere venduti a prezzi scontati, al fine di renderli economicamente più accessibili alle persone bisognose;
    il 19 gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato, in seduta plenaria, una risoluzione su: «Come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea», la quale si pone come obiettivo principale la riduzione degli sprechi alimentari del 50 per cento entro il 2025 e di dedicare il 2014 quale anno europeo contro lo spreco alimentare, attraverso una strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
    dalla relazione (2011/2175(INI) preparatoria della risoluzione, si evince che, secondo uno studio della Commissione europea, la produzione annuale di rifiuti alimentari nei 27 Stati membri ammonterebbe a circa 90 milioni di tonnellate, ossia 179 chilogrammi pro capite, senza contare gli sprechi a livello di produzione agricola o le catture di pesce rigettate in mare, considerando che entro il 2020 il totale dei rifiuti alimentari aumenterà fino a circa 126 milioni di tonnellate, ovvero il 40 per cento in più dello stock attuale;
    da recenti studi è emerso che, per produrre un chilogrammo di cibo, si immettono in atmosfera in media 4,5 chilogrammi di anidride carbonica, che in Europa si producono 170 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente/anno, ripartiti tra industria agroalimentare (59 milioni di tonnellate), consumo domestico (78 milioni di tonnellate) e prodotti non raccolti nei campi (34 milioni di tonnellate). Si pensi, ad esempio, che in Inghilterra il 30 per cento della produzione orticola non viene raccolta (corrisponde allo spreco di 550 milioni di metri cubi di acqua), percentuale che in Italia si attesta al 3,2 per cento;
    la concentrazione in atmosfera di anidride carbonica, a gennaio 2013, ha raggiunto il record di 395 parti per milione, avviando la temperatura globale – si consideri che il 2012 è stato il nono anno consecutivo più caldo dal 1880 – verso un aumento superiore di due gradi di media, con gravi danni irreversibili all'ambiente, all'agricoltura e, di conseguenza, all'alimentazione;
    la Fao stima che, a livello mondiale, la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate e che 925 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione e la popolazione mondiale ipernutrita è pari a quella sottonutrita e denutrita: questi dati allontanano, oggettivamente, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, incluso quello di dimezzare la fame e la povertà entro il 2015;
    sempre secondo dati della Fao, il previsto aumento da 7 miliardi a 9 miliardi della popolazione mondiale richiederà un incremento minimo del 70 per cento della produzione alimentare entro il 2050;
    Oliver De Schutter, relatore speciale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per il «diritto al cibo», nonché docente universitario di diritto all'Università Cattolica di Lovain-La Neuf (Belgio), nel marzo del 2012 ha presentato al Consiglio per i diritti umani, in conformità alla risoluzione 13/14, la sua relazione che analizza i nessi di causalità tra salute, malnutrizione e spreco alimentare. Relativamente al nesso che esiste tra salute e malnutrizione, il rapporto mette in evidenza che: «(...) l'urbanizzazione, “supermercatizzazione” e la diffusione globale degli stili di vita moderni hanno scosso le tradizioni alimentari. Il problema è di “sistema” e trova le sue cause nel commercio globale, nei cibi troppo elaborati, nelle politiche agricole attuali, nelle tecnologie con brevetto proprietario, nell'elaborare diete “disastrose” dei Paesi sviluppati e in quelli dalle economie emergenti (come il Messico, ad esempio). Il risultato è il disastro per la salute pubblica: 2,8 milioni di persone muoiono prima dei 60 anni a causa di malattie non trasmissibili, diabete e obesità collegate alla dieta, (saranno 5,1 milioni nel 2030, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità) a cui aggiungere le ripercussioni economiche sulla spesa sanitaria pubblica (...)» E, inoltre, il, relatore ha denunciato, in termini generali, la sproporzione che esiste tra gli investimenti pubblicitari nel food, 8,5 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel 2010, e i modesti budget per l'educazione alimentare pubblica, che nello stesso anno sono stati pari a 44 milioni di dollari per il programma federale «Nutrition Physical Activity and Obesity». Nel rapporto si evidenzia come la pubblicità di cibi «spazzatura» (junk food), rivolta ai bambini e non solo, contribuisce all'eccessivo consumo di snack nell'alimentazione quotidiana che ha snaturato la cultura del rispetto e della conservazione del cibo, che è stata falsata dalle multinazionali nella composizione dei valori nutrizionali come, per esempio, nell'alterazione del contenuto dei grassi, degli zuccheri e del sale, al fine di rendere il cibo «appetitoso» e maggiormente prossimo al consumo immediato e meno prossimo alla sua conservazione perché facilmente deteriorabile. Sempre secondo il rapporto il «cibo perso» nei Paesi in via di sviluppo – dove la carenza di infrastrutture e regole stringenti per la conservazione incide fino al 50 per cento sul deterioramento degli alimenti – comincia ad assumere dimensioni quasi vicine a quelle dei Paesi industrializzati;
    nell'Unione europea, oltre 79 milioni di persone vivono ancora al di sotto della soglia di povertà, mentre 18 milioni di persone dipendono dagli aiuti alimentari. Al contempo, le percentuali degli sprechi alimentari sono così ripartite: il 42 per cento dalle famiglie, il 39 per cento dai produttori, il 5 per cento dai rivenditori e il restante 14 per cento dal settore della ristorazione;
    secondo i dati dell'indagine realizzata nel 2012 dalla Fondazione per la sussidiarietà e dal Politecnico di Milano, in collaborazione con Nielsen Italia, lo spreco alimentare in Italia ammonta a 6 milioni di tonnellate, pari a un valore di 12,3 miliardi di euro (6,9 miliardi direttamente dai consumatori). Il cibo sprecato in Italia è di 108 chilogrammi pro capite, 450 euro a famiglia composta da un nucleo di 2,5 persone (famiglia media), 42 chilogrammi a persona di avanzi alimentari non riutilizzati ancora commestibili buttati da ogni italiano in un anno, 35 per cento la percentuale di prodotti freschi sprecati, 250 chilogrammi la quantità di cibo buttato dai 600 ipermercati italiani, 16 per cento la percentuale dello spreco che finisce direttamente nelle discariche per la cattiva gestione del frigorifero famigliare, mentre la parte di cibo recuperato e donato alle food bank e agli enti caritativi rappresenta poco più del 6 per cento del totale;
    sempre secondo l'indagine summenzionata emerge che quasi un miliardo di euro di cibo viene recuperato e l'obiettivo è quello di portare sulla tavola degli indigenti altri 6 miliardi di euro di cibo;
    infatti, non sempre i prodotti ritirati dagli scaffali che sono prossimi alla scadenza finiscono nella pattumiera. Il merito è da attribuire alle onlus come il Banco Alimentare, rete antispreco con oltre 1400 volontari. Obiettivo analogo a quello di Last Minute Market, spin-off dell'università di Bologna che unitamente a SWG ha creato un «Osservatorio sullo spreco alimentare», il cui nome è Waste Watchers (sentinelle dello spreco). Secondo le prime stime fatte da Waste Watchers, in Italia lo spreco alimentare rappresenta l'1,9 per cento del prodotto interno lordo (circa 18,5 miliardi riferiti al 2011) così ripartito: lo 0,23 per cento si colloca nella filiera di produzione (agricoltura), trasformazione (industria alimentare), distribuzione (grande e piccola) e ristorazione (collettiva), il restante valore percentuale, lo 0,96 per cento del prodotto interno lordo, è rappresentato dal livello domestico. La quantità di cibo sprecato potrebbe essere ridotta del 60 per cento con un'educazione più attenta ai consumi alimentari;
    Last Minute Market ha realizzato un documento denominato «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero», il quale viene continuamente arricchito e aggiornato grazie all'implementazione delle conoscenze, allo scambio delle buone pratiche fra amministrazioni e, di conseguenza, all'adozione di nuovi strumenti di analisi e di indirizzo che il documento propone;
    il documento «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero» è stato sottoscritto da oltre 700 sindaci europei e detta un decalogo comportamentale alimentare con cui poter avviare processi razionali al fine di ridurre drasticamente gli sprechi e le perdite alimentari;
    la legge n. 155 del 2003, detta anche legge del «buon samaritano», disciplina il recupero e la distribuzione di alimenti cotti e freschi da parte di organizzazioni non profit a fini sociali. Il principio finalistico della legge è quello di incentivare il riutilizzo di cibo ancora commestibile proveniente dai produttori o dalla grande distribuzione – non più vendibile per difetto di packaging o perché vicino alla scadenza – ma anche dalle mense aziendali e scolastiche. Unico vincolo della legge è l'attenzione da prestare al trasporto e al corretto stato di conservazione degli alimenti, equiparando, di fatto, gli enti non profit ai consumatori finali. Infatti, il recupero del cibo deve avvenire mantenendo «la catena del freddo». Grazie alla legge del «buon samaritano» è stato possibile avviare progetti di raccolta viveri, come il progetto «Siticibo» che in nove anni ha consentito di salvare dal cestino dei rifiuti 2,5 milioni di porzioni distribuendole nelle mense cittadine degli enti e delle organizzazioni caritative;
    la lotta allo spreco alimentare nei Paesi industrializzati è stato avviato alla fine degli anni Sessanta a Phoenix (Arizona, Stati Uniti), grazie a John Van Hengel, attraverso la distribuzione ai bisognosi di cibo non venduto e destinato alla distruzione. Questo strumento di «perequazione alimentare» ha assunto il nome di food bank, banco alimentare, che si è diffuso in Europa negli anni Ottanta e in Italia nasce nel 1989. Basato sul concetto di «dono e condivisione», il banco alimentare si estrinseca nella raccolta delle eccedenze di produzione alimentare agricola e industriale, specificatamente riso, olio d'oliva, pasta e latte. In Italia la raccolta delle eccedenze viene effettuata dal 1995 dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), la quale ridistribuisce le eccedenze agli enti caritativi iscritti nel relativo albo istituito presso l'ente medesimo;
    il maggiore fornitore della rete che fa capo ai banchi alimentari d'Europa è stata l'Unione europea, attraverso il Programma europeo d'aiuto agli indigenti, Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), nato nel 1987 all'interno della Politica agricola comune (Pac). Il programma d'aiuto è stato concepito come misura per evitare che le eccedenze della produzione agricola europea fossero distrutte. Oggi, queste eccedenze, grazie alle numerose revisioni della Politica agricola comune e al miglioramento delle pratiche tecniche di conservazione, si sono sempre più ridotte, portando l'Unione europea ad acquistare direttamente sul mercato le derrate da donare ai poveri che, in Europa, rappresentano 18 milioni di persone;
    il 14 novembre 2011, il Consiglio dei ministri dell'agricoltura dei 27 Stati membri riuniti a Bruxelles ha sbloccato i piani di assistenza, Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), per gli anni 2012 e 2013 che prevedono lo stanziamento di 500 milioni di euro l'anno; all'Italia per l'anno 2013 sono stati assegnati 98 milioni di euro;
    il 31 dicembre 2013 si è concluso il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead);
    la Commissione europea ha proposto che, nel Quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, il programma d'aiuti alimentare debba essere coperto non più con i fondi della politica agricola, ma con quelli della coesione sociale, Fondo sociale europeo, prevedendo 2,5 miliardi di euro per i sette anni della nuova programmazione finanziaria comunitaria. Alcuni Paesi europei hanno sostenuto che il programma dovesse rientrare nell'ambito delle politiche sociali, di competenza quindi dei singoli Paesi, e non più con la cabina di regia dell'Unione europea, con il rischio di scatenare una guerra tra poveri;
    il 12 giugno 2013 il Parlamento europeo, in seduta plenaria, ha votato a favore della nuova proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo al finanziamento del nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), che andrà a sostituire il programma di distribuzione delle derrate alimentari Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead). Il di aiuti europei agli indigenti sarà costituito da una base obbligatoria di finanziamento di 2,5 miliardi di euro e gli Stati membri possono decidere di aumentare le proprie allocazioni di un ulteriore miliardo di euro su base volontaria;
    il Consiglio europeo del 27-28 giugno 2013 ha sollecitato la necessità di adottare in tempi rapidi tutti i dossier strettamente correlati al Quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea e, pertanto, tutte le istituzioni hanno insistito per un rapido accordo anche sul «Fondo indigenti», affinché lo stesso diventi operativo tra la fine del 2013 e gli inizi del 2014;
    l'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ha istituito il «Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti», gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), con lo scopo di raccogliere le derrate alimentari, a titolo di erogazioni liberali, dagli operatori della filiera agroalimentare e da organismi agricoli o imprese di trasformazione dell'Unione europea, al fine di far fronte alle eccedenze alimentari e consentire, conseguentemente, la redistribuzione sul territorio nazionale al fine di ridurre lo spreco alimentare;
    a fronte dei dati preoccupanti, relativi allo spreco alimentare in Europa, la Commissione europea ha deciso di avviare, recentemente, una «consultazione pubblica sul cibo» che si è conclusa il 1o ottobre 2013. L'obiettivo della Commissione europea è quello di individuare azioni efficaci per ridurre lo spreco alimentare e, in generale, di come assicurare che il sistema utilizzi le risorse in modo efficiente, secondo il principio della scarsità delle risorse. I risultati della consultazione costituiranno la base per una «Comunicazione sul cibo sostenibile»,

impegna il Governo:

   a promuovere, in sede comunitaria e nazionale, modelli di agricoltura sostenibile al fine di ridurre, drasticamente, a monte e a valle della filiera alimentare, gli sprechi che si producono a causa dei requisiti di qualità imposti dalla legislazione europea e nazionale, concernenti l'aspetto e la calibratura degli ortofrutticoli freschi che, nel tempo, si sono rivelati tra le principali cause di produzione di inutili scarti alimentari, nonché di cibo sprecato, e, susseguentemente, adottare opportune iniziative normative di settore con cui spiegare ai consumatori il valore nutritivo di prodotti agricoli che presentano forme o calibri imperfetti;
   ad agire, congiuntamente con gli altri partner europei in materia d'investimenti relativi alla promozione di programmi comunitari finanziati dall'Unione europea, al fine di introdurre specifiche iniziative «faro» sull'educazione alimentare, sull'ecologia domestica e di filiera;
   a farsi promotore in ambito europeo dell'istituzione della comunità della conoscenza e dell'innovazione per l'alimentazione;
   a far sì che, in occasione dell'Esposizione universale «Expo Milano 2015», titolata «Nutrire il Pianeta, energia per la vita», venga adottato un «Piano tra Nazioni», incentrato sulla prevenzione dello spreco di cibo e sull'educazione alimentare, con cui, da un lato, fronteggiare lo spreco e, dall'altro, impedire che diete «dannose» per la salute distorcano le reali esigenze nutrizionali dell'organismo umano;
   ad adoperarsi nel semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea per far proclamare l'anno 2015 «anno contro lo spreco alimentare», con lo scopo di stimolare l'opinione pubblica ad assumere comportamenti maggiormente responsabili rispetto alla fruibilità sostenibile degli agroalimenti;
   ad introdurre, sin dal prossimo ciclo scolastico della scuola dell'obbligo, programmi di studio di «educazione alimentare e gestione ecosostenibile delle risorse naturali» che abbiano, quale punto di partenza, gli effetti negativi che lo spreco alimentare produce, facendo sì che tali programmi di studio tendano a strutturare, nell'immaginario delle future generazioni, un approccio meno utilitaristico e maggiormente eco-responsabile delle risorse naturali viste nella loro complessità sistemica;
   a valutare eventuali modifiche alle regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera, in modo da privilegiare, in sede di aggiudicazione a parità di altre condizioni, quelle imprese che garantiscono la ridistribuzione gratuita di cibo eccedente a cittadini indigenti, attraverso enti non profit;
   ad introdurre modifiche normative sulla commercializzazione e la vendita dei prodotti agroalimentari, partendo dall'introduzione della doppia scadenza che indichi le caratteristiche qualitative del prodotto, «preferibilmente entro» (data di scadenza commerciale), e la data di scadenza vera e propria, «da consumarsi entro», relativa alla salubrità del prodotto alimentare, al fine di non generare confusione per il consumatore finale;
   ad introdurre in campo agricolo e agroenergetico misure normative volte alla valorizzazione degli alimenti non più commestibili, ma utili nella produzione di energia rinnovabile e di concimi organici;
   ad elaborare un testo unico di riordino della materia – alla luce di quanto esposto nel presente atto di indirizzo – che, ad oggi, appare regolata in modo non organico sia dalla legge n. 155 del 2003, sia dall'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, che ha istituito il «Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti» e, conseguentemente, a istituire un osservatorio nazionale sullo spreco alimentare, d'intesa con il sistema delle regioni e delle province autonome, al fine di conoscere in maniera più organica gli effetti delle esternalità negative sull'economia, sul sistema sanitario e sul sistema sociale che lo spreco alimentare genera;
   a tenere in debita considerazione, anche legislativa, quanto previsto dal documento «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero»;
   a valutare l'inserimento obbligatorio, a carico delle imprese che fanno pubblicità a prodotti destinati al consumo umano, nelle comunicazioni pubblicitarie, del messaggio «lo spreco alimentare è un problema per la salute e l'ambiente. Mangia sano e quanto basta. Per maggiori informazioni consulta un esperto medico», o altro messaggio equivalente.
(1-00161)
(Ulteriore nuova formulazione) «Migliore, Franco Bordo, Palazzotto, Zan, Zaratti, Pellegrino».
(1o agosto 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il complesso fenomeno dello spreco alimentare, la cui definizione univoca attualmente non è disponibile, rappresenta uno dei principali paradossi globali dell'epoca recente e, contemporaneamente, una sfida sempre più importante nell'attuale contesto di crisi economica globale e di nuovi problemi di povertà alimentare anche nei Paesi avanzati;
    numerose analisi effettuate da organizzazioni internazionali, come ad esempio la Fao, e specifici studi sull'articolata problematica hanno constatato come, nonostante la popolazione a livello mondiale sia pari a 7 miliardi, il cibo prodotto risulta essere per 12 miliardi di persone, ma ciononostante 842 milioni di individui soffrono la fame, ovvero una persona su otto;
    le molteplici cause, che derivano dalle perdite che si determinano sia a monte della filiera agroalimentare, principalmente in fase di semina, coltivazione, raccolta, trattamento, conservazione e prima trasformazione agricola, che durante la trasformazione industriale, distribuzione e consumo finale, a cui si aggiungono molto spesso le date di scadenza troppo ravvicinate indicate sulle etichette dei prodotti agroalimentari, inducono i Governi mondiali e le istituzioni internazionali ad un ripensamento delle politiche di sviluppo adottate e dei modelli di riorganizzazione su scala planetaria, per favorire nuove forme di solidarietà, di crescita economica e di redistribuzione delle risorse;
    una differenziazione delle dinamiche che caratterizzano lo spreco alimentare tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo risulta necessaria al fine di comprendere con maggiore efficacia il medesimo fenomeno socioeconomico su scala mondiale; se, infatti, l'arretratezza delle pratiche e delle tecniche agricole, che caratterizza la prima parte della filiera agroalimentare, o la mancanza di adeguate infrastrutture per il trasporto e l'immagazzinamento, rappresentano le principali cause di perdite e sprechi alimentari nei Paesi in via di sviluppo, in quelli industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali della filiera agroalimentare, ovvero il consumo domestico e la ristorazione in particolare;
    uno studio recente della Commissione europea ha rilevato che, nonostante circa 79 milioni di cittadini comunitari vivano al di sotto della soglia di povertà e 16 milioni di essi dipendano dagli aiuti alimentari, la quantità di cibo che viene sperperata annualmente ammonta a circa 89 milioni di tonnellate, pari a 180 chilogrammi pro capite;
    i numeri dello spreco alimentare nel nostro Paese, secondo i dati forniti dall'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, e dall'Università di Bologna, sul rapporto 2013, resi noti nel mese di ottobre 2013, risultano di estrema gravità, in considerazione che ogni famiglia italiana spreca in media circa 200 grammi di cibo alla settimana, pari a circa 18,5 miliardi di euro (dati del 2011), ovvero l'1,19 per cento del prodotto interno lordo; il medesimo organismo di ricerca ha inoltre, rilevato ed evidenziato come sia lo spreco domestico ad incidere in modo considerevole sulla quota annuale del cibo sprecato, aggiungendo inoltre che, ove si praticassero differenti metodi, il risparmio complessivo possibile ammonterebbe a circa 8,7 miliardi di euro;
    secondo i monitoraggi effettuati dalla società di ricerca Last Minute Market si evidenzia, inoltre, che in un anno si potrebbero recuperare in Italia 1,2 milioni di tonnellate di derrate che rimangono sui campi, oltre 2 milioni di tonnellate di cibo dall'industria agro-alimentare e più di 300 mila tonnellate dalla distribuzione;
    i suindicati dati relativi a sprechi e perdite alimentari hanno determinato, nel corso degli ultimi anni, ed in particolare nell'attuale fase di profonda crisi economica tutt'altro che superata per il nostro Paese, evidenti impatti negativi ambientali ed economici e la loro esistenza solleva questioni che suscitano importanti interrogativi, dal punto di vista sociale, mostrando fra l'altro la scarsa consapevolezza dell'entità degli sprechi che ognuno produce, sia a livello nazionale che internazionale, se si valuta che dal rapporto della Fao emerge che un terzo della produzione agroalimentare mondiale si perda proprio negli sprechi;
    nell'ambito delle strategie volte a contrastare il grave fenomeno, la legislazione italiana, attraverso l'articolo 58 della legge n. 153 del 2012, ha previsto l'istituzione del fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti nel territorio della Repubblica italiana, gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) stabilendo, inoltre, che gli aiuti alimentari siano distribuiti agli indigenti mediante organizzazioni caritatevoli, conformemente alle modalità previste dal regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007;
    il modello di distribuzione, individuato dal Governo, è quello contenuto nel programma di aiuti agli indigenti finanziato dall'Unione europea, in base al regolamento (UE) n. 807/2010 (recante modalità d'esecuzione delle forniture di derrate alimentari provenienti dalle scorte d'intervento a favore degli indigenti nell'Unione europea);
    il predetto fondo, rifinanziato con 10 milioni di euro individuati dall'articolo 1, comma 224, della legge di stabilità per l'anno 2014 (legge n. 147 del 2013), si è rivelato complessivamente insufficiente nel gestire le attuali gravissime esigenze provenienti da una fascia di popolazione rilevante, che si trova in evidenti difficoltà;
    nell'ambito della Politica agricola comune dell'Unione europea, il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti è risultato uno strumento di sostegno pubblico rilevante ed apprezzato, nonostante le dimensioni complessive e le pratiche utilizzate evidenzino come la risoluzione del fenomeno permanga in maniera estremamente grave a livello sociale ed economico;
    occorre tuttavia rilevare che l'operatività del sopraddetto programma, che è stato gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), unitamente alla rete nazionale di enti e associazioni caritative presenti sul territorio nazionale, a partire dal 2014, sia stata tuttavia sospesa, in quanto per il medesimo strumento d'intervento non sono state più attribuite le necessarie risorse a causa della decisione di alcuni Stati membri dell'Unione europea di finanziare, attraverso la nuova Politica agricola comune, l'acquisto di generi alimentari per scopi sociali;
    a livello europeo, l'indicato programma è stato sostituito da un nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), che tuttavia non sarà più inserito all'interno della Politica agricola comune, ma nel Fondo sociale europeo;
    la sfera d'intervento della nuova misura prevede maggiori margini decisionali per gli Stati membri, i quali ciononostante potrebbero decidere di non proseguire l'attuale programma con le medesime modalità, determinando possibili effetti negativi e penalizzanti, connessi al ridimensionamento o addirittura all'interruzione nella distribuzione di alimenti agli indigenti, per gli organismi istituzionali nazionali e locali ed un conseguente rischio d'incremento di tensioni sociali;
    le iniziative legislative avviate a livello nazionale e comunitario, volte a rivedere le norme relative alle scadenze riportate sulle etichette dei prodotti alimentari, per ridurre drasticamente lo spreco di cibo entro il 2025, nonché a promuovere nuove campagne di sensibilizzazione, per informare il pubblico su come evitare lo spreco alimentare, in considerazione dell'esiguità dei metodi utilizzati e della superficiale distinzione tra eccedenza e spreco e tra spreco e scarti, sebbene importanti e condivisibili, appaiono tuttavia non sufficienti ad invertire una tendenza del fenomeno, la cui impostazione errata, tuttora esistente, necessita di adeguate politiche e strategie di contrasto, attraverso una revisione di modelli e metodi utilizzati, per acquisire idonee informazioni anche nei confronti dei Paesi progrediti,

impegna il Governo:

   ad assumere in tempi rapidi iniziative di natura finanziaria, volte ad integrare il Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, istituito presso l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, di cui all'articolo 58 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, e rifinanziato dal comma 224 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n.147 legge di stabilità per il 2014;
   ad intervenire in sede comunitaria al fine di modificare il regolamento (UE) n. 223/2014, relativo al Fondo di aiuti europei agli indigenti, affinché le risorse previste rientrino all'interno della Politica agricola comune, consentendo il proseguimento dell'erogazione da parte dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura in concorso con le organizzazioni caritative;
   a prevedere adeguate campagne educative, anche per il prossimo anno scolastico 2014-2015 (corrispondente al V anno di attuazione del programma «Frutta nelle scuole»), ad integrazione delle misure di accompagnamento previste, nonché campagne informative in occasione dell'esposizione universale Expo 2015, volte ad offrire suggerimenti su come ridurre gli sprechi alimentari;
   a sviluppare accordi di filiera tra agricoltori, produttori e distributori, anche attraverso l'istituzione di un tavolo di partenariato, per una programmazione più corretta dell'offerta alimentare;
   a prevedere programmi volti a definire politiche di investimento prima nel campo della riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e successivamente in quello del recupero;
   ad assumere iniziative per prevedere un sistema di premialità fiscale per le filiere che si occupano del recupero, della raccolta e della distribuzione, anche con sistemi di logistica dedicati, delle produzioni agroalimentari e della riduzione degli sprechi;
   a promuovere in sede europea un piano di armonizzazione fra gli Stati membri, finalizzato alla raccolta di dati statistici sul fenomeno degli sprechi alimentari, nonché a stabilire un significato univoco per i termini «food loss», ovvero le perdite che si determinano a monte della filiera agroalimentare, principalmente in fase di semina, coltivazione e raccolta, e «food waste», ovvero gli sprechi che avvengono durante la trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale;
   per evitare gli sprechi, ad avviare iniziative di recupero degli alimenti non ancora entrati nel ciclo dei rifiuti, attraverso la distribuzione ad individui svantaggiati, l'impiego come mangime o, come ultima alternativa, la produzione di bioenergia.
(1-00472)
«Faenzi, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Russo, Palese, Mottola».
(26 maggio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo il rapporto della Fao Global food losses and food waste del 2011 (perdita e spreco di cibo a livello mondiale), un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo viene sprecato; ogni anno nei Paesi ricchi viene persa una quantità di cibo equivalente a quella prodotta nell'Africa subsahariana (222 milioni di tonnellate contro 230); negli Stati Uniti il 30 per cento del cibo prodotto ogni anno viene gettato via; l'ammontare di cibo che va perduto o sprecato ogni anno è equivalente a più di metà dell'intera produzione annuale mondiale di cereali (2,3 miliardi di tonnellate nel 2009/2010). In Europa e in Nord America lo spreco pro capite è calcolato intorno ai 100 chilogrammi all'anno, mentre in Africa subsahariana e nel sud-est asiatico ammonta a circa 10 chilogrammi l'anno;
    in Italia, lo spreco alimentare annuo ammonta a 6,5 milioni di tonnellate, pari a 108 chilogrammi pro capite, una cifra inferiore rispetto alla media europea, ma pur sempre preoccupante;
    il problema dello spreco alimentare è molto serio e non riguarda solo il nostro Paese ma anche una fetta importante dell'intero pianeta. Con l'aumento dei consumi cresce anche la quantità di cibo che viene quotidianamente sprecato;
    molti dei prodotti alimentari destinati alle mense scolastiche non sono ottenuti dalle materie prime originarie dei territori in cui sono consumati, né sono riferibili alle tradizioni alimentari dei territori medesimi;
    le attuali politiche di approvvigionamento di prodotti alimentari destinati alla refezione scolastica tendono, nel loro complesso, a contribuire al processo di progressivo indebolimento della componente agricola all'interno delle filiere agroalimentari e a generare costi a carico dell'acquirente finale che, nel caso specifico, è, in primo luogo, identificabile nel contribuente o, in ogni caso, nei soggetti che si fanno materialmente carico di sopportare gli oneri relativi al consumo di pasti nelle mense scolastiche;
    il consumo di prodotti alimentari di qualità (denominazione di origine protetta, indicazione geografica protetta, attestazioni di specificità e prodotti biologici) e, più, in genere, di prodotti tipici e di territorio, è riconosciuto come funzionale al mantenimento di un buono stato di salute ed è, pertanto, particolarmente indicato per i bambini, ai fini, di una corretta educazione alimentare, volta anche a limitare la diffusione di stati patologici, quali l'obesità che, con crescente e preoccupante frequenza, interessa le fasce di età più giovani della popolazione;
    il consumo di prodotti tipici e di qualità concorre, altresì, al mantenimento di forme di agricoltura ancorate al territorio e, quindi, anche alla tutela ed allo sviluppo dei valori economici, sociali e culturali che sono propri dei territori di cui gli stessi prodotti sono espressione;
    le regioni e province possono garantire un'alimentazione sana, varia e completa, dalle carni ai formaggi, dal riso agli ortaggi, dalle uova alla frutta. Assicurare una dieta equilibrata e corretta educa i bambini a mangiare secondo la stagionalità e la territorialità dei prodotti e sostiene le filiere locali tenendo sempre presente però le necessità di salute, di religione o esigenze particolari;
    adottare nelle scuole una dieta alimentare somministrando ai bambini prodotti provenienti sia dal territorio della provincia che della regione in cui è situata la scuola, nonché prodotti italiani, lasciando comunque uno spazio nei menù ai prodotti provenienti anche dall'Unione europea o da altre parti del mondo, significa educare i giovani ad una sana e corretta alimentazione, facendogli anche comprendere l'importanza della problematica dello spreco alimentare e, inoltre, promuove le specificità del territorio;
    così si rilancerebbe la filiera locale di produzione che significa, prima di tutto, prodotti sempre freschi e genuini, con dei costi molto contenuti e con un'attenzione anche all'ambiente;
    essendo prodotti provenienti dal territorio, si ridurrebbero al minimo le emissioni di anidride carbonica derivati dal trasporto e, altresì, si incentiverebbe anche la conoscenza dei prodotti tipici locali all'interno delle scuole, prodotti apprezzati e invidiati in tutto il mondo;
    complice la crisi economica, oggi appena il 36 per cento degli italiani dichiara di attenersi rigorosamente alla data di scadenza dei prodotti riservandosi di valutare personalmente la qualità dei prodotti scaduti prima di buttarli. Solo il 54 per cento degli italiani controlla quotidianamente il frigorifero e il 65 per cento controlla almeno una volta al mese la dispensa;
    con la crisi si registra, peraltro, un'inversione di tendenza e quasi tre italiani su quattro (73 per cento) hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013, anche per effetto della necessità di risparmiare e di ottimizzare la spesa dallo scaffale alla tavola;
    la tendenza al contenimento degli sprechi è forse l'unico aspetto positivo della crisi in una situazione in cui ogni persona in Italia ha comunque buttato nel bidone della spazzatura ben 76 chili di prodotti alimentari durante l'anno;
    l'Unione europea si sta apprestando a rivedere le norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari per far sparire le scritte «da consumarsi preferibilmente entro» dalle confezioni di prodotti di pasta, riso, tè, caffè e formaggi duri, quindi estendere ai prodotti secchi la lista dei prodotti per i quali attualmente non è prevista una scadenza, come sale e aceto;
    questa modifica era all'ordine del giorno della riunione del 19 maggio 2014 del Consiglio Agricoltura e Pesca, dove i Ministri hanno affrontato le proposte delle delegazioni di Olanda e Svezia, sostenute da Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo, che intendevano in questo modo richiamare l'attenzione sul problema degli sprechi alimentari in Europa;
    la giustificazione di questa proposta era incentrata sul fatto che spesso i cibi vengono buttati via ancora integri a causa dell'insicurezza nei consumatori perché portati a confondere, e quindi allarmati dalle possibili conseguenze sulla salute, la data di scadenza vera e propria – «da consumarsi entro» – con i termini minimi di conservazione (tmc) – «da consumarsi preferibilmente entro» – che è stato introdotto a garanzia dei consumatori;
    la data di scadenza indica il termine entro il quale il prodotto deve essere consumato ed anche oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio ed è prevista per tutti i generi deperibili come latte, yogurt, ricotta, uova, pasta fresca ed altri. Il termine minimo di conservazione, invece, indica la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Tanto più ci si allontana dalla data di superamento del termine minimo di conservazione, tanto più vengono a mancare le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento;
    il Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori, Tonio Borg, al termine dei lavori del Consiglio europeo, ha dichiarato che verso la metà di giugno 2014 presenterà insieme al collega all'ambiente, Janez Potocnik, una comunicazione sull'alimentazione sostenibile dove si parlerà anche della data limite di consumo di alcuni alimenti. La comunicazione, che non è una proposta legislativa, sarà discussa sotto il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea e, quindi, sarà proprio l'Italia che potrà dare un primo orientamento al dibattito in attesa di una proposta;
    le nuove forme di spreco alimentare non riguardano solo i cibi ma anche l'utilizzo non corretto di prodotti destinati all'alimentazione umana e animale, come l'uso del mais o dei foraggi nei digestori per produrre energia,

impegna il Governo:

   ad adottare, al fine di ridurre gli sprechi alimentari, tutte le iniziative necessarie affinché, anche attraverso il potenziamento degli strumenti normativi esistenti, l'approvvigionamento di prodotti alimentari destinati ai servizi di mensa scolastica provenga dal territorio, dalla provincia, dalla regione e dall'Italia, da reperire, principalmente, attraverso modalità finalizzate a favorire l'avvicinamento tra la fase produttiva agricola e quella di consumo;
   a rendere partecipe il Parlamento su quale sarà la posizione del Governo, durante il semestre di presidenza europeo, circa le modifiche proposte che sono state illustrate in sede di Consiglio Agricoltura e Pesca del mese di maggio 2014 in merito alle norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari.
(1-00475)
«Caon, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(26 maggio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la Fao ritiene che agricoltura, allevamento e pesca producano una volta e mezzo la quantità di cibo necessaria a sfamare gli abitanti della terra con una dieta adeguata e nutriente. Nel corso degli ultimi 50 anni, metodi sempre più efficaci di produzione agricola hanno notevolmente aumentato la resa dei terreni, l'efficienza degli allevamenti e, complessivamente, la produzione alimentare;
    questa enorme disponibilità, le modalità con cui le industrie alimentari si approvvigionano, lavorano e presentano ai consumatori gli alimenti, hanno favorito nel mondo occidentale una percezione errata sul valore del cibo e sull'enorme lavoro che c’è dietro ogni prodotto commestibile. D'altro canto, l'agricoltura, la pesca e la zootecnia industriali non hanno come principale obiettivo quello di rispondere alle esigenze delle comunità locali, bensì lo scopo di realizzare il maggior profitto possibile vendendo i prodotti sui mercati più redditizi;
    il dato che l'alimentazione influisca per una percentuale inferiore al 20 per cento sui bilanci delle famiglie occidentali genera nei consumatori la sensazione che si tratti di un bene sempre accessibile e di valore relativo; ben diversa è la situazione nei Paesi non caratterizzati dall'economia di mercato, quali ad esempio i Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo, dove l'alimentazione influisce per circa il 60 per cento sui bilanci delle famiglie;
    sul mercato internazionale, inoltre, i principali beni alimentari sono trattati come commodity, termine con cui si definiscono i beni per i quali c’è una domanda scarsamente comprimibile, offerti senza differenze qualitative sul mercato e che sono fungibili: come il petrolio, il gas o l'oro e anche il grano, il mais, la soia, il riso, lo zucchero e il caffè. Le commodity, inoltre, possono costituire un'attività sottostante per vari tipi di strumenti finanziari derivati, in particolare per i futures (che sono scommesse sul prezzo futuro dei beni) e, quindi, sono oggetto di speculazione; da tempo taluni Stati dell'Unione europea chiedono di escludere i beni alimentari dal mercato dei derivati, per gli effetti moltiplicativi sui prezzi in caso di diminuzione dei raccolti;
    i numerosi dati diffusi sullo spreco alimentare nel nostro Paese sono sovente sovrastimati e scontano un'impostazione ideologica volta quasi a colpevolizzare i cittadini (gli sprechi di tutta la filiera, ad esempio, sono imputati pro capite); peraltro, molte delle soluzioni redistributive avanzate non tengono sufficientemente conto dei costi di recupero e redistribuzione dei cosiddetti sprechi di cibo: solo una quota di quel che avanza può essere recuperata senza costi superiori ai benefici;
    correttamente gli esperti in materia (in particolare quanti studiano tali problematiche presso il Politecnico di Milano) distinguono tra «eccedenza» e «spreco alimentare»: l'eccedenza è la quantità di cibo prodotto, perfettamente commestibile e che, per vari motivi, non arriva al consumatore attraverso i canali di distribuzione tradizionali. Dunque, è un «di più» rispetto alla domanda di consumo. Il punto è far sì che questa eccedenza venga recuperata a scopo alimentare, cioè donata a chi ne ha bisogno e non gettata in discarica o utilizzata come fonte energetica;
    ciò premesso, la ricerca del Politecnico di Milano (primavera 2012), realizzata dopo avere intervistato 10 esperti, analizzato 124 studi sul problema e consultato un panel di 6.000 nuclei familiari e alcune food bank impegnate nella raccolta delle eccedenze alimentari, ha stimato, con riferimento a tutta la filiera alimentare, che ogni anno in Italia vengono prodotti 6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari: 2,5 milioni da parte dei consumatori, 2,3 milioni dai produttori primari (gli agricoltori e allevatori) e il resto nella fase di trasformazione (0,18 milioni), distribuzione (0,77 milioni) e ristorazione (0,2 milioni);
    valutando quanto valgono in percentuale queste eccedenze, rispetto alla quantità totale di cibo gestita in ogni stadio della filiera, si scopre così che le eccedenze generate nei campi sono il 2,9 per cento della produzione agricola totale, mentre quelle generate nella fase di distribuzione rappresentano il 2,5 per cento di tutte le merci mobilitate. Nelle aziende di trasformazione le eccedenze sono pari allo 0,4 per cento, mentre sono maggiori gli impatti nella ristorazione (6,3 per cento) e tra i consumatori (8 per cento);
    altro elemento contraddittorio e preoccupante è lo sperpero di tali beni, se si considera che ogni anno vengono sprecate ben 5,5 milioni di tonnellate di cibo per un valore di 12,3 miliardi di euro e solo mezzo milione di tonnellate di quanto prodotto in più viene recuperato a scopo alimentare e donato a fini solidaristici;
    ripercorrendo i vari stadi della filiera, il dato più virtuoso è di nuovo quello della trasformazione, che recupera il 55 per cento delle sue eccedenze. Seguono la produzione primaria, che recupera il 12 per cento, la ristorazione (9 per cento) e la distribuzione (8 per cento). I consumatori invece sprecano praticamente il 100 per cento delle loro eccedenze, per un valore di circa 5,7 miliardi di euro l'anno. Si tratta, inoltre, di un notevole impatto ambientale se si considera che una sola tonnellata di rifiuti alimentari genera fino a 4,2 tonnellate di anidride carbonica. Finiscono nella spazzatura il 19 per cento del pane, il 4 per cento della pasta, il 39 per cento dei prodotti freschi (latticini, uova, carne e preparati) e il 17 per cento di frutta e verdura;
    il rapporto del Politecnico è riferito a dati del 2011, ma queste valutazioni sono in linea di massima confermate dal Rapporto 2013 di Knowledge for Expo e Waste Watchers, da cui emerge che gli italiani sprecano, nel modo al quale si è accennato, ogni settimana dai 4,81 ai 13 euro per famiglia, per un totale di 8,7 miliardi di euro di spesa. Lo spreco domestico è valutato attorno all'8 per cento dei costi sostenuti;
    più elevati sono i valori calcolati (aprile 2014) dalla Confederazione italiana agricoltori, secondo la quale ogni famiglia italiana in un anno spende mediamente 515 euro in alimenti che poi non consumerà, sprecando circa il 10 per cento della spesa mensile; si tratta di oltre 4.000 tonnellate di cibo acquistate dai consumatori e buttate in discarica ogni giorno, pari a 6 milioni di tonnellate in un anno;
    ciò avviene nonostante gli italiani siano tra i più virtuosi nell'ambito dell'Unione europea: in Gran Bretagna ogni anno vanno persi 6,7 milioni di tonnellate di alimenti per un valore di 10 miliardi di sterline. In Svezia ogni famiglia getta nella spazzatura il 25 per cento del cibo comprato, mentre in Cina tale valore si attesta al 16 per cento. Si è, comunque, ben distanti dal dato clamoroso degli Stati Uniti, che nel complesso non utilizzano il 40 per cento della spesa alimentare; enormi risorse sono utilizzate per la produzione di cibo non consumato negli Usa: il 30 per cento di fertilizzante, il 31 per cento delle terre coltivate, il 25 per cento del consumo totale di acqua dolce e il 2 per cento del consumo totale di energia;
    dalle valutazioni effettuate nel 2011 dalla Commissione europea (Consumer Empowerment in the EU – SEC(2011) 469), i rifiuti alimentari nei 27 Stati membri ammonterebbero a circa 89 milioni di tonnellate, che aumenteranno, sempre secondo attendibili stime, a 126 milioni di tonnellate nel 2020 (ossia 179 chilogrammi pro capite l'anno, di cui 108 in Italia) che potrebbero aumentare fino a 238: questo senza contare gli sprechi a livello di produzione agricola o ittica (le catture di pesce rigettate in mare);
    sulla base di questi dati, il 19 gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione (2011/2175(INI)) sullo spreco di alimenti nella quale si cerca di individuare le strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea al fine di ridurre gli sprechi alimentari del 50 per cento entro il 2025, anche in considerazione del fatto che nell'Unione europea 79 milioni di persone (il 15 per cento) vivono ancora al di sotto della soglia di povertà (cioè con un reddito inferiore al 60 per cento del reddito medio del Paese di residenza) e che, di questi, circa 16 milioni hanno ricevuto aiuti alimentari attraverso enti di beneficenza;
    la risoluzione del Parlamento europeo rileva che lo spreco alimentare ha origine per diversi motivi: la sovra-produzione, l'errata individuazione del target del prodotto (forma o dimensioni inadatte), il deterioramento del prodotto o dell'imballaggio, le norme di commercializzazione (problemi di aspetto o imballaggio difettoso), oppure l'inadeguatezza della gestione delle scorte e delle strategie di marketing; infine, l'errata valutazione negli acquisti da parte dei consumatori;
    quanto alle soluzioni, la risoluzione del Parlamento europeo insiste sulla necessità di adottare una strategia coordinata al fine di evitare gli sprechi alimentari e di migliorare l'efficienza della catena agroalimentare: a) promuovendo relazioni dirette fra i produttori e i consumatori; b) accorciando la catena dell'approvvigionamento alimentare; c) invitando tutti gli attori coinvolti a proseguire sulla strada della condivisione delle responsabilità; d) potenziando il coordinamento per migliorare ulteriormente la logistica, il trasporto, la gestione delle scorte e gli imballaggi;
    invita, pertanto, la Commissione europea ad introdurre misure atte a ridurre gli sprechi alimentari a monte, come, ad esempio, l'etichettatura con doppia scadenza (commerciale e di consumo) e le vendite scontate di prodotti in scadenza o danneggiati;
    nel mese di aprile del 2014, la Spagna ha deciso di abolire la data di scadenza su alcuni prodotti, conservando solo la data più appropriata per il consumo. Inoltre, i rivenditori non saranno più obbligati a ritirare la merce dagli scaffali da uno a tre giorni prima della data di scadenza: un fatto che potrebbe davvero contribuire in modo significativo a ridurre lo spreco, soprattutto se i supermercati offriranno gli alimenti vicini alla scadenza a prezzi vantaggiosi; analogamente diversi Stati membri (in prima fila ci sono Olanda e Svezia) starebbero spingendo per ampliare l'elenco dei prodotti alimentari il cui termine minimo di conservazione non deve essere specificato in base al diritto comunitario. In concreto: la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» potrebbe presto sparire dalle confezioni di pasta, riso, tè, caffè e formaggio duro. Già oggi non è obbligatoria per prodotti quali zucchero, sale o aceto;
    quanto al sostegno agli indigenti, va ricordato il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), nato nel 1987 nell'ambito della Politica agricola comune (Pac), al fine di consentire che le eccedenze della produzione agricola europea potessero essere utilizzate anziché distrutte. Nel 2013 l'Italia ha ricevuto da questo programma circa 98 milioni di euro; con riferimento alla programmazione pluriennale dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, si prevede che il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti sia coperto con i fondi del Fondo sociale europeo, prevedendo 2,5 miliardi di euro per i sette anni della nuova programmazione finanziaria comunitaria;
    l'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ha istituito il Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti, gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), con lo scopo di raccogliere le derrate alimentari eccedenti, che gli operatori della filiera o le imprese di trasformazione volontariamente donano a titolo liberale o come eccedenza di produzione; il fondo provvede alla redistribuzione agli indigenti sul territorio nazionale mediante organizzazioni caritatevoli. L'articolo 1, comma 224, della legge di stabilità per l'anno 2014, ha rifinanziato il fondo con 10 milioni di euro;
    il nostro Paese sta allestendo Expo 2015, un evento di eccezionale importanza e una straordinaria occasione per il rilancio economico e turistico dell'Italia intera; il tema della manifestazione «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita» riguarda, tra l'altro, le risorse alimentari del pianeta e la loro distribuzione ottimale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per aumentare la dotazione del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, di cui all'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012;
   ad adottare periodiche campagne al fine di sensibilizzare i consumatori circa la riduzione dei rifiuti alimentari e le migliori tecniche di conservazione dei cibi in casa ed a favorire le donazioni dirette di derrate alimentari da distribuire agli indigenti o alle organizzazione dedicate a questo scopo (banchi alimentari), oltre che al fine di coinvolgere le scuole di ogni livello e grado, allo scopo di evitare gli sprechi di cibo all'interno di mense e caffetterie e per favorire l'adozione di diete sane ed equilibrate;
   a riconsiderare lo scarto alimentare come rifiuto, differenziando invece la raccolta per categorie di prodotti e, in tale ambito, a consentire, mediante modifica delle norme vigenti, il ritiro diretto del pane prodotto in eccedenza dai forni da parte delle organizzazioni caritatevoli, al fine della distribuzione gratuita;
   ad istituire un programma nazionale di ricerca per identificare la quantità e le cause strutturali delle eccedenze degli sprechi di alimenti, al fine di individuare, a livello nazionale, gli obiettivi e i metodi di riduzione;
   a valutare, in seno all'evento di Expo 2015, la possibilità di affrontare in sede internazionale il problema dello spreco alimentare, definendo orientamenti e strategie globali per migliorare l'efficienza della catena agroalimentare;
   ad avviare un processo di standardizzazione delle etichette sui prodotti alimentari al fine di aiutare i consumatori circa la scelta e l'uso dei prodotti, favorendo, così, la riduzione degli sprechi e ad assumere iniziative per apportare modifiche alle normative sulla commercializzazione e la vendita dei prodotti agroalimentari, introducendo una doppia scadenza, oltre alla data di produzione, con le indicazioni anche organolettiche del prodotto (con la dicitura «preferibilmente entro» – data di scadenza commerciale), essendo comunque indispensabile e necessario indicare la data di scadenza vera e propria, con la dicitura «da consumarsi entro», posto che essa è relativa alla salubrità del prodotto alimentare;
   ad assumere iniziative normative che, in relazione al processo di aggiudicazione di appalti pubblici, conferiscano dei vantaggi alle imprese che concretamente si adoperano per combattere gli sprechi alimentari, favorendo l'utilizzo di prodotti locali e la tutela della qualità dei prodotti medesimi;
   a tutelare e sostenere modelli di organizzazione in grado di recuperare la totalità delle tipologie di prodotti, che possano essere incluse nelle categorie «freschi» e «freschissimi»;
   ad assumere iniziative dirette ad adottare misure anche fiscali volte a favorire lo sviluppo della filiera corta alimentare;
   ad impegnarsi in sede comunitaria al fine di intraprendere un'azione congiunta, volta ad impedire speculazioni finanziarie sulle commodity alimentari, quali grano, mais, soia, riso e zucchero.
(1-00479) «Dorina Bianchi».
(26 maggio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica che negli ultimi anni si è abbattuta sull'Italia ha colpito maggiormente le fasce sociali più deboli e ha determinato il passaggio alla povertà di numerose persone che prima si trovavano in una fascia di reddito anche medio bassa;
    secondo l'indagine biennale di Banca d'Italia sui bilanci delle famiglie italiane tra il 2010 e il 2012 il reddito familiare medio in termini nominali è diminuito del 7,3 per cento e la ricchezza media del 6,9 per cento, mentre la povertà è salita dal 14 per cento del 2010 al 16 per cento del 2012;
    gli indici esaminati dall'Istat nei dati sulla povertà in Italia, pubblicati nel mese di dicembre 2013, dimostrano come, rispetto al 2011, nel 2012 è risultata fortemente in crescita la quota di persone che vivono in famiglie severamente deprivate, che passa dall'11,2 al 14,5 per cento, all'interno della quale si registra l'aumento dal 12,4 al 16,8 per cento delle persone che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni;
    in modo particolarmente grave la povertà delle famiglie colpisce i bambini, un milione dei quali, secondo i dati di Save the children, in Italia vivrebbero in una condizione di povertà assoluta, mentre sarebbero circa due milioni e mezzo i bambini e gli adolescenti che, come esemplificato nell'Atlante dell'infanzia pubblicato dall'associazione, soprattutto nelle regioni del Sud, vivono in condizioni di deprivazione materiale;
    l'aiuto alimentare è il primo intervento concreto di sostegno che lo Stato deve garantire alle famiglie che vivono in condizioni di povertà, anche e soprattutto con riferimento ai bambini, che subiscono più pesantemente degli adulti i fenomeni di malnutrizione che ne possono derivare;
    in questo ambito sul nostro territorio nazionale svolge una funzione fondamentale il Banco alimentare, che grazie alle donazioni di centinaia di soggetti della filiera agroalimentare recupera eccedenze alimentari e le ridistribuisce gratuitamente ad associazioni ed enti caritativi, assicurando anche una diversificazione di prodotti che consente di garantire il più possibile un equilibrio nutrizionale a beneficio di quanti usufruiscono di un aiuto alimentare;
    la rete del Banco alimentare recupera i prodotti alimentari attraverso quattro principali fonti di approvvigionamento che donano le proprie eccedenze: l'Unione europea, l'industria alimentare, la grande distribuzione organizzata, la ristorazione collettiva;
    nel 2013 la fondazione Banco alimentare ha raccolto quasi 63.000 tonnellate di cibo, due terzi dei quali sono di provenienza dall'Unione europea, il resto devoluto dall'industria agroalimentare, recuperato dagli scarti della grande distribuzione e dei grossisti, ai quali si aggiungono oltre novemila tonnellate di donazioni personali, scatolette e confezioni raccolte durante la Giornata della colletta alimentare, le donazioni dei privati e i piatti pronti recuperati dalla ristorazione organizzata;
    in questo ambito assume un'importanza fondamentale la questione degli sprechi alimentari, rispetto alla quale, tuttavia, seppure si sono registrati forti miglioramenti, continuano a persistere molteplici criticità sotto il profilo organizzativo per le organizzazioni che si occupano di recuperare e redistribuire il cibo altrimenti destinato alla spazzatura;
    secondo le stime di alcuni ricercatori del Politecnico di Milano sarebbero addirittura sei milioni di tonnellate, per un valore pari a quasi tredici miliardi di euro, le eccedenze alimentari prodotte lungo tutta la filiera e irrimediabilmente perdute nei cassonetti, nei termovalorizzatori, nelle discariche, quasi la metà delle quali proviene da alimenti scaduti e buttati nelle cucine italiane;
    il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, ha previsto l'istituzione presso l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura del «Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti» per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione mediante organizzazioni caritatevoli di derrate alimentari alle persone indigenti nel territorio della Repubblica italiana, cui gli operatori della filiera agroalimentare possono destinare derrate alimentari, a titolo di erogazioni liberali, secondo modalità stabilite dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura;
    con la legge di stabilità per il 2014 il fondo è stato rifinanziato, per il solo 2014, con dieci milioni di euro, una somma che appare a dir poco esigua a fronte delle esigenze registrate sul territorio nazionale;
    nel frattempo, è cambiato anche lo scenario internazionale nella lotta agli sprechi alimentari e nei programmi di aiuti alimentari in favore dei singoli Paesi;
    dal 1o gennaio 2014, infatti, sono cessati gli aiuti alimentari europei previsti dal Programme Européen d'aide alimentaire aux plus démunis (PEAD) ed è entrato in vigore il nuovo programma Fund for European aid to the most deprived (FEAD), che però ha dotazioni finanziarie più ridotte e richiede l'intervento integrativo degli Stati membri;
    per l'anno 2014 il FEAD ha assegnato all'Italia settanta milioni di euro (trenta in meno rispetto al programma precedente), ma il Governo italiano non ha ancora provveduto a stanziare la quota necessaria per mantenere lo stesso livello di prestazioni, bloccando, di fatto, anche l'utilizzo della quota europea;
    di conseguenza, gli approvvigionamenti scarseggiano e in certe regioni, quali, ad esempio, la Calabria, si sta venendo a determinare una situazione critica, che ha spinto il Banco alimentare, per la prima volta nella sua venticinquennale storia, ad una seconda colletta alimentare, organizzata per il 14 giugno 2014 in tutti i supermercati italiani;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dato il via all'elaborazione di un Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas) nell'ambito del piano nazionale di prevenzione dei rifiuti, che si dovrà concentrare in primo luogo sulla definizione di misure volte a ridurre la quantità di prodotti alimentari destinati al consumo che finiscono tra i rifiuti, anche attraverso una campagna di sensibilizzazione nazionale contro lo spreco alimentare in ambito domestico,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le iniziative necessarie a potenziare il sistema di aiuti alimentari in favore delle persone indigenti in Italia, incrementando i volumi e le tipologie di derrate alimentari, adottando strumenti efficaci al fine di combattere il fenomeno degli sprechi alimentari e sostenendo le iniziative di singoli e di associazioni realizzate allo stesso fine;
   a promuovere iniziative di sensibilizzazione sul tema degli sprechi alimentari, al fine di diffondere una maggiore consapevolezza sia negli adulti che nei bambini;
   a completare e dare piena attuazione al Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare;
   ad assumere iniziative per potenziare le dotazioni finanziarie del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, affinché attraverso di esso si possa concretamente agire a livello nazionale a sostegno delle famiglie che versino in stato di necessità;
   ad assumere iniziative per disporre tempestivamente lo stanziamento della quota integrativa del Fund for European aid to the most deprived, al fine di rendere immediatamente fruibile l'intera somma giacente sul fondo destinata all'Italia;
   ad attivarsi in sede internazionale affinché la quota stanziata per l'Italia dal FEAD sia adeguatamente incrementata, in considerazione del forte impatto sui redditi determinato in Italia dalla crisi economica internazionale.
(1-00481)
«Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».
(27 maggio 2014)