TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 224 di Mercoledì 7 maggio 2014

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   ANDREA ROMANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo la «direttiva Barnier» del 2012 sulla gestione collettiva del diritto d'autore, approvata nel mese di febbraio 2014, alle collecting society sarà consentito operare su tutto il territorio europeo e gli autori potranno scegliere di farsi rappresentare liberamente da una qualsiasi di queste, senza essere obbligati (come succede in Italia) a iscriversi a quella che nel loro Paese detiene l'esclusiva. Inoltre, queste società saranno soggette ad osservare obblighi molto più stringenti, in un'ottica di maggiore trasparenza ed efficienza;
   in essa viene sottolineata l'opportunità che gli organismi di gestione collettiva stabiliti nell'Unione europea possano beneficiare delle libertà sancite dai trattati nel rappresentare titolari dei diritti residenti o stabiliti in altri Stati membri o nel concedere licenze a utilizzatori residenti o stabiliti in altri Stati membri;
   l'avvento del digitale e la rapida evoluzione della natura dei modelli di business legati all'odierna tecnologia hanno evidenziato la necessità di rivedere profondamente la normativa in vigore in materia dei diritti d'autore;
   tale necessità di modernizzazione ha investito anche la gestione dei diritti svolta da società di gestione collettiva per conto dei titolari dei diritti, ove si è progressivamente creato uno scollamento tra gli interessi dei titolari, degli utilizzatori e, più in generale, dei consumatori e la gestione dei proventi raccolti;
   poiché le società concedono licenze su diritti per conto di titolari dei diritti nazionali ed esteri, il loro funzionamento ha un impatto fondamentale sullo sfruttamento degli stessi in tutto il mercato interno;
   a livello europeo si nota una sensibile articolazione dei diversi modelli adottati in materia di copyright collecting society;
   la Siae è espressione di un monopolio di diritto, che tende a limitare, per mezzo di rapporti di esclusiva, la facoltà di autori o altri titolari dei diritti di svolgere autonome negoziazioni e di selezionare quale società di intermediazione e raccolta offra le condizioni più vantaggiose;
   i possibili vantaggi di una posizione monopolistica (e, di conseguenza, la presenza sul mercato di un unico operatore) sono ormai superati, ma a ciò deve poi aggiungersi il fatto che le collecting society agiscono per la realizzazione non di un proprio interesse, ma degli interessi dei propri iscritti e che, come sottolineato anche dalla Corte di giustizia europea, nell'analizzare il mercato in questione occorre considerare attentamente tutti i possibili interessi in gioco;
   non vi è alcuna sostanziale differenza tra le dinamiche del mercato dell'intermediazione dei diritti connessi di artisti, interpreti ed esecutori e quelle del mercato dei diritti degli autori: appare evidente che, stante l'omogeneità delle dinamiche di mercato, nel settore dei diritti connessi ed in quello dei diritti d'autore, non si può «liberalizzare» un mercato e mantenere il monopolio su quello attiguo senza violare l'articolo 3 della Costituzione;
   maggiori, poi, sono le incompatibilità con il diritto comunitario sotto vari aspetti. Ad esempio, la violazione del diritto di stabilimento: la proposta di direttiva sulle collecting society e, ancor prima, la decisione Cisac della Commissione europea consentono alle società di gestione collettiva di operare anche al di fuori dei confini nazionali. Quindi, il divieto per una società di stabilirsi in Italia sarebbe in contrasto con il principio di libertà di stabilimento stabilita dal Trattato;
   allo stesso modo, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia europea, deve ritenersi che le collecting society non siano incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale e, quindi, non siano riconducibili al novero delle società per cui è giustificato un regime di monopolio secondo l'articolo 106 del Trattato;
   anche nella relazione del Parlamento europeo su «Un quadro comunitario per le società di gestione collettiva dei diritti d'autore», si afferma, a chiare lettere, l'urgenza di «rivedere le strutture monopolistiche esistenti e limitarle eventualmente a quei settori in cui sia stato dimostrato che non esiste alcuna alternativa per assicurare la necessaria tutela degli interessi degli autori»;
   infine, il settore delle collecting society spinge naturalmente verso la creazione di monopoli di fatto e non vi sarebbe ragione alcuna per assicurare questa situazione monopolistica ex lege. Una simile restrizione alla libertà di stabilimento risulterebbe una misura sproporzionata agli obiettivi che lo Stato intende perseguire –:
   se non intenda, alla luce dell'approvazione della citata direttiva, ferme restando le valide competenze all'interno della Siae e l'importante know how maturato nel settore dell'intermediazione dei diritti d'autore, adottare iniziative normative tese all'abolizione dell'esclusiva sul diritto d'autore a favore della Siae, alla predisposizione di controlli effettivi sulla governance delle future società di gestione collettiva, alla fissazione dei requisiti minimi finalizzati alla costituzione di una collecting society. (3-00803)
(6 maggio 2014)

   MARCOLIN, GIANLUCA PINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la missione militare marittima in corso nel Mediterraneo sotto la denominazione di Mare Nostrum è stata avviata dal Governo senza che sia stata esperita alcuna procedura parlamentare di autorizzazione, con la duplice finalità di salvaguardare la vita umana in mare e dissuadere i migranti clandestini dal tentare la traversata verso le coste del nostro Paese;
   il Governo ha ritenuto di poter procedere in questo modo, asserendo che l'intervento della Marina militare non necessitava di risorse aggiuntive, essendo interamente coperto dagli stanziamenti ordinari del bilancio del Ministero della difesa;
   in assenza di dati ufficiali, a parte quelli concernenti le fasi iniziali dell'intervento, i costi di Mare Nostrum sono stati calcolati pari a non meno di 300 mila euro al giorno dalla stampa specializzata, che li ha desunti dalla somma degli oneri di funzionamento dei mezzi impiegati;
   a quanto è dato leggere su queste fonti, l'attività di una fregata classe Maestrale costerebbe all'incirca 60 mila euro al giorno, quella di una San Marco 45 mila, mentre quella dei pattugliatori sarebbe di poco inferiore ai 15 mila;
   a tali costi vanno poi aggiunti quelli di esercizio degli aeromobili, gli elicotteri AB-212 ed i droni, che si aggirano sui 4 mila euro ad ora di volo, mentre per gli EH-101 ed il Breguet Atlantic si va dai 7 mila ai 13 mila euro;
   se si sommano, altresì, le indennità spettanti al personale ed i costi della manutenzione necessaria per l'uso straordinario dei mezzi, la spesa finale per Mare Nostrum dovrebbe attestarsi tra i 10 ed i 14 milioni di euro al mese;
   se la missione ha avuto successo sotto il profilo della salvaguardia della vita in mare, non altrettanto può dirsi relativamente alla dissuasione dell'immigrazione clandestina. Il solo porto di Augusta ha ricevuto il 2 maggio 2014 ben 1170 migranti, in occasione del 45o approdo alle sue banchine di nostre navi militari cariche di clandestini da quando Mare Nostrum ha avuto inizio –:
   quali siano i costi effettivi giornalieri e mensili dell'operazione Mare Nostrum e quali voci del bilancio ordinario del Ministero della difesa siano state sacrificate per permetterne lo svolgimento. (3-00804)
(6 maggio 2014)

   ALLI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   all'interno di più complessi scenari di conflitto in varie parti del mondo continuano a persistere gravi fenomeni di intolleranza religiosa, che culminano in autentiche persecuzioni, in particolare, nei confronti dei cristiani –:
   quali azioni il Governo intenda mettere in atto nelle sedi internazionali per contrastare tali inaccettabili e gravissime forme di discriminazione. (3-00805)
(6 maggio 2014)

   MANLIO DI STEFANO, RIZZO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, SIBILIA, ARTINI, BASILIO, SCAGLIUSI, PAOLO BERNINI, CORDA, TOFALO, GRANDE, FRUSONE e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   i due fucilieri della Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono da oltre due anni trattenuti ingiustamente in India, senza peraltro che per lungo tempo sia stato formulato alcun capo d'accusa, per una vicenda scaturita da un incidente avvenuto in alto mare e non nelle acque territoriali indiane;
   la Corte suprema indiana ha finora sempre negato la giurisdizione dello Stato italiano, senza adeguata motivazione peraltro, che, a giudizio degli interroganti, appare in palese violazione di una norma della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Montego Bay);
   nel febbraio 2014, dopo numerosi e pretestuosi rinvii, la procura generale di New Delhi alla fine ha formalizzato il capo d'imputazione nei confronti dei due militari, i quali sarebbero stati giudicati sulla base della legge antipirateria (Sua Act); il 28 marzo 2014, la Corte suprema indiana ha poi ammesso il ricorso presentato dalla difesa dei due fucilieri italiani contro la giurisdizione e l'utilizzo della Nia, la polizia antiterrorismo, nel processo a loro carico. Poiché ha dichiarato ammissibile il ricorso, la Corte stessa ha chiesto alla controparte, il Governo indiano e la Nia, di presentare le loro controdeduzioni. L'esame del ricorso dei marò contro la Nia slitta, dunque, a una nuova, futura udienza, che, peraltro, si sarebbe già dovuta tenere;
   senza voler comunque ripercorrere vicende ormai note, resta il fatto che i due fucilieri sono rappresentanti dello Stato impegnati nel contrasto alla pirateria conformemente alla legislazione italiana, al diritto internazionale e alle decisioni rilevanti del Consiglio di sicurezza dell'Onu;
   in risposta alla formalizzazione del capo d'imputazione all'ex inviato speciale del Governo, Staffan de Mistura, l'Italia ha consegnato all'India una nota verbale quale primo passo formale richiesto dalla prassi per richiedere un arbitrato internazionale presieduto da un arbitro internazionale, che giudicherebbe, però, non sul merito, ma sulla giurisdizione;
   lo stesso de Mistura era stato ascoltato il 26 marzo 2014 dalle Commissioni riunite difesa ed esteri di Camera e Senato in un'audizione nel corso della quale, dopo aver sostanzialmente ammesso che erano stati commessi troppi errori dei vari Governi succedutisi in questi due anni nella gestione di questa vicenda, ha affermato che «l'unica strada percorribile è l'internazionalizzazione costante della questione»;
   finora i passi compiuti dal Governo verso una scarcerazione dei nostri militari sono apparsi, a parere degli interroganti, vani e insignificanti e, a conti fatti, oggi Massimiliano Latorre e Salvatore Girone risultano privi di una copertura diplomatica specifica in balia delle incerte parole pronunciate dall'attuale Esecutivo, in attesa di «nuove figure di riferimento», come ha riferito il Ministro interrogato;
   nel frattempo le autorità italiane hanno deciso di ricorrere a strumenti internazionali di risoluzione delle dispute in base alle norme internazionali, aprendo, quindi, la strada all'arbitrato internazionale obbligatorio, ai sensi della Convenzione dell'Onu sul diritto del mare;
   fin dall'inizio della XVII legislatura, il MoVimento 5 Stelle ha tentato in ogni modo di impegnare i vari Governi a intraprendere azioni volte a una rapida soluzione del caso, assistendo, per converso, fino a questo momento a quello che appare agli interroganti un immobilismo imbarazzante;
   è necessario che venga garantito ai due fucilieri di Marina, con un rientro in Italia quantomeno temporaneo, il diritto al voto per le prossime elezioni europee, come già avvenuto durante il Governo Monti;
   tra poche settimane si insedierà il nuovo Governo indiano, con le conseguenti tempistiche e le inevitabili difficoltà che ne possono derivare per instaurare nuovamente un dialogo sulla vicenda –:
   quali iniziative intenda adottare innanzitutto per non lasciare i due fucilieri senza copertura diplomatica dopo quello che appare agli interroganti l'esautoramento, di fatto, dell'inviato speciale Staffan De Mistura e quale strategia il Governo intenda avviare per un'immediata soluzione della vicenda a causa dei tempi lunghi che la procedura di arbitrato comporterebbe. (3-00806)
(6 maggio 2014)

   SCOTTO, MIGLIORE, MARCON, FAVA, DURANTI e PIRAS. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 2 maggio 2014, a colpi di bastone, lanci di pietre e molotov, filorussi e filoucraini si sono scontrati a Odessa, città portuale sul Mar Nero;
   negli scontri centinaia di militanti hanno attaccato una manifestazione per l'unità nazionale, alla quale partecipavano circa 1.500 persone. La polizia è intervenuta per separare i due campi, ma il bilancio è stato tragico;
   oltre alle vittime per gli scontri in piazza, almeno 38 persone sono morte in un incendio nella Casa dei sindacati della città. Una trentina di persone sono morte per l'intossicazione da fumo e altre 8 si sono schiantate al suolo dopo che si erano gettate dalle finestre dell'edificio per sfuggire alle fiamme;
   nell'edificio si sarebbero rifugiati i filorussi dopo gli scontri in città. Secondo alcune fonti russe, alcuni dei filorussi si sono lanciati dalle finestre per sfuggire alle fiamme. Alcuni sopravvissuti alla caduta, sarebbero stati circondati e bastonati dagli estremisti filo-Kiev;
   negli scontri fra le due fazioni sono morte, soltanto venerdì 2 maggio 2014, complessivamente 42 persone, mentre 125 sono i feriti;
   come risposta all'attacco di venerdì 2 maggio 2014, che ha portato al rogo nella Casa del Sindacato a Odessa, il 4 maggio più di 1.000 separatisti filorussi hanno attaccato, sempre ad Odessa, la sede della polizia locale per chiedere la liberazione dei manifestanti arrestati il 2 maggio 2014 durante gli scontri;
   sempre nello stesso giorno, migliaia di nazionalisti hanno marciato fino alla sede della polizia regionale. La folla, compresi una cinquantina di membri del gruppo paramilitare di ultradestra Pravi Sektor, si è poi diretta, senza disordini, verso la sede della Casa dei sindacati. Una volta arrivati hanno issato la bandiera ucraina, tolta e bruciata dai filorussi venerdì 2 maggio 2014;
   le dinamiche e le responsabilità di quanto accaduto ad Odessa non sono ancora del tutto chiare, tant’è che l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, ha chiesto una «inchiesta indipendente» su quanto avvenuto a Odessa. «L'Unione europea – si legge in un comunicato – è profondamente addolorata per i numerosi morti e feriti negli eventi di ieri a Odessa ed esprime sincere condoglianze alle famiglie di tutte quelle vittime di una cieca violenza. I fatti che hanno portato a questa tragica perdita di tante vite umane devono essere stabiliti in un'inchiesta indipendente ed i responsabili di questi atti criminali assicurati alla giustizia»;
   secondo fonti locali, nell'est la situazione starebbe ulteriormente precipitando verso una vera e propria guerra civile, confermando l'attacco sferrato dalle truppe ucraine ad altre due città, Mariupol e Kostjantynivka controllate dai separatisti filorussi nella regione di Donetsk;
   il Ministro degli interni ucraino Arsen Avakov ha confermato i nuovi attacchi, aggiungendo che le truppe di Kiev hanno preso anche il controllo del centro televisivo di Sloviansk, città dove nei giorni scorsi sono stati sequestrati gli osservatori Osce;
   negli scontri a Sloviansk una decina di persone, tra cui alcuni civili, è stata uccisa in un checkpoint fuori dalla città in uno scontro a fuoco. Numerosi altri feriti vengono segnalati da fonti indipendenti, in scontri tra le diverse fazioni e le forze di sicurezza sempre nell'est del Paese;
   la situazione in Ucraina è drammatica e le violenze in atto devono essere fermate quanto prima possibile. Ulteriormente è concreto anche il rischio di una catastrofe umanitaria nelle città dell'est, oramai da giorni bloccate, dove scarseggiano i medicinali e le forniture di alimenti;
   secondo quanto dichiarato dal Ministro della difesa Roberta Pinotti in un'intervista a la Repubblica il 4 maggio 2014: «La situazione è molto preoccupante e il Governo non la sottovaluta» ha poi aggiunto: «Non possiamo stare a guardare. Certo, senza agire da soli, ma attraverso l'Onu, la Nato e l'Unione europea. Parlare di invio di peacekeeper è prematuro, ma dobbiamo essere pronti. Al momento il nostro sforzo politico e diplomatico è quello di tornare allo spirito dell'accordo di Ginevra»;
   le parole del Ministro della difesa appaiono ambigue e fuori contesto, dal momento che nessuna delle organizzazioni da lei citate si sta muovendo nella direzione di organizzare una cosiddetta «una missione di pace»;
   ulteriormente le dichiarazioni del Ministro della difesa appaiono approssimative lì dove si fa un parallelismo con l'intervento italiano in Libano, rivelando la scarsa cognizione di quanto sta accadendo in Ucraina, esprimendo scarsa consapevolezza che le truppe italiane vengano riconosciute in Ucraina neutrali e al di sopra delle parti in conflitto come avvenuto in Libano;
   ad opinione degli interroganti, e come evidenziato da molti, il conflitto ucraino non ha certo bisogno di «prove muscolari», né di apparenti «missioni di pace», che porterebbero ad una sicura guerra, ma ha bisogno di riannodare il bandolo delle trattative che porti ad una soluzione diplomatica, che in questo momento appare l'unica possibile;
   come riportato dai fatti esposti, in questo momento la causa dell’escalation della crisi è l'offensiva militare dell'esercito ucraino contro i separatisti filorussi. È questa offensiva che va fermata al più presto possibile, in quanto rischia di provocare una guerra su più vasta scala;
   le responsabilità del fallimento di quanto raggiunto dall'accordo di Ginevra del 17 aprile 2014 sono diffuse. A partire dalle evidenti responsabilità del Presidente russo Vladimir Putin, che ha prima sostenuto un leader corrotto e autoritario come Yanukovic e poi ha supportato i separatisti, a quelle «occidentali» che hanno appoggiato quasi incondizionatamente l'offensiva ucraina;
   oggi come non mai è necessario che venga superato l'approccio arrogante e interventista della Nato per evitare quanto accaduto negli anni ’90 in Jugoslavia. La strategia di espansione della Nato ad Est è una delle cause principali di quanto sta accadendo in Ucraina oggi;
   la politica dell'allargamento della Nato ad Est, che ha portato all'adesione di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia (1999), Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia (2004), Albania e Croazia (2009), mentre, da un lato, ha portato molti vantaggi ai membri dell'Alleanza, indubbiamente, dall'altro lato, ha contribuito notevolmente a peggiorare le relazioni internazionali con la Russia e ad acuire la lotta geopolitica tra la Russia e l'Occidente;
   lotta geopolitica che ha prodotto anche tensioni e minacce di intervento militare in risposta allo scudo missilistico della Nato, portando all'installazione di numerosi missili Iskander M russi lungo il confine con la Polonia e i Paesi baltici Estonia, Lettonia e Lituania;
   è necessaria un'azione che tolga la Russia dal «complesso dell'accerchiamento», coinvolgendola anche in una forza di interposizione nel Paese e che, al tempo stesso, crei le basi per un'Unione europea politica e più libera dalle pressioni degli Stati Uniti sul continente;
   ad opinione degli interroganti, il «modello finlandese» di integrazione europea rappresenta un modello virtuoso di indipendenza per un Paese, come la Finlandia, a cavallo tra Europa ed area ex sovietica, caratterizzato dalla neutralità dello Stato, garantita dalla non adesione della Finlandia alla Nato e da un'adesione all'Unione europea avviata e raggiunta mantenendo ottimi rapporti di amicizia con la Russia;
   dalla sua indipendenza, nel 1917, la Finlandia ha promosso la neutralità internazionale come strumento utile alla conservazione della propria sovranità e integrità territoriale. Nel corso della seconda metà del ventesimo secolo la neutralità finlandese si è tradotta in una politica di non allineamento, fondata sul Trattato di amicizia, cooperazione e assistenza tecnica del 1948 con l'Unione sovietica. Con esso, pur non essendo entrato a far parte del blocco militare filosovietico, il Paese si è impegnato a difendere il proprio territorio da un attacco da parte della Germania o di Paesi ad essa alleati e a difendere il territorio sovietico in caso di attacco attraverso la Finlandia stessa. Parallelamente, Helsinki si è impegnata a non entrare in nessun tipo di alleanza diretta contro Mosca. Tale intesa ha permesso alla Finlandia di mantenere buoni rapporti con il suo vicino, pur conservando istituzioni democratiche e collaborando attivamente con i meccanismi di cooperazione occidentali – dal Fondo monetario internazionale e l'Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo alla Comunità economica europea;
   con il declino e la successiva scomparsa dell'Unione sovietica, il Paese ha perseguito una più risoluta politica di avvicinamento al blocco occidentale. Nonostante il mantenimento di forti legami commerciali con la Russia, la Finlandia ha presentato domanda di adesione alla Comunità europea nel 1992 ed è entrata a farne parte nel 1995 (il referendum dell'ottobre 1994 ha registrato il 57 per cento a favore dell'adesione e il 43 per cento contro). Dal 1999 essa è parte dell'unione economica e monetaria ed è l'unico Paese del Nord Europa ad aver adottato l'euro. Oggi la politica estera e di sicurezza finlandese punta sulla partecipazione alla politica estera e di sicurezza comune europea e sulla cooperazione multilaterale. Ciò non ha implicato la rinuncia alla neutralità del Paese. Helsinki, pur avendo preso parte, dopo il 1994, al programma Partnership for peace della Nato e avendo inviato le proprie truppe in missioni internazionali di peacekeeping, non ha avanzato domanda di ammissione all'Alleanza atlantica;
   una soluzione diplomatica, che parta dall'immediata applicazione dell'accordo di Ginevra sottoscritto da Russia, Ucraina, Usa e Unione europea il 17 aprile 2014, affinché si arrivi ad una soluzione vicina al «modello finlandese», appare oggi l'unica strada percorribile in questo momento per scongiurare un’escalation del conflitto al momento molto concreta –:
   se il Ministro interrogato sia in accordo con la posizione espressa dal Ministro della difesa sull'invio di proprie truppe anche attraverso la Nato e, in particolare, quali iniziative concrete intenda intraprendere, anche in sede di Unione europea, per far rispettare l'accordo di Ginevra del 17 aprile 2014, anche supportando l'iniziativa dell'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, per l'istituzione di una «inchiesta indipendente» su quanto avvenuto nei giorni scorsi a Odessa. (3-00807)
(6 maggio 2014)

   AMENDOLA, SPERANZA, MANCIULLI, QUARTAPELLE PROCOPIO, BERLINGHIERI, BRAY, CASSANO, CHAOUKI, CIMBRO, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, GENTILONI SILVERI, KYENGE, LA MARCA, MONACO, NICOLETTI, PORTA, RIGONI, TIDEI, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultima settimana la situazione nel sudest dell'Ucraina è sempre più fuori controllo e la drammatica escalation della violenza ha visto episodi di vera e propria guerra civile; si fanno più cruenti gli scontri armati tra i filorussi, che occupano la città di Sloviansk, e le forze armate di Kiev e, secondo il Ministero degli interni ucraino, ci sarebbero vittime anche tra i civili. Il Ministero accusa, inoltre, i ribelli di usare la popolazione come «scudi umani» e, citando testimonianze, di dar fuoco alle case;
   il 2 maggio 2014 ad Odessa, nel sud dell'Ucraina, durante gli scontri tra nazionalisti ucraini e separatisti, è stato appiccato il fuoco nella sede dei sindacati ed hanno perso la vita quasi 50 persone, in seguito un gruppo di separatisti filorussi ha preso d'assalto il commissariato e ha costretto le autorità a liberare circa 60 attivisti arrestati in merito ai suddetti scontri;
   il Presidente ad interim ucraino, Oleksandr Turcinov, ha dichiarato ai microfoni della televisione ucraina 5 TV che la Russia «è in guerra» con il suo Paese e che il sostegno russo ai separatisti nell'est del Paese è «un problema colossale»;
   il 25 aprile 2014 sette osservatori dell'Osce e 4 militari ucraini che li accompagnavano sono stati rapiti dai separatisti filorussi a Sloviansk nell'Ucraina orientale e sono stati rilasciati solo 8 giorni dopo;
   secondo il Ministero della difesa ucraino, nei giorni scorsi, a Sloviansk sono stati abbattuti due elicotteri Mi-24 con l'aiuto di un complesso portatile per la difesa aerea e si sono registrati un pilota morto e dei feriti;
   il 2 maggio 2014 il Presidente americano, Barack Obama, nel corso della conferenza stampa alla Casa Bianca con la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha dichiarato che gli «Stati Uniti e Germania sono uniti contro le azioni illegali della Russia in Ucraina e determinati a coordinare le proprie azioni, comprese le sanzioni contro Mosca. Siamo pronti a nuovi passi se la Russia continua con la sua invasione» dell'Ucraina e la stessa Merkel ha avvertito che «se la situazione in Ucraina non si stabilizza nuove sanzioni contro la Russia saranno inevitabili»;
   il 5 maggio 2014 la Russia, in una nota del Ministero degli esteri, ha lanciato un nuovo appello alle autorità di Kiev affinché si fermino gli scontri nelle regioni orientali dell'Ucraina, si ritirino le truppe e si apra un negoziato; poiché se non si ferma l’escalation di violenza, il conflitto «minaccerà» la pace in tutta Europa. In un comunicato, il Ministero degli esteri russo ha paventato un'imminente «catastrofe umanitaria» nelle «città dell'est bloccate» dall'esercito ucraino, dove «si constata l'inizio di una penuria di medicinali e l'interruzione della fornitura di alimenti»;
   secondo notizie delle ultime ore, parrebbe che la Camera pubblica russa – organo consultivo della Duma che riunisce rappresentanti della società civile – intende appellarsi all'Onu e al Consiglio d'Europa per proporre il rinvio delle elezioni in Ucraina, previste per il 25 maggio 2014. Già il Cremlino, tramite il portavoce Dmitri Peskov, aveva definito «assurdo parlare di elezioni» dopo l'avvio dell'offensiva governativa nell'est dell'Ucraina;
   il 5 e 6 maggio 2014 si è tenuto a Roma il «G7 energia», con all'ordine del giorno la necessità dell'Europa di accelerare l'integrazione in ambito energetico; Mosca, infatti, garantisce il 30 per cento dei consumi di gas europei, oltre la metà dei quali transitano attraverso il territorio ucraino;
   il New York Times ha fatto una valutazione complessiva sulla dipendenza energetica, dalla quale emerge che Slovacchia, Lituania e Polonia sono i Paesi membri potenzialmente più esposti ad uno shock energetico causato dall'interruzione delle importazioni dalla Russia. L'Italia rimane nella parte bassa, con il 28 per cento, ai livelli della Germania (30 per cento) e poco sopra la Francia (17 per cento). Nel complesso, il 42 per cento del fabbisogno energetico dell'Unione europea dipende dalla Russia;
   inoltre, oltre al settore energetico, l'Unione europea è il primo partner commerciale per Mosca e la Russia è il terzo partner per l'Unione europea –:
   quali siano i passi che il Governo italiano intende compiere per concorrere a bloccare l’escalation di scontri e violenze in Ucraina, per scongiurare un ulteriore inasprimento delle condizioni sul terreno e per assicurare una piena implementazione degli accordi di Ginevra. (3-00808)
(6 maggio 2014)

   PICCHI, BERGAMINI e PALESE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, ha richiamato l'attenzione della comunità internazionale sulla situazione creatasi in Ucraina, nelle città circondate dall'esercito ucraino, dove mancherebbero farmaci e cibo;
   l'acuirsi della tensione e delle violenze nelle regioni del sud-est del Paese va nella direzione opposta a quella indicata dall'intesa sottoscritta a Ginevra il 17 aprile 2014, che prevedeva un impegno del Governo russo per l'attuazione degli accordi al fine di contribuire a disinnescare gli scontri in Ucraina che hanno causato vittime e hanno innescato una guerra civile che è necessario fermare, sia nell'interesse dell'Ucraina stessa, che di tutta la regione e dell'intera comunità internazionale;
   il Ministro interrogato si è detto pronto a sostenere misure sanzionatorie, sempre restando nell'ambito della cosiddetta fase 2, quella delle sanzioni mirate, e ha affermato che «la Nato non è il terreno più utile per risolvere la crisi», puntando, invece, sulle istituzioni internazionali;
   molti Paesi europei, in particolar modo la Germania, Paese che, in ogni caso, ha più da perdere dall'isolamento della Russia, chiedono una seconda conferenza di Ginevra, con un giusto bilanciamento tra pressione politica e offerta diplomatica, per scongiurare lo scontro militare aperto in Ucraina;
   il 5 e 6 maggio 2014, a Vienna, si è tenuta la sessione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, che coincide, peraltro, con il 65o anniversario della firma dello Statuto di Londra del 5 maggio 1949, che ha conferito al Consiglio d'Europa una Costituzione formale;
   durante l'inaugurazione di tale sessione è stato sottolineato come ancora oggi pace, stabilità e benessere non siano traguardi scontati e come passato e presente testimonino che l'impegno per mantenere queste conquiste vada mantenuto costante;
   il dipartimento d'informazione del Ministero degli affari esteri russo ha reso noto che il Ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, parteciperà alla riunione ministeriale del Consiglio d'Europa a Vienna e, in particolare, interverrà al dibattito politico sul tema «I valori del Consiglio d'Europa e la stabilità in Europa: le sfide attuali»;
   il Ministero degli esteri austriaco ha dato per certo l'incontro a Vienna, durante una cena di lavoro, di Sergei Lavrov e Andriy Deshchytsa, Ministri degli esteri di Russia e Ucraina;
   nel contempo, gli Stati Uniti rafforzano le pressioni sugli alleati europei per applicare, senza alcuna concessione o sbavatura, le sanzioni già in vigore contro la Russia per la crisi ucraina e puntano a preparare il terreno alle misure più dure – su cui l'Unione europea è riluttante – contro specifici settori dell'economia russa;
   al fine di imporre un'accelerazione a tali ulteriori sanzioni, «se Mosca continuerà nel suo comportamento destabilizzante ed illegale», il Sottosegretario al tesoro degli Stati Uniti, con delega all’intelligence finanziaria e all'antiterrorismo, David Cohen, sarà in settimana in Europa e vedrà gli omologhi di Gran Bretagna, Francia e Germania;
   il capo della diplomazia britannica, William Hague, a Vienna per la riunione ministeriale del Consiglio d'Europa, ha dichiarato che «la Russia sembra avere l'intenzione di impedire e perturbare» le elezioni presidenziali che si terranno in Ucraina il 25 maggio 2014 –:
   come il Governo italiano intenda, nel solco della continuità della politica estera italiana, creare un quadro bilanciato di pressione politica e offerte diplomatiche per preparare il terreno a una soluzione politica ed evitare una contrapposizione frontale tra Unione europea e Russia e come intenda esercitare il proprio ruolo in Europa, anche sulla scorta di ottimi rapporti con la Russia, ereditati dalla linea di politica estera sviluppata dai Governi di centrodestra, al fine di rafforzare un processo politico e costituzionale in Ucraina che includa tutti, sullo sfondo della cooperazione tra Usa, Europa e Russia per la stabilizzazione ucraina. (3-00809)
(6 maggio 2014)

   BINETTI, BUTTIGLIONE, CESA e GIGLI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   si registra un continuo aumento delle violazioni commesse contro individui e gruppi sociali attuati sulla base della loro appartenenza religiosa o della loro fede;
   questo è quanto emerge dal Rapporto 2013 sulla situazione della libertà di religione o fede nel mondo, preparato dal Gruppo di lavoro del Parlamento europeo creato sulla scorta della decisione del Consiglio dell'Unione europea del 2013 di varare delle linee guida per la tutela del diritto alla libertà di religione nel mondo;
   secondo il rapporto sono 25 i Paesi di «particolare preoccupazione», 15 dei quali sono segnalati addirittura come «gravi violatori» della libertà di religione e fede (Cina, Egitto, Eritrea, India, Iran, Iraq, Corea del Nord, Libia, Mali, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Siria, Tunisia e Uzbekistan). Per i cristiani, in particolare, «la Corea del Nord rimane il Paese più difficile al mondo»: tra 50 mila e 70 mila cristiani sono detenuti in «spaventosi campi di prigionia». Anche in Eritrea, che pure riconosce cattolicesimo e ortodossia come fedi ufficiali, risultano detenuti tra i 2 mila e i 3 mila cristiani;
   altro Paese che vive una situazione a dir poco drammatica è la Nigeria, dove tra il novembre 2011 e l'ottobre 2012 si sono avuti ben 791 dei 1.201 assassinii di cristiani registrati in tutto il mondo, mentre l'Arabia Saudita presenta delle pesanti discriminazioni per i cittadini o i residenti non musulmani;
   in totale secondo l'Ocse sarebbero oltre 100 milioni i cristiani perseguitati, mentre la Commissione episcopale dell'Unione europea, Comece, parla di una cifra doppia;
   la scorsa settimana hanno fatto il giro del mondo le foto dei cristiani crocifissi a Raqqa in Siria, Paese in cui le persecuzioni organizzate hanno fatto scendere il numero dei cristiani da due milioni a circa quattrocentomila –:
   se non ritenga di adottare ogni utile iniziativa presso le organizzazioni internazionali, ed in primis presso l'Unione europea, al fine di dare alla questione della libertà religiosa un ruolo cruciale nello stabilire rapporti e nello stringere negoziati con i Paesi terzi. (3-00810)
(6 maggio 2014)

   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia oggi nel mondo è rappresentata attraverso le strutture consolari e le ambasciate, che svolgono un ruolo importante per la cooperazione politica, la promozione delle relazioni economiche, la cooperazione allo sviluppo, la cooperazione culturale e scientifica e per i servizi ai cittadini residenti all'estero o che si recano all'estero per studio o vacanze;
   il Movimento associativo italiani all'estero (Maie) da tempo denuncia politicamente la chiusura di numerose sedi istituzionali all'estero e i disagi dei connazionali ivi residenti. Sono oltre 4 milioni gli italiani residenti all'estero;
   tanto avviene in ottemperanza alle disposizioni normative contenute nel decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, concernente la cosiddetta spending review;
   seppur la ristrutturazione della rete degli uffici all'estero ottemperi ad una prescrizione normativa, la sua attuazione e la ridistribuzione degli uffici consolari e delle ambasciate deve esser realizzata in armonia con gli altri partner europei, tenendo in debito conto i nuovi scenari internazionali e geopolitici;
   per l'attuazione del piano di ridistribuzione degli uffici italiani all'estero la legge 6 novembre 1989, n. 368, all'articolo 3, comma 1, prevede un parere preventivo ed obbligatorio del Consolato generale degli italiani all'estero –:
   come mai si sia proceduto con il piano di chiusure, nonostante il parere negativo del Consiglio generale degli italiani all'estero, senza neanche consultare i 18 parlamentari eletti all'estero, e se il Ministro interrogato non ritenga di dover sospendere la riorganizzazione della rete consolare italiana, così come definita dal precedente Governo, al fine di avviare nelle opportune sedi, anche parlamentari, un confronto con quanti, istituzionalmente, si occupano delle problematiche relative ai cittadini italiani residenti all'estero, eletti all'estero, associazioni, Comites e Consolato generale degli italiani all'estero. (3-00811)
(6 maggio 2014)