TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 223 di Martedì 6 maggio 2014

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL CONTRASTO ALLA VIOLENZA NEI CONFRONTI DEI MINORI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ADESCAMENTO E ALL'ABUSO SESSUALE COMMESSI TRAMITE INTERNET

   La Camera,
   premesso che:
    a 25 anni dalla Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, il problema del maltrattamento e dell'abuso sui minori è un dramma che continua ad affligge non solo i Paesi del «Sud del mondo», ma anche quelli con un elevato sviluppo socio-economico come l'Italia;
    la legge 4 maggio 2009, n. 41, ha istituito il 5 maggio come giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, quale momento di riflessione per la lotta contro gli abusi sui minori;
    il monitoraggio del fenomeno a livello nazionale, nonché la conoscenza dello stesso nelle sue multiformi tipologie, è il primo e fondamentale passo per l'adozione di politiche di prevenzione e protezione adeguate; di fatto, in assenza di un sistema informativo istituzionalizzato ed omogeneo, i dati sul problema si dimostrano non esaustivi e solo settoriali;
    la necessaria e improcrastinabile adozione di un adeguato sistema di monitoraggio è evidenziata non solo dallo stato dei fatti, ma è manifestata anche dal Comitato ONU per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, Convention on the Right of the Child (CRC/C/ITA/CO/3-4), nel quale si sollecita lo Stato «a garantire che il sistema informativo nazionale sull'assistenza e la tutela dei minori e delle loro famiglie raggiunga la piena operatività e disponga delle necessarie risorse umane, tecniche e finanziarie per essere efficace nella raccolta delle informazioni pertinenti in tutto il Paese, rafforzando così la capacità dello Stato parte di promuovere e tutelare i diritti dei minori»;
    le associazioni Terre des Hommes e Cismai hanno elaborato un progetto pilota di indagine qualitativa e quantitativa rivolta ai servizi sociali dei comuni italiani sul maltrattamento a danno dei bambini, coinvolgendo dal primo semestre del 2012 al primo trimestre 2013 quasi 5 milioni di cittadini ed oltre 750.000 minorenni. I dati raccolti dal campione di studio appaiono allarmanti: 1 minore su 100 fra la popolazione residente risulta vittima di maltrattamento, ben il 6,36 per cento dei minori residenti in Italia viene assistito dai servizi sociali dei comuni, fra questi lo 0,98 per cento, ossia 1 su 6, è seguito a causa di violenza ed abusi. L'incidenza appare maggiore nei confronti di bambine e ragazze e si attua nel 52,7 per cento dei casi in trascuratezza materiale e affettiva, nel 16,6 per cento in violenza assistita consumata in ambito familiare, nel 12,8 per cento in maltrattamento psicologico, nel 6,7 per cento in abuso sessuale, nel 6,1 per cento in patologie delle cure, quali incuria, ipercura e discuria, ed infine nel 4,8 per cento in maltrattamento fisico;
    nel marzo 2014 Telefono Azzurro ha reso noti i dati ricavati dalle richieste di aiuto di bambini ed adolescenti pervenute all'associazione negli ultimi cinque anni. La relazione rileva più di 17.000 appelli per via telefonica e chat dedicata, con una media di quattro episodi di violenza al giorno; il 53,1 per cento delle vittime risulta essere di sesso femminile, dato che aumenta al 68,1 per cento per quanto riguarda la violenza sessuale. L'associazione rileva, altresì, un'incidenza crescente di denunce relative alla diffusione (minacciata o attuata) di foto e video «intimi» tramite le tecnologie informatiche ed i social network;
    all'interno della generica definizione di maltrattamento, una considerazione a parte e più specifica pare inevitabile in tema di abuso sessuale del minore, stante la gravità e l'incidenza in aumento del fenomeno, oltre alle conseguenze psicopatologiche spesso insanabili;
    l'associazione Terre del Hommes ha presentato nel settembre 2013 uno studio sull'incidenza della violenza sessuale nei confronti dei minori grazie ai dati forniti dalle forze di polizia. In un solo anno in Italia sono triplicati i reati sessuali accertati contro i minorenni, passando da 166 (nel 2011) a 505 (nel 2012), con un'incidenza del 78 per cento nei confronti delle femmine. Nello stesso arco temporale i casi di pornografia minorile sono passati da 23 a 108;
    l'incidenza inferiore rispetto ai dati registrati in altri Paesi europei (2815 casi segnalati in Francia nel 2010 e 2200 in Germania nel 2009) fa poi ragionevolmente supporre che in Italia molti abusi non vengano denunciati e rimangano sommersi; è dunque immaginabile uno scenario ben più grave di quello fotografato dalla polizia e dall'autorità giudiziaria;
    rilevante sul tema appare, altresì, lo studio effettuato in occasione del Safer Internet Day dell'11 febbraio 2014 (giornata per la sensibilizzazione all'utilizzo sicuro della rete ad iniziativa della Commissione Europea) da Ipsos per Save the children, volto a documentare, per la prima volta, le percezioni che gli adulti hanno sui rapporti intrattenuti con i minori, nonché sul ruolo di Internet come strumento di incontro a sfondo sessuale;
    dalla ricerca emerge che l'81 per cento degli italiani fra i 25 e i 65 anni ritiene l'incontro sessuale tra giovani ed adulti, iniziato in rete, un fenomeno diffuso. Il 28 per cento degli adulti tra i 45 e i 65 anni risulta avere fra i propri contatti telematici giovani che non conosce ed il 38 per cento degli intervistati si dichiara poi favorevole alle relazioni sessuali fra adulti e minori;
    l'adescamento e l'abuso tramite la rete Internet sono principalmente attuati con minacce, intimidazioni e pressioni psicologiche, come già affermato dalla Corte di cassazione, sezione penale, (sentenza del 26 settembre 2012, n. 37076); per predisporre un'adeguata condotta preventiva e repressiva è necessario integrare il reato previsto dall'articolo 609-bis del codice penale affinché esso comprenda anche la violenza sessuale commessa «a distanza» tramite strumenti telefonici o telematici;
    è necessario rendere maggiormente incisivi gli strumenti investigativi dedicati, nell'ambito dell'attività di contrasto svolta dalle forze dell'ordine, ed in particolar modo dalla polizia postale, estendendo al reato di adescamento di minorenni di cui all'articolo 609-undecies del codice penale la possibilità di effettuare attività sotto copertura (articolo 9 della legge n. 146 del 2006 e articoli 600-bis, 600-ter e 600-quinquies del codice penale, introdotti dalla legge 3 agosto 1998, n. 269);
    oltre al rafforzamento dell'attività repressiva è altrettanto fondamentale prevenire il fenomeno e dotare i soggetti che hanno regolari contatti con bambini e ragazzi (nei settori dell'istruzione, della sanità, della protezione sociale, della giustizia, della sicurezza e della cultura) di un'adeguata conoscenza dell'abuso sessuale in danno ai minori, nonché dei mezzi per individuarlo e segnalarlo, come previsto all'articolo 5 della convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale;
    appare ugualmente fondamentale provvedere affinché i condannati per reati sessuali in danno a minori, o per adescamento, siano interdetti dallo svolgimento di qualunque tipo di attività tale da comportare contatti diretti e regolari con bambini e ragazzi, come previsto dall'articolo 10 della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile e che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI;
    il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) classifica la pedofilia quale disturbo mentale. È, dunque, importante fornire assistenza e garantire percorsi riabilitativi e terapeutici, facilmente individuabili, per coloro che presentano impulsi sessuali nei confronti di infanti, al fine di prevenire ed evitare abusi o reiterazioni. In tal senso è possibile fare riferimento al progetto Dunkelfeld attivo in Germania costituito da campagne mediatiche volte a pubblicizzare servizi di cura per persone che si auto definiscono pedofili e sentono il bisogno di aiuto. Nel Regno Unito il National Society for the Prevention of Cruelty to Children (NSPCC) ha predisposto un servizio di assistenza telefonica ed intervento immediato per coloro che temono di poter compiere un reato sessuale nei confronti di un bambino. In Danimarca è stato realizzato un sito web rivolto ad adulti che riconoscono di avere un interesse sessuale nei confronti di bambini, invitandoli a cercare aiuto psicologico prima di commettere abusi, anche tramite una linea telefonica dedicata,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative immediate, legislative o di altra natura, affinché i principi sanciti nella Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, non vengano disattesi, per contrastare il crescente fenomeno della violenza nei confronti dei minori, dell'abuso sessuale e dell'adescamento tramite la rete Internet, in particolare attribuendo specifica rilevanza penale alla condotta di violenza sessuale a distanza;
   a potenziare gli strumenti investigativi in dotazione alle forze dell'ordine per il contrasto all'abuso sessuale in danno dei minorenni, assumendo iniziative per estendere al reato di adescamento, previsto all'articolo 609-undecies del codice penale, la possibilità di svolgere indagini sotto copertura;
   a dedicare particolare attenzione all'attuazione dell'articolo 5 della sopra detta Convenzione in tema di reclutamento, formazione e sensibilizzazione delle persone che lavorano a contatto con i minori;
   ad assumere iniziative per istituire e pubblicizzare servizi di cura e di intervento per persone che riconoscono di avere un interesse sessuale nei confronti di bambini, anche utilizzando gli strumenti economici che l'Unione europea mette a disposizione;
   a predisporre un sistema di raccolta dati e monitoraggio del fenomeno della violenza sui minori, dell'abuso sessuale e dell'adescamento tramite la rete Internet, in eventuale connessione con i servizi sociali dei comuni ed altre realtà associative che già operano in tale settore;
   ad attivare una campagna informativa per sensibilizzare l'opinione pubblica e incentivare l'emersione di un fenomeno di violenza domestica e di abusi non denunciati che, nel nostro Paese, rimangono ancora in gran parte sommersi.
(1-00427)
«Iori, Zampa, Antimo Cesaro, Albanella, Amoddio, Antezza, Beni, Brandolin, Capone, Capozzolo, Casati, Censore, Chaouki, Coccia, D'Incecco, Dal Moro, Dallai, De Menech, Donati, Ermini, Fedi, Gadda, Carlo Galli, Galperti, Gasparini, Giuliani, Gullo, Iacono, Tino Iannuzzi, La Marca, Manzi, Marantelli, Marchi, Marzano, Miotto, Mongiello, Patriarca, Piccoli Nardelli, Ribaudo, Rocchi, Sbrollini, Senaldi, Tartaglione, Tidei, Tullo, Venittelli, Villecco Calipari, Zanin, Zardini, Vezzali, Tinagli».
(7 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    già nel corso della «Conferenza internazionale del lavoro» del 1919 è stato adottato per la prima volta un provvedimento di carattere internazionale sulla tutela dei diritti dell'infanzia attraverso l'elaborazione della «Convenzione sull'età minima»;
    il primo significativo documento relativo ai diritti dell'infanzia è, comunque, costituito dalla Dichiarazione dei diritti del bambino, o Dichiarazione di Ginevra, adottata dalla Quinta Assemblea generale della Società delle Nazioni nel 1924;
    questi primi strumenti sono stati adottati in termini piuttosto generici, concependo i bambini non come titolari ma come soggetti passivi di diritti e sollecitando gli Stati non a specifici obblighi, ma a generica e premurosa protezione;
    il 20 novembre 1959 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato all'unanimità e senza astensioni la Dichiarazione dei diritti del fanciullo nella quale, fermi restando i principi dei precedenti documenti, ha impegnato gli Stati membri a riconoscere i termini della dichiarazione stessa assumendo, peraltro, l'impegno ad applicarli e diffonderli;
    nel citato documento, pur costituendo esso una semplice dichiarazione di principi (prevede, tra l'altro, il divieto di ammissione al lavoro per i minori, il divieto di impiego dei bambini in attività lavorative che ne possano minare la salute fisica e compromettere l'armonico sviluppo mentale e comportamentale, il diritto del minore disabile a ricevere cure speciali), il minore viene formalmente considerato «soggetto di diritti» a tutti gli effetti;
    finalmente il 20 novembre 1989 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato a New York la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia: un concreto programma di protezione complessiva dei minori che impegna gli Stati che l'hanno ratificata a porre in essere strumenti e ad effettuare controlli che consentano, anche attraverso l'adeguamento delle legislazioni nazionali, la realizzazione effettiva delle linee guida e dei principi adottati dalla Convenzione;
    l'Italia ha ratificato la Convenzione internazionale sui diritti sull'infanzia con la legge 27 maggio 1991, n. 176;
    il 23 ottobre 2012 è entrata in vigore la legge 1o ottobre 2012, n. 172, con la quale l'Italia ha ratificato la Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale;
    tale strumento, che ha natura vincolante, impone agli Stati firmatari di prevenire, contrastare e reprimere ogni azione o manifestazione che costituiscano abuso o sfruttamento sessuale dei minori;
    secondo un'indagine conoscitiva condotta da una rete di 11 organizzazioni nazionali impegnate nella difesa dei diritti dei bambini e nella promozione di uno sviluppo equo, senza alcuna discriminazione etnica, religiosa, politica, culturale o di genere, in Italia un bambino su 100 è vittima di maltrattamenti ed abusi. In numeri assoluti, significa che quasi 100.000 bambini in Italia vivono un'infanzia violata. In più della metà dei casi si tratta di femmine (il 52,5 per cento contro il 47,5 per cento dei maschi);
    sempre secondo l'indagine condotta dalla stessa rete di organizzazioni nazionali di cui in precedenza, emerge che il maltrattamento riveste un ruolo di primo piano tra le cause che comportano l'intervento dei servizi sociali, coprendone il 15,46 per cento del totale dei minori presi in carico. Dai dati dello studio emerge anche come le bambine e le ragazze siano le più esposte al fenomeno del maltrattamento e come 6 bambini su 1000 subiscano abusi sessuali;
    stando ai dati riportati dal dossier «Indifesa» sulla condizione delle minorenni italiane, messo a punto dall'agenzia Ansa insieme alla rete di organizzazioni cui si è già fatto riferimento, in occasione della Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze indetta dall'ONU, nel 2012 è cresciuto il numero dei reati che vedono i minori nel ruolo di vittime e, nell'80 per cento dei casi, le vittime sono state bambine;
    per quanto riguarda i dati degli abusi nello specifico, si rileva che il pericolo maggiore per bambini e adolescenti è in casa: il 63,1 per cento delle situazioni d'emergenza seguite dal servizio 114 di Telefono Azzurro, dal 2006 a oggi, non esce dalle mura domestiche;
    dalla ricerca si evince che i bambini corrono rischi anche per strada (18,3 per cento) e in percentuale minore a scuola (5,7 per cento) o a casa di amici e parenti (3,7 per cento);
    in generale nel 78,3 per cento dei casi il presunto responsabile del disagio è uno dei genitori del minore (nel 44,8 per cento dei casi la madre, nel 33,5 per cento il padre);
    negli ultimi sei anni le richieste d'aiuto hanno riguardato quasi in egual misura maschi (51,6 per cento) e femmine (48,4 per cento), ma prevalentemente bambini fino ai dieci anni (64,2 per cento dei casi);
    il 50 per cento dei minori per cui è richiesto aiuto vive con entrambi i genitori, il 33,1 per cento con la sola madre: nell'88,9 per cento dei casi è un adulto a chiamare per segnalare una situazione di disagio vissuta da un bambino;
    seppure di poco, crescono anche le segnalazioni di elevata conflittualità familiare e violenza domestica tra genitori (il 9,7 per cento delle chiamate nel 2012; il 7,9 per cento nel 2006) e raddoppiano, oggi rispetto al 2006, le denunce per disagi emotivi comportamentali: si va dal 2,2 per cento al 5,2 per cento;
    si assiste invece alla riduzione delle segnalazioni che riguardano situazioni di accattonaggio (15,7 per cento del 2006; 8,5 per cento del 2011; 4,4 per cento del 2012);
    nel 2006 le segnalazioni al servizio 114 di Telefono Azzurro per abusi fisici erano il 5,2 per cento del totale delle denunce. In pochi anni sono cresciute in modo esponenziale, passando all'11,3 per cento nel 2010 al 13,2 per cento nel 2011 e ad un allarmante 17,1 per cento nel 2012;
    nello stesso arco di tempo è, inoltre, raddoppiato il numero di denunce per casi di grave trascuratezza (5,7 per cento nel 2006; 10,4 per cento nel 2012) e inadeguatezza genitoriale, cioè l'incapacità a svolgere il ruolo educativo di padre o madre, che registra un aumento passando dal 6,3 per cento del 2006 al 10,2 per cento del 2012;
    occorre intraprendere, quindi, e con un rinnovato vigore, una seria politica di sostegno alle famiglie, da intendere come nucleo principale dell'educazione dei minori, soprattutto in anni come questi in cui spesso si parla di crisi delle famiglie nel ruolo educativo dei giovani e dei minori in genere;
    nel 2012 il 19,5 per cento delle segnalazioni gestite dal servizio 114 ha riguardato un bambino straniero, in molti casi (36 per cento) nato in Italia. Secondo l'indagine di Telefono Azzurro, il numero dell'emergenza è stato però chiamato anche per profughi e rifugiati (33 per cento dei casi seguiti), per figli di coppia mista (10,7 per cento) e per minori ricongiunti (8,8 per cento);
    i dati della ricerca condotta da Ipsos per Save the children dimostrano come l'81 per cento degli italiani tra i 25 ed i 65 anni ritenga l'incontro sessuale tra giovani ed adulti, tramite la rete, un fenomeno diffuso. Inoltre, il 38 per cento degli italiani si dichiara favorevole alle relazioni sessuali tra adulti e minori: un dato, quest'ultimo, che deve fare riflettere sulla necessità di evitare che prenda il sopravvento la cultura del consenso del minore come elemento di legittimazione della pratica sessuale con un soggetto adulto;
    non va dimenticato, inoltre, che gli italiani si trovano ai primi posti nella classifica del turismo sessuale in Paesi asiatici e che i rapporti ivi consumati avvengono con soggetti minori: una ragione in più per impedire il diffondersi di una cultura dell'autodeterminazione del minore ad intrattenere rapporti di natura sessuale con adulti;
    diversa è la tipologia di problemi denunciati dagli stranieri rispetto a quelli manifestati dai bambini con cittadinanza italiana: gli stranieri devono fare i conti soprattutto con complicazioni legate al percorso migratorio, allo sfruttamento minorile o a situazioni di fuga;
    per quanto riguarda il fenomeno della pedofilia, non è facile purtroppo quantificarlo ma, ad esempio, nell'arco temporale compreso tra il 1o aprile 2010 ed il 30 settembre 2011 il Centro nazionale di ascolto di Telefono Azzurro è intervenuto complessivamente su 3956 casi segnalati all'interno del territorio nazionale, che hanno richiesto una consulenza su problematiche rilevanti: i casi che hanno riferito di situazioni di abuso sessuale, per il periodo considerato, sono stati 158 (ovvero il 4 per cento) sul totale delle consulenze gestite;
    in assenza di una banca dati a livello nazionale che permetta una rilevazione omogenea ed un sistematico monitoraggio della casistica relativa al reato di pedofilia, i dati disponibili sono pochi e non esaustivi. Inoltre, le statistiche a disposizione derivano da denunce presentate all'autorità giudiziaria,

impegna il Governo:

   ad attivarsi per l'effettiva applicazione e il rispetto di quanto previsto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, per assicurare un apparato normativo che incardini i principi ed i diritti nell'ordinamento italiano nonché per arginare il più possibile il fenomeno degli abusi e dei maltrattamenti sui minori nella sua generalità;
   a monitorare il fenomeno delle violenze e degli abusi sui minori, con particolare riguardo agli adescamenti tramite Internet, tenendo presente la necessità di creare un sistema nazionale di sorveglianza allo scopo di rilevare il maltrattamento e di valutare l'efficacia delle politiche e delle strategie attuate per combattere il fenomeno dell'abuso e del maltrattamento dei minori;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per potenziare le attività dei servizi sociali, in modo da favorire una maggiore protezione e prevenzione dei bambini maltrattati;
   ad assumere iniziative per implementare e rilanciare la formazione degli operatori che si occupano dei maltrattamenti e degli abusi sui minori, favorendo la diffusione della cultura dell'approccio al trauma in modo da riconoscerlo e trattarlo con gli strumenti adeguati;
   a predisporre una campagna di informazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla materia delle violenze ai minori, attraverso un maggiore coinvolgimento dei media e delle scuole;
   a potenziare le occasioni di formazione di bambini ed adolescenti mirate a prevenire gli abusi;
   ad assumere iniziative per prevedere programmi di trattamento realmente efficaci per gli autori di reati sessuali, come potrebbero essere i centri per l'ascolto cui rivolgersi per manifestare i propri disturbi legati alla pedofilia, come già avviene in altri Paesi europei.
(1-00446)
«Dorina Bianchi, Calabrò, Roccella, Leone, Pagano».
(5 maggio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la legge 4 maggio 2009, n. 41, ha istituito la Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia;
    il 5 maggio è la data indicata come Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, una giornata che deve essere un momento di riflessione per la lotta contro gli abusi sui minori;
    il 19 settembre 2012 l'Italia ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento;
    di recente il fenomeno della pedopornografia tramite Internet è divenuto un argomento di estrema attualità a causa della sconcertante diffusione di questo fenomeno illecito attraverso la rete;
    il Parlamento è intervenuto sin dal 1998 per scoraggiarne la diffusione su larga scala, come pure gli analoghi comportamenti come il cosiddetto turismo sessuale, ossia la pratica all'estero, in Paesi oltremodo tolleranti dello sfruttamento sessuale dei minori;
    di fronte al moltiplicarsi dei siti pedopornografici è stata approvata la legge 6 febbraio 2006, n. 38, recante «Norme contro la pedofilia e la pedopornografia anche a mezzo Internet»;
    con la legge 6 febbraio 2006, n. 38, sono state approvate norme in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e di contrasto al fenomeno della diffusione della pornografia infantile anche a mezzo Internet. Fra le novità introdotte dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, tra le altre:
     a) l'ampliamento della nozione di pornografia infantile e del suo ambito;
     b) l'estensione della protezione accordata al minore sino al compimento del diciottesimo anno di età;
     c) l'interdizione perpetua dall'attività nelle scuole e negli uffici o servizi in istituzioni o strutture prevalentemente frequentate da minori per le persone condannate per questo tipo di reati e l'esclusione del patteggiamento per i reati di sfruttamento sessuale;
     d) l'individuazione degli elementi costitutivi del reato di sfruttamento sessuale di minori, comuni a tutti gli Stati dell'Unione europea;
     e) iniziative finalizzate ad impedire la diffusione e la commercializzazione dei prodotti pedopornografici via Internet: tra queste ha particolare rilievo un sistema di controllo e disattivazione di mezzi informatizzati di pagamento, carte di credito ed altro;
    con la legge 6 febbraio 2006, n. 38, è stato, inoltre, istituito presso il Ministero dell'interno il Centro nazionale per il monitoraggio della pornografia minorile su Internet, con il compito di raccogliere segnalazioni, anche provenienti dall'estero, sull'andamento del fenomeno su rete;
    secondo dati forniti da Telefono arcobaleno, oltre 36.000 bambini sono stati scambiati in Internet 20 miliardi di volte per alimentare il turpe mercato della pedofilia on line;
    i Paesi del G8 sono l'epicentro del mercato dei bambini. Circa la metà delle vittime del traffico pedofilo mondiale ha meno di 7 anni. Il 77 per cento ne ha meno di 9. Un mercato illegale solo in teoria, ma di fatto libero. Perché la realtà è che chiunque, in qualunque momento, a Roma o a Francoforte, a Mosca o a Boston, a Lisbona o a Marsiglia può, con la propria carta di credito, scegliere razza, età, genere di perversione sessuale, tratti somatici della bambina o bambino e acquistare, sicuro dell'assoluta impunità, la propria collezione di foto o il proprio film pedofilo;
    i Paesi coinvolti, Stati Uniti, Germania, Russia, Regno Unito, Italia, Francia, Canada e Giappone – il cosiddetto G8, cioè i Paesi industrializzati, assieme a Spagna e Polonia – rappresentano i tre quarti dei clienti del pedo-business, dell'unico mercato al mondo capace di porsi, senza regole, al di sopra della morale;
    Telefono arcobaleno – in possesso di una black list di oltre 200 mila siti pedopornografici – ha effettuato 228.079 segnalazioni; solo nell'ultimo anno ne ha inoltrate più di 3.500 al mese, con punte di oltre 300 in un solo giorno che, nell'84 per cento dei casi, hanno portato alla chiusura dei siti nel giro di 48 ore. Particolarmente aggressiva, in questo ultimo anno è risultata la presenza di ben 7.639 siti legati al pedo-business, componenti di una galassia ben più vasta di 42.396 siti a contenuto pedopornografico;
    nonostante l'Italia abbia proceduto, a volte con ritardi ingiustificati nella tempistica, a dotarsi di normative adeguate, la situazione relativa agli abusi sui minori e sulla pedofilia appare ancora molto critica;
    il rapporto della Commissione Onu per i diritti dei minori, che denuncia le responsabilità del Vaticano rispetto agli abusi compiuti sui minori da parte di religiosi, conferma l'assoluta necessità di predisporre procedure efficaci per la tutela di bambini e adolescenti nei luoghi organizzati che frequentano abitualmente, tra cui anche oratori, parrocchie, così come i luoghi dello sport pubblici o privati o la scuola, puntando innanzitutto sulla prevenzione;
    solo offrendo ai minori stessi riferimenti e strumenti certi e riconosciuti per segnalare il sospetto o il rischio di abusi si può ottenere un effetto deterrente e rompere il muro di paure e imbarazzo che rende difficile, o a volte impossibile, intervenire tempestivamente a loro protezione;
    i dati diffusi da Save the children dicono che per il 43 per cento dei genitori italiani e per il 40 per cento dei ragazzi i luoghi maggiormente a rischio di abusi sui minori da parte degli adulti di riferimento sono i centri sportivi; ma ci sono anche oratori e parrocchie (per il 39 per cento dei genitori italiani e per il 29 per cento dei ragazzi) e poi la scuola (per il 38 per cento dei genitori italiani e per il 31 per cento dei ragazzi);
    è necessario un sistema di prevenzione e tutela adeguato, condiviso e conosciuto, che in oratori e parrocchie non esiste secondo la maggioranza dei genitori, 84 per cento, e dei ragazzi, 87 per cento;
    mancanza che si registra anche nei luoghi dello sport organizzato (per il 75 per cento dei genitori italiani e per il 73 per cento dei ragazzi), un po’ meno a scuola (per il 43 per cento dei genitori italiani e per il 57 per cento dei ragazzi), mentre sarebbe quasi assoluta nei vari centri ludico-ricreativi (per il 91 per cento dei genitori italiani e per il 91 per cento dei ragazzi);
    secondo l'ultima rilevazione del Ministero della giustizia (febbraio 2008), il numero di pedofili detenuti nelle carceri italiane è 1.322, di cui 400 stranieri e 98 donne;
    secondo il rapporto Onu del 2006 sono 223 mila i minori costretti a rapporti sessuali o a contatti fisici forzati: 1,8 milioni sono vittime del giro della prostituzione e della pornografia; 1,2 milioni risultano essere vittime del traffico di esseri umani;
    è stato rilevato durante un convegno della Direzione centrale anticrimine un notevole aumento del fenomeno della pedofilia pari al 10,8 per cento ogni anno. Si stima che in Italia ogni anno i casi di pedofilia superino i 20 mila e sono oltre mille i processi svolti per reati di abuso e maltrattamento sui minori;
    il nostro è il secondo Paese al mondo per viaggi all'estero legati al turismo sessuale;
    sul versante della pedopornografia on line sono 18.185 da inizio 2011 i nuovi siti pedofili e più di 12.000 al mese i consumatori di pedopornografia, come emerge dal report dell'osservatorio di Telefono arcobaleno. L'attività dell'associazione ha consentito di individuare la costante crescita: +15 per cento rispetto allo stesso periodo del 2010 ed attualmente il trend è in ulteriore crescita;
    secondo alcuni studi, una rilevante percentuale dei condannati per pedofilia ha a sua volta subito abusi durante l'infanzia. È stato osservato che i bambini che sono stati oggetto di attenzioni pedofiliache mostrano da adulti un comportamento analogo con maggior frequenza rispetto alla popolazione generale;
    sono, infatti, pochissimi i minori sfruttati per la produzione di immagini pedopornografiche che vengono identificati, rispetto alla quantità di materiale sequestrato. Si consideri che, nel 2010, sono stati in tutto solo 12 i minori identificati. L'identificazione delle vittime è di vitale importanza per porre fine ad una violenza che potrebbe essere ancora in corso;
    un'ulteriore problematica è rappresentata dalle famiglie multiproblematiche, ovvero famiglie che non sono assistite ma dove sono presenti problemi diversi, che vanno dall'alcolismo di uno dei genitori, alla presenza di componenti del nucleo famigliare con disagio mentale, o con tossicodipendenza, un contesto dove sembra più facile l'emergere dell'abuso,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di assumere iniziative per escludere il reato di pedofilia dai reati che godono del beneficio degli arresti domiciliari;
   ad adoperarsi in sede europea affinché venga valutata la possibilità di sospendere ogni rapporto economico con tutti quei Paesi che non hanno proceduto alla ratifica della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
   ad assumere iniziative, nel più breve tempo possibile, volte alla definizione dei criteri per la realizzazione di corsi di formazione per il personale docente e non docente nelle scuole, nonché di azioni di formazione ed assistenza per i genitori, finalizzate ad una puntuale informazione sul tema dell'abuso sessuale;
   ad assumere iniziative finalizzate ad istituire all'interno delle scuole «un punto d'ascolto» per alunni e genitori, gestito da insegnanti, adeguatamente formato in stretto contatto con gli assistenti sociali;
   a prevedere, attraverso apposite iniziative normative, l'esclusione della possibilità di chiedere il patteggiamento per gli imputati dei reati di cui agli articoli 609-bis (violenza sessuale), 609-quater (atti sessuali con minorenne) e 609-quinquies (corruzione di minorenne) del codice penale;
   ad assumere tutti gli strumenti, nonché ad avviare tutte le iniziative necessarie al fine di identificare le piccole vittime di pedopornografia, per garantire loro un immediato progetto di recupero e per porre fine ad una violenza che potrebbe essere ancora in corso;
   a promuovere all'interno dei luoghi frequentati dai bambini, come oratori, campi sportivi, scuole ed altri, un sistema di prevenzione e tutela adeguato, condiviso e conosciuto, anche attraverso incontri con personale competente e qualificato finalizzato ad informare i minori sulla prevenzione degli abusi;
   ad assumere iniziative per istituire una banca dati nazionale per il censimento dei minori in condizione di residenzialità assistita sul territorio nazionale.
(1-00447)
«Silvia Giordano, Lupo, Sorial, Lorefice, Grillo, Cantero, Baroni, Dall'Osso, Cecconi, Di Vita».
(5 maggio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la necessità di concedere una protezione speciale ai minori è stata enunciata nella «Dichiarazione di Ginevra del 1924 sui diritti del bambino» e nella «Dichiarazione dei diritti del fanciullo», adottata dall'Assemblea generale dell'Onu il 20 novembre 1959 e riconosciuta nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici - in particolare agli articoli 23 e 24 - e negli statuti e strumenti pertinenti delle istituzioni specializzate e delle organizzazioni internazionali che si preoccupano del benessere dell'infanzia;
    la Dichiarazione dei diritti dell'uomo riconosce che il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica e intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa un'appropriata protezione legale;
    con la «Convenzione ONU sui diritti del fanciullo» del 1989, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, le parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella Convenzione stessa, a garantirli a ogni fanciullo e ad assicurare agli stessi la protezione e le cure necessarie al loro benessere, adottando a tal fine tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari;
    manca, tuttavia, negli strumenti di diritto internazionale, il riconoscimento della pedofilia quale «crimine contro l'umanità», auspicabile per eliminare, a livello globale, ogni ambiguità culturale sul tema, per esercitare un'efficace pressione politica su tutti gli Stati e per coordinare la lotta contro reati di cui è palese la dimensione sovranazionale;
    nonostante la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo costituisca da molti anni un obbligo legalmente vincolante per gli Stati che l'hanno ratificata, sono ancora milioni i minori che ovunque vivono il dramma del maltrattamento e dell'abuso. Secondo il Consiglio d'Europa, nel Vecchio continente sarebbe vittima di qualche forma di abuso, dal maltrattamento alla pedopornografia, un bambino ogni cinque, tra gli otto e i dodici anni;
    l'Italia, purtroppo, non fa eccezione, nonostante abbia una legislazione d'avanguardia. Nella pratica, infatti, vi sono ancora enormi carenze applicative, differenze territoriali, ostacoli alla reale promozione e tutela dei diritti. D'altronde, trasformare le dichiarazioni di principio in strategie operative è sempre un processo lungo e complesso, soprattutto quando queste ultime richiedono il cambiamento di un modo di pensare e di agire consolidato;
    con legge 4 maggio 2009, n. 41, la Repubblica italiana ha riconosciuto il 5 maggio come Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia, quale momento di riflessione per la lotta contro gli abusi sui minori;
    in questa occasione possono essere organizzate iniziative volte a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla lotta contro gli abusi sui minori, per abbattere il muro di silenzio che troppo spesso si forma intorno a questo fenomeno di assoluta gravità. Risulta essenziale, invece, svolgere un'azione di sensibilizzazione e di educazione ai diversi livelli sociali, nonché divulgare il maggior numero di elementi di conoscenza;
    per porre in essere politiche di prevenzione e protezione adeguate alla problematica in esame, sono necessarie forme appropriate di monitoraggio del fenomeno su tutto il territorio nazionale. Lo ha riconosciuto e richiesto anche il Comitato Onu per la CRC, Convention on the right of the child (CRC/C/ITA/CO/3-4), che ha sollecitato il Governo italiano «a garantire che il sistema informativo nazionale sull'assistenza e la tutela dei minori e delle loro famiglie raggiunga la piena operatività e disponga delle necessarie risorse umane, tecniche e finanziarie per essere efficace nella raccolta delle informazioni pertinenti in tutto il Paese, rafforzando così la capacità dello Stato parte di promuovere e tutelare i diritti dei minori»;
    il dossier elaborato da Terre des hommes e Cismai (Coordinamento italiano servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia), con il coinvolgimento dei comuni, valuta a livello nazionale la dimensione quantitativa del fenomeno del maltrattamento sui minori – comprendente trascuratezza materiale e/o affettiva, maltrattamento fisico, violenza assistita, maltrattamento psicologico, abuso sessuale, patologia delle cure (discuria-ipercura-incuria) – su un campione di quasi 5 milioni di cittadini residenti, di cui oltre 750.000 residenti minorenni, dal primo semestre del 2012 al primo trimestre 2013. Vi sono riportati dati fortemente critici: 1 minore su 100 fra la popolazione residente risulta vittima di maltrattamento e l'incidenza appare maggiore nei confronti di bambine e ragazze, concretizzandosi nel 52,7 per cento dei casi in trascuratezza materiale e affettiva, nel 16,6 per cento in violenza consumata in ambito familiare, nel 12,8 per cento in maltrattamento psicologico, nel 6,7 per cento in abuso sessuale, nel 6,1 per cento in patologie delle cure, nel 4,8 per cento in maltrattamento fisico;
    l'abuso sessuale sui minori, in particolare, porta con sé conseguenze tali da mettere a rischio la salute della vittima per tutta la sua esistenza;
    desta, inoltre, allarme il numero crescente di denunce relative all'adescamento da parte di adulti e alla divulgazione di foto e video personali tramite le tecnologie informatiche ed i social network. Questi mezzi, di cui bambini e adolescenti normalmente dispongono, moltiplicano il rischio di imbattersi in contenuti inadeguati all'età o di interagire, soprattutto nelle chat, con soggetti criminali;
    in occasione della giornata Safer Internet 2010 è stata firmata un'intesa a livello europeo con le maggiori società di gestione dei social network per aumentare la sicurezza dei minorenni che utilizzano la rete e far fronte comune proprio contro i rischi a cui sono esposti i minori, ma purtroppo a tutt'oggi è molto difficile valutarne l'efficacia;
    vi è poi il fondato sospetto che in Italia molti abusi non vengano denunciati per paura, vergogna o sottomissione, perché i casi segnalati in altri Paesi europei sono di gran lunga più numerosi di quelli registrati nel nostro Paese;
    oltre al rafforzamento dell'attività repressiva, è altrettanto fondamentale prevenire il fenomeno, anche attraverso forme adeguate di reclutamento, formazione e sensibilizzazione dei soggetti che hanno regolari contatti con bambini e ragazzi;
    a tale scopo la direttiva 2011/93/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, in materia di lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio, chiede agli Stati membri di adottare «le misure necessarie per assicurare che i datori di lavoro, al momento dell'assunzione di una persona per attività professionali o attività volontarie organizzate che comportano contatti diretti e regolari con minori, abbiano il diritto di chiedere informazioni, conformemente alla normativa nazionale e con ogni mezzo appropriato, quali l'accesso su richiesta tramite l'interessato, sull'esistenza di condanne penali per i reati di cui agli articoli da 3 a 7, iscritte nel casellario giudiziario, o dell'esistenza di eventuali misure interdittive dell'esercizio di attività che comportano contatti diretti e regolari con minori derivanti da tali condanne penali» (articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2011/93/UE);
    negli ultimi anni ripetuti interventi normativi hanno rafforzato la tutela penale offerta dal nostro ordinamento contro i fenomeni dell'abuso, dello sfruttamento sessuale dei minori, della pedofilia e della pornografia minorile: da ultimo la legge 1o ottobre 2012, n. 172, che ha ratificato e dato esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, e il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39, attuativo della sopra citata direttiva 2011/93/UE. Quest'ultimo ha apportato delle novità riguardanti la disciplina delle circostanze aggravanti per i reati di cui agli articoli 609-bis e 609-quater (violenza sessuale ed atti sessuali ai danni di minorenne), 609-quinquies (corruzione di minorenne), 609-octies (violenza sessuale di gruppo), 609-undecies (adescamento di minorenni), 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione di materiale pornografico), 600-quater (pornografia virtuale) e 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) del codice penale. Dunque, la nostra legislazione, anche se perfettibile, può essere, nel complesso, considerata adeguata e severa. Occorre, invece, vigilare sulla sua corretta applicazione,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, nelle opportune sedi internazionali, del riconoscimento dell'abuso sui minori e della pedofilia, in tutte le loro forme, quali crimini contro l'umanità;
   ad adottare iniziative normative finalizzate alla predisposizione di un percorso obbligatorio di cura psicologica del pedofilo condannato in via definitiva;
   a predisporre adeguate iniziative, sia di natura normativa che di politica criminale, per rendere più incisiva l'applicazione delle norme penali in materia di violenza contro i minori;
   a far sì, promuovendo politiche formative mirate, che le persone regolarmente a contatto con i minori, per lavoro o per altre ragioni, abbiano piena consapevolezza dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, riconoscano gli indizi di abuso e adottino i protocolli di comportamento più moderni e più efficaci per prevenire e contrastare il fenomeno;
   a rafforzare, nell'ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado, i percorsi didattici già previsti per richiamare l'attenzione di alunni e studenti sui rischi della navigazione in rete e, in particolare, su quelli legati alla diffusione di immagini personali;
   a predisporre un sistema informativo di raccolta dati su tutte le forme di maltrattamento nei confronti dei minori, in raccordo con le autorità pubbliche competenti e le organizzazioni di volontariato operanti nel settore;
   a rafforzare gli strumenti a disposizione delle forze dell'ordine, assumendo iniziative per estendere la possibilità di ricorrere ad indagini sotto copertura;
   ad assumere iniziative per destinare alla polizia delle telecomunicazioni risorse sufficienti per cancellare i tagli previsti dalla spending review.
(1-00448)
«Brambilla, Petrenga, Calabria, Giammanco, Carfagna, Centemero, Fucci, Bergamini, Milanato, Palese».
(5 maggio 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA DELLE VITTIME DI REATO

   La Camera,
   premesso che:
    la tutela delle vittime di reato attiene alla sfera dei diritti fondamentali della persona e costituisce uno degli aspetti essenziali cui occorre avere riguardo, sia nell'ambito del procedimento giudiziario, sia, soprattutto, nelle fasi preliminare e successiva ad esso;
    in questo senso, la normativa internazionale riconosce la necessità di rispondere alla globalità dei bisogni della vittima, dei suoi familiari e degli eventuali testimoni del reato, e sulla base di questi presupposti intende tutelarla sia in quanto persona, attraverso l'accoglienza, la tutela, l'informazione, la protezione e la possibilità di disporre di forme di mediazione con il reo, sia in quanto soggetto processuale, mediante l'accompagnamento nel processo penale ed il risarcimento;
    con riguardo a tutti questi aspetti nel nostro Paese si verificano, purtroppo, ancora molti ritardi, malfunzionamenti e inadempienze;
    con specifico riguardo alla fase risarcitoria, ad esempio, si può rilevare che, mentre le normative internazionali e comunitarie allargano la tutela a tutte le vittime di reati intenzionali violenti, quella italiana si occupa di predisporre fondi di risarcimento solo in favore di alcune categorie di vittime (essenzialmente vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, di richieste estorsive e di usura), limitando, quindi, la tutela alle mere fasi processuale e risarcitoria;
    giova ricordare, in proposito, che l'Italia risulta attualmente messa in mora a seguito del procedimento di infrazione promosso a suo carico da parte della Commissione europea (201174147) per la «cattiva applicazione» della direttiva 2004/80/CE, che stabilisce che «tutti gli Stati membri provvedano a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime», nel caso in cui il condannato non abbia i mezzi per farlo;
    la legislazione italiana sul tema, adottata, seppur con ritardo, con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 204, ha semplicemente esteso al soggetto «stabilmente residente in un altro Stato membro dell'Unione europea» e che risulti essere la «vittima di reato commesso nel territorio dello Stato» il riconoscimento dell'indennizzo statale già previsto in ambito nazionale per la medesima tipologia di reato, ma senza estendere tale misura ad altri reati intenzionali violenti, nonostante in Italia i reati più gravi ed efferati siano commessi da singoli ai danni delle categorie più deboli, come donne e bambini;
    a ciò si aggiunga che l'Italia non ha firmato neanche la Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, firmata a Strasburgo il 24 novembre 1983 ed entrata in vigore il 1o febbraio 1998, che obbliga gli Stati contraenti a prevedere, nell'ambito delle legislazioni nazionali, un meccanismo di risarcimento per le vittime di infrazioni violente che hanno causato gravi lesioni corporali o il decesso;
    dopo decenni durante i quali l'attenzione era stata prevalentemente rivolta alla tutela dei diritti violati, negli ultimi anni si sono registrati un'attenzione ed un interesse crescente verso i bisogni delle vittime e si è giunti a stabilire come diventi essenziale per la vittima l'essere riconosciuta in condizione di difficoltà anche da parte della collettività e delle istituzioni;
    nel nostro Paese, le attività di assistenza, aiuto, ascolto e sostegno psicologico sono perlopiù affidate a strutture di volontariato e risultano frammentate sia sotto il profilo degli ambiti di intervento, sia sotto quello geografico, considerata la diseguale distribuzione sul territorio delle pur numerose strutture dedicate e che, a fronte di aree geografiche capillarmente servite, ve ne sono altre molto carenti;
    l'assenza di un coordinamento a livello regionale, o meglio ancora nazionale, costituisce un fattore che facilita tali disparità, finendo con l'enfatizzare gli svantaggi propri di alcuni contesti sociali, e, in egual misura, pesa lo scarso coordinamento tra pubblico e privato, tra terzo settore e volontariato;
    uno degli aspetti primari dell'assistenza alle vittime riguarda la questione degli operatori e della loro formazione, richiamata più volte anche dalla normativa europea e che andrebbe implementata sia sotto il profilo delle conoscenze e delle competenze, sia sotto il profilo dell'empatia che deve caratterizzare l'operatore quando ascolta le vittime;
    altro tema di primaria importanza è certamente quello costituito dal sostegno finanziario che occorre dedicare e garantire alle politiche in favore delle tutela delle vittime, ai quali occorrerebbe destinare una quota annua certa di finanziamenti per assicurare la qualità dei servizi erogati, oltre a favorire la diffusione delle attività svolte nei centri su tutto il territorio, permettendo loro di operare all'interno di una sostanziale continuità;
    ulteriori problematiche riscontrabili nell'ordinamento italiano attengono alla tutela in fase processuale, non solo sotto il profilo risarcitorio, ma anche sotto quello del pagamento delle spese processuali;
    si sono verificati, infatti, numerosi casi in cui i familiari delle vittime di reato si sono trovate a dover corrispondere allo Stato le spese giudiziali perché il condannato risultava nullatenente;
    il 25 ottobre 2012 il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno adottato la direttiva 2012/29/UE, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la precedente normativa in materia, contenuta nella decisione quadro 2001/220/GAI;
    la direttiva muove, tra le altre, dalla premessa che un reato non è solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime, che, come tali, dovrebbero essere riconosciuti e trattati in maniera rispettosa, sensibile e professionale, senza discriminazioni di sorta, e si pone come obiettivo quello di «garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate e possano partecipare ai procedimenti penali»;
    altri aspetti della direttiva attengono alla necessità di limitare il rischio della cosiddetta vittimizzazione secondaria e ripetuta, alla particolare tutela della quale sono meritevoli le vittime minori, quelle affette da disabilità, le vittime di atti di terrorismo e quelle della violenza di genere e della violenza nelle relazioni strette, nonché all'esigenza di prevedere, che tra queste, possano essere considerati anche i familiari delle vittime;
    altro aspetto al quale la direttiva dedica ben due articoli attiene alla tutela finanziaria delle vittime, disponendo in merito il «Diritto al patrocinio a spese dello Stato» e il «Diritto al rimborso delle spese»;
    sull'onda emotiva dei numerosissimi casi di femminicidio verificatisi nel nostro Paese, negli ultimi mesi il Parlamento ha profuso particolare impegno rispetto a questo tema, provvedendo, tra l'altro, alla ratifica della convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul, l'11 maggio 2011, ed all'approvazione, con il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante «disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», di un primo pacchetto di norme che ne recepiscono le indicazioni;
    in particolare, tuttavia, il decreto-legge n. 93 del 2013 è apparso fortemente sbilanciato sull'aspetto dell'inasprimento del sistema sanzionatorio e, pur compiendo un primo piccolo passo nel senso della tutela delle vittime attraverso la previsione di un piano nazionale antiviolenza, dedica a questo tema un'attenzione ancora insufficiente;
    numerosi provvedimenti recanti norme a protezione e sostegno delle vittime di reati giacciono in Parlamento in attesa di essere esaminati e altri, nelle precedenti legislature, non sono mai stati calendarizzati;
    la direttiva 2012/29/UE, il cui termine per il recepimento è fissato al 16 novembre 2015, è stata inserita nell'allegato B alla legge europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96, «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013»); il Governo, nell'adozione del decreto legislativo dovrà attenersi ai principi e criteri direttivi di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234;
    la direttiva 29/2012/UE «stabilisce norme minime. Gli Stati membri possono ampliare i diritti da essa previsti al fine di assicurare un livello di protezione più elevato»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative di competenza per il tempestivo recepimento della direttiva europea di cui in premessa;
   a svolgere un ruolo di impulso e di coordinamento centrale delle strutture, pubbliche e private, deputate a svolgere funzioni di assistenza, sostegno e tutela delle vittime, al fine, da un lato, di potenziare e rendere più omogenea la distribuzione sul territorio delle stesse e, dall'altro, di operare nel senso della creazione di una rete tra pubblico e privato;
   a promuovere la collaborazione intersettoriale tra i diversi attori che, a vario titolo, si occupano di queste problematiche, quali le forze dell'ordine, la magistratura, i servizi sociali, le associazioni di volontariato sul territorio, gli operatori di victim support;
   con particolare riferimento alle strutture di assistenza, a promuovere iniziative volte a prevedere un ampliamento delle loro competenze, attraverso la migliore formazione degli operatori impiegati, grazie ad approfondimenti sulle materie sociologiche e psicopedagogiche, sulle scienze giuridiche, nell'ambito della criminologia e della vittimologia, nonché richiamando le funzioni ed il ruolo svolti dal servizio sociale territoriale e da quello sanitario;
   a fornire un adeguato e continuativo sostegno economico alle realtà che operano nel campo dell'assistenza e tutela delle vittime di reato;
   a prevedere adeguate forme di pubblicizzazione dei servizi offerti e delle strutture di accoglienza presenti sul territorio, nonché campagne di informazione e sensibilizzazione sul tema della violenza nelle sue diverse declinazioni;
   a elaborare modalità per la verifica e valutazione dell'impatto delle misure di assistenza e protezione delle vittime;
   con specifico riferimento alla fase processuale, ad assumere iniziative volte a prevedere una disciplina risarcitoria da parte dello Stato, laddove l'autore del reato sia tornato a delinquere perché rilasciato dal carcere a seguito di provvedimenti di clemenza alternativi alla detenzione adottati dallo stesso e a modificare la disciplina inerente al pagamento delle spese giudiziarie, affinché esse non possano più gravare proprio sulle vittime o sulle loro famiglie;
   a valutare, in accordo con le previsioni della direttiva, laddove prevede che gli Stati possano adottare norme di protezione più elevate, di assumere iniziative per riconoscere alle vittime e alle persone danneggiate dal reato una tutela di rango costituzionale, come già richiesto da alcune proposte parlamentari;
   a sottoscrivere la citata Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, affinché nell'ordinamento italiano possano essere recepite le indicazioni ivi previste.
(1-00248)
«Cirielli, Giorgia Meloni, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Rampelli, Taglialatela, Totaro».
(15 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la promozione e la tutela dei diritti delle vittime da reato dovrebbe costituire oggi un obiettivo prioritario dell'azione politica di tutte le moderne democrazie, andandosi ad inserire nel quadro della tutela dei soggetti più deboli e vulnerabili della società;
    tra le direttive europee più recenti in materia – volte ad assicurare che le vittime di reati, particolarmente se violenti, ricevano adeguato riconoscimento sociale, sostegno e protezione giuridica – vanno certamente ricordate la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, adottata il 25 ottobre 2012, che ha istituito norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, e la direttiva 2011/99/UE che ha introdotto l'ordine di protezione europeo;
    l'Italia negli ultimi mesi ha compiuto significativi passi in avanti: da un lato, attraverso l'inserimento nella legge di delegazione europea 2013 della delega al Governo per il recepimento delle direttive sopracitate; dall'altro, muovendosi nella direzione di una più compiuta tutela della vittima nell'ambito della giustizia penale, in particolare con il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, che ha rafforzato gli obblighi di comunicazione e informazione alla vittima e ampliato le sue facoltà di partecipazione al procedimento, dando così una nuova concretezza alla posizione della vittima nel reato nel quadro delle norme in materia di sicurezza e contrasto della violenza di genere;
    tuttavia, se analizzato nel complesso, il quadro normativo nazionale di tutela della vittima appare ancora frammentario e suscettibile di miglioramento rispetto agli standard fissati in sede europea, soprattutto sotto il profilo di una compiuta tutela del soggetto vulnerabile prima, durante e dopo il processo penale;
    sotto il profilo della tutela nel processo, occorre innanzitutto rivedere le prerogative processuali della vittima nell'ottica di configurarla quale vera e propria parte processuale, consapevole, informata, conscia dei propri diritti ed in grado di gestirli ed esercitarli, senza necessariamente costringerla a costituirsi parte civile al solo scopo di avere una voce nel processo e fornendole adeguata consulenza legale, anche prima che il procedimento penale sia formalmente iniziato;
    il decreto-legge n. 93 del 2013 ha, infatti, meritoriamente introdotto nuovi obblighi di informazione della vittima, ma con effetti limitati solo ad alcune tipologie di vittime di reato; appare pertanto necessario estendere tali obblighi di informazione in modo generalizzato;
    le condizioni e le modalità di ammissione al gratuito patrocinio, poi, costituiscono una premessa importante della partecipazione delle vittime indigenti o vulnerabili, così come essenziale risulta la fornitura degli indispensabili servizi di interpretazione e traduzione necessari a consentire una partecipazione effettiva anche alla vittima alloglotta;
    altri aspetti significativi, sui quali occorre giungere a forme più avanzate di tutela e protezione delle vittime del reato, riguardano la loro partecipazione al procedimento cautelare e la possibilità di sviluppare meccanismi alternativi alla punizione irrogata nel processo penale, come, ad esempio, la mediazione;
    un punto molto sensibile e delicato, poi, è quello di un'adeguata formazione psicologica e giuridica del personale di polizia a cui è demandato il primo contatto con la vittima, al fine di fornirle un supporto efficace;
    occorre, tuttavia, tener presente che la tutela delle vittime del reato deve trovare riconoscimento e sostegno anche a prescindere dall'azione repressiva dell'apparato giudiziario, ossia fuori da una dinamica esclusivamente processuale, attraverso la necessaria predisposizione e copertura economica di quei servizi di sostegno materiale e psicologico alla vittima, in un quadro articolato di prevenzione, protezione ed assistenza delle vittime dei reati;
    il riconoscimento della sofferenza della vittima richiede, infine, allo Stato di predisporre anche meccanismi di risarcimento, specie in tutti quei casi in cui le vittime non ricevano ristoro dal colpevole del reato, perché, ad esempio, il responsabile è indigente o non è stato individuato;
    l'articolo 12, comma 2, della direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004, obbliga gli Stati membri a dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime;
    tuttavia tale articolo non ha trovato attuazione nel decreto legislativo n. 204 del 2007, che ha recepito la direttiva e che si è limitato esclusivamente a prevedere la predisposizione di meccanismi di cooperazione transfrontaliera per assicurare che il risarcimento possa essere richiesto anche da persone residenti all'estero, ma non ha introdotto un generale obbligo di risarcimento per le vittime di reati intenzionali violenti;
    la mancata attuazione dell'articolo 12 della direttiva europea è stata, peraltro, contestata dalla stessa Commissione europea, la quale ha avviato la procedura d'infrazione 2011/4147 ex articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, lamentando l'assenza di previsione di meccanismi generali di risarcimento per tutte le vittime di reati intenzionalmente violenti;
    tale punto, pertanto, appare certamente uno di quelli maggiormente critici e sul quale occorre intervenire con urgenza, essendo le forme di risarcimento attualmente previste solo di carattere settoriale e riferite a limitate categorie di reati violenti,

impegna il Governo:

   in attuazione di quanto previsto dall'articolo 12, comma 2, della direttiva 2004/80/CE, a predisporre iniziative normative volte ad assicurare un adeguato indennizzo alle vittime di reati intenzionalmente violenti, in particolare per tutti i casi in cui la vittima non possa ottenere il risarcimento dal soggetto colpevole del reato, contestualmente assumendo iniziative per il coordinamento e la semplificazione delle norme settoriali oggi vigenti;
   ad adottare ogni iniziativa utile, anche normativa, volta a garantire una partecipazione effettiva, consapevole ed informata della vittima del reato in tutte le fasi del procedimento e del processo, anche prevedendo la possibilità per la vittima di partecipare adeguatamente alla fase processuale nei casi in cui non si sia costituita come parte civile, valutando la possibilità di ampliare le ipotesi di assunzione anticipata della sua testimonianza in sede di incidente probatorio e prevedendo la mediazione quale facoltà, e non obbligo, per la vittima;
   a provvedere al reperimento delle risorse sufficienti ad assicurare la possibilità di accesso al patrocinio a spese dello Stato e alla riduzione degli oneri delle spese processuali a carico delle vittime;
   anche in vista dell'adozione del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2011/29/UE, ad assicurare la formazione del personale giudiziario e di polizia che entri in contatto con le vittime dei reati, al fine di garantire che i diritti stabiliti dagli articoli 3, 4 e 5 della citata direttiva siano garantiti sia al momento del primo contatto con «un'autorità competente», sia, successivamente, al momento della denuncia;
   a predisporre quanto prima un piano globale di interventi integrati a favore della vittima, al fine di offrire adeguato supporto materiale e psicologico, nonché consulenza legale alle persone vittime di reato – ed in particolare a quelle fra loro vittime di reati violenti – costituendo un «rete nazionale di sostegno alle vittime» che sia presente in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale.
(1-00432)
«Verini, Leone, Dambruoso, D'Alia, Pisicchio, Ferranti, Amoddio, Bazoli, Biffoni, Campana, Ermini, Giuliani, Greco, Leva, Magorno, Marroni, Marzano, Mattiello, Morani, Moretti, Giuditta Pini, Rossomando, Rostan, Tartaglione, Vazio, Fabbri».
(14 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    gli episodi di violenza che quotidianamente si verificano su tutto il territorio nazionale richiedono una tutela, preventiva e successiva, cui lo Stato, talora, non è in grado di rispondere;
    uno Stato civile dovrebbe essere in grado, se non di garantire la sicurezza e, dunque, la tutela preventiva al cittadino, quanto meno di fornire un aiuto, economico e morale, dopo che il reato è avvenuto e, dunque, di fornire almeno una tutela successiva;
    allo stato esistono diversi fondi di garanzia, di solidarietà o di tutela, tanto di rilievo nazionale quanto di rilievo locale;
    detti istituti di sostegno e di aiuto, senza alcun dubbio utilissimi, essendo nati in momenti diversi e non essendo conseguentemente raccordati gli uni con gli altri, creano sovrapposizione di competenze, lungaggini nell'elargizione dei contributi economici e, soprattutto, inutile dispendio di energie da parte dei soggetti interessati;
    talora accade addirittura che spesso gli istituti di sostegno non servano allo scopo per cui sono stati previsti e creati e detta frammentarietà della risposta istituzionale alle istanze di giustizia avanzate dalle vittime di vari reati, direttamente collegata alla scarsità di fondi, provoca la conseguente insufficienza dei fondi stessi rispetto alle richieste;
    in definitiva, il risultato ultimo della moltiplicazione di tali fondi rischia di essere il non raggiungimento dell'obiettivo di aiutare, anche economicamente, le vittime di reati;
    sarebbe opportuno riunire tutte le provvidenze economiche attualmente in essere, ponendole sotto un'unica voce attraverso la creazione di un fondo di garanzia per le vittime della violenza;
    dovrebbe, inoltre, essere specificato meglio il concetto di «violenza» comprendendovi qualsiasi comportamento, doloso o colposo, fuori dai casi di provocazione o comunque di volontaria causazione, volto a limitare, ridurre o, comunque, comprimere, impedire o escludere la libertà altrui e a ledere o, comunque, danneggiare la persona;
    la legislazione del nostro Paese, soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta, registra numerosi interventi legislativi contenenti misure e forme di assistenza, sostegno e informazione a favore di alcune vittime di specifici illeciti;
    un esempio di intervento in tal senso è rappresentato dalla legge 3 agosto 2004, n. 206, che ha dettato norme in favore dei cittadini italiani vittime di atti di terrorismo e di stragi, compiuti sul territorio nazionale o all'estero, e dei loro familiari superstiti e ha introdotto una serie di benefici ad esclusivo vantaggio delle vittime del terrorismo ma non anche delle vittime del dovere e di quelle della criminalità organizzata;
    un ulteriore intervento di tutela delle vittime di reato è stato delineato nell'ambito della prevenzione e della repressione della tratta di esseri umani e di protezione delle vittime di reato, in data 4 marzo 2014, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute, mediante un decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    quest'ultimo provvedimento è intervenuto in attuazione della delega conferita al Governo dall'articolo 5 della legge di delegazione europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96) e, in materia di tutela delle vittime di reato, ha recepito in modo non del tutto adeguato ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo alcune disposizioni previste nella direttiva citata, poiché non ha apportato né una tutela generale per le vittime di violenza né una tutela sufficientemente adeguata. Non è, infatti, previsto un sistema efficace di risarcimento delle vittime di reato dal momento che si stabilisce, a titolo di risarcimento, la somma forfetaria di 1.500 euro (piuttosto esigua, avuto riguardo a quanto subito dalle persone vittime di tratta di esseri umani) per ogni vittima;
    il complesso di tali interventi dell'Esecutivo è stato determinato dal preciso intento dello Stato di offrire un segnale di sostegno, in termini morali ed economici, a fronte di quei delitti diretti contro la sua stessa ragione di essere, ma, pur considerando favorevolmente tutti gli interventi predisposti in materia, si ravvisano ancora profili di criticità in merito alla piena applicazione e al riconoscimento di tali diritti alle vittime di reato ed è necessario evidenziare che nell'ordinamento italiano ancora non esiste una normativa generale sostanziale a tutela queste ultime;
    in linea di principio, il risarcimento del danno dovrebbe essere attuato a cura dell'autore del reato, tuttavia oggi, sul piano generale, il quadro complessivo dei risarcimenti risulta tutt'altro che rassicurante, ove si pensi alle numerose ipotesi di autori di reato rimasti ignoti o comunque insolvibili;
    l'esigenza di una piena tutela delle vittime del reato è fortemente avvertita ai vari livelli e alle diverse istanze della società italiana, anche perché la parte danneggiata, la parte offesa dal reato, ovvero la parte civile costituita nel processo ricoprono un ruolo e rappresentano un interesse che potrebbe essere definito di natura pubblica o collettiva;
    il trattamento adeguato delle vittime corrisponde a una serie di diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) e l'effettivo riconoscimento, nonché il rispetto dei diritti delle vittime, in particolare della loro dignità umana, della loro vita privata e familiare e della loro proprietà, devono essere salvaguardati garantendo nel contempo i diritti fondamentali altrui, quali quelli dell'accusato;
    è necessario soddisfare le esigenze delle vittime prima, durante e dopo i procedimenti penali per ridurre significativamente il costo globale della criminalità che comprende tanto i costi materiali connessi ai settori dell'economia e della sanità e al sistema della giustizia penale, quanto i costi immateriali, quali il dolore, la sofferenza e la riduzione della qualità della vita della vittima,

impegna il Governo:

    ad assumere iniziative per risarcire le vittime di reato, prevedendo la possibilità di una commisurazione diversa dell'indennizzo, che non deve essere determinato in maniera fissa ma proporzionale al pregiudizio subito;
   a promuovere interventi finalizzati a superare ritardi e vuoti normativi fortemente pregiudizievoli per il soggetto più debole e meno garantito del processo, al fine di garantire il pieno riconoscimento della cittadinanza processuale a tutte le vittime di reato;
   ad assumere iniziative per istituire un fondo di garanzia per le vittime di reato che sia un istituto pubblico o, comunque, con partecipazione pubblica, finanziato anche attraverso la cessione, da parte dello Stato, dei crediti vantati nei confronti di coloro che sono stati condannati in via definitiva a pene pecuniarie, facendo sì che in detto fondo confluisca una quota parte dei beni, mobili e immobili, che sono oggetto di confisca;
   ad assumere iniziative per risarcire congruamente le vittime di reato allo scopo di riconoscere e rispettare i diritti delle stesse, in particolare la loro dignità umana e la loro vita privata e familiare.
(1-00433) «Mottola, Palese, Marotta».
(14 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    già nel 1970 il Consiglio d'Europa collocava il tema del risarcimento delle vittime dei reati violenti nel suo programma di lavoro, finché, dopo un lungo itinerario, nel 1983 adottò apposita convenzione, che veniva aperta alla firma degli Stati membri il 24 novembre dello stesso anno;
    tale convenzione voleva costituire lo strumento giuridico primario volto ad introdurre e a sviluppare, mediante disposizioni di minima e regimi di risarcimento da parte dello Stato, precipue disposizioni al fine di assicurare alle vittime idonea assistenza e tutela;
    la ratifica a livello europeo della convenzione di cui sopra è stata fatta dalla maggior parte degli Stati membri dell'Unione Europea, da Paesi come la Francia, la Svizzera, la Germania, la Danimarca, il Lussemburgo e il Belgio, mentre l'Italia non ha ancora provveduto a ratificarla né a firmarla;
    la convenzione europea, peraltro ancora aperta alla firma degli Stati, obbliga le parti a prevedere nelle loro legislazioni o pratiche amministrative un sistema di compensazione per risarcire, con fondi pubblici, le vittime di infrazioni violente e dolose che abbiano causato gravi lesioni corporali o la morte e, oltre ad individuare le previsioni minime che devono essere contenute in tale sistema, indica i danni che devono necessariamente essere risarciti, quali il mancato guadagno subito da una persona immobilizzata in seguito alla lesione, le spese mediche, le spese di ospedalizzazione, le spese funebri e, in caso di persone a carico, la perdita di alimenti;
    un ulteriore stimolo al riconoscimento della posizione della vittima come soggetto debole meritevole di una particolare tutela giuridica, sia nel sistema di diritto sostanziale che in quello di diritto processuale, è venuto successivamente da una serie di interventi normativi a livello europeo, come la decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001, adottata dal Consiglio dell'Unione europea, poi sostituita dalla direttiva 2012/29/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012;
    con riguardo alla legislazione nazionale italiana, pur avendo dimostrato nel corso di questi ultimi decenni di non essere insensibile alla tematica del risarcimento del danno da reato, tanto che è venuto sempre più intensificando un sistema di misure e forme di assistenza, sostegno e informazione a favore di alcune vittime di specifici illeciti, in particolare del terrorismo e della criminalità organizzata, è però venuta sempre più maturando anche l'esigenza di farsi carico dell'assistenza alle vittime dei reati intenzionali violenti diversi da quelli specifici già regolamentati dallo Stato;
    oggi, sul piano generale, il quadro complessivo dei risarcimenti, del pagamento delle spese processuali e delle tutele a favore delle vittime dei reati risulta tutt'altro che rassicurante, a causa delle sempre più numerose ipotesi di autori di reato rimasti ignoti o comunque insolvibili, della progressiva riduzione dell'accesso alla giustizia prodotta dalla recente riforma della geografia giudiziaria e, da ultimo, delle decurtazioni dei compensi dei legali operanti in regime di gratuito patrocinio (del 50 per cento in materia penale e del 33 per cento per tutte le materie) operate dall'attuale Governo;
    la tutela delle vittime di reato deve essere garantita sia nell'ambito del procedimento giudiziario sia al di fuori dell'ambito processuale, in particolare mediante opportune e qualificate forme di supporto psicologico e idonee attività di assistenza, assicurando adeguata formazione agli operatori;
    di fronte alle carenze dell'attuale sistema, per quanto riguarda il supporto e l'assistenza sia psicologica che economica a favore delle vittime, la sensazione di abbandono avvertita da chi ha subito un reato viene acuita dalla progressiva concentrazione di attenzione verso la personalità e gli interessi dell'autore del reato e dal talora mortificante raffronto, specie per le vittime traumatizzate in massimo grado, con il dispendio di risorse e di energie provocato dalle varie forme di protezione previste a favore di coloro che collaborano con la giustizia, dopo averla offesa;
    l'attenzione giuridica e mediatica che si riserva all'autore del reato rende la vittima di nuovo violata, fino ad arrivare al paradosso di assistere all'arricchimento del reo grazie al racconto romanzato, attraverso trasposizioni letterarie o cinematografiche, delle gesta del criminale che ha causato loro tanto dolore, e alla sua repentina liberazione perché chi ha commesso il reato non sconterà alcuna pena carceraria o al massimo, e nella migliore delle ipotesi, tornerà a breve libero grazie a qualche provvedimento che ne disporrà la detenzione domiciliare o qualche sconto di pena;
    è notorio che la vittima di un crimine violento subisce, oltre all'intuibile e meglio quantificabile danno fisico o materiale prodotto dal reato (cosiddetto danno primario), anche un danno cosiddetto secondario, se percepisce un atteggiamento negativo o indifferente da parte delle istituzioni o della società;
    pertanto, è altresì notorio che la tutela delle vittime di reato è strettamente connessa al principio della certezza della pena, soprattutto per quanto riguarda i reati violenti;
    l'adeguato risarcimento del danno o le forme di supporto devono necessariamente accompagnarsi alla certezza per la vittima che il responsabile del reato sconterà interamente ed effettivamente la pena prevista dall'ordinamento, poiché in difetto verrà ulteriormente aggravato il cosiddetto danno secondario, determinando un clima di diffidenza e di distacco nei confronti delle istituzioni, percepite come lontane e indifferenti, e la cui manifestazione più evidente è la sfiducia nei confronti dello Stato che finisce per rendere più vulnerabili le vittime stesse;
    pertanto, qualunque provvedimento che preveda benefici o sconti di pena a favore di chi ha commesso un crimine contrasta con il principio della certezza della pena, nonché con ogni intendimento dichiarato di voler tutelare le vittime dei reati;
    i provvedimenti adottati dall'attuale maggioranza in tema di giustizia e sicurezza vanno, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, nella direzione diametralmente opposta, non tenendo in alcuna considerazione la vittima del reato, dispongono una serie di misure e benefici a solo vantaggio del reo;
    tali provvedimenti veicolano un messaggio, oltre che in completo contrasto con i dichiarati intendimenti di tutela delle vittime dei reati, altresì estremamente pericoloso, tale per cui si induce alla convinzione generalizzata che commettere reati, ed in particolare reati di grave allarme sociale, oltre a reati particolarmente gravi, non comporterà, nei fatti, l'applicazione di una sanzione penale ed il reato, anzi, potrà essere estinto, per cui colui che si dovrebbe tutelare, cioè la vittima, non potrà nemmeno chiedere giustizia né alcun risarcimento del danno subito;
    la proposta di legge A.C. 331-927-B (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili) approvata definitivamente pochi giorni fa dalla stessa Camera, eccetto che dal gruppo Lega Nord Autonomie, attraverso i due istituti della detenzione non carceraria (o meglio della pena della reclusione e arresto unicamente domiciliare) per reati fino a 5 anni di reclusione – per cui la pena detentiva del carcere non verrà applicata – e della sospensione del procedimento con la messa alla prova (per reati fino a 4 anni di reclusione oltre a reati di grave allarme sociale come il furto aggravato), garantisce al reo l'impunità per legge, dimenticandosi totalmente della vittima;
    tale provvedimento è l'ultimo di una lunga serie di disposizioni normative che negli ultimi due anni sono state approvate da questo stesso Parlamento, ad eccezione del gruppo Lega Nord Autonomie che è stata l'unica forza politica a votare contro, che hanno disposto benefici a favore solo degli autori dei reati: dal decreto-legge «Severino» 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, recante «Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri», al decreto-legge «Cancellieri», 1o luglio 2013, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 94, recante «Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena», alla legge 21 febbraio 2014 n. 10, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, recante «Misure urgenti in tema dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria»;
    tra le misure adottate a favore di chi delinque occorre, in particolare, ricordare l'innalzamento dello «sconto» per la liberazione anticipata, previsto dalla legge n. 10 del 2014, che ha portato gli attuali 45 giorni a 75 giorni «scontati» a semestre, il quale, anche per l'effetto retroattivo dal 1o gennaio 2010 ha comportato uno sconto di pena di ben 280 giorni a chi era già stato condannato e, per il fatto di essere applicabile a tutti i detenuti costituisce ad avviso dei firmatari del presente atto un vero e proprio indulto mascherato permanente;
    nel corso del dibattito parlamentare, nemmeno nelle relazioni di maggioranza, una sola parola è stata spesa per le vittime dei reati da parte delle forze politiche di maggioranza, le quali hanno appoggiato e sostenuto questi provvedimenti;
    con tali provvedimenti si è data attenzione unicamente ed esclusivamente a coloro che commettono i reati e si è lasciata senza tutela la persona offesa del reato, mentre invece l'attenzione deve essere indirizzata solo ed unicamente verso chi subisce ed è vittima di un reato;
    alla luce dell'aumento esponenziale della microcriminalità registrata negli ultimi anni ed a scopo preventivo, ossia per evitare che vi siano sempre più future vittime di reati, occorre procedere a maggiori investimenti a favore del comparto sicurezza e delle forze dell'ordine e non invece disporre la soppressione di ben 267 presidi di polizia sul territorio, come recentemente annunciato da esponenti dell'attuale Governo;
    sono stati presentati in Parlamento e sono ancora in attesa di essere esaminati provvedimenti recanti norme a protezione e sostegno delle vittime di reati,

impegna il Governo:

   a sottoscrivere la Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti, del Consiglio d'Europa del 24 novembre 1983, e ad assumere le iniziative di competenza per la ratifica nel più breve tempo possibile, al fine di risponde all'esigenza di fornire adeguato supporto e idonea assistenza alle vittime dei reati;
   ad assicurare la piena centralità processuale della vittima mediante le iniziative legislative, regolamentari e amministrative necessarie, nonché a garantire l'aumento delle risorse destinate al gratuito patrocinio a favore delle vittime dei reati e adeguati investimenti per l'assistenza legale, la formazione professionale delle forze dell'ordine e il potenziamento del sistema di supporto psicologico alle vittime;
   a prevedere, anche con iniziative normative d'urgenza, l'inapplicabilità del rito cosiddetto abbreviato per tutti quei reati per i quali l'ordinamento prevede la pena dell'ergastolo e/o per tutti quei reati di competenza della corte di assise;
   a garantire il pieno rispetto del principio della certezza della pena e, in particolare, a non adottare alcuna iniziativa che disponga sconti di pena o benefici a favore di chi è stato condannato per reati di grave allarme sociale;
   a garantire la piena operatività dei presidi di polizia attualmente operanti sul territorio nazionale, rinunciando a qualsiasi piano di soppressione che ridurrebbe sensibilmente le capacità delle forze dell'ordine nel campo della prevenzione e del contrasto alla criminalità e, altresì, a potenziare il comparto sicurezza in termini di nuove risorse sia strumentali che di personale.
(1-00434)
«Molteni, Attaguile, Allasia, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Cristian Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(16 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    le vittime di reati violenti intenzionali, in molti casi, non possono ottenere un risarcimento dall'autore del reato, in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni oppure può non essere identificato o perseguito;
    al fine di evitare che tali vittime, oltre a subire le inevitabili conseguenze fisiche e psicologiche derivanti dalla violenza dell'offesa subita, non trovino neanche ristoro economico della sofferenza patita, il Consiglio d'Europa ha adottato nel 1983 la «Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti», volta ad introdurre o a sviluppare regimi di risarcimento da parte dello Stato sul cui territorio i reati violenti sono stati commessi;
    la Convenzione europea obbliga le parti a prevedere, nelle loro legislazioni o pratiche amministrative, un sistema di compensazione per risarcire, con fondi pubblici, le vittime di infrazioni violente, dolose che abbiano causato gravi lesioni corporali o la morte e, oltre ad individuare le previsioni minime che devono essere contenute in tale sistema, indica i danni che devono necessariamente essere risarciti; la Convenzione si basa sul principio di giustizia sociale, che esige che lo Stato indennizzi non solo i propri cittadini, ma anche le vittime di altre nazionalità, compresi i lavoratori emigranti, i turisti, gli studenti;
    la Convenzione europea è entrata in vigore il 1o febbraio 1988, a seguito delle tre ratifiche richieste. L'Italia risulta tra quegli Stati (e unico Stato membro all'interno dell'Unione europea) che non solo non hanno ratificato la Convenzione, ma neppure l'hanno sottoscritta, in buona sostanza ignorandola;
    tale disinteresse del nostro Paese risulta ancora più grave alla luce dell'emanazione nel 2004 della direttiva europea n. 2004/80/CE, che dal 1o luglio 2005 ha imposto agli Stati membri di garantire adeguato e equo ristoro alle vittime di reati violenti ed intenzionali impossibilitate a conseguire dai loro offensori il risarcimento integrale dei danni;
    si stabilisce infatti, all'articolo 12, paragrafo 2, della citata direttiva che «tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati internazionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo e adeguato delle vittime»;
    il Governo italiano non ha dato completa attuazione alla direttiva 2004/80/CE: tale inadempimento è stato sancito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza del 27 novembre 2007, su ricorso del 26 febbraio 2007 della Commissione europea. La quinta sezione della Corte di giustizia nella causa C-112/07 ha disposto che non avendo adottato, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio del 29 aprile 2004, 2004/80/CE, relativa all'indennizzo delle vittime di reato, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva;
    ad oggi, siffatto inadempimento permane nonostante l'emanazione del decreto legislativo n. 204 del 2007, che ha formalmente dato attuazione alla direttiva 2004/80/CE, il cui contenuto, però, è decisamente scarno e lacunoso. Invero, con tale intervento il Governo italiano non ha posto rimedio al suo inadempimento, ma si è limitato a disciplinare i momenti procedurali di collaborazione transfrontaliera, con ciò recependo il solo capo I della direttiva;
    e, infatti, nel 2012 la Commissione europea ha ritenuto opportuno avviare un ulteriore procedimento di infrazione nei confronti dell'Italia per mancata conformità alla direttiva;
    nonostante le continue sollecitazioni da parte dell'Unione europea, di fatto, in Italia, allo stato attuale, manca ancora un sistema generale di risarcimento a favore delle vittime di reati violenti intenzionali, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime, nel caso in cui il condannato non abbia i mezzi per farlo;
    difatti, se pur è vero che alcune leggi nazionali, emanate precedentemente alla direttiva, prevedono interventi economici a carico dello Stato a favore di talune vittime di reati, tuttavia ciascuna di queste norme è ritagliata ad hoc per determinate e circoscritte categorie di vittime, con la conseguenza che tutta una serie di vittime di reati violenti ed intenzionali decisamente gravi, quali, ad esempio, l'omicidio «comune» o lo stupro, rimangono indubbiamente escluse,

impegna il Governo:

   a sottoscrivere la Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti del Consiglio d'Europa del 24 novembre 1983 e a richiederne la ratifica nel più breve tempo possibile;
   a dare compiuta attuazione alla direttiva 2004/80/CE, attraverso l'introduzione di un sistema generale di risarcimento a favore delle vittime di reati violenti intenzionali, impossibilitate a conseguire dai loro offensori il risarcimento integrale dei danni.
(1-00437)
«Cristian Iannuzzi, Agostinelli, Colletti, Bonafede, Businarolo, Ferraresi, Sarti, Turco, Nesci».
(22 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    nell'ordinamento italiano le vittime dei reati violenti non sono garantite quanto in altri Paesi europei, sia in relazione ai diritti processuali delle stesse, sia – in particolare – rispetto al risarcimento dei danni;
    la forte sensibilità sul tema in Europa si manifesta più di 30 anni fa, a partire dalla Convenzione sul risarcimento alle vittime di reati violenti, firmata a Strasburgo in data 24 novembre 1983 ed entrata in vigore il 1o febbraio 1988, che prevede un meccanismo di risarcimento per le vittime di reati violenti che abbiano causato gravi lesioni o il decesso, alla quale lo Stato italiano, come noto, non ha mai aderito;
    in seguito è intervenuta la decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, che prevede diverse e specifiche norme a favore delle vittime di reati violenti, che gli Stati aderenti avrebbero dovuto recepire in gran parte entro il 22 marzo 2002; anche in questo caso, l'Italia non si è mai messa in regola;
    risale a 10 anni fa la direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004, che impegnava gli Stati aderenti ad adottare leggi atte ad indennizzare le vittime di reati violenti (tutto ciò entro il 1o luglio 2005);
    l'inadempienza italiana sul punto ha trovato riscontro in condanne da parte degli organismi dell'Unione europea. Nelle stesse si evidenzia la mancata adozione nella legislazione italiana di norme che prevedano il diritto delle vittime di reati intenzionali violenti di essere indennizzate in modo «equo e adeguato», come indicato nella citata direttiva 2004/80/CE: «l'Italia non dispone di alcun sistema generale di indennizzo per tali reati: la sua legislazione prevede soltanto l'indennizzo delle vittime di alcuni reati intenzionali violenti, quali il terrorismo o la criminalità organizzata, ma non di altri»; «Alcune vittime di reati intenzionali violenti potrebbero non avere accesso all'indennizzo cui avrebbero diritto»;
    il percorso di attuazione della direttiva 2004/80/CE, ad oggi, è ancora a metà: la soluzione italiana individuata con il decreto legislativo n. 204 del 2007 attiene, infatti, quasi esclusivamente ad aspetti formali della procedura e dimentica, peraltro, una parte delle vittime, quali quelle che hanno subito violenza sessuale, o più di recente, quelle riconducibili al fenomeno del cosiddetto femminicidio;
    i principi di un moderno Stato di diritto non possono non esplicitare i diritti e le facoltà delle vittime e la lacuna stride profondamente, specialmente se relativa alle vittime dei reati violenti;
    di recente è intervenuta la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che sostituisce la decisione quadro del 15 marzo 2001, e alla quale l'Italia non si è (ancora) attenuta, che va recepita dagli Stati dell'Unione europea entro il 16 novembre 2015, un testo molto più articolato rispetto alla decisione quadro del 2001, che si applica ai reati commessi e ai procedimenti penali che si svolgono nell'Unione europea, conferendo un livello minimo di diritti alle vittime di reati extraterritoriali;
    ai sensi della citata direttiva, che sancisce una protezione «rafforzata» delle vittime nello spazio dell'Unione europea, gli Stati sono, dunque, tenuti a garantire in modo effettivo i diritti delle vittime di reato, anche dopo la conclusione dei procedimenti penali, con una particolare attenzione alle persone vulnerabili – che devono essere individuate sulla base di una specifica valutazione – e alle vittime di violenza familiare e di genere. Si prevede, altresì, una tutela a largo raggio della vittima, con la possibilità, nei casi in cui subisca un reato in uno Stato diverso da quello della residenza, di denunciarlo nel proprio Paese, se non ha potuto farlo nel primo Stato o se non voglia farlo in caso di gravi reati;
    sul riconoscimento di diritti e garanzie delle vittime dei reati è ormai improcrastinabile un decisivo passo in avanti del nostro Paese,

impegna il Governo:

   a sottoscrivere la Convenzione europea sul risarcimento alle vittime di reati violenti, firmata a Strasburgo in data 24 novembre 1983 ed entrata in vigore il 1o febbraio 1988, e a promuoverne la ratifica;
   ad assumere iniziative normative volte a introdurre nella Costituzione il riconoscimento dei diritti e le facoltà delle vittime di reato, tema rispetto al quale sono, peraltro, già depositate diverse proposte di legge da diversi gruppi parlamentari;
   fermo restando che, rispetto alle vittime, la prima delle garanzie non può che essere quella di assicurare una durata ragionevole dei processi, ad intervenire per una maggiore celerità dei processi, prevedendo un rafforzamento degli stanziamenti per personale e mezzi, oggi carenti;
   ad assumere iniziative per prevedere adeguate tutele per le vittime dei reati, quali quelle relative alla posizione della vittima nel procedimento penale, già individuate nella decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001 e, da ultimo, nella direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio.
(1-00438)
«Daniele Farina, Migliore, Sannicandro, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro,Scotto, Zan, Zaratti».
(23 aprile 2014)

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE PER LA SOSPENSIONE DEL CONIO DELLE MONETE DA 1 E 2 CENTESIMI

   La Camera,
   premesso che:
    la quantità di monete che ciascuno Stato può coniare è approvata dalla Banca centrale europea; spetta poi a ciascuno Stato provvedere al conio delle stesse;
    gli organi di stampa hanno di recente riportato notizie circa il costo del conio degli euro per l'Italia. In particolare, parrebbe che i costi di fabbricazione di ciascuna moneta da un centesimo ammonterebbero a 4,5 centesimi; quelli di ciascuna moneta da due centesimi a 5,2 cent; quelli di ciascuna moneta da 5 centesimi a 5,7;
    dall'introduzione dell'euro la Zecca avrebbe fuso oltre 2,8 miliardi di monete da un centesimo, 2,3 miliardi di monete da 2 cent e circa 2 miliardi di monete da 5 cent, per un costo complessivo di 362 milioni di euro, a fronte di un valore reale di 174 milioni;
    per tali ragioni alcuni Paesi europei, tra cui la Finlandia e i Paesi Bassi, hanno bloccato il conio delle suddette monete;
    negli ultimi anni, il Governo e il Parlamento hanno tentato di limitare lo spreco di risorse pubbliche, tagliando, attraverso la cosiddetta spending review, quei costi cui nel complesso è possibile rinunciare;
    l'utilità delle monete da 1 e 2 centesimi è molto limitata e assolutamente rinunciabile, se paragonata ai risparmi che ne deriverebbero allo Stato,

impegna il Governo

ad assumere iniziative perché vengano attuate delle politiche di contenimento della spesa, sospendendo il conio delle monete da 1 e 2 centesimi e monitorandone gli effetti.
(1-00216)
(Nuova formulazione) «Boccadutri, Rosato, Currò, Balduzzi, Di Lello, Causi, Coppola, Coscia, D'Attorre, Di Salvo, Daniele Farina, Ferrara, Fiano, Fratoianni, Giorgis, Grande, Marcon, Melilla, Migliore, Misiani, Paglia, Pannarale, Piras, Francesco Sanna, Sannicandro, Scotto, Scuvera, Stumpo, Pinna, Catalano, Rizzetto, Prodani».
(24 ottobre 2013)

MOZIONI IN MATERIA DI NOMINE DI COMPETENZA DEL GOVERNO NELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA

   La Camera,
   premesso che:
    con un assegno da 50 mila euro più iva versato dal Governo è stata pagata la consulenza di due società di head hunting (cacciatori di teste), la Spencer & Stuart e la Korn Ferry, incaricate di selezionare i curricula per individuare i nuovi top manager pubblici fuori da logiche di lottizzazione politica, perché bisognava «cambiare verso»;
    ma viste le recenti nomine di Eni, Enel, Poste e Finmeccanica non è cambiato nulla; anzi, sono stati nominati amici intimi e finanziatori del Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, oltre che manager con un passato politico (l'ex parlamentare europeo Luisa Todini e l'ex deputato Udc Roberto Rao in Poste, l'ex Viceministro Marta Dassù nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica);
    da numerosi organi di stampa si apprende che il più vicino di tutti al Presidente del Consiglio dei ministri è Alberto Bianchi, nominato nel consiglio di amministrazione dell’Enel. Bianchi è il suo avvocato di fiducia, nonché il presidente della Fondazione Open (dove siedono anche Carrai, la Ministra Maria Elena Boschi e il Sottosegretario Luca Lotti), che per Renzi raccoglie i fondi da donatori privati. Tra quelli che hanno versato soldi a sostegno di Renzi, per le sue campagne alle primarie del Partito democratico, c’è anche Fabrizio Landi, ex amministratore delegato di Esaote, azienda leader del biomedicale con sede a Firenze. Landi nel 2012 ha donato 10 mila euro a Renzi, ora si trova nominato nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica. Marco Seracini, uno dei soci fondatori e presidente di un'altra associazione di fund raising (raccolta fondi) per Renzi, Noi Link, ha cessato le sue attività nel 2011, con un ottimo lavoro alle spalle: 750 mila euro raccolti per Renzi, appena nominato nel collegio sindacale dell’Eni;
    inoltre, si pone l'attenzione sulla nomina di Emma Marcegaglia, presidente di Eni, che, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha un evidente conflitto d'interesse, visto che l'azienda di famiglia, il gruppo Marcegaglia, è un colosso mondiale dell'acciaio, con 5 milioni di tonnellate di produzione annua, 7 mila dipendenti in 43 stabilimenti su tutto il pianeta, per 4 miliardi di ricavi. Si occupa anche di costruzioni, turismo, real estate (ha appena rilevato la Gabetti) e, per l'appunto, energia. Della quale, naturalmente, è anche un consumatore inesauribile. E, a conferma dei rapporti fitti, inevitabili, tra gruppo e produttori di energia, c’è, nel 2008, un patteggiamento di 11 mesi concesso al fratello di Emma, l'amministratore delegato del gruppo Antonio Marcegaglia, per un'accusa di tangenti proprio a una società dell’Eni, l’Enipower;
    è evidente che la logica sulle nomine delle società pubbliche continua ad essere la stessa di sempre, lottizzazione della politica e dei gruppi di potere sostenitori del Governo;
    a conferma di ciò il gruppo del MoVimento 5 Stelle discusse un'interpellanza urgente n. 2-00458 del 18 marzo 2014, nella quale si chiedevano al Governo chiarimenti sullo stato di avanzamento della selezione dei manager pubblici e di anticipare al Parlamento le decisioni assunte dal Governo e l'applicazione rigorosa della «direttiva Saccomanni»;
    il Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti, che rispose in nome e per conto del Ministro dell'economia e delle finanze e del Governo, non solo, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, fu evasivo su alcune domande, ma si limitò a leggere una risposta preparata dagli uffici competenti ovviamente poco soddisfacente;
    si ricorda che i consigli di amministrazione di 14 società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, più altri 35 consigli di società controllate indirettamente e anche i collegi sindacali di 10 controllate dirette e di 50 controllate indirette sono di imminente rinnovo. In tutto sono 49 consigli di amministrazione e sessanta collegi sindacali. A una media di 5-6 incarichi per ogni organo collegiale si arriva ai 600 incarichi totali da attribuire;
    fra le società i cui organi amministrativi e di controllo sono in scadenza, alcune (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa; Arcus; Istituto Luce-Cinecittà; Italia lavoro; Sogin; Sose e Studiare sviluppo) appaiono ai firmatari del presente atto di indirizzo perfettamente inutili e improduttive; le loro funzioni, in un processo di logica razionalizzazione delle competenze, ottimizzazione dei processi decisionali e contenimento delle spese, potrebbero essere attribuite a esistenti strutture ministeriali;
    il Ministro dell'economia e delle finanze ha emanato una direttiva, in base alla mozione n. 1-00060 approvata al Senato della Repubblica il 19 giugno 2013;
    la direttiva dispone che per la valutazione delle candidature, si deve tener conto per i candidati, tra gli altri, dei seguenti elementi:
     a) non devono essere membri del Parlamento, del Parlamento europeo, del consiglio di una regione o di enti locali con popolazione superiore a 15.000 abitanti;
     b) devono possedere comprovata professionalità ed esperienza in ambito giuridico, finanziario o industriale;
     c) non devono avere conflitti di interesse rispetto all'incarico da assegnare;
    inoltre, si stabilisce come causa di ineleggibilità o decadenza dall'incarico l'aver subito una condanna, anche non definitiva, per delitti contro la pubblica amministrazione o per altri reati in materia bancaria, finanziaria, assicurativa. Le società partecipate dovranno modificare gli statuti, tenendo conto delle disposizioni contenute nella direttiva. Le remunerazioni dei nominati devono essere stabilite sulla base delle performance aziendali ed ispirate a criteri di moderazione dei compensi;
    ma tale direttiva non contempla un limite ai mandati e all'età degli amministratori e non impedisce alla folta schiera dei politici non rieletti di aspirare a un posto di primo piano. Inoltre, la parte della direttiva dove si parla dell'ineleggibilità legata a fatti giudiziari appare molto elastica e non disciplina chiaramente eventuali conflitti d'interesse;
    si prevede che il Ministro, prima di procedere alle nomine, acquisisca un parere positivo da parte di un comitato di garanzia composto da Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, Vincenzo Desario, ex direttore generale della Banca d'Italia, e Maria Teresa Salvemini, consigliere del Cnel. Tale comitato costa 50.000 euro l'anno;
    ma le recenti nomine sono, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, la dimostrazione palese che il comitato di garanzia, la «direttiva Saccomanni» e le due società di head hunting (cacciatori di teste) non sono state efficaci e non hanno garantito i criteri di trasparenza, pubblicità, professionalità, onorabilità ed indipendenza che nomine di società partecipate dello Stato devono avere;
    questo è possibile solo attraverso un pieno coinvolgimento del Parlamento e la fissazione di tutti i criteri di nomina attraverso una norma di rango primario scevra da ogni interpretazione e deroghe capziose;
    come già espresso nella mozione 1-00301, tali grandi aziende costituiscono il tessuto connettivo dell'economia del Paese e sono tutte strategiche per la loro funzione attuale e per quella che potranno svolgere in futuro nella ristrutturazione ecologica, civile e tecnologica del sistema economico italiano. Esse sono state costruite con il lavoro e le tasse di 4 o 5 generazioni di italiani lungo il corso di oltre un secolo: i proprietari delle quote residue in mano allo Stato sono, dunque, i cittadini italiani che non possono essere espropriati della possibilità di decidere sul loro assetto attuale e futuro;
    le società pubbliche sono strategicamente rilevanti per il posizionamento dell'industria nazionale, in un quadro di definizione degli equilibri di mercato interno e internazionale; il bilancio dello Stato è positivamente ristorato dagli utili derivanti dalle profittevoli attività dei gruppi di imprese facenti capo alle sopra citate attività;
    bisogna porre fine ad una selezione dei componenti dei consigli d'amministrazione e dei collegi basata su umilianti logiche spartitorie e di appartenenza,

impegna il Governo:

   a fornire immediati chiarimenti sullo stato di avanzamento della selezione dei manager pubblici e ad anticipare al Parlamento le decisioni assunte dal Governo in materia di nomine pubbliche;
   a sospendere le nomine in quelle società definite in premessa inutili e improduttive e le cui funzioni, in un processo di logica razionalizzazione delle competenze, ottimizzazione dei processi decisionali e contenimento delle spese, potrebbero essere attribuite a esistenti strutture ministeriali;
   ad assumere urgentemente un'iniziativa normativa di rango primario volta a prevedere che le proposte governative di nomina dei membri dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo siano effettuate secondo i seguenti criteri e modalità, in aggiunta a quelli previsti dalla direttiva del Ministero dell'economia e delle finanze del 24 giugno 2013:
    a) che siano sottoposte al previo parere delle competenti commissioni parlamentari, al fine di verificare la professionalità, l'onorabilità, l'indipendenza e gli eventuali conflitti di interesse;
    b) che sia comunque prevista l'incompatibilità per coloro che:
     1) abbiano un procedimento giudiziario in corso;
     2) abbiano già ricoperto l'incarico per due mandati consecutivi;
     3) abbiano superato i limiti di età di 66 anni;
     4) pur essendo stati candidati, non siano stati eletti nel Parlamento, nel Parlamento europeo, nel consiglio di una regione o di enti locali con popolazione superiore a 15 mila abitanti o abbiano ricoperto incarichi governativi negli ultimi cinque anni.
(1-00343)
(Nuova formulazione) «Vallascas, Prodani, Da Villa, Crippa, Petraroli, Fantinati, Rizzetto, Rostellato, Mucci, Della Valle».
(14 febbraio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito delle recenti politiche tese a garantire la trasparenza e la moralizzazione della vita pubblica possono annoverarsi le determinazioni assunte dal Parlamento e dal Governo, già dai primi mesi della XVII Legislatura, relativamente ai requisiti ed alle modalità di nomina dei componenti degli organi di amministrazione delle società controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, un gruppo eterogeneo composto da decine di imprese, tra le quali spiccano, in particolare, Eni, Cassa depositi e prestiti, Enel, Finmeccanica, Ferrovie dello Stato, Poste italiane, Anas, Sogei ed altre;
    tali determinazioni avrebbero dovuto rappresentare una risposta allo scandalo che ha coinvolto negli anni scorsi i vertici di Finmeccanica e, più in generale, al malcostume politico, che molto spesso ha caratterizzato le nomine delle imprese pubbliche nel nostro Paese;
    sotto tale profilo appare utile segnalare che nel 2013, Parlamento e Governo, hanno seguito la strada quasi mai utilizzata di concordare reciprocamente talune prescrizioni;
    non a caso, in vista dell'approssimarsi delle scadenze di importanti incarichi presso imprese partecipate dallo Stato, il Senato della Repubblica ha esaminato, discusso ed approvato alcune mozioni sulle nomine dei consigli di amministrazione delle società pubbliche, presentate da diverse forze politiche, che sono poi confluite in una mozione unitaria;
    il 9 giugno 2013, infatti, l'Assemblea del Senato ha approvato la mozione 1-00060 (testo 4), a prima firma Tomaselli, che impegnava il Governo a prevedere l'adozione da parte del Ministro dell'economia e delle finanze di specifiche direttive tese a individuare criteri e modalità per la nomina e la decadenza dei componenti gli organi di amministrazione delle società controllate, direttamente o indirettamente, con l'introduzione di una specifica causa di ineleggibilità in caso di rinvio a giudizio o condanna per gravi fattispecie di reato e l'attivazione di una valutazione dei requisiti professionali basata su esperienza, autorevolezza, assenza di conflitti di interesse. La mozione impegnava, inoltre, il Governo a riferire annualmente alle competenti commissioni parlamentari circa l'applicazione dei criteri e procedure adottati; a promuovere nelle assemblee societarie l'adozione di criteri trasparenti ed equilibrati nella remunerazione dei vertici manageriali; e, infine, a promuovere l'adozione di analoghe procedure da parte delle altre pubbliche amministrazioni. Tutti i gruppi parlamentari hanno votato a favore della mozione, ad eccezione di Scelta civica per l'Italia che si è astenuta in conseguenza del mancato accoglimento di due emendamenti che fissavano un limite di tre mandati e impedivano agli ex parlamentari di transitare nei consigli di amministrazione delle società pubbliche;
    contestualmente il Ministero dell'economia e delle finanze ha elaborato di una direttiva ministeriale volta ad introdurre nuove regole in materia di nomine di componenti dei consigli di amministrazione delle società pubbliche;
    in questo senso deve, quindi, leggersi la singolare contemporaneità dell'approvazione della mozione Tommaselli ed altri 1-00060 (testo 4), avvenuta il 19 giugno 2013, con l'emanazione della direttiva ministeriale 14656 effettuata poco dopo, e segnatamente, il 24 giugno 2013;
    tale sincronismo avrebbe potuto rappresentare per il Governo, all'epoca presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, onorevole Enrico Letta, un doppio vantaggio politico, ovverosia quello di alleggerirsi delle forti pressioni opposte che una materia così delicata richiama, ma anche, e soprattutto, quello di fortificare la propria direttiva, presentandola non come il frutto di una propria scelta, ma come il puntuale svolgimento di un indirizzo impartito da un'ampia, sebbene eterogenea, maggioranza parlamentare;
    sotto tale profilo, si deve tuttavia rilevare che, sebbene la mozione citata rechi evidentemente la volontà di imprimere una svolta decisa in termini di trasparenza, di professionalità, di moralizzazione in un ambito molto difficile, quale è appunto quello delle nomine dei vertici delle imprese pubbliche, nella versione conclusiva non compaiono alcuni passaggi importanti, il che ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ha inevitabilmente condizionato la stesura della successiva direttiva ministeriale 14656, con riferimento, in particolare, alla limitazione del numero dei mandati, essenziale per impedire la formazione di concrezioni di potere che alimentano processi degenerativi, e alla fissazione di un'età massima dei candidati, utile barriera per contrastare la gerontocrazia e i non sempre apprezzabili passaggi da cariche di vertice delle amministrazioni pubbliche e delle magistrature a cariche di vertice di grandi imprese pubbliche, impiegate per lo più come premio di fine carriera per pensionati pubblici di lusso;
    solo recentissimamente, infatti, in data 8 aprile 2014, poco prima delle nomine annunciate dal Governo Renzi il 14 aprile 2014, è stata votata a larga maggioranza, su proposta del Presidente della Commissione industria, commercio, turismo del Senato della Repubblica, Massimo Muchetti, una risoluzione che impone il limite dei tre mandati per i vertici delle partecipate dello Stato, sia per il presidente che per l'amministratore delegato (7-00096);
    a ciò si aggiunge che la citata direttiva ministeriale 14656 del 24 giugno 2013, immediatamente successiva all'approvazione della mozione del Senato della Repubblica, ha recepito ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in modo del tutto insoddisfacente talune indicazioni formulate dal Parlamento;
    detta direttiva, infatti, dopo aver rammentato che i requisiti per accedere e mantenere le cariche societarie già previsti dalla legge, dagli statuti sociali e dalle direttive ministeriali, continuano ad essere vigenti, introduce una serie di ipotesi aggiuntive, riguardanti l'onorabilità, l'insussistenza di condizioni ostative e la professionalità;
    per quanto attiene ai nuovi requisiti di onorabilità, si evidenzia come essi siano specificati nell'allegato alla direttiva e (a differenza degli altri) non siano requisiti di diretta applicazione, ma divengano obbligatori soltanto in quanto essi siano inseriti (come la direttiva richiede) negli statuti societari;
    per quanto riguarda l'insussistenza delle condizioni ostative richieste per ricoprire le cariche delle imprese controllate dallo Stato, la direttiva ne indica due: l'assenza di conflitti di interesse (viene specificato «anche in riferimento ad eventuali cariche in società concorrenti») e il fatto di non essere membri di assemblee politiche o amministrative elettive;
    sotto tale profilo si rileva come le prescrizioni concernenti i conflitti di interesse contenuti nella direttiva riflettano, con tutta evidenza, un'inadeguata considerazione della complessità e delicatezza delle questioni più generalmente discusse e ridiscusse da anni nel nostro Paese;
    quanto ai conflitti di interesse, in particolare, è del tutto ovvio che essi, se sussistono, o possono sussistere, debbano impedire l'accesso alle cariche o debbano comportare la decadenza da esse. La prescrizione della direttiva risulta, dunque, superflua, poiché non è integrata dall'essenziale tipizzazione delle situazioni di conflitto di interessi nuove (cioè non già contemplate dalle leggi o dagli statuti) in quell'area grigia degli interessi «di fatto», oltre che «di diritto», in cui notoriamente si insinuano i maggiori rischi di opacità;
    sotto tale profilo, in punto di diritto, si segnala, da ultimo, come il gruppo Sinistra Ecologia Libertà abbia recentissimamente presentato un'interrogazione parlamentare, a firma Marcon, Airaudo, Duranti, Ferrara, Piras, per chiedere al Governo di revocare la nomina dell'ex Viceministro degli affari esteri Marta Dassù nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica, perché tale nomina secondo gli interroganti viola palesemente l'articolo 2 della legge n. 215 del 2004 sul conflitto di interessi;
    infatti, fino al 22 febbraio 2014, la professoressa Dassù è stata Viceministro degli affari esteri, con le deleghe, tra le altre materie, alla politica estera e di sicurezza comune e alla politica europea di sicurezza e difesa, mentre la legge n. 215 del 2004, all'articolo 2, recita testualmente, a proposito delle incompatibilità tra incarichi di Governo e in enti di diritto pubblico o anche economici che: l'incompatibilità «perdura per 12 mesi dal termine della carica di Governo nei confronti di enti di diritto pubblico, anche economici, nonché di società aventi fini di lucro che operino prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta». È, quindi, evidente, sotto tale profilo, come le deleghe assunte dalla professoressa Dassù nel precedente Governo si intreccino con la missione e le attività del gruppo Finmeccanica e che sia configurabile in tal senso una situazione di conflitto di interesse;
    nondimeno, anche la recente nomina di Emma Marcegaglia a presidente di Eni (che rientra insieme a Terna e Snam tra le principali società partecipate dalla Cassa depositi e prestiti) appare risentire di un'evidente situazione di conflitto di interesse, considerato che il gruppo industriale di proprietà della sua famiglia rappresenta il leader mondiale nella trasformazione dell'acciaio, con rilevanti coinvolgimenti nel settore dell'energia e, conseguentemente, in quello del gas;
    stando a quanto previsto dalla direttiva ministeriale, poi, si segnala come i requisiti di eleggibilità alle cariche richiesti dalla direttiva includano il possesso di una «comprovata professionalità ed esperienza in ambito giuridico, finanziario o industriale». Tale generica richiesta viene più specificamente articolata per le cariche di amministratore delegato: si precisa, infatti, la necessità di una congrua esperienza pregressa di analogo livello di responsabilità, si individuano i possibili contesti nei quali tale esperienza debba essere stata svolta, si domandano doti di autorevolezza verificabili in ragione della reputazione, dei risultati conseguiti, della «riconoscibilità» nei mercati di riferimento;
    tale misura di valutazione, pur tuttavia, non è in alcun modo dettagliata in rapporto alle caratteristiche proprie e specifiche di ciascuna delle imprese controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, che, come noto, si occupano di molteplici attività di carattere economico e industriale. Inoltre, del tutto vaghe appaiono pure le indicazioni della direttiva per i candidati alla carica di presidente, che lasciano un varco aperto all'esercizio di un'amplissima discrezionalità svincolata da esperienze specifiche svolte in contesti significativi e con risultati acclarati;
    le conseguenze, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti: basti pensare alla recente nomina a presidente di Enel di Patrizia Grieco, persona di comprovata esperienza in campi quali l'informatica e le telecomunicazioni, ma non certo in campi attinenti all'ambito energetico; oppure a quella di Patrizia Todini, nominata presidente di Poste italiane, persona proveniente da una famiglia di costruttori con cui, attualmente, continua a svolgere un tipo di attività molto lontana dal servizio pubblico universale delle comunicazioni; o anche Mauro Moretti, recentemente nominato amministratore delegato di Finmeccanica e che appena un anno fa era stato confermato per un nuovo triennio alla guida delle Ferrovie dello Stato, l'azienda in cui ha lavorato tutta la carriera e che adesso dovrà occuparsi di un'azienda strategica, come Finmeccanica, che si sta concentrando sempre di più sul ramo armamenti ed ha avviato la dismissione di alcuni pezzi importanti del civile, tra cui i trasporti, a meno che non vi sia un ravvedimento da parte del Governo in tal senso, come più volte auspicato da Sinistra Ecologia Libertà in numerosissime mozioni parlamentari;
    per quanto attiene, poi, alle procedure selettive, la direttiva ministeriale prevede che la selezione e l'individuazione dei candidati delle cariche nelle società controllate direttamente dal Ministero dell'economia e delle finanze debba avvenire attraverso una procedura articolata in più passaggi e sommariamente descritta, che coinvolge non solo il dipartimento ed il Ministro, ma anche società esterne specializzate nella ricerca e nella selezione di top manager ed un comitato di garanzia, costituito con carattere di stabilità e composto da personalità indipendenti di comprovata competenza in materia giuridica ed economica;
    la stessa direttiva prevede, tuttavia, che, nelle more dell'allestimento di tale nuovo regime, per il quale non è comunque assegnato un termine, si dia corso ad una «non meglio specificata procedura semplificata», che fa comunque salva la funzione di verifica affidata al comitato di garanzia attualmente costituito da Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, Vincenzo Desario, ex direttore generale della Banca d'Italia e Maria Teresa Salvemini, consigliere del Cnel;
    in fine, va segnalata una grave dimenticanza della direttiva, che omette di precisare, contrariamente a quanto richiesto dalla mozione parlamentare approvata dal Senato della Repubblica nel giugno 2013, i termini e modi in cui il Ministero debba informare le commissioni parlamentari circa l'attuazione delle nuove procedure di nomina;
    talune delle recenti nomine comunicate dal Governo, solo il 14 aprile 2014, in relazione alla composizione dei consigli di amministrazione di importantissime società a partecipazione pubblica suscitano particolare perplessità per tutti i motivi anzidetti;
    come si è detto, l'8 aprile 2014, circa una settimana prima delle nomine comunicate dal Governo Renzi, il Senato della Repubblica ha approvato a larga maggioranza in Commissione industria, commercio, turismo la risoluzione (7-00096), che impegna il Governo a:
     a) impostare su base meritocratica la formazione delle liste per i consigli di amministrazione delle società nelle quali il Ministero dell'economia e delle finanze esercita, direttamente o indirettamente, il controllo di diritto o di fatto, avendo particolare cura di evitare situazioni di conflitto di interesse;
     b) subordinare l'eventuale riconferma dei presidenti e degli amministratori delegati uscenti alla valutazione del ruolo di ciascuno e dei risultati della società sul piano industriale, su quello della remunerazione del capitale investito dall'azionista, nonché sui risultati dei bilanci di sostenibilità, e in ogni caso avendo come limite massimo quello di tre mandati;
     c) osservare, ai fini della corporate governance, le positive indicazioni adottate dalle società Enel ed Eni sull'indipendenza dei presidenti contenute negli orientamenti del consiglio di amministrazione agli azionisti sulla dimensione e composizione del nuovo consiglio di amministrazione;
     d) trasmettere al Parlamento una relazione che illustri le ragioni e le finalità delle scelte fatte nella formazione delle liste e nella designazione di presidenti e amministratori delegati, nonché degli obiettivi generali loro affidati;
     e) trasmettere, inoltre, al Parlamento, con cadenza annuale, una relazione sull'andamento delle società, in relazione al mandato ricevuto;
     f) procedere ad una riduzione della retribuzione lorda totale (comprensiva delle parti fisse e variabili, di eventuali stock option e stock grant, nonché dei trattamenti di fine rapporto) di chi sia designato a ricoprire le cariche di presidente ed amministratore delegato, sulla base di un forte principio di progressività, e, per il futuro, a legare l'eventuale miglioramento dei compensi dei capi-azienda al proporzionale miglioramento sostenibile dei salari;
     g) esigere da chi sia designato amministratore delle società a operare affinché i consigli di amministrazione di queste stesse società rendano note in una relazione allegata al bilancio annuale, in base ai criteri individuati con provvedimento del Ministro dell'economia e delle finanze, le spese per pubblicità, sponsorizzazioni e liberalità, indicandone i beneficiari;
     h) valorizzare, senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato, la direzione del Ministero dell'economia e delle finanze preposta al controllo delle partecipazioni azionarie dello Stato in relazione ai mandati assegnati e nel rispetto delle norme sulle incompatibilità di cui al decreto legislativo n. 39 del 2013, anche istituendo, all'interno della direzione, delle specifiche unità di valutazione dei risultati delle aziende;
     i) rispettare nella definizione delle liste i requisiti di onorabilità, oltre a quelli di professionalità indicati nella mozione sulle nomine, approvata il 19 giugno 2013 dal Senato della Repubblica,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a revocare le recenti nomine rispetto alle quali, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, si appalesano i più evidenti conflitti di interesse, con particolare riferimento a quelle dell'ex Viceministro degli affari esteri Marta Dassù nell'ambito del consiglio di amministrazione di Finmeccanica, nonché quella di Emma Marcegaglia a presidente di Eni;
   ad informare, immediatamente e nel modo più possibile dettagliato, il Parlamento circa le procedure seguite ai sensi della citata direttiva ministeriale 14656, con riferimento alle nomine dei consigli di amministrazione comunicate dal Governo il 14 aprile 2014, e le modalità attraverso le quali sia stata data attuazione in tal senso alla recente risoluzione approvata dal Senato della Repubblica l'8 aprile 2014;
   a riferire circa i requisiti e le modalità valutative in forza delle quali il comitato di garanzia sia stato concretamente messo in condizione di operare le proprie verifiche, al fine di assicurare che lo stesso comitato possa svolgere un ruolo realmente significativo a fronte di una situazione di fatto che potrebbe rischiare di dare un'apparenza di obbiettività a scelte che potrebbero rivelarsi solo di carattere eminentemente politico;
   ad informare tempestivamente le commissioni parlamentari sullo stato di avanzamento della selezione dei manager pubblici, assicurando in tal senso il massimo coinvolgimento preventivo dei parlamentari;
   ad adottare le opportune iniziative di competenza finalizzate ad integrare le prescrizioni previste dalla citata direttiva ministeriale 14656 alla luce delle omissioni e delle criticità rilevate dal presente atto di indirizzo, con particolare riferimento ai requisiti ed al procedimento di selezione per la nomina dei componenti dei consigli di amministrazione delle società pubbliche, o, in alternativa, ad adottare apposite iniziative normative di rango primario tese ad uniformare in modo organico un'efficace disciplina di riferimento.
(1-00443)
«Lacquaniti, Matarrelli, Ferrara, Migliore, Di Salvo, Marcon, Airaudo, Duranti, Piras, Pannarale».
(28 aprile 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il sistema economico del Paese registra la presenza di società, partecipate direttamente od indirettamente da soggetti pubblici, frutto di un'evoluzione storica, peraltro assimilabile a quella della maggior parte degli altri Paesi europei, improntata alla gestione di alcuni servizi e al sostegno ad alcuni settori produttivi considerati importanti e strategici, non solo a fini economici ma anche per garantire alcuni servizi essenziali a tutti i cittadini;
    il quadro normativo riguardante le società a partecipazione pubblica è complesso a causa dei diversi profili coinvolti: alla normativa societaria si sovrappongono gli effetti indiretti delle norme sul patto di stabilità e sulla spending review, che condizionano gli enti pubblici che partecipano dei capitali delle società; inoltre, sono presenti alcune normative di settore, principalmente di derivazione europea, riguardanti la concorrenza e la liberalizzazione di taluni servizi;
    negli ultimi anni, tuttavia, le società, in particolare quelle partecipate da enti pubblici, hanno adottato iniziative volte a garantire la trasparenza non solo delle proprie scelte strategiche, ma anche della scelta e dell'adeguatezza del proprio management, superando generalmente quanto comunque previsto dalla legge e con lo scopo, oltre che di garantire trasparenza, di rendersi più forti e credibili rispetto ai mercati nei quali operano;
    i poteri di nomina da parte dell'azionista pubblico degli amministratori delle società partecipate sono disciplinati, a livello generale, dal codice civile, nonché da una serie di ulteriori disposizioni. In primo luogo, la disciplina generale (articolo 2449 del codice civile) prevede che, se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può attribuire loro la facoltà di nominare amministratori, sindaci o componenti del consiglio di sorveglianza, in numero proporzionale alla partecipazione al capitale sociale;
    gli amministratori e i sindaci o i componenti del consiglio di sorveglianza nominati dallo Stato e dagli enti pubblici possono essere revocati solo dagli enti che li hanno nominati ed hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea. Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica;
    i sindaci, ovvero i componenti del consiglio di sorveglianza, restano in carica per tre esercizi e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della loro carica. Per le società che fanno ricorso al mercato azionario è prevista la possibilità di riservare allo Stato o agli enti partecipanti azioni fornite di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, ma non il voto nell'assemblea generale degli azionisti;
    alcuni importanti accorgimenti sono stati adottati dal legislatore per garantire che le società pubbliche siano orientate a criteri di efficienza, penalizzando gli amministratori che non agiscono con competenza e capacità. Ne è esempio la previsione in base alla quale non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica, società a totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, ha chiuso in perdita tre esercizi consecutivi (articolo 1, comma 734, della legge n. 296 del 2006);
    i principali dati relativi alle società a partecipazione pubblica sono disponibili e fruibili in diverse forme, compreso il canale internet. L'elenco delle società per azioni partecipate da amministrazioni statali è contenuto nel rendiconto generale dello Stato, nel conto del patrimonio (appendice 4). Il Ministero dell'economia e delle finanze è il principale azionista statale. Le informazioni disponibili sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze riferiscono che a novembre 2012 il dicastero deteneva 31 partecipazioni dirette;
    la legge 12 luglio 2011, n. 120, sulla parità di accesso agli organi delle società quotate, volta a superare il problema della scarsa presenza di donne negli organi di vertice delle società commerciali e, in particolare, nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, dispone che, per le società a controllo pubblico, i principi applicabili rimangono quelli di legge, mentre la disciplina di dettaglio è affidata ad un apposito regolamento, con la finalità di garantire una disciplina uniforme per tutte le società interessate. Tale regolamentazione è contenuta nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251. Ad esso è affidata la disciplina della vigilanza sull'applicazione delle disposizioni introdotte, nonché delle forme e dei termini dei provvedimenti da adottare e delle modalità di sostituzione dei componenti decaduti;
    in particolare, tale regolamento impone, come avviene per le società private, agli statuti delle società pubbliche non quotate di prevedere modalità di nomina degli organi di amministrazione e di controllo, se a composizione collegiale, tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei componenti di ciascun organo. In tali ipotesi gli statuti disciplinano ugualmente la formazione delle liste in applicazione del criterio di riparto tra generi, prevedendo modalità di elezione e di estrazione dei singoli componenti idonee a garantire il rispetto delle previsioni di legge;
    ai sensi dell'articolo 18, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, le società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi, criteri e modalità rispettosi dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità;
    il Senato della Repubblica, il 19 giugno 2013, ha approvato una mozione sui criteri di nomina degli amministratori delle società quotate e non quotate controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, le cui indicazioni sono successivamente state fatte proprie dal Governo con la direttiva del Ministero dell'economia e delle finanze del 24 giugno 2013,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per disciplinare e rendere pubblici, laddove non abbia già provveduto in tal senso, anche nel rispetto delle disposizioni contenute nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251, i requisiti richiesti per la candidatura alla carica di componente dei consigli di amministrazione delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo;
   a subordinare l'eventuale riconferma dei presidenti e degli amministratori delegati uscenti alla valutazione dei risultati aziendali conseguiti ed in ogni caso avendo come limite massimo quello di tre mandati;
   a procedere ad una generale riduzione della retribuzione lorda totale di chi sia designato a ricoprire le cariche di presidente ed amministratore delegato, subordinandola, al contempo, ai risultati gestionali conseguiti;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche di carattere normativo, volta a prevedere, ove non già disposto, la sottoposizione delle proposte governative di nomina dei membri dei consigli di amministrazione delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo al parere delle competenti commissioni parlamentari.
(1-00444)
«Allasia, Guidesi, Caparini, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(28 aprile 2014)