TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 208 di Mercoledì 9 aprile 2014

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A SOSTEGNO DEL SETTORE DEL TURISMO

   La Camera,
   premesso che:
    l'economia turistica offre un contributo decisivo alla produzione della ricchezza italiana, allo sviluppo dell'occupazione e all'attivo della bilancia valutaria;
    il valore aggiunto prodotto dalle attività connesse al turismo è pari a circa 83 miliardi di euro, ovvero il 6 per cento del totale dell'economia;
    i consumi turistici interni ammontano a 114 miliardi di euro, buona parte dei quali (circa 30 miliardi di euro) è determinato dalle spese effettuate in Italia dai turisti stranieri;
    gli esercizi ricettivi italiani ospitano ogni anno 375 milioni di pernottamenti. Il settore offre lavoro a 1,5 milioni di persone, di cui circa 1 milione di lavoratori dipendenti;
    la domanda turistica mondiale è in costante aumento, con circa un miliardo di movimenti turistici, destinati a raddoppiare entro il 2030; i mercati emergenti come Cina, Russia e Brasile hanno mostrato un trend che continua a crescere per il turismo in uscita, cosiddetto outgoing, mentre Asia e Europa sono e continueranno ad essere le destinazioni turistiche leader per il cosiddetto turismo incoming;
    la stima di crescita del mercato turistico europeo per il 2014 è del 3,4 per cento di incremento del prodotto interno lordo globale, in virtù dei nuovi Paesi membri, nonché per il trend di crescita dei mercati asiatici e del sud del mondo, per i quali l'Europa costituisce una destinazione turistica;
    purtroppo, l'Italia cattura quote sempre minori di tali flussi, anche a causa della scarsa efficacia delle politiche di promozione; tra le ragioni del sud dell'Europa le stime di crescita per l'anno 2014 sono per Malta, Portogallo e Croazia tra il 6-8 per cento, mentre per l'Italia sono del 2,5 per cento;
    l'Italia dispone di un marchio importante e invidiato in tutto il mondo, il marchio ITALIA, sul quale devono essere fondati gli sforzi del sistema, stanziando le risorse per realizzare un grande piano strategico promozionale, da realizzarsi mediante un'azione corale, che veda tutti gli stakeholder impegnati in uno sforzo sinergico;
    un'adeguata disponibilità di risorse è condizione indispensabile affinché gli investitori, pubblici e privati, possano svolgere attivamente il proprio ruolo;
    le piccole e medie imprese, pur costituendo la parte più vitale del tessuto economico del nostro Paese, stentano a reperire sul mercato i capitali necessari per riqualificare o espandere l'attività, condizione indispensabile per poter confrontarsi con l'agguerrita concorrenza internazionale;
    la problematica, che interessa l'intera economia italiana, è particolarmente avvertita nel settore del turismo, al cui interno prevalgono imprese di dimensioni medio piccole;
    similmente, anche gli enti pubblici che si occupano di turismo risultano spesso privi dei fondi necessari per attivare politiche di sviluppo;
    se si considera il turismo un asset strategico, se si desidera che continui a concorrere alla creazione di valore e di occupazione, occorre re-investire nel settore una parte del grande contributo che l'economia turistica porta alla nostra nazione;
    turismo e patrimonio culturale ed ambientale sono strettamente correlati, soprattutto in Italia dove l'attività turistica contribuisce a promuovere e a sviluppare il patrimonio culturale, linguistico, naturalistico e delle eccellenze italiane come, ad esempio, l'enogastronomia e la moda;
    turismo e cultura, in un Paese quale l'Italia, non possono che stare assieme;
    non c’è nazione al mondo dotata di beni culturali qualitativamente e quantitativamente elevati come l'Italia;
    non c’è nazione al mondo con un sistema ricettivo diffuso e capillare e diversificato per categorie e tariffe quale quello italiano;
    è importante giungere a un programma specifico per il turismo che sia orientato, in particolare, alle micro, piccole e medie imprese e ai soggetti del turismo sociale, che incoraggi gli investimenti e l'occupazione giovanile nel settore turistico, i partenariati tra imprese, associazioni del turismo sociale e soggetti pubblici per progetti paneuropei;
    il turismo sociale promuove l'accesso del maggior numero di persone alla vacanza, senza distinzione di età, appartenenza culturale, disponibilità economica e capacità fisica;
    è fondato sui valori della socializzazione, della crescita della persona e del rispetto dell'ambiente, esso è fattore di coesione sociale e di arricchimento culturale nonché di crescita economica, determinando un significativo sviluppo della domanda interna e orientando i flussi turistici nei periodi di bassa stagione;
    il turismo sociale può essere dunque inteso nelle diverse accezioni: come diritto e come servizio sociale, accessibile fisicamente ed economicamente anche alle persone che per motivi diversi non possono esercitare il diritto inalienabile alla vacanza intesa come turismo realizzato da gruppi e associazioni la cui motivazione principale prescinde dalle caratteristiche della vacanza (ad esempio, dal luogo prescelto), ma soddisfa il bisogno di socializzare e vivere momenti di incontro, di relazione e di scambio di esperienze reciproche, come conoscenza di culture e, quindi, fonte di accrescimento della persona;
    la qualità dell'offerta turistica è poi fortemente condizionata dalla raggiungibilità della destinazione, fattore che influenza quote consistenti di mercato;
    gli ostacoli alla mobilità ed alla comunicazione si trasformano automaticamente in ostacoli allo sviluppo del turismo;
    da questo punto di vista, il sistema italiano dei collegamenti non brilla certo per efficienza;
    non meno rilevante è il digital divide, con molte località turistiche non servite dalla banda larga;
    i disagi provocati dal deficit di infrastrutture sono amplificati dalla ridotta integrazione tra le stesse e da un'insufficiente attenzione alle esigenze del turista e del turismo;
    non di rado, le decisioni inerenti l'organizzazione delle reti (collegamenti ferroviari, collegamenti con le isole, operatività degli aeroporti e altro) assumono a paradigma di riferimento unicamente l'obiettivo di ridurre la spesa, senza preoccuparsi dell'impatto che la decisione produce sull'economia turistica del territorio, che viene privata di un asset strategico;
    nonostante l'affermarsi della telematica e dell’e-government, la mole di adempimenti burocratici richiesti alle imprese italiane non accenna a diminuire;
    l'incidenza degli oneri amministrativi è un fardello che grava maggiormente sulle imprese di minori dimensioni, che rappresentano la spina dorsale dell'economia italiana;
    l'impresa è costretta ad accollarsi oneri impropri per far fronte ad obblighi non direttamente connessi alla propria attività, oppure rischia di essere trascinata in un limbo di irregolarità formale dalla quale è assai problematico affrancarsi;
    infine, una parte rilevante dell'offerta turistica è sotto-utilizzata a causa dell'accentuata stagionalità dell'attività;
    da ciò consegue una limitata capacità espansiva del settore, un'insufficiente redditività delle imprese e un dato occupazionale rilevante ma inferiore alle potenzialità;
    la crisi economica accentua la tendenza alla frammentazione stagionale dell'attività turistica, spingendo gli operatori a ridurre al minimo il periodo di attività e generando un fenomeno di ristagionalizzazione;
    la stagionalità non è un dato incontrovertibile ma il risultato di scelte imprenditoriali derivanti in molti casi da fattori economici, finanziari e amministrativi;
    sarebbe importante favorire il prolungamento dei periodi stagionali di attività attraverso iniziative in grado di accrescere i flussi turistici e di migliorare le condizioni economiche di operatività del settore,

impegna il Governo:

   ad assicurare un maggior sostegno della domanda turistica interna, promuovendo e coordinando le politiche nazionali volte a favorire l'accesso al turismo anche delle categorie sociali più deboli, a tal fine riattivando il sistema dei buoni vacanze per il loro forte impatto sociale ed economico, basti pensare che in Francia attivano una spesa turistica di oltre 3 miliardi di euro, contribuendo efficacemente alla maggiore tenuta del sistema turistico di quel Paese;
   a recuperare e valorizzare i territori e il loro patrimonio ambientale, culturale ed enogastronomico anche predisponendo pacchetti d'offerta territoriali;
   ad assumere iniziative per alleggerire la pressione fiscale sulle imprese turistiche, che ha raggiunto un livello insostenibile, assicurando che l'imposizione assuma una misura equa e ragionevole;
   a favorire l'aggregazione tra imprese per la gestione in comune dei servizi turistici;
   a realizzare collegamenti stradali e ferroviari efficienti tra gli aeroporti e le località turistiche cosiddette minori;
   a collegare i principali hub con la rete ferroviaria ad alta velocità;
   a sbloccare le tariffe aeroportuali, vincolandone la destinazione allo sviluppo degli aeroporti;
   ad assumere iniziative per assicurare la disponibilità della banda larga in tutte le località turistiche, a servizio delle imprese e della clientela;
   a semplificare gli adempimenti a carico delle imprese, che rappresentano una forma di distorsione competitiva e che frenano gli investimenti e la crescita del settore;
   ad incentivare il prolungamento della durata dei rapporti di lavoro stagionali, mediante la riduzione del prelievo contributivo e fiscale che grava sugli stessi;
   a promuovere la collaborazione con e tra gli enti territoriali interessati, al fine di dar vita a forme di coordinamento e razionalizzazione degli interventi nel settore del turismo, con particolare riferimento alla promozione dell'armonizzazione normativa e della semplificazione amministrativa.
(1-00327)
«Molea, Andrea Romano, Capua, Vezzali, Causin, Catania, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, Galgano, Librandi, Mazziotti Di Celso, Matarrese, Vargiu, Vecchio, Vitelli».
(31 gennaio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'industria del turismo rappresenta un settore chiave dell'economia europea, che genera oltre il 10 per cento del prodotto interno lordo dell'Unione Europea, impiegando 9,7 milioni di persone e coinvolgendo 1,8 milioni di imprese;
    il turismo può contribuire efficacemente a incrementare il lavoro e lo sviluppo regionale, ad incentivare uno sviluppo sostenibile, a creare un patrimonio naturale e culturale maggiore, nonché a formare un'identità europea;
    la politica dell'Unione europea mira a promuovere il turismo in modo da mantenere la posizione di prima destinazione turistica mondiale, massimizzando, al contempo, il contributo del settore alla crescita e all'occupazione;
    il Trattato di Lisbona riconosce espressamente l'importanza del turismo all'articolo 195 del Tratto stesso, mentre la strategia europea sul turismo è enunciata principalmente dalla comunicazione «L'Europa, prima destinazione turistica mondiale – un nuovo quadro politico per il turismo europeo», adottata nel giugno 2010 dalla Commissione europea;
    si tratta di un quadro di iniziative per il turismo europeo che definisce 21 azioni per l'industria del turismo su cui la Commissione europea intende operare in stretta collaborazione con gli Stati membri e con i principali operatori dell'industria turistica. Tali azioni possono essere riunite attorno a quattro assi principali che consistono nello: stimolare la competitività del settore turistico europeo; promuovere lo sviluppo di un turismo responsabile, sostenibile e di qualità; consolidare l'immagine dell'Europa come insieme di destinazioni sostenibili e di alta qualità; infine, massimizzare il potenziale delle politiche finanziarie dell'Unione europea per lo sviluppo del turismo;
    sotto il profilo europeo, gli strumenti di finanziamento per il turismo per il prossimo periodo di programmazione 2014-2020 sono rappresentati dal Programma per la competitività delle imprese e per le piccole e medie imprese – COSME (rivolto alle piccole e medie imprese e teso a: agevolare l'accesso ai finanziamenti per le piccole e medie imprese; sostenere la creazione di un ambiente favorevole alla creazione di nuove imprese e alla crescita; aumentare la sostenibilità e aiutare l'internazionalizzazione); dal Programma Horizon 2020 (per la ricerca e l'innovazione che prevede misure per sostenere il settore del turismo, attraverso progressi in ricerca e innovazione in settori quali tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT), trasporto sostenibile ed altri), dal Programma per l'ambiente e l'azione per il clima – Life (con un importo di circa 3 miliardi di euro); infine, dai fondi strutturali europei e per l'agricoltura che potranno co-finanziare interventi in materia di turismo con il Fondo europeo di sviluppo regionale (per la sostenibilità energetica, ricerca, innovazione e tecnologie dell'informazione e della comunicazione) il Fondo europeo di sviluppo (per la formazione) ed il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale per il turismo rurale nell'ambito della cooperazione territoriale europea ed i programmi interregionali;
    la competitività dell'industria europea del turismo è strettamente legata alla sua sostenibilità, come la qualità delle destinazioni turistiche è fortemente influenzata dal loro ambiente naturale e culturale e la loro integrazione nella comunità locale. Le principali sfide per il turismo sostenibile sono, quindi, rappresentate dall'obiettivo di conservare le risorse naturali e culturali; limitare gli impatti negativi tra cui l'uso di risorse naturali e la produzione di rifiuti; promuovere il benessere della comunità locale; ridurre la stagionalità della domanda e rendere il turismo accessibile a tutti; limitare l'impatto ambientale dei trasporti in materia di turismo; migliorare la qualità dei posti di lavoro del turismo. Non a caso la Carta europea per un turismo sostenibile e responsabile cerca di incoraggiare lo sviluppo di questo tipo di turismo e la cosiddetta iniziativa «Eden» è stata concepita per promuovere le destinazioni emergenti e del turismo sostenibile attraverso un concorso annuale per selezionare una «destinazione di eccellenza» sulla base dell'impegno per la sostenibilità sociale, culturale e ambientale;
    particolare attenzione è riservata sul piano europeo al turismo marittimo e costiero che occupa circa 2.360.000 persone, pari all'1,1 per cento del totale dell'Unione europea. Circa il 51 per cento dei posti letto in hotel in Europa si concentra in regioni costiere, mentre il turismo da crociera, secondo i dati del 2011, da solo, rappresenta un segmento distinto capace di generare un fatturato diretto di 14,5 miliardi di euro e assicurare quasi 150.000 posti di lavoro. La Commissione europea sta, infatti, predisponendo una comunicazione sul turismo marittimo e costiero, tesa a facilitare la crescita competitiva e sostenibile del settore marittimo europeo e del turismo costiero nell'ottica di creare nuove opportunità lavoro. Tale comunicazione dovrebbe integrarsi con la strategia marittima dell'Unione europea inclusa nella comunicazione «Crescita blu – Opportunità per la crescita sostenibile dei settori marino e marittimo» presentata nel 2012;
    per quanto concerne il turismo accessibile per i disabili e per gli anziani, si evidenzia che rendere il turismo più accessibile rappresenta non solo una responsabilità sociale, ma anche un business case convincente per rilanciare la competitività del turismo in Europa, considerato che la popolazione europea sembrerebbe invecchiare sempre di più (si stima che entro il 2050 il numero di persone con più di 65 anni sarà di 3 volte quello che era nel 2003, e rispetto agli anni Ottanta sarà di 5 volte maggiore). Le persone anziane rappresentano attualmente circa il 25 per cento della popolazione europea e parte di questo gruppo di popolazione, che comprende individui con potere d'acquisto e tempo libero, rappresenta per l'Europa un notevole potenziale economico. Non a caso, l'iniziativa europea «Calypso», lanciata nel 2009, ha chiaramente evidenziato come il turismo anziano può contribuire a combattere la stagionalità, rafforzare il concetto di cittadinanza europea e promuovere uno sviluppo regionale. Nel 2013 è stato poi avviato il programma «Senior Initiative» che sostituisce «Calypso» ed ha un focus specifico sul turismo dei senior;
    per quanto attiene al turismo culturale, inutile sottolineare come l'Europa rappresenti una destinazione chiave di turismo culturale, che si stima rappresenti circa il 40 per cento di tutto il turismo europeo. Sotto tale profilo si segnala che la Commissione europea supporta i prodotti turistici transnazionali basati su temi specifici che hanno ancora un grande potenziale di crescita, i cosidetti «itinerari culturali europei»;
    particolare attenzione merita pure nell'ambito delle azioni volte all'implementazione delle nuove tecnologie dell'informazione, l'iniziativa tecnologie dell'informazione e della comunicazione e per il business nel turismo (cosiddetta iniziativa ICT e Turismo) tesa ad aiutare le piccole e medie imprese a interconnettersi con tutti gli operatori del mercato interessati attraverso le reti di distribuzione a prezzi accessibili, contribuendo in tal modo a partecipare alla catena del valore digitale;
    la Commissione europea ha recentemente lanciato due consultazioni pubbliche per conoscere le opinioni degli operatori europei del turismo sul futuro e sul quadro normativo ed amministrativo del settore. La consultazione «European Tourism of the Future» mira ad individuare sfide ed opportunità per il futuro dell'industria europea del turismo e a favorire la revisione, se necessaria, del piano d'azione per il settore del turismo, approvato dalla Commissione europea nel 2010. La consultazione «Regulatory and Administrative Framework on Tourism Businesses, Public Administrations, and other Tourism Stakeholders in the EU» è volta, invece, ad individuare le politiche e le pratiche amministrative, a livello nazionale e comunitario, che gravano sulle imprese turistiche europee, impedendone la crescita, ma anche ad identificare le buone pratiche che possono essere considerate degli esempi da seguire;
    i risultati di tali consultazioni, aperte fino al 15 marzo 2014, dovranno essere analizzati dalla Commissione europea al fine di fornire informazioni utili per future azioni politiche a tutti i livelli e costituiranno un input nella stesura del documento che sarà presentato dal vicepresidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, al Forum europeo del turismo, che si svolgerà nel mese di luglio 2014 sotto presidenza italiana dell'Unione europea;
    l'urgenza di sollecitare l'attivazione di nuove politiche improntate ad una maggiore considerazione strategica del settore turistico trova la sua ragione sia nella rilevanza che il turismo assume rispetto all'economia nazionale e nella dimensione dei flussi e dei movimenti che effettivamente attrae, sia nella difficile situazione competitiva che da alcuni anni sta penalizzando il nostro Paese rispetto ad altri principali competitor internazionali;
    dal 1950 al 2005 il turismo internazionale è cresciuto nel mondo con un tasso medio annuo del 6,5 per cento, passando da una media annua del 10,6 per cento negli anni Cinquanta al 3,3 per cento del periodo 2000-2005;
    in questo processo di enorme crescita turistica, l'Italia ha mostrato, anche recentemente, di crescere meno di altri Paesi, perdendo, dunque, rilevanti posizioni nella classifica mondiale;
    l'ultimo dossier Unwto, l'Organizzazione mondiale del turismo, segnala come il nostro Paese si collochi effettivamente al quinto posto sotto il profilo del numero degli arrivi turistici, ma che in termini di fatturato è scivolato già al sesto posto dietro Macao, con un trend negativo che si riflette pure nella classifica sulla competitività turistica, dove l'Italia si pone malinconicamente nel ventiseiesimo posto nel mondo e nel diciassettesimo in Europa. Il rapporto 2013 World Travel & Tourism Council evidenzia, poi, come il turismo in senso stretto contribuisca al prodotto interno lordo italiano con appena il 4,1 per cento che corrisponde ad una quota nettamente inferiore a quella che altri Paesi occidentali ricavano dall'utilizzo delle tecnologie digitali e della banda larga e che, compreso questo dato, l'indotto contribuisce al prodotto interno lordo italiano con poco più del 10, 3 per cento. A ciò si aggiunge che, senza una sterzata realmente virtuosa, gli economisti del World Travel & Tourism Council prevedono che nei prossimi 10 anni nove Paesi su 181 monitorati cresceranno meno dell'Italia e la tabella diffusa recentemente da Eurostat sui pernottamenti nel nostro Paese altro non fa che confermare queste previsioni. Detta tabella rivela, infatti, che l'Ungheria ha registrato nel 2013 un aumento del 5 per cento, la Slovacchia del 5,5 per cento, la Bulgaria del 6,2 per cento, la Gran Bretagna (con 28 siti Unesco a fronte dei 49 italiani, che dovrebbero diventare 50 comprendendo le Langhe) del 6,5 per cento, la Lettonia del 7,3 per cento, la Grecia dell'11 per cento, mentre l'Italia ha perso il 4,6 per cento con contestuale chiusura di 1.808 imprese alberghiere (dati Asshotel 2013);
    lo stato di sofferenza dell'industria turistica del nostro Paese e la necessità di indagare le cause di tale crisi, valutandone le possibili soluzioni, aveva già indotto la X Commissione parlamentare (Attività produttive) della Camera dei deputati a deliberare, il 30 gennaio 2007, una indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della legge 29 marzo 2001, n. 135, concernente la riforma della legislazione nazionale del turismo, il cui documento conclusivo è stato approvato nella seduta del 27 febbraio 2008. Secondo quanto riportato in tale documento, l'industria turistica del nostro Paese registra vari punti critici tra i quali si segnalano:
     a) il problema della governance del sistema, in quanto l'approvazione della legge n. 135 del 2001 è andata rapidamente ad impattare con la riforma costituzionale di cui alla legge n. 3 del 2001, in base alla quale la materia «turismo» è stata assegnata alla competenza esclusiva delle regioni. Tale discrasia ha provocato un'attuazione parziale e non convinta della legge stessa, da un lato, ed un'estrema frammentazione nell'applicazione di alcuni punti qualificanti della riforma stessa (ad esempio, l'identificazione dei sistemi turistici locali, che è stata attuata solo da alcune regioni ed in maniera estremamente difforme). D'altro canto, alcune delle funzioni che sono ricadute nella competenza esclusiva delle regioni (si pensi, ad esempio, al sistema della classificazione delle strutture alberghiere e turistiche) sarebbero state meglio standardizzate ove i criteri fossero stati univocamente e centralmente definiti. Più in generale, è stato sottolineato che, di fronte ad una grave crisi del sistema del turismo, con la perdita di porzioni notevoli del mercato, l'Italia non riesce a far fronte alla concorrenza internazionale a causa dell'assenza di una politica nazionale in materia, che qualifichi l'offerta e la domanda, con un brand riconoscibile relativo al cosiddetto ”Prodotto Italia. L'offerta e la promozione frammentata messa in atto dalle regioni non sembra, infatti, raggiungere una massa critica sufficiente a indirizzare la domanda e, soprattutto, ad innescare quei processi di innovazione e di qualificazione dell'offerta che sembrano essenziali di fronte ad una richiesta di servizi da parte del turista che è radicalmente cambiata;
     b) l'incompleta attuazione della stessa legge n. 135 del 2001, poiché alcune norme in essa contenute, come quelle relative alla carta dei diritti del turista o ai buoni vacanza, non sono mai decollate o solo parzialmente attuate. Il giudizio pressoché unanime sulla legge è che essa si è presentata come una buona legge, ma è rimasta incompiuta;
     c) la carenza nella qualificazione e differenziazione del prodotto-turismo. La difficoltà ad innovare e qualificare i vari segmenti di offerta turistica appare in gran parte strutturale: le strutture ricettive si caratterizzano (un po’ come in generale la piccola industria italiana) come micro-dimensionate e spesso non di proprietà dei gestori; questi dati, come naturale, scoraggiano ed impediscono l'investimento su di esse, necessario per la loro riqualificazione, anche in relazione all'offerta di alcuni tipi di servizio (quale quello diretto all'accoglienza delle persone diversamente abili, ovvero del turismo cosiddetto sociale). In Italia manca, inoltre, quasi completamente la presenza delle grandi catene alberghiere, anche per una comprovata incapacità di attrarre investimenti dall'estero. Da un punto di vista strutturale, assai carenti si presentano inoltre i vettori di trasporto (sia il vettore aereo che i trasporti di terra): questo scoraggia il cosiddetto turismo itinerante, ovvero che non si ferma in un'unica località, e rende pressoché irraggiungibili alcune parti del territorio nazionale (ovvero raggiungibili solo con ingente spesa di tempo e denaro). Anche altre fette di domanda, infine, non trovano risposte nella richiesta di nuovi servizi: si pensi, ad esempio, al turismo ciclabile, che caratterizza il turismo in Olanda e che sarebbe particolarmente appetibile in Italia. La convinzione che emerge è che, di fronte ad una domanda di turismo che è cambiata e che continua a cambiare, l'Italia non sia in grado di raccogliere le forze per rispondere come sistema-Paese: il dato dell'aumento percentuale, e in controtendenza, del turismo culturale conferma tale analisi, poiché in tale caso è il prodotto che si qualifica da solo. L'Italia sta perdendo buona parte del turismo cosiddetto popolare, ma non migliora nemmeno su quello che si potrebbe caratterizzare quale turismo di qualità, poiché non offre la migliore qualità né per l'alloggio, né per la ristorazione, né per la mobilità sul territorio (risente di questa situazione anche il turismo termale, un tempo punto di forza del settore), mentre continua a rimanere non concorrenziale il rapporto qualità-prezzi;
     d) la carenza nella rilevazione dei dati. Un elemento che è stato particolarmente sottolineato è la difficoltà a reperire dati attendibili relativi alle presenze turistiche e alla loro durata, ovvero dei dati relativi al fenomeno del turismo che possano permettere di leggere meglio la domanda e di calibrare l'offerta. La rilevazione dei dati, che fino ad ora è stata affidata all'Istat, viene attualmente svolta da un istituto di nuova costituzione, ovvero, l'Osservatorio nazionale del turismo;
     e) le carenze nella formazione del personale e nella politica dell'accoglienza. Da più parti è stato rilevato che nell'offerta turistica italiana si sconta anche una grave carenza relativa alla politica dell'accoglienza; senza dubbio fra le cause di tale deficit rientra la non adeguata formazione del personale di tutti i livelli addetti al turismo, sia a causa dell'accentuata stagionalità dello stesso, sia, per quanto riguarda il livello manageriale, a causa dell'assenza di un atteggiamento culturale che riconosca la complessità del fenomeno turistico e la delicatezza insita nell'opera di qualificazione dell'offerta. A differenza, quindi, dei Paesi competitor dell'Italia, non esistono percorsi di alta formazione per i manager del turismo e il personale di diverso livello è spesso precario e stagionale;
     f) le difficoltà nella politica di promozione turistica. Tutte le strutture concepite nella legge n. 135 del 2001, quali potenziali fulcri della promozione turistica, hanno solo parzialmente funzionato: dai sistemi turistici locali, per quanto concerne la promozione da effettuare sul territorio; alla Conferenza nazionale del turismo, che non sembra avere compiutamente ottemperato alla sua competenza in relazione alla definizione delle linee guida delle politiche del turismo, né al compito di favorire il confronto tra le istituzioni e le rappresentanze del settore; né infine, è stato di qualche utilità il portale telematico ideato per assemblare e coordinare il cosiddetto «Prodotto Italia» in una vetrina tecnologicamente avanzata;
    alla luce di quanto precede, appare evidente come alcune delle cause principali che caratterizzano la crisi dell'industria turistica italiana siano oggetto di approfondimento e di dibattito parlamentare ormai da diversi anni, eppure l'attenzione dedicata al turismo sino a oggi ha, di fatto, mobilitato meno dell'uno per cento degli interessi della politica, non esistendo concretamente una strategia nazionale di riferimento, perché il turismo viene sempre invocato ma quasi mai utilizzato nelle decisioni sulle quali puntare per lo sviluppo del nostro Paese nell'ambito del contesto europeo e internazionale;
    appare necessario ripensare la materia del turismo in modo organico e in linea le indicazioni europee formulate sulla questione, puntando, in particolare, all'attivazione di una serie di iniziative volte a promuovere la sinergia tra turismo e patrimonio artistico e culturale, considerato che il sistema produttivo culturale, stando all'indagine condotta da Symbola e Unioncamere, nel 2012, ha reso alle casse nazionali oltre 75 miliardi di euro, rappresentando a sua volta il 5,4 per cento della ricchezza prodotta;
    si evidenzia, inoltre, che i Paesi ad economia emergente potrebbero oggi rappresentare una grande un'opportunità economia da cogliere, considerato che la Russia e la Cina nel 2017 potrebbero spendere insieme sino a 20 miliardi di euro per il turismo. Tali dati – raccolti dalla già citata Organizzazione mondiale del turismo – sono stati recentissimamente ribaditi in occasione della presentazione di una ricerca realizzata per Formez PA dal centro di ricerca internazionale EuroMonitor, in collaborazione con Federculture, dalla quale emergono le potenzialità italiane nell'attrarre turisti provenienti dai Paesi cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina) rispetto ai diretti competitor dell'Italia, Spagna e Francia,

impegna il Governo:

   a presentare, prima della data di inizio del semestre europeo, una strategia nazionale di rilancio del turismo che punti a rilanciare il turismo nel solco delle indicazioni formulate a livello europeo e alla luce delle criticità evidenziate dal presente atto di indirizzo per quanto attiene alla difficoltà nella governance del settore, alla promozione all'estero frammentata, al nanismo delle imprese, ai limiti nella capacità di costruire prodotti turistici competitivi, alle infrastrutture insufficienti, alla formazione del personale inadeguata e alla difficoltà ad attrarre investimenti internazionali, al fine di ricollocare il turismo al centro dell'agenda politica del Governo in una logica di efficace collaborazione tra Stato e autonomie regionali;
   a promuovere e favorire l'avvio di un percorso che, attraverso la revisione del titolo V della parte II della Carta costituzionale, restituisca allo Stato il ruolo di propulsore del turismo, materia rispetto alla quale l'esercizio dell'attività legislativa è attualmente demandata in via esclusiva alle regioni;
   ad unificare la gestione delle banche dati sul turismo sotto un singolo osservatorio alle dipendenze del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, oppure dell'Agenzia nazionale del turismo, con la responsabilità di garantire completezza, affidabilità e chiavi di lettura a livello nazionale e regionale sui dati relativi al turismo;
   a rilanciare l'Agenzia nazionale del turismo, portandola al livello delle migliori agenzie internazionali, dotandola di risorse e competenze specifiche per diventare effettivo motore di sviluppo del settore nello svolgimento della missione istituzionale di promozione turistica internazionale dell'Italia e delle sue realtà regionali;
   ad implementare una strategia digitale del Paese per il turismo nell'ambito del progetto complessivo di attuazione dell'Agenda digitale italiana, sviluppando la promozione dell'Italia su canali e piattaforme digitali e aumentando, altresì, la visibilità dei prodotti turistici italiani sul web;
   a sfruttare la vetrina dell'Expo 2015 per promuovere anche il resto dell'offerta turistica del Paese, rafforzando la campagna sui media italiani per sensibilizzare il Paese circa l'importanza dell'offerta turistica nazionale oltre che internazionale;
   ad adottare opportune iniziative normative tese ad incentivare fiscalmente la produzione di film internazionali ambientati in luoghi italiani sui quali si deve puntare come soluzioni di offerta del sistema che fungano da pubblicità e richiamo;
   ad aprire un tavolo di lavoro sul turismo marittimo tra l'Agenzia nazionale del turismo, regioni, enti locali e associazioni di categoria, focalizzando gli sforzi per trovare una soluzione che risponda alla normativa «Bolkestein»;
   a promuovere una revisione organica e complessiva della disciplina relativa all'esercizio della professione di guida turistica che riguardi anche i requisiti di accesso e le relative modalità di verifica, in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, al fine di assicurare la valorizzazione e la tutela del patrimonio storico e artistico nazionale, nonché la tutela del turista e del fruitore dei beni culturali, anche riconoscendo, sulla base della direttiva relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (direttiva 2005/36/CE), la specifica e peculiare professionalità delle guide turistiche;
   a promuovere un programma di eccellenza della formazione turistica nazionale (ad esempio, istituti tecnici superiori e scuole professionali) per rilanciare l'offerta di qualità del turismo italiano nei confronti dei turisti internazionali;
   a promuovere l'adozione di un piano strategico teso a migliorare l'offerta italiana di trasporti e infrastrutture e a potenziare, in particolare, le strutture aeroportuali a forte potenziale turistico, sviluppando voli diretti da e per Paesi in forte crescita, aumentando il numero e la frequenza delle tratte nelle connessioni con i Paesi cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina);
   a sostenere il turismo culturale, trasformandolo in una delle leve di sviluppo del nostro Paese, avviando un piano straordinario e immediato di manutenzione dei siti Unesco, come recentemente ribadito dal programma delineato da Formez e Federcolture, al fine di rilanciare il turismo italiano, con particolare riguardo alle aree del Mezzogiorno;
   a favorire, mediante l'adozione di apposite iniziative di competenza, la pratica del naturismo che potrebbe rendere maggiormente competitiva l'offerta turistica italiana, superata oggi non solo dall'Europa settentrionale, ma anche da tutti i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo, disciplinando l'individuazione di apposite aree da destinare a campi naturisti per un utilizzo di tipo turistico-ricettivo.
(1-00388)
«Lacquaniti, Migliore, Di Salvo, Giancarlo Giordano, Costantino, Melilla, Zan, Pellegrino, Lavagno, Nicchi, Ricciatti».
(21 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    le bellezze naturali e paesaggistiche, il ricco patrimonio di storia, le opere d'arte e i monumenti hanno permesso all'Italia di collocarsi tra le principali mete turistiche del mondo e l'Unesco ha inserito il nostro Paese nel patrimonio mondiale dell'umanità;
    il turismo rappresenta un settore fondamentale per l'economia del Paese per due ragioni: anzitutto ha un forte peso sia in termini di prodotto interno lordo (circa il 9 per cento) sia di occupazione (circa il 10 per cento); è inoltre un settore, forse l'unico, dove l'Italia ha un vantaggio competitivo forte e durevole nel tempo;
    in altri Paesi (come ad esempio Francia e Spagna) il contributo del turismo all'economia è maggiore sia in termini relativi sia in termini assoluti e, negli ultimi anni, il settore turistico italiano ha perso quota di mercato a livello mondiale: dalla prima posizione occupata a livello europeo all'inizio degli anni Ottanta e ancora verso la metà degli anni Novanta, oggi è soltanto terzo (dietro a Spagna e Francia), per non parlare poi delle ultime decisioni prese ad Atene relative alla promozione del turismo marino e marittimo;
    l'Italia ha ancora un ruolo rilevante nel turismo internazionale, ma stenta a tenere il passo della crescita del settore e tende a perdere quota di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei, evidenziando una notevole perdita di competitività;
    il turismo per il nostro Paese ha oltretutto un peso significativo nell'economia nazionale, generando maggiori opportunità di lavoro rispetto ad altri settori industriali considerati prioritari e il suo contributo al prodotto interno lordo dell'Italia ammonta a oltre 130 miliardi di euro (circa il 9 per cento della produzione nazionale), impegnando in questo settore circa 2,2 milioni di persone (un lavoratore su dieci);
    è un settore che esprime un notevole potenziale per ciò che riguarda la comunicazione e l'integrazione interculturale, due elementi rilevanti in un mondo divenuto multi-polare, e offre inoltre grandi opportunità per la valorizzazione dello straordinario patrimonio storico e artistico italiano, sia rispetto alla comunicazione delle identità dei territori, ma soprattutto in termini di attrazione di nuove risorse per la loro conservazione e rivalutazione;
    sono chiare a tutti le criticità dell'industria turistica italiana dovute a problemi di governance del settore, promozione all'estero estremamente frammentata e graduale marginalizzazione dell'Agenzia nazionale del turismo (Enit), nanismo delle imprese, limiti nella capacità di costruire prodotti turistici competitivi, infrastrutture insufficienti, formazione del personale inadeguata al mercato globale, difficoltà ad attrarre investimenti internazionali;
    condizione indispensabile per un rilancio del settore è un radicale cambiamento nell'approccio ai problemi del turismo, che nessun Governo ha mai messo al centro della propria agenda, non considerandolo un investimento su cui puntare per lo sviluppo del Paese;
    è necessario, dunque, avviare un cambiamento anzitutto culturale, iniziando a considerare il turismo come una grande opportunità per il Paese e coordinando gli sforzi necessari a valorizzarne il potenziale inespresso;
    l'impareggiabile ricchezza di «risorse turistiche» del Paese non deve condurre all'ingenua convinzione che i turisti internazionali continueranno ad arrivare spontaneamente, dal momento che i viaggiatori internazionali cercano oggi un'offerta organizzata e, anche se l'Italia rappresenta per più di una ragione la meta più desiderabile, spesso la scelta finale premia altre destinazioni perché complessivamente più convenienti o più «facili»;
    per competere con successo nel mercato turistico internazionale, è necessario allora comprendere a fondo anzitutto la domanda ed essere in grado poi di offrire prodotti moderni, consapevoli del fatto che l'esperienza di consumo turistico ha inizio ben prima dell'atto della prenotazione e termina ben dopo il rientro a casa;
    le differenti aree tematiche del turismo italiano sono considerate «mature» ed attrattive nei confronti dei diretti competitor internazionali e occorre, quindi, fare leva sulla riqualificazione generale dell'offerta turistico-ricettiva alberghiera, che spesso, stante anche la sua ridotta dimensione imprenditoriale, sconta la necessità di subire costi elevati di mantenimento di standard qualitativi. Durante l'esame della legge di stabilità 2014, il gruppo parlamentare di Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente ha presentato degli emendamenti diretti a far fronte all'arretratezza tecnologica del comparto turistico che è uno dei principali elementi di svantaggio competitivo rispetto ai maggiori sistemi turistici concorrenti;
    è, dunque, necessario apportare un miglioramento degli aspetti legati alla sostenibilità ambientale, anche diretti a favorire i sistemi di etichettatura ecologica su base volontaria, in linea con le politiche in materia dell'Unione europea, per poter conseguire livelli di qualità più vicini alle esigenze di una clientela turistica sempre più attenta alle istanze derivanti dalle problematiche ambientali e che richiede una serie di comportamenti virtuosi e qualitativi da parte di esercenti e albergatori;
    per il periodo 2010-2020 la crescita attesa del turismo internazionale nel mercato di riferimento dell'Italia è pari al 2,9 per cento annuo in termini di numero di viaggiatori e pari al 4,8 per cento annuo in termini di spesa; è rilevante, quindi, osservare come circa la metà di questa crescita in termini di spesa dovrebbe riguardare i viaggiatori a medio-lungo raggio e, quindi, dalle geografie emergenti (in particolare dai Paesi cosiddetti Bric e del Golfo Persico) che nello scorso decennio hanno espresso solamente il 30 per cento della crescita;
    sono state individuate alcune criticità principali per la definizione di una politica di sviluppo del turismo in Italia che si riferiscono agli asset del Paese dal punto di vista turistico, distinti tra «asset permanenti» e «asset temporanei», dove per «permanenti» si intendono le aree italiane con prestigio e notorietà riconosciute (asset religiosi, naturalistici, enogastronomici e artistico-culturali) e dove per «temporanei», invece, si intendono il posizionamento attuale del Paese (ad esempio, lifestyle e moda), il contesto politico-sociale e i grandi eventi o le manifestazioni che in esso hanno luogo;
    nella XVI legislatura sono state emanate alcune disposizioni per aumentare la competitività del turismo al fine di riqualificare e rilanciare l'offerta turistica a livello nazionale e internazionale. In particolare, il piano strategico di sviluppo del turismo in Italia, adottato ai sensi dell'articolo 34-quinquies del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, ha messo in risalto come l'Italia ha ancora un ruolo rilevante nel turismo nazionale ed internazionale, ma stenta a tenere il passo della crescita e tende a perdere quote di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei;
    è importante che il Governo decida di mettere al centro della propria agenda una serie di scelte strategiche per lo sviluppo del turismo, riconoscendogli un ruolo di primo piano per la crescita del Paese,

impegna il Governo:

   a definire un più efficiente programma strategico di sviluppo che tenga conto del patrimonio culturale, architettonico e paesaggistico del Paese e che sia volto a far crescere qualitativamente l'offerta turistica e a rendere l'Italia più competitiva sul mercato internazionale, anche attraverso la promozione di azioni dirette a favorire la riqualificazione dei territori nonché del capitale umano;
   ad adottare azioni dirette a migliorare la formazione tecnico-professionale, date le caratteristiche labour intensive del settore, e a ripensare la formazione universitaria, dove si è assistito negli ultimi dieci anni ad un progressivo scollamento tra offerta formativa ed esigenze espresse dalle imprese, così da favorire un ingresso massiccio di giovani nel settore turistico per contribuire a una sua più rapida innovazione;
   a valorizzare il patrimonio materiale storico-artistico ed enogastronomico e quello immateriale tradizionale, anche attraverso lo sviluppo ed il riconoscimento di attività e manifestazioni che incentivano il turismo identitario e culturale;
   a convocare al più presto un tavolo tecnico diretto a delineare le strategie per lo sviluppo del turismo in Italia sull'onda dell'ultima riunione dei presidenti della Commissione parlamentare attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati e della Commissione parlamentare industria, commercio, turismo del Senato della Repubblica riguardante il turismo e la crescita sostenibile dei settori marino e marittimo;
   a prevedere uno sviluppo del turismo che metta al centro il paesaggio, quale asset fondamentale per il Paese, contenendo i fenomeni come il consumo del suolo e l'abbandono progressivo dei territori rurali e montani, che minano la sostenibilità futura del turismo in Italia;
   ad adoperarsi affinché il Mezzogiorno possa esprimere – avendone i requisiti in termini di risorse – la propria naturale vocazione turistica in maniera moderna ed efficiente, trasformandosi in un'industria di traino per tutto il Paese e favorendo l'attrazione di numerosi investimenti;
   a prevedere, nell'ambito della propria attività di iniziativa legislativa, in particolare per quanto riguarda la riforma del titolo V della Costituzione, che la promozione del turismo italiano torni ad essere materia di competenza esclusiva dello Stato.
(1-00394) «Abrignani, Palese».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    grazie ai suoi 3.609 musei, ai quasi 5.000 siti culturali tra monumenti, musei e aree archeologiche, ai 46.025 beni architettonici vincolati, alle 12.609 biblioteche, alle centinaia di festival ed iniziative culturali e ai 49 siti Unesco (5 per cento del totale e 11 per cento di quelli europei) il nostro Paese rappresenta un unicum nel panorama culturale e turistico mondiale;
    il settore del turismo rappresenta circa il 10 per cento del prodotto interno lordo italiana e occupa, secondo quanto emerge dal Quarto osservatorio sul mercato del lavoro del turismo in Italia, quasi un milione di posti di lavoro, pari al 5 per cento dell'occupazione italiana. In particolare, il turismo è settore trainante dell'occupazione giovanile: i giovani rappresentano, infatti, il 63 per cento degli occupati;
    nel 2013 si è registrato un incremento del 5 per cento del turismo mondiale rispetto all'anno precedente, ma l'Italia è scivolata al quinto posto tra i Paesi più visitati, dietro a Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina;
    nonostante l'Italia sia il primo Paese al mondo per qualità del turismo culturale, occupa il quindicesimo posto nella classifica che misura il valore di un marchio-Paese nel mondo, perdendo cinque posizioni rispetto all'anno precedente. Le continue emergenze strutturali che caratterizzano l'Italia, unite all'incapacità di trasmettere efficacemente le vocazioni dei cosiddetti terroir, danneggiano fortemente la percezione dell'Italia all'estero. Se da un lato, infatti, i territori hanno mantenuto una forte specificità e identità locali marcate, manca una loro promozione integrata che comprenda un'adeguata riqualificazione della loro offerta turistica;
    la riforma del Titolo V della Costituzione, ampliando i poteri delle regioni in materia di turismo, non ha sciolto tuttavia i nodi esistenti. Permane un'evidente mancanza di coordinamento nazionale con un marchio unico da promuovere, con la conseguenza che ogni regione agisce indipendentemente senza un indirizzo ed una strategia comuni. Nel triennio 2009-2011 le regioni hanno speso in promozione turistica circa un miliardo di euro con scarsi ritorni economici;
    si stima che, recuperando parte della competitività persa, il turismo potrebbe nel 2016 raggiungere almeno l'11,9 per cento del prodotto interno lordo, creando ulteriori 900 mila posti di lavoro, puntando soprattutto sulla capacità di spesa dei Paesi cosiddetti Bric (Brasile. Russia, India e Cina) che è destinata a triplicare entro il 2030 (già oggi questi Paesi hanno a disposizione l'80 per cento in più di reddito di quanto ne avessero nel 2005);
    partendo dall'analisi di alcuni dati, questa tendenza risulta amplificata nel Mezzogiorno, dove i siti culturali statali nel 2012 hanno attratto 7,4 milioni di visitatori e incassato 28 milioni di euro di introiti lordi, di cui però il 43 per cento dei visitatori e il 75 per cento degli incassi sono rappresentati solo da Pompei, Ercolano e dalla Reggia di Caserta. Sempre a titolo esemplificativo, in Sicilia su 115 siti culturali solo 11 hanno un proprio sito web e appena 5 di questi sono anche in inglese. In pochi posti in Italia come in Sicilia esiste un patrimonio archeologico così perfettamente inserito nel panorama agricolo e non bisogna dimenticare che, sempre in Sicilia, l'agricoltura incide sostanzialmente sul prodotto interno lordo regionale. Se si valuta che un posto di lavoro in agricoltura costa, in media, sei volte meno che un altro tipo di lavoro, diventa così evidente come incoraggiare, promuovere, sostenere e diffondere il circuito virtuoso del cosiddetto terroir e del turismo culturale sarebbe una sfida vincente;
    occorre partire da un dato di fatto, cioè che oltre la metà del turismo mondiale è rappresentata dal turismo culturale, nel quale, nonostante tutto, l'Italia può ancora vantare una posizione preminente;
    l'Italia è ultima in Europa anche rispetto all'accesso e nell'uso delle risorse digitali. Basti pensare che mentre il sito della reggia di Versailles è in cinque lingue, quello degli Uffizi, oltre che in italiano, offre solo l'alternativa in inglese. Tra i musei italiani solo il 3 per cento ha applicazioni per smartphone e tablet, solo il 6 per cento ha video-guide o dispositivi digitali per la visita e solo il 13 per cento ha il catalogo accessibile on-line;
    i tentativi finora messi in campo per dotare il Paese di un portale nazionale del turismo e di una rete che venda il prodotto Italia sono naufragati con un inutile dispendio di risorse preziose;
    si registrano forti ritardi anche nella digitalizzazione dei sistemi di ospitalità, mediamente solo il 12,5 per cento dei pernottamenti sono venduti sul web, il 30 per cento delle attività ricettive non ha una piattaforma per le prenotazioni e solo il 46,7 per cento vende on-line;
    vi è anche l'Expo 2015 che rappresenta un'occasione imperdibile per tutta l'Italia. Attraverso questo evento mondiale sarà possibile presentare una vetrina globale unica del patrimonio italiano di varietà agroalimentari. Attraverso l'Expo 2015 si potrà offrire un sistema di itinerari turistici articolati intorno alla rete dell'ospitalità italiana;
    per un rilancio del turismo bisogna puntare, oltre sull'ineguagliabile patrimonio culturale, anche sulla forte identità e specificità dei territori: l'Italia conta, infatti, 1.923 comuni aderenti all'associazione Res Tipica, per la promozione e la valorizzazione del patrimonio enogastronimico, ambientale, culturale e turistico; 542 comuni aderenti all'associazione «Città del vino», 154 prodotti di denominazione di origine protetta, 92 prodotti di indicazione geografica protetta;
    il turismo è uno strumento importante per integrare le regioni meno sviluppate e garantire loro una partecipazione equa alla crescita. Per tali motivi i fondi europei strutturali e di coesione possono fornire un sostegno fondamentale per migliorare la competitività e la qualità del turismo a livello regionale e locale. Le infrastrutture turistiche contribuiscono allo sviluppo locale e a creare o mantenere posti di lavoro anche nelle aree in declino industriale o rurale o in quelle in corso di riqualificazione urbana;
    tra il 2007 e il 2013, gli aiuti destinati dall'Unione europea all'industria del turismo nell'ambito della politica di coesione sono stati pari a oltre 6 miliardi di euro, pari all'1,8 per cento del bilancio complessivo; di questi, 3,8 miliardi di euro sono stati destinati al miglioramento dei servizi turistici, 1,4 miliardi di euro alla protezione e lo sviluppo del patrimonio naturale e 1,1 miliardi di euro alla valorizzazione dei beni naturali. È stato, altresì, previsto un sostegno alle infrastrutture e ai servizi associati al turismo attraverso altre linee di bilancio, tra cui innovazione, promozione delle piccole e medie imprese, applicazioni delle tecnologie dell'informazione e capitale umano;
    l'aumento della domanda del mercato turistico presuppone l'esistenza di infrastrutture adeguate, oltre a quelle primarie, in quanto l'attrattività di un territorio e la scelta della vacanza dipende principalmente dal suo grado di accessibilità. Un'offerta dei mezzi di trasporto efficiente è direttamente proporzionale alla competitività turistica del Paese, soprattutto alla luce della concorrenza sempre più agguerrita degli altri Paesi europei e non;
    è necessario che il turista possa disporre di una soluzione integrata di servizi multicanale, che gli consenta di poter essere seguito ed assistito in tutte le fasi di acquisto e consumo del viaggio turistico-culturale in Italia;
    la ristrettezza di risorse economiche e la spending review impongono una revisione della normativa in materia di erogazioni liberali, sponsorizzazioni e fund raising, tali da agevolare, soprattutto dal punto di vista fiscale, i soggetti che vogliono liberamente contribuire al mantenimento e alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano;
    oltre ad essere una leva fondamentale per favorire lo sviluppo e l'occupazione, il turismo rappresenta uno strumento potente per migliorare la qualità della vita delle persone, soprattutto per quelle categorie economicamente svantaggiate. Secondo le ultime stime i viaggiatori con età superiore ai 65 anni sono più di 2 milioni l'anno e sono in continua crescita; le persone con disabilità sono circa 1 milione e 600 e di queste il 60 per cento effettua almeno un viaggio l'anno;
    in questo contesto, fornire servizi studiati ad hoc per gli anziani, rendere le strutture accessibili ai disabili, investire nel turismo giovanile attraverso l'ampliamento e il miglioramento di ostelli, possono rappresentare un'opportunità per allargare a ulteriori segmenti l'attività dell'operatore e rendere la propria offerta più competitiva sul mercato. Il turismo sociale, inteso quindi come «servizio sociale», può inoltre rappresentare, per chi opera nell'offerta turistica, una valida opportunità di sviluppo e di ritorno economico, concentrandosi in periodi di bassa stagione e destinato a località svantaggiate o in aree depresse,

impegna il Governo:

   al fine di valorizzare l'ineguagliabile patrimonio culturale, paesaggistico e agricolo italiano, contestualmente al recupero e al potenziamento della competitività del settore quale volano per lo sviluppo generale del Paese, a valutare l'opportunità di:
    a) rivedere, nell'ambito delle più generale riforma del Titolo V della Costituzione, la ripartizione delle competenze in materia di turismo tra Stato e regioni e a predisporre in tempi rapidi, nelle more di tale riforma, una revisione della governance attraverso la creazione di una cabina di regia unica per il turismo tra Governo, Ministeri e regioni;
    b) predisporre un programma di digitalizzazione e d'informatizzazione per migliorare l'offerta turistica, annullando il digital divide attualmente presente rispetto agli altri Paesi a vocazione turistica;
    c) agevolare la diffusione di start-up giovanili nel settore culturale e turistico;
    d) valorizzare le identità e le specificità dei territori e il loro patrimonio enogastronomico, anche attraverso una pianificazione agricola di qualità, competitiva e rispettosa dell'ambiente;
    e) concepire misure per il coinvolgimento dei privati nella valorizzazione di beni e siti turistici, compresi quelli minori per favorire lo sviluppo locale, anche attraverso soluzioni che agevolino le erogazioni liberali e le sponsorizzazioni;
    f) considerare il prossimo semestre europeo e la celebrazione di Expo 2015 quali occasioni imperdibili per recuperare credibilità e tornare al centro dei processi di sviluppo internazionali, riaffermando l'Italia quale produttore di cultura;
    g) reperire le risorse finanziarie necessarie a realizzare una seria programmazione strutturale di interventi di manutenzione per tutti i principali siti archeologici a partire dai siti Unesco;
    h) sviluppare in tempi rapidi un brand Italia da promuovere a partire dai prossimi grandi eventi nazionali e regionali;
    i) predisporre standard di classificazione europei e un marchio di qualità nazionale in modo da consentire il recupero di attrattività ed efficienza per il sistema dell'ospitalità italiana, soprattutto per migliorarne l'accessibilità attraverso una mappatura delle strutture accessibili e il potenziamento dell'accoglienza all'infanzia;
    l) sostenere la domanda di turismo sociale favorendo, soprattutto l'accesso al sistema del turismo per le categorie sociali più deboli, recuperando lo strumento dei buoni vacanze, rivelatosi molto importante per il forte impatto sociale ed economico, ma sospeso nel 2012 per la fine della convenzione e in attesa delle disposizioni ministeriali sulle modalità della sua riattivazione;
    m) studiare, all'interno dei piani per la sicurezza nazionali, un protocollo di garanzia turistica: vigilanza riconoscibile e amichevole, squadre anti scippo, controlli anti frode con adeguate conoscenze e percorsi rapidi su come intervenire con turisti stranieri, consolati, ambasciate ed altro;
    n) monitorare e ottimizzare le comunicazioni integrate aereo, treno, pullman, aliscafo, promuovendo, per quanto di competenza, la possibilità di effettuare gli acquisti dei biglietti on-line.
(1-00395)
«Schirò, Caruso, De Mita, Binetti, Santerini, Sberna, Gigli, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Piepoli, Cera».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il settore turistico è strategico per l'economia del Paese. Il contributo del turismo al prodotto interno lordo dell'Italia ammonta ad oltre 161 miliardi di euro nel 2012. Sempre nello stesso anno il settore ha contribuito a garantire circa 2 milioni 700 mila occupati;
    il settore è oggi in crisi e, nonostante una leggera ripresa nel 2013 con un +0,9 per cento di turismo interno e un +3 per cento di quello straniero, i profitti delle imprese e l'occupazione rimangono in forte calo. Da un'indagine realizzata da Federalberghi, il giro di affari nel 2013 si attesterà sui 14,9 miliardi di euro rispetto ai 15,3 miliardi di euro del 2012, con un -3 per cento e con l'occupazione in calo del 5 per cento;
    nella XVI legislatura sono state emanate alcune disposizioni per aumentare la competitività del turismo al fine di riqualificare e rilanciare l'offerta turistica a livello nazionale e internazionale. In particolare, il piano strategico di sviluppo del turismo in Italia, adottato ai sensi dell'articolo 34-quinquies, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, ha messo in risalto come l'Italia ha ancora un ruolo rilevante nel turismo nazionale ed internazionale, ma stenta a tenere il passo della crescita e tende a perdere quote di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei, in primo luogo Francia e Spagna;
    come emerso da un'audizione svolta in Parlamento dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del Governo Letta, Massimo Bray, l'Italia, pur rimanendo in cima ai desideri di viaggio dei turisti, perde continuamente quote di mercato a favore di un generalizzato aumento del turismo al livello mondiale; il marchio Italia rimane quindi ai primi posti, eppure il sistema italiano fatica ad intercettare la domanda per questioni che sono anche riconducibili a ritardi nello sviluppo infrastrutturale del Paese;
    l'Italia, a differenza di altri Paesi, ha un patrimonio artistico, culturale e paesaggistico e gastronomico che rappresenta una leva importante per lo sviluppo del turismo, il quale a sua volta è uno strumento efficace per la conoscenza e la valorizzazione delle bellezze di cui dispone il Paese;
    da un'indagine condotta da Symbola e Unioncamere, il sistema produttivo culturale nel 2012 ha reso alle casse dello Stato 75 miliardi di euro, rappresentando il 5,4 per cento della ricchezza prodotta. La sinergia tra cultura e turismo, se efficacemente sfruttata, può offrire quindi un'opportunità di crescita all'economia del Paese;
    il settore turistico ha davanti a sé un grande opportunità di sviluppo che è rappresentata dalla realizzazione di Expo 2015, un evento strategico che attrarrà, nei sei mesi di esposizione, oltre 20 milioni di visitatori di cui il 30 per cento stranieri, con la partecipazione di 145 Paesi per un investimento previsto per l'area espositiva di 1,7 miliardi di euro;
    molti Paesi che hanno aderito ad Expo 2015 da tempo stanno promuovendo, a livello nazionale ed internazionale, pacchetti turistici per attrarre sui loro territori i flussi di visitatori che arriveranno per l'evento, aumentando così il livello della competizione nel settore;
    il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Enrico Letta, ha più volte sottolineato l'importanza dell'evento come possibilità di ripresa dell'economia italiana e ne ha ribadito l'assoluta priorità per il Paese. In tal senso, è stato approvato il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014, che tra le varie misure prevede anche il finanziamento di progetti territoriali per la valorizzazione e l'accoglienza turistica legata all'evento Expo 2015;
    è indispensabile attivare tutte le occorrenti misure per potenziare e sfruttare al meglio tutte le opportunità che offrirà al tessuto sociale e imprenditoriale l'incremento del turismo legato ad Expo 2015, sostenendo le eccellenze del nostro Paese per far sì che la Lombardia e le regioni limitrofe possano esprimere al meglio il proprio potenziale e diventare uno stimolo per attrarre i visitatori che arriveranno a Milano per l'evento;
    la crisi in atto nel Paese ha avuto ripercussioni importanti anche sul turismo italiano; i viaggi effettuati dagli italiani nel 2013 sono stati 63 milioni e 154 mila, il 19 ,8 per cento in meno rispetto all'anno precedente; un trend negativo, rilevato già a partire dal 2009, che ha fatto registrare in totale una perdita di circa 60 milioni di viaggi;
    in tale scenario appare importante sostenere la domanda turistica degli italiani con iniziative che li incoraggino a trascorrere le proprie vacanze in Italia, dando così un segnale di fiducia all'intero comparto, caratterizzato prevalentemente dalla presenza di piccole e medie imprese;
    la Svizzera, ad esempio, discute da tempo la possibilità di adottare misure di detrazione dai redditi del costo delle vacanze trascorse dai turisti svizzeri in patria, con lo scopo di rilanciare la domanda interna, specie nelle località meno turistiche, a beneficio dell'intero comparto industriale;
    l'industria turistica italiana, con particolare riferimento al comparto alberghiero, attraversa oggi una fase molto delicata. La riduzione del fatturato, la scarsa liquidità finanziaria, riconducibile alla mancanza di possibilità di accesso al credito, e l'aumento della pressione fiscale costituiscono, infatti, gli ostacoli più gravi all'esercizio d'impresa, ed anzi in molti casi sono tra le principali cause dell'abbandono dell'attività da parte degli albergatori;
    in questo scenario bisogna anche considerare che il patrimonio alberghiero in molti casi appare obsoleto e non più rispondente alle esigenze dei consumatori, richiedendo la realizzazione di ingenti investimenti. Sarebbe opportuno, quindi, un intervento che punti in primo luogo a favorire gli investimenti per l'ammodernamento delle strutture alberghiere, necessari per restituire un nuovo impulso allo sviluppo dell'offerta turistica, che sia rinnovata e di maggiore qualità;
    con il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, è stata reintrodotta nella legislazione italiana un'imposta di soggiorno a carico di chi alloggia nelle strutture ricettive italiane, con l'obiettivo di finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali;
    non sempre la tassa di soggiorno viene applicata in modo trasparente sul territorio, con il rischio che i proventi derivanti da tale tassazione non vengano reinvestiti nello sviluppo del turismo ma si perdano per finalità diverse e generiche. Il ritorno a un'imposta di scopo, così come originariamente pensata nel citato decreto legislativo n. 23 del 2011, rappresenterebbe un importante fonte di finanziamento per il turismo in generale e per il rinnovamento dell'offerta turistico-alberghiera;
    la legge Costituzionale n. 3 del 2001 ha modificato profondamente il Titolo V della Costituzione, relativo agli enti territoriali, assegnando alle regioni la piena autonomia legislativa ed amministrativa in ambito turistico. Tuttavia, il persistere nell'ordinamento italiano di norme di natura diversa in materia di turismo ha portato ad una regolamentazione disorganica del settore, introducendo elementi di incertezza per le diverse categorie che vi operano,

impegna il Governo:

   ad adottare immediate iniziative di sostegno al settore turistico italiano, reperendo le risorse necessarie per consentire ai cittadini italiani la possibilità di detrarre dalle imposte dirette sui redditi le spese sostenute per le vacanze effettuate in strutture turistiche italiane;
   a destinare ulteriori risorse allo sviluppo di progetti per la valorizzazione del turismo che incentivino, in accordo con i piani di sviluppo regionali, la costruzione e l'ammodernamento di strutture ricettive collegate alla realizzazione dell'evento di Expo 2015, anche attraverso sgravi fiscali che possano attirare nuovi investimenti imprenditoriali per il settore;
   ad attivare campagne di promozione del patrimonio culturale, artistico, paesaggistico ed gastronomico italiano al fine di valorizzare un'offerta turistica che sia legata alle specificità dei territori locali;
   a potenziare le infrastrutture di collegamento con i principali aeroporti di rilevanza internazionale;
   a garantire la tracciabilità dell'impiego delle risorse ottenute attraverso la tassa di soggiorno, recuperando le finalità originarie per cui la tassa stessa era stata concepita, e cioè per finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali;
   a sostenere il rilancio del settore turistico italiano attraverso l'adozione di misure per la riduzione del carico fiscale, la semplificazione burocratica e la facilitazione all'accesso al credito per le imprese turistiche, con particolare riferimento a quelle di medie e piccole dimensioni.
(1-00396)
«Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica che ha coinvolto le principali economie occidentali negli ultimi anni ha duramente colpito il tessuto produttivo italiano, interessando anche il comparto turistico;
    i dati contenuti nel report «Viaggi e vacanze in Italia e all'estero», pubblicato il 12 febbraio 2014 dall'Istat, evidenziano come continui il trend negativo iniziato nel 2009 che negli ultimi cinque anni ha causato la perdita di quasi 60 milioni di viaggi (290 milioni di notti) da parte dei cittadini residenti in Italia;
    secondo le rilevazioni campionarie sul turismo internazionale dell'Italia, per l'intero periodo gennaio-novembre 2013, la bilancia turistica dei pagamenti è in avanzo di 12.459 milioni di euro – a fronte dei 11.292 milioni di euro dello stesso periodo dell'anno precedente (+10,3 per cento) – grazie agli stranieri che, nei primi 11 mesi dell'anno, hanno speso nel nostro Paese 31 miliardi e 400 milioni di euro (+2,8 per cento) malgrado la loro spesa si sia contratta del 2,3 per cento;
    l'alta concentrazione di beni dal rilevante valore storico-artistico, il patrimonio diffuso costituito dall'insieme formato dal paesaggio e tradizioni locali non sono garanzia di alte performance nell’incoming turistico, visto che l'Italia vive una riduzione dell'affluenza straniera nonostante il World Tourism Organization (UNWTO) abbia registrato nel 2013 un incremento dei flussi da turismo internazionale, che hanno raggiunto la cifra record di un miliardo e 87 milioni di euro, ovvero il 5 per cento in più rispetto al 2012;
    la promozione è una componente essenziale per lo sviluppo e l'affermazione delle attività turistiche, ma è evidente l'esistenza di gravi difficoltà se, come riportato dallo studio «Opportunità e trend per fare impresa nel turismo» (28 novembre 2013) dell'Istituto nazionale ricerche turistiche (Isnart) di Unioncamere, i principali canali di comunicazione che influenzano ancora la scelta delle vacanze nel 2012 sono sempre più il passaparola (37,4 per cento) e l'esperienza personale (29,6 per cento);
    il ricorso al web, infatti, è fermo al 23,1 per cento, malgrado la maggioranza delle aziende del settore disponga di un sito internet utile non solo come vetrina ma anche per effettuare prenotazioni, fatto che ha notevolmente incrementato il flusso di clienti provenienti da questo canale;
    ad oggi esistono gravi lacune, numerose barriere di natura burocratica e ulteriori limiti strutturali che non permettono il pieno sviluppo del settore ricettivo per il quale l'immediata razionalizzazione e riorganizzazione delle strutture istituzionali esistenti preposte potrebbe ridurre i numerosi sprechi e produrre risultati immediati e concreti;
    il precedente Esecutivo guidato da Enrico Letta si è limitato a trasferire, con l'articolo 1 della legge 24 giugno 2013, n. 71, di conversione del decreto-legge cosiddetto «omnibus» sull'emergenza ambientale (n. 43 del 2013), le funzioni del dipartimento del turismo dalla Presidenza del Consiglio dei ministri al Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo (commi 2-8);
    il trasferimento, avvenuto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 ottobre 2013, ha seguito tempi troppo lunghi e modalità che, in pratica, hanno paralizzato le risorse umane ed economiche impiegate dallo Stato centrale;
    il tanto annunciato e atteso decreto «valore turismo» del precedente Esecutivo non è stato emanato e numerose azioni contenute nella bozza circolata facevano riferimento, in base all'attuale riparto delle competenze nella Costituzione, alla necessità di un accordo tra Stato e regioni, circostanza che avrebbe ulteriormente complicato l'operatività del provvedimento per la necessità di una consultazione successiva alla sua emanazione da parte degli enti interessati;
    le difficoltà legate al rilancio del turismo italiano sono secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in buona parte da imputare alla riforma del Titolo V della Costituzione, approvata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha sottratto questa materia alla competenza dello Stato;
    l'assetto normativo legato alla polverizzazione delle attribuzioni in materia ha comportato la paradossale concorrenza tra le regioni che hanno speso per ciascun anno del triennio 2009-2011, secondo uno studio del 2013 di Confartigianato, ben 939 milioni e 600 mila euro senza aumentare in modo sensibile l'attrattività turistica;
    l'Enit-Agenzia nazionale del turismo, che dovrebbe svolgere una funzione di promozione in coordinamento con le regioni, ha subito negli ultimi anni continui tagli al proprio fondo di dotazione, potendo ora disporre solo delle risorse necessarie alle spese ordinarie per il proprio funzionamento, circostanza che ne evidenzia il fallimento e la perdita di credibilità;
    si prospetta la necessità di un ministero autonomo, come previsto in altri Paesi europei, i cui dipartimenti siano a stretto contatto con gli altri dicasteri chiave in modo da elaborare una politica coerente e unitaria per il comparto turistico;
    il sistema ricettivo, per essere efficace, deve essere in grado di proporre e soddisfare soluzioni sempre più personalizzate e individuali per far fronte a una domanda di mercato specifica, definita da una progressiva settorializzazione legata alle forme di turismo come quello culturale, congressuale, legato ai «marina», ambientale, sportivo e termale;
    è necessario un supporto maggiore al turismo religioso e culturale visto che l'Italia detiene il maggior numero di siti (49) inclusi nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco, la cui valorizzazione può rappresentare una delle peculiarità e delle offerte tematiche trainanti per gli altri settori della filiera. Questi beni devono essere tutelati adeguatamente: è emblematica la trascuratezza di alcuni siti-simbolo, come Pompei, che danneggia l'immagine complessiva del Paese;
    l'industria degli eventi costituisce un'attrattiva del comparto ricettivo ampiamente sottostimata. Secondo Federcongressi&eventi, nel 2012 l'Italia si è posizionata al quinto posto nel ranking dei dieci maggiori Paesi europei per eventi internazionali ospitati, dopo Germania, Spagna, Gran Bretagna e Francia. Per il rilancio di questa tipologia di turismo, la cui filiera si sta riorganizzando e necessita comunque di un sostegno, l'Agenzia nazionale del turismo e Federturismo stanno collaborando per l'istituzione del «Convention Bureau Italia» in grado di far fronte a questa specifica domanda di mercato;
    il Libro bianco sul turismo per tutti in Italia, intitolato «Accessibile è meglio», presentato il 15 febbraio 2013 alla Borsa del turismo di Milano, evidenzia come le regioni abbiano avviato numerose iniziative ma manchi un'organizzazione in grado di mettere a sistema quanto è stato già fatto e non esista a livello nazionale uno strumento informativo sulle attività realizzate o in corso d'opera;
    le aziende termali costituiscono una parte consistente della filiera turistica legata alla cultura del «wellness», per le quali occorre un rilancio efficace, anche alla luce dei segnali di ripresa registrati nel 2013, per i notevoli margini di sviluppo economico e occupazionale, considerando inoltre lo stretto legame con il servizio sanitario nazionale, la rimborsabilità di alcune prestazioni che rientrano nella sfera terapeutica-sanitaria e le opportunità offerte dalla direttiva 2011/24/UE sull'assistenza sanitaria transfrontaliera;
    sono colpevolmente sottostimati anche la nautica e il settore diportistico che nel corso degli ultimi anni, complice un regime fiscale sproporzionato, sono stati gravemente danneggiati dalla crisi;
    in Friuli Venezia Giulia sono stati istituiti i dry marina e i marina resort, strutture organizzate che, essendo equiparate a complessi ricettivi, possono usufruire del regime iva della categoria, mantenendo la propria competitività soprattutto con i vicini mercati transfrontalieri;
    la ripresa del settore è possibile solo adeguando l'offerta alle mutate richieste della domanda, quindi è necessaria la riclassificazione delle strutture ricettive in modo da garantirne l'omogeneità su tutto il territorio nazionale, aggiornandole e rendendole più competitive, in grado di prestare servizi moderni e sempre più integrati dal punto di vista della sostenibilità ambientale;
    alle criticità complessive del comparto se ne aggiungono alcune che riguardano nello specifico la professione della guida turistica e le concessioni demaniali marittime;
    riguardo le guide turistiche, la legge europea per il primo semestre del 2013 (n. 97 del 2013) ha chiuso la procedura di pre-infrazione comunitaria legata all'applicazione – peraltro erronea – della direttiva cosiddetta «servizi» (2006/123/CE) alla categoria, prevedendo che l'abilitazione alla professione di guida turistica sia valida su tutto il territorio nazionale ed eliminando così la competenza in ambito locale;
    la stessa legge ha equiparato alle guide turistiche italiane tutti i cittadini dell'Unione europea in possesso della qualifica professionale conseguita in altri Stati europei, consentendo l'esercizio sull'intero territorio nazionale, ad eccezione dei siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico che avrebbe dovuto essere individuati con un decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo da emanare entro il 4 dicembre 2013, circostanza non verificatasi. Questa deregolamentazione comporta una grave perdita di competenze, servizi meno qualificati e un danno economico quantificabile intorno al 2 per cento dell'intero comparto turistico nazionale (studio TRIP-Italia 2013 del Ciset);
    prosegue da anni senza soluzione e certezze la questione legata alla durata e al rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime che coinvolge circa 30 mila imprese. La legge di stabilità per il 2014 è intervenuta sui pagamenti dei canoni oggetto di procedimenti giudiziari pendenti al 30 settembre 2013, prevedendo nelle more il riordino complessivo della materia da effettuare entro il 15 maggio 2014;
    costituisce un possibile strumento per finanziare la promozione turistica senza oneri per lo Stato il ricorso alla differenza tra i rimborsi tax free effettivamente versati ai turisti extracomunitari e l'iva stornata dai versamenti erariali che ammonta a circa il 5 per cento su una spesa totale stimata in circa 4 miliardi di euro all'anno;
    l'utilizzo dei buoni vacanza a disposizione di soggetti pubblici e privati per favorire il turismo sociale, quindi a sostegno delle categorie più deboli, si sta dimostrando uno strumento insufficiente, mentre alcuni Paesi europei hanno introdotto a sostegno anche della domanda interna la detrazione fiscale parziale delle spese nel ricettivo;
    lo sviluppo della cultura ricettiva si fonda necessariamente su una formazione professionale, puntuale e continua, che risponda in maniera dinamica alle esigenze del mercato. Il sostegno, in sinergia con le imprese e con gli operatori, di percorsi formativi specifici e di scuole alberghiere, rappresenta uno degli stimoli principali alla crescita qualitativa ed occupazionale del settore,

impegna il Governo:

   ad assumere in via prioritaria le seguenti iniziative, anche normative, per favorire la ripresa e il pieno sviluppo del comparto turistico nazionale:
    a) sostenere, nell'ambito della preannunciata riforma del Titolo V della Costituzione, una nuova collocazione della materia turistica, la cui attribuzione non deve essere sottratta alle regioni ma deve rispondere a una strategia unitaria concordata tra queste e lo Stato centrale, a cui deve essere attribuita la programmazione strategica del turismo fissandone i principi generali, a tal fine a valutare l'istituzione di un dicastero dedicato solo al turismo i cui dipartimenti in sinergia con i ministeri chiave come quello dello sviluppo economico, dei beni e delle attività culturali e del turismo, dell'economia e delle finanze, del lavoro e delle politiche sociali, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute per le evidenti interconnessioni e le necessarie integrazioni operative che devono favorire l'elaborazione di una politica coerente ed unitaria per il comparto;
    b) riorganizzare la struttura e le competenze in materia di promozione e commercializzazione dell'Agenzia nazionale del turismo (Enit) in modo da costituire un valido supporto operativo per il dicastero competente e per gli operatori del comparto, selezionando il personale in base a chiari criteri meritocratici, stabilendo precisi obiettivi operativi di promozione e la finalità delle risorse finanziarie impiegate;
    c) potenziare l'offerta turistica nazionale on-line del portale Italia.it, ad oggi disomogeneo e poco funzionale, rendendolo punto di riferimento promocommerciale dell’e-commerce turistico italiano, favorendo la leale collaborazione tra gli operatori coinvolti e vietando le clausole capestro contenute nella maggior parte dei contratti sottoscritti dalle strutture ricettive con le online travel agent al fine di rimuovere un grave ostacolo alla libera concorrenza;
    d) istituire un marchio distintivo e definitivo per la promozione del Paese, fortemente identitario e utilizzabile da tutti gli operatori che rispondono ai requisiti per l'esercizio della propria professione o attività che rappresenti una garanzia dei servizi offerti ai consumatori;
    e) assumere misure urgenti affinché l'intero territorio nazionale sia considerato «distretto turistico», semplificando le procedure burocratiche previste, causa principale del precedente fallimento di questo istituto, promuovendo la formazione di reti d'impresa territoriali con il riconoscimento dei relativi vantaggi fiscali e burocratici uniti a un reale sostegno economico;
    f) valutare l'adozione un sistema di detrazione fiscale, già utilizzato anche in altri Paesi europei, alternativo ai «bonus vacanze», che permetta il sostegno ed il rilancio della domanda interna;
    g) verificare con maggior rigore l'utilizzo delle risorse da parte delle regioni, soprattutto di natura comunitaria come i fondi strutturali e di coesione, da collegare in modo chiaro a tempistiche e progetti certi per evitare sprechi, ritardi e il loro mancato utilizzo;
    h) incentivare la creazione di start up che promuovano l'offerta turistica nazionale attraverso tecnologie innovative e prevedere misure di semplificazione amministrativa per le imprese turistiche che investano nel miglioramento delle strutture ricettive;
    i) estendere il fondo rotativo di Kyoto per l'occupazione giovanile a favore delle aziende turistiche che promuovano progetti di turismo ambientale;
    j) sostenere una strategia finalizzata alla destagionalizzazione delle attività ricettive basate sulle diverse potenzialità delle aree del Paese, anche con incentivi fiscali per gli operatori, stabilendo la presentazione in largo anticipo di piani triennali e annuali delle regioni;
    k) finanziare la promozione turistica adottando le misure normative necessarie per il recupero da parte dello Stato di una quota del margine di guadagno degli operatori specializzati nel tax refund;
    l) valorizzare in chiave turistica i siti limitrofi ai centri di grande attrazione al fine di realizzare percorsi integrati che puntino allo sviluppo di un turismo sempre più sostenibile e competitivo, prevedendo la realizzazione delle dorsali cicloturistiche e favorendo un approccio integrato al turismo in tema di infrastrutture e trasporti che permetta efficienti collegamenti tra hub, centri e periferie tali da garantire una miglior fruizione dell'intero territorio italiano;
    m) nell'ambito del progetto «Natura 2000», sviluppare e promocommercializzare percorsi e pacchetti turistici legati ai siti Unesco, alle terme e alle dimore storiche, attraverso una gestione integrata del patrimonio ambientale, culturale e storico che consenta di richiamare turisti puntando sulla qualità dell'offerta;
    n) riformare immediatamente il sistema normativo italiano delle concessioni demaniali marittime e il calcolo dei relativi canoni, attivando tavoli di confronto con i portatori di interessi e attuando il riordino della materia entro la scadenza del 15 maggio 2014, come previsto dalla legge di stabilità per il 2014 (n. 147 del 2013) e sollecitando il legislatore comunitario ad interpretare la direttiva servizi escludendo dall'applicazione della stessa direttiva il settore turistico-balneare e ricreativo;
    o) procedere immediatamente alla riclassificazione unitaria comune a tutto il territorio nazionale delle strutture ricettive – tenendo presente le peculiarità di bed and breakfast, affittacamere, agriturismo e appartamenti vacanza, sentite le organizzazioni di settore, dei consumatori e di categoria e previa intesa in conferenza unificata – che preveda anche strumenti di defiscalizzazione o contributivi, e avviare al contempo una semplificazione burocratica, che interessi anche la gestione degli ospiti, favorendo in questo modo l'emersione dell'eventuale evasione fiscale legata all'extralbeghiero;
    p) adottare misure urgenti per il rilancio della nautica da diporto nazionale e della relativa filiera, in modo da garantire la promozione unitaria del settore nautico-turistico in ambito nazionale ed internazionale, introducendo una classificazione delle strutture che tenga conto della diffusione di best practice ed estendendo l'iva agevolata delle strutture ricettive ai marina resort;
    q) favorire il rilancio del settore termale italiano, ampiamente sottostimato per le potenzialità legate alla sua attrattività turistica e occupazionale, puntando, tra l'altro, alle possibilità del mercato ora disponibili in ambito sanitario grazie alla direttiva 24/2011/UE sulla libera circolazione dei pazienti europei;
    r) promuovere gli opportuni tavoli di confronto e programmazione a sostegno dello sviluppo del turismo accessibile, settore che costituisce non solo una parte rilevante della filiera di riferimento ma anche un diritto per le persone con disabilità e bisogni specifici;
    s) contrastare con efficacia qualsiasi forma di abusivismo in materia, relativo per lo più ad agenzie di viaggio, tour operator, settore dei trasporti, guide turistiche e museali, oltre alle stesse strutture ricettive, che mina la credibilità del Paese all'estero danneggiando l'Erario e i consumatori;
    t) avviare una revisione organica e complessiva della disciplina relativa all'esercizio della professione di guida turistica, sostenendo in sede comunitaria la tutela della professionalità degli operatori italiani con l'applicazione della direttiva corretta al posto della direttiva 2006/123/CE, emanando nel frattempo l'atteso decreto attuativo dell'articolo 3, comma 3, della legge 6 agosto 2013, n. 97, «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – legge europea 2013»;
    u) riformare la figura professionale del direttore tecnico d'agenzia di viaggio per normare un ruolo ad oggi gestito da regioni, province e comuni con forti differenze che impattano sul lavoro stesso degli operatori, rendendo omogenee le prove per l'esercizio della professione e valutando la possibilità di inserire un registro nazionale;
    v) colmare il vuoto normativo sulla natura giuridica di filiali, sedi secondarie o altre articolazioni delle agenzie di viaggi, ad oggi oggetto di possibili abusi, per tutelare i consumatori e la libera concorrenza;
    w) finanziare con risorse adeguate la formazione offerta dalle scuole alberghiere, fondamentali per lo sviluppo della cultura ricettiva essenziale per la crescita del comparto e per il suo grado di professionalizzazione, coinvolgendo gli operatori del settore in percorsi formativi da concordare e promuovere percorsi formativi di studio propedeutici ai servizi alberghieri e alla ristorazione con istituti di istruzione secondaria e universitaria e con altri enti di formazione italiani ed esteri.
(1-00397)
«Prodani, Mucci, Da Villa, Crippa, Della Valle, Fantinati, Vallascas, Petraroli, Nuti, Rostellato».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo il rapporto dell'Unwto (World Tourism Organisation) «Tourism Towards 2030», che presenta le prospettive a lungo termine del settore, il numero di arrivi dei turisti internazionali nel mondo aumenterà del 3,3 per cento per anno, tra il 2010 e il 2030, per raggiungere 1,8 miliardi al termine del periodo;
    anche per il 2013, l'Istat conferma il trend negativo del turismo italiano, avviatosi nel 2009, che nel corso del quinquennio ha comportato una perdita di quasi 60 milioni di viaggi (290 milioni di notti);
    nel 2012 il turismo internazionale nel mondo ha superato, per la prima volta nella storia, quota un miliardo di arrivi; nel 2013 gli arrivi internazionali, secondo i dati provvisori dell'Organizzazione mondiale del turismo, si sono attestati a 1 miliardo e 87 milioni di euro, con un aumento del 5 per cento rispetto al 2012, un trend in continua crescita del quale l'Italia non beneficia;
    secondo la Banca d'Italia, nel periodo gennaio-dicembre 2013, il settore ha registrato, comunque, un avanzo di 12.830 milioni di euro (lo 0,8 per cento del prodotto interno lordo), a fronte di 11.543 milioni di euro nello stesso periodo dell'anno precedente;
    le spese dei viaggiatori stranieri in Italia, per 32.989 milioni di euro, sono aumentate del 2,9 per cento; quelle dei viaggiatori italiani all'estero, per 20.159 milioni di euro, si sono ridotte dell'1,7 per cento;
    secondo l'Osservatorio nazionale del turismo, tra gennaio e ottobre 2013, gli arrivi e le presenze di italiani sono calati dell'8,3 per cento, gli arrivi degli stranieri dello 0,1 per cento e le presenze dello 0,3 per cento;
    il 2013 per il turismo italiano è stato l'anno peggiore del passato quadriennio, in totale nei mesi indicati la perdita complessiva di arrivi si attesta a – 4,3 per cento, quella della presenze a 4,4 per cento;
    l'incertezza economica globale non ha fermato la crescita del turismo internazionale, che ha mostrato la sua capacità di adattamento alle mutevoli condizioni del mercato e, benché a un tasso inferiore, ci si aspetta un'ulteriore espansione del settore nel 2014;
    l'Europa rimane di gran lunga il continente con il più alto numero di turisti al mondo e, nonostante le difficoltà dell'eurozona, ha registrato una crescita degli arrivi internazionali pari al 3,3 per cento, risultato da considerarsi tendenzialmente positivo per una destinazione matura;
    il report sull'impatto economico annuale del World Travel and Tourism Council (WTTC) indica ancora nel 2013 un contributo al prodotto interno lordo italiano derivante da viaggi e turismo pari al 10,3 per cento, percentuale tra le più elevate tra i Paesi membri del G20 con significative possibilità di miglioramento;
    se i flussi turistici internazionali crescono e quelli diretti verso l'Italia diminuiscono, è urgente che il turismo sia compiutamente riconosciuto come opportunità strategica di crescita per il Paese attraverso un conseguente salto di qualità delle politiche ad esso dedicate;
    la novità costituita dalla nuova collocazione del settore all'interno del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con un ulteriore cambiamento nella gestione strategica del turismo italiano, può aprire nuove prospettive per il rilancio effettivo di immagine del turismo nazionale e per l'implementazione di nuove politiche di promozione del Paese a livello planetario;
    secondo la Banca d'Italia, infatti, il turismo culturale contribuisce in misura rilevante ai flussi di viaggiatori stranieri in Italia, pesando per circa un quarto sulla domanda estera complessiva di soggiorno e per quasi la metà su quella relativa ai soli viaggi per vacanza, poiché la spesa pro capite dei turisti interessati alle proposte culturali è più elevata della media e il loro contributo risulta anche maggiore in termini di risorse finanziarie;
    il saldo positivo tra entrate e uscite relative al turismo culturale è di circa 6 miliardi di euro l'anno, oltre la metà dell'attivo turistico complessivo;
    il confronto internazionale suggerisce l'esistenza di ampi margini di miglioramento nella valorizzazione e nella fruizione del patrimonio artistico e culturale e nel rafforzamento delle attività gestionali e promozionali, al fine di incrementare velocemente le quote di mercato nel settore del turismo culturale, nel quale l'Italia potrebbe ambire a collocarsi al primo posto nel mondo;
    l'ulteriore perdita di quote di mercato da parte del turismo italiano è un segnale molto negativo anche dentro la recessione che il Paese sta attraversando; se il turismo internazionale cresce nel mondo, non c’è alcuna ragione perché l'Italia perda in competitività internazionale, mentre il mercato nazionale affonda;
    le imprese turistiche italiane non possono vivere in solitudine questo momento difficile; a livello globale la maggior parte dei Paesi turistici e di quelli che intendono diventarlo si organizzano, investendo risorse importanti per intercettare i flussi internazionali previsti in crescita di qui al 2020;
    da molti anni non è più sufficiente il marchio «Italia» per vincere sul mercato globale, ma è necessaria una strategia nazionale forte, da realizzare d'intesa con le regioni, per il turismo internazionale, e si devono rafforzare gli strumenti a disposizione per incentivare la domanda interna, in particolare per le fasce più deboli, a cominciare da un nuovo ed efficiente sistema di buoni vacanze;
    le politiche per il turismo del dopo referendum e la riforma costituzionale sul Titolo V della Costituzione si sono caratterizzate per le continue oscillazioni tra difesa delle competenze regionali e momenti di accentramento nazionale;
    una delle poche novità positive è arrivata dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome che ha approvato nel 2010 un documento che rappresenta un valido punto di riferimento per realizzare le politiche nazionali necessarie per il rilancio del settore;
    il documento della Conferenza delle regioni e delle province autonome aveva anche lo scopo di evitare gli errori, poi commessi, nell'approvazione del codice del turismo, definito come una «riforma del settore» ma senza l'apporto delle regioni e delle organizzazioni di categoria, e successivamente bocciato ampiamente dalla Corte costituzionale;
    se il Governo intende mettere mano alla governance del turismo, non appare sufficiente il trasferimento delle competenze al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ma appare logico pensare a forme organizzate di coordinamento costante tra i Ministeri con deleghe che interessano il turismo, per redigere ed aggiornare annualmente il piano strategico nazionale per il turismo in condivisione con tutti i Ministri interessati e con le regioni, individuando le risorse necessarie per finanziarlo;
    appare, quindi, urgente la riformare il Titolo V della Costituzione, ripensando l'attuale assetto di competenze, in modo da favorire l'emergere di una strategia nazionale per il settore e la cooperazione e il coordinamento di ogni livello istituzionale e amministrativo;
    un progetto adeguato di rilancio del turismo deve occuparsi, in primo luogo, della promozione dell'immagine del nostro Paese che non può più essere inquadrata come un'attività sganciata dalle altre iniziative promozionali e organizzative che lo Stato italiano, a vario titolo, svolge sul mercato internazionale;
    la promozione turistica è in piena evoluzione nei concetti, nei criteri e negli strumenti: il modo tradizionale di fare promozione (brochure, fiere, campagne di advertising) non è più sufficiente, il rapporto diretto, on-line, sta rivoluzionando l'intero comparto, le parole chiave del web 2.0 sono interazione e partecipazione, le strategie promozionali devono tramutarsi, velocemente, in strategie di marketing web;
    l'Enit-l'Agenzia nazionale del turismo ha innanzitutto un problema di risorse, che occorre risolvere, ma deve essere affrontata contestualmente la riforma radicale dell'ente per realizzare una struttura specializzata, che riesca a interpretare i grandi cambiamenti del settore e dare risposte innovative nei mercati internazionali con politiche di promo-commercializzazione;
    una struttura che risponda a precisi indirizzi programmatici, autonoma e giudicata sulla base dei risultati operativi conseguiti, obiettivo che potrebbe essere realizzato da una società per azioni a maggioranza pubblica che coinvolga pienamente l'insieme di soggetti, di territori e di prodotti destinati a comporre un sistema sotto il «marchio Italia»;
    la strategia del rilancio del turismo si fonda, sulla scorta di quanto fin qui analizzato, su un profondo rinnovamento ed efficientamento della governance e della promozione, così come di un sistema imprenditoriale le cui necessarie trasformazioni vanno accompagnate riprendendo l’iter del piano strategico nazionale che, migliorato nei contenuti e adattato alle esigenze delle regioni, può costituire un primo importante approccio sistemico al settore;
    tra i vari problemi del settore c’è anche la disciplina normativa, modificata con il decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, «codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio», che è stato ampiamente bocciato dalla Corte costituzionale in 19 articoli per eccesso di delega del Governo;
    con il giudizio della Corte costituzionale sono state cancellate anche le norme in materia di classificazione e standard qualitativi delle strutture ricettive, la disciplina delle agenzie di viaggio e del tour operator, le norme sui sistemi turistici locali e quelle sulla gestione dei reclami da parte del dipartimento del turismo;
    quanto alle concessioni demaniali-marittime ad uso turistico-ricreativo va colto il segnale positivo arrivato dalla Commissaria europea per gli affari marittimi e le coste, Maria Damanaki, secondo la quale la Commissione europea sarebbe disponibile a modificare la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del consiglio, nella parte che riguarda proprio le spiagge, in quanto i vincoli applicati alle concessioni demaniali sono troppo rigidi, e a stendere una nuova direttiva che consenta maggiore flessibilità ai singoli Stati per tener conto delle peculiarità delle proprie coste;
    è, dunque, urgente risolvere alcune delle principali problematiche del settore rimaste inevase sostenendone la crescita con iniziative normative e finanziarie adeguate;
    la sfida del turismo, perno di un possibile rilancio della crescita del Paese, si concentra in poche mosse che attengono, tutte, alla capacità del nostro Paese di fare squadra;
    migliorare il turismo significa migliorare il Paese, valorizzare le straordinarie risorse italiane e creare nuova occupazione,

impegna il Governo:

   ad identificare una governance complessiva del turismo coordinata con la nuova collocazione del settore nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   a cooperare strettamente col Parlamento al fine di individuare, nell'ottica più generale della riforma del titolo V della Costituzione, le forme migliori per l'assetto delle competenze nel settore turistico, in modo da favorire anche la definizione ed il perseguimento di una strategia nazionale vincente in questo importante comparto;
   ad intervenire con un sistema organico di politiche economiche e fiscali che favoriscano in particolar modo la digitalizzazione del settore, sia pubblico che privato, e la competitività delle imprese turistico-ricettive;
   a favorire lo start up di imprese, in particolar modo giovanili, finalizzate alla valorizzazione e gestione del patrimonio pubblico, culturale e naturalistico;
   a prevedere un profondo rinnovamento dell'organizzazione e della missione dell'Agenzia nazionale del turismo ed una sua svolta digitale per favorire la competitività promo-commerciale internazionale dell'intero sistema culturale, turistico e della valorizzazione dei prodotti tipici e artigianali, anche contemplando in tale rinnovamento un maggiore apporto dei privati e dei vettori nazionali di trasporto alla definizione del piano di promozione nazionale;
   a valutare l'opportunità di rivedere il codice del turismo e il piano strategico nazionale;
   ad assumere iniziative per rivedere l'attuale «tassa di soggiorno» che ha prodotto scompensi sul territorio tra i comuni che l'hanno istituita e quelli che non l'hanno istituita;
   a valutare l'opportunità di riorganizzare l'attuale sistema dei buoni vacanza e delle modalità di finanziamento, alla luce delle migliori esperienze europee;
   ad ammodernare e semplificare il sistema dei visti al fine di favorire l'afflusso di turisti dai Paesi emergenti;
   ad assumere iniziative per estendere il bonus per le ristrutturazioni e la riqualificazione energetica anche agli immobili adibiti ad attività turistiche, finalizzandolo anche all'adeguamento alla sicurezza antincendio;
   ad assumere iniziative per rivedere la disciplina delle guide turistiche, inserendola nel contesto del quadro normativo europeo in materia di professioni e non di servizi;
   a verificare l'apertura della Commissione europea riguardo a una maggiore flessibilità nell'applicazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio alle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo;
   a mettere il turismo al centro del piano giovani per sviluppare occupazione qualificata;
   a considerare nell'organizzazione del sistema dei trasporti aerei, ferroviari e marittimi una maggiore integrazione di servizi orientata allo sviluppo del turismo, su tutto il territorio nazionale e con particolare attenzione al sud dell'Italia, al fine di favorire la raggiungibilità e la fruibilità dei luoghi e dell'immenso patrimonio naturalistico e culturale;
   ad intraprendere tutte le azioni per far sì che Expo 2015 possa promuovere il patrimonio nazionale, valorizzando al meglio le eccellenze del made in Italy e quelle artistiche, culturali e ambientali.
(1-00401)
(Nuova formulazione) «Benamati, Petitti, Taranto, Montroni, Bini, Bonafè, Folino, Galperti, Ginefra, Mariano, Senaldi, Basso, Martella, Fabbri, Nesi».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    dai dati diffusi dall'Organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite (Unwto), il mercato del turismo mondiale nel 2013 ha superato la soglia di un miliardo di clienti ed è cresciuto, rispetto all'anno precedente, del 5 per cento, pari a 52 milioni di nuovi turisti in termini assoluti. Le aree mondiali che nel 2013 hanno registrato i migliori risultati in termini di crescita sono state: il Sudest asiatico (+10 per cento), l'Europa centrale e dell'est (+7 per cento), il Nord Africa (+6 per cento) e l'Europa meridionale e mediterranea (+6 per cento);
    l'Italia nel 2013 è stato il quinto Paese più visitato nel mondo con circa 55 milioni di turisti stranieri, con un volume d'affari valutato dall'osservatorio sul turismo di Unioncamere in 73 miliardi di euro. Rispetto al 2012, si registra una contrazione sia dei flussi (-3,9 per cento), sia dei consumi (-2 per cento), dovuta alla riduzione delle spese degli italiani (-3,9 per cento), mentre quelle degli stranieri risultano in contenuto aumento (+0,7 per cento); gli italiani che hanno fatto almeno una vacanza sono stati il 12,2 per cento in meno rispetto al 2012;
    con riferimento al 2008, anno in cui il volume dei consumi turistici superava i 77 miliardi di euro, la complessiva diminuzione della spesa (-5,7 per cento) ha investito tutti i comparti economici del turismo ad esclusione di quello agroalimentare, che cresce del +65,9 per cento, per un totale di oltre 11,7 miliardi di euro spesi dai turisti in negozi tipici e supermercati nei luoghi di vacanza; peraltro, il turismo enogastronomico attiva in media più ricchezza rispetto a quello balneare. Secondo le stime 2013 del centro studi Intesa San Paolo, l'enogastronomia genera 119,6 euro per ciascun turista, il turismo culturale 105,4 euro e le spiagge 83,8 euro;
    per quel che riguarda il futuro, l'Organizzazione mondiale del turismo prevede che il mercato turistico crescerà ancora nel 2014 del 4-5 per cento, con un aumento sia del numero delle persone che si spostano in vacanza per il pianeta, sia della spesa media pro capite; per quel che riguarda l'Italia, il Centro internazionale di studi sull'economia turistica dell'università di Venezia (Ciset) ha diffuso le proprio previsioni secondo le quali l'Italia si attesterà, nel 2014, su un numero di arrivi internazionali di poco superiore ai 55 milioni, mantenendosi al terzo posto in Europa dietro la Francia (91,4 milioni) e la Spagna (63,3 milioni); il primato mondiale delle presenze turistiche, che è stato appannaggio dell'Italia fino agli anni Ottanta, è quindi, oggi, della Francia, ma, con la frenata degli arrivi degli ultimi anni, il nostro Paese rischia di retrocedere anche dopo Inghilterra e Germania;
    tale dato è confermato dai dati dell'Organizzazione mondiale del turismo riguardanti l'apporto al prodotto interno lordo del settore turistico: per l'Italia esso è stato pari al 5,4 per cento nel 2012 (10 per cento, se si considera l'indotto), inferiore al dato della Spagna (6,4 per cento) e della Francia (6,2 per cento);
    per quel che riguarda l'occupazione, i dati dell'Organizzazione mondiale del turismo sull'Italia, riferiti al 2012, quantificano il contributo diretto del turismo italiano all'occupazione in circa 1,1 milioni di operatori (4,8 per cento), che salgono a 2,7 milioni se si considera anche l'occupazione indiretta (11,7 per cento);
    per quanto riguarda i Paesi di origine dei flussi turistici stranieri verso l'Italia, le previsioni parlano di una generale stagnazione della crescita degli arrivi dai principali mercati europei. Saranno i Paesi extraeuropei a sostenere la crescita del turismo internazionale a livello globale: i flussi internazionali generati fuori dal vecchio continente dovrebbero aumentare del 4,6 per cento nel 2014, superando quota 10 milioni e portando a un recupero delle perdite subite tra il 2008 e il 2009; sono in crescita, in particolare, gli arrivi statunitensi, seguiti dai giapponesi, dai cinesi e dai russi;
    secondo le proiezioni per il 2014, Grecia (+5,3 per cento), Portogallo (+5,1 per cento) e Francia (+4,5 per cento) si distingueranno per i maggiori incrementi nel numero di arrivi da turismo internazionale; per l'Italia le proiezioni registrano aumenti più contenuti (+2,2 per cento);
    per l'anno 2014, i diversi enti specializzati concordano nel prevedere che la concorrenza sarà particolarmente aspra per le destinazioni balneari italiane, le cui performance potrebbero essere condizionate da due fattori: le politiche di prezzo aggressive attuate nei Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo e il recupero di competitività delle destinazioni nordafricane. Un simile contesto rischia di penalizzare le regioni del Mezzogiorno, meno attrezzate a compensare eventuali perdite estive con un'offerta differenziata per stagione, prodotti e segmenti di domanda. Appare meno problematica la situazione sulla fascia adriatica, grazie anche alla maggiore organizzazione e alla vicinanza geografica rispetto ai Paesi del centro-nord Europa, nei quali la maggiore ricchezza pro capite si traduce in una maggiore spesa turistica;
    i problemi che affliggono l'industria turistica nazionale, e che ne impediscono uno sviluppo che sia comparabile con le bellezze paesaggistico-architettoniche e il patrimonio storico culturale che contraddistinguono il nostro Paese, possono esemplificarsi come segue:
     a) mancanza di un progetto nazionale sul turismo; secondo Federturismo – l'associazione di Confindustria che raccoglie le imprese di settore – tale problema è imputabile al titolo V della Costituzione che assegna alle regioni la competenza esclusiva in materia; tale frammentazione è evidenziata dal decreto legislativo n. 79 del 2011, definito come una «riforma del settore», ma successivamente dichiarato in parte incostituzionale dalla Corte costituzionale; parte del problema può imputarsi ai limitati e decrescenti finanziamenti, al sottoutilizzo ed allo scarso coordinamento degli enti turistici nazionali, regionali e locali;
     b) la scarsa resa economica del turismo nelle regioni meridionali: esaminando il valore aggiunto prodotto a livello locale dalle singole regioni, si scopre che alcuni territori producono bassi effetti moltiplicatori: Sardegna, Basilicata e Calabria attivano rispettivamente 63,8 euro, 61,3 euro e 38,6 euro per ciascun turista. Al top invece Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia Giulia (rispettivamente 184 euro, 177,2 euro e 123,3 euro (ricerca 2013 centro studi Intesa San Paolo);
     c) le ridotte dimensioni delle imprese turistiche nazionali, che sono strutturate in maniera similare al resto del sistema produttivo nazionale, fatto per la gran parte di piccole e medie imprese; ciò comporta maggiori difficoltà sia a reperire i capitali necessari ad espandersi, sia a coordinarsi per creare sistemi turistici in grado di adeguare l'offerta turistica alla crescente competitività degli altri Paesi;
     d) il deficit infrastrutturale del Paese e il mancato coordinamento delle politiche di trasporto con le esigenze del turismo; le reti trasportistiche ed in particolare le ferrovie, il trasporto navale verso le isole e gli aeroporti, scontano sia inefficienze, sia l'adozione di politiche volte a minimizzare i costi e massimizzare le entrate; nel deficit infrastrutturale va anche considerato il digital divide e cioè il ritardo nell'estensione delle reti telematiche veloci;
     e) la fiscalità, con particolare riferimento all'iva per i servizi turistici, gli oneri burocratici e gli adempimenti amministrativi, che si risolvono in più alti costi generali a carico delle imprese turistiche ed in una minore competitività rispetto all'offerta turistica delle analoghe imprese operanti nei Paesi concorrenti;
     f) l'elevata fiscalità, in particolare la recente esplosione della fiscalità locale (ivi compresa l'imposta di soggiorno), connessa agli oneri burocratici, ha prodotto un incremento dei prezzi turistici e dei costi connessi ben al di là della crescita derivante dall'inflazione: da un recente studio di Confartigianato emerge che, tra il 2009 e il 2013, l'indice dei prezzi dei servizi per le vacanze è aumentato del 15 per cento, mentre quello dei trasporti addirittura del 21,8 per cento; ben superiori al 10 per cento i rincari nella ristorazione, mentre nel settore alberghiero si rilevano tendenze contrastanti: alla crescita in termini di trend, si contrappongono drastici tagli volti a superare con il minimo danno possibile i periodi di bassa stagione;
     g) l'elevata stagionalità dei flussi turistici, in particolare del turismo balneare: un problema particolarmente grave per un Paese, come l'Italia, con oltre 8000 chilometri di coste, un problema che concentra in periodi ristretti la creazione di ricchezza e di posti di lavoro e che finisce per risolversi in un costo nei periodi di «bassa stagione» in quanto, da un lato, occorre mantenere l'efficienza delle strutture nei periodi improduttivi, dall'altro, adottare strumenti di sostegno del reddito per gli inoccupati; giova ricordare a tal proposito che il Parlamento europeo con la risoluzione sulla crescita blu – miglioramento della crescita sostenibile nel settore marino, dei trasporti marittimi e del turismo dell'Unione (2012/2297 (INI)), approvata il 2 luglio 2013, ha sottolineato l'importanza del turismo balneare quale strumento fondamentale di crescita di alcune regioni costiere europee, in particolare di quelle mediterranee;
    con riferimento al turismo sociale quale strumento di destagionalizzazione dei flussi turistici, in relazione al quale il decreto legislativo n. 79 del 2011, pur prevedendone l'incentivazione, non contiene finanziamenti, è di primaria importanza l'adozione di misure volte ad incentivare il turismo della terza età; i cittadini dai 55 anni in su rappresentano già circa il 25 per cento della popolazione europea; nel corso dei prossimi quattro decenni la popolazione over 60 crescerà del 50 per cento nei Paesi sviluppati, dai 264 milioni di persone nel 2011 ai 418 milioni nel 2050; il turismo della terza età, nonostante la crisi economica, registra un dato del 20 per cento di crescita all'anno e deve considerarsi un'importante risorsa economica;
    nell'ambito delle priorità della politica europea del turismo, la Commissione europea si è impegnata a ridurre la dimensione stagionale del settore, riconoscendo che il contributo dato dagli anziani all'industria turistica europea è notevole e andrebbe rafforzato per far fronte al problema della stagionalità; a tal fine, dopo il successo dell'iniziativa Calypso, la Commissione europea ha avviato nel maggio 2012 la fase pilota dell'iniziativa turismo della terza età e un invito a presentare proposte è stato pubblicato nel 2013 per dare sostegno a questa iniziativa;
    in questo ambito taluni Stati dell'Unione europea hanno già da anni avviato iniziative in tal senso con risultati di assoluto rilievo; in particolare, la Spagna con un'iniziativa avviata nel 1985 con soli 16.000 posti ha ospitato, ad oggi, oltre 12 milioni di anziani. Durante la stagione 2011-2012, il Governo spagnolo ha stanziato 103 milioni di euro per un programma di vacanze, che ha offerto a turisti anziani 1.084.730 pacchetti di servizi e ospitalità turistica completi e a prezzi agevolati fuori alta stagione in località diverse; i risultati economici e lavorativi sono stati notevoli: 238 milioni di euro di maggiori entrate fiscali e oltre 53.000 occupati destagionalizzati;
    l'accordo di partenariato sulla programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 prevede che una quota del Fondo per lo sviluppo e la coesione sia destinata allo sviluppo del turismo e al turismo di qualità; in tale quadro la legge di stabilità per il 2014 individua in 24 miliardi di euro la quota di cofinanziamento nazionale ad integrazione dei 30 miliardi di euro di fondi strutturali europei, nonché degli ulteriori 55 miliardi di euro per il Fondo per lo sviluppo e la coesione destinati per una quota dell'80 per cento al Mezzogiorno;
    ai sensi dell'articolo 34-quinquies del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, nei primi mesi del 2013 il Ministro degli affari regionali, dello sport e del turismo pro tempore, Piero Gnudi, ha messo a punto il piano strategico del turismo «Italia 2020»; secondo alcune stime conservative, le azioni contenute nel piano possono tradursi in circa 30 miliardi di euro di incremento del prodotto interno lordo e in 500.000 nuovi posti di lavoro entro il 2020; il piano individua le criticità del comparto e detta alcune parole d'ordine che sono coordinamento e innovazione; il piano Gnudi, che peraltro si concentra anche sui riflessi positivi derivanti dall'Expo 2015, risulta totalmente inattuato,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative normative in sede di riforma del Titolo V della Costituzione per una profonda riarticolazione delle competenze tra Stato e regioni, riportando a livello centrale le politiche a sostegno del «marchio Italia» e dei processi di ammodernamento e rilancio del sistema turistico;
   ad adottare iniziative normative urgenti di attuazione del piano strategico del turismo «Italia 2020», previsto ai sensi dell'articolo 34-quinquies del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, riprendendo e aggiornando quanto già elaborato in sede di redazione del decreto «valore turismo»;
   ad individuare quali risorse aggiuntive a quelle nazionali e locali per il rilancio del turismo, sia una quota significativa del Fondo per lo sviluppo e la coesione, nell'ambito della programmazione dei fondi strutturali 2014-2020, sia quote di ogni altro possibile programma comunitario di sostegno alle imprese quale, ad esempio, il programma Cosme;
   a rafforzare il ruolo degli enti turistici nazionali;
   in una strategia di più lungo periodo, ad introdurre, sull'esempio di quanto già si verifica in altri Paesi, un modello definibile «Sistema turistico integrato», nell'ambito del quale:
    a) amministratori pubblici, associazioni di categoria, manager, imprenditori ed enti turistici collaborino in maniera sinergica, in modo da offrire al cliente pacchetti integrati che comprendano il trasporto, l'accoglienza, la personalizzazione del servizio (accoglienza dedicata per minori, anziani e disabili, possibilità di turismo congressuale o sportivo) e l'organizzazione di eventi (visite ai musei e ai siti culturali, escursioni, percorsi enogastronomici o artigianali);
    b) sia prevista una cabina di regia, quale luogo di coordinamento degli operatori, di individuazione degli obiettivi qualitativi da raggiungere, di valorizzazione delle risorse umane e di selezione delle proposte turistiche innovative destinate a migliorare la competitività del cosiddetto sistema Italia;
    c) siano fortemente valorizzate le identità culturali di ciascun territorio, sia per quel che riguarda gli aspetti culturali, sia con riferimento alla gastronomia e all'artigianato;
    d) siano fissati standard elevati di servizio, ai quali gli operatori devono attenersi, con riferimento all'efficienza delle strutture e dei trasporti, alla professionalità degli operatori, alla qualità delle proposte e degli eventi;
   in attesa della definizione del modello di «Sistema turistico integrato», a rafforzare i circuiti nazionali di eccellenza di cui all'articolo 22 del decreto legislativo n. 79 del 2011 e a prevedere agevolazioni similari a quelle già previste per i distretti industriali in favore dei sistemi turistici locali, di cui al citato articolo 22, qualora gli operatori turistici e gli enti di settore ivi operanti si coordinino per avanzare offerte turistiche integrate;
   al fine di avviare i virtuosi processi di destagionalizzazione descritti in premessa, ad introdurre e a finanziare, con effetto già dalla stagione turistica 2014 e in coordinamento con le esperienze regionali già in corso, un programma volto ad offrire pacchetti turistici agevolati in favore del turismo della terza età e del turismo sociale, sul modello degli analoghi programmi previsti dalla Spagna e dalla Francia;
   in attuazione di quanto previsto sulle spiagge nella legge di stabilità per il 2014, a definire la riforma delle concessioni demaniali, per dare stabilità alle 30.000 aziende balneari e per far ripartire i necessari investimenti.
(1-00402)
«Pagano, Dorina Bianchi, Pizzolante».
(24 marzo 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER L'ESCLUSIONE DAI VINCOLI PREVISTI DAL PATTO DI STABILITÀ INTERNO DELLE SPESE VOLTE A FINANZIARE INTERVENTI DI CONTRASTO AL DISSESTO IDROGEOLOGICO

   La Camera,
   premesso che:
    le incessanti precipitazioni dei primi giorni di febbraio 2014 hanno messo in ginocchio gran parte del Paese; l'ondata di maltempo ha creato frane, allagamenti e straripamenti dei fiumi, da Nord a Sud, e ha fatto registrare fino ad oltre 5 metri di neve e rischio valanghe sulle Alpi orientali;
    la situazione di criticità nel Veneto ha raggiunto i massimi livelli: oltre 1000 gli evacuati, un morto, danni alle colture e alle cose stimati per ora attorno ai 500 milioni di euro; il padovano, dove sono esondati diversi canali collegati al Bacchiglione, interi quartieri sono stati totalmente allagati da oltre un metro e mezzo di acqua, costringendo molte famiglie ad abbandonare le proprie abitazioni attraverso le barche della protezione civile;
    il disastro è arrivato a pochi giorni di distanza dall'alluvione di Modena del 19 gennaio 2014, quando la rottura dell'argine destro del Secchia nella frazione di San Matteo, ha inondato Modena, Bastiglia, Bomporto, San Prospero, Medolla e altre zone della provincia di Modena, provocando l'allagamento di una superficie di 75 chilometri quadrati, l'evacuazione di 600 persone, il blocco delle strade, frane e smottamenti, oltre duemila ettari di coltivazioni con grano e altri cereali sommerse nell'acqua;
    l'Sos idrogeologico lanciato dalla Protezione civile ha riportato alla ribalta il problema cronico di cui soffre il Paese, ossia la mancanza di un programma organico di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del suolo e dei corsi d'acqua, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più sensibili;
    l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la forte espansione edilizia soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua, la forte antropizzazione e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad alluvioni;
    il nostro Paese ha un territorio estremamente fragile e in crescente pericolo di dissesto; secondo uno studio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 9,8 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e sono 6.633 i comuni interessati, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani. In particolare, il 24,9 per cento dei comuni è interessato da aree a rischio frana, il 18,6 per cento da aree a rischio alluvione e il 38,4 per cento da aree a rischio sia di frana che di alluvione; più di 5 milioni di cittadini italiani ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio; un'indagine mostra che «quasi il 60 per cento degli italiani indica frane e smottamenti come una delle prime tre emergenze ambientali del Paese»;
    secondo i dati elaborati dal Cnr-Irpi, fra il 1960 e il 2012, tutte le 20 regioni italiane hanno subito eventi fatali: 541 inondazioni in 451 località di 388 comuni, che hanno causato 1.760 vittime (762 morti, 67 dispersi, 931 feriti), e 812 frane in 747 località di 536 comuni con 5.368 vittime (3.413 morti compresi i 1.917 dell'evento del Vajont del 1963, 14 dispersi, 1.941 feriti). Le vittime dal 1960 a oggi per frane e inondazioni sono state dunque in totale oltre 4 mila, gli sfollati e i senzatetto per le sole inondazioni superano rispettivamente i 200 mila e i 45 mila;
    secondo i dati apparsi sui giornali in questi giorni, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha quantificato in circa 8,4 miliardi di euro i finanziamenti statali degli ultimi venti anni per politiche di prevenzione e di difesa del suolo, mentre nello stesso periodo sono stati spesi 22 miliardi per riparare i danni causati da frane ed alluvioni;
    tali dati rendono evidente l'impellente necessità di un piano pluriennale di prevenzione e di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua, finanziato dallo Stato e cofinanziato dalle regioni e dagli enti locali, da attuarsi da parte degli enti periferici e territoriali competenti per legge;
    risulta evidente che si tratta di un'emergenza nazionale e che se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle alluvioni;
    la ripresa economica di cui abbisogna il Paese è continuamente rallentata e minacciata dall'aumento della fragilità del territorio, dal susseguirsi di drammi umani e danni alle cose; ma sono gli stessi finanziamenti per la prevenzione e per la manutenzione del territorio che possono diventare un volano per l'accelerazione della ripresa economica e per lo sviluppo del Paese, creando indotto e occupazione;
    in questi giorni, i mass media hanno riportato l'esempio del bacino di laminazione di Montebello che ha raccolto, trattenuto ed evitato che si riversassero soprattutto sul basso vicentino e sul padovano circa 4 milioni di metri cubi di acqua. Si tratta di un impianto costruito addirittura nel 1926 che raccoglie a Nord le acque dell'Agno-Gua’ attraverso 12 sifoni di presa e si può trasformare in un lago di 6 milioni di metri cubi d'acqua, su oltre 50 ettari, quasi tutti di proprietà demaniale, raggiungendo una profondità sino a 20 metri; si tratta di un esempio delle soluzioni che servono, certamente costose, ma che sono in grado di mantenere l'acqua il più possibile in bacini per evitare che a valle i fiumi possano provocare danni;
    il 26 giugno 2013 sono state accolte dal Governo alcune delle mozioni presentate alla Camera da tutti i gruppi che hanno impegnato lo stesso Governo sugli obiettivi da raggiungere in merito al dissesto idrogeologico;
    la legge di stabilità 2014 ha cercato di sbloccare circa 1.400 milioni di euro di finanziamenti per il rischio idrogeologico stanziati dai precedenti governi e ha stanziato ulteriori 180 milioni di euro per il triennio 2014-2016;
    tuttavia, nella scorsa legislatura sono state calcolate necessità di prevenzione del rischio idrogeologico per un ammontare di 44 miliardi di euro, di cui 27 miliardi di euro per l'area del Centro-Nord, 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno e 4 miliardi di euro per il patrimonio costiero;
    per raggiungere risultati concreti serve la sinergia tra amministrazioni centrali e locali per il finanziamento degli interventi;
    i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, gli stessi amministratori sono sempre al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed esecuzione degli interventi e della mitigazione dei rischi;
    negli ultimi anni, le regole stringenti del patto di stabilità e crescita imposte dalla Commissione europea e le conseguenti norme nazionali sul patto di stabilità interno costituiscono un vincolo insormontabile alla spesa delle amministrazioni locali; anche nei casi di disponibilità di risorse, gli investimenti dei comuni per la prevenzione e la manutenzione del proprio territorio sono frenati dal patto di stabilità interno;
    appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, non solo verso la semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e l'assegnazione delle risorse ma anche verso l'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono impossibile la spesa, come quelle relative all'inclusione degli interventi, indispensabili per la stessa sopravvivenza dei territori e della popolazione, e alla contabilizzazione della spesa per il rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita imposti dalla Unione europea;
    recentemente si è tanto parlato della golden rule sulle infrastrutture, in merito all'uscita delle spese sostenute dal nostro Paese per finanziare gli interventi delle reti infrastrutturali inserite nei corridoi Ten-T europei dal rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita; infatti, nell'ottobre 2013, la Commissione sviluppo regionale del Parlamento europeo ha approvato la necessità di non calcolare nel 3 per cento dei parametri di bilancio le spese per gli investimenti produttivi in infrastrutture, occupazione e formazione; si tratta di una modifica importante ai vincoli di bilancio degli Stati e delle regioni che permette maggiore efficienza di utilizzo dei fondi europei e sostiene il superamento delle politiche di austerità;
    sulla scia dei provvedimenti adottati per le reti infrastrutturali inserite nei corridoi Ten-T, occorre attuare un passo importante a livello dell'Unione europea, per escludere dal rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, e conseguentemente dal patto di stabilità interno, le spese sostenute per finanziare interventi di prevenzione del dissesto idrogeologico e di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua,

impegna il Governo

ad assumere le opportune iniziative affinché uno degli obiettivi prioritari e fondamentali del prossimo semestre italiano di presidenza europea diventi l'esclusione, dalla contabilizzazione delle spese ai fini del rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, delle risorse stanziate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali per finanziare gli interventi necessari per la prevenzione dei dissesti, la manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua e il contrasto del dissesto idrogeologico, provvedendo, conseguentemente, all'esclusione di tali spese dai vincoli previsti dal patto di stabilità interno.
(1-00339)
«Giancarlo Giorgetti, Prataviera, Matteo Bragantini, Grimoldi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Marguerettaz, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».
(11 febbraio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto «Terra e sviluppo» del Consiglio nazionale dei geologi, elaborato con la collaborazione del Centro ricerche economiche, sociologiche e di mercato (Cresme), descrive un'Italia vulnerabile, dal territorio fragile, esposta alle calamità ambientali, oltre la misura di quel che è fisiologicamente ammissibile;
    il 40 per cento della popolazione vive in aree ad alta sismicità; a rischio tellurico elevato soggiacciono 6,3 milioni di edifici e 12,5 milioni di abitazioni private; circa 6 milioni di persone abitano in aree ad elevato rischio idrogeologico; 30.000 chilometri quadrati del territorio sono ad altissimo rischio per eventi naturali, quali frane ed alluvioni;
    i dati sono confermati dal primo rapporto Ance/Cresme «Lo stato del territorio italiano 2012», laddove si evidenzia che l'Italia è considerato un Paese a sismicità medio-alta: in media ogni 100 anni si verificano più di 100 terremoti di magnitudo compresa tra 5,0 e 6,0 e dai 5 ai 10 terremoti di magnitudo superiore a 6,0. Le aree più interessate dal fenomeno si trovano lungo l'intero arco appenninico, nella parte orientale delle Alpi e in corrispondenza delle aree vulcaniche;
    gli oneri del dissesto e dei terremoti, dal dopoguerra ad oggi, sono stimati in 213 miliardi di euro; il meccanismo di spesa per le calamità naturali è fortemente distorto: nel periodo 1991-2008 per la mitigazione del rischio idrogeologico sono stati impiegati 7,3 miliardi di euro, poco più di 400 milioni di euro l'anno;
    nel novembre 2009 il Governo ha presentato alle Camere i dati sul rischio idrogeologico attuale, le stime per gli interventi di messa in sicurezza e le procedure, anche straordinarie, per attivare gli interventi, a cominciare da quelle pluriennali previste dal piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico; il fabbisogno necessario per la realizzazione di interventi per la sistemazione complessiva della situazione di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in 44 miliardi di euro, dei quali 27 miliardi di euro per il Centro-Nord e 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno, oltre a 4 miliardi per il fabbisogno relativo al recupero e alla tutela del patrimonio costiero italiano;
    tale fabbisogno finanziario si è scontrato con la cronica scarsità di risorse, sia dei bilanci statali che di quelli regionali, ulteriormente aggravata e dall'intermittenza dei finanziamenti; tale condizione non consente né di attuare la programmazione esistente nei diversi livelli di governo del territorio, né di predisporre un credibile piano nazionale, dotato di uno stabile cronoprogramma di spesa;
    taluni elementi distorsivi sono insiti nella stessa struttura della spesa pubblica e nelle norme che la sostengono: le spese per le emergenze sono difficilmente comprimibili, anche in forza delle attese della pubblica opinione e i mutui destinati alla copertura delle ricostruzioni sono difficilmente riducibili; i piani per la messa in sicurezza e la manutenzione del territorio sono classificati come investimenti o ammortamenti;
    ancora pesano sul bilancio statale eventi come il terremoto del Belice (1968) o dell'Irpinia (1980) e si calcola che la spesa per far fronte al terremoto in Abruzzo dell'aprile 2009 si potrà considerare esaurita nel 2032;
    nel corso degli anni Governi nazionali e regionali, di qualunque colore fossero, afflitti da problemi di deficit di bilancio e, da ultimo, dalla necessità inderogabile di fare fronte alla crisi economica, altro non hanno potuto fare che tagliare il tagliabile, cioè, tra l'altro, investimenti e ammortamenti;
    dall'ultimo rapporto dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (Anbi), presentato nel febbraio 2014, si riconosce che a determinare la situazione di emergenza hanno contribuito sia il mutato regime delle piogge, sia l'impetuosa urbanizzazione, il consumo del suolo, l'omessa manutenzione del sistema idraulico del Paese, lo spopolamento delle montagne, la riduzione del terreno agricolo. Si stima infatti che il consumo del suolo nel periodo 1990-2005 sia stato oltre 244.000 ettari l'anno (circa due volte la superficie del comune di Roma), in pratica 668 ettari al giorno, ma si verifica, paradossalmente, anche il problema opposto: le superfici agricole, già oggetto di aggressione urbana, si riducono di per sé stesse a causa dell'abbandono;
    l'Anbi ha sottolineato che purtroppo le calamità sono generate da eventi idrogeologici non prevedibili né tecnicamente né economicamente, ma che è tuttavia possibile ridurre l'impatto degli eventi eccezionali attraverso azioni volte a rinforzare i territori fragili, a provvedere alle manutenzioni ed agli adeguamenti necessari a garantire la regolazione idraulica, ad assicurare il funzionamento degli impianti idrovori e il consolidamento degli argini;
    non è più procrastinabile quindi un programma di messa in sicurezza del territorio, indispensabile alla vita civile ed alle attività produttive anche attraverso nuove regole d'uso;
    sulla base dei dati Istat nel prossimo decennio l'incremento della popolazione nelle zone sismiche sarà di oltre 500 mila persone, mentre circa 250 mila persone si insedieranno nelle zone a rischio idrogeologico;
    l'Italia è un territorio fortemente antropizzato, con circa 189 abitanti per chilometro quadrato; se si calcolano anche i 5 milioni di immigrati, la densità aumenta a 202 abitanti per chilometro quadrato; se ulteriormente si calcola che su 301 mila chilometri quadrati sono utilizzabili solo 180 mila chilometri quadrati, si arriva a 339 abitanti per chilometro quadrato; il dato è confermato anche dallo studio del Wwf sull'impronta ecologica delle nazioni: l'Italia ha un deficit ecologico di 2,9, cioè occorrerebbe che il nostro Paese avesse una superficie di 2,9 più grande, per sostenere gli attuali impatti della popolazione residente;
    tutto ciò dimostra che l'Italia è un Paese sovraffollato con tutti gli impatti che ne conseguono, primo tra i quali lo sfogo dell'urbanizzazione verso le aree libere, che sono soprattutto le aree agricole, ma anche verso aree meno idonee o assolutamente non idonee alle costruzioni, quali le aree a maggior rischio idrogeologico;
    un recentissimo studio dell'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra), sull'andamento del consumo di suolo, illustra come esso sia cresciuto, negli ultimi cinque anni, al ritmo di oltre 8 metri quadrati al secondo e come risulti coperta dall'urbanizzazione un'area pari al 6,9 per cento del territorio, cioè oltre 20.500 chilometri quadrati (dato del 2010). Nel 1956 era urbanizzato il 2,8 per cento del territorio; il consumo di suolo nel nostro Paese, per oltre 50 anni, sempre secondo l'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale, è sempre stato sopra la media europea. La classifica delle regioni più urbanizzate vede in testa la Lombardia, che supera la soglia del 10 per cento del territorio, con 14 regioni oltre il 5 per cento;
    la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 prevede, da un lato, che siano di competenza dello Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema (secondo comma, lettera s), dell'articolo 117), dall'altro, prevede, invece, che il governo del territorio sia materia di competenza concorrente tra Stato regioni (comma 3, dell'articolo 117);
    la non chiara delimitazione degli ambiti di competenza ha determinato una confusione dei ruoli, lo spezzettamento delle competenze, una strutturale mancanza di coordinamento; più volte si è tentato, nel corso delle legislature precedenti di approvare una legge nazionale sul Governo del territorio, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica del 1942;
    l'Unione europea ha da tempo riconosciuto l'esigenza di politiche pubbliche per una tutela attiva delle funzioni naturali svolte dal suolo. Questa tematica è alla base della strategia tematica per la protezione del suolo adottata dall'Unione europea sin dal 2006 e gli interventi necessari per ridurre il rischio idrogeologico richiedono un investimento di quasi 8 miliardi di euro per circa 3.400 interventi;
    secondo l'Anbi infatti «l'adeguamento delle opere di bonifica idraulica è condizione fondamentale per la sicurezza del territorio» per «qualunque attività economica». I consorzi sono pronti e «qualificati» per contribuire e fornire supporto alle istituzioni ma poi è necessario cogliere anche le opportunità che offrono i fondi comunitari per la politica agricola comune 2014-2020;
    secondo l'Ispra «ogni secondo nel nostro Paese vengono occupati 8 metri quadrati di suolo», pari a 70 ettari al giorno. Per comprendere «l'urgenza» basti ricordare che «dal 2002 al 2014 si sono registrati circa 2000 eventi alluvionali con la perdita di 293 vite umane, oltre ai danni alle popolazioni, alle produzioni e alle infrastrutture». Inoltre, emerge che in Italia «6 milioni di persone abitano in un territorio ad elevato rischio idrogeologico; 22 milioni di persone in zone a medio rischio. Nel nostro Paese vi sono 1.260.000 edifici a rischio idrogeologico e di questi 6.251 sono edifici scolastici e 547 ospedali». I consorzi di bonifica, attraverso un processo di fusioni ed incorporazioni, sono 121 rispetto ai 250 degli anni ’70, ed ai 200 del 1998;
    sul terreno delle risorse occorre essere pronti ad intercettare le opportunità attivabili nel quadro delle politiche di coesione per il ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020 ed ad agire in sede europea perché gli interventi di prevenzione e riduzione del rischio idrogeologico possano essere esclusi dai vincoli stringenti del patto di stabilità ed è urgente dare piena attuazione alle direttive europee in materia di acqua e alluvioni, riorganizzando il sistema di responsabilità e competenze, eliminando sovrapposizioni e incongruenze che rendono meno efficace il sistema degli interventi;
    talvolta gli enti locali coinvolti avrebbero risorse proprie per poter disporre interventi di messa in sicurezza e di prevenzione, ma questa loro volontà si scontra con le regole imposte a livello nazionale in applicazione del patto di stabilità;
    è dunque necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, non solo attraverso la semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e l'assegnazione delle risorse, ma anche attraverso l'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono impossibile la spesa, come quelle relative all'inclusione degli interventi, indispensabili per la stessa sopravvivenza dei territori e della popolazione;
    la legge finanziaria per il 2014 e il successivo decreto-legge n. 136 del 2013 si limitano a dettare norme che dovrebbero determinare l'utilizzo delle somme già previste negli accordi di programma mentre estremamente modeste sono le nuove previsioni di spesa: 30 milioni per il 2014; 50 milioni per il 2015 e 100 milioni per il 2016;
    l'Anbi nel 2013 aveva proposto, ai fini di della riduzione del rischio idrogeologico, 3.342 interventi per un importo di 7.409 milioni e nel 2014 ha proposto 3.383 interventi per un importo pari a 7.995 milioni;
    dal 2010 ad oggi il numero delle opere da realizzare per garantire maggiore sicurezza idrogeologica al Paese è cresciuto del 147,8 per cento mentre il loro fabbisogno economico del 91,1 per cento e l'Anbi ha proposto, nel proprio piano per ridurre il rischio idrogeologico, opere immediatamente cantierabili e con importanti ricadute occupazionali per la sistemazione idraulica di torrenti e rogge, la manutenzione del reticolo idraulico a difesa dei centri abitati, la realizzazione di opere per il contenimento delle piene, il consolidamento di pendici collinari e montane;
    il Governo nazionale è in forte ritardo nel recepire la direttiva europea 2000/60/CE per l'azione comunitaria in materia di acque, concernente la costituzione degli otto distretti idrografici nazionali, dell'autorità di bacino distrettuale e dei relativi piani di gestione per l'attuazione degli interventi necessari a raggiungere gli obiettivi europei, già previsti nella legge n. 152 del 2006, esponendo così l'Italia al rischio di sanzioni. Il medesimo ritardo si sta accumulando nel recepimento della successiva e consequenziale direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni, recepita in Italia dal decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49. Gli otto distretti idrografici costituiti e le analoghe autorità di bacino, in base alla direttiva europea 2000/60/CE, hanno competenze sugli interventi locali, legati alla manifestazione e all'evoluzione di rilevanti fenomeni di rischio per il territorio (frane, alluvioni, smottamenti, erosioni, eccetera) e sulla programmazione degli interventi preventivi di messa in sicurezza del suolo e per la gestione delle acque, come definito anche dalla direttiva europea 2007/60/CE (denominata «direttiva frane e alluvioni»). Il 2015 sarà l'anno di scadenza per il recepimento complessivo delle due direttive europee sopra richiamate e per raggiungere gli obiettivi ambientali già prefissati: protezione, miglioramento e ripristino di tutti i corpi idrici superficiali al fine di raggiungere un valido stato qualitativo delle acque; redazione dei piani di gestione del rischio di alluvioni in base alle nuove mappe della pericolosità e del rischio da alluvioni,

impegna il Governo:

   a presentare sollecitamente un disegno di legge contenente le linee generali sul governo del territorio, quale legge quadro cui devono attenersi le regioni, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;
   in tale ambito, a riorganizzare il sistema delle competenze e delle responsabilità, in modo tale da evitare sovrapposizioni e conflitti tra le varie autorità e a introdurre disposizioni che obblighino al coordinamento dei diversi piani territoriali regionali e infraregionali;
   ad aggiornare e ad attuare il piano contro il rischio idrogeologico presentato alle Camere nel novembre del 2009, individuando risorse di bilancio certe e continuative per la difesa strutturale del suolo;
   a sbloccare le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione del rischio idrogeologico e, sotto il profilo dell'attuazione delle regole di finanza pubblica, ad assumere iniziative che ascrivano tra gli obiettivi da realizzare nel prossimo semestre italiano di presidenza europea, l'esclusione dai vincoli del patto di stabilità interno delle risorse destinate alle opere finalizzate alla difesa idrogeologica e quelle relative al concorso degli enti territoriali all'attuazione del piano contro il rischio idrogeologico;
   ad introdurre disposizioni che prevedano che tra gli interventi dello Stato destinati a rimuovere le condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, ai sensi del quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, possano essere ricomprese le azioni di rilocalizzazione di insediamenti esposti ai rischi naturali e di riqualificazione ambientale di territori danneggiati, da attuare attraverso gli strumenti della programmazione negoziata;
   ad individuare quanto prima soluzioni idonee per il reperimento delle risorse anche attraverso una proiezione quindicennale dell'impegno di spesa che potrebbe realizzarsi mediante mutui, secondo una soluzione già adottata nel recente passato.
(1-00414)
«Palese, Castiello, Distaso, Gregorio Fontana, Romele, Vella».
(31 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la tutela della sicurezza del territorio italiano rappresenta una priorità per la tutela dei cittadini e per il nostro Paese. Infatti, il rischio naturale legato alle catastrofi idrogeologiche è in Italia tra i problemi più rilevanti sia per i danni prodotti sia per il numero delle vittime registrate. A tal proposito è necessario ricordare come nel periodo 2008-2012 si sia assistito ad un aumento delle vittime degli eventi alluvionali con un'interruzione del precedente trend in diminuzione negli anni 2001-2007;
    infatti, ogni anno si è costretti a sopportare perdite di vite umane e costi sociali elevati, a causa di calamità che in molti casi potrebbero essere evitate solo se si seguissero le più elementari regole di pianificazione e se si facessero investimenti nella messa in sicurezza del territorio;
    sono moltissimi i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, circa l'82 per cento del totale: una fragilità del territorio che riguarda numerose regioni della nostra penisola. La dimensione delle aree a rischio idrogeologico riguarda circa 30 mila chilometri quadrati, quindi, circa il 10 per cento del territorio nazionale e ben 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni;
    il sempre maggiore impatto delle catastrofi idrogeologiche, tra le altre cose, è dovuto ai cambiamenti climatici, ma anche ai mutati scenari territoriali che hanno privilegiato l'occupazione e lo sfruttamento delle aree naturalizzate;
    è da considerare come siano 700 mila le frane in Europa, 500 mila delle quali solo in Italia: è un dato sicuramente allarmante quello relativo al fatto che molti smottamenti interessano centri storici e preziosi beni culturali, tra i più importanti al mondo. Infatti, sono interessati dal dissesto idrogeologico alcuni siti di enorme valore, come Pompei ed Agrigento. In questo modo, si perde cultura, turismo ed immagine nel mondo;
    infatti, una grande parte del dissesto del territorio del nostro Paese è prevalentemente determinata dai comportamenti umani;
    è da considerare che negli ultimi decenni si è assistito ad una crescita continua dell'urbanizzazione, ad interventi artificiali sui corsi d'acqua e alla sottrazione di aree allagabili e di aree libere, agricole e boschive, che rappresentano presidi essenziali per la tenuta del nostro territorio, di cui si paga un prezzo altissimo ogni qualvolta, sul Paese, si abbattono piogge particolarmente intense;
    da ciò nasce l'esigenza sulla necessità di riflettere per sviluppare percorsi risolutivi in grado di rispondere in modo efficace alle ripetute emergenze collegate al rischio idrogeologico nel nostro Paese, emergenze che scattano ormai sistematicamente nei periodi di autunno e non solo a causa di una mancata politica di prevenzione e di governo del territorio;
    pertanto, il problema del dissesto idrogeologico deve essere affrontato non più in una logica puramente emergenziale, ma soprattutto con un'attività di prevenzione che possa garantire la riduzione dello stesso e con una politica attiva di difesa del suolo;
    le politiche di gestione del territorio continuano a destinare gran parte delle risorse disponibili all'emergenza, anziché ad un'effettiva opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio che costituisce l’ unica via possibile per superare il problema ed evitare la perdita di vite umane e danni economici;
    nel corso degli anni numerosi sono state gli interventi legislativi che hanno cercato di operare in modo strutturale, tanto sulla pianificazione, quanto sulla gestione delle situazioni straordinarie di emergenza. Tuttavia, gli stanziamenti per le ricostruzioni necessarie a seguito degli eventi calamitosi hanno spesso assorbito la gran parte delle previsioni di spesa a scapito della prevenzione;
    è da considerare, infatti, che il bilancio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal 2004 al 2011, è stato ridotto del 48 per cento e che sin dall'avvio dei finanziamenti risalenti alla legge n. 183 del 1989 sulla difesa del suolo si è verificata una commistione fra i fondi per la prevenzione e quelli destinati agli interventi post-evento. I fondi inizialmente stanziati, infatti, sono stati in gran parte distolti per fare fronte agli eventi calamitosi verificatisi in alcune regioni italiane e poi azzerati da successive manovre finanziarie;
    occorre, quindi, valutare la possibilità di riattivare investimenti immediatamente cantierabili da parte degli enti locali e quindi rivedere il patto di stabilità interno degli stessi anche perché un piano di riduzione e gestione del rischio idrogeologico del territorio e dei corsi d'acqua rappresenta uno straordinario strumento di rilancio economico e di creazione di occupazione;
    è stato annunciato che dal 1o aprile saranno previsti stanziamenti pari a 1,5 miliardi di euro per interventi finalizzati alla tutela del territorio ed alla lotta al dissesto idrogeologico. Anche per la difesa del territorio, quindi, l'obiettivo del Governo è quello di accelerare le procedure di spesa di circa 1,7 miliardi di euro, di cui seicento milioni già disponibili,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere tutte le iniziative necessarie affinché l'utilizzo delle risorse stanziate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio siano esclusi dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno;
   a valutare la possibilità di assumere tutte le iniziative di propria competenza affinché siano previste risorse aggiuntive da destinare ad interventi di prevenzione del rischio idrogeologico e di manutenzione ordinaria del territorio.
(1-00415) «Piccone, Dorina Bianchi».
(31 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    i dati del dissesto idrogeologico del territorio italiano sono noti da tempo: l'82 per cento dei comuni è esposto a rischio idrogeologico: sono oltre 5 milioni e 700 mila i cittadini che vivono in aree di potenziale pericolo, 1,2 milioni gli edifici che insistono su queste aree. Secondo dati ufficiali, in poco più di cento anni ci sono stati 12.600 tra morti, dispersi o feriti e più di 700 mila sfollati. Tra il 2002 e il 2014 si contano 293 morti, 24 nell'ultimo anno; dal 2002 ad oggi si sono verificati quasi 2.000 episodi di dissesto e ancora più sconcertante è che dal gennaio 2014, in soli 23 giorni (data dell'ultima rilevazione), si sono registrati 110 episodi in tutto il territorio italiano;
    secondo dati recenti il costo complessivo dei danni provocati in Italia da calamità naturali è pari a circa 3,5 miliardi di euro all'anno e le risorse necessarie per fronteggiare gli effetti di questi eventi tendono ad aumentare di anno in anno; nonostante ciò ancora molti territori attendono il riconoscimento delle risorse dovute per il risarcimento dei danni e il ripristino delle condizioni di sicurezza di infrastrutture pubbliche e degli insediamenti civili e produttivi;
    tra le principali cause di tale dissesto idrogeologico generalizzato vi è da una parte una sostanziale disattenzione delle previsioni degli strumenti urbanistici e di pianificazione infrastrutturale ai temi della prevenzione dei rischi naturali e all'assesto geomorfologico e idrogeologico e dall'altra, una diffusa illegalità nella trasformazione del territorio, avendo l'abusivismo edilizio aggredito le coste italiane, gli alvei dei fiumi, i versanti collinari, le aree di subsidenza e di esondazione come individuati dagli strumenti di pianificazione di bacino;
    è quanto mai attuale la necessità di una revisione della governance, già inserita nel cosiddetto collegato ambientale alla legge di stabilità, e della regolamentazione della pianificazione urbanistica del territorio, con particolare riferimento alla riduzione del consumo di suolo: entrambi provvedimenti il cui iter è già avviato;
    senza ombra di dubbio una efficace politica di prevenzione del dissesto si basa sul concreto e fattivo contrasto all'abusivismo edilizio, utilizzando tutti gli strumenti per la conoscenza il monitoraggio e la valutazione del fenomeno, già nella disponibilità degli enti locali e che non si può ritenere più tollerabile l'inerzia delle istituzioni nel predisporre una efficace azione di contrasto al fenomeno dell'abusivismo a partire dai mancati interventi di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi in particolare per le aree soggette a rischio idrogeologico;
    la colpevole inerzia nel reprimere illegalità e abusi costituisce il primo intervento di prevenzione, restituendo ai territori fragili, alluvionabili e soggetti a frane un adeguato riequilibrio dal punto di vista idrogeologico e geomorfologico oltre che paesaggistico ed ambientale;
    risulta necessario provvedere con la massima urgenza alla predisposizione di interventi di messa in sicurezza diffusa ma anche ad azioni di delocalizzazione per gli insediamenti residenziali e produttivi più a rischio per la tutela della vita umana, in quadro di intervento strutturale e sistemico senza dover continuamente rincorrere le situazioni di disastro e gli ingenti risarcimenti di danni a persone e immobili;
    è necessario creare una cornice normativa chiara per affrontare le emergenze, nella quale possa agire la protezione civile; questo passaggio risulta fondamentale per garantire, da un lato, certezza e rapidità di intervento, dall'altro, omogeneità di provvedimenti sul territorio, con particolare riguardo alle esigenze delle comunità già tragicamente colpite;
    riguardo agli interventi finalizzati alla prevenzione occorre rilevare che gli stanziamenti statali ordinari di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono fortemente diminuiti negli ultimi anni, passando da 551 milioni di euro nel 2008 a 159 milioni di euro nel 2014;
    parimenti è da registrare che l'intervento straordinario avviato nel 2009 per la prevenzione del dissesto idrogeologico, da attuare mediante accordi di programma sottoscritti tra le regioni e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per un importo pari a 2,1 miliardi di euro, non ha prodotto risultati apprezzabili poiché il 78 per cento degli interventi non ha ancora visto l'apertura dei cantieri trattandosi di oltre 1.100 cantieri da avviare per oltre 1,6 miliardi di euro;
    i ritardi nell'utilizzo dei fondi ministeriali sono in larga parte imputabili all'incertezza della disponibilità delle risorse e all'inefficacia delle gestioni commissariali, che non hanno consentito di ottenere un rapido impiego delle risorse e che, proprio in ragione dei limiti di questa esperienza, vedranno la loro conclusione il 31 dicembre 2014;
    il Presidente del Consiglio dei ministri ha comunicato la costituzione, presso la Presidenza del Consiglio, di una struttura di missione che avrà immediatamente a disposizione 1,7 miliardi di euro da destinare ad interventi a tutela del territorio contro il dissesto idrogeologico con l'obiettivo di rendere più efficace ed efficiente la spesa in tale ambito con investimenti concreti per superare la logica dell'emergenza;
    risulta indispensabile provvedere affinché le risorse già a disposizione e quelle annualmente preposte dal Governo per il dissesto idrogeologico, vengano rapidamente impiegate, poiché è inaccettabile per un Paese come il nostro, costretto a fare i conti quotidianamente con frane e allagamenti, che sia stato speso solo il 4 per cento dei 2 miliardi stanziati da oltre quattro anni dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalle regioni;
    con l'interrogazione a risposta immediata n. 3-689 svolta il 12 marzo 2014 il gruppo del PD ha interrogato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per conoscere quali iniziative intendesse porre in essere per ottenere la destinazione di una quota significativa delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, come previsto dall'articolo 1, comma 7, della legge di stabilità per il 2014, ad interventi di messa in sicurezza del territorio, di ripristino delle condizioni di sicurezza e di salvaguardia dei siti interessati da gravi fenomeni di inquinamento ambientale, in particolare per quanto riguarda le risorse idriche superficiali e profonde, nonché ad interventi di prevenzione del rischio idrogeologico finalizzati alla manutenzione ordinaria ed equilibrata del territorio;
    il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunicato di aver predisposto e trasmesso formalmente, nel mese di febbraio 2014, sia al Ministro per la coesione territoriale pro tempore sia al dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, un documento di strategia unitaria che contempla la programmazione dei fondi strutturali per il ciclo 2014-2020 in sinergia e complementarietà con il Fondo sviluppo e coesione che si basa sull'indicazione contenuta proprio nella nota tecnica divulgata dal Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica dove, nel proporre un'ipotesi di allocazione dei fondi strutturali, si fa riferimento ad ulteriori e necessarie operazioni di infrastrutturazione e di interventi assimilabili alla categoria di opere pubbliche;
    è stato scelto di proporre e sostenere una programmazione unitaria sulle tematiche ambientali ritenute prioritarie, il cui finanziamento dovrà trovare pertinente collocazione sulle risorse sia comunitarie che nazionali, assicurando la contestuale fattibilità delle iniziative sia strutturali che di governance;
    il documento elaborato è stato il risultato di un primo confronto avuto con le regioni in merito ai temi ambientali ritenuti prioritari: prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, messa in sicurezza e bonifica dei siti di interesse nazionale e dei siti di interesse regionale, amianto, tutela delle acque e gestione delle risorse idriche, gestione integrata dei rifiuti, biodiversità, efficienza energetica, qualità dell'aria, produzione e consumi sostenibili in agricoltura;
    la stima approssimativa del fabbisogno finanziario per gli interventi ambientali è stata effettuata grazie all'avvio di una prima istruttoria di carattere speditivo che ha permesso di quantificare, in 7.715 milioni di euro il fabbisogno finanziario per la prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico ed adattamento al cambiamento climatico, 2.500 milioni di euro il fabbisogno finanziario per la bonifica e riqualificazione ambientale dei siti inquinati, 3.532,5 milioni di euro per la tutela delle acque e la gestione delle riserve idriche;
    appare ormai evidente la necessità di realizzare una svolta radicale nelle politiche di governo e di trasformazione del territorio, avendo come obiettivo prioritario quello della prevenzione e della riduzione del rischio idrogeologico, affinché non si continui costantemente a rincorrere le emergenze e si risolvano finalmente i nodi critici sopra illustrati, come quest'aula ha già formalmente impegnato a fare il Governo attraverso le mozioni parlamentari approvate in data 26 giugno 2013 e la risoluzione della VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati approvata in data 3 ottobre 2013;
    per le risorse stanziate si rende necessario prevedere un'adeguata ripartizione tra il finanziamento di interventi per la prevenzione e il finanziamento di interventi per le emergenze, in modo da potere quantificare i finanziamenti in maniera certa e da favorire un graduale passaggio dall'emergenza alla prevenzione, rendendo effettivamente spendibili in tempi certi le risorse;
    risulta necessario agire con particolare rapidità e concretezza nel finalizzare l'utilizzo delle risorse attivabili sul Fondo per lo sviluppo e la coesione, in quanto nella programmazione comunitaria che si sta avviando, possano essere reperite ulteriori risorse necessarie e aggiuntive per la tutela del territorio e dell'ambiente, soprattutto sul fronte della prevenzione dei rischi naturali,

impegna il Governo:

   nel rivedere le regole del patto di stabilità a consentire agli enti locali di realizzare quelle opere fondamentali e necessarie di manutenzione e consolidamento del territorio, di rinaturalizzazione dei corsi d'acqua, di prevenzione del dissesto, nonché gli interventi di messa in sicurezza statica e strutturale degli edifici, a partire da quelli scolastici, consapevoli che tali interventi diffusi risultano essere la più grande opera di cui il nostro Paese necessita nei prossimi anni, che si può trasformare in una straordinaria occasione per generare investimenti e occupazione;
   a costruire una cornice normativa chiara per affrontare le emergenze conseguenti alle calamità naturali, nella quale possa agire la protezione civile, e a rifinanziare adeguatamente il Fondo unico per le calamità, al fine di garantire certezza, rapidità e omogeneità degli interventi a beneficio dei territori tragicamente colpiti;
   ad affrontare la questione relativa all'efficace gestione dei centri di spesa e dei livelli di governo, anche nell'ambito della discussione parlamentare del cosiddetto collegato ambientale, portando a compimento il percorso di riforma e di semplificazione del quadro dei soggetti, dalle competenze e degli strumenti in materia di difesa del suolo;
   ad investire con ogni possibile azione sulla sicurezza e sulla bellezza del territorio italiano in quanto fonte straordinaria ed inesauribile, a patto che venga tutelata, per produrre ricchezza, occupazione e sviluppo di qualità.
(1-00416)
«Braga, Borghi, Cominelli, Arlotti, Mariastella Bianchi, Bratti, Carrescia, Dallai, Decaro, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Mazzoli, Morassut, Realacci, Giovanna Sanna, Ventricelli, Malisani, Moscatt».
(31 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il quinto «Piano per la riduzione del rischio idrogeologico», presentato nel mese di febbraio 2014 dall'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (Anbi), ha ricordato come dal 2002 al 2014 nel nostro Paese si sono registrati circa 2 mila eventi alluvionali che hanno determinato 293 morti oltre a ingenti danni. Il 68,9 per cento dei comuni italiani è a forte rischio idrogeologico. Sei milioni di persone abitano in un territorio ad elevato rischio idrogeologico, e 22 milioni di persone in zone a medio rischio; 1.260.000 edifici minacciati da frane e di questi 6.251 sono edifici scolastici e 547 ospedali. A determinare tale situazione hanno certamente contribuito più fattori: da un lato, il mutato regime delle piogge, particolarmente accentuato nella sua variabilità negli ultimi anni; dall'altro, l'impetuosa urbanizzazione, il consumo del suolo, l'omessa manutenzione del sistema idraulico del Paese, lo spopolamento delle montagne, la riduzione del terreno agricolo;
    il progetto Iffi (Inventario dei fenomeni franosi in Italia), realizzato dall'Ispra e dalle regioni e province autonome, ha censito dal 1900 ad oggi oltre 486 mila fenomeni franosi e il 68 per cento delle frane europee si è verificato in Italia;
    peraltro gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono tali che gli eventi alluvionali in Italia hanno subito un fortissimo aumento, passando da uno circa ogni 15 anni, prima degli anni novanta, agli attuali 4-5 l'anno;
    dal 2002 al 2012 sono stati stanziati 2,98 miliardi di euro a seguito delle dichiarazioni dello stato di calamità, e che dei 2 miliardi di euro previsti dal piano contro il dissesto idrogeologico del 2010, riconfermati negli anni seguenti al fine di rispondere al dissesto idrogeologico del Paese, si è speso appena il 4 per cento;
    si ricorda che nell'ambito degli interventi contro il dissesto idrogeologico, e proprio nel tentativo di accelerare la spendibilità delle poche risorse assegnate alla difesa del territorio, la legge di stabilità per il 2014, ha fissato una road map di procedure e scadenze per verificare i progetti per la difesa del suolo cantierabili o messi in atto dai soggetti responsabili degli interventi. Tra l'altro si prevede che entro il 30 aprile 2014, i soggetti titolari delle contabilità speciali concernenti gli interventi contro il dissesto idrogeologico devono finalizzare le risorse disponibili agli interventi immediatamente cantierabili e sono tenuti a presentare una specifica informativa al Cipe indicando il relativo cronoprogramma e lo stato di attuazione degli interventi già avviati;
    da troppi anni si continua a discutere della fragilità del nostro territorio e della necessità di intervenire per la sua messa in sicurezza, ma gli interventi di prevenzione sono praticamente inesistenti, nonostante è dimostrato che prevenire ha un costo di molto inferiore che ricostruire e riparare i danni; senza contare le centinaia di vittime che verrebbero risparmiate;
    la spesa per la prevenzione è stata in media di 250 milioni l'anno. Per ogni milione speso per prevenire, ne abbiamo spesi 10 per riparare i danni della mancata prevenzione;
    il fenomeno della perdita di suolo, che per la gran parte si identifica con la perdita di suolo agricolo, ha raggiunto livelli allarmanti e ha conseguenze non solo sulla produzione agricola, ma, per la multifunzionalità delle aree rurali, su aspetti paesaggistici, ambientali, sociali e di sicurezza del territorio;
    troppo spesso, come dimostrano molte delle calamità naturali che hanno colpito il nostro Paese, gestire le emergenze, piuttosto che investire nelle opere di prevenzione per la difesa del suolo, ha rappresentato e rappresenta un «affare» dal punto di vista economico e politico;
    il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro;
    va ripensato il nostro modo di costruire, di canalizzare le acque, di gestire i fiumi e le coste, nonché i sistemi urbani;
    è ormai improcrastinabile un adeguato impegno finanziario del governo al fine di poter finalmente finanziare con adeguate risorse un Piano pluriennale di interventi per la difesa del suolo e il contrasto al dissesto idrogeologico nel nostro Paese, consentendo contestualmente la loro effettiva spendibilità, troppo spesso impedita a causa dell'obbligo del rispetto del Patto di stabilità interno da parte delle regioni e degli enti locali;
    peraltro il taglio di risorse alle regioni e agli enti locali, sommato all'obbligo del rispetto del Patto di stabilità interno a cui sono tenuti, rende molto difficile per essi poter finanziare e realizzare anche i piani di manutenzione esistenti;
    è quindi indispensabile che le spese sostenute dalle regioni e d agli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico, possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del Patto di stabilità, che rappresentano un evidente fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori. Interventi che, è bene ricordare significano apertura di cantieri diffusi sul territorio e quindi importanti ricadute occupazionali. L'opera di risanamento territoriale, al contrario della grande opera infrastrutturale, è infatti distribuita e diffusa sul territorio, realizzabile anche per gradi e per processi di intervento monitorati nel tempo, in grado di produrre attività ed economie durevoli, oltreché un elevato numero di persone impiegate nettamente superiore al modello della «grande infrastruttura»;
    il comparto dell'agricoltura italiana può e deve essere indirizzato al fine di attivare politiche vere a difesa e valorizzazione dell'ambiente, con pratiche virtuose che prevedano servizi ambientali integrati con l'agricoltura,

impegna il Governo:

   ad attivarsi in sede europea affinché vengano scorporate dai saldi di finanza pubblica, relativi al rispetto del patto di stabilità e crescita, delle risorse stanziate per il contrasto al dissesto idrogeologico;
   a prevedere comunque, già in sede di predisposizione del documento di economia e finanza 2014, che l'utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, da parte di regioni ed enti locali per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico, venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, dando eventualmente priorità agli interventi sulle aree a più elevato rischio;
   ad avviare conseguentemente un piano pluriennale per la difesa del suolo nel nostro Paese, quale principale «grande opera» infrastrutturale in grado non solamente di mettere in sicurezza il fragile territorio italiano, ma di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;
   a prevedere l'esclusione automatica dal patto di stabilità interno, senza la necessaria approvazione di una specifica norma di legge come attualmente previsto, delle spese sostenute dai comuni a valere su risorse proprie o su donazioni di terzi, in relazione a eventi calamitosi in seguito ai quali è stato deliberato lo stato di emergenza;
   ad attivarsi nel monitoraggio delle aree agricole, di proprietà della pubblica amministrazione, che risultino essere dismesse, abbandonate, o comunque aree non più utilizzate per finalità produttive da riconvertire all'agricoltura sostenibile, prevedendo un apposito programma nazionale, che prediliga l'affidamento e/o l'affitto agevolato delle aree in questione ai giovani agricoltori ed a organizzazioni, associazioni e imprese che operano nel campo dell'agricoltura sociale.
(1-00417)
«Zan, Zaratti, Pellegrino, Franco Bordo, Palazzotto, Marcon, Ricciatti, Melilla, Boccadutri, Pannarale, Migliore, Di Salvo, Piazzoni».
(31 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    le sempre più frequenti emergenze derivanti da eventi calamitosi che hanno colpito e colpiscono il territorio italiano, senza distinzioni di aree geografiche, rimarcano le gravissime carenze del Paese rispetto al tema del governo del territorio e della prevenzione dei dissesti idrogeologici del medesimo;
    oltre al danno economico e ambientale, frane, alluvioni, inondazioni ed eventi sismici hanno prodotto anche una drammatica contabilità di perdite umane non trascurabili;
    a determinare tale situazione, oltre al fattore puramente climatico o geologico, ha contributo fortemente uno sconsiderato depauperamento delle aree libere e naturali causato da una urbanizzazione selvaggia, sia urbana che industriale, che ha colpito il territorio nazionale con incrementi degli insediamenti superiori anche al 500 per cento rispetto ai primi anni del dopoguerra;
    oltre alla progressiva urbanizzazione, l'esposizione al pericolo di dissesti del nostro fragile territorio è aggravata dall'elevata densità della popolazione, dall'abbandono ed il continuo disboscamento dei terreni montani, dall'uso di tecniche agricole poco rispettose dell'ambiente e dalla mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d'acqua;
    a conferma della dimensione del rischio idrogeologico, collegato anche al consumo di suolo, vi è l'evidenza di alcuni dati: si stima, infatti, che oltre 80 comuni italiani su 100 sono interessati da una situazione allarmante di dissesto idrogeologico sul proprio territorio e che in zone ad alto rischio vivono circa 6 milioni di persone, mentre in quelle a rischio medio, comunque preoccupante, sono ben 22 milioni, cioè più di un terzo della popolazione italiana;
    sempre in tema di dati, si segnala che, a partire dall'inizio del secolo, gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati oltre 4.000, provocando circa 12.600 morti, mentre il numero dei dispersi, dei feriti e degli sfollati supera i 700 mila. In totale le aree a elevato rischio sismico sono circa il 44 per cento della superficie nazionale (131 mila chilometri quadrati), mentre quelle ad elevata criticità idrogeologica rappresentano circa il 10 per cento della superficie italiana (29.500 chilometri quadrati);
    secondo il primo rapporto Cresme-Ance, il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, è stato pari a 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi all'anno: il 75 per cento del totale, 181 miliardi, riguarda i terremoti, il restante 25 per cento, 61,5 miliardi, è da addebitare al dissesto idrogeologico;
    ammonterebbero a soli 8,4 miliardi di euro, secondo i dati diffusi dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, i finanziamenti statali degli ultimi venti anni per politiche di prevenzione e di difesa del suolo; nello stesso periodo sono stati spesi 22 miliardi per riparare i danni causati da frane ed alluvioni;
    il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha quantificato in 1,2 miliardi di euro all'anno per 20 anni il costo di un piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio, e solo per mettere in sicurezza le aree a più elevato rischio idrogeologico servirebbero circa 11 miliardi, mentre ammonterebbero a 40 miliardi di euro (68 per cento al Centro-Nord e 32 per cento al Sud) i fondi necessari a mettere in atto gli interventi previsti dai piani regionali per l'assetto idrogeologico;
    dal 1991 al 2011 risultano finanziati interventi per circa 10 miliardi di euro, meno di 500 milioni all'anno, per l'80 per cento gestiti dal ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    sempre secondo il citato rapporto, in 10 anni (2002-2012) i bandi di gara per lavori di sistemazione e prevenzione del dissesto idrogeologico rappresentano, rispetto all'intero mercato delle opere pubbliche, solo il 5 per cento per numero di interventi e il 2 per cento per importi di gara, con un ulteriore ridimensionamento a partire dal 2007;
    già lo scorso giugno 2013 il Governo si era impegnato, con l'accoglimento delle mozioni presentate dai gruppi parlamentari, ad adottare iniziative finalizzate a prevenire i rischi derivanti dal dissesto idrogeologico;
    nel novembre 2012 la Commissione europea ha sollecitato la corretta applicazione della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2007/60/CE del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni, secondo la quale tutti gli Stati membri devono svolgere, per ciascun distretto idrografico una valutazione preliminare del rischio di alluvioni. Compresa una descrizione delle alluvioni significative avvenute in passato, qualora si ipotizzi che, in futuro, da eventi dello stesso tipo possano derivare notevoli conseguenze negative;
    le risorse per la prevenzione del dissesto idrogeologico potrebbero rinvenire dal nuovo ciclo di programmazione europea 2014-2020 e tal fine la legge di stabilità per il 2014 ha previsto che il Ministro per la coesione territoriale, d'intesa con i ministri interessati, destini una quota parte delle risorse del Fondo per le politiche di coesione al finanziamento degli interventi di messa in sicurezza del territorio, di bonifica di siti di interesse nazionale e di altri interventi in materia di politiche ambientali;
    sempre la legge di stabilità per il 2014 ha destinato alle misure di riduzione del rischio, tutela e recupero degli ecosistemi e della biodiversità le risorse esistenti sulle contabilità speciali relative al dissesto idrogeologico fino a 600 milioni di euro, più 804,4 milioni di risorse dalle delibere Cipe n. 6 del 2012 e n. 8 del 2012 del 20 gennaio 2012;
    ogni intervento ed ogni piano di azione per la prevenzione del dissesto idrogeologico è destinato a fallire senza il pieno coinvolgimento degli enti locali sia per la diretta conoscenza del territorio e sia perché sono coloro che vengono a trovarsi in prima linea in caso di evento calamitoso,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle competenze attribuite alle regioni e agli enti locali dalla legislazione vigente, anche di natura economica, finalizzate alla predisposizione di un piano straordinario di manutenzione dei versanti montani;
   a verificare, a oltre 4 anni dall'avvio del piano nazionale straordinario per la mitigazione del rischio idrogeologico, lo stato di attuazione degli interventi previsti e destinati agli oltre mille cantieri di messa in sicurezza del territorio;
   a procedere ad una rapida destinazione delle risorse stanziate dalla legge di stabilità per il 2014, disponibili e già autorizzate in termini di cassa, e verificare la possibilità dell'impiego in tempi rapidi delle risorse derivanti dal nuovo ciclo di programmazione europea 2014-2020;
   a promuovere una rivisitazione della normativa vigente in materia di controlli, al fine di prevedere l'introduzione di meccanismi sanzionatori in caso di inadempienze accertate da parte delle pubbliche amministrazioni;
   ad adoperarsi nelle competenti sedi europee affinché, nel corso del semestre europeo, si affronti al più presto il delicato problema della prevenzione e della difesa del territorio, anche eventualmente sollecitando l'adozione di provvedimenti incisivi che consentano soluzioni condivise e comuni, a partire dalla esclusione dal computo nel saldo finanziario utile ai fini del rispetto del patto di stabilità interno, delle risorse destinate alla gestione del territorio e per il monitoraggio delle situazioni a rischio idrogeologico e che eventualmente prevedano anche la costituzione di un fondo per la bonifica degli alvei dei fiumi e dei loro affluenti, nonché la costituzione di un centro europeo di raccolta dati;
   a valutare l'opportunità di vincolare una quota del bilancio statale alla costituzione di un fondo di garanzia per il lucro cessante delle attività economiche esistenti sul territorio oggetto di evento sismico e/o idrogeologico.
(1-00418)
«Gigli, Cera, De Mita, Sberna, Fauttilli, Schirò, Caruso, Piepoli, Marazziti, Binetti, Fitzgerald Nissoli».
(31 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il rischio idrogeologico è una conclamata emergenza nazionale, corroborata da dati statistici, analisi scientifiche, ricorrenti fatti di cronaca e prese di posizione pubbliche da parte di politici e ministri;
    uno degli argomenti più ricorrenti è l'esclusione dai vincoli del patto di stabilità delle spese effettuate dagli enti territoriali per opere di mitigazione del rischio idrogeologico e di ripristino a seguito di eventi calamitosi;
    tale misura, nonostante indubbiamente efficace e acclamata sia dal mondo scientifico che dai tecnici che da esponenti del mondo politico e delle istituzioni locali, non può costituire l'unico strumento per la soluzione di un problema così complesso come quello del rischio idrogeologico che è determinato da quattro principali concause: la forzante meteorologica, una congenita predisposizione al dissesto di una parte del territorio nazionale, una sconsiderata gestione del territorio, la mancata diffusione di un'adeguata percezione del rischio nella popolazione e nella classe tecnico-politica a tutti i livelli, dal nazionale al locale;
    in data 26 giugno 2013 la Camera dei deputati approva all'unanimità – o, in alcuni casi, a larghissima maggioranza – le mozioni n. 1-00114, n. 1-00017, n. 1-00112, n. 1-00117 e n. 1-00124, alcune delle quali contenenti dispositivi molto articolati ma quasi tutte accomunate dall'impegno di escludere dal patto di stabilità le spese sostenute dagli enti territoriali per il dissesto idrogeologico;
    a tali mozioni, che affrontano il problema del rischio idrogeologico in chiave nazionale, a seguito di eventi calamitosi di particolare entità, fa seguito una serie di mozioni, n. 1-00263 ed abbinate (riguardanti la Sardegna) e n. 1-00367 ed abbinate (inerenti le alluvioni che hanno colpito il Veneto e l'Emilia-Romagna), in cui vengono formulati svariati impegni, tra cui quello di allentare il patto di stabilità per opere di contrasto al dissesto idrogeologico;
    in data 3 ottobre 2013, in occasione del cinquantesimo anniversario della tragedia del Vajont, la VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati approvava all'unanimità la risoluzione n. 8-00016, che conteneva numerosi impegni tra cui l'esclusione dal patto di stabilità, lo stanziamento di fondi cospicui e certi, l'adozione di programmi, anche in ambito forestale, per la mitigazione del rischio idrogeologico;
    in data 20 dicembre 2013, viene accolto l'ordine del giorno 9/1865-A/185 che impegna il Governo a valutare la «possibilità (...) di un congruo innalzamento della dotazione delle risorse complessive per interventi contro il dissesto idrogeologico, destinando una quota di esse al rifinanziamento del progetto Iffi (inventario fenomeni franosi italiani)», che costituisce un ottimo ausilio ad una corretta pianificazione territoriale e «a destinare prioritariamente le risorse per gli interventi che incidano sul reticolo idrografico, alla delocalizzazione degli immobili siti in aree a rischio e ad interventi sinergici e integrati in aree classificate a rischio R3 e R4, preferibilmente adottando tali interventi a valle di processi partecipati e con particolare riguardo affinché tali interventi non alterino l'equilibrio sedimentario del corso d'acqua e gli interventi di naturalizzazione risultino prioritari rispetto agli interventi di artificializzazione»;
    alla Camera dei deputati, in Commissione bilancio, è iniziato l'esame della proposta di legge C. 1233 «Disposizioni concernenti l'esclusione delle spese per la prevenzione e la riduzione del rischio idrogeologico e sismico, effettuate dagli enti pubblici territoriali, dal saldo finanziario rilevante ai fini del patto di stabilità interno»;
    alla Camera dei deputati, oltre la succitata proposta di legge C. 1233, sono state depositate altre proposte di legge che affrontano direttamente il problema del rischio idrogeologico; tra queste si segnalano: C. 1578 «Agevolazioni fiscali per la realizzazione di interventi volti alla riduzione del rischio idrogeologico e sismico», C. 2209 «Disposizioni concernenti l'applicazione delle tecniche di ingegneria naturalistica nelle opere pubbliche», C. 1533 «Interventi per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche», C. 1952 «Introduzione dell'articolo 62-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, concernente l'istituzione degli uffici geologici territoriali di zona per la mitigazione del dissesto idrogeologico e la prevenzione delle catastrofi naturali»;
    vi è oramai la diffusa consapevolezza dell'esigenza di affrontare senza ulteriore indugio la tematica del dissesto idrogeologico in maniera organica ed urgente,

impegna il Governo:

   a recepire in tempi brevi, in un atto normativo di prossima approvazione, quanto espresso dai numerosi atti di indirizzo approvati dalla Camera dei deputati e citati in premessa;
   ad adottare iniziative per disporre l'esclusione delle spese per la prevenzione e la riduzione del rischio idrogeologico e sismico, effettuate dagli enti pubblici territoriali, dal saldo finanziario rilevante ai fini del patto di stabilità interno;
   ad adottare iniziative per istituire delle agevolazioni fiscali per la realizzazione di interventi volti alla riduzione del rischio idrogeologico e sismico;
   a promuovere l'adozione di disposizioni volte a favorire l'applicazione delle tecniche di ingegneria naturalistica nelle opere pubbliche;
   ad intervenire per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche;
   ad istituire uffici geologici territoriali di zona in cui figure professionali specifiche supportino attivamente gli enti territoriali per favorire la mitigazione del dissesto idrogeologico e la prevenzione delle catastrofi naturali.
(1-00419)
«Segoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Terzoni, Tofalo, Zolezzi, Nuti».
(31 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del dissesto idrogeologico rappresenta un problema estremamente diffuso nel nostro Paese che risulta, infatti, soggetto a rapidi e periodici processi che ne alterano il territorio e producono conseguenze spesso devastanti; molto spesso si tratta di fenomeni connessi al defluire delle acque libere in superficie e nel sottosuolo che causano l'alterazione dello stato di stabilità dei terreni e dei pendii e/o l'esondazione dei corsi d'acqua per rilevanti e repentini aumenti di portata. Questi fenomeni si manifestano sotto forma di erosioni, frane o alluvioni dovuti a cause strutturali o occasionali. Gli effetti del dissesto incidono sia sulla perdita di vite umane e provocano evidenti alterazioni ambientali e dei territori che si ripercuotono su tutte le attività dell'uomo, con rilevanti danni per le comunità colpite;
    il rischio idrogeologico nel nostro Paese è in gran parte imputabile all'azione dell'uomo nella trasformazione ed edificazione dei territori. La densità della popolazione, la progressiva urbanizzazione, l'abbandono dei terreni montani, l'edificazione in aree a rischio, il disboscamento e la mancata o carente manutenzione dei corsi d'acqua e dei versanti e/o pendii a rischio di instabilità hanno sicuramente aggravato la situazione e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano, aumentandone l'esposizione ai rischi di dissesto idrogeologico;
    i pericoli per la popolazione italiana sono evidenti se si osserva l'andamento dei fenomeni di dissesto verificatisi negli ultimi cinquanta anni. L'analisi del documento di studio in materia prodotto da Ance e da Cresme evidenzia un progressivo aumento del rischio per la popolazione dovuto all'espansione urbana, che ha interessato tutta l'Italia in maniera rilevante a partire dal dopoguerra e che ha determinato l'antropizzazione anche dei territori più fragili dal punto di vista idrogeologico. Negli anni il mutato stile di vita della popolazione ha determinato un progressivo allontanamento dalle aree interne a favore dei centri urbani e l'abbandono della funzione di manutenzione e presidio territoriale, che da sempre assicurava un equilibrio del territorio. I versanti boschivi, gli alvei fluviali e i territori agricoli abbandonati hanno lasciato posto a frane e inondazioni;
    la dimensione del problema appare evidente solo se si pensa che, a partire dall'inizio del secolo, gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati oltre 4.000 e hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture, ma, soprattutto, hanno provocato circa 12.600 morti, mentre il numero dei dispersi, dei feriti e degli sfollati supera i 700 mila;
    sulla base dei dati raccolti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il progetto Avi, tra il 1985 e il 2001 si sono verificati in Italia circa 15.000 eventi di dissesto (gravi e/o lievi), di cui 13.500 frane e 1.500 piene. Alcuni di questi hanno avuto ripercussioni sulla popolazione, provocando vittime o danneggiando i centri abitati. Dei 15.000 eventi, 120 hanno provocato vittime, 95 frane e 25 alluvioni e hanno causato circa 970 morti;
    successivamente al 2002 il progetto Avi è stato interrotto. Il Cresme e l'Ance, sulla base di un lavoro di raccolta dati, sono riusciti a ricostruire l'andamento degli eventi di dissesto nel periodo recente, dimostrando come il territorio italiano sia caratterizzato da un forte rischio naturale;
    secondo i predetti dati, le aree a elevato rischio sismico sono circa il 44 per cento della superficie nazionale (131 mila chilometri quadrati) e interessano il 36 per cento dei comuni (2.893) e quelle ad elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10 per cento della superficie italiana (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l'89 per cento dei comuni (6.631);
    nelle aree ad elevato rischio sismico vivono 21,8 milioni di persone (36 per cento della popolazione), per un totale di 8,6 milioni di famiglie, e si trovano circa 5,5 milioni di edifici tra residenziali e non residenziali;
    la popolazione residente nelle aree ad elevato rischio idrogeologico è, invece, pari a 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione), per un totale di 2,4 milioni di famiglie. In queste aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici. Tra questi, particolarmente esposti al rischio, sono i capannoni per le attività produttive, che, richiedendo ampi spazi costruttivi, spesso si trovano ai margini delle città, al confine con aree a rischio, e le aree urbane interessate da corsi d'acqua soggetti a rapide variazioni di regime idraulico;
    geograficamente, il rischio sismico maggiore riguarda le regioni della fascia appenninica e del sud Italia. Al primo posto c’è la Campania, in cui 5,3 milioni di persone vivono nei 489 comuni a rischio sismico elevato. Seguono la Sicilia, con 4,7 milioni di persone in 356 comuni a rischio e la Calabria, dove tutti i comuni sono coinvolti, per un totale di circa 2 milioni di persone. In queste tre regioni il patrimonio edilizio è esposto a rischio sismico maggiore: Sicilia (2,5 milioni di abitazioni), Campania (2,1 milioni di abitazioni), Calabria (1,2 milioni);
    la superficie italiana ad elevata criticità idrogeologica è per il 58 per cento soggetta a fenomeni di frane (17.200 chilometri quadrati) e per il 42 per cento è a rischio alluvione (12.300 chilometri quadrati). Sommando questi due elementi di criticità, l'Emilia-Romagna è la regione che presenta un maggior livello di esposizione al rischio, con 4.316 chilometri quadrati, pari al 19,5 per cento della superficie. Seguono la Campania (19,1 per cento di aree critiche), il Molise (18,8 per cento) e la Valle d'Aosta (17,1 per cento). Su scala regionale, invece, in cinque regioni – la Valle d'Aosta, l'Umbria, il Molise, la Calabria e la Basilicata – tutti i comuni hanno una quota di superficie territoriale interessata da aree di elevata criticità idrogeologica. Su scala provinciale, invece, al primo posto c’è Napoli, dove 576 mila persone risiedono nelle aree a rischio elevato (208 mila abitazioni), al secondo posto Torino (326 mila persone e 148 mila abitazioni) e al terzo Roma (216 mila persone e quasi 96 mila abitazioni);
    la pericolosità degli eventi naturali è senza dubbio amplificata dall'elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano. Oltre il 60 per cento degli edifici (circa 7 milioni) è stato costruito prima del 1971, quindi prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica per nuove costruzioni (1974). Di questi, oltre 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione e, quindi, più esposti ai rischi idrogeologici;
    il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, è pari a 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi all'anno. Il 75 per cento del totale, 181 miliardi di euro, riguarda i terremoti, il restante 25 per cento, 61,5 miliardi di euro, è da addebitare al dissesto idrogeologico. Solo dal 2010 a oggi si stimano costi per 20,5 miliardi (l'8 per cento del totale), considerando i 13,3 miliardi di euro quantificati per il terremoto in Emilia-Romagna;
    il Governo, nella legge di stabilità 2014, al comma 111 dell'articolo 1, ha stanziato complessivamente 1.584.000.000 di euro per il contrasto al fenomeno del dissesto idrogeologico in Italia;
    in particolare, il comma 111 così recita: «Al fine di permettere il rapido avvio nel 2014 di interventi di messa in sicurezza del territorio, le risorse esistenti sulle contabilità speciali relative al dissesto idrogeologico, non impegnate alla data del 31 dicembre 2013, comunque nel limite massimo complessivo di 600 milioni di euro, nonché le risorse finalizzate allo scopo dalle delibere CIPE n. 6/2012 e n. 8/2012 del 20 gennaio 2012, pari rispettivamente a 130 milioni di euro e 674,7 milioni di euro, devono essere utilizzate per i progetti immediatamente cantierabili, prioritariamente destinandole agli interventi integrati finalizzati alla riduzione del rischio, alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità e che integrino gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, e della direttiva 2007/60/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea, del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni. A tal fine, entro il 1o marzo 2014, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare verifica la compatibilità degli accordi di programma e dei connessi cronoprogrammi con l'esigenza di massimizzare la celerità degli interventi in relazione alle situazioni di massimo rischio per l'incolumità delle persone e, se del caso, propone alle regioni le integrazioni e gli aggiornamenti necessari. Entro il 30 aprile 2014 i soggetti titolari delle contabilità speciali concernenti gli interventi contro il dissesto idrogeologico finalizzano le risorse disponibili agli interventi immediatamente cantierabili contenuti nell'accordo e, per il tramite del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, presentano specifica informativa al CIPE indicando il relativo cronoprogramma e lo stato di attuazione degli interventi già avviati. La mancata pubblicazione del bando di gara, ovvero il mancato affidamento dei lavori entro il 31 dicembre 2014, comporta la revoca del finanziamento statale e la contestuale rifinalizzazione, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, delle risorse ad altri interventi contro il dissesto idrogeologico, fermo restando il vincolo territoriale di destinazione delle risorse attraverso una rimodulazione dei singoli accordi di programma, ove esistano progetti immediatamente cantierabili compatibili con le finalità della norma. A decorrere dal 2014, ai fini della necessaria programmazione finanziaria, entro il mese di settembre, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare presenta al CIPE una relazione in ordine agli interventi in corso di realizzazione ovvero alla prosecuzione ed evoluzione degli accordi di programma, unitamente al fabbisogno finanziario necessario per gli esercizi successivi. Gli interventi contro il dissesto idrogeologico sono monitorati ai sensi del decreto legislativo n. 229 del 29 dicembre 2011. Per le finalità di cui al presente comma è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per l'anno 2014, di 50 milioni di euro per l'anno 2015 e di 100 milioni di euro per l'anno 2016. All'articolo 17, comma 1, primo periodo, del decreto-legge n. 195 del 30 dicembre 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 26 febbraio 2010, le parole: “non oltre i tre anni” sono sostituite dalle seguenti: “non oltre i sei anni”»;
    secondo quanto si evince dai dati dell'Ance, circa 1,6 miliardi di euro stanziati per circa 1.100 progetti nell'ambito del programma straordinario di messa in sicurezza del territorio avviato a fine 2009 devono ancora essere utilizzati;
    secondo quanto si evince dai dati citati in premessa, appare evidente la necessità della realizzazione di un piano di previsione e prevenzione dei danni causati da fenomeni di dissesto idrogeologico nonché di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua che siano finanziati dallo Stato e cofinanziati dalle regioni e dagli enti locali, da attuarsi da parte degli enti periferici e territoriali competenti per legge;
    purtroppo, nel corso degli anni, i rigorosi e sempre più stringenti vincoli dettati dal patto di stabilità e crescita imposti dalla Commissione europea e le conseguenti norme nazionali sul patto di stabilità interno rappresentano un problema insormontabile per le amministrazioni locali che intendono investire risorse per la risoluzione dei problemi legati al dissesto idrogeologico; anche nei casi di disponibilità di risorse, gli investimenti dei comuni per la prevenzione e la manutenzione del proprio territorio sono continuamente ostacolati, dunque, dal patto di stabilità interno;
    alla fine dell'anno 2013, 5 miliardi di euro di risorse di cassa che comuni e province avrebbero potuto destinare ad investimenti contro i danni da dissesto idrogeologico risultano bloccati dai vincoli imposti dal patto di stabilità interno; si tratta, in particolare, di 990 milioni di euro in Lombardia, di 586 milioni di euro in Veneto, di 482 milioni di euro in Campania e di 261 milioni di euro in Puglia;
    il Patto di stabilità e crescita europeo prevede la sostanziale esclusione dai parametri di governance economica delle spese sostenute dai Paesi per interventi di breve periodo a seguito di eventi naturali eccezionali;
    recentemente si è tanto parlato della golden rule sulle infrastrutture, in merito all'esclusione delle spese sostenute per finanziare gli interventi di sviluppo, tra cui quelli delle reti infrastrutturali inserite nei corridoi Ten-T europei dal rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita; su questo tema, nell'ottobre 2013, la Commissione sviluppo regionale del Parlamento europeo ha approvato una risoluzione nella quale viene evidenziata la necessità di non calcolare nel 3 per cento dei parametri di bilancio le spese per gli investimenti produttivi in infrastrutture, occupazione e formazione; si tratterebbe di una modifica importante ai vincoli di bilancio degli Stati e delle regioni che permetterebbe maggiore efficienza all'utilizzo dei fondi europei e sosterebbe il superamento delle politiche di austerità;
    appare evidente, necessario ed improcrastinabile, dunque, un intervento a livello dell'Unione europea che tenda alla esclusione dal rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, e conseguentemente dal patto di stabilità interno, delle spese sostenute per finanziare interventi di prevenzione del dissesto idrogeologico e di manutenzione del suolo e dei corsi d'acqua,

impegna il Governo:

   ad assumere immediate iniziative per garantire la rapida realizzazione dei 1.100 progetti di messa in sicurezza del territorio già finanziati con circa 1,6 miliardi di euro nell'ambito del piano nazionale straordinario avviato a fine 2009;
   a destinare almeno il 10 per cento dei 117 miliardi di euro della programmazione dei fondi strutturali europei e del fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020 a programmi di manutenzione del territorio e di riduzione del rischio idrogeologico;
   ad allentare il Patto di stabilità interno al fine di consentire agli enti territoriali che dispongono già di risorse di cassa, di realizzare opere per la prevenzione dei dissesti, la manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua e il contrasto del dissesto idrogeologico;
   a definire, con accordo interministeriale, le tipologie di spese da escludere dal patto di stabilità interno;
   ad adottare, nel corso del prossimo semestre italiano di presidenza europea, ogni utile ed opportuna iniziativa affinché sia garantita l'esclusione dai vincoli previsti dal patto di stabilità interno di tutte le spese e di tutte le risorse stanziate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali per la realizzazione di interventi che consentano non solo la totale messa in sicurezza del territorio italiano dai rischi derivanti da fenomeni di dissesto idrogeologico ma anche e soprattutto la previsione e la prevenzione di tali pericoli nonché la mitigazione di quelli già esistenti, al fine di garantire, con estrema urgenza e celerità, la tutela della incolumità della popolazione nonché la costante manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua.
(1-00421)
«Matarrese, D'Agostino, Andrea Romano, Causin, Antimo Cesaro, Vecchio, Galgano».
(2 aprile 2014)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   PISICCHIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in tema di occupazione, soprattutto giovanile, il nostro Paese si trova a vivere una condizione che lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri ha definito «sconvolgente», con un tasso di disoccupazione che, secondo gli ultimi dati, è salito addirittura al 13 per cento, con una perdita di circa 365.000 posti di lavoro rispetto al 2013. Una condizione che nell'area euro l'Italia soffre più di altri e che, come ha rilevato il Presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, frena la crescita. Si ritiene che il primo e principale campo d'intervento del Governo debba essere l'occupazione, in particolare quella giovanile, soprattutto per agganciare il treno della ripresa che altri Paesi europei hanno già preso –:
   se e cosa intenda fare il Governo, in concreto, per affrontare in modo strutturale la piaga della disoccupazione, creare nuovi e stabili posti di lavoro ed evitare che la prossima rilevazione presenti una situazione ancor più drammatica.
(3-00748)
(8 aprile 2014)

   BRUNETTA, BALDELLI, PALMIERI e CENTEMERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri ha varato il decreto legislativo intitolato «Attuazione della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile» (decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39);
   il decreto legislativo, che è entrato in vigore il 6 aprile 2014, stabilisce l'obbligo, per chi dirige le strutture frequentate da bambini, di chiedere il certificato penale dei propri collaboratori: «il certificato penale deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale»;
   la sopra citata direttiva europea dispone che i Paesi sono vincolati a fare in modo che i datori di lavoro «abbiano il diritto di chiedere informazioni» sui propri collaboratori, ma in Italia tale diritto è diventato un obbligo che contrasta con un'altra norma: quello del divieto, per i datori di lavoro, di acquisire questo genere di informazioni sui dipendenti;
   sulla vicenda si è ingenerata una sostanziale, rilevante e delicata questione interpretativa in relazione a quali e quante siano le categorie di lavoratori, dagli insegnanti di scuole pubbliche o private alle baby sitter, e di volontari, dalle associazioni sportive a quelle religiose, a dover adempiere agli obblighi previsti entro la data del 6 aprile 2014;
   molti dei diretti interessati, o di coloro che ritengono di esserlo, giacché non vi è alcuna chiarezza sulla definizione esatta di tale platea, che comunque potrebbe consistere in diverse decine di migliaia di persone, si sono recati personalmente a richiedere i certificati presso gli uffici giudiziari, con conseguente disagio degli uffici stessi;
   il costo economico per la richiesta della suddetta documentazione si quantifica in oltre 27 euro a persona;
   i tempi ristretti e il costo della certificazione da richiedere hanno creato disagi tra i presidi e i dirigenti scolastici, ai quali soprattutto sembrava diretta la disposizione, ma hanno anche messo in allarme i responsabili di molte organizzazioni del terzo settore che temono di andare incontro a spese eccessive o alle sanzioni previste dal decreto legislativo;
   il Ministro della giustizia è intervenuto solo nei giorni immediatamente precedenti all'entrata in vigore della norma, per chiarire intanto che i tanti volontari che operano a titolo gratuito presso parrocchie, onlus o associazioni sportive, e dunque non sono titolari di un vero e proprio contratto di lavoro, non sono tenuti all'accertamento previsto dal decreto legislativo;
   altra precisazione riguarda la non retroattività della disposizione: l'obbligo del certificato sembrerebbe riguardare solo i nuovi assunti e non il personale già dipendente;
   quanto ai tempi ed alle modalità di presentazione dei certificati del casellario giudiziale, il Ministero della giustizia ha precisato che «saranno rilasciati entro qualche giorno dalla richiesta», che a fare la richiesta possono essere i lavoratori interessati e i loro datori di lavoro su delega del dipendente e che i moduli per la domanda sono disponibili sul sito del ministero. In attesa del documento, i datori di lavoro potranno accettare un'autocertificazione sostitutiva in cui il lavoratore dichiara di non essere stato condannato per i reati contro i minori;
   sul tema, erano scese in campo anche la Cei, il Coni e le associazioni dei datori di lavoro domestico. La Conferenza dei vescovi italiani aveva sottolineando le «incertezze interpretative» della norma e l'opportunità di richiedere ugualmente la certificazione antipedofili anche ai soggetti non obbligati;
   secondo il presidente del Coni, Giovanni Malagò, la norma rischia di bloccare l'attività di centomila associazioni sportive. L'Assindatcolf, organizzazione di datori di lavoro domestico, aveva espresso simili preoccupazioni riguardo a colf e baby sitter, che, invece, sono escluse dall'obbligo;
   dalla scuola, soprattutto, si sono levate proteste; Massimo Di Menna, leader della Uil scuola, ha riportato la necessità di una sua specifica regolamentazione proprio per le istituzioni scolastiche, per eliminare il rischio di una situazione di incertezza che rischia di creare tensioni tra il personale;
   l'Associazione nazionale presidi ha, invece, ricordato che il certificato in questione è già prodotto obbligatoriamente da tutti i pubblici dipendenti (fra cui anche i docenti) all'atto della assunzione e che non deve essere ulteriormente ripresentato fino a quando non si verifichino variazioni suscettibili di incidere sullo status; in sostanza, i presidi non dovranno preoccuparsi del personale in ruolo, a cui il certificato viene richiesto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al momento dell'assunzione, ma dovranno, invece, ricordarsi di rinnovare i certificati tutte le volte che vengono aggiornate le graduatorie dei supplenti. Vale lo stesso discorso per gli ausiliari tecnici e amministrativi, tra cui i bidelli, che vengono assunti a tempo determinato nelle scuole. Tale affermazione non risolve, però, la questione per quanto riguarda l'incidenza e l'applicabilità alle scuole private;
   anche diversi parlamentari, in particolare del gruppo Forza Italia, sono intervenuti per richiedere chiarimenti in merito all'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 39 –:
   quale sia la valutazione del Governo in merito alla caotica situazione descritta nella premessa e quali siano le iniziative che intenda immediatamente adottare per risolvere la gravissima situazione di cortocircuito informativo e procedurale che riguarda platea, adempimenti e termini prodotti dall'emanazione del decreto legislativo citato in premessa. (3-00749)
(8 aprile 2014)

   QUARTAPELLE PROCOPIO, ASCANI, CRIMÌ, BONOMO, PARIS, GADDA, COMINELLI, BRAGA, LATTUCA, VENTRICELLI, MORETTO, TENTORI, GRIBAUDO, GNECCHI, MARCO DI MAIO, PICIERNO, NARDUOLO, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il programma «Garanzia per i giovani» intende permettere a tutti i giovani di età inferiore ai 25 anni di ricevere un'offerta valida entro quattro mesi dalla fine degli studi o dall'inizio della disoccupazione. L'offerta può consistere in un impiego, apprendistato, tirocinio o ulteriore corso di studi e va adeguata alla situazione e alle esigenze dell'interessato;
   questo piano assume enorme rilevanza in un momento di recessione economica come quello che sta vivendo il nostro Paese, dal momento che l'Istat ha certificato che nell'ultimo anno sono venuti meno 100.000 posti di lavoro tra i giovani;
   l'impegno del Governo italiano è stato notevole, sia per incrementare le risorse stanziate, sia per ottenere delle modalità di spesa che si conciliassero con la situazione drammatica che il nostro Paese sta affrontando;
   si apprende dalla stampa che all'interno di questo progetto una cifra elevata, 200 milioni di euro, è destinata per costruire una piattaforma web nazionale e social network per gli operatori;
   rispetto alle previsioni del programma operativo nazionale della «Garanzia per i giovani», l'implementazione del programma segue un andamento a macchia di leopardo, con alcune regioni che hanno già avviato coerenti pacchetti occupazionali, mentre altre sono ancora indietro, non avendo ancora provveduto a varare adeguate misure attuative;
   è molto importante sfruttare le risorse della «Garanzia per i giovani» in progetti mirati e specifici che possano essere funzionali all'obiettivo del piano e dare finalmente una risposta concreta al tema della disoccupazione giovanile –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di rendere omogeneo il progetto per consentire alle regioni di agire all'interno di ambiti ristretti e ben definiti, sulla scorta di quanto sta accadendo in Spagna, evitando il rischio che si verifichi il proliferare di azioni disomogenee tra regioni e, in caso di inerzia di una o più regioni, valutando anche la possibilità di esercitare poteri sostitutivi, limitati e coerenti ad una rapida ed omogenea implementazione della «Garanzia per i giovani» su tutto il territorio nazionale. (3-00750)
(8 aprile 2014)

   BOCCADUTRI, LACQUANITI, MIGLIORE, DI SALVO e PIAZZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come si evince dalla stampa nazionale e locale, l’Assopetroli Assoenergia, con la collaborazione di Figisc Anisa Confcommercio, ha proseguito il monitoraggio «SIA – Stacco Italia accise» (accise e iva), rendendo noti i dati della rilevazione prezzi del differenziale sul costo dei carburanti al consumo tra Italia e resto dell'Europa e promuovendone la più ampia diffusione al fine di generare, nelle istituzioni pubbliche e nei consumatori, una maggiore consapevolezza «dell'anomalia italiana» rappresentata da un carico fiscale eccessivo sui carburanti, che, al netto delle addizionali regionali, è giunto nel mese di febbraio 2014 appena concluso al 61,09 per cento del prezzo al consumo;
   secondo tale monitoraggio, a febbraio 2014, il consumatore italiano ha pagato in media la benzina 26,4 centesimi di euro per litro e il gasolio 25,1 centesimi di euro per litro, in più che nel resto d'Europa;
   sulla base dei dati forniti dalla Commissione europea e dal Ministero dello sviluppo economico, nel mese di febbraio 2014, la media aritmetica del prezzo al consumo praticato nei Paesi dell'Unione europea pone in risalto che: per quanto riguarda la benzina, il prezzo italiano è più alto di 26,4 centesimi di euro per litro, di cui ben 25,1 centesimi di euro per litro sono dovuti alle maggiori imposte (accise e iva) e solo 1,3 centesimi di euro per litro ad un maggiore prezzo industriale; per quanto riguarda il gasolio, il prezzo italiano è più alto di 25,1 centesimi di euro per litro, di cui ben 24,6 centesimi di euro per litro sono dovuti alle maggiori imposte (accise e iva) e solo 0,5 centesimi di euro per litro ad un maggiore prezzo industriale;
   dal 1o marzo 2014 sino al 31 dicembre 2014, è scattato il primo aumento su benzina e gasolio per autotrazione di 0,0024 centesimi di euro per litro (articolo 61, lettera e), del decreto-legge n. 69 del 2013), più iva;
   altri due sono gli aumenti di accisa sui carburanti già programmati che, sino al dicembre 2018, comporteranno ulteriori aumenti per oltre 1.443 milioni di euro di accise (iva sulle accise compresa): il primo previsto dall'attivazione della clausola di salvaguardia contenuta nell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge n. 102 del 2013 (cosiddetto decreto-legge imu) e il secondo dalla legge di stabilità per il 2014 (articolo 1, comma 626, della legge n. 147 del 2013);
   a partire da febbraio 2011 il Ministero dello sviluppo economico, attraverso la direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica, dovrebbe espletare azioni di sorveglianza e controllo, anche in attuazione dell'articolo 51 della legge 23 luglio 2009, n. 99, e del decreto ministeriale del 15 ottobre 2010, sui prezzi dei carburanti per autotrazione per uso civile realmente praticati –:
   quali siano in dettaglio i meccanismi di sorveglianza da parte del Ministero dello sviluppo economico nel settore in questione e quali iniziative urgenti e non più procrastinabili il Governo, per quanto di competenza, intenda assumere alla luce di quanto descritto in premessa a tutela di tutti i cittadini utenti, anche considerata l'imminente presentazione da parte dell'Esecutivo del documento di economia e finanza 2014-2016. (3-00751)
(8 aprile 2014)

   DA VILLA, CRIPPA, DELLA VALLE, FANTINATI, MUCCI, PETRAROLI, PRODANI e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani, dopo un incontro con l'Ance e una risposta insoddisfacente da parte del Governo italiano, ha deciso di «avviare le pratiche necessarie per l'invio di una lettera di messa in mora» all'Italia, prima tappa dell'apertura di una procedura d'infrazione comunitaria, per il ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione;
   la Commissione europea contesta al Governo italiano il mancato rispetto della direttiva dell'Unione europea sui tempi di pagamento, che impone un termine di 30-60 giorni, confermandosi l'Italia, invece, il «peggior pagatore dell'Unione europea»;
   in Italia un'impresa su tre chiude perché lo Stato non paga i propri debiti. In base alle stime effettuate dalla Cgia di Mestre: «Tra il 2008 ed il 2012 sono più che raddoppiati (+114 per cento, pari a oltre 15.000 imprese) i fallimenti delle imprese vittime dei ritardi o dei mancati pagamenti da parte dei committenti pubblici»;
   il Ministro interrogato ha dichiarato che l'obiettivo del suo dicastero è la centralità dell'impresa. Il Governo Renzi appena insediatosi aveva annunciato un provvedimento per sbloccare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione ed evitare i ritardi nei pagamenti che sono letali per le imprese;
   ad oggi non si è vista pubblicazione di alcun testo in merito. È prioritario ai fini del rilancio dell'economia italiana che il Governo faccia di tutto per accelerare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, perché l'economia italiana si trova in una preoccupante situazione di recessione economica, che rischia di peggiorare ulteriormente e di avvitarsi in una spirale negativa tale da determinare gravi rischi anche per la tenuta della finanza pubblica –:
   quali iniziative immediate, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare a favore delle imprese in relazione alla questione dei tempi e del completamento dei pagamenti della pubblica amministrazione, considerato che, fino ad ora, a parere degli interroganti da parte del Governo ci sono stati solo annunci, mai seguiti da atti concreti. (3-00752)
(8 aprile 2014)

   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i controlli radiometrici sui rottami e prodotti semilavorati metallici sono disciplinati dal decreto legislativo 20 febbraio 2009, n. 23, recante attuazione della direttiva 2006/117/Euratom, relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito, e dal decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 100, recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 20 febbraio 2009, n. 23;
   tali decreti estendono l'obbligo di controlli radiometrici, che prima del 2009 riguardava i soli rottami, anche alle importazioni di prodotti semilavorati metallici, al fine di rilevare la presenza di livelli anomali di radioattività o di eventuali sorgenti dismesse, per garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione da eventi che possono comportare esposizioni alle radiazioni ionizzanti e per evitare la contaminazione dell'ambiente;
   tale obbligo non si applica ai soggetti che svolgono attività riguardanti esclusivamente il trasporto e non effettuano operazioni doganali;
   questa attività di sorveglianza radiometrica sulle importazioni si fonda sulla presentazione in frontiera del modello IRME 90, una documentazione attestante la non radioattività dei prodotti in discorso, e l'attestazione dell'avvenuto controllo è rilasciata da esperti qualificati iscritti in appositi albi;
   nei casi in cui le misure radiometriche indichino la presenza di livelli anomali di radioattività, i soggetti che esercitano attività di importazione, raccolta, deposito o trasporto di tali materiali devono adottare le misure idonee ad evitare il rischio di esposizione delle persone e di contaminazione dell'ambiente e devono darne immediata comunicazione al prefetto, agli organi del servizio sanitario nazionale competenti per territorio, al comando provinciale dei vigili del fuoco, alla regione o province autonome ed all'agenzie delle regioni e delle province autonome per la protezione dell'ambiente competenti per territorio. Il prefetto, valutate le circostanze del caso, può adottare opportuni provvedimenti, compreso il rinvio dell'intero carico o di parte di esso all'eventuale soggetto estero responsabile del suo invio, con oneri a carico del soggetto venditore;
   il decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 100, prevede, inoltre, che con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con altri Ministri, sentiti l'Agenzia delle dogane e l'Ispra, devono essere elencati i prodotti semilavorati metallici oggetto della sorveglianza e che, nelle more dell'emanazione di tale provvedimento, il controllo deve essere effettuato su tutti i semilavorati elencati in via provvisoria nell'allegato I del medesimo decreto legislativo;
   risulta che l'obbligo di controllo radiometrico delle importazioni di materiali e prodotti semilavorati metallici costituisca un onere supplementare che grava sulla procedura di sdoganamento in Italia, mentre non sussiste nelle procedure di altre dogane comunitarie;
   inoltre, mentre la normativa europea prevede la sorveglianza radiometrica solo per i materiali e i prodotti semilavorati metallici destinati alla rifusione, la normativa italiana estende il controllo anche a quelli destinati all'assemblaggio, nonché ai prodotti finiti;
   anche le associazioni imprenditoriali italiane interessate hanno più volte lamentato l'aumento dei costi dovuto all'allungamento delle operazioni, a fronte di pressoché nessun caso di riscontro positivo nei controlli effettuati;
   a tutt'oggi non è stato ancora emanato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con altri Ministri, per definire i prodotti semilavorati metallici oggetto della sorveglianza, con la conseguenza che il controllo radiometrico è attualmente esteso a molte categorie merceologiche –:
   se non sia opportuno adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte ad armonizzare, in materia di controllo radiometrico, l'ordinamento nazionale con le direttive europee e con la prassi seguita dagli altri Stati europei, in modo da non gravare le importazioni in Italia di oneri supplementari, creando uno svantaggio competitivo per la logistica nazionale rispetto a quella degli altri Stati comunitari, e se non ritenga necessario emanare al più presto il decreto ministeriale volto ad elencare i prodotti semilavorati metallici oggetto della sorveglianza, limitando il più possibile le categorie merceologiche e mantenendo l'obbligo di controllo radiometrico sulle importazioni di prodotti semilavorati metallici presso le dogane solo per i semilavorati destinati alla rifusione e non anche per quelli destinati all'assemblaggio, al fine di ridurre i tempi di sdoganamento ed evitare costi superflui.
(3-00753)
(8 aprile 2014)

   GIANLUCA PINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella puntata de La Gabbia del 6 aprile 2014 è emerso come di fatto il Ministero dell'economia e delle finanze stia finanziando, attraverso l'impiego di soldi pubblici, la delocalizzazione all'estero di aziende in crisi in Italia;
   le operazioni di finanziamento avverrebbero attraverso i soldi dei libretti postali, i quali vengono fatti affluire alla Cassa depositi e prestiti, quest'ultima proprietaria della Simest, società di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero, la quale, a sua volta, finanzierebbe le aziende in crisi;
   sono molte le aziende coinvolte e fra queste risulterebbe anche la Ducati energia spa, di proprietà della famiglia del Ministro interrogato, che, dal 2005 al 2009, secondo dati Ansa, avrebbe messo in cassa integrazione 95 dipendenti, ottenendo da parte della Simest un finanziamento di 6 milioni di euro per uno stabilimento in Croazia;
   dietro le presunte operazioni di internazionalizzazione sembrerebbe si nascondano casi di licenziamenti di lavoratori in Italia da parte delle aziende in crisi e conseguenti assunzioni di personale all'estero, dove il costo del lavoro è più basso rispetto a quello sostenuto dalle stesse aziende in Italia;
   la Montefibre spa, ad esempio, ha licenziato 10 dipendenti in Italia e ne ha messi 290 in cassa integrazione, ottenendo un finanziamento da parte della Simest di 2 milioni di euro per uno stabilimento in Cina, mentre il gruppo Marcegaglia, nel 2013, ha messo in mobilità 134 dipendenti ed ha ottenuto un finanziamento, sempre da parte della Simest, di 32 milioni di euro per gli stabilimenti in Russia, Brasile e Cina; l'elenco è fitto e riporta tanti altri casi di aziende che hanno ottenuto finanziamenti pubblici per delocalizzare all'estero;
   è assurdo, a giudizio degli interroganti, che con i soldi dei contribuenti si favoriscano operazioni di delocalizzazione all'estero di lavoro, produzioni e competenze, causando in Italia la perdita di asset industriali strategici per la crescita economica del Paese;
   la delocalizzazione sta portando ad un lento e profondo depauperamento delle risorse produttive ed occupazionali presenti sul territorio, con conseguenze disastrose sulla tenuta del sistema produttivo italiano, con particolare riferimento alle imprese che operano nell'indotto, le quali si sono sviluppate per fornire materie prime, servizi, forza lavoro e competenze alle imprese delocalizzanti: –:
   se il Ministro interrogato voglia far chiarezza in merito ai fatti descritti in premessa e fornire indicazioni puntuali su quali siano le aziende che hanno ottenuto i finanziamenti pubblici attraverso la Simest e delocalizzato la produzione all'estero, anche al fine di determinare l'eventuale annullamento dei finanziamenti medesimi. (3-00754)
(8 aprile 2014)

   CESA e DE MITA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 145 del 2013 (cosiddetto Destinazione Italia), pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 300 del 23 dicembre 2013, ha modificato le norme che regolano la concessione delle agevolazioni di cui al decreto legislativo n. 185 del 2000, titolo I;
   le agevolazioni, gestite da Invitalia e finalizzate alla creazione di nuove società o all'ampliamento di società già esistenti, sono destinate alle imprese, in cui la maggioranza dei soci e dei capitali è rappresentata da giovani tra i 18 e i 35 anni, e alle donne indipendentemente dall'età (e questa è una delle novità introdotte da «Destinazione Italia») e finanziano la produzione di beni e la fornitura di servizi in diversi settori;
   la norma si estende all'intero territorio nazionale e non prevede più l'erogazione di contributi a fondo perduto, ma solo la concessione di mutui agevolati a tasso zero, per investimenti fino a 1,5 milioni di euro (per singola impresa);
   al fine di scoraggiare eventuali comportamenti scorretti delle imprese beneficiarie, Invitalia valuta i progetti ed eroga i finanziamenti con un processo certificato ISO 9001 e controlla tutto il ciclo dei finanziamenti;
   la misura è stata ulteriormente finanziata ma necessita dell'adozione del regolamento di attuazione, da parte del Ministero dello sviluppo economico, che indicherà anche le modalità di presentazione della domanda di ammissione alle agevolazioni. Con l'avvenuta emanazione del regolamento, sarà pubblicata, sul portale di Invitalia, la modulistica per la presentazione della domanda –:
   se non ritenga di procedere senza ulteriori ritardi all'adozione del suddetto regolamento di attuazione, al fine di consentire l'avvio dei progetti presentati, eliminando l'attesa di quanti aspettano l'attuazione di una misura che potrebbe contribuire a diminuire la disoccupazione giovanile nel nostro Paese. (3-00755)
(8 aprile 2014)

   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i dati sui fallimenti delle imprese continuano ad essere molto allarmanti, soprattutto se si considera che per il 2014 è previsto un ulteriore picco;
   tra il 2008 e il 2013 le imprese per cui è stato dichiarato lo stato di insolvenza sono raddoppiate, passando da settemila a quattordicimila, e nel 2014 dovrebbero ancora aumentare fino a 14.500;
   il tessuto produttivo delle piccole e medie imprese risente pesantemente della crisi di liquidità, derivante sia dalla difficoltà ad incassare i propri crediti, sia dalla contrazione del credito operata dal sistema bancario;
   i tempi medi d'incasso di un credito tra il 2014 e il 2013, effettuando una media tra i diversi settori produttivi, hanno registrato un miglioramento di un solo giorno;
   le imprese soffrono, inoltre, il peso insostenibile dell'imposizione fiscale troppo elevata cui sono sottoposte, altro fattore che concorre a determinare l'uscita dal mercato delle aziende finanziariamente meno solide –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di sostenere le imprese che versano in uno stato di sofferenza finanziaria, al fine di salvaguardare la loro stessa sopravvivenza, il tessuto produttivo nazionale e i livelli occupazionali.
(3-00756)
(8 aprile 2014)