TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 198 di Mercoledì 26 marzo 2014

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER UN EFFICACE UTILIZZO DEGLI STRUMENTI FINANZIARI MESSI A DISPOSIZIONE DALLA BANCA DI SVILUPPO DEL CONSIGLIO D'EUROPA E PER FAVORIRE L'INTEGRAZIONE TRA TALI RISORSE E QUELLE DELL'UNIONE EUROPEA

   La Camera,
   premesso che:
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB) è una banca multilaterale a vocazione esclusivamente sociale e una delle più antiche istituzioni finanziarie internazionali europee. Quando venne creata, sulla base di un accordo parziale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa, il 14 aprile del 1956, lo scopo prioritario era quello di fornire aiuti finalizzati e risolvere i problemi dei rifugiati. Da allora il suo campo d'azione si è progressivamente esteso ed oggi contribuisce in modo significativo al rafforzamento della coesione sociale in Europa;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa è uno strumento chiave della politica di solidarietà europea, che opera aiutando gli Stati membri – attualmente quaranta – a perseguire una crescita sostenibile ed equa, finanziando progetti di investimento sociale suddivisi in tre ambiti, stabiliti nel 2006 dal consiglio d'amministrazione dell'istituzione: il rafforzamento dell'integrazione sociale, la gestione ambientale e il sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale. Per la sua attività la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa non riceve aiuti o sovvenzione dagli Stati membri e basa la propria attività su fondi e riserve propri;
    in particolare, interviene in favore dei 21 Paesi d'Europa centrale, orientale e del sud-est, che costituiscono, conformemente agli orientamenti strategici del piano di sviluppo 2010-2014, un obiettivo «prioritario». Nel decennio 2002-2011 sono stati approvati progetti per oltre 21 miliardi di euro ed erogati oltre 16 miliardi di euro di prestiti. Tra i principali Paesi beneficiari vi sono la Polonia, l'Ungheria e la Romania. L'interlocutore della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa è comunque sempre uno Stato membro, mai direttamente le imprese;
    forte è la cooperazione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa con la Commissione europea e con altre banche regionali e istituzioni finanziarie multilaterali, come la Banca europea per gli investimenti, il Western Balkans investment framework, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, la Banca mondiale, la Nordic investment bank e la Banca Kfw;
    di fronte alle difficili sfide dell'attuale contesto economico e finanziario internazionale, che implicano una crescita importante della domanda di prestiti da parte degli Stati membri, la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa è chiamata a uno sforzo straordinario volto ad assicurare, da un lato, il contenimento dei profili di rischio e, dall'altro, il completo rispetto del mandato statutario-sociale;
    il 4 febbraio 2011 il consiglio di direzione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, con la risoluzione n. 386, ha approvato il sesto aumento di capitale della banca, finalizzato a sostenere i principali campi d'intervento, che ha portato il capitale totale sottoscritto da 3,3 miliardi di euro a 5,5 miliardi di euro;
    con la legge 6 luglio 2012, n. 117, l'Italia ha aderito a tale aumento di capitale, per un importo complessivo di 366.078.000 euro, comprendenti l'incorporazione di riserve nel capitale liberato per 40.964.000 euro e la sottoscrizione di nuovi titoli per 325.114.000 euro, con conseguente incremento della quota di capitale detenuta fino all'ammontare di 915.770.000 euro, senza obbligo di versamento immediato, in quanto la sottoscrizione di una quota di capitale «a chiamata» non comporta esborsi finanziari effettivi;
    con tale sottoscrizione l'Italia ha mantenuto la misura attuale di partecipazione e di diritto di voto e continua a svolgere un ruolo centrale nel processo decisionale: in quanto azionista della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, l'Italia partecipa alle riunioni degli organi di governo della banca stessa, con rappresentanti dei Ministeri dell'economia e delle finanze e degli affari esteri;
    l'Italia, assieme a Francia e Germania, è il maggior azionista della Banca; al 31 dicembre 2012 il nostro Paese deteneva il 16,77 per cento del capitale sottoscritto, in una quota superiore rispetto alla partecipazione ad altri organismi multilaterali di intervento finanziario;
    nel decennio 2002-2011 il consiglio d'amministrazione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa ha approvato prestiti a favore dell'Italia per un volume totale di 1,9 miliardi di euro, di cui 1,6 miliardi già erogati, principalmente a favore di piccole e medie imprese, per interventi di ricostruzione a seguito di catastrofi naturali, nel campo dell'istruzione, nella sanità e nelle infrastrutture locali, ma anche a favore di interventi in favore del patrimonio storico, l'edilizia sociale ed aiuti a favore di rifugiati e migranti. Tuttavia, l'ultimo progetto di sviluppo della Banca in Italia risale al biennio 2007-2009;
    nel 2011, su 2,11 miliardi di euro di progetti approvati, nessuno coinvolgeva l'Italia e, su 1,85 miliardi di euro di prestiti approvati, 16 milioni di euro (0,9 per cento) riguardavano il nostro Paese. Analogamente, dei 28 progetti approvati nel 2012 dal consiglio di amministrazione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, per un totale di 1.798 milioni di euro, nessuno riguardava l'Italia;
    il 2011 e il 2013 sono stati approvati 11 progetti (per 515 milioni di euro) a favore di altrettante sussidiarie banche italiane (Intesa Sanpaolo e gruppo Unicredit) in Europa centrale, orientale e sudorientale (quindi, non in Italia);
    nel primo quadrimestre del 2013 sono state approvate undici richieste di finanziamento, per un importo complessivo di 613,9 milioni di euro. Di questi progetti due terzi (399 milioni) sono volti a potenziare la coesione sociale e un terzo è a supporto di infrastrutture pubbliche con fini sociali (scuole, centri di ricerca, carceri). Anche in questo caso non si registrano progetti provenienti dal nostro Paese;
    nel novembre 2013 è stato approvato un progetto di soli 6 milioni di euro a favore di PerMicro, intermediario finanziario attivo a livello nazionale con 13 agenzie in 10 regioni e specializzato nel microcredito a favore di immigrati;
    il dato di fatto evidente è che negli ultimi anni il nostro Paese non ha usufruito dei prestiti provenienti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, al cui finanziamento contribuisce in maniera sostanziosa;
    la questione della coesione sociale e del suo rafforzamento all'interno dell'Unione europea è uno dei temi centrali della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva;
    la Commissione europea, il 20 febbraio 2013, nella comunicazione «Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020» (COM (2013) 83), ha elencato le sfide che la politica sociale dell'Unione europea dovrà affrontare nei prossimi anni;
    tra gli obiettivi fondamentali da perseguire attraverso una piena integrazione tra utilizzo dei fondi europei, azioni ricomprese nella strategia Europa 2020 e programmi nazionali di riforma, viene ricompreso l'utilizzo con la massima efficacia dei fondi europei. In particolare, gli Stati membri sono invitati a ricercare i modi per integrare le risorse dell'Unione europea mediante finanziamenti provenienti dalla Banca mondiale, dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e dal gruppo della Banca europea per gli investimenti;
    allo stesso modo la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa si è posta come obiettivo strategico per la programmazione 2014-2016 l'affiancamento degli Stati membri nell'Unione europea per un migliore utilizzo dei fondi strutturali europei, a cominciare dal fondo sociale;
    l'allocazione dei fondi del fondo sociale europeo prevede che una quota minima di investimenti sia riservata ad ogni Stato membro dell'Unione europea e che la distribuzione dei restanti fondi avvenga in base alle esigenze regionali e non nazionali, tenendo in questo modo conto delle differenze, anche profonde, tra i livelli di benessere presenti all'interno di uno stesso Stato;
    i potenziali settori di intervento riguardano, infatti, aree che rispondono ad esigenze su cui l'attenzione è particolarmente alta in questo momento nel nostro Paese: su tutti, il tema della prevenzione di catastrofi naturali e di protezione del territorio ed interventi di ricostruzione; azioni in favore di rifugiati e migranti; istituti penitenziari; salvaguardia e protezione del patrimonio storico e culturale;
    alla luce del mutato quadro europeo negli ultimi anni, in una situazione internazionale particolarmente complicata, di fronte a una crisi economico-finanziaria di portata mondiale, bisognerebbe, altresì, rivedere la strategia di intervento della stessa Banca europea per gli investimenti, che ha sempre privilegiato obiettivi calibrati su determinate aree geografiche, senza procedere, invece, per specifiche aree tematiche di azione;
    gli obiettivi prioritari non dovrebbero essere fissati su base geografica, ma tematica: la Banca centrale europea dovrebbe adattare i propri obiettivi alle nuove priorità e necessità del continente europeo. La frattura della coesione sociale non segue più il confine tra oriente ed occidente, ma ha un andamento puntinato che percorre il continente nella sua totalità; l'intervento della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa deve, quindi, operare nelle situazioni e aree specifiche di maggior disagio e necessità;
    in data 3 dicembre 2013, è stato audito, presso la delegazione parlamentare italiana presso l'Assemblea del Consiglio d'Europa, il professor Nunzio Guglielmino, Vice Governatore della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, che ha svolto in merito alcune dichiarazioni ed osservazioni,

impegna il Governo:

   ad intervenire con determinazione, anche attraverso il coinvolgimento degli altri Stati aderenti alla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, per promuovere un cambio di rotta nella strategia di azione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, incentivando, già a partire dal 2014, programmi di intervento trasversali basati su specifiche aree tematiche e non su obiettivi territoriali, nonché per incentivare, nell'ottica di una migliore integrazione con gli strumenti finanziari dell'Unione europea, una omogeneizzazione dei criteri di allocazione dei fondi con una definizione delle aree prioritarie basata sui confini regionali e non nazionali degli Stati membri;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa per favorire una maggiore trasparenza delle attività della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, anche attraverso la pubblicazione di una mappatura chiara degli importi investiti e delle aree interessate dagli investimenti;
   ad attivarsi per promuovere una migliore conoscenza della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa in Italia, al fine di incentivare e accrescere in Italia l'utilizzo degli strumenti finanziari messi a disposizione degli Stati aderenti, in particolare attraverso un idoneo orientamento e supporto dei soggetti interessati ai finanziamenti, a partire dalle regioni, nonché a rimuovere ogni possibile ostacolo amministrativo e burocratico che possa aggravare o intralciare le procedure di intervento della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa nel nostro Paese;
   ad incentivare l'utilizzo di tutti quei programmi volti a creare dinamiche e prospettive d'investimento, di crescita e di occupazione a livello nazionale e regionale e che prevedono la partnership delle maggiori istituzioni politico-finanziarie europee e internazionali, con le autorità nazionali e regionali;
   a dare attuazione a quanto indicato dalle istituzioni europee, favorendo il più possibile l'integrazione delle risorse dell'Unione europea, con i finanziamenti provenienti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa;
   a sostenere la promozione di un cambiamento degli statuti affinché la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa possa adottare politiche di sostegno ed erogare finanziamenti diretti ad istituzioni ed enti pubblici, senza ricorrere all'intermediazione degli istituti bancari privati;
   ad avviare approfondimenti con la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, al fine di verificare la possibilità di interventi straordinari in Italia rivolti, in particolare, all'edilizia scolastica e carceraria, alla salvaguardia del patrimonio storico e culturale, alla prevenzione di catastrofi naturali e alla protezione del territorio.
(1-00217)
(Nuova formulazione) «Bergamini, Alli, Bernardo, Ravetto, Gelmini, Gregorio Fontana, Polverini, Giammanco, Abrignani, Rotondi, Elvira Savino».
(24 ottobre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la drammatica esperienza dei due conflitti mondiali ha favorito la costruzione di un'Europa fondata sulla centralità della persona umana, sulla stabilità e sulla solidarietà. A questo processo di unificazione dell'Europa hanno contribuito organizzazioni sovranazionali, tra cui il Consiglio d'Europa;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB), fondata con la denominazione «Fondo per lo sviluppo sociale del Consiglio d'Europa» da otto degli Stati membri del Consiglio d'Europa nel 1956 (tra cui l'Italia), è la più antica tra le istituzioni finanziarie internazionali europee ed è lo strumento finanziario della politica di solidarietà del Consiglio d'Europa;
    con l'allargamento del Consiglio d'Europa ai Paesi dell'Europa orientale si è assistito al cambiamento della mission della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e dell'area geografica dei Paesi che ne fanno parte. Vi sono stati tre vertici (nel 1993, nel 1997 e nel 2005-2006) dei Capi di Stato e di Governo che hanno confermato il ruolo del Consiglio d'Europa come presidio dei diritti umani e come promotore della coesione sociale e dei diritti sociali ed economici dei cittadini dei Paesi che ne fanno parte. Oggi la Banca si occupa di edilizia sociale, istruzione, sanità, prevenzione e rimedio alle catastrofi naturali e, ultimamente, anche di rifugiati, ritornando con questo nuovo obiettivo alla ragione sociale originaria;
    in una fase delicata quale quella che stiamo vivendo, a causa della crisi economico-finanziaria, la Banca svolge una funzione importante nella soluzione di problematiche legate al peggioramento delle condizioni economiche e sociali delle popolazioni europee in un'ottica solidaristica;
    dopo aver portato a compimento con successo il piano di sviluppo della Banca stabilito nel 2010-2014, soprattutto a favore dei 21 Paesi europei con maggiori difficoltà dell'Europa centro-orientale e sud-orientale, il 22 novembre 2013, il consiglio di amministrazione ha approvato all'unanimità il nuovo piano per lo sviluppo della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa 2014-2016, impegnandosi per uno sviluppo sociale sostenibile in tre ambiti: il rafforzamento dell'integrazione sociale, la gestione dell'ambiente, il sostegno delle infrastrutture a vocazione sociale ed il sostegno alle micro, piccole e medie imprese;
    la crisi economica ha causato un forte deterioramento della situazione sociale in diversi Stati membri della Banca ed un allargamento dell'area interessata dalla crisi. L'indebolimento della solidità finanziaria dei debitori della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa ha iniziato ad essere particolarmente forte dall'anno 2009/2010;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa ha concesso prestiti per il finanziamento di progetti per la creazione di posti di lavoro, attraverso il sostegno concesso alle micro, piccole e medie imprese nella maggior parte dei Paesi dell'Europa orientale. Tra il 2010 e il 2012, il finanziamento della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa a favore della creazione e del mantenimento dei lavori ammontava a 1,8 miliardi di euro, pari al 29 per cento del volume totale dei prestiti commerciali, seconda solo alla Banca europea per gli investimenti quanto a impegno;
    alla fine del 2012, la quota di prestiti a favore dei Paesi del gruppo dei cosiddetti target countries (Albania, Bosnia, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Georgia, Ungheria, Kosovo, Macedonia, Lettonia, Lituania, Malta, Montenegro, Moldavia, Polonia, Repubblica slovacca, Repubblica ceca, Romania, Serbia, Slovenia e Turchia) ammontava al 61 per cento del totale dell'importo di prestiti. Lo stock in favore di questi Paesi è aumentato del 25 per cento, passando da 5,87 miliardi di euro a fine 2009 a 7,35 miliardi di euro alla fine del 2012;
    il capitale sottoscritto al 31 dicembre 2012 della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa ammontava a 5.466 milioni di euro suddivisi tra 40 Stati membri e con il 16,7 per cento il nostro Paese, insieme a Francia e Germania, detiene la quota di partecipazione più alta;
    per allargare e sostenere la sua azione, la Banca ha rafforzato negli ultimi anni la cooperazione con tutte le maggiori istituzioni europee. Nel quadro di questa cooperazione vanno iscritti gli accordi con la Banca europea per gli investimenti e la Banca europea di ricostruzione e sviluppo e con la Commissione europea. Oggi la Banca gioca un ruolo attivo nel quadro del Western Balkans investment framework, meccanismo europeo destinato al finanziamento di progetti nei Paesi dei Balcani. Inoltre, la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa intrattiene una cooperazione con la Banca mondiale, con la quale ha in essere un accordo di cooperazione;
    il nostro Paese ha partecipato all'aumento di capitale nel 2012 con un impegno importante (325 milioni di euro circa), anche se si tratta più di una garanzia che di un esborso, poiché la Banca si autofinanzia a condizioni favorevoli sul mercato dei capitali, gode del rating di tripla «A» e il suo bilancio si mantiene in equilibrio perché concede prestiti, non dà contributi a fondo perduto;
    a fronte di questo aumento deliberato dal Parlamento, si lamenta la scarsa destinazione di tali fondi per progetti italiani (nel 2011, su 2,11 miliardi di euro di progetti approvati, non c’è nemmeno un progetto approvato in Italia e su 1,85 miliardi di euro di prestiti approvati solo 16 milioni (pari allo 0,9 per cento) riguardano l'Italia, mentre numerosi sono stati i progetti finanziati in altri Paesi che hanno riguardato scuole, case di riposo per anziani e carceri,

impegna il Governo:

   ad attivarsi al fine di favorire la realizzazione di progetti ed interventi nell'ambito delle competenze e degli obiettivi della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB);
   ad adottare misure volte a promuovere presso le nostre istituzioni, nazionali e locali, la conoscenza degli strumenti finanziari, delle iniziative e delle opportunità che la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa offre per realizzare interventi in settori che riguardano le calamità naturali, l'edilizia sociale, nonché la tutela, la valorizzazione e il potenziamento delle piccole e medie imprese;
   ad attivarsi, per quanto di competenza, affinché la Banca adotti criteri basati su aree tematiche e non solo territoriali, allargando il perimetro della sua azione a fronte delle difficili sfide dell'attuale contesto economico e finanziario internazionale;
   a conservare l'attuale misura di partecipazione e di diritto di voto all'interno dell'istituto, considerato il rilievo sociale e politico degli obiettivi perseguiti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa.
(1-00345)
«Schirò, Buttiglione, Santerini, Marazziti, Fitzgerald Nissoli, De Mita, Rossi, Caruso, Sberna, Gigli, Binetti».
(17 febbraio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB), creata nel 1956, è la più antica tra le istituzioni finanziarie internazionali europee, l'unica a vocazione esclusivamente sociale e nasce per fornire aiuti volti a risolvere la problematica dei rifugiati; il suo campo d'azione si è progressivamente esteso ad altri settori, per contribuire in maniera sempre più incisiva al rafforzamento della coesione sociale in Europa;
    la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa è lo strumento finanziario della politica di solidarietà del Consiglio d'Europa;
    la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa, quale banca multilaterale di sviluppo, attraverso prestiti partecipa al finanziamento di progetti sociali, risponde a condizioni di emergenza, concorre al miglioramento delle condizioni di vita e alla coesione sociale nelle regioni meno avvantaggiate del continente europeo;
    la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa accorda i suoi prestiti in Europa, ai Paesi membri; basa la propria attività su fondi e riserve propri e non riceve dagli Stati membri alcun aiuto o sovvenzione; la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa non finanzia direttamente gli individui;
    i campi d'intervento, stabiliti dal consiglio d'amministrazione, riguardano ambiti sociali ben precisi: rafforzamento dell'integrazione sociale, gestione ambientale, sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale, sviluppo del capitale umano;
    la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa è composta da 41 Stati membri appartenenti al Consiglio d'Europa, tra i quali l'Italia è socio fondatore, con la maggiore percentuale di partecipazione al capitale sociale 16,735 per cento, insieme alla Francia e alla Germania;
    nonostante ciò, l'Italia risulta essere tra gli ultimi beneficiari, in termini di finanziamento di progetti, tra tutti gli Stati che hanno avuto accesso ai crediti della Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa;
    sebbene le politiche di coesione sociale siano un asse portante della strategia Europea ed un'esigenza fondamentale per il nostro Paese, l'Italia non ha avuto nessun progetto finanziato nell'ultimo triennio;
    un corretto utilizzo della Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa, quale strumento finanziario specificamente votato alle politiche sociali, potrebbe contribuire a risolvere emergenze contingenti di particolare allarme sociale e fortemente sentite, sia dalla cittadinanza che dalle istituzioni più sensibili italiane ed europee;
    essa potrebbe essere una valida leva finanziaria per sviluppare un piano di investimenti per le piccole e medie imprese che comporti la creazione di posti di lavoro per la riduzione della disoccupazione giovanile e per risolvere le emergenze costituite dalla fatiscenza degli edifici scolastici, degli edifici carcerari, degli edifici che ospitano i rifugiati e i senzatetto;
    vista la specifica finalizzazione ambientale degli interventi, i finanziamenti erogati dalla Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa possono contribuire alla reale concretizzazione del piano di bonifiche ambientali, che riporti la speranza a quelle popolazioni doppiamente colpite dagli effetti dell'inquinamento selvaggio: colpite nella salute e nella sicurezza agroalimentare dei prodotti territoriali,

impegna il Governo

ad attivarsi al fine di promuovere e fornire adeguata assistenza presso tutti i soggetti potenzialmente destinatari dei finanziamenti erogati dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, per una migliore conoscenza della stessa quale istituto finanziario vocato al finanziamento di progetti di coesione sociale, al fine di permettere l'utilizzo anche di questo ulteriore importante strumento per la riduzione della disoccupazione giovanile, il miglioramento delle condizioni residenziali scolastiche, carcerarie e di rifugiati e senzatetto e la bonifica delle porzioni di Paese criminalmente inquinate.
(1-00353)
«Pannarale, Migliore, Ricciatti, Di Salvo, Scotto, Marcon, Fava, Boccadutri, Aiello, Lacquaniti, Melilla, Ferrara, Matarrelli, Catalano».
(4 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB) è una banca multilaterale a vocazione sociale. Con i suoi 40 Stati membri, rappresenta il più importante strumento di sostegno alle politiche sociali del continente europeo;
    sin dall'inizio delle sue attività, nel 1956, la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa ha sostenuto il finanziamento di progetti a carattere sociale ed interventi in situazioni di emergenza, contribuendo in tal modo al miglioramento delle condizioni di vita nelle regioni svantaggiate d'Europa;
    progressivamente gli ambiti d'azione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa sono stati estesi al rafforzamento dell'integrazione sociale, alla gestione ambientale e al sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa è legalmente e finanziariamente indipendente, basata su un accordo parziale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa che ne hanno sottoscritto le quote e via via i progressivi aumenti di capitale; tuttavia, agisce in fattiva collaborazione con altre istituzioni finanziarie internazionali e regionali e con la Commissione europea;
    con la legge 6 luglio 2012, n. 117, l'Italia ha aderito all'ultimo aumento di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa in ordine di tempo, per un importo complessivo di 366.078.000 euro, comprendenti l'incorporazione di riserve nel capitale liberato per 40.964.000 euro e la sottoscrizione di nuovi titoli per 325.114.000 euro, con conseguente incremento della quota di capitale detenuta fino all'ammontare di 915.770.000 euro;
    oggi il nostro Paese è, insieme a Francia e Germania, uno dei maggiori azionisti, con il 16,77 per cento del capitale sottoscritto; per contro, l'ultimo progetto di sviluppo della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa in Italia risale al biennio 2007-2009;
    negli ultimi anni l'azione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa si è orientata prevalentemente verso i Paesi dell'Europa dell'est, impegnati nel percorso di adesione all'Unione europea; dal 2007 in avanti, però, le condizioni economico-sociali di molti altri Paesi europei, in particolare quelli dell'area dell'euro, sono cambiate radicalmente a causa della crisi economico-finanziaria, che nei Paesi più indebitati, a seguito dell'intervento formale od informale della Commissione europea e della Banca centrale europea, ha posto e pone seriamente a rischio la possibilità di garantire i diritti sociali e di mantenere un livello accettabile di welfare;
    è, oggi, anacronistico ed insostenibile che il nostro Paese continui ad essere un contribuire netto dell'Unione europea, a versare quote imponenti di capitale ai fondi cosiddetti salva Stati e alle altre istituzioni finanziarie, mentre, all'interno, si attuano politiche devastanti dal punto di vista delle spese per il welfare;
    la questione della coesione sociale e del suo rafforzamento all'interno dell'Unione europea è uno dei temi centrali della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi, in quanto diretto interlocutore della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, per sostenere presso la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa progetti destinati alla realizzazione delle finalità della Banca e l'impiego delle relative risorse nel nostro Paese;
   a farsi promotore di una campagna informativa nazionale orientata ai soggetti potenzialmente destinatari dei finanziamenti, relativa agli strumenti e alle opportunità derivanti dall'azione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa;
   a farsi promotore presso la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, nonché presso le istituzioni comunitarie e gli organismi finanziari comunitari, anche attraverso revisione dei meccanismi e delle finalità d'intervento, dell'urgenza di finanziare direttamente nel nostro Paese interventi straordinari per la ricostruzione a seguito di catastrofi naturali, per il contenimento del rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza del territorio, nonché per l'edilizia scolastica e per l'edilizia carceraria.
(1-00359)
«Gianluca Pini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Prataviera, Rondini».
(6 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB) è una banca multilaterale a mission sociale istituita nel 1956 inizialmente per venire incontro ai pressanti problemi dei rifugiati;
    le materie di interesse e di azione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa si sono progressivamente spostate negli anni in campo sociale in senso lato, nonché ambientale, contribuendo in modo significativo al rafforzamento della coesione sociale in Europa e delle politiche di solidarietà in Europa;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, comunque, non promuove progetti ma li finanzia sulla base delle domande pervenute;
    nel decennio 2002-2011 sono stati approvati progetti per oltre 21 miliardi di euro; tra i principali Paesi destinatari si annoveravano Ungheria, Polonia e Romania, laddove in questi anni recenti alcuni Paesi dell'ex Europa occidentale si trovano a far fronte a situazioni di crisi altrettanto gravi in confronto con quelle di altri Paesi dell'Europa orientale;
    nel 2012, tra i progetti approvati dal consiglio di amministrazione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa nessuno riguardava l'Italia;
    negli ultimi anni l'attenzione della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa verso l'Italia appare essere stata scarsa se non nulla nella sua capacità di erogare fondi;
    l'Italia, unitamente a Francia e Germania, è uno degli azionisti pesanti della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa ed esprime costantemente alcune figure apicali della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa; il nostro Paese partecipa ai lavori del board della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa con rappresentanti del Ministero degli affari esteri e del Ministero dell'economia e delle finanze,

impegna il Governo:

   a promuovere iniziative per diffondere nel nostro Paese informazioni e conoscenze sul campo di attività della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e sulla sua importanza in materia di coesione sociale e di sviluppo sostenibile, per fare in modo che ci sia un interesse diffuso verso la presentazione alla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa di progetti italiani, garantendo piena trasparenza delle procedure e informazioni correlate alla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa sul sito del Ministero degli affari esteri;
   a favorire il più possibile la coerenza delle risorse e dei finanziamenti dell'Unione europea con i finanziamenti provenienti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, in ossequio ai principi dei programmi e dei piani di azione comunitaria in materia di ambiente e di coesione sociale;
   a favorire, tramite i rappresentanti istituzionali italiani nella Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, una maggiore attenzione della stessa verso il nostro Paese;
   nell'ambito dei finanziamenti destinabili all'Italia, a favorire i progetti che siano inerenti alla messa in sicurezza dai rischi idrogeologici, all'integrazione sociale e al contrasto della xenofobia, nonché al rafforzamento della mobilità sostenibile a tutela anche delle fasce deboli della popolazione.
(1-00361)
«Colonnese, Barbanti, Vignaroli, Cancelleri, Nesci, Carinelli, Ruocco, Villarosa, Pesco, Manlio Di Stefano, Spadoni, Fico, Alberti, Pisano».
(6 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB) è lo strumento finanziario della politica di solidarietà del Consiglio d'Europa;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa ha come finalità di aiutare i suoi 41 Stati membri a conseguire una crescita sostenibile ed equa, contribuendo alla realizzazione di progetti di investimento sociale, rispondendo a situazioni di emergenza e, in questo modo, migliorando le condizioni di vita nelle regioni meno avvantaggiate dell'Europa;
    finanzia progetti di investimento in campo sociale secondo quattro linee di intervento:
     a) il rafforzamento dell'integrazione sociale;
     b) la gestione dell'ambiente;
     c) il sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale;
     d) il supporto alle micro, piccole e medie imprese;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa è legalmente e finanziariamente indipendente, basata su un accordo parziale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa che ne hanno sottoscritto le quote e, via via, i progressivi aumenti di capitale. Tuttavia, agisce in collaborazione con altre istituzioni finanziarie internazionali e regionali e con la Commissione europea;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa si autofinanzia a condizioni favorevoli sul mercato dei capitali, gode del rating di tripla «A» e il suo bilancio si mantiene in equilibrio perché concede prestiti e non dà contributi a fondo perduto;
    oggi il nostro Paese è, insieme a Francia e Germania, uno dei maggiori azionisti, con il 16,77 per cento del capitale sottoscritto;
    con la legge 6 luglio 2012, n. 117, l'Italia ha aderito all'ultimo aumento di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa in ordine di tempo, per un importo complessivo di 366.078.000 euro, comprendenti l'incorporazione di riserve nel capitale liberato per 40.964.000 euro e la sottoscrizione di nuovi titoli per 325.114.000 euro, con conseguente incremento della quota di capitale detenuta fino all'ammontare di 915.770.000 euro;
    a fronte dell'elevata quota di capitale sottoscritta, si registra una scarsissima destinazione dei fondi della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa per progetti italiani. Negli ultimi 3 anni, addirittura, non ci sono stati progetti approvati in Italia, mentre sono stati approvati numerosi progetti finanziati in altri Paesi per scuole, carceri e case di riposo. Si tratta di un dato paradossale avendo, dal 2007 in poi però, la crisi economico-finanziaria peggiorato le condizioni economico-sociali dell'Italia oltre che di altri Paesi europei;
    la Commissione europea, il 20 febbraio 2013, nella comunicazione «Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020» (COM (2013) 83) pone tra gli obiettivi fondamentali da perseguire il pieno ed efficace utilizzo dei fondi dell'Unione europea e il loro coordinamento con i finanziamenti dalla Banca mondiale, dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e della Banca europea per gli investimenti;
    considerato il perdurare della crisi, è insostenibile che il nostro Paese, oltre ad essere il terzo contributore netto del bilancio dell'Unione europea, continui a versare quote significative di capitale a fondi e strumenti di solidarietà istituiti nell'ambito dell'Unione europea o di altre organizzazioni e istituzioni finanziarie internazionali, che appesantiscono il debito pubblico già molto elevato e sono computati ai fini dei parametri di finanza pubblica fissati dal Patto di stabilità e crescita,

impegna il Governo:

   a conservare l'attuale misura di partecipazione e di diritto di voto all'interno dell'istituto, considerato il rilievo sociale e politico degli obiettivi perseguiti dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa;
   ad adottare misure per promuovere presso le istituzioni italiane, nazionali e locali, la conoscenza delle opportunità che la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa offre;
   ad adoperarsi affinché sia data attuazione a quanto raccomandato dalla Commissione europea, favorendo il coordinamento delle risorse dell'Unione europea con gli stanziamenti della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e di altri strumenti finanziari internazionali;
   ad avviare approfondimenti con la Banca di sviluppo del Consiglio di Europa, al fine di verificare la possibilità di interventi straordinari in Italia rivolti, in particolare, all'edilizia scolastica e carceraria, alla salvaguardia del patrimonio storico e culturale, alla prevenzione di catastrofi naturali e alla protezione del territorio, allo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese e ai contratti di riallocazione dei licenziati;
   ad adoperarsi affinché i contributi alla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, nonché a fondi e meccanismi di assistenza finanziaria costituiti nell'ambito dell'Unione europea o di altre organizzazioni sovranazionali e internazionali versati da Stati membri dell'Unione europea, in particolare ove essi si trovino in situazione di recessione o abbiano un elevato indebitamento, non siano computati ai fini del calcolo delle soglie previste per il deficit e il debito pubblico dal Patto di stabilità e crescita.
(1-00366)
«Galgano, Quintarelli, Vitelli, Tinagli, Capua, Rabino, Vecchio, Catania, Matarrese, Antimo Cesaro, Vargiu, Mazziotti Di Celso».
(10 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il nostro Paese partecipa a numerose banche multilaterali, tra cui rilevano alcune banche di sviluppo e d'investimento o a vocazione sociale, operanti specificamente in ambito europeo;
    il ruolo di tali banche assume un particolare rilievo, alla luce della fase attuale caratterizzata da una grave crisi economico-finanziaria, con le sue ricadute sull'economia reale, in termini di perdita di competitività e di occupazione in tutto lo spazio Europeo, ma con proporzioni più preoccupanti per il nostro Paese;
    la crescita mondiale, sorretta dalle economie emergenti, si è infatti fortemente ridotta nel 2012 nell'insieme dei Paesi dell'Unione europea (-0,3 per cento) e ancor più in quelli dell'area dell'euro (0,6 per cento), i quali hanno avuto una crescita negativa e – come rileva il rapporto Svimez 2013 – il prodotto interno lordo è fortemente diminuito nei paesi del sud Europa, come Grecia (-6,4 per cento), Portogallo (-3,2 per cento), Spagna (-1,4 per cento), mentre in Italia la recessione ha colpito l'economia più che nel resto d'Europa (-2,4 per cento);
    un ruolo fondamentale nell'utilizzo di leve finanziarie che incentivino prospettive di investimento, sviluppo e crescita, può svolgerlo la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, una banca multilaterale dalle peculiari finalità sociali, istituita nel 1956 con la denominazione «Fondo per lo sviluppo sociale del Consiglio d'Europa» e dal 1999 rinominata «Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa» (CEB). La Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, nata sulla base di un accordo parziale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa e con piena autonomia finanziaria, ha progressivamente ampliato il suo campo d'azione rispetto ai suoi originari scopi (fornire aiuti in favore dei rifugiati), per contribuire in modo sempre più determinante al rafforzamento delle politiche di coesione sociale, al miglioramento delle condizioni di vita nelle regioni più svantaggiate, combattendo il crescente fenomeno della povertà e del disagio sociale nel continente europeo;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa è, dunque, diventata lo strumento chiave delle azioni di solidarietà europea, con le sue finalità precipue di supportare i suoi Stati membri nel conseguire politiche orientate alla crescita sostenibile ed equa e contribuisce alla realizzazione di progetti di investimento sociale, attraverso tre linee di intervento settoriale: rafforzamento dell'integrazione sociale, gestione ambientale e sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale;
    per estendere la sua azione la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa ha potenziato negli ultimi anni la cooperazione con le maggiori istituzioni europee, in particolare con la Commissione europea, e con altre banche regionali e istituzioni finanziarie multilaterali, tra cui la Banca europea per gli investimenti (Bei), il Western Balkans Investment Framework (WBIF), la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), la Banca mondiale, la Nordic Investment Bank e la Banca Kfw;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa attualmente conta 40 Stati membri, che coprono un'area geografica che si estende dalla Turchia all'Islanda e dal Portogallo alla Georgia. L'Italia, con una quota percentuale di partecipazione pari a circa l'11 per cento, assieme a Francia e Germania rientra tra i cosiddetti «grandi pagatori»;
    il nostro Paese ha sottoscritto tutti gli aumenti di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa intervenuti negli anni 1978, 1982, 1988, 1991, 2001 e 2012, continuando a svolgere un ruolo centrale nel processo decisionale, partecipando agli organi di governo della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa con propri rappresentanti dei Ministeri dell'economia e delle finanze e degli affari esteri. Con l'ultimo aumento di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (sesto aumento che ha portato il capitale totale sottoscritto da 3,3 a 5,5 miliardi di euro nel 2012) l'Italia ha aderito all'aumento con sottoscrizione di nuovi titoli, con conseguente incremento della quota detenuta pari a 915.770.000 euro, mantenendo inalterata la misura di partecipazione e il diritto di voto;
    tuttavia, l'Italia negli ultimi anni non ha colto le opportunità offerte dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e non ha usufruito dei prestiti della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, al cui finanziamento contribuisce in modo cospicuo, e non risultano al 2013 progetti provenienti dall'Italia al fine di ottenere i relativi sostegni finanziari;
    in ambito europeo rilevano anche altre banche di garanzia e investimento, tra cui spicca la Banca europea per gli investimenti (Bei), di proprietà dei paesi membri dell'Unione europea, alla quale l'Italia partecipa per il 16 per cento. Tale Banca ha fra i suoi compiti quello di sostenere il finanziamento di progetti volti a migliorare infrastrutture, approvvigionamento energetico o sostenibilità ambientale all'interno dell'Unione europea; contribuisce allo sviluppo economico e sociale di tutti i Paesi membri e di quelli limitrofi con rapporti di vicinato, con particolare priorità alle regioni meno sviluppate e con maggiori carenze strutturali (Europa meridionale e orientale), anche attraverso investimenti congiunti con i finanziamenti programmati per gli interventi dei fondi strutturali e di altri strumenti finanziari della Comunità europea;
    nel 2012, il Consiglio europeo ha approvato l'aumento del capitale sociale della Banca europea per gli investimenti, rafforzando la sua attività con effetto anticiclico sull'economia europea, contribuendo in tal modo ad integrare le risorse del bilancio europeo, fortemente ridimensionate nell'ambito del nuovo quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea (QFP 2014-2020);
    a partire da giugno 2013, la Banca europea per gli investimenti costituisce, dunque, la maggiore finanziatrice del nuovo sviluppo europeo per uscire dalla crisi, in favore di linee di credito per le piccole e medie imprese, per finanziare project bond o progetti complessi, come progetti di grandi dimensioni, project financing (nei settore energetico e autostradale); il primo project bond è stato realizzato in Spagna (gas storage), mentre in Italia ancora è in fase di definizione la collaborazione fra Cassa depositi e prestiti e Banca europea per gli investimenti per la realizzazione di project bond in Italia;
    secondo i dati forniti dal Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore, nel 2013 il sostegno finanziario della Banca europea per gli investimenti in Italia ha riguardato progetti del valore totale di circa 30 miliardi di euro (+50 per cento) e oltre 8.400 piccole e medie imprese, che hanno ricevuto finanziamenti per 3,3 miliardi di euro, pari al 34 per cento del totale; la Banca europea per gli investimenti è intervenuta su energia, telecomunicazioni e trasporti, industria, acqua e sanità, ha sostenuto progetti di ricerca e di sviluppo e per l'ammodernamento infrastrutturale del nostro Paese, compreso lo sviluppo della banda larga. Sono stati avviati anche nuovi settori di attività, tra cui il primo finanziamento del social housing in Italia, in favore di progetti di edilizia sociale e di «abitare equo»; si tratta di passi in avanti importanti ma è necessario rafforzare l'uso di tali strumenti finanziari per sfruttarne pienamente le potenzialità;
    il ruolo che dovranno svolgere le banche europee è particolarmente evidente alla luce delle sfide impegnative che l'Europa è chiamata ad affrontare nei prossimi anni. La comunicazione della Commissione europea – Strategia Europa 2020 – ha definito una strategia ambiziosa che mira a trasformare l'Unione europea in un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva, caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. Tuttavia, la riduzione della spesa complessiva delle risorse del bilancio europeo (per l'Unione europea a 28 è del 3,4 per cento in termini reali rispetto al periodo 2007-2013 e con un budget di circa 960 miliardi di euro), congiuntamente al contenimento dei bilanci a livello nazionale, rischia di mettere in seria difficoltà il perseguimento degli stessi obiettivi (cosiddette «iniziative faro») della Strategia Europa 2020, con il pericolo di aggravare la situazione di spirale di recessione-depressione esistente in molti Stati membri, tra cui l'Italia;
    il peggioramento della situazione economica e sociale interna a molti Stati membri, in particolare della fascia del sud Europa, in assenza di interventi mirati, potrebbe compromettere in futuro la stessa partecipazione alla stessa Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, indebolendone la solidità finanziaria e pregiudicando quantità e qualità degli interventi improntati all'integrazione nelle aree di crisi in ambito europeo,

impegna il Governo:

   ad attivarsi per adottare ogni iniziativa utile volta a favorire e ad accrescere l'utilizzo da parte dell'Italia, quale «grande pagatore» e sottoscrittore di quote di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, degli strumenti finanziari messi a disposizione dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, anche rimuovendo gli eventuali ostacoli burocratici e amministrativi che impediscono il ricorso alle sue procedure di finanziamento;
   a promuovere iniziative in ambito nazionale, locale e territoriale per informare e far conoscere opportunità e potenzialità offerte dagli strumenti finanziari della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, in particolare per ciò che riguarda i finanziamenti di progetti in grado di favorire la creazione di nuovi posti di lavoro e il mantenimento in vita di micro e piccole imprese, di sostenere l'integrazione sociale, infrastrutturale a vocazione sociale (case di riposo per anziani, carceri, scuole), ambientale (protezione del territorio da catastrofi naturali, bonifiche e salvaguardia del patrimonio storico e culturale), di tutelare le fasce più deboli della popolazione, anche mediante il contrasto di fenomeni di xenofobia;
   a sostenere il coordinamento con i diversi strumenti di leva finanziaria dell'Unione europea, intervenendo, altresì, per semplificare i meccanismi di assistenza finanziaria e pervenire ad una maggiore accessibilità ai finanziamenti della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, allo scopo di favorire in via prioritaria gli Stati membri che versano in una situazione di grave crisi economica e di perdurante spirale recessiva;
   ad adoperarsi affinché siano intensificate le iniziative congiunte fra le diverse banche europee di garanzia e di investimento, con un pacchetto di misure volto a rafforzare i programmi della Commissione europea;
   ad attivarsi in tutte le sedi opportune per sostenere ed estendere alcune forme pilota di garanzia, tra cui lo strumento di condivisione dei rischi, attuate in particolare mediante azione congiunta di Banca europea per gli investimenti e il Fondo europeo per gli investimenti e la Commissione europea, per incoraggiare le banche a erogare prestiti alle piccole e alle medie «imprese innovative», in sostegno di attività di ricerca e sviluppo.
(1-00384)
«Berlinghieri, Pastorino, Battaglia, Bonomo, Casellato, Chaouki, Culotta, Gianni Farina, Giachetti, Giulietti, Giuseppe Guerini, Iacono, Mosca, Moscatt, Nardella, Picierno, Scuvera, Vaccaro, Ventricelli, Alfreider».
(19 marzo 2014)

MOZIONI CONCERNENTI LO SCOSTAMENTO DAI PARAMETRI EUROPEI IN MATERIA DI DEFICIT PUBBLICO

   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 99 e 104 del Trattato di Roma istitutivo della Comunità economica europea (così come modificato con il Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona) trovano attuazione attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici, nonché un particolare tipo di procedura di infrazione;
    la procedura per deficit eccessivo (pde), che ne costituisce il principale strumento, è stata implementata dal Patto di stabilità e crescita (psc). Stipulato nel 1997, il Patto di stabilità e crescita ha rafforzato le disposizioni sulla disciplina fiscale nell'unione economica e monetaria, di cui agli articoli 99 e 104, ed è entrato in vigore con l'adozione dell'euro, il 1o gennaio 1999;
    in base al Patto di stabilità e crescita, gli Stati membri devono continuare a rispettare nel tempo i parametri di deficit pubblico (3 per cento) e di debito pubblico (60 per cento del prodotto interno lordo);
    l'articolo 104 del Trattato di Roma prevede 3 fasi, nel caso in cui un Paese non rispetti i parametri:
     a) se il deficit di un Paese membro si avvicina al tetto del 3 per cento del prodotto interno lordo, la Commissione europea propone, ed il Consiglio dei ministri europei in sede di Ecofin approva, un «avvertimento preventivo» (early warning), al quale segue una raccomandazione vera e propria in caso di superamento del tetto;
     b) se a seguito della raccomandazione lo Stato interessato non adotta sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, esso viene sottoposto ad una sanzione che assume la forma di un deposito infruttifero, da convertire in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo. L'ammontare della sanzione presenta una componente fissa pari allo 0,2 per cento del prodotto interno lordo ed una variabile pari ad 1/10 dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3 per cento. È comunque previsto un tetto massimo all'entità complessiva della sanzione, pari allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo;
     c) se invece lo Stato adotta tempestivamente misure correttive, la procedura viene sospesa fino a quando il deficit non viene portato sotto il limite del 3 per cento. Se le stesse misure si rivelano, però, inadeguate, la procedura viene ripresa e la sanzione irrogata;
    la legge n. 243 del 2012, «Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione», all'articolo 6, comma 2, «Eventi eccezionali e scostamenti dall'obiettivo programmatico strutturale», prevede che: «Ai fini della presente legge, per eventi eccezionali, da individuare in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, si intendono:
     a) periodi di grave recessione economica relativi anche all'area dell'euro o all'intera Unione europea;
     b) eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese»;
    il comma 3, invece, prevede che: «Il Governo, qualora, al fine di fronteggiare gli eventi di cui al comma 2, ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente dall'obiettivo programmatico, sentita la Commissione europea, presenta alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica, nonché una specifica richiesta di autorizzazione che indichi la misura e la durata dello scostamento, stabilisca le finalità alle quali destinare le risorse disponibili in conseguenza dello stesso e definisca il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico, commisurandone la durata alla gravità degli eventi di cui al comma 2»;
    da più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità del Patto, perché questa, se non applicata considerando l'intero ciclo economico, genera rischi involutivi derivanti dalla contrazione della politica degli investimenti;
    in passato anche l'allora Presidente della Commissione europea, Romano Prodi, definì il Patto «inattuabile» per la sua rigidità;
    molti critici affermano, poi, che il Patto di stabilità e crescita non promuoverebbe né la crescita, né la stabilità, dal momento che finora esso è stato applicato in modo incoerente, come dimostrato, ad esempio, dal fatto che il Consiglio non è riuscito ad applicare le sanzioni, malgrado ne sussistessero i presupposti;
    l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha in diversi studi fatto presente come il prodotto interno lordo non sia un indicatore esaustivo per parametrare il benessere di un Paese e dei suoi cittadini (vedi rapporto Ocse How's Life 2013), ma che bisogna tener conto anche di altri indicatori, come la qualità e il costo delle abitazioni, salari, sicurezza dell'impiego e disoccupazione, l'educazione, la coesione sociale, la qualità dell'ambiente, la salute, la sicurezza e altri;
    recenti studi condotti da ricercatori universitari (vedi: Italy from economic decline to current crisis, Università Roma 3, Tridico 2013) suggeriscono come negli ultimi anni le misure di austerità adottate in Italia, e non solo, non hanno prodotto gli effetti positivi sperati, anzi hanno acuito gli effetti negativi;
    le misure di austerità introdotte dal Governo Monti e prima dal Governo Berlusconi avevano come scopo di diminuire la spesa pubblica e miravano a equilibrare il bilancio, con l'ovvia conseguenza di ridurre ulteriormente la spesa nazionale senza risultati notevoli in termini di crescita, recupero, nonché in termini di riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo;
    tali politiche di austerità hanno prodotto come risultato una riduzione della domanda aggregata e, direttamente e indirettamente, hanno indebolito il potere d'acquisto dei lavoratori (ad esempio, riducendo la spesa per servizi pubblici, sanità e istruzione);
    le cattive performance dell'Italia, stando ai dati, sono da ricercarsi nelle cattive politiche legislative e, in particolare, relative alla non tutela dei posti di lavoro;
    la Corte di giustizia europea, inoltre, nel 2004 stabilisce con una sentenza che la procedura di deficit eccessivo richiamata dal Patto non è obbligatoria; appare ormai evidente quanto sia difficile far valere i vincoli del Patto di stabilità e crescita nei confronti dei «grandi» dell'Unione europea, che, tra l'altro, ne furono gli stessi promotori. Invero, taluni Paesi registrano da anni deficit «eccessivi» secondo la definizione del Patto, ma ciò nonostante, malgrado gli avvertimenti e le raccomandazioni ricevute, non si sono poi visti applicare alcuna sanzione;
    nel marzo 2005, quindi, in risposta alle crescenti perplessità, l'Ecofin decise di ammorbidirne le norme per renderlo più flessibile. Decisione richiamata e ribadita dall'asse franco-tedesco nel 2008, per far fronte alla gravissima crisi finanziaria che ha investito i mercati e le economie di tutto il mondo in seguito alla cosiddetta crisi dei mutui americana del 2006;
    ulteriori istanze di riforma, nel senso di sospendere il diritto di voto dei Paesi che non rispettino i propri obblighi di bilancio, sono state manifestate, in particolare, dalla Germania, in occasione degli aiuti stanziati dai Paesi dell'eurozona per la grave crisi finanziaria della Grecia nel maggio 2010,

impegna il Governo:

a discostarsi temporaneamente dall'obiettivo programmatico di cui alle premesse, particolarmente per le questioni urgenti riguardanti la disoccupazione, la qualità e il costo delle abitazioni, i salari, la sicurezza dell'impiego, l'educazione, la coesione sociale, la qualità dell'ambiente, la salute e la sicurezza.
(1-00348)
«Castelli, Sorial, Caso, D'Incà, Nesci, Sibilia».
(24 febbraio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la politica economica europea in generale, e fiscale in particolare, non è stata capace di risolvere gli enormi problemi sociali sopraggiunti dopo la crisi del 2007. Una crisi che per profondità e lunghezza è più lunga della grande crisi del 1929;
    le politiche e le misure adottate dall'Unione europea per contrastare la crisi intervenuta nel 2007 hanno disegnato un quadro abbastanza stringente di obiettivi finanziari, in particolare la solidità dei bilanci pubblici, a discapito di misure (economiche e finanziarie) che potessero realmente implementare la strategia «Europa 2020». Mentre i vincoli di finanza pubblica, indebitamento e debito pubblico, sono stringenti, gli impegni per la crescita e lo sviluppo sono per lo più delle (buone) raccomandazioni e non prevedono sanzioni in caso di mancante raggiungimento. Il quadro che emerge è una serie di strumenti potenzialmente coerenti per coordinare le politiche fiscali europee tese a costruire un'agenda economica rafforzata, la stabilità dell'euro e la «regolamentazione» del settore finanziario, ma gerarchicamente slegata dalle policy per la crescita. Non a caso i vincoli-squilibri macroeconomici e di competitività sono emersi con tutta la loro violenza. Se anche la Germania ha ricevuto un richiamo dalla Commissione europea per il suo eccessivo surplus commerciale, c’è veramente qualcosa che non funziona nella politica economica europea;
    il Patto di stabilità è stato, peraltro, definito «Patto di stabilità e crescita», dunque non solo di stabilità; va sottolineato come, da solo, il crollo del prodotto interno lordo nel 2009 di 5,5 punti è responsabile matematicamente dell'aumento del rapporto debito/prodotto interno lordo di 7 punti e del rapporto della spesa pensionistica sul prodotto interno lordo di un punto;
    il vincolo del 3 per cento sul disavanzo deriva dal Patto di stabilità e crescita (Psc), che introduceva regole di disciplina fiscale poi rafforzatesi nel tempo attraverso i cosiddetti «Six-pack», «Fiscal Compact» e «Two-pack»: fino a creare un sistema assai complesso di procedure, vincoli e sanzioni. Il mancato rispetto del limite fa scattare la «procedura per disavanzo eccessivo» (Pde);
    peraltro, il cosiddetto «Fiscal compact» rappresenta solo un accordo fra Paesi e di rango inferiore nella gerarchia delle fonti rispetto al «Six-pack»e al «Two-pack», che sono parte dei Trattati che regolano l'Unione europea; il «Fiscal Compact», anche se di fatto applicato da quasi tutti i Paesi (ma no nel Regno Unito e nella Repubblica ceca) potrebbe dunque più facilmente essere abbandonato;
    in realtà, non esiste una valida teoria economica che giustifichi il rigido vincolo del 3 per cento, soglia massima nel rapporto deficit/prodotto interno lordo;
    la storia di quella percentuale «scolpita nella pietra» è complicata, opaca e misteriosa. Risale al 1991, quando viene firmato nella città olandese di Maastricht l'omonimo Trattato, fondamento per l'Unione monetaria da realizzarsi nel 1999. Economisti e giuristi che lavorano a quei testi, sotto l'autorevole influenza di Tommaso Padoa Schioppa, esplorano le condizioni per «un'area monetaria ottimale». In cerca di criteri di stabilità, finiscono per accordarsi sui seguenti parametri per l'accesso all'euro:
     a) inflazione non più alta di 1,5 punti rispetto ai tre Paesi con il tasso d'inflazione più basso;
     b) deficit statale non superiore al 3 per cento del Pil;
     c) debito pubblico non superiore al 60 per cento del prodotto interno lordo;
     d) stabilità del tasso di cambio nei due anni precedenti l'ingresso nell'unione monetaria;
     e) tassi d'interesse di lungo termine non superiori di oltre due punti rispetto ai tre Paesi dai tassi più bassi;
    ci si trova in pieno «regno del simbolismo», a proposito della soglia deficit/prodotto interno lordo, la cui validità non è mai stata dimostrata. Nessuno, infatti, è mai riuscito a dare una spiegazione plausibile sul perché quelle cifre furono scelte;
    di tutti questi criteri, alcuni non sono mai stati veramente applicati, come quello sul debito; altri hanno perso rilevanza con la creazione dell'euro: i tassi d'interesse e la parità di cambio li decide la Banca centrale europea a Francoforte, non sono più oggetto di politiche nazionali. È rimasto in piedi il tetto del 3 per cento per il fabbisogno del consolidato delle pubbliche amministrazioni; il rapporto deficit/prodotto interno lordo è il criterio che può far scattare (se non rispettato) una procedura d'infrazione, trasformare il Paese in vigilato speciale e così lanciare segnali d'allarme ai mercati, fino a quando, con severe politiche di austerità, il Paese sotto procedura per disavanzo eccessivo non rientra nei parametri;
    queste misure e le politiche di austerità stanno distruggendo l'economia europea sottraendole domanda interna, stabilità dei conti, occupazione e speranza. L'austerità, lungi dall'assicurare il risanamento dei conti pubblici, rischia, al contrario, di peggiorarli poiché i moltiplicatori fiscali fanno sì che tagliare un miliardo di euro riduce il reddito nazionale fino a 1,7 miliardi di euro, facendo così aumentare il rapporto debito/prodotto interno lordo. La stabilità dei conti pubblici, in questa crisi che tanto assomiglia a quella degli anni Trenta, si nutre di crescita e l'austerità uccide sia la crescita che la stabilità;
    gli obiettivi della strategia «Europa 2020» prevedono l'impegno per i Paesi europei dell'innalzamento al 75 per cento del tasso di occupazione e della riduzione di almeno 20 milioni del numero dei poveri. Viceversa, le politiche degli ultimi anni e la crisi si sono accompagnate ad una riduzione dell'occupazione e all'aumento del numero dei poveri che allontanano i Paesi europei, e l'Italia in particolare, dagli obiettivi comuni concordati, rendendo indispensabile una ridefinizione, sia pur temporanea, degli obiettivi sui saldi di bilancio, obiettivamente in conflitto con altri obiettivi sui quali il Paese si è formalmente impegnato a livello europeo, ad esempio con il «Fiscal Compact»;
    le conseguenze di questa politica sono sotto gli occhi di tutti: oggi, quasi 27 milioni di persone sono disoccupate nell'Unione europea, di cui più di 19 milioni nell'eurozona. La disoccupazione nell'eurozona è salita dal 7,8 per cento del 2008 al 12,1 per cento del novembre 2013. In Grecia, dal 7,7 per cento al 24,4 per cento e in Spagna dall'11,3 per cento al 26,7 per cento nello stesso periodo. In Europa, i disoccupati con meno di 25 anni sono 4,5 milioni;
    questi milioni di disoccupati nell'Unione europea, al 2013, comportano una riduzione del prodotto interno lordo potenziale dell'intera Unione europea dell'ordine del 5 per cento l'anno, corrispondente a circa 800 miliardi di euro; per l'Italia, si tratta di 80 miliardi di euro di ricchezza reale che non viene creata. Inoltre, la disoccupazione di lunga durata genera ulteriori costi derivanti dalla perdita di produttività del lavoro e comporta costi sociali quali povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, crisi familiari e tensioni sociali potenzialmente esplosive;
    in Italia, dopo il calo del 2,4 per cento nel 2012, anche nel 2013 il prodotto interno lordo è diminuito dell'1,9 per cento; nel frattempo, il debito pubblico ha registrato un nuovo record arrivando al 132,6 per cento del prodotto interno lordo;
    la disoccupazione è salita al 12,9 per cento ed i consumi sono crollati del 2,6 per cento malgrado la drastica riduzione (-4 per cento) già registrata nel 2012, raggiungendo così il loro minimo storico dal 1990;
    nel nostro Paese, tra il 2006 e il 2012, il numero dei poveri (la linea di povertà è definita come il 60 per cento del reddito mediano equivalente familiare) è aumentato di ben 3,9 milioni di persone, portando il numero complessivo dei poveri a circa 13,5 milioni (fissando la soglia di povertà nel 2006, aggiornandola, per gli anni successivi, solo in base al tasso di inflazione);
    il cosiddetto «Fiscal Compact» costringerà il Governo italiano, a partire dal 2016, a procedere al taglio del debito pubblico per 50 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni: un vero massacro sociale;
    viceversa, il Presidente degli Stati Uniti Obama ha varato, nel primo biennio, una maximanovra di investimenti pubblici. Nel primo biennio della presidenza Obama, il rapporto deficit/prodotto interno lordo arrivò a sfiorare il 12 per cento. La cura ha funzionato. Sia nel bilancio federale, sia in quelli della finanza locale, i conti pubblici americani oggi migliorano in modo spettacolare grazie alla ripresa (+3 per cento del prodotto interno lordo, più 8 milioni di posti di lavoro);
    come documentato da diversi economisti e dallo stesso Fondo monetario internazionale, le politiche di austerità decrementano il prodotto interno lordo, provocando una crescita del rapporto con il debito pubblico. Infatti, come rilevato dal Fondo monetario internazionale, per la gran parte dei Paesi i moltiplicatori fiscali hanno prodotto una caduta del prodotto interno lordo superiore alla riduzione del debito;
    i Paesi dell'eurozona, non essendo in grado di allineare il cambio con i propri fondamentali, sono giocoforza costretti per recuperare competitività ad agire attraverso la leva salariale. Questo scenario sta comportando una deflazione salariale (dovuta alle politiche cosiddette di «svalutazione interna») che, conseguentemente, ha ripercussioni sui consumi e sui prezzi dei beni (i dati Ocse prevedono un peggioramento delle dinamiche salariali nel corso del 2014 rispetto al 2013 per Italia e Spagna, rispettivamente del meno 0,4 per cento e del meno 1,2 per cento annuo);
    occorre esser consapevoli che, proseguendo con le politiche di «austerità» e affidando il riequilibrio alle sole «riforme strutturali», il destino dell'euro sarà segnato e l'esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo;
    di fronte ad una domanda scarsa e ad una spesa privata non sufficiente a sfruttare la capacità produttiva disponibile, il mercato è diventato un ostacolo al benessere di gran parte della popolazione. Anche molti di coloro che fino a ieri si sarebbero definiti seguaci del liberismo, davanti al dilemma tra aiutare un sistema capitalistico inefficiente o gettarlo nel disordine generale, sollecitano ora un intervento straordinario dello Stato nel sistema economico per salvare dal fallimento banche e imprese;
    nel Consiglio europeo del 24 e 25 ottobre 2013, la Commissione europea ha presentato una comunicazione «Potenziare la dimensione sociale dell'Unione economica e monetaria», fatta propria nelle conclusioni del Consiglio, come si può leggere nei seguenti punti:
  «37. Il Consiglio europeo accoglie con favore la comunicazione della Commissione europea sulla dimensione sociale dell'unione economica e monetaria, che giudica un'iniziativa positiva, ribadisce l'importanza degli sviluppi occupazionali e sociali nel contesto del semestre europeo. Occorre perseguire l'uso di un quadro di valutazione delle tematiche occupazionali e sociali nella relazione comune sull'occupazione e di indicatori occupazionali e sociali, in linea con quanto proposto dalla Commissione e sulla scorta degli opportuni lavori dei comitati competenti, in vista della decisione da parte del Consiglio in dicembre, confermata dal Consiglio europeo con l'obiettivo di usare questi nuovi strumenti già nel semestre europeo 2014. Tale più vasta gamma di indicatori ha lo scopo di permettere una maggiore comprensione degli sviluppi sociali.
   38. Il coordinamento delle politiche economiche, occupazionali e sociali sarà ulteriormente potenziato secondo le procedure esistenti, pur nel pieno rispetto delle competenze nazionali. Ciò richiede maggiore impegno per rafforzare la cooperazione tra le diverse formazioni del Consiglio, al fine di assicurare la coerenza di tali politiche in linea con i comuni obiettivi.
   39. Il coordinamento rafforzato delle politiche economiche e le ulteriori misure per potenziare la dimensione sociale nella zona euro sono facoltative per gli Stati che non aderiscono alla moneta unica e saranno pienamente compatibili con tutti gli aspetti del mercato unico»;
    ma, nei mesi scorsi, si è assistito a continue prese di posizione della Commissione europea in cui si minacciava l'applicazione all'Italia della procedura per deficit eccessivo, dalla quale l'Italia era appena uscita, anche per lo sforamento di un solo decimale. La Commissione europea, anche per ragioni di reputazione, è molto rigida verso un Paese con un rapporto debito/prodotto interno lordo che ha ormai superato il 130 per cento;
    il rientro nella procedura per deficit eccessivo non avrebbe, di per sé, significative conseguenze. Questo perché le normali procedure di controllo dei conti pubblici nazionali da parte della Commissione europea sono divenute così penetranti che, di fatto, essere o no sotto la procedura di deficit eccessivo non fa molta differenza. Il cosiddetto «semestre europeo» comporta già una serie di passaggi stringenti. La legge annuale di stabilità, il piano pluriennale di stabilità (che delinea gli obiettivi di medio termine della finanza pubblica), il piano nazionale di riforme (che determina gli obiettivi economici di medio termine) sono sottoposti al vaglio della Commissione europea e del Consiglio europeo;
    la procedura per disavanzi eccessivi comporta solo la possibilità di multe, che però non sono mai state applicate e quindi non sono granché credibili. Prima di arrivarci ci sono diversi passaggi che richiedono tempo. Sulla carta, la procedura sanzionatoria è stata accelerata dai «pack», ma al momento nessuno è in corso, anche perché molti Paesi hanno ricevuto un'estensione del periodo di aggiustamento. Paradossalmente, Paesi che di recente hanno goduto di una certa flessibilità sono proprio quelli sotto la procedura per deficit eccessivo: ad esempio, Spagna, Portogallo e Francia, che hanno ottenuto dilazioni per rientrare nel limite del 3 per cento. Attualmente, i Paesi sotto procedura per deficit eccessivo sono 17;
    certo, proprio perché le sanzioni non sono mai state applicate, nessun Paese vuole essere il primo a riceverle. L'unico vero pericolo della procedura per deficit eccessivo è, infatti, l'effetto di reputazione sui mercati finanziari. Un Paese ad alto debito come il l'Italia, che emette titoli ogni settimana per molti miliardi di euro, non può permettersi che il rientro nella procedura venga letto come un segno di lassismo sul fronte dei conti pubblici;
    ma un eventuale re-ingresso nella procedura per deficit eccessivo potrebbe far parte di una strategia precisa: mettere in opera misure realmente efficaci di contrasto all'evasione, abbassando allo stesso tempo le tasse, ridurre la spesa pubblica e rilanciare gli investimenti pubblici con un vero e proprio piano per il lavoro; l'eventuale temporaneo sfioramento del 3 per cento si deve accompagnare ad azioni capaci di aumentare l'occupazione ed il potenziale di crescita, rendendo perfino più credibile la riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo nel lungo periodo. Solo a queste condizioni la procedura per deficit eccessivo resterebbe un mero passaggio burocratico, senza alcun contenuto informativo e senza alcun significato politico. Anche il vincolo del pareggio strutturale presente nella Costituzione non sarebbe un ostacolo insormontabile su questo percorso, vista la fase negativa del ciclo e la discrezionalità della definizione;
    viceversa, non sembra auspicabile la strada dei cosiddetti «accordi contrattuali» (contractual arrangement), proposti dalla Commissione europea nel marzo 2013. Si tratta di programmi di riforma concordati tra un Governo nazionale e la stessa Commissione europea, che dovrebbero essere approvati dal Parlamento nazionale e dal Consiglio europeo, per poi essere attuati secondo una tabella di marcia prefissata. In cambio di questi impegni, un Paese potrebbe ricevere assistenza finanziaria dall'Unione europea, per coprire i costi delle riforme programmate nel breve periodo. La proposta della Commissione europea è stata approvata in linea di massima dal Consiglio europeo del dicembre 2013, che però ha rinviato all'ottobre 2014 la finalizzazione del nuovo strumento e la definizione dei relativi dettagli;
    un'altra strada suggerita dagli economisti Roberto Perotti e Enrico Marro è quella che prevede la possibilità di superare il limite del 3 per cento per il deficit e di scambiare il contributo che l'Italia versa al bilancio dell'Unione europea con le somme che l'Unione europea versa all'Italia per aiutare le regioni dell'obiettivo convergenza del nostro Paese (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) prevedendo, però, di concentrare gli interventi in queste cinque regioni;
    secondo i dati più recenti, l'Italia continuerà a non crescere e l'Unione europea è sulla soglia della deflazione (mentre il debito continua a salire). In queste condizioni, proseguire con gli impegni del «Fiscal Compact» evidentemente porterebbe al collasso del Paese, quindi, altrettanto evidentemente, non potendo pensare ad una finanziaria addizionale di 50 miliardi di euro l'anno per i prossimi 20 anni, è assai probabile che l'Italia non potrà rispettarlo. In queste condizioni di moltiplicatori fiscali, crescita e inflazione, insistere sul vincolo del 3 per cento, di fatto, rende impossibile pensare in qualche modo di potere mai rispettare quello del 60 per cento del rapporto debito/prodotto interno lordo. Di fatto, un vincolo esclude l'altro, il che rende contraddittorio da un punto di vista logico, ancora prima che economico, il proseguire su questa strada;
    servirebbe soprattutto una politica economica europea coerente con lo sviluppo dell'area euro, indicando le policy tese ad aumentare la domanda e, in particolare, gli investimenti. L'asse portante è quello della strategia «Europa 2020», a cui dovrebbe far seguito un bilancio pubblico europeo coerente e sganciato dai trasferimenti degli Stati. Servirebbe un bilancio pubblico europeo non inferiore al 4 per cento del prodotto interno lordo europeo, un'imposta europea capace di finanziare il bilancio pubblico senza mediazione degli Stati, degli investimenti (eurobond) tesi a industrializzare la così detta green economy e il ripristino della piena e buona occupazione come orizzonte della società europea;
    in attesa di un riordino normativo europeo teso a promuovere lo sviluppo e la buona occupazione attraverso un autonomo bilancio pubblico europeo, con un'imposta sul valore aggiunto, il Governo italiano, in ambito di semestre europeo, potrebbe sostenere delle misure una tantum per i Governi dell'area euro, con il concorso della Banca centrale europea, tese a rilanciare lo sviluppo via investimenti che anticipano i cosiddetti obiettivi europei 20-20-20;
    in particolare, si dovrebbe operare uno scorporo di alcune tipologie di spese e di investimenti dal calcolo dei saldi validi al fine del rispetto del Patto di stabilità e crescita. Tale scorporo, più volte proposto da autorità politiche ed esperti economici in Italia e in Europa, permetterebbe una ripresa della domanda pubblica che è necessaria – in assenza di un'adeguata dinamica della domanda per consumi, investimenti ed export – per condurre l'economia fuori dall'attuale depressione. Gli investimenti nei suddetti settori sono rilevanti, in primo luogo, per gli effetti aggregati sull'economia, che vedrebbe un aumento del prodotto interno lordo e, quindi, un miglioramento degli indicatori di sostenibilità del debito. In secondo luogo, l'investimento in tali settori condurrebbe l'Italia ad avvicinarsi in misura significativa agli obiettivi della strategia «Europa 2020», in una varietà di campi sociali ed ambientali,

impegna il Governo:

   a scorporare, nel bilancio 2014, gli investimenti pubblici relativi ai settori sotto elencati dal computo dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni rilevante per i vincoli dei Trattati europei:
    a) messa in sicurezza degli edifici scolastici;
    b) pubblica istruzione, università e ricerca;
    c) riqualificazione delle periferie attraverso piani di recupero;
    d) interventi di salvaguardia dell'assetto idrogeologico dei territori;
    e) recupero, salvaguardia e sviluppo del patrimonio artistico e ambientale;
    f) interventi di risanamento delle reti di distribuzione delle acque potabili;
    g) potenziamento del trasporto pubblico locale con particolare riguardo al pendolarismo regionale e al trasporto su ferro;
    h) interventi di risparmio energetico attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili;
   a verificare in parallelo la possibilità che tali investimenti – da realizzarsi anche negli altri Paesi dell'eurozona – siano finanziati a livello europeo per consentire all'insieme dell'Unione europea di uscire dal ristagno economico proponendo:
    a) la concessione di crediti da parte della Banca centrale europea al tasso di interesse più basso riservata a istituzioni finanziarie pubbliche – in Italia la Cassa depositi e prestiti – impegnate a realizzare il programma di investimenti pubblici necessario all'uscita dalla crisi;
    b) l'emissione di titoli garantiti dall'eurozona finalizzati alla realizzazione di tali investimenti;
    c) l'emissione di liquidità in modalità non convenzionali da parte della Banca centrale europea a copertura di tale programma di investimenti;
   a superare – in assenza delle misure precedentemente elencate – il tetto del 3 per cento per l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni nel bilancio 2014, giustificando tale azione politica con le condizioni di gravissima crisi economica e sociale del Paese;
   ad attivarsi in sede europea per il superamento di tutti i trattati e regolamenti che, imponendo rigide regole di bilancio, sono causa delle politiche di austerità e a promuovere politiche, misure e strumenti di politica economica, fiscale e di spesa, di carattere espansivo a favore dell'occupazione, dello sviluppo sostenibile e del welfare.
(1-00362)
(Nuova formulazione) «Marcon, Boccadutri, Melilla, Migliore, Di Salvo, Ricciatti, Pannarale, Scotto, Fava, Paglia, Lavagno, Airaudo, Placido».
(7 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il Patto di stabilità e crescita trova il suo fondamento politico nella risoluzione del Consiglio europeo adottata dai Capi di Stato e di Governo all'unanimità ad Amsterdam il 17 giugno 1997 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale C. 236 del 2 agosto 1997;
    il fondamento legale del Patto di stabilità e crescita si trova invece negli articoli 121 e 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; mentre l'articolo 121 fonda la fase preventiva del Patto di stabilità e crescita, l'articolo 126 costituisce il riferimento per gli strumenti correttivi; la procedura per deficit eccessivo ed il Protocollo 12 fissano infine i valori di riferimento: 3 per cento del prodotto interno lordo per il deficit e 60 per cento del prodotto interno lordo per il debito;
    con la risoluzione del 17 giugno 1997 tutti gli Stati firmatari si sono impegnati a rispettare l'obiettivo a medio termine di un saldo di bilancio vicino al pareggio o attivo e ad adottare i provvedimenti correttivi di bilancio necessari per conseguire gli obiettivi dei loro programmi di stabilità o di convergenza; gli Stati devono, inoltre, procedere senza indugio agli aggiustamenti correttivi del bilancio che ritengano necessari non appena ricevano informazioni indicanti il rischio di un disavanzo eccessivo e correggere al più presto gli eventuali disavanzi eccessivi; la risoluzione impegna, inoltre, gli Stati a non appellarsi al carattere eccezionale di un disavanzo conseguente ad un calo annuo del prodotto interno lordo inferiore al 2 per cento, a meno che non registrino una grave recessione (calo annuo del prodotto interno lordo reale di almeno lo 0,75 per cento);
    la Commissione europea, da parte sua, in forza del diritto d'iniziativa conferitole dal Trattato dell'Unione europea: redige una relazione quando vi sia il rischio di un disavanzo eccessivo o quando il debito pubblico previsto o effettivo superi il valore di riferimento del 3 per cento del prodotto interno lordo; fornisce al Consiglio i motivi giustificativi della sua posizione quando ritenga non eccessivo un disavanzo superiore al 3 per cento; elabora, a richiesta del Consiglio, una raccomandazione di principio in base alla quale il Consiglio stesso decide se un disavanzo è eccessivo o meno;
    il terzo attore di questo sistema, il Consiglio, composto dai Capi di Stato e di Governo, è «invitato» dalla risoluzione a decidere sistematicamente d'infliggere sanzioni e ad applicare rigorosamente tutta la gamma delle sanzioni previste se uno Stato membro partecipante non prende i provvedimenti necessari per porre fine ad una situazione di disavanzo eccessivo;
    ormai 17 anni fa, in un contesto economico profondamente diverso dall'attuale, si adottò questo sistema di regole aventi lo scopo dichiarato di salvaguardare le finanze pubbliche degli Stati contraenti, ponendo come idea fondante che le politiche economiche dei singoli Stati dovessero essere oggetto di interesse (e preoccupazione) condiviso dei membri dell'Unione europea;
    i presupposti fondanti del Patto di stabilità e crescita si sono tradotti, nel corso degli anni, in numerosi strumenti attuativi che, tuttavia, per inadeguatezza o per un'applicazione non adeguata, non hanno né impedito né contrastato il verificarsi della più grave crisi economica degli ultimi 50 anni in tutta Europa, che al momento non è avviata al superamento;
    il dibattito sulle necessità di riforma del Patto di stabilità e crescita è acceso da tempo, ma ha prodotto modifiche che hanno accresciuto le procedure per la formazione dei bilanci pubblici senza tramutarsi né in un sostegno alla ripresa né nella garanzia di bilanci più solidi da parte degli Stati membri;
    già nel 2004 la Commissione europea ha adottato una comunicazione sul rafforzamento della governance economica e sul chiarimento dell'attuazione del Patto di stabilità e di crescita. Tale comunicazione propone una serie di possibili miglioramenti del Patto stesso, concentrandosi soprattutto sulle evoluzioni dei fattori economici negli Stati membri e sulla sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche;
    le istituzioni comunitarie si sono date, nel dicembre 2012, una «tabella di marcia» per la realizzazione di un'autentica Unione economica e monetaria (Uem), che contempla ulteriori interventi volti a realizzare, a trattati vigenti o mediante modifica dei medesimi, un coordinamento effettivo e più stringente delle politiche economiche e di bilancio, mediante una maggiore condivisione di sovranità tra gli Stati membri;
    il nuovo sistema si articola, infatti, in un complesso di misure, di natura legislativa e non legislativa, intese, per un verso, a rafforzare i vincoli di finanza pubblica introdotti sin dalla creazione, nel 1993, dell'Unione economica e monetaria e, per altro verso, ad introdurre una cornice comune anche per le politiche economiche degli Stati membri ed, in particolare, per le misure finalizzate alla crescita e all'occupazione;
    il nuovo sistema si articola in:
     a) un meccanismo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche nazionali, mediante un ciclo di procedure e strumenti europei e nazionali concentrato nel primo semestre di ogni anno (cosiddetto semestre europeo, già operativo dal 2011);
     b) il Patto euro plus, che impegna gli Stati membri dell'area euro e alcuni altri Stati aderenti a porre in essere ulteriori interventi in materia di politica economica, il cui eventuale inadempimento non comporta l'adozione di sanzioni;
     c) il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria («Fiscal Compact») entrato in vigore il 1o gennaio 2013;
     d) le modifiche al Patto di stabilità e crescita («Six-pack» e «Two-pack»);
     e) la sorveglianza sugli squilibri macroeconomici (già applicata in base a due regolamenti del cosiddetto («Six-pack»);
     f) i meccanismi di stabilizzazione dell'eurozona;
     g) il Patto per la crescita e l'occupazione (cosiddetto «growth pact», accordo non vincolante stipulato dal Consiglio europeo di giugno 2012);
    nel novembre 2011 il Consiglio dell'Unione europea e Parlamento europeo hanno adottato un pacchetto di atti legislativi (il cosiddetto («Six-pack»), che mira ad un'applicazione ancora più rigorosa del Patto di stabilità e crescita, stabilendo:
     a) l'obbligo per gli Stati membri di convergere verso l'obiettivo del pareggio di bilancio con un miglioramento annuale dei saldi pari ad almeno lo 0,5 per cento;
     b) l'obbligo per i Paesi il cui debito supera il 60 per cento del prodotto interno lordo di adottare misure per ridurlo ad un ritmo soddisfacente, nella misura di almeno 1/20 dell'eccedenza rispetto alla soglia del 60 per cento calcolata nel corso degli ultimi tre anni;
     c) un semi-automatismo delle procedure per l'irrogazione delle sanzioni per i Paesi che violano le regole del Patto di stabilità e crescita. Le sanzioni sono, infatti, raccomandate dalla Commissione europea e si considerano approvate dal Consiglio, a meno che esso non la respinga con voto a maggioranza qualificata («maggioranza inversa») degli Stati dell'area euro;
     d) ai Paesi che registrano un disavanzo eccessivo si applicherebbe un deposito non fruttifero pari allo 0,2 per cento del prodotto interno lordo realizzato nell'anno precedente, convertito in ammenda in caso di non osservanza della raccomandazione di correggere il disavanzo eccessivo;
    a fronte di una così rigida costruzione procedurale, la concreta applicazione dei criteri è stata più volte subordinata a considerazioni di carattere politico. In passato, nel 2004, nessuna sanzione è stata comminata a Germania e Francia i cui disavanzi avevano superato per entrambe i limiti previsti e per i quali la Commissione europea aveva accertato l'incompatibilità con il Patto di stabilità e crescita;
    di fatto, nessuna procedura per disavanzo eccessivo fino ad oggi ha prodotto l'applicazione di sanzioni;
    sia nel 2012 sia nel 2013 la Commissione europea ha ritenuto necessario procedere all'indagine approfondita nei riguardi, rispettivamente, di 12 e 13 Paesi membri dell'Unione europea (tra cui l'Italia); in entrambi i casi, tuttavia, non si è dato corso alle fasi successive della procedura per squilibri macroeconomici, dal momento che, anche laddove – come nel caso della Spagna e della Slovenia nel 2013 – gli squilibri macroeconomici erano valutati come eccessivi, sono stati ritenuti soddisfacenti gli impegni assunti dagli Stati con i rispettivi piani correttivi;
    sulla base della relazione presentata il 13 novembre 2013, la Commissione europea ha stabilito che nel 2014 16 Stati su 28 (Belgio, Bulgaria, Croazia, Francia, Danimarca, Germania, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Finlandia, Regno Unito, Spagna, Slovenia, Svezia e Ungheria) saranno sottoposti ad un'indagine approfondita, i cui esiti verranno pubblicati in primavera;
    è evidente, dunque, che i limiti stabiliti nel 1997 non sono oggi più compatibili con la reale situazione economica dei Paesi membri e la necessità di perseguire politiche economiche che abbiano come linea guida l'interesse dei cittadini;
    accanto ai vincoli posti a carico degli Stati membri, esiste un sistema di vincoli interno conosciuto come «patto di stabilità interno», concepito come concorso degli enti locali e territoriali al rispetto del Patto di stabilità e crescita a livello statale; nel corso degli anni, ciascuno dei Paesi membri dell'Unione europea ha implementato internamente il Patto di stabilità e crescita seguendo criteri e regole proprie, in accordo con la normativa interna inerente la gestione delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo. Dal 1999 ad oggi, l'Italia ha formulato il proprio Patto di stabilità interno esprimendo gli obiettivi programmatici per gli enti territoriali ed i corrispondenti risultati ogni anno in modi differenti, alternando principalmente diverse configurazioni di saldi finanziari a misure sulla spesa per poi tornare agli stessi saldi. Le continue ridefinizioni del Patto di stabilità interno si sono tramutate in incertezza ed impossibilità di programmazione da parte degli enti;
    allo stesso tempo, le manovre di riduzione della spesa pubblica imposte allo Stato centrale sono state scaricate per larghissima parte sugli enti locali, procedendo con tagli lineari dei trasferimenti che non hanno mai tenuto conto dei comportamenti più o meno virtuosi delle singole amministrazioni, né di alcun criterio che privilegiasse la buona gestione, la qualità dei servizi resi, il numero di dipendenti o il rapporto tra spesa corrente ed investimenti in conto capitale decisi dagli enti locali e territoriali; il risultato è stato una compressione indistinta delle spese, soprattutto quelle per investimento, e la creazione di un enorme debito verso i fornitori;
    accanto ad amministrazioni che si sono attenute alle regole razionalizzando i bilanci e ristrutturando le spese, altre hanno creato enormi disavanzi per i quali è stato chiesto, e spesso ottenuto, l'intervento a carico del bilancio pubblico;
    in questo quadro diventa essenziale, come evidenziato anche nel corso dei lavori parlamentari, la disponibilità di strumenti di intervento diretti a supportare l'azione degli Stati membri che, versando in situazioni di particolare difficoltà sul piano economico e finanziario, dispongono di più limitati margini di intervento per porre in atto riforme volte ad accrescere la competitività e l'occupazione e a contrastare gli effetti sociali della crisi economica;
    la gravità della crisi economico-finanziaria che ha investito l'Unione europea e, in particolare, molte delle economie dell'area euro, impone l'adozione di risposte adeguate che non sacrifichino sull'altare del mero rigore contabile le condizioni concrete di vita dei cittadini, legate alle possibilità di lavoro, di salute, di benessere e di fiducia;
    in ogni caso, ulteriori evoluzioni della governance economica dovranno essere realizzati con modalità in grado di garantire la massima legittimità e la possibilità di controllo democratico sulle decisioni assunte e le procedure adottate a livello europeo;
    si osserva che nella risoluzione approvata il 23 maggio 2013, il Parlamento europeo ha ribadito che la governance nell'Unione europea non deve violare le prerogative del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali e che la previsione di accordi bilaterali tra l'Unione europea e gli Stati membri appare suscettibile di ledere il principio dell'ordinamento giuridico unico europeo;
    il Parlamento, attraverso vari atti di indirizzo e proposte emendative, ha più volte segnalato l'urgenza di intervenire finanziariamente per prevenire e contrastare tempestivamente il verificarsi di sciagure legate al rischio sismico ed idrogeologico, come anche all'incuria di molte strutture pubbliche come gli edifici scolastici, nonché di permettere soprattutto agli enti locali di potere effettuare investimenti legati all'esigenza di maggiore sicurezza per i cittadini;
    questi interventi devono ritenersi prioritari rispetto a qualunque obiettivo finanziario o di bilancio, perché prevengono la perdita di vite umane;
    recentissimamente, il 5 marzo 2014, il Commissario europeo per agli affari economici e monetari, Olli Rehn, ha pubblicamente invitato il nuovo Governo «ad affrontare gli squilibri che richiedono urgenti politiche e a fare le riforme per rafforzare crescita e occupazione»,

impegna il Governo:

   a negoziare in sede comunitaria la possibilità di effettuare investimenti in alcuni settori chiave di immediata ed inderogabile urgenza, quali il rischio idrogeologico, la messa in sicurezza degli edifici scolastici, la crisi occupazionale, la ripresa e la crescita economiche, la sicurezza dei cittadini, anche derogando temporaneamente ed entro percentuali concordate al limite del 3 per cento nel rapporto deficit/prodotto interno lordo;
   a promuovere in sede comunitaria ed intergovernativa con i partner dell'eurozona una revisione urgente dei vincoli derivanti dalla governance economica europea, anche sottoponendoli ad un confronto democratico e al voto popolare, al fine di graduare tali vincoli alla luce della necessità di attuare riforme in risposta ad una crisi economica di gravità e durata non prevista al momento della definizione delle regole attualmente in vigore;
   ad attuare una revisione della declinazione interna del Patto di stabilità e crescita, cambiando radicalmente l'approccio nei confronti degli enti locali e territoriali, stabilendo una declinazione dei vincoli direttamente proporzionale al grado di virtuosità degli enti, con meccanismi premiali per le amministrazioni virtuose e imponendo vincoli inderogabili per gli enti in dissesto, collegando qualunque intervento statale per il risanamento a programmi precisi di ripianamento.
(1-00363)
«Guidesi, Borghesi, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(7 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato sull'Unione europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, e da allora noto semplicemente come «Trattato di Maastricht», costituiva il fondamento per l'unione monetaria da realizzarsi nel 1999 e conteneva i cosiddetti parametri economici di convergenza, che ciascun Paese avrebbe dovuto rispettare per passare alla fase finale della stessa unione;
    i parametri da rispettare per l'accesso all'euro erano un tasso di inflazione non più alto di 1,5 punti rispetto ai 3 Paesi con il tasso d'inflazione più basso, un deficit statale non superiore al 3 per cento del prodotto interno lordo, un debito pubblico non superiore al 60 per cento del prodotto interno lordo, la stabilità del tasso di cambio nei due anni precedenti l'ingresso nell'unione monetaria, l'applicazione di tassi d'interesse di lungo termine non superiori di oltre due punti rispetto a quello dei tre Paesi dai tassi più bassi;
    nella realtà, alcuni di questi criteri non sono mai stati applicati, come quello sul debito, mentre altri hanno perso rilevanza con la creazione dell'euro, come, ad esempio, le decisioni sui tassi d'interesse, ormai sottratte alle singole politiche nazionali ed affidate alla Banca centrale europea a Francoforte;
    nel 1997 i Paesi membri dell'Unione Europea hanno stipulato e sottoscritto il Patto di stabilità e crescita (psc) inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all'unione economica e monetaria dell'Unione europea (eurozona) e, quindi, rafforzare il percorso d'integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht;
    in base al il Patto di stabilità e crescita, gli Stati membri che, soddisfacendo tutti i cosiddetti parametri di Maastricht, hanno deciso di adottare l'euro, devono continuare a rispettare nel tempo quelli relativi al bilancio dello stato, ossia un deficit pubblico non superiore al 3 per cento del prodotto interno lordo (rapporto deficit/prodotto interno lordo inferiore al 3 per cento) e un debito pubblico al di sotto del 60 per cento del prodotto interno lordo, o, comunque, un debito pubblico tendente al rientro (rapporto debito/prodotto interno lordo inferiore al 60 per cento);
    a tale scopo, il Patto di stabilità e crescita ha implementato la procedura di deficit eccessivo di cui all'articolo 104 del Trattato di Maastricht, la quale nello specifico consta di tre fasi: avvertimento, raccomandazione e sanzione;
    in particolare, se il deficit di un Paese membro si avvicina al tetto del 3 per cento del prodotto interno lordo, la Commissione europea propone – ed il Consiglio dei ministri europei, in sede di Ecofin, approva – un avvertimento preventivo (early warning), al quale segue una raccomandazione vera e propria in caso di superamento del tetto; se, a seguito della raccomandazione, lo Stato interessato non adotta sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, esso viene sottoposto ad una sanzione che assume la forma di un deposito infruttifero, da convertire in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo; l'ammontare della sanzione presenta una componente fissa pari allo 0,2 per cento del prodotto interno lordo ed una variabile pari ad un decimo dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3 per cento ed è comunque previsto un tetto massimo all'entità complessiva della sanzione pari allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo; se invece lo Stato adotta tempestivamente misure correttive, la procedura viene sospesa fino a quando il deficit non ritorna sotto il limite del 3 per cento, ma se le misure si rivelano inadeguate la procedura viene ripresa e la sanzione irrogata;
    in alternativa, il superamento del valore del 3 per cento per il disavanzo pubblico può essere considerato un fatto eccezionale e, quindi, esulare dalla procedura sanzionatoria, laddove sia determinato da un evento inconsueto non soggetto al controllo dello Stato membro interessato che abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure sia determinato da una grave recessione economica;
    il superamento del valore di riferimento è considerato temporaneo se le previsioni di bilancio elaborate dalla Commissione europea indicano che il disavanzo diminuirà al di sotto del valore di riferimento dopo che siano cessati l'evento inconsueto o la grave recessione economica;
    la procedura per i disavanzi eccessivi è solo uno dei due elementi di cui si compone il Patto di stabilità e crescita, mentre l'altro è a carattere preventivo ed impone agli Stati membri di presentare ogni anno, insieme al programma nazionale di riforma, un programma di stabilità (per i Paesi dell'area dell'euro) o di convergenza (per gli altri Paesi dell'Unione europea), nell'ambito del quale ciascuno Stato membro illustra come intenda mantenere o ristabilire una sana situazione delle proprie finanze pubbliche nel medio termine, e in relazione al quale la Commissione europea può formulare raccomandazioni (a giugno, nell'ambito del semestre europeo) ed eventualmente invitare il Consiglio a emettere un avvertimento per deficit eccessivo;
    al fine di consentire il raggiungimento dei più generali obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea con l'adesione al Patto europeo di stabilità e crescita, ogni anno vengono adottate le regole del Patto di stabilità interno, funzionali al conseguimento degli obiettivi finanziari fissati per le regioni e gli enti locali;
    la definizione delle regole del Patto di stabilità interno avviene durante la predisposizione ed approvazione della manovra di finanza pubblica, momento in cui si analizzano le previsioni sull'andamento della finanza pubblica e si decide l'entità delle misure correttive da porre in atto per l'anno successivo e la tipologia delle stesse;
    dal 1999 ad oggi il Patto di stabilità interno è stato formulato esprimendo gli obiettivi programmatici per gli enti territoriali ed i corrispondenti risultati ogni anno in modi differenti, alternando principalmente diverse configurazioni di saldi finanziari a misure sulla spesa per poi tornare agli stessi saldi;
    come sin qui esaminato, il mancato rispetto del limite del 3 per cento nel rapporto tra indebitamento netto della pubblica amministrazione e prodotto interno lordo può far scattare una procedura d'infrazione, trasformando un Paese in vigilato speciale e così lanciando segnali d'allarme e di instabilità ai mercati, fino a quando, in esito a severe terapie di austerity, il Paese oggetto della procedura non rientri nell'ambito dei parametri previsti dalla legislazione europea;
    nel corso degli anni sono state proposte delle modifiche per rafforzare il Patto di stabilità e crescita, volte a consentire all'elemento correttivo di tenere più conto del legame tra debito e deficit, specie nei Paesi che presentano un debito pubblico elevato (superiore al 60 per cento del prodotto interno lordo), accelerare la procedura per i disavanzi eccessivi e rendere l'imposizione delle sanzioni agli Stati membri semiautomatica e definire meglio il quadro di riferimento per i bilanci nazionali, affrontando questioni contabili e statistiche, nonché di tecnica di previsione;
    al contrario, soprattutto nell'ultimo decennio, da più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità delle regole di politica fiscale derivanti dal Patto di stabilità e crescita e la necessità di applicarlo considerando l'intero ciclo economico e non un singolo bilancio di esercizio, anche in considerazione dei rischi involutivi derivanti dalla politica degli investimenti troppo limitata che esso comporta;
    inoltre, molte critiche mosse al vincolo del 3 per cento affermano che la sua rigorosa applicazione non promuoverebbe né la crescita né la stabilità e che, anzi, le procedure promosse dall'Unione europea nei confronti dei Paesi inadempienti danneggerebbero ulteriormente sistemi economici che già versano in stato di sofferenza;
    peraltro, considerato che la procedura per disavanzo eccessiva richiamata dal Patto di stabilità e crescita non è obbligatoria, appare evidente come sia difficile far valere i suoi vincoli nei confronti dei «grandi» dell'Unione europea, come dimostrato anche dal fatto che il Consiglio non è riuscito ad applicare le sanzioni in esso previste contro la Francia e la Germania, malgrado ne sussistessero i presupposti;
    in Italia, già nel 1998 l'economista Luigi Pasinetti, in un saggio pubblicato sul Cambridge Journal of Economics nel 1998 (un anno prima della nascita dell'euro) attaccò duramente «mito e follia del 3 per cento», contestando una soglia deficit/prodotto interno lordo «la cui validità non è mai stata dimostrata» e stigmatizzando il fatto che «nessuno è mai riuscito a dare una spiegazione plausibile sul perché quelle cifre furono scelte»;
    nel primo quindicennio di vigenza del Patto di stabilità e crescita, i Paesi dell'area euro hanno registrato il tasso di crescita medio più basso tra le principali aree economiche mondiali dopo quella dell'America latina, e nello stesso periodo il deficit del bilancio pubblico è più che raddoppiato, passando dall'1,3 per cento del 1998 al 2,7 per cento del 2003;
    nel 2012, dei diciassette Paesi appartenenti all'eurozona solo cinque avevano un indice deficit/prodotto interno lordo inferiore al 3 per cento, ai quali va aggiunta l'Italia, assestata esattamente su quel valore;
    nell'ultimo quinquennio, da quando l'economia europea è entrata in una fase di perdurante stagnazione e recessione, i dubbi e le perplessità nei confronti delle regole del Patto di stabilità e crescita si sono rafforzati ed estesi;
    sulla capacità delle politiche di austerity di rimettere in equilibrio la zona euro, lo scetticismo sembra ormai prevalente, come segnalato anche dal «monito degli economisti», pubblicato sul Financial Times nel settembre 2013, nel quale esponenti delle più diverse scuole di pensiero economiche concordano nel ritenere che le attuali politiche di rigore stiano in realtà pregiudicando la sopravvivenza dell'Unione europea;
    persino il Fondo monetario internazionale ha espresso perplessità in merito alla pretesa di riequilibrare l'eurozona, puntando tutto su pesanti dosi di austerity a carico dei Paesi debitori;
    sia nel caso della Grecia sia in quello del Portogallo, infatti, il Fondo monetario internazionale ha ammesso i limiti delle politiche di austerity confessando – nel caso greco – di aver sottostimato i danni all'economia greca causati dalle rigidità imposte nel piano di aiuti, mentre, con riferimento al caso portoghese, nel settembre del 2013 è stato pubblicato un rapporto interno del Fondo monetario internazionale nel quale si legge non solo che l’austerity deve avere un «limite di velocità», ma anche che alcune delle politiche imposte hanno presentato rischi di «autodistruzione» per l'economia locale;
    volendosi allontanare dalla dimensione solo teorica del dibattito, non va dimenticato che negli Stati Uniti, nel pieno della recessione del 2009, il neopresidente Barack Obama ha intrapreso una politica di investimenti pubblici che, dopo aver inizialmente portato il rapporto deficit/prodotto interno lordo a sfiorare il 12 per cento, ha determinato una spettacolare ripresa del prodotto interno lordo di oltre il tre per cento;
    nel nostro Paese, pur avendo il dogma del 3 per cento avuto tanti sostenitori in buona fede – perché applicare la disciplina dell’austerity sembra un vincolo esterno salvifico per impedire all'Italia di praticare vizi nazionali distruttivi quali spese pubbliche parassitarie, clientelari, fonti di sprechi e corruzione – appare sempre più evidente il fatto che esso impedisce un risanamento che passi attraverso una politica di investimenti e possa, quindi, determinare una ripresa dell'economia,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di un temporaneo scostamento dalla soglia massima nel rapporto deficit/prodotto interno lordo prevista dal Patto di stabilità e crescita, al fine di realizzare una consistente riduzione della pressione fiscale sul lavoro che possa restituire potere d'acquisto alle famiglie e rilanciare la crescita, nonché con riferimento alla realizzazione di infrastrutture strategiche, a misure per l'innovazione tecnologica e all'azzeramento del digital divide, alle politiche di sostegno al reddito, alle politiche di sostegno alla famiglia, alle misure volte a ridurre la pressione fiscale a carico delle imprese e di tutte le realtà produttive, alle misure in materia di protezione civile, per la messa in sicurezza dei territori e la prevenzione dei rischi idrogeologici, alla gestione dei flussi migratori, all'edilizia scolastica ed all'edilizia carceraria, al rilancio della competitività del tessuto produttivo nazionale, attraverso politiche di sostegno alle industrie e alle imprese e alle misure in favore della ricerca e dello sviluppo tecnologico;
   ad adottare le iniziative necessarie affinché il Patto di stabilità interno preveda adeguati meccanismi premiali in favore degli enti locali e delle regioni che si siano dimostrate virtuose;
   a promuovere nelle competenti sedi a livello europeo un confronto sulle regole del Patto di stabilità e crescita, che ne permetta un'eventuale revisione nell'ottica di fornire risposte più efficaci, sotto il profilo delle politiche economiche e fiscali, alla perdurante situazione di crisi e stagnazione che affligge parte delle economie dell'eurozona, al fine di consentire l'applicazione di misure che favoriscano un reale rilancio di tali economie.
(1-00372)
«Giorgia Meloni, Maietta, Taglialatela, Totaro».
(13 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica e finanziaria, registrata a partire dal 2009, ha spinto l'Unione europea verso un'ampia revisione della propria governance che ha rafforzato gli strumenti e le procedure per una più rigorosa politica di bilancio, promosso la solidità finanziaria dell'area europea, ma trascurato le politiche per lo sviluppo e il lavoro;
    se le condizioni finanziarie nell'area dell'euro sono oggi molto meno tese rispetto alla fine del 2011, nell'eurozona e in Italia una ripresa in grado di riassorbire la disoccupazione non è in vista e il raggiungimento di un equilibrio stabile è ancora lontano, poiché continua a mancare un meccanismo di riduzione delle divergenze nelle strutture economiche dei Paesi dell'area euro, in assenza del quale non sarà possibile dare definitiva soluzione neanche ai problemi dei debiti sovrani;
    approvando con una larga maggioranza il rapporto Gualtieri-Trzaskowski sui problemi costituzionali della governance multilivello nell'Unione europea, il Parlamento europeo è entrato con forza nel dibattito sul futuro delle istituzioni europee e del governo dell'euro: il rapporto, infatti, sottolinea la necessità di avviare da subito le riforme possibili sulla base degli attuali trattati e dell'utilizzo dei numerosi strumenti di flessibilità presenti al loro interno, a partire dalla costituzione di una «capacità fiscale» aggiuntiva per l'eurozona da collocare all'interno del bilancio dell'Unione europea;
    se va vista con favore la cosiddetta investment clause (sancita dal Consiglio europeo su proposta italiana), sulla base della quale può essere consentito ai Paesi non sottoposti a una procedura per disavanzo eccessivo, ovvero a un programma di aiuti, di versare la quota di cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali dell'Unione europea, in deroga all'obiettivo di pareggio del bilancio, continua ad essere assente una vera e propria golden rule estesa all'insieme degli investimenti che possano esercitare un impatto positivo sulla crescita territoriale e sulla riduzione della disoccupazione;
    lo sforzo per correggere l'andamento dei conti pubblici è stato imponente negli ultimi due anni, con un aggiustamento fiscale di circa 3 punti percentuali in termini strutturali grazie al quale la soglia del 3 per cento non è stata superata;
    l'uscita dalla procedura per disavanzi eccessivi dell'Unione europea è uno dei risultati visibili di quest'azione. Il calo dello spread sotto i 200 punti base testimonia come gli sforzi del Paese siano stati importanti e riconosciuti;
    è necessario cogliere il risultato dal significativo sforzo di consolidamento fiscale che ha interessato la gran parte dei Paesi europei tra cui l'Italia: ora che i conti pubblici presentano margini di sostenibilità ben più ampi rispetto alla situazione pre-crisi, occorre porre il tema centrale della crescita e del sostegno all'occupazione al centro del dibattito politico in sede europea, anche in vista delle prossime elezioni e del pericolo che si affermino formazioni anti-euro;
    questo significa che non può essere messo in discussione l'impegno al rispetto del tetto del -3 per cento dell'indebitamento netto, ma solamente che, qualora necessario ai fini del sostegno alla crescita, sarebbe eventualmente possibile peggiorare l'obiettivo di indebitamento netto dal -2,6 per cento, fermo restando il suo contenimento entro i limiti previsti dal Patto di stabilità e crescita;
    la Commissione europea ha pubblicato il 5 marzo 2014 le conclusioni scaturite dagli esami approfonditi relativi alle economie di 17 Stati membri, secondo le quali «la Germania dovrebbe orientare le priorità strategiche verso il rafforzamento della domanda interna e della crescita a medio termine, mentre la Francia e l'Italia dovrebbero affrontare gli ostacoli alla crescita a medio termine pur dedicandosi alle riforme strutturali e al risanamento di bilancio»;
    il programma di riforme annunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri è in linea con le indicazioni emerse dall'analisi della Commissione europea e consentirebbe di rilanciare la domanda interna e, per questa via, il tasso di crescita e, quindi, anche gli obiettivi di finanza pubblica, poiché l'andamento dell'economia ha effetti sul rispetto dei parametri di finanza pubblica, i cui risultati derivano prevalentemente dal denominatore del rapporto, cioè dalla crescita modesta degli anni precedenti la crisi e poi dalla profonda recessione;
    occorre, altresì, completare alcuni aspetti dell'unione economica e monetaria rimasti sinora singolarmente ai margini del dibattito istituzionale, quali la mutualizzazione del debito sovrano degli Stati dell'area euro e l'emissione di titoli europei per finanziare grandi progetti in grado di rilanciare stabilmente l'economia europea,

impegna il Governo:

   a promuovere in ambito europeo il contemperamento, in sede di applicazione delle regole vigenti o prospettando appropriate modifiche normative, tra la stabilità delle finanze pubbliche e l'adozione di misure per il rilancio della crescita e dell'occupazione, soprattutto giovanile, e per il contrasto della povertà e della discriminazione sociale;
   a sostenere il proseguimento della tabella di marcia per un'autentica unione economica e monetaria, con particolare riferimento all'introduzione di meccanismi per la mutualizzazione del debito sovrano dei Paesi dell'area euro, anche delle forme, proposte in diverse sedi, in base alle quali ciascun Paese deve farsi carico del pagamento della propria quota di interessi, alla creazione di un'autonoma capacità fiscale dell'eurozona e all'emissione in comune di titoli per finanziare grandi progetti in grado di rilanciare stabilmente l'economia europea;
   a promuovere l'estensione della golden rule in modo da permettere lo scomputo di alcune voci di spesa per investimenti che possano esercitare un impatto a breve positivo sulla crescita territoriale e sulla riduzione della disoccupazione dai parametri finanziari rilevanti nel processo europeo di coordinamento dei bilanci pubblici nazionali;
   a favorire l'introduzione di meccanismi asimmetrici e anticiclici incardinati nel bilancio europeo per il finanziamento dei sussidi alla disoccupazione e per il sostegno dell'occupazione, in particolare giovanile, e per il finanziamento di infrastrutture di rilevanza europea;
    a farsi promotore di una politica economica della zona euro che possa assicurare un aggiustamento più equilibrato tra i Paesi in deficit e i Paesi in surplus.
(1-00386)
«Marchi, Causi, Boccia, Bonavitacola, Paola Bragantini, Capodicasa, Censore, De Micheli, Fanucci, Fassina, Cinzia Maria Fontana, Giampaolo Galli, Giulietti, Guerra, Laforgia, Losacco, Marchetti, Melilli, Misiani, Parrini, Preziosi, Rubinato, Fabbri».
(20 marzo 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER PROMUOVERE LA PARITÀ DI GENERE NEL SETTORE DELLO SPORT

   La Camera,
   premesso che:
    la Carta europea dello sport del Consiglio d'Europa recita: «Per sport si intende qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o meno, abbia per obiettivo l'espressione e il miglioramento della condizione fisica e mentale, con la promozione della socializzazione e con il perseguimento di risultati in competizioni a tutti i livelli»;
    la pratica sportiva, dunque, coinvolge dimensioni diverse dell'esistenza individuale e collettiva: tempo libero, modelli di comportamento e aspetti economici, interessando tutti i cittadini indipendentemente da genere, razza, età, disabilità, religione e convinzioni personali, orientamento sessuale e provenienza sociale o economica. Come detto da Pierre de Coubertin, padre dei giochi olimpici moderni, lo sport «è parte del patrimonio di ogni uomo e di ogni donna e la sua assenza non potrà mai essere compensata»;
    i numerosi benefici dell'attività fisica e dell'esercizio fisico nel corso della vita sono ben documentati e, più in generale, contribuiscono alla qualità della vita, come confermato dall'Organizzazione mondiale della sanità. I ricercatori confermano il ruolo che lo sport e l'attività fisica hanno nello sviluppo dei bambini e degli adolescenti e rilevano che la partecipazione a un'attività fisica e sportiva nell'adolescenza è positivamente associata a livelli di attività fisica in età adulta;
    sono, inoltre, sempre più numerose le prove che attestano la positiva correlazione tra esercizio fisico e salute mentale, sviluppo mentale e processi cognitivi. Nell'Unione europea, i livelli di attività fisica sono in correlazione positiva con la speranza di vita, il che significa che in quei Paesi, dove i livelli di attività fisica sono più elevati, l'aspettativa di vita tende a essere più lunga;
    secondo l'Eurobarometro speciale sullo sport e l'attività fisica (2010), il 34 per cento degli uomini e il 43 per cento delle donne in Europa non praticano attività fisiche ricreative. Esistono delle enormi differenze circa la partecipazione allo sport e all'esercizio fisico tra i vari Paesi europei, che dipendono, tra le altre cose, dalla cultura e dalle opportunità. Nei Paesi scandinavi, dove sia gli Stati che gli individui stessi sostengono uno stile di vita attivo, la percentuale della popolazione attiva è molto alta, mentre la maggioranza della popolazione nei Paesi dell'Europa meridionale preferisce una vita sedentaria;
    già nel 1996 tutti i Ministri dello sport europei siglarono un accordo in cui manifestarono con forza a favore dello «sport per tutti», ponendosi l'obiettivo di offrire le stesse opportunità di pratica sportiva a tutti i cittadini;
    nella «Dichiarazione di Nizza», sottoscritta dai Governi dell'Unione europea nel dicembre 2000, ad esempio, si definisce lo sport come un «nuovo diritto di cittadinanza» mettendone in luce le sue caratteristiche transnazionali, che vanno oltre le pur forti radici nelle tradizioni e nelle culture delle popolazioni;
    in un'eccellente ricerca sulle federazioni sportive in provincia di Torino, pubblicata nel 2003, veniva riportato che, a livello europeo, da più parti, iniziava a diffondersi e a consolidarsi una concezione di sport come «diritto a stare bene»;
    nel 2011 la Commissione europea ha adottato una strategia per sviluppare la dimensione europea dello sport. Lo sport aiuta a superare le barriere sociali e a mettere in contatto persone di qualsiasi estrazione. L'Unione europea, in particolare, incoraggiò i 28 Stati membri a proporre iniziative che avrebbero ricorso allo sport per migliorare l'inclusione sociale;
    più recentemente, la relazione del novembre 2011 della Commissione europea sulla dimensione europea dello sport ricorda che lo sport contribuisce alla realizzazione degli obiettivi strategici dell'Unione europea, poiché pone in rilievo valori pedagogici e culturali fondamentali e costituisce un vettore di integrazione, nella misura in cui si rivolge a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione;
    nonostante il sempre più crescente valore riconosciuto alle pratiche sportive, risulta, infatti, ancora persistente una forte segregazione verticale delle donne nello sport, specie all'interno delle organizzazioni sportive dove latitano in maniera preoccupante le donne che occupano posizioni direttive, e sono spesso tutti di genere maschile i dirigenti di federazioni in cui, pur in proporzioni ridotte, sono presenti anche donne praticanti;
    anche le fasce tecniche (arbitri e allenatori), guardate con attenzione nella composizione di genere, si rivelano ambiti dove le donne sono presenti in modo frastagliato ed in misura minore di quanto ci si potrebbe aspettare, sulla base della semplice composizione della platea di praticanti;
    dietro la tradizionale separazione tra uomini e donne nella pratica dello sport riappare, inoltre, in maniera prepotente lo spettro della «diversa retribuzione a parità di lavoro» che, almeno formalmente ed esplicitamente, in molti ambiti di lavoro non è praticabile e che, invece, divide drasticamente e «per scritto» il destino di due atleti, differenti solo nel genere;
    come è stato più volte denunciato, inoltre, la gran parte degli atleti svolge attività lavorativa in forma, si potrebbe dire, «atipica», senza la copertura dei contratti collettivi e comunque fuori dalle normali tutele del lavoro dipendente. Questa atipicità diviene drammatica quando a farne le spese sono le donne, che troppo spesso sottoscrivono con i club contratti di natura privata che non ne tutelano condizioni ed aspettative, essendo, peraltro, assente nelle società sportive femminili la soglia di passaggio dall'attività professionale alla professionistica. Sull'argomento, peraltro, non esistono informazioni chiare ed è per questo che si avverte sempre di più la necessità di maggiore attenzione in materia, specialmente da parte delle istituzioni interessate;
    per cercare di dare risalto alla situazione descritta, comune a molti Paesi europei, presso l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere con sede a Vilnius, si è svolto i primi di dicembre 2013 un incontro promosso in collaborazione con la Commissione europea per fare il punto sulla condizione delle donne nei Paesi dell'Unione europea;
    l'obiettivo dell'appuntamento di Vilnius è stato quello di dare risalto alla Carta europea dei diritti delle donne nello sport, una proposta relativa a una strategia specifica sulla parità di genere e lo sport per il 2015-2020, avviata grazie al lavoro del dipartimento internazionale ed al progetto europeo Olympia, con il quale si è avuta la possibilità di rivedere e ridisegnare la Carta europea dello sport, partendo dalle esperienze di attività, dall'analisi della pratica sportiva delle donne in Europa e dal confronto tra diversi soggetti associativi ed istituzionali;
    come ricordato dai maggiori gruppi dell'associazionismo sportivo, la Carta europea dei diritti delle donne nello sport dà un fondamentale apporto alla diffusione delle buone pratiche nello sport e alla promozione delle pari opportunità nei diversi ambiti che interessano lo sport, come la pratica sportiva, la formazione e ricerca, l'informazione e comunicazione, la leadership. La Carta europea dei diritti delle donne nello sport ha, inoltre, il pregio ulteriore di muovere i suoi passi dall'esperienza diretta di un gruppo di esperti di organizzazioni sportive governative e non governative,

impegna il Governo:

   a porre in essere tutte le possibili iniziative volte ad incoraggiare una reale parità di genere nei board dirigenziali degli organismi federali delle varie discipline sportive;
   a porre in essere tutte le opportune iniziative, anche normative, per ridurre il gender pay gap tra atleti di sesso diverso e per implementare ogni forma di tutela possibile ai fini di una paritaria contrattualizzazione, senza discriminazioni legate al genere, anche incentivando il riconoscimento nelle competenti sedi del professionismo sportivo delle donne;
   ad attivarsi in tutte le sedi istituzionali europee affinché sia dato adeguato seguito alla Carta europea dei diritti delle donne nello sport presentata il 25 maggio 2011.
(1-00290)
«Brunetta, Centemero, Carfagna, Bergamini, Calabria, Castiello, Faenzi, Gelmini, Giammanco, Milanato, Petrenga, Polidori, Polverini, Prestigiacomo, Sandra Savino, Elvira Savino, Abrignani, Palese».
(19 febbraio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    lo sport ricopre un ruolo sociale fondamentale, riconosciuto anche dal Libro bianco sullo sport dell'11 luglio 2007 (COM(2007)391), presentato dalla Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo, che ha messo al centro il tema dell'inclusione, della sostenibilità e delle pari opportunità per lo sport per tutti;
    il trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1o dicembre 2009, ha riconosciuto lo sport come un settore di competenza dell'Unione europea in cui essa può sostenere, coordinare e integrare le attività dei suoi Stati membri. Promuovendo una crescita sostenibile, intelligente e inclusiva, nonché la creazione di posti di lavoro, lo sport contribuisce anche al conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. Esso ha, inoltre, effetti positivi sull'inclusione sociale, l'istruzione e la formazione, nonché sulla salute pubblica e l'invecchiamento attivo;
    lo sport nei Paesi europei è cambiato ed è cambiata la domanda di pratica sportiva da parte delle donne;
    nel 1985, l'Unione italiana sport per tutti (Uisp), associazione di sport che ha l'obiettivo di estendere il diritto allo sport a tutti i cittadini, in quanto lo sport per tutti è un bene che interessa la salute, la qualità della vita, l'educazione e la socialità e per questo deve essere meritevole di riconoscimento e di tutela pubblica, ha presentato la Carta europea dei diritti delle donne nello sport, per promuovere le pari opportunità tra uomini e donne nella pratica sportiva;
    nel 1987, il Parlamento di Strasburgo ha fatto propria la Carta europea dei diritti delle donne nello sport per invitare i Paesi europei a mettere in atto azioni per la promozione dello sport tra le donne e, nel contempo, diversi comuni e province hanno approvato una propria Carta europea dei diritti delle donne nello sport, per cercare di mettere in pratica azioni concrete per le pari opportunità;
    la Carta europea dei diritti delle donne nello sport ha avuto uno sviluppo e una rivisitazione, grazie al lavoro dell'Unione italiana sport per tutti e di altre associazione europee, per evidenziare la trasformazione, i cambiamenti della domanda di sport e per includere le esigenze di un'Europa allargata ad altri Paesi e culture;
    la nuova proposta di Carta europea dei diritti delle donne nello sport elaborata dall'Unione italiana sport per tutti, in collaborazione con altri partner europei nell'ambito del progetto «Olympia – Equal opportunities via and within sport» è indirizzata da tutti gli operatori sportivi, alle associazioni ed organizzazioni sportive, alle istituzioni, ai Paesi dell'Unione europea, tifoserie e media, ed è stata presentata al Parlamento europeo il 25 maggio 2011;
    a tutt'oggi, la nuova Carta europea dei diritti delle donne nello sport non è stata ancora approvata dal Parlamento europeo, nonostante l'interesse e l'impegno di diverse parlamentari italiane e non solo;
    a distanza di quasi 30 anni dalla presentazione della prima Carta europea dei diritti delle donne nello sport, nonostante i progressi e l'incremento della partecipazione delle donne nella pratica sportiva e motoria, permangono delle differenze in termini di pari opportunità, sia per quanto riguarda il coinvolgimento delle donne in ambito dirigenziale, di leadership nelle società sportive, nelle federazioni, nelle associazioni, sia per quanto riguarda la persistenza di stereotipi di genere nella pratica sportiva;
    i più recenti dati Istat disponibili (indagine multiscopo 2011, utilizzata da Tangos: «Tavolo nazionale per la governance nello sport») evidenziano che rispetto agli anni Novanta la quota di praticanti è cresciuta tra le donne, ma che l'aumento della pratica femminile è sostanzialmente dovuto alle bambine di 6-10 anni, alle donne tra i 45 e i 54 anni e a quelle nella fascia tra i 60 e i 64 anni. Prendendo i dati dei praticanti in modo continuativo nella fascia di età tra i 20 e i 44 anni, le sportive sono intorno al 20 per cento contro l'oltre 30 per cento dei coetanei maschi. Il divario massimo di circa il 24 per cento è nella fascia tra i 20 ed i 24 anni;
    la stessa indagine evidenzia che i sedentari, cioè coloro che non svolgono alcuna attività sportiva ma nemmeno una qualche attività fisica nel tempo libero, sono il 39,8 per cento tra gli uomini e ben il 44,4 per cento tra le donne;
    utilizzando un'altra fonte, i dati dell'Eurobarometro speciale sullo sport e l'attività fisica (2010), è interessante osservare come le donne italiane (dai 15 ai 54 anni) citino la «mancanza di tempo» quale causa della mancata pratica sportiva in misura maggiore rispetto alla media europea;
    la Carta europea dei diritti delle donne nello sport riconosce: il diritto delle donne e degli uomini ad avere le stesse opportunità di praticare sport in tutte le età e condizioni, senza distinzioni di provenienza sociale e culturale, in ambienti sani e che rispettino la dignità umana; il diritto di donne e di uomini ad avere pari opportunità nella partecipazione ai processi dirigenziali a tutti i livelli delle associazioni e federazioni e ad essere rappresentati in maniera equa nei diversi organismi dirigenziali e in tutti i ruoli decisionali e di potere del mondo dello sport; il diritto di donne e uomini a praticare diversi sport a qualsiasi età e sviluppare competenze nell'ambito dello studio dello sport e della pratica motoria, affinché, senza distinzione di genere, sia possibile ad entrambi sviluppare il proprio impegno sportivo durante tutto l'arco della vita; il diritto di donne e uomini ad un pari trattamento a tutti i livelli e in ogni campo delle scienze sportive affinché possano diventare membri delle comunità scientifiche e influenzare teorie, metodi e sistemi di ricerca anche nel mondo dello sport; il dovere degli insegnanti di educazione fisica, degli educatori sportivi, degli allenatori e delle altre figure educative che lavorano nelle diverse sedi e agenzie formative di combattere le discriminazioni di genere nello sport e di adottare ed implementare i principi dell'uguaglianza di genere e di valorizzazione delle differenze. Donne e uomini, nell'esprimere la propria attitudine sportiva ai massimi livelli, devono avere le stesse opportunità, anche attraverso un'equa distribuzione delle risorse, degli investimenti e degli incentivi economici destinati alla promozione dello sport di alto livello; donne e uomini devono, inoltre, avere le stesse opportunità nel manifestare ed esprimere la propria passione sportiva di tifose e tifosi e partecipare alla vita associativa dei gruppi organizzati di tifoserie. Il tifo femminile deve essere rispettato e le donne devono avere l'opportunità di ricoprire ruoli di responsabilità nei gruppi e non essere considerate semplicemente spettatrici, anche attraverso una rappresentazione da parte dei media rispettosa delle differenze e che attribuisca ai risultati delle atlete una visibilità equa rispetto a quelli conseguiti dai colleghi maschi;
    nel mese di dicembre 2013 si è svolto a Vilnius un appuntamento europeo promosso dalla Commissione europea per fare il punto sull'attività sportiva delle donne nei Paesi dell'Unione europea. Obiettivo della conferenza era discutere una proposta relativa a una strategia specifica sulla parità di genere e lo sport per il 2015-2020 da prepararsi a cura di un gruppo di esperti delle organizzazioni sportive governative e non governative. La conferenza è concentrata su temi quali la parità di genere nelle posizioni di responsabilità, le modalità per promuovere la partecipazione delle ragazze e delle donne allo sport, la prevenzione della violenza e delle molestie sessuali nello sport nonché l'eliminazione degli stereotipi di genere a valenza negativa,

impegna il Governo:

   ad attivarsi in tutte le sedi istituzionali europee affinché la nuova Carta europea delle donne nello sport presentata il 25 maggio 2011 sia al più presto approvata;
   a recepire nell'ordinamento italiano la Carta europea delle donne nello sport approvata nell'ambito del progetto «Olympia» e presentata al Parlamento europeo il 25 maggio 2011, predisponendo tutte quelle iniziative economiche e normative necessarie affinché vi sia un'effettiva promozione delle pari opportunità nella pratica sportiva, nella fruizione paritaria degli impianti sportivi, nella ricerca di strumenti utili a promuovere la partecipazione femminile alle varie discipline sportive e ai processi decisionali, attraverso l'inclusione delle donne nelle posizioni di dirigenza degli organismi federali delle varie discipline sportive.
(1-00273)
«Roberta Agostini, Beni, Centemero, Coccia, Coscia, Fossati, Fragomeli, Molea, Nicchi, Vezzali. Fabbri, Malisani».
(3 dicembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la Carta europea dei diritti delle donne nello sport è stata proposta per la prima volta dalla l'Unione italiana sport per tutti (Uisp) nel 1985 e trasformata nella risoluzione delle donne nello sport nel 1987 dal Parlamento europeo;
    la Carta europea dei diritti delle donne nello sport rappresenta il primo tentativo per il riconoscimento e la rivendicazione delle pari opportunità di uomini e donne nello sport in ambito europeo;
    la Carta europea dei diritti delle donne nello sport del 1985 evidenziava una grave disparità numerica tra uomini e donne impiegate in questo settore e sottolineava la necessità di rimuovere le enormi barriere culturali che impedivano il reale coinvolgimento delle donne nello sport;
    a distanza di quasi 30 anni, nonostante i progressi e l'incremento della partecipazione femminile al mondo dello sport, permangono delle differenze in termini di pari opportunità: sia per quanto riguarda il coinvolgimento delle donne in ruoli e posizioni di vertice e leadership all'interno di enti, federazioni e società sportive, sia per la persistenza di stereotipi di genere nella stessa pratica sportiva;
    la Carta europea dei diritti delle donne nello sport è articolata in capitoli tematici: la pratica dello sport; la leadership; il mondo dell'educazione; la ricerca e le comunità scientifiche; donne, sport e media; spettatori e tifosi;
    l'Unione italiana sport per tutti ha messo a punto una nuova Carta europea dei diritti delle donne nello sport, dove il documento del 1985 è stato rivisitato e aggiornato con una particolare attenzione al superamento di tutte le forme di discriminazioni culturali, religiose e relative all'orientamento sessuale e al tema della multiculturalità e della disabilità;
    nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 2 febbraio 2012 sulla dimensione europea dello sport si invita la Commissione europea e gli Stati membri a sostenere gli organismi europei per la promozione e l'attuazione delle raccomandazioni della Carta europea dei diritti delle donne nello sport;
    una nuova risoluzione, approvata dal Parlamento europeo il 12 marzo 2013, individua inoltre nell'attività motoria e sportiva un'importante risorsa per la promozione della salute, nonché il superamento degli stereotipi di genere;
    ognuno ha il diritto di praticate sport in ambienti sani che garantiscano la dignità umana. Donne e uomini di età differenti e di diverse provenienze sociali e culturali devono avere le stesse opportunità di praticare sport;
    le donne devono avere le stesse opportunità degli uomini di partecipare ai processi decisionali a tutti i livelli e nell'intero sistema sportivo e devono essere rappresentate con la pari eguaglianza nei diversi organismi dirigenziali e in tutte le posizioni di potere;
    le donne devono avere le stesse possibilità degli uomini di diventare membri delle comunità scientifiche e influenzare teorie, metodi e sistemi di ricerca, nonché avere un uguale trattamento a tutti i livelli e in ogni campo delle scienze sportive;
    l'Italia deve avvertire la stessa necessità dell'Europa di votare un atto di indirizzo al fine di superare le barriere culturali e gli stereotipi che ancora dominano il mondo dello sport e i preconcetti oggi ancora esistenti nei confronti del giornalismo sportivo femminile,

impegna il Governo:

   a valorizzare la pratica dello sport da parte delle donne;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata a favorire un'equilibrata rappresentanza di genere in seno agli organismi dirigenziali e decisionali delle organizzazioni sportive;
   a coordinare, insieme agli Stati membri, una campagna per la promozione e l'adozione della Carta europea dei diritti delle donne nello sport;
   a promuovere iniziative al fine di incoraggiare maggiormente la partecipazione delle donne alla pratica sportiva, garantendo la parità di accesso alle attività sportive, in particolare per le ragazze e le donne, inclusi i gruppi svantaggiati;
   a promuovere iniziative per far sì che alle donne sia garantito lo stesso trattamento economico degli uomini, sia negli organismi dirigenziali e decisionali di enti e organizzazioni sportive, sia nelle discipline sportive praticate.
(1-00319)
«Vezzali, Balduzzi, D'Agostino, Galgano, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Monchiero, Oliaro, Sottanelli, Vargiu, Vecchio, Adornato, Binetti, Bonaccorsi, Bossa, Buttiglione, Carocci, Carrescia, Coppola, Costantino, Coccia, D'Ottavio, Cinzia Maria Fontana, Lodolini, Moscatt, Narduolo, Pastorino, Porta, Quintarelli, Raciti, Rampi, Rocchi, Rossi, Sanga, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Santerini, Sbrollini, Molea, Malisani».
(20 gennaio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    nel 1985 l'Unione italiana sport per tutti (Uisp), in collaborazione con altri partner internazionali nell'ambito del progetto «Olympia – Equal opportunities via and within sport», ha elaborato «La Carta europea dei diritti delle donne nello sport», trasformata in Risoluzione delle donne nello sport nel 1987 dal Parlamento Europeo, evidenziando una grave disparità numerica tra uomini e donne impiegate in questo settore;
    la Carta europea dei diritti delle donne nello sport aveva lo scopo di incentivare campagne a favore delle pari opportunità fra uomini e donne nello sport e di rimuovere le barriere culturali che impediscono il reale coinvolgimento delle donne;
    a distanza di quasi 30 anni, nonostante i progressi e l'incremento della partecipazione femminile al mondo dello sport, permangono delle differenze in termini di pari opportunità: sia per quanto riguarda il coinvolgimento delle donne in ruoli e posizioni di vertice e leadership all'interno di enti, federazioni e società sportive, sia per la persistenza di stereotipi di genere nella stessa pratica sportiva;
    sotto il profilo della pratica sportiva, la Carta europea dei diritti delle donne nello sport specifica che «donne e uomini devono avere lo stesso diritto di praticare diversi sport e di sviluppare competenze nell'ambito di studio dello sport», sottolineando che «entrambi i sessi devono essere in grado di sviluppare il proprio impegno sportivo nell'arco della vita»;
    sotto il profilo della leadership, donne e uomini devono avere le stesse opportunità di partecipare ai diversi livelli decisionale nell'intero sistema sportivo; devono essere rappresentati in maniera equa nei diversi organismi dirigenziali e in tutti i posti di potere;
    nel gennaio 2011, la Commissione europea ha presentato la comunicazione «Sviluppare la dimensione europea dello sport», in cui individua azioni ed iniziative per la valorizzazione del ruolo dello sport nell'ambito delle singole politiche dell'Unione europea ed evidenzia i temi prioritari dell'agenda dell'Unione europea per lo sport: la promozione dell'attività fisica a vantaggio della salute; la lotta al doping; l'istruzione e la formazione; il volontariato e le organizzazioni sportive senza scopo di lucro; l'inclusione sociale nello sport e attraverso lo sport, compreso lo sport per i disabili e la parità dei sessi nello sport; il finanziamento sostenibile dello sport di base e la buona governance;
    il 2 febbraio 2012 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione sulla comunicazione della Commissione europea «Sviluppare la dimensione europea dello sport», in cui richiama espressamente la Carta europea dei diritti delle donne nello sport facendo proprie alcune delle indicazioni in essa contenute e dando ampio spazio, nella parte relativa al ruolo sociale dello sport, al tema delle donne e delle pari opportunità sotto il profilo di genere nello sport;
    nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 2 febbraio 2012 sulla dimensione europea dello sport si invita la Commissione europea e gli Stati membri a sostenere gli organismi europei per la promozione e l'attuazione delle raccomandazioni della Carta europea dei diritti delle donne nello sport;
    una nuova risoluzione, approvata dal Parlamento europeo il 12 marzo 2013, individua, inoltre, nell'attività motoria e sportiva un'importante risorsa per la promozione della salute, nonché il superamento degli stereotipi di genere,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, nelle competenti sedi europee, di una campagna per la promozione e l'adozione della Carta europea dei diritti delle donne nello sport;
   a mettere in atto ogni iniziativa idonea a valorizzare ed incoraggiare la pratica dello sport da parte delle donne, garantendo la parità di accesso alle attività sportive;
   a creare, con gli appositi strumenti, le condizioni affinché, all'interno degli organismi dirigenziali e decisionali delle federazioni sportive, sia favorita un'equa presenza delle donne e un trattamento economico, a parità di incarico, uguale a quello degli uomini;
   a porre in essere tutte le opportune iniziative, anche normative, per ridurre la disparità di trattamento economico tra atleti di sesso diverso e per implementare ogni forma di tutela possibile ai fini di una paritaria contrattualizzazione senza discriminazioni legate al genere.
(1-00379)
«Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».
(14 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    le riflessioni ed i confronti sull'assetto e sullo sviluppo dell'Unione europea si concentrano, soprattutto, su questioni di alto spessore economico-sociale che riguardano il presente ed il futuro dei suoi Paesi membri;
    un elemento che, però, riveste un'importanza sempre crescente nel tessuto economico-sociale e negli stessi rapporti tra i popoli europei è lo sport;
    l'attività sportiva ha, infatti, da sempre rappresentato un momento di aggregazione ed integrazione tra classi sociali distinte e diverse, popoli culturalmente e geograficamente lontani tra loro e continua, ancora oggi, a svolgere questa funzione;
    è per questo motivo che, nel dicembre 2000, la dichiarazione del Consiglio europeo ha sancito proprio come caratteristica peculiare dello sport la naturale propensione all'inclusione sociale e, di conseguenza, a favorire un maggiore ed inarrestabile avvicinamento tra i popoli;
    è da ricordare, a tal proposito, come l'11 luglio 2007 la Commissione europea abbia presentato il Libro bianco sullo sport al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo, con lo scopo di sottolineare il valore dell'attività sportiva e la sua funzione educatrice;
    il Libro bianco sullo sport recita testualmente: «Lo sport è una sfera dell'attività umana che interessa in modo particolare i cittadini dell'Unione europea e ha un potenziale enorme di riunire e di raggiungere tutti, indipendentemente dall'età o dall'origine sociale»;
    il Libro bianco sullo sport invita, quindi, gli Stati membri a considerare il ruolo dello sport come mezzo per favorire l'inclusione, l'integrazione e le pari opportunità tra uomini e donne, nel contesto della programmazione del Fondo sociale europeo e del Fondo europeo di sviluppo regionale, continuando a promuovere tali azioni nel quadro del Fondo europeo per l'integrazione;
    il Libro bianco sullo sport, dunque, spinge gli Stati membri ad operare una vera e propria rivoluzione all'interno del mondo dello sport, in precedenza caratterizzato più dalla presenza maschile rispetto a quella femminile;
    per questi motivi, nel 1985, l'Unione italiana sport per tutti (Uisp) ha opportunamente proceduto alla presentazione della Carta europea dei diritti delle donne nello sport, in seguito trasformata nella risoluzione delle donne nello sport dal Parlamento europeo nel 1987;
    la Carta europea dei diritti delle donne nello sport ha costituito un primo passo per riconoscere ufficialmente la rivendicazione di pari opportunità tra donne e uomini nello sport all'interno dell'Unione europea;
    è stata la stessa Carta europea dei diritti delle donne nello sport del 1985, infatti, a mettere in risalto il gran numero di diseguaglianze fra donne e uomini nel campo dello sport nonché l'importanza di rimuovere le barriere culturali che impediscono il reale coinvolgimento delle donne;
    il 25 maggio 2011 è stata, quindi, presentata la nuova proposta di Carta europea dei diritti delle donne nello sport, che evidenzia come, nonostante i progressi e l'incremento della partecipazione femminile in questo settore della società, permangano ancora delle differenze in termini di pari opportunità, soprattutto con riguardo al coinvolgimento delle donne in ruoli e posizioni di vertice all'interno di enti, federazioni e società sportive;
    la nuova Carta europea dei diritti delle donne nello sport dimostra come uomini e donne debbano avere le stesse opportunità di partecipare ai processi decisionali a tutti i livelli dirigenziali e nell'intero sistema sportivo e debbano, altresì, essere rappresentati in maniera equa nei diversi organismi dirigenziali e in tutte le posizioni di leadership;
    nel 2011, la Commissione europea ha adottato una strategia per sviluppare la dimensione europea dello sport prevedendo, nell'ambito del programma di azioni da intraprendere, proprio la promozione della parità tra uomo e donna;
    nel nostro Paese, non sussiste soltanto la questione delle «quote rosa» nello sport (assenza o parziale assenza dei dirigenti donna), ma, più in generale, vi sono elementi di difficoltà che riguardano la presenza stessa nella società e nei suoi sistemi di discriminanti di tipo contrattuale, economico e di tutela delle donne che devono essere risolti con urgenza;
    è, quindi, necessario avviare politiche che possano permettere a donne e uomini di avere le stesse opportunità e di sviluppare le proprie competenze anche nel settore sportivo,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative dirette a promuovere un'effettiva parità di genere negli organi dirigenziali delle varie discipline sportive;
   ad adottare iniziative in grado di colmare il notevole divario esistente tra le retribuzioni percepite dagli uomini e quelle ancora oggi destinate alle donne anche nell'ambito sportivo;
   ad attivarsi in tutte le sedi perché sia dato seguito a quanto previsto nella Carta europea dei diritti delle donne nello sport adottata nel maggio 2011.
(1-00381) «Dorina Bianchi».
(18 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    «lo sport è parte del patrimonio di ogni uomo e di ogni donna e la sua assenza non potrà mai essere compensata», secondo quanto Pierre de Coubertin, fondatore dei Giochi olimpici moderni, affermava;
    la Carta europea dei diritti delle donne nello sport del 1985, promossa dall'Unione italiana sport per tutti ed inserita in un'apposita risoluzione del Parlamento europeo del 1987, è stata il primo reale tentativo di riconoscimento e rivendicazione di pari opportunità di uomini e donne nello sport;
    l'Unione europea, nel luglio 2007 attraverso il Libro bianco sullo sport e successivamente attraverso il Trattato di Lisbona, in vigore dal 1o dicembre 2009, ha confermato lo sport quale proprio settore di competenza in cui la stessa può sostenere, coordinare ed integrare le attività dei suoi Stati membri;
    il Libro bianco sullo sport lo riconosce quale «fenomeno sociale ed economico d'importanza crescente che contribuisce in modo significativo agli obiettivi strategici di solidarietà e prosperità perseguiti dall'Unione europea», «sfera dell'attività umana che interessa in modo particolare i cittadini dell'Unione europea e ha un potenziale enorme di riunire e raggiungere tutti, indipendentemente dall'età o dall'origine sociale»;
    nel gennaio 2011, la Commissione europea ha adottato una comunicazione per sviluppare la dimensione europea dello sport, per disciplinare il ruolo sociale dello sport, la dimensione economica e la sua organizzazione nonché i compiti della Commissione europea e degli Stati membri attraverso l'approvazione di standard comuni e lo scambio di buone prassi;
    il 25 maggio 2011 è stata presentata al Parlamento europeo una nuova proposta della Carta dei diritti delle donne nello sport, elaborata italiana sport per tutti in collaborazione con altri partner europei nell'ambito del progetto «Olympia – Equal opportunities via and within sport» e indirizzata a tutti gli operatori sportivi, alle associazioni ed organizzazioni sportive, alle istituzioni, ai Paesi dell'Unione europea, alle tifoserie e ai media;
    la nuova Carta europea dei diritti delle donne nello sport intende favorire la leadership e l'educazione nello sport fondato sulla parità di genere, tenendo conto dei media e del loro impatto culturale per abbracciare politiche di genere e consentire alle donne le stesse opportunità degli uomini di esprimere la propria passione sportiva. Altresì, prevede il riconoscimento di incarichi dirigenziali nei gruppi sportivi, senza alcuna discriminazione;
    nel febbraio 2012, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in cui si invita la Commissione europea e gli Stati membri a sostenere gli organismi europei per la promozione e l'attuazione delle raccomandazioni della Carta europea dei diritti delle donne nello sport;
    nel marzo 2013 il Parlamento europeo ha individuato nell'attività sportiva una risorsa importante per la promozione della salute ed il successivo superamento degli stereotipi di genere;
    lo sport ha un ruolo sociale fondamentale nella coesione sociale e nelle pari opportunità per tutti e contribuisce a rendere effettivo e compiuto il godimento del diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione. Altresì, ha un valore pedagogico, decisivo per facilitare l'integrazione e il rispetto dell'altro;
    la pratica sportiva femminile si è progressivamente diffusa con una maggiore velocità rispetto a quella maschile; dai dati Istat del 2011 (indagine multiscopo 2011, utilizzata da Tangos: «Tavolo nazionale per la governance nello sport») emerge un aumento della pratica femminile tra le bambine tra i 6 e i 10 anni, tra le donne tra i 45 e i 54 anni e tra quelle nella fascia tra i 60 e i 64 anni;
    nella pratica e nelle istituzioni sportive, tuttavia, persiste un'evidente segregazione verticale delle donne nello sport, in particolare non sono presenti in ruoli direttivi, né in ruoli tecnici, quali arbitri e allenatori;
    tra i praticanti di attività sportiva in modo continuativo, nella fascia di età tra i 20 e i 44 anni, le sportive sono intorno al 20 per cento contro l'oltre 30 per cento dei coetanei maschi. I sedentari, ovvero coloro i quali non svolgono alcuna attività sportiva nel tempo libero, sono il 39,8 per cento tra gli uomini e ben il 44,4 per cento tra le donne che, secondo i dati dell'Eurobarometro speciale sullo sport e l'attività fisica (2010), attribuiscono alla «mancanza di tempo» la responsabilità della mancata pratica sportiva in misura maggiore rispetto alla media europea,

impegna il Governo:

   ad attivarsi in tutte le sedi istituzionali europee affinché la nuova Carta europea delle donne nello sport presentata il 25 maggio 2011 sia al più presto approvata;
   ad adottare le necessarie misure positive di carattere economico e normativo, recependo nell'ordinamento italiano la Carta europea dei diritti delle donne nello sport, per la promozione effettiva delle pari opportunità di genere nelle attività sportive, nell'utilizzo paritario degli impianti sportivi, nonché per favorire una maggiore partecipazione femminile alle varie discipline sportive e ai processi decisionali attraverso l'inclusione delle donne nelle posizioni di dirigenza degli organismi federali delle varie discipline sportive.
(1-00393)
«Santerini, Binetti, Schirò, Fitzgerald Nissoli, Gigli, De Mita, Sberna, Marazziti, Caruso, Fauttilli».
(24 marzo 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA STABILIZZAZIONE DEL PERSONALE PRECARIO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL COMPARTO SCUOLA

   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 si basa sull'articolo 139, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea e, secondo quanto contenuto nel suo articolo 1, è diretta ad «attuare l'accordo quadro (...), che figura nell'allegato, concluso (...) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)»;
    la clausola 4 dell'accordo quadro che figura nell'allegato della direttiva citata afferma il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato, sancendo che: «1) Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. 2) Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis. 3) Le disposizioni per l'applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e le prassi nazionali. 4) I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive»;
    la clausola 5 dell'accordo quadro che figura nell'allegato della direttiva citata recita che: «1) Per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 2) Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato: a) devono essere considerati “successivi”; b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato»;
    la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, applicabile al settore pubblico come risulta, ad esempio, dalle sentenze Adeneler, 4 luglio 2006, C-212/04 e Angelidaki, 23 aprile 2009, C-378-80/07, si incentra sul principio di non discriminazione tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato e sulla prevenzione dell'abuso derivante dalla reiterazione dei contratti a termine;
    l'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche dispone quanto segue: «1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'articolo 35. 2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato (...). 5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative (...)»;
    l'utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato, al fine di prevenire discriminazioni e abusi, deve essere necessariamente basato su ragioni oggettive, come chiarisce l'articolo 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001, in cui si afferma che «è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro»;
    nel settore pubblico l'articolo 49 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha sostituito l'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, imponendo alle amministrazioni pubbliche l'obbligo di «assumere esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato» in presenza di «esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario», e ripristinando la possibilità di avvalersi di forme contrattuali flessibili unicamente «per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali», con disciplina, dunque, più restrittiva, nella proclamazione del superamento del «lavoro precario»;
    il ricorrente utilizzo di lavoratori con forme contrattuali flessibili ha indotto il legislatore a prevedere in via transitoria procedure di stabilizzazione condizionate, tuttavia, al possesso di stringenti requisiti come quelli previsti dall'articolo 4, comma 6, del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013;
    nelle pubbliche amministrazioni, considerati gli attuali vincoli sulle assunzioni, l'utilizzo di personale con forme contrattuali flessibili è disposto anche per lo svolgimento di attività istituzionali ed in presenza di esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario;
    in data 18 giugno 2013 il Governo ha accolto come raccomandazione l'ordine del giorno n. 9/01012-A/003 a prima firma Ciprini, che in occasione dell'approvazione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, impegnava il Governo a promuovere con urgenza ogni iniziativa legislativa utile alla stabilizzazione di tutti i lavoratori precari nella pubblica amministrazione senza distinzioni rispetto alle tipologie contrattuali;
    il tribunale di Siena, sezione lavoro, a seguito del ricorso depositato in data 16 settembre 2009 contro il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e l'ufficio scolastico regionale per la Toscana, ha emanato una sentenza che ha disapplicato per contrasto con la normativa comunitaria l'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ai sensi del quale «la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione», avendo il lavoratore esclusivamente diritto al risarcimento del danno, «derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative». Conseguentemente, il tribunale ha disposto la conversione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato e condannato il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a reinserire in servizio la parte ricorrente nel posto di lavoro per lo svolgimento delle medesime mansioni;
    nella causa C-50/13, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dal tribunale ordinario di Aosta (Italia), con decisione del 3 gennaio 2013, pervenuta in cancelleria il 30 gennaio 2013, nel procedimento Rocco Papalia contro comune di Aosta, l'ottava sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea ha pronunciato un'ordinanza in cui ha sancito che «L'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell'ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all'obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall'ordinamento dell'Unione»;
    quanto statuito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nell'ordinanza «Papalia» per analogia risulta applicabile a tutta la pubblica amministrazione, in cui i contratti a tempo determinato superano le 230 mila unità e sono così distribuiti: oltre 130 mila riguardano il personale scolastico, circa 30 mila riguardano il personale sanitario e oltre 80 mila concernono le autonomie;
    la terza sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea, in riferimento alla causa C-361/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte di giustizia dell'Unione europea, ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dal tribunale di Napoli fra la signora Carratù e Poste italiane spa, relativamente all'apposizione di un termine al contratto di lavoro posto in essere con quest'ultima, ha emesso in data 12 dicembre 2013 una sentenza in cui ha sancito che: «La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, inserito in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che può essere fatta valere direttamente nei confronti di un ente pubblico, quale Poste italiane spa»;
    il fenomeno del precariato risulta particolarmente diffuso in ambito scolastico, un settore in cui i numeri sono impietosi e parlano di 118.468 docenti assunti con contratti a tempo determinato e di 18.428 unità assunte a tempo determinato come personale amministrativo, tecnico e ausiliario: cifre che fotografano un ulteriore aumento rispetto al 2013;
    il precariato scolastico risulta avere un'incidenza negativa non solo sulla condizione di incertezza lavorativa ed economica del personale scolastico, ma anche sulla continuità didattica e sulla qualità dell'insegnamento, che risultano fortemente penalizzate;
    il 21 novembre 2013, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per il mancato rispetto della direttiva sul lavoro a tempo determinato, utilizzando i supplenti con contratti a termine «continuativi», che durano anche molti anni e lasciandoli così «in condizioni precarie nonostante svolgano un lavoro permanente come gli altri»,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative normative volte ad istituzionalizzare il processo di stabilizzazione del personale utilizzato con contratti a tempo determinato o altre forme contrattuali flessibili dalle amministrazioni pubbliche, statali e periferiche, ad esclusione del comparto scuola, e che sia stato reclutato attraverso procedure di selezione concorsuale;
   a prevedere che le iniziative sopra previste stabiliscano che le procedure di stabilizzazione:
    a) abbiano cadenza periodica regolare;
    b) siano disposte a valere su una quota fissa delle percentuali ammesse annualmente per il turnover nelle pubbliche amministrazioni;
    c) siano rivolte all'intera platea di coloro che con il passare del tempo maturano determinati requisiti di servizio in termini di durata dei contratti sottoscritti;
    d) siano rivolte esclusivamente in favore di coloro che sono stati reclutati in forza di norme di legge di carattere generale, ovvero mediante procedure pubbliche di selezione escludendo, pertanto, tutti coloro che maturano i requisiti per la stabilizzazione in forza di contratti stipulati in esito a selezioni svolte da consulenti o società non pubbliche, ovvero mediante chiamata nominativa non effettuata tramite il collocamento o, ancora, che abbiano maturato l'anzianità di servizio attraverso chiamate dirette effettuate in deroga alle normali procedure di selezione;
    e) diano priorità, nei processi di assunzione, agli uffici e settori delle amministrazioni risultanti in grave carenza di personale, anche a seguito di ricognizioni di organico;
   a programmare a partire dal 2014 un piano quinquennale di assorbimento in ruolo del personale docente precario che abbia conseguito o consegua nel corso del quinquennio titoli abilitanti e, nel contempo, abbia maturato o maturi almeno tre annualità complessive di servizio, ovvero che abbia superato o superi le procedure pubbliche concorsuali;
   a programmare a partire dal 2014 un piano triennale di assorbimento in ruolo sulla base dei posti vacanti e disponibili del personale amministrativo, tecnico e ausiliario precario inserito in graduatoria permanente e che abbia maturato almeno tre annualità di servizio con contratti reiterati a tempo determinato.
(1-00341)
«Chimienti, Rizzetto, Rostellato, Baldassarre, Cominardi, Tripiedi, Bechis, Ciprini, Busto, De Rosa, Marzana, Vacca, Brescia, Battelli, Simone Valente, Luigi Gallo, Di Benedetto, D'Uva».
(13 febbraio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 97 della Costituzione prevede che «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge» ed il Testo unico sul pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001), all'articolo 35, ne disciplina le modalità di reclutamento;
    tale disposto costituzionale stabilisce, pertanto, come condicio sine qua non per l'accesso il superamento di concorso regolarmente indetto, tanto che eventuali violazioni potrebbero anche presupporre la decadenza del contratto in essere e la responsabilità per danno erariale in capo al dirigente;
    i lavoratori precari nella pubblica amministrazione sono quantificati in circa 250 mila, concentrati principalmente nella scuola, nella sanità e negli enti locali, cifre che hanno indotto la Corte di giustizia dell'Unione europea ad affermare che la legislazione italiana «necessita in via urgente, assoluta e primaria di una revisione epocale della normativa di riferimento in materia di lavoro a tempo determinato nel pubblico impiego»;
    pur comprendendo il dramma del fenomeno del precariato, non si possono sostenere procedure di stabilizzazione di massa nella pubblica amministrazione che, oltre a contraddire il dettato costituzionale, provocherebbero un blocco delle assunzioni di giovani per molti anni; significherebbe cioè che un'intera generazione sarebbe esclusa dall'opportunità di accedere al pubblico impiego;
    tale posizione è stata ribadita, da ultimo, in occasione dell'esame parlamentare del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, e, specificatamente, sulla previsione in esso contenuta della stabilizzazione del 50 per cento del personale a tempo nelle pubbliche amministrazioni e della valenza fino a nove anni delle graduatorie anche per gli idonei;
    si ritiene, infatti, che una stabilizzazione di massa contrasti fortemente anche il principio della meritocrazia, trasformando, di fatto, il comparto pubblico in una sorta di «ammortizzatore sociale»;
    basti pensare che il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione pro tempore ha disposto la proroga di 24.000 precari della Sicilia, sostenendo che si trattasse di una razionalizzazione della spesa, ma si tratta secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in realtà dell'esatto opposto, ovvero del continuo e perenne assistenzialismo che andrà ad aggiungere ulteriori sprechi, in una regione già piagata da un numero esorbitante di dipendenti pubblici;
    l'articolo 3 della Costituzione afferma: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
    l'articolo 4 afferma: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»;
    il dramma del precariato colpisce sia le giovani generazioni sia molti cittadini in età avanzata, in particolare nel settore scolastico, tanto da poter essere considerato, ad oggi, una delle più grandi emergenze sociali del nostro Paese;
    la scuola rappresenta un'istituzione basilare della società visto l'alto ruolo che riveste nella formazione dei cittadini;
    è pur vero che dal 1951 al 1978 è triplicato il numero degli insegnanti, passando da 240.000 a 732.000; in seguito, nonostante la contrazione della popolazione studentesca, gli insegnanti hanno continuato a crescere, arrivando a sfiorare le 900.000 unità all'inizio degli anni Novanta ed attestandosi poi negli ultimi anni ad 850.000. Dunque, negli anni, la scuola italiana ha continuato ad assumere personale indipendentemente dal diminuire o dal crescere del numero degli studenti, questo spesso a causa di logiche distorte di mantenimento del consenso politico;
    l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento è stata favorevole ai docenti del Sud, molti dei quali sono in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge n. 104 del 1992 sulle disabilità, o si avvalgono della legge relativa al riconoscimento dell'invalidità civile. In base alla legge n. 104 del 1992 o alla legge n. 68 del 1999, chiunque abbia dichiarato di essere in possesso di handicap personale è stato inserito «a pettine» nella graduatoria e ha avuto il privilegio di scegliere il posto anche se nella graduatoria era in coda per mancanza di punteggio negli ultimi anni, ed anche di recente sono più volte comparse notizie accertate su casi di truffe al sistema scolastico e sanitario per l'ottenimento di certificati che attestino l'idoneità della persona in causa alla legge n. 104 del 1992, con lo scopo di trarre vantaggi su punteggi e posizionamenti nelle varie graduatorie scolastiche. Molti tra docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario settentrionali si trovano in uno stato di precarietà da molti anni, pur avendo punteggi e titoli superiori al personale in possesso dei requisiti della legge n. 104 del 1992. Anche a Milano ci sarebbero state truffe di massa da parte di docenti per ottenere il trasferimento da Milano al Sud tramite certificati medici falsi e medici compiacenti che hanno diagnosticato malattie immaginarie inesistenti;
    il problema dei precari, con tutti gli aspetti negativi che ad esso si collegano, si trascina da troppo tempo. Il ricorso alle sanatorie, oltre ad eludere il problema fondamentale di un serio accertamento dei requisiti professionali, non può che dare risposte parziali, visti l'elevato numero dei precari oramai raggiunto e la necessità di tenere conto di una spesa per studente già elevata,

impegna il Governo:

   a salvaguardare le competenze acquisite, senza mortificare la meritocrazia, attraverso l'istituzione di una riserva limitata di posti nei concorsi pubblici su base regionale;
   ad attivarsi al fine di appoggiare la proposta di un punteggio aggiuntivo nelle graduatorie, destinato ai docenti residenti nella regione in cui intendono insegnare, cominciando ad attuare una «pianificazione» regionale, basata sull'assunzione di personale unicamente sulla base dei posti effettivamente disponibili, nell'ambito regionale o provinciale.
(1-00398)
«Buonanno, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il Governo Renzi ha annunciato un ampio piano d'azione concernente l'edilizia scolastica, finalizzato a tentare di risolvere le più che evidenti criticità in materia;
    se è vero che gli edifici scolastici meritano un focus particolare, è altrettanto prioritario ricercare una soluzione all'annosa questione del personale in servizio nel sistema scolastico, in quanto non si risolve la situazione di stallo del percorso formativo dei ragazzi solo con il risanamento delle strutture;
    la stabilità delle figure di docenza nelle scuole italiane è il vero cuore della questione, sia in termini pedagogici, che dal punto di vista della valorizzazione delle risorse umane impegnate nella formazione della futura classe dirigente di questo Paese;
    il precariato scolastico, oltre alle note e tristi ricadute in merito alla posizione dei lavoratori, risulta avere un'incidenza negativa anche sulla continuità didattica e sulla qualità dell'insegnamento;
    da dati in possesso dai firmatari del presente atto di indirizzo risulterebbe una notevole percentuale di personale della scuola (sia insegnanti che personale amministrativo, tecnico e ausiliario) assunta con contratti a tempo determinato;
    la normativa europea, in particolare la direttiva 1999/70/CE, afferma il principio della non discriminazione tra lavoratori a tempo indeterminato e quelli cosiddetti precari, in quanto svolgano le stesse attività;
    in allegato alla stessa direttiva sopra citata (quinta clausola dell'accordo allegato) è espresso chiaramente il principio della non reiterabilità di contratti di lavoro a tempo determinato per periodi che, eccedendo la ragionevole durata, siano tali da conformare un'equiparazione di fatto al lavoro a tempo indeterminato, senza però le tutele e le garanzie offerte da tali tipologie contrattuali;
    tale evidenza sopra menzionata si ravvisa nella ratio legis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, ove all'articolo 36 si impone l'assunzione a tempo indeterminato per il personale scolastico, ad esclusione di eventualità temporanee ed eccezionali da ravvisarsi sulla base di oggettivi riscontri;
    a partire dal novembre 2013 la Commissione europea ha sottoposto il nostro Paese ad una procedura d'infrazione per il mancato rispetto della sopra citata direttiva 1999/70/CE in merito ai contratti a tempo determinato sottoposti a rinnovi successivi continui, tali da essere equiparabili, nei fatti, a rapporti a tempo indeterminato;
    la Corte di giustizia dell'Unione europea ha fissato per il 27 marzo 2014 la decisione su una serie di ricorsi sul precariato nella scuola;
    il Governo, nell'ottemperare alle richieste derivanti dalle sedi europee, al fine di garantire la stabilizzazione delle figure professionali del settore scolastico, in particolare del personale docente, piuttosto che tener conto esclusivamente del criterio dell'anzianità, dovrebbe prendere in considerazione la grande importanza che riveste la formazione del personale docente;
    la stabilizzazione del personale scolastico va attuata tenendo in debita considerazione che l'interesse prioritario di ogni politica del settore dell'istruzione deve essere la formazione dei ragazzi, che vengono penalizzati dalla carenza di una continuità didattica e soprattutto dall'assenza di una politica della qualità della formazione che sia atta a premiare il merito dei docenti attraverso strategie complesse che integrino i percorsi di stabilizzazione con una seria analisi valutativa delle carriere e dei percorsi formativi del corpo docente,

impegna il Governo:

   a fornire puntuali elementi in merito all'entità reale del fenomeno di cui al presente atto di indirizzo;
   a chiarire, nelle opportune sedi parlamentari, l'orientamento del Governo rispetto al turnover delle istituzioni scolastiche;
   a garantire in tempi celeri l'adeguamento ai rilievi posti dalla Commissione europea in merito alla procedura d'infrazione citata in premessa;
   nell'ambito della stabilizzazione del personale docente, a tenere in considerazione il criterio del merito e, in particolare, delle competenze acquisite dalle giovani generazioni, in ottemperanza ai percorsi formativi indicati dallo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   a rendersi disponibile ad un serio confronto con gli organismi parlamentari competenti, attraverso gli strumenti che si ritengano più idonei, al fine di elaborare una strategia complessiva in materia che tenga conto in via prioritaria della centralità degli studenti, nell'ambito di un percorso formativo che valorizzi nel modo più adeguato il merito e la qualità del corpo docente.
(1-00399)
«Santerini, Marazziti, Binetti, Piepoli, Fauttilli, Schirò, Fitzgerald Nissoli, De Mita, Caruso, Sberna, Gigli».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha fissato al 31 agosto di ciascun anno il termine entro il quale devono essere effettuate le assunzioni a tempo indeterminato e devono essere adottati i provvedimenti di utilizzazione, di assegnazione provvisoria e quelli di durata annuale riguardanti il personale di ruolo;
    per le assunzioni relative all'anno scolastico 2013-2014, le graduatorie da utilizzare sono state, per il 50 per cento dei posti, quelle ad esaurimento di cui all'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e per l'altro 50 per cento dei posti disponibili, quelle relative al concorso per esami e titoli indetto con decreto direttoriale n. 82 del 2012, purché le stesse siano state rese definitive entro il 31 agosto 2013;
    il decreto di approvazione delle graduatorie del sopra detto concorso non è intervenuto entro tale data (31 agosto), in quanto la procedura concorsuale ha subito dei ritardi attribuibili all'ingente numero di candidati. Si ricorda che alle prove preselettive del concorso per docenti hanno partecipato circa 33 mila candidati e circa 17 mila alle prove scritte;
    la mancata approvazione delle graduatorie nel termine utile per le immissioni in ruolo ha costretto così l'amministrazione ad effettuare le assunzioni per il 2013-2014 attingendo dalle graduatorie ad esaurimento e dalle graduatorie dei precedenti concorsi;
    tale circostanza comporta degli inconvenienti relativamente alla decorrenza giuridica dell'immissione in ruolo dei candidati vincitori, ma non compromette le possibilità di assunzione;
    la Costituzione, all'articolo 97, prevede: «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge». Il concorso pubblico viene indicato in modo esplicito come lo strumento fondamentale di accesso alla pubblica amministrazione;
    l'ultimo concorso a cattedra è stato bandito con decreto del direttore generale per il personale scolastico 24 settembre 2012, n. 82, «indizione dei concorsi a posti a cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado» con la previsione di effettiva disponibilità di cattedre e posti da destinare per un totale di 11.542 unità;
    in materia di contratti a tempo determinato, la Commissione europea ha aperto due procedure di infrazione (procedimento n. 010/2045 e procedimento n. 2010/2124), per la non corretta trasposizione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. In particolare, nell'ambito della procedura d'infrazione n. 2010/2124 relativa all'utilizzo dei contatti a tempo determinato nel comparto scuola, che diversamente da altri settori della pubblica amministrazione risente fisiologicamente di condizioni particolari legate al variare ad ogni anno scolastico del numero di iscrizioni di studenti alle diverse istituzioni scolastiche e ai differenti indirizzi di studio, la Commissione europea ritiene che la prassi italiana di impiegare personale ausiliario, tecnico e amministrativo nella scuola pubblica per mezzo di una successione di contratti a tempo determinato, senza misure atte a prevenirne l'abuso, non ottempera gli obblighi della clausola 5 dell'accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE;
    la Corte di cassazione, sezione lavoro, invece, nella sentenza 20 giugno 2012, n. 10127, ha legittimato il reiterato uso dei contatti a tempo determinato nel settore scolastico, portando ad escludere un abuso nell'utilizzo da parte dell'amministrazione del contratto a tempo determinato. La Corte di cassazione, in tema di personale docente, infatti, ha affermato l'inapplicabilità del principio di conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, restando applicabile la disciplina delle supplenze, contenuta nel decreto legislativo n. 297 del 1994, che non è stata abrogata dal decreto legislativo n. 368 del 2001, con conseguente insussistenza di un diritto alla stabilizzazione del rapporto ed al risarcimento del danno in caso di reiterazione delle supplenze, ove non risulti un abuso nell'assegnazione degli incarichi in questione;
    la corte d'appello di Perugia, inoltre, ritenendo inapplicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 368 del 2001, ha valutato di dover accertare se la pubblica amministrazione, nella stipulazione di una serie di contratti di lavoro, avesse dato luogo ad un abuso dello strumento delle assunzioni a termine con conseguente diritto del lavoratore, secondo i dettami della direttiva del Consiglio dell'Unione europea 28 giugno 1999, n. 70, emanata in attuazione dell'accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, al risarcimento del danno. La corte territoriale ha escluso tale abuso, precisando che il ricorrente aveva avuto supplenze annuali sull'organico di fatto, ossia posti non vacanti ma disponibili, seguite da supplenze temporanee in sostituzione di personale assente, ed infine supplenze su organico di diritto, cioè su posti disponibili e vacanti, in molteplici scuole; ciascun incarico risultava, infatti, svincolato dal precedente, di cui non costituiva né proroga né prosecuzione, e tenendo in considerazione che l'amministrazione non poteva scegliere liberamente il lavoratore con cui stipulare il contratto dovendosi attenere alle graduatorie permanenti provinciali per gli incarichi su organico di diritto o per le supplenze su organico di fatto o temporaneo alle graduatorie interne d'istituto;
    la Corte di cassazione ha reputato principio di diritto vivente la praticabilità del contratto a termine e di altre forme negoziali flessibili nel rapporto di lavoro pubblico, ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001, nella più ampia valorizzazione del ruolo della contrattazione collettiva rispetto al passato e con la previsione, in caso di violazione di norme imperative in materia, di un vero e proprio regime sanzionatorio costituito dal diritto del lavoratore al risarcimento del danno. Principio quest'ultimo non contrastante con la direttiva 1999/70/CE, in quanto idoneo a prevenire e sanzionare l'utilizzo abusivo dei contratti a termine da parte della pubblica amministrazione e che è consequenziale alla configurazione come regolamentazione speciale ed alternativa a quella prevista dal decreto legislativo n. 368 del 2001 relativa alla disciplina generale del contratto a termine. Inoltre, nella materia di cui trattasi, invero, sottolinea più volte la Corte di cassazione, la regolamentazione propria del settore pubblico non può ritenersi abrogata da quella stabilita in via generale dal richiamato decreto legislativo n. 368 del 2001, stante l'immanenza della regola lex posterior generalis non derogat legi priori speciali;
    il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, inoltre, è intervenuto in più occasioni nel 2011 (decreto-legge n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011) e nel 2013 (decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013) attraverso i piani triennali per l'assunzione di personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario. Con l'articolo 9, comma 17, del decreto-legge n. 70 del 2011 e con il relativo decreto interministeriale 3 agosto 2011, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, aveva definito la programmazione triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario per gli anni scolastici compresi nel triennio 2011/2013, sulla base dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno e detto piano triennale di immissioni in ruolo aveva programmato 124.000 assunzioni tra personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario nell'arco dei tre anni scolastici 2011/12, 2012/13 e 2013/14: 30.300 docenti e 36.000 personale amministrativo, tecnico e ausiliario nel 2011/12 e 22.000 assunzioni di docenti e 7.000 di personale amministrativo, tecnico e ausiliario per ciascun anno 2012/2013 e 2013/14. Il Ministero dell'economia e delle finanze ha successivamente bloccato le assunzioni 2013/14;
    nell'articolo 15 del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, è stata prevista la prosecuzione del piano triennale del 2011-13 attraverso un ulteriore piano triennale di assunzioni, che per l'anno scolastico 2014/2015 prevede il reclutamento di 12.625 docenti, 1.604 insegnanti di sostegno e 4.317 unità di personale amministrativo, tecnico e ausiliario;
    in dodici dei Paesi dell'Unione europea, pari ad un terzo della popolazione europea, tra cui Regno Unito, Svezia, Belgio e Olanda, il reclutamento avviene mediante chiamata diretta da parte delle scuole. In Italia, Francia e Grecia il reclutamento avviene su base concorsuale ed in Spagna ed in Germania i concorsi sono su base regionale. In Austria, Finlandia e Lussemburgo sono, inoltre, previsti concorsi per l'accesso ai percorsi formativi per l'insegnamento. In Spagna è anche previsto un periodo di tirocinio in prova e Francia, Finlandia, Regno Unito e Olanda prevedono la formazione in servizio obbligatoria,

impegna il Governo:

   ad avviare in tempi brevi il piano triennale di assunzioni del personale docente che assegni i posti, per il 50 per cento, ai vincitori di concorso e, per l'altro 50 per cento, utilizzando le graduatorie ad esaurimento, facendo in modo che:
    a) il contingente di assunzioni per il prossimo anno scolastico del personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario sia calcolato in relazione sia ai posti vacanti e disponibili in organico sia alle iscrizioni e all'entità dei pensionamenti;
    b) venga garantito il numero di posti e cattedre indicate nell'allegato «1» del bando di concorso che costituisce parte integrante del decreto del direttore generale 24 settembre 2012, n. 82, per l'immissione in ruolo dei vincitori negli anni scolastici 2013-2014 e 2014-2015, attraverso la previsione di un accantonamento dei posti per coloro i quali avrebbero avuto il diritto di entrare in ruolo dall'anno scolastico in corso e per i quali non è stato possibile, invece, ottenere l'assunzione;
    c) venga consentito solo l'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento con la sola esclusione del personale dei cicli della Scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario, trasformando pertanto le cosiddette GAE effettivamente in graduatorie ad esaurimento;
    d) venga dato l'avvio ad una riforma del sistema di reclutamento per il personale docente e non, in linea con altri Stati dell'Unione europea che consenta maggiore autonomia e libertà da parte delle istituzioni scolastiche, anche in rete, nell'individuazione e nella scelta del personale docente e non docente;
    e) vengano programmate forme di reclutamento e di selezione concorsuali del personale scolastico, come previsto dalla Costituzione, a cadenza periodica regolare e ravvicinata solo su posti effettivamente vacanti e disponibili, senza la creazione di ulteriori graduatorie, e sia definito un relativo piano di assunzioni, previa una ricognizione di posti effettivamente vacanti e disponibili ai fini dell'erogazione di un servizio efficace, efficiente e rispettoso dei principi di trasparenza ed economicità, previsti dalla normativa vigente;
    f) venga prevista una formazione specifica, mirata e programmata nell'ambito universitario per il personale docente e amministrativo che possa prevedere tirocini, stage, apprendistato e nuove forme di inserimento nelle istituzioni scolastiche.
(1-00400) «Centemero, Polverini, Palese».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il 27 marzo 2014 presso la Corte di giustizia europea è prevista l'udienza per rispondere alle questioni di pregiudizialità sollevate sia dal tribunale di Napoli (GUCE, C 141/11-2013) che dalla Corte Costituzionale (GUCE, C 313/7-2010) sulla legittimità della norme italiane che, per i lavoratori della scuola, acconsentono di ricorrere a contratti di lavoro a tempo determinato in maniera continuativa ed estesa ben oltre il limite massimo dei 36 mesi fissati dalla direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999; lo scopo della normativa europea è stato quello di dare dignità al lavoro migliorando la qualità di quello precario e garantire, così, l'applicazione del principio di non discriminazione nonché di prevenzione di ogni abuso derivante dall'utilizzo del susseguirsi di contratti o di rapporti di lavoro temporanei;
    nel nostro Paese si continuano ad infrangere, ormai da troppi anni, le clausole 4 e 5 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla citata direttiva europea che affermano, rispettivamente e con chiarezza, che:
   «Clausola 4.
   1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
   2. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.
   3. Le disposizioni per l'applicazione di questa clausola saranno definite dagli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o dalle parti sociali stesse, viste le norme comunitarie e nazionali, i contratti collettivi e la prassi nazionali.
   4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.
  Clausola 5.
   1. Per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
    a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
    b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
    c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
   2. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
    a) devono essere considerati “successivi”;
    b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato»;
    l'attuale normativa italiana sul precariato, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, deve essere cambiata al più presto in quanto in profondo contrasto con il diritto comunitario e con le legittime rivendicazioni dei tanti lavoratori precari che hanno presentato i ricorsi al tribunale del lavoro e che si son già visti riconoscere il diritto alla parità di trattamento con il personale di ruolo; infatti, si susseguono sentenze anche della magistratura italiana che condannano e disapplicano l'attuale normativa che addirittura sanziona, per le pubbliche amministrazioni, l'assunzione o l'impiego di lavoratori attraverso la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (decreto legislativo n.165 del 2001 – «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» – articolo 36 (utilizzo di contratti di lavoro flessibile));
    il nostro Paese, pertanto, per sua colpa e inefficienza, potrà essere condannato per infrazione del diritto comunitario dalla Corte di giustizia europea che porrà così fine all'uso e all'abuso dei contratti a termine e alla disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato che svolgono lo stesso lavoro. Un risultato decisivo per migliaia di lavoratori precari di lungo corso che dovranno essere stabilizzati e vedranno riconosciuto l'impegno e il lavoro con cui in questi anni hanno garantito il funzionamento della scuola pubblica;
    esiste un'altra situazione, in cui la discriminazione a carico di lavoratori a tempo determinato appare inequivocabilmente evidente, determinatasi con riferimento all'applicazione della legge 30 dicembre 2010, n. 240 – «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», che prevede il reclutamento dei docenti universitari di ruolo di prima e seconda fascia con una procedura in due fasi: una prima imperniata su concorsi pubblici di abilitazione nazionale ed una seconda basata su concorsi pubblici di chiamata da esperirsi dai singoli atenei;
    si è ora per la prima volta completato l'espletamento dei concorsi nazionali previsti dalla citata legge n. 240 del 2010;
    i concorsi hanno portato a conseguire l'abilitazione per la prima e la seconda fascia sia candidati già strutturati con un rapporto a tempo indeterminato (come professori associati o ricercatori) sia candidati non strutturati legati ad un'università da contratti d'insegnamento a tempo determinato, conclusi, uno dopo l'altro, anno per anno;
    l'articolo 24 della legge prevede che un singolo ateneo, con risorse ad hoc, apra concorsi per la chiamata di abilitati riservati a professori di seconda fascia e ricercatori in servizio in tale ateneo e non prevede che questo, con risorse proprie ad hoc, apra concorsi riservati a docenti non strutturati ad esso legati da un contratto annuale ancorché ripetuto di anno in anno;
    è evidente che alla chiamata di questa categoria di docenti legati all'università da contratti a tempo determinato, che hanno ottenuto un'abilitazione sulla base di concorsi pubblici nazionali, non si può opporre il principio secondo cui un'amministrazione pubblica non può assumere senza concorso,

impegna il Governo:

a provvedere immediatamente, ancor prima della prevedibile condanna per infrazione, ad adottare iniziative normative per superare l'inadeguatezza della normativa in vigore relativa al sistema contrattuale del lavoro, avendo riguardo ai principi sanciti dalla citata direttiva europea e programmare, pertanto, un piano di stabilizzazione del personale precario sulla base di tutti i posti effettivamente vacanti.
(1-00407)
«Giancarlo Giordano, Lacquaniti, Di Salvo, Costantino, Fratoianni, Airaudo, Placido, Paglia».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il rilancio del sistema economico del Paese non può prescindere: a) da un corretto e più efficiente funzionamento delle pubbliche amministrazioni chiamate ad erogare con tempestività ed efficacia i servizi alle imprese ed ai cittadini; b) dalla garanzia di elevati standard qualitativi ed economici dei servizi che devono essere competitivi anche in raffronto con quelli erogati dalle amministrazioni pubbliche dei paesi dell'Unione europea;
    in sede di riforma occorre intervenire sulle criticità che il settore pubblico presenta, al fine di risolverle e superarle con la gradualità che il contesto organizzativo e finanziario consente;
    tra le maggiori criticità emergono:
     a) l'emergenza su questo fronte è molto evidente in quanto:
      è in continua crescita il contenzioso con le amministrazioni pubbliche per l'abuso di contratti di lavoro flessibile, con i conseguenti costi a carico dei bilanci pubblici;
      spesso i giudici del lavoro che riconoscono la specialità del settore pubblico e non sentenziano per la conversione del rapporto di lavoro, nei casi di abuso nell'utilizzo dei contratti a tempo determinato, condannano le amministrazioni pubbliche al risarcimento del danno, con riflessi sempre più pesanti sulla finanza pubblica;
      sono sempre più pressanti gli effetti delle procedure di infrazione avviate, in sede comunitaria, nei confronti dell'Italia per il fenomeno del precariato storico nella pubblica amministrazione e delle richieste di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea da parte di giudici italiani;
      sono migliaia i rapporti di lavoro a termine che proseguono da oltre un decennio per assicurare l'erogazione dei servizi essenziali alla collettività, servizi che devono essere comunque assicurati pur in presenza dei stringenti vincoli di finanza pubblica in materia di assunzioni a tempo indeterminato. Basti pensare che nel settore sanitario spesso l'erogazione dei servizi e dei livelli essenziali di assistenza è garantita dal ricorso al lavoro flessibile soprattutto in quelle regioni che, essendo vincolate dal piano di rientro dal disavanzo, si vedono precluse le assunzioni a tempo indeterminato;
     b) il comparto della scuola, con circa 140 mila unità tra docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliare, registra il numero più alto di personale precario. È da sottolineare che le recenti conclusioni espresse dalla Commissione europea – con le quali si apre una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per il mancato rispetto della direttiva sul lavoro a tempo determinato – ribadiscono che «(...) Non può ritenersi obiettivamente giustificata ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a) dell'accordo quadro una legislazione nazionale, quale quella italiana in causa, che, nel settore scolastico, non prevede alcuna misura diretta a reprimere il ricorso abusivo a contratti di lavoro a termine successivi (...)»;
     c) sussiste un'elevata consistenza del precariato nel settore pubblico che riguarda: 1) personale con contratto di lavoro a tempo determinato, 2) titolari di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, 3) lavoratori utilizzati con contratto di somministrazione, 4) professionisti titolari di partita iva incaricati di svolgere prestazioni di lavoro autonomo, 5) lavoratori addetti ad attività socialmente utili svolte in virtù delle previste convenzioni;
     d) l'età media dei dipendenti pubblici in Italia è molto più elevata rispetto a quella degli altri Paesi europei e destinata ad aumentare in relazione all'effetto sinergico della disciplina normativa che limita il turnover e della riforma pensionistica che riduce il flusso di fuoriuscite in relazione ai nuovi criteri di maturazione dei requisiti per il diritto di accesso a pensione;
     e) a causa dell'applicazione della cosiddetta «legge Fornero» e il prolungarsi dell'età di permanenza in cattedra, parte del corpo docente impegnato con gli studenti italiani ha sempre più difficoltà a stare al passo con il dinamismo della comunità scolastica: gli ultimi dati forniti dall'Ocse nel rapporto Education at a glance 2013 rilevano che nel 2011 il 47,6 per cento dei docenti elementari, il 61 per cento di quelli delle medie inferiori e il 62,5 per cento di quelli delle superiori aveva oltre 50 anni; la modifica della cosiddetta legge Fornero avrebbe anche il vantaggio di sbloccare il turnover della scuola e permettere la stabilizzazione di molti giovani insegnanti;
     f) sussiste la necessità di valutare con attenzione la consistenza delle strutture dirigenziali, che produce una discrasia tra piante organiche teoriche relative alla dirigenza e dirigenti effettivamente in forza; tale discrasia costituisce causa di ingiustificata frammentazione nell'assegnazione del personale ad uffici dirigenziali vacanti, con conseguenze non virtuose nella gestione delle risorse;
    nel 2006, con l'approvazione della prima legge finanziaria dell'allora Governo Prodi, si è delineata, con la trasformazione delle graduatorie permanenti per il reclutamento degli insegnanti in «graduatorie ad esaurimento» e l'avvio di un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di 150.000 insegnanti e 10.000 unità di personale ausiliare tecnico e amministrativo, la necessità di costruire una programmazione di medio-lungo periodo degli organici e superare il fenomeno del precariato. Nel 2009 – cambiato lo scenario politico – il settore scolastico, dopo l'approvazione dell'articolo 64, del decreto-legge n. 22 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sconta il drastico taglio di circa 8 miliardi di euro e la conseguente riduzione di oltre 87 mila docenti e di 44.500 ausiliari, tecnico e amministrativi;
    l'ultimo intervento a sostegno del settore scolastico, con l'approvazione della legge 8 novembre 2013, n. 128, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, ha definito un piano triennale (2014-2016) per l'assunzione a tempo indeterminato di 69 mila docenti e 16 mila amministrativi, tecnici e ausiliari e, inoltre, l'autorizzazione all'assunzione a tempo indeterminato di oltre 26.500 docenti di sostegno;
    le misure contenute nel decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge, 30 ottobre 2013, n. 125, nello spirito di favorire politiche occupazionali razionali, prevedono forme di reclutamento speciale finalizzate a valorizzare la professionalità acquisita da coloro che hanno maturato, nell'ultimo quinquennio, un'anzianità di tre anni con rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, nonché misure a favore dei lavoratori socialmente utili, senza disporre di interventi adeguati anche per le altre forme di precariato di cui alla lettera c) del terzo capoverso della premessa del presente atto di indirizzo;
    nella totale condivisione del programma di Governo, si ritiene urgente affrontare il tema del precariato del pubblico impiego valorizzando il ruolo sociale degli operatori pubblici impegnati quotidianamente in servizi che promuovono e tutelano il benessere dei cittadini,

impegna il Governo:

   a riaprire in tempi brevi e con i soggetti preposti la trattativa per l'adeguamento della parte normativa del contratto nazionale del pubblico impiego a garanzia di un corretto funzionamento delle pubbliche amministrazioni, anche con la finalità di valutare misure volte al superamento del precariato, prestando particolare attenzione alla valorizzazione della professionalità acquisita anche dai titolari di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, dai lavoratori utilizzati con contratto di somministrazione e dai professionisti titolari di partita iva incaricati di svolgere prestazioni di lavoro autonomo;
   per quanto riguarda il personale della scuola e nel rispetto della normativa europea:
    a) a definire un nuovo piano pluriennale di assorbimento delle graduatorie ad esaurimento;
    b) espletate le procedure di assunzione relative all'ultimo concorso a cattedra del 2012, a bandire, con cadenza biennale, nuove prove concorsuali che tengano conto dei flussi di pensionamento e dei trasferimenti e, nel rispetto della normativa europea, a garantire il regime del doppio canale per i docenti abilitati, a partire da coloro che siano in possesso di almeno tre anni di servizio;
    c) ad assumere iniziative per ovviare ad una carenza della riforma pensionistica attuata con l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, che non ha tenuto nel necessario conto le peculiarità del comparto della scuola, nel quale la data di pensionamento è legata, per esigenze di funzionalità e di continuità didattica, alla conclusione dell'anno scolastico;
    d) ad attuare pienamente l'autonomia delle istituzioni scolastiche in campo didattico, finanziario, amministrativo e gestionale, partendo dall'attuazione dell'articolo 50 del decreto-legge n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 35 del 2012, con l'assegnazione almeno triennale dell'organico funzionale ad ogni istituzione scolastica, anche a livello di reti di scuole, al fine di pervenire al progressivo superamento della distinzione tra l'organico di diritto e l'organico di fatto;
   a proseguire nel percorso di attuazione delle misure contenute nel decreto-legge n. 101 del 2013 di cui in premessa, a tal fine attuando, per un verso, la rilevazione ai sensi del citato decreto-legge n. 101 del 2013 delle graduatorie di concorso aperte e, per altro verso, il monitoraggio e la verifica del processo di superamento delle situazioni di precarietà contrattuale nelle pubbliche amministrazioni, tenendone costantemente informato il Parlamento;
   stante, infine, la ripetizione storica, ormai consolidata, nei bilanci delle amministrazioni della spesa per il personale con tipologie di lavoro flessibile, a considerare, nel rispetto delle norme che regolano le assunzioni nel pubblico impiego, la complessiva spesa di personale, comprensiva quindi di quella effettuata per rapporti di lavoro a tempo determinato, per contratti di collaborazione coordinata e continuativa o per altre forme di rapporti di lavoro flessibile, quale parametro consolidato di riferimento ai fini dei processi di proroga dei rapporti di lavoro precario e, nell'ambito della regolamentazione prevista dal decreto-legge n. 10 del 2013 e dalla legge n. 147 del 2013, di eventuale stabilizzazione.
(1-00408)
«Coscia, Gnecchi, Martelli, Malpezzi, Ghizzoni, Faraone, Rocchi, Carocci, Rotta, Paris, Albanella, Ascani, Baruffi, Blazina, Boccuzzi, Bossa, Casellato, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Dell'Aringa, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Maestri, Malisani, Manzi, Miccoli, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Giorgio Piccolo, Raciti, Rampi, Simoni, Zampa, Zappulla, Zoggia».
(25 marzo 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A SOSTEGNO DEL SETTORE DEL TURISMO

   La Camera,
   premesso che:
    l'economia turistica offre un contributo decisivo alla produzione della ricchezza italiana, allo sviluppo dell'occupazione e all'attivo della bilancia valutaria;
    il valore aggiunto prodotto dalle attività connesse al turismo è pari a circa 83 miliardi di euro, ovvero il 6 per cento del totale dell'economia;
    i consumi turistici interni ammontano a 114 miliardi di euro, buona parte dei quali (circa 30 miliardi di euro) è determinato dalle spese effettuate in Italia dai turisti stranieri;
    gli esercizi ricettivi italiani ospitano ogni anno 375 milioni di pernottamenti. Il settore offre lavoro a 1,5 milioni di persone, di cui circa 1 milione di lavoratori dipendenti;
    la domanda turistica mondiale è in costante aumento, con circa un miliardo di movimenti turistici, destinati a raddoppiare entro il 2030; i mercati emergenti come Cina, Russia e Brasile hanno mostrato un trend che continua a crescere per il turismo in uscita, cosiddetto outgoing, mentre Asia e Europa sono e continueranno ad essere le destinazioni turistiche leader per il cosiddetto turismo incoming;
    la stima di crescita del mercato turistico europeo per il 2014 è del 3,4 per cento di incremento del prodotto interno lordo globale, in virtù dei nuovi Paesi membri, nonché per il trend di crescita dei mercati asiatici e del sud del mondo, per i quali l'Europa costituisce una destinazione turistica;
    purtroppo, l'Italia cattura quote sempre minori di tali flussi, anche a causa della scarsa efficacia delle politiche di promozione; tra le ragioni del sud dell'Europa le stime di crescita per l'anno 2014 sono per Malta, Portogallo e Croazia tra il 6-8 per cento, mentre per l'Italia sono del 2,5 per cento;
    l'Italia dispone di un marchio importante e invidiato in tutto il mondo, il marchio ITALIA, sul quale devono essere fondati gli sforzi del sistema, stanziando le risorse per realizzare un grande piano strategico promozionale, da realizzarsi mediante un'azione corale, che veda tutti gli stakeholder impegnati in uno sforzo sinergico;
    un'adeguata disponibilità di risorse è condizione indispensabile affinché gli investitori, pubblici e privati, possano svolgere attivamente il proprio ruolo;
    le piccole e medie imprese, pur costituendo la parte più vitale del tessuto economico del nostro Paese, stentano a reperire sul mercato i capitali necessari per riqualificare o espandere l'attività, condizione indispensabile per poter confrontarsi con l'agguerrita concorrenza internazionale;
    la problematica, che interessa l'intera economia italiana, è particolarmente avvertita nel settore del turismo, al cui interno prevalgono imprese di dimensioni medio piccole;
    similmente, anche gli enti pubblici che si occupano di turismo risultano spesso privi dei fondi necessari per attivare politiche di sviluppo;
    se si considera il turismo un asset strategico, se si desidera che continui a concorrere alla creazione di valore e di occupazione, occorre re-investire nel settore una parte del grande contributo che l'economia turistica porta alla nostra nazione;
    turismo e patrimonio culturale ed ambientale sono strettamente correlati, soprattutto in Italia dove l'attività turistica contribuisce a promuovere e a sviluppare il patrimonio culturale, linguistico, naturalistico e delle eccellenze italiane come, ad esempio, l'enogastronomia e la moda;
    turismo e cultura, in un Paese quale l'Italia, non possono che stare assieme;
    non c’è nazione al mondo dotata di beni culturali qualitativamente e quantitativamente elevati come l'Italia;
    non c’è nazione al mondo con un sistema ricettivo diffuso e capillare e diversificato per categorie e tariffe quale quello italiano;
    è importante giungere a un programma specifico per il turismo che sia orientato, in particolare, alle micro, piccole e medie imprese e ai soggetti del turismo sociale, che incoraggi gli investimenti e l'occupazione giovanile nel settore turistico, i partenariati tra imprese, associazioni del turismo sociale e soggetti pubblici per progetti paneuropei;
    il turismo sociale promuove l'accesso del maggior numero di persone alla vacanza, senza distinzione di età, appartenenza culturale, disponibilità economica e capacità fisica;
    è fondato sui valori della socializzazione, della crescita della persona e del rispetto dell'ambiente, esso è fattore di coesione sociale e di arricchimento culturale nonché di crescita economica, determinando un significativo sviluppo della domanda interna e orientando i flussi turistici nei periodi di bassa stagione;
    il turismo sociale può essere dunque inteso nelle diverse accezioni: come diritto e come servizio sociale, accessibile fisicamente ed economicamente anche alle persone che per motivi diversi non possono esercitare il diritto inalienabile alla vacanza intesa come turismo realizzato da gruppi e associazioni la cui motivazione principale prescinde dalle caratteristiche della vacanza (ad esempio, dal luogo prescelto), ma soddisfa il bisogno di socializzare e vivere momenti di incontro, di relazione e di scambio di esperienze reciproche, come conoscenza di culture e, quindi, fonte di accrescimento della persona;
    la qualità dell'offerta turistica è poi fortemente condizionata dalla raggiungibilità della destinazione, fattore che influenza quote consistenti di mercato;
    gli ostacoli alla mobilità ed alla comunicazione si trasformano automaticamente in ostacoli allo sviluppo del turismo;
    da questo punto di vista, il sistema italiano dei collegamenti non brilla certo per efficienza;
    non meno rilevante è il digital divide, con molte località turistiche non servite dalla banda larga;
    i disagi provocati dal deficit di infrastrutture sono amplificati dalla ridotta integrazione tra le stesse e da un'insufficiente attenzione alle esigenze del turista e del turismo;
    non di rado, le decisioni inerenti l'organizzazione delle reti (collegamenti ferroviari, collegamenti con le isole, operatività degli aeroporti e altro) assumono a paradigma di riferimento unicamente l'obiettivo di ridurre la spesa, senza preoccuparsi dell'impatto che la decisione produce sull'economia turistica del territorio, che viene privata di un asset strategico;
    nonostante l'affermarsi della telematica e dell’e-government, la mole di adempimenti burocratici richiesti alle imprese italiane non accenna a diminuire;
    l'incidenza degli oneri amministrativi è un fardello che grava maggiormente sulle imprese di minori dimensioni, che rappresentano la spina dorsale dell'economia italiana;
    l'impresa è costretta ad accollarsi oneri impropri per far fronte ad obblighi non direttamente connessi alla propria attività, oppure rischia di essere trascinata in un limbo di irregolarità formale dalla quale è assai problematico affrancarsi;
    infine, una parte rilevante dell'offerta turistica è sotto-utilizzata a causa dell'accentuata stagionalità dell'attività;
    da ciò consegue una limitata capacità espansiva del settore, un'insufficiente redditività delle imprese e un dato occupazionale rilevante ma inferiore alle potenzialità;
    la crisi economica accentua la tendenza alla frammentazione stagionale dell'attività turistica, spingendo gli operatori a ridurre al minimo il periodo di attività e generando un fenomeno di ristagionalizzazione;
    la stagionalità non è un dato incontrovertibile ma il risultato di scelte imprenditoriali derivanti in molti casi da fattori economici, finanziari e amministrativi;
    sarebbe importante favorire il prolungamento dei periodi stagionali di attività attraverso iniziative in grado di accrescere i flussi turistici e di migliorare le condizioni economiche di operatività del settore,

impegna il Governo:

   ad assicurare un maggior sostegno della domanda turistica interna, promuovendo e coordinando le politiche nazionali volte a favorire l'accesso al turismo anche delle categorie sociali più deboli, a tal fine riattivando il sistema dei buoni vacanze per il loro forte impatto sociale ed economico, basti pensare che in Francia attivano una spesa turistica di oltre 3 miliardi di euro, contribuendo efficacemente alla maggiore tenuta del sistema turistico di quel Paese;
   a recuperare e valorizzare i territori e il loro patrimonio ambientale, culturale ed enogastronomico anche predisponendo pacchetti d'offerta territoriali;
   ad assumere iniziative per alleggerire la pressione fiscale sulle imprese turistiche, che ha raggiunto un livello insostenibile, assicurando che l'imposizione assuma una misura equa e ragionevole;
   a favorire l'aggregazione tra imprese per la gestione in comune dei servizi turistici;
   a realizzare collegamenti stradali e ferroviari efficienti tra gli aeroporti e le località turistiche cosiddette minori;
   a collegare i principali hub con la rete ferroviaria ad alta velocità;
   a sbloccare le tariffe aeroportuali, vincolandone la destinazione allo sviluppo degli aeroporti;
   ad assumere iniziative per assicurare la disponibilità della banda larga in tutte le località turistiche, a servizio delle imprese e della clientela;
   a semplificare gli adempimenti a carico delle imprese, che rappresentano una forma di distorsione competitiva e che frenano gli investimenti e la crescita del settore;
   ad incentivare il prolungamento della durata dei rapporti di lavoro stagionali, mediante la riduzione del prelievo contributivo e fiscale che grava sugli stessi;
   a promuovere la collaborazione con e tra gli enti territoriali interessati, al fine di dar vita a forme di coordinamento e razionalizzazione degli interventi nel settore del turismo, con particolare riferimento alla promozione dell'armonizzazione normativa e della semplificazione amministrativa.
(1-00327)
«Molea, Andrea Romano, Capua, Vezzali, Causin, Catania, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, Galgano, Librandi, Mazziotti Di Celso, Matarrese, Vargiu, Vecchio, Vitelli».
(31 gennaio 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    l'industria del turismo rappresenta un settore chiave dell'economia europea, che genera oltre il 10 per cento del prodotto interno lordo dell'Unione Europea, impiegando 9,7 milioni di persone e coinvolgendo 1,8 milioni di imprese;
    il turismo può contribuire efficacemente a incrementare il lavoro e lo sviluppo regionale, ad incentivare uno sviluppo sostenibile, a creare un patrimonio naturale e culturale maggiore, nonché a formare un'identità europea;
    la politica dell'Unione europea mira a promuovere il turismo in modo da mantenere la posizione di prima destinazione turistica mondiale, massimizzando, al contempo, il contributo del settore alla crescita e all'occupazione;
    il Trattato di Lisbona riconosce espressamente l'importanza del turismo all'articolo 195 del Tratto stesso, mentre la strategia europea sul turismo è enunciata principalmente dalla comunicazione «L'Europa, prima destinazione turistica mondiale – un nuovo quadro politico per il turismo europeo», adottata nel giugno 2010 dalla Commissione europea;
    si tratta di un quadro di iniziative per il turismo europeo che definisce 21 azioni per l'industria del turismo su cui la Commissione europea intende operare in stretta collaborazione con gli Stati membri e con i principali operatori dell'industria turistica. Tali azioni possono essere riunite attorno a quattro assi principali che consistono nello: stimolare la competitività del settore turistico europeo; promuovere lo sviluppo di un turismo responsabile, sostenibile e di qualità; consolidare l'immagine dell'Europa come insieme di destinazioni sostenibili e di alta qualità; infine, massimizzare il potenziale delle politiche finanziarie dell'Unione europea per lo sviluppo del turismo;
    sotto il profilo europeo, gli strumenti di finanziamento per il turismo per il prossimo periodo di programmazione 2014-2020 sono rappresentati dal Programma per la competitività delle imprese e per le piccole e medie imprese-COSME (rivolto alle piccole e medie imprese e teso a: agevolare l'accesso ai finanziamenti per le piccole e medie imprese; sostenere la creazione di un ambiente favorevole alla creazione di nuove imprese e alla crescita; aumentare la sostenibilità e aiutare l'internazionalizzazione); dal Programma Horizon 2020 (per la ricerca e l'innovazione che prevede misure per sostenere il settore del turismo, attraverso progressi in ricerca e innovazione in settori quali tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT), trasporto sostenibile ed altri), dal Programma per l'ambiente e l'azione per il clima-Life (con un importo di circa 3 miliardi di euro); infine, dai fondi strutturali europei e per l'agricoltura che potranno co-finanziare interventi in materia di turismo con il Fondo europeo di sviluppo regionale (per la sostenibilità energetica, ricerca, innovazione e tecnologie dell'informazione e della comunicazione) il Fondo europeo di sviluppo (per la formazione) ed il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale per il turismo rurale nell'ambito della cooperazione territoriale europea ed i programmi interregionali;
    la competitività dell'industria europea del turismo è strettamente legata alla sua sostenibilità, come la qualità delle destinazioni turistiche è fortemente influenzata dal loro ambiente naturale e culturale e la loro integrazione nella comunità locale. Le principali sfide per il turismo sostenibile sono, quindi, rappresentate dall'obiettivo di conservare le risorse naturali e culturali; limitare gli impatti negativi tra cui l'uso di risorse naturali e la produzione di rifiuti; promuovere il benessere della comunità locale; ridurre la stagionalità della domanda e rendere il turismo accessibile a tutti; limitare l'impatto ambientale dei trasporti in materia di turismo; migliorare la qualità dei posti di lavoro del turismo. Non a caso la Carta europea per un turismo sostenibile e responsabile cerca di incoraggiare lo sviluppo di questo tipo di turismo e la cosiddetta iniziativa «Eden» è stata concepita per promuovere le destinazioni emergenti e del turismo sostenibile attraverso un concorso annuale per selezionare una «destinazione di eccellenza» sulla base dell'impegno per la sostenibilità sociale, culturale e ambientale;
    particolare attenzione è riservata sul piano europeo al turismo marittimo e costiero che occupa circa 2.360.000 persone, pari all'1,1 per cento del totale dell'Unione europea. Circa il 51 per cento dei posti letto in hotel in Europa si concentra in regioni costiere, mentre il turismo da crociera, secondo i dati del 2011, da solo, rappresenta un segmento distinto capace di generare un fatturato diretto di 14,5 miliardi di euro e assicurare quasi 150.000 posti di lavoro. La Commissione europea sta, infatti, predisponendo una comunicazione sul turismo marittimo e costiero, tesa a facilitare la crescita competitiva e sostenibile del settore marittimo europeo e del turismo costiero nell'ottica di creare nuove opportunità lavoro. Tale comunicazione dovrebbe integrarsi con la strategia marittima dell'Unione europea inclusa nella comunicazione «Crescita blu – Opportunità per la crescita sostenibile dei settori marino e marittimo» presentata nel 2012;
    per quanto concerne il turismo accessibile per i disabili e per gli anziani, si evidenzia che rendere il turismo più accessibile rappresenta non solo una responsabilità sociale, ma anche un business case convincente per rilanciare la competitività del turismo in Europa, considerato che la popolazione europea sembrerebbe invecchiare sempre di più (si stima che entro il 2050 il numero di persone con più di 65 anni sarà di 3 volte quello che era nel 2003, e rispetto agli anni Ottanta sarà di 5 volte maggiore). Le persone anziane rappresentano attualmente circa il 25 per cento della popolazione europea e parte di questo gruppo di popolazione, che comprende individui con potere d'acquisto e tempo libero, rappresenta per l'Europa un notevole potenziale economico. Non a caso, l'iniziativa europea «Calypso», lanciata nel 2009, ha chiaramente evidenziato come il turismo anziano può contribuire a combattere la stagionalità, rafforzare il concetto di cittadinanza europea e promuovere uno sviluppo regionale. Nel 2013 è stato poi avviato il programma «Senior Initiative» che sostituisce «Calypso» ed ha un focus specifico sul turismo dei senior;
    per quanto attiene al turismo culturale, inutile sottolineare come l'Europa rappresenti una destinazione chiave di turismo culturale, che si stima rappresenti circa il 40 per cento di tutto il turismo europeo. Sotto tale profilo si segnala che la Commissione europea supporta i prodotti turistici transnazionali basati su temi specifici che hanno ancora un grande potenziale di crescita, i cosiddetti «itinerari culturali europei»;
    particolare attenzione merita pure nell'ambito delle azioni volte all'implementazione delle nuove tecnologie dell'informazione, l'iniziativa tecnologie dell'informazione e della comunicazione e per il business nel turismo (cosiddetta iniziativa ICT e Turismo) tesa ad aiutare le piccole e medie imprese a interconnettersi con tutti gli operatori del mercato interessati attraverso le reti di distribuzione a prezzi accessibili, contribuendo in tal modo a partecipare alla catena del valore digitale;
    la Commissione europea ha recentemente lanciato due consultazioni pubbliche per conoscere le opinioni degli operatori europei del turismo sul futuro e sul quadro normativo ed amministrativo del settore. La consultazione «European Tourism of the Future» mira ad individuare sfide ed opportunità per il futuro dell'industria europea del turismo e a favorire la revisione, se necessaria, del piano d'azione per il settore del turismo, approvato dalla Commissione europea nel 2010. La consultazione «Regulatory and Administrative Framework on Tourism Businesses, Public Administrations, and other Tourism Stakeholders in the EU» è volta, invece, ad individuare le politiche e le pratiche amministrative, a livello nazionale e comunitario, che gravano sulle imprese turistiche europee, impedendone la crescita, ma anche ad identificare le buone pratiche che possono essere considerate degli esempi da seguire;
    i risultati di tali consultazioni, aperte fino al 15 marzo 2014, dovranno essere analizzati dalla Commissione europea al fine di fornire informazioni utili per future azioni politiche a tutti i livelli e costituiranno un input nella stesura del documento che sarà presentato dal vicepresidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, al Forum europeo del turismo, che si svolgerà nel mese di luglio 2014 sotto presidenza italiana dell'Unione europea;
    l'urgenza di sollecitare l'attivazione di nuove politiche improntate ad una maggiore considerazione strategica del settore turistico trova la sua ragione sia nella rilevanza che il turismo assume rispetto all'economia nazionale e nella dimensione dei flussi e dei movimenti che effettivamente attrae, sia nella difficile situazione competitiva che da alcuni anni sta penalizzando il nostro Paese rispetto ad altri principali competitor internazionali;
    dal 1950 al 2005 il turismo internazionale è cresciuto nel mondo con un tasso medio annuo del 6,5 per cento, passando da una media annua del 10,6 per cento negli anni Cinquanta al 3,3 per cento del periodo 2000-2005;
    in questo processo di enorme crescita turistica, l'Italia ha mostrato, anche recentemente, di crescere meno di altri Paesi, perdendo, dunque, rilevanti posizioni nella classifica mondiale;
    l'ultimo dossier Unwto, l'Organizzazione mondiale del turismo, segnala come il nostro Paese si collochi effettivamente al quinto posto sotto il profilo del numero degli arrivi turistici, ma che in termini di fatturato è scivolato già al sesto posto dietro Macao, con un trend negativo che si riflette pure nella classifica sulla competitività turistica, dove l'Italia si pone malinconicamente nel ventiseiesimo posto nel mondo e nel diciassettesimo in Europa. Il rapporto 2013 World Travel & Tourism Council evidenzia, poi, come il turismo in senso stretto contribuisca al prodotto interno lordo italiano con appena il 4,1 per cento che corrisponde ad una quota nettamente inferiore a quella che altri Paesi occidentali ricavano dall'utilizzo delle tecnologie digitali e della banda larga e che, compreso questo dato, l'indotto contribuisce al prodotto interno lordo italiano con poco più del 10, 3 per cento. A ciò si aggiunge che, senza una sterzata realmente virtuosa, gli economisti del World Travel & Tourism Council prevedono che nei prossimi 10 anni nove Paesi su 181 monitorati cresceranno meno dell'Italia e la tabella diffusa recentemente da Eurostat sui pernottamenti nel nostro Paese altro non fa che confermare queste previsioni. Detta tabella rivela, infatti, che l'Ungheria ha registrato nel 2013 un aumento del 5 per cento, la Slovacchia del 5,5 per cento, la Bulgaria del 6,2 per cento, la Gran Bretagna (con 28 siti Unesco a fronte dei 49 italiani, che dovrebbero diventare 50 comprendendo le Langhe) del 6,5 per cento, la Lettonia del 7,3 per cento, la Grecia dell'11 per cento, mentre l'Italia ha perso il 4,6 per cento con contestuale chiusura di 1.808 imprese alberghiere (dati Asshotel 2013);
    lo stato di sofferenza dell'industria turistica del nostro Paese e la necessità di indagare le cause di tale crisi, valutandone le possibili soluzioni, aveva già indotto la X Commissione parlamentare (Attività produttive) della Camera dei deputati a deliberare, il 30 gennaio 2007, una indagine conoscitiva sullo stato di attuazione della legge 29 marzo 2001, n. 135, concernente la riforma della legislazione nazionale del turismo, il cui documento conclusivo è stato approvato nella seduta del 27 febbraio 2008. Secondo quanto riportato in tale documento, l'industria turistica del nostro Paese registra vari punti critici tra i quali si segnalano:
     a) il problema della governance del sistema, in quanto l'approvazione della legge n. 135 del 2001 è andata rapidamente ad impattare con la riforma costituzionale di cui alla legge n. 3 del 2001, in base alla quale la materia «turismo» è stata assegnata alla competenza esclusiva delle regioni. Tale discrasia ha provocato un'attuazione parziale e non convinta della legge stessa, da un lato, ed un'estrema frammentazione nell'applicazione di alcuni punti qualificanti della riforma stessa (ad esempio, l'identificazione dei sistemi turistici locali, che è stata attuata solo da alcune regioni ed in maniera estremamente difforme). D'altro canto, alcune delle funzioni che sono ricadute nella competenza esclusiva delle regioni (si pensi, ad esempio, al sistema della classificazione delle strutture alberghiere e turistiche) sarebbero state meglio standardizzate ove i criteri fossero stati univocamente e centralmente definiti. Più in generale, è stato sottolineato che, di fronte ad una grave crisi del sistema del turismo, con la perdita di porzioni notevoli del mercato, l'Italia non riesce a far fronte alla concorrenza internazionale a causa dell'assenza di una politica nazionale in materia, che qualifichi l'offerta e la domanda, con un brand riconoscibile relativo al cosiddetto Prodotto Italia. L'offerta e la promozione frammentata messa in atto dalle regioni non sembra, infatti, raggiungere una massa critica sufficiente a indirizzare la domanda e, soprattutto, ad innescare quei processi di innovazione e di qualificazione dell'offerta che sembrano essenziali di fronte ad una richiesta di servizi da parte del turista che è radicalmente cambiata;
     b) l'incompleta attuazione della stessa legge n. 135 del 2001, poiché alcune norme in essa contenute, come quelle relative alla carta dei diritti del turista o ai buoni vacanza, non sono mai decollate o solo parzialmente attuate. Il giudizio pressoché unanime sulla legge è che essa si è presentata come una buona legge, ma è rimasta incompiuta;
     c) la carenza nella qualificazione e differenziazione del prodotto-turismo. La difficoltà ad innovare e qualificare i vari segmenti di offerta turistica appare in gran parte strutturale: le strutture ricettive si caratterizzano (un po’ come in generale la piccola industria italiana) come micro-dimensionate e spesso non di proprietà dei gestori; questi dati, come naturale, scoraggiano ed impediscono l'investimento su di esse, necessario per la loro riqualificazione, anche in relazione all'offerta di alcuni tipi di servizio (quale quello diretto all'accoglienza delle persone diversamente abili, ovvero del turismo cosiddetto sociale). In Italia manca, inoltre, quasi completamente la presenza delle grandi catene alberghiere, anche per una comprovata incapacità di attrarre investimenti dall'estero. Da un punto di vista strutturale, assai carenti si presentano inoltre i vettori di trasporto (sia il vettore aereo che i trasporti di terra): questo scoraggia il cosiddetto turismo itinerante, ovvero che non si ferma in un'unica località, e rende pressoché irraggiungibili alcune parti del territorio nazionale (ovvero raggiungibili solo con ingente spesa di tempo e denaro). Anche altre fette di domanda, infine, non trovano risposte nella richiesta di nuovi servizi: si pensi, ad esempio, al turismo ciclabile, che caratterizza il turismo in Olanda e che sarebbe particolarmente appetibile in Italia. La convinzione che emerge è che, di fronte ad una domanda di turismo che è cambiata e che continua a cambiare, l'Italia non sia in grado di raccogliere le forze per rispondere come sistema-Paese: il dato dell'aumento percentuale, e in controtendenza, del turismo culturale conferma tale analisi, poiché in tale caso è il prodotto che si qualifica da solo. L'Italia sta perdendo buona parte del turismo cosiddetto popolare, ma non migliora nemmeno su quello che si potrebbe caratterizzare quale turismo di qualità, poiché non offre la migliore qualità né per l'alloggio, né per la ristorazione, né per la mobilità sul territorio (risente di questa situazione anche il turismo termale, un tempo punto di forza del settore), mentre continua a rimanere non concorrenziale il rapporto qualità-prezzi;
     d) la carenze nella rilevazione dei dati. Un elemento che è stato particolarmente sottolineato è la difficoltà a reperire dati attendibili relativi alle presenze turistiche e alla loro durata, ovvero dei dati relativi al fenomeno del turismo che possano permettere di leggere meglio la domanda e di calibrare l'offerta. La rilevazione dei dati, che fino ad ora è stata affidata all'Istat, viene attualmente svolta da un istituto di nuova costituzione, ovvero, l'Osservatorio nazionale del turismo;
     e) le carenze nella formazione del personale e nella politica dell'accoglienza. Da più parti è stato rilevato che nell'offerta turistica italiana si sconta anche una grave carenza relativa alla politica dell'accoglienza; senza dubbio fra le cause di tale deficit rientra la non adeguata formazione del personale di tutti i livelli addetti al turismo, sia a causa dell'accentuata stagionalità dello stesso, sia, per quanto riguarda il livello manageriale, a causa dell'assenza di un atteggiamento culturale che riconosca la complessità del fenomeno turistico e la delicatezza insita nell'opera di qualificazione dell'offerta. A differenza, quindi, dei Paesi competitor dell'Italia, non esistono percorsi di alta formazione per i manager del turismo e il personale di diverso livello è spesso precario e stagionale;
     f) le difficoltà nella politica di promozione turistica. Tutte le strutture concepite nella legge n. 135 del 2001, quali potenziali fulcri della promozione turistica, hanno solo parzialmente funzionato: dai sistemi turistici locali, per quanto concerne la promozione da effettuare sul territorio; alla Conferenza nazionale del turismo, che non sembra avere compiutamente ottemperato alla sua competenza in relazione alla definizione delle linee guida delle politiche del turismo, né al compito di favorire il confronto tra le istituzioni e le rappresentanze del settore; né infine, è stato di qualche utilità il portale telematico ideato per assemblare e coordinare il cosiddetto «Prodotto Italia» in una vetrina tecnologicamente avanzata;
    alla luce di quanto precede, appare evidente come alcune delle cause principali che caratterizzano la crisi dell'industria turistica italiana siano oggetto di approfondimento e di dibattito parlamentare ormai da diversi anni, eppure l'attenzione dedicata al turismo sino a oggi ha, di fatto, mobilitato meno dell'uno per cento degli interessi della politica, non esistendo concretamente una strategia nazionale di riferimento, perché il turismo viene sempre invocato ma quasi mai utilizzato nelle decisioni sulle quali puntare per lo sviluppo del nostro Paese nell'ambito del contesto europeo e internazionale;
    appare necessario ripensare la materia del turismo in modo organico e in linea le indicazioni europee formulate sulla questione, puntando, in particolare, all'attivazione di una serie di iniziative volte a promuovere la sinergia tra turismo e patrimonio artistico e culturale, considerato che il sistema produttivo culturale, stando all'indagine condotta da Symbola e Unioncamere, nel 2012, ha reso alle casse nazionali oltre 75 miliardi di euro, rappresentando a sua volta il 5,4 per cento della ricchezza prodotta;
    si evidenzia, inoltre, che i Paesi ad economia emergente potrebbero oggi rappresentare una grande un'opportunità economia da cogliere, considerato che la Russia e la Cina nel 2017 potrebbero spendere insieme sino a 20 miliardi di euro per il turismo. Tali dati – raccolti dalla già citata Organizzazione mondiale del turismo – sono stati recentissimamente ribaditi in occasione della presentazione di una ricerca realizzata per Formez PA dal centro di ricerca internazionale EuroMonitor, in collaborazione con Federculture, dalla quale emergono le potenzialità italiane nell'attrarre turisti provenienti dai Paesi cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina) rispetto ai diretti competitor dell'Italia, Spagna e Francia,

impegna il Governo:

   a presentare, prima della data di inizio del semestre europeo, una strategia nazionale di rilancio del turismo che punti a rilanciare il turismo nel solco delle indicazioni formulate a livello europeo e alla luce delle criticità evidenziate dal presente atto di indirizzo per quanto attiene alla difficoltà nella governance del settore, alla promozione all'estero frammentata, al nanismo delle imprese, ai limiti nella capacità di costruire prodotti turistici competitivi, alle infrastrutture insufficienti, alla formazione del personale inadeguata e alla difficoltà ad attrarre investimenti internazionali, al fine di ricollocare il turismo al centro dell'agenda politica del Governo in una logica di efficace collaborazione tra Stato e autonomie regionali;
   a promuovere e favorire l'avvio di un percorso che, attraverso la revisione del titolo V della parte II della Carta costituzionale, restituisca allo Stato il ruolo di propulsore del turismo, materia rispetto alla quale l'esercizio dell'attività legislativa è attualmente demandata in via esclusiva alle regioni;
   ad unificare la gestione delle banche dati sul turismo sotto un singolo osservatorio alle dipendenze del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, oppure dell'Agenzia nazionale del turismo, con la responsabilità di garantire completezza, affidabilità e chiavi di lettura a livello nazionale e regionale sui dati relativi al turismo;
   a rilanciare l'Agenzia nazionale del turismo, portandola al livello delle migliori agenzie internazionali, dotandola di risorse e competenze specifiche per diventare effettivo motore di sviluppo del settore nello svolgimento della missione istituzionale di promozione turistica internazionale dell'Italia e delle sue realtà regionali;
   ad implementare una strategia digitale del Paese per il turismo nell'ambito del progetto complessivo di attuazione dell'Agenda digitale italiana, sviluppando la promozione dell'Italia su canali e piattaforme digitali e aumentando, altresì, la visibilità dei prodotti turistici italiani sul web;
   a sfruttare la vetrina dell'Expo 2015 per promuovere anche il resto dell'offerta turistica del Paese, rafforzando la campagna sui media italiani per sensibilizzare il Paese circa l'importanza dell'offerta turistica nazionale oltre che internazionale;
   ad adottare opportune iniziative normative tese ad incentivare fiscalmente la produzione di film internazionali ambientati in luoghi italiani sui quali si deve puntare come soluzioni di offerta del sistema che fungano da pubblicità e richiamo;
   ad aprire un tavolo di lavoro sul turismo marittimo tra l'Agenzia nazionale del turismo, regioni, enti locali e associazioni di categoria, focalizzando gli sforzi per trovare una soluzione che risponda alla normativa «Bolkestein»;
   a promuovere una revisione organica e complessiva della disciplina relativa all'esercizio della professione di guida turistica che riguardi anche i requisiti di accesso e le relative modalità di verifica, in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, al fine di assicurare la valorizzazione e la tutela del patrimonio storico e artistico nazionale, nonché la tutela del turista e del fruitore dei beni culturali, anche riconoscendo, sulla base della direttiva relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (direttiva 2005/36/CE), la specifica e peculiare professionalità delle guide turistiche;
   a promuovere un programma di eccellenza della formazione turistica nazionale (ad esempio, istituti tecnici superiori e scuole professionali) per rilanciare l'offerta di qualità del turismo italiano nei confronti dei turisti internazionali;
   a promuovere l'adozione di un piano strategico teso a migliorare l'offerta italiana di trasporti e infrastrutture e a potenziare, in particolare, le strutture aeroportuali a forte potenziale turistico, sviluppando voli diretti da e per Paesi in forte crescita, aumentando il numero e la frequenza delle tratte nelle connessioni con i Paesi cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina);
   a sostenere il turismo culturale, trasformandolo in una delle leve di sviluppo del nostro Paese, avviando un piano straordinario e immediato di manutenzione dei siti Unesco, come recentemente ribadito dal programma delineato da Formez e Federcolture, al fine di rilanciare il turismo italiano, con particolare riguardo alle aree del Mezzogiorno;
   a favorire, mediante l'adozione di apposite iniziative di competenza, la pratica del naturismo che potrebbe rendere maggiormente competitiva l'offerta turistica italiana, superata oggi non solo dall'Europa settentrionale, ma anche da tutti i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo, disciplinando l'individuazione di apposite aree da destinare a campi naturisti per un utilizzo di tipo turistico-ricettivo.
(1-00388)
«Lacquaniti, Migliore, Di Salvo, Giancarlo Giordano, Costantino, Melilla, Zan, Pellegrino, Lavagno, Nicchi, Ricciatti».
(21 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    le bellezze naturali e paesaggistiche, il ricco patrimonio di storia, le opere d'arte e i monumenti hanno permesso all'Italia di collocarsi tra le principali mete turistiche del mondo e l'Unesco ha inserito il nostro Paese nel patrimonio mondiale dell'umanità;
    il turismo rappresenta un settore fondamentale per l'economia del Paese per due ragioni: anzitutto ha un forte peso sia in termini di prodotto interno lordo (circa il 9 per cento) sia di occupazione (circa il 10 per cento); è inoltre un settore, forse l'unico, dove l'Italia ha un vantaggio competitivo forte e durevole nel tempo;
    in altri Paesi (come ad esempio Francia e Spagna) il contributo del turismo all'economia è maggiore sia in termini relativi sia in termini assoluti e, negli ultimi anni, il settore turistico italiano ha perso quota di mercato a livello mondiale: dalla prima posizione occupata a livello europeo all'inizio degli anni Ottanta e ancora verso la metà degli anni Novanta, oggi è soltanto terzo (dietro a Spagna e Francia), per non parlare poi delle ultime decisioni prese ad Atene relative alla promozione del turismo marino e marittimo;
    l'Italia ha ancora un ruolo rilevante nel turismo internazionale, ma stenta a tenere il passo della crescita del settore e tende a perdere quota di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei, evidenziando una notevole perdita di competitività;
    il turismo per il nostro Paese ha oltretutto un peso significativo nell'economia nazionale, generando maggiori opportunità di lavoro rispetto ad altri settori industriali considerati prioritari e il suo contributo al prodotto interno lordo dell'Italia ammonta a oltre 130 miliardi di euro (circa il 9 per cento della produzione nazionale), impegnando in questo settore circa 2,2 milioni di persone (un lavoratore su dieci);
    è un settore che esprime un notevole potenziale per ciò che riguarda la comunicazione e l'integrazione interculturale, due elementi rilevanti in un mondo divenuto multi-polare, e offre inoltre grandi opportunità per la valorizzazione dello straordinario patrimonio storico e artistico italiano, sia rispetto alla comunicazione delle identità dei territori, ma soprattutto in termini di attrazione di nuove risorse per la loro conservazione e rivalutazione;
    sono chiare a tutti le criticità dell'industria turistica italiana dovute a problemi di governance del settore, promozione all'estero estremamente frammentata e graduale marginalizzazione dell'Agenzia nazionale del turismo (Enit), nanismo delle imprese, limiti nella capacità di costruire prodotti turistici competitivi, infrastrutture insufficienti, formazione del personale inadeguata al mercato globale, difficoltà ad attrarre investimenti internazionali;
    condizione indispensabile per un rilancio del settore è un radicale cambiamento nell'approccio ai problemi del turismo, che nessun Governo ha mai messo al centro della propria agenda, non considerandolo un investimento su cui puntare per lo sviluppo del Paese;
    è necessario, dunque, avviare un cambiamento anzitutto culturale, iniziando a considerare il turismo come una grande opportunità per il Paese e coordinando gli sforzi necessari a valorizzarne il potenziale inespresso;
    l'impareggiabile ricchezza di «risorse turistiche» del Paese non deve condurre all'ingenua convinzione che i turisti internazionali continueranno ad arrivare spontaneamente, dal momento che i viaggiatori internazionali cercano oggi un'offerta organizzata e, anche se l'Italia rappresenta per più di una ragione la meta più desiderabile, spesso la scelta finale premia altre destinazioni perché complessivamente più convenienti o più «facili»;
    per competere con successo nel mercato turistico internazionale, è necessario allora comprendere a fondo anzitutto la domanda ed essere in grado poi di offrire prodotti moderni, consapevoli del fatto che l'esperienza di consumo turistico ha inizio ben prima dell'atto della prenotazione e termina ben dopo il rientro a casa;
    le differenti aree tematiche del turismo italiano sono considerate «mature» ed attrattive nei confronti dei diretti competitor internazionali e occorre, quindi, fare leva sulla riqualificazione generale dell'offerta turistico-ricettiva alberghiera, che spesso, stante anche la sua ridotta dimensione imprenditoriale, sconta la necessità di subire costi elevati di mantenimento di standard qualitativi. Durante l'esame della legge di stabilità 2014, il gruppo parlamentare di Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente ha presentato degli emendamenti diretti a far fronte all'arretratezza tecnologica del comparto turistico che è uno dei principali elementi di svantaggio competitivo rispetto ai maggiori sistemi turistici concorrenti;
    è, dunque, necessario apportare un miglioramento degli aspetti legati alla sostenibilità ambientale, anche diretti a favorire i sistemi di etichettatura ecologica su base volontaria, in linea con le politiche in materia dell'Unione europea, per poter conseguire livelli di qualità più vicini alle esigenze di una clientela turistica sempre più attenta alle istanze derivanti dalle problematiche ambientali e che richiede una serie di comportamenti virtuosi e qualitativi da parte di esercenti e albergatori;
    per il periodo 2010-2020 la crescita attesa del turismo internazionale nel mercato di riferimento dell'Italia è pari al 2,9 per cento annuo in termini di numero di viaggiatori e pari al 4,8 per cento annuo in termini di spesa; è rilevante, quindi, osservare come circa la metà di questa crescita in termini di spesa dovrebbe riguardare i viaggiatori a medio-lungo raggio e, quindi, dalle geografie emergenti (in particolare dai Paesi cosiddetti Bric e del Golfo Persico) che nello scorso decennio hanno espresso solamente il 30 per cento della crescita;
    sono state individuate alcune criticità principali per la definizione di una politica di sviluppo del turismo in Italia che si riferiscono agli asset del Paese dal punto di vista turistico, distinti tra «asset permanenti» e «asset temporanei», dove per «permanenti» si intendono le aree italiane con prestigio e notorietà riconosciute (asset religiosi, naturalistici, enogastronomici e artistico-culturali) e dove per «temporanei», invece, si intendono il posizionamento attuale del Paese (ad esempio, lifestyle e moda), il contesto politico-sociale e i grandi eventi o le manifestazioni che in esso hanno luogo;
    nella XVI legislatura sono state emanate alcune disposizioni per aumentare la competitività del turismo al fine di riqualificare e rilanciare l'offerta turistica a livello nazionale e internazionale. In particolare, il piano strategico di sviluppo del turismo in Italia, adottato ai sensi dell'articolo 34-quinquies del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, ha messo in risalto come l'Italia ha ancora un ruolo rilevante nel turismo nazionale ed internazionale, ma stenta a tenere il passo della crescita e tende a perdere quote di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei;
    è importante che il Governo decida di mettere al centro della propria agenda una serie di scelte strategiche per lo sviluppo del turismo, riconoscendogli un ruolo di primo piano per la crescita del Paese,

impegna il Governo:

   a definire un più efficiente programma strategico di sviluppo che tenga conto del patrimonio culturale, architettonico e paesaggistico del Paese e che sia volto a far crescere qualitativamente l'offerta turistica e a rendere l'Italia più competitiva sul mercato internazionale, anche attraverso la promozione di azioni dirette a favorire la riqualificazione dei territori nonché del capitale umano;
   ad adottare azioni dirette a migliorare la formazione tecnico-professionale, date le caratteristiche labour intensive del settore, e a ripensare la formazione universitaria, dove si è assistito negli ultimi dieci anni ad un progressivo scollamento tra offerta formativa ed esigenze espresse dalle imprese, così da favorire un ingresso massiccio di giovani nel settore turistico per contribuire a una sua più rapida innovazione;
   a valorizzare il patrimonio materiale storico-artistico ed enogastronomico e quello immateriale tradizionale, anche attraverso lo sviluppo ed il riconoscimento di attività e manifestazioni che incentivano il turismo identitario e culturale;
   a convocare al più presto un tavolo tecnico diretto a delineare le strategie per lo sviluppo del turismo in Italia sull'onda dell'ultima riunione dei presidenti della Commissione parlamentare attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati e della Commissione parlamentare industria, commercio, turismo del Senato della Repubblica riguardante il turismo e la crescita sostenibile dei settori marino e marittimo;
   a prevedere uno sviluppo del turismo che metta al centro il paesaggio, quale asset fondamentale per il Paese, contenendo i fenomeni come il consumo del suolo e l'abbandono progressivo dei territori rurali e montani, che minano la sostenibilità futura del turismo in Italia;
   ad adoperarsi affinché il Mezzogiorno possa esprimere – avendone i requisiti in termini di risorse – la propria naturale vocazione turistica in maniera moderna ed efficiente, trasformandosi in un'industria di traino per tutto il Paese e favorendo l'attrazione di numerosi investimenti;
   a prevedere, nell'ambito della propria attività di iniziativa legislativa, in particolare per quanto riguarda la riforma del titolo V della Costituzione, che la promozione del turismo italiano torni ad essere materia di competenza esclusiva dello Stato.
(1-00394) «Abrignani, Palese».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    grazie ai suoi 3.609 musei, ai quasi 5.000 siti culturali tra monumenti, musei e aree archeologiche, ai 46.025 beni architettonici vincolati, alle 12.609 biblioteche, alle centinaia di festival ed iniziative culturali e ai 49 siti Unesco (5 per cento del totale e 11 per cento di quelli europei) il nostro Paese rappresenta un unicum nel panorama culturale e turistico mondiale;
    il settore del turismo rappresenta circa il 10 per cento del prodotto interno lordo italiana e occupa, secondo quanto emerge dal Quarto osservatorio sul mercato del lavoro del turismo in Italia, quasi un milione di posti di lavoro, pari al 5 per cento dell'occupazione italiana. In particolare, il turismo è settore trainante dell'occupazione giovanile: i giovani rappresentano, infatti, il 63 per cento degli occupati;
    nel 2013 si è registrato un incremento del 5 per cento del turismo mondiale rispetto all'anno precedente, ma l'Italia è scivolata al quinto posto tra i Paesi più visitati, dietro a Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina;
    nonostante l'Italia sia il primo Paese al mondo per qualità del turismo culturale, occupa il quindicesimo posto nella classifica che misura il valore di un marchio-Paese nel mondo, perdendo cinque posizioni rispetto all'anno precedente. Le continue emergenze strutturali che caratterizzano l'Italia, unite all'incapacità di trasmettere efficacemente le vocazioni dei cosiddetti terroir, danneggiano fortemente la percezione dell'Italia all'estero. Se da un lato, infatti, i territori hanno mantenuto una forte specificità e identità locali marcate, manca una loro promozione integrata che comprenda un'adeguata riqualificazione della loro offerta turistica;
    la riforma del Titolo V della Costituzione, ampliando i poteri delle regioni in materia di turismo, non ha sciolto tuttavia i nodi esistenti. Permane un'evidente mancanza di coordinamento nazionale con un marchio unico da promuovere, con la conseguenza che ogni regione agisce indipendentemente senza un indirizzo ed una strategia comuni. Nel triennio 2009-2011 le regioni hanno speso in promozione turistica circa un miliardo di euro con scarsi ritorni economici;
    si stima che, recuperando parte della competitività persa, il turismo potrebbe nel 2016 raggiungere almeno l'11,9 per cento del prodotto interno lordo, creando ulteriori 900 mila posti di lavoro, puntando soprattutto sulla capacità di spesa dei Paesi cosiddetti Bric (Brasile. Russia, India e Cina) che è destinata a triplicare entro il 2030 (già oggi questi Paesi hanno a disposizione l'80 per cento in più di reddito di quanto ne avessero nel 2005);
    partendo dall'analisi di alcuni dati, questa tendenza risulta amplificata nel Mezzogiorno, dove i siti culturali statali nel 2012 hanno attratto 7,4 milioni di visitatori e incassato 28 milioni di euro di introiti lordi, di cui però il 43 per cento dei visitatori e il 75 per cento degli incassi sono rappresentati solo da Pompei, Ercolano e dalla Reggia di Caserta. Sempre a titolo esemplificativo, in Sicilia su 115 siti culturali solo 11 hanno un proprio sito web e appena 5 di questi sono anche in inglese. In pochi posti in Italia come in Sicilia esiste un patrimonio archeologico così perfettamente inserito nel panorama agricolo e non bisogna dimenticare che, sempre in Sicilia, l'agricoltura incide sostanzialmente sul prodotto interno lordo regionale. Se si valuta che un posto di lavoro in agricoltura costa, in media, sei volte meno che un altro tipo di lavoro, diventa così evidente come incoraggiare, promuovere, sostenere e diffondere il circuito virtuoso del cosiddetto terroir e del turismo culturale sarebbe una sfida vincente;
    occorre partire da un dato di fatto, cioè che oltre la metà del turismo mondiale è rappresentata dal turismo culturale, nel quale, nonostante tutto, l'Italia può ancora vantare una posizione preminente;
    l'Italia è ultima in Europa anche rispetto all'accesso e nell'uso delle risorse digitali. Basti pensare che mentre il sito della reggia di Versailles è in cinque lingue, quello degli Uffizi, oltre che in italiano, offre solo l'alternativa in inglese. Tra i musei italiani solo il 3 per cento ha applicazioni per smartphone e tablet, solo il 6 per cento ha video-guide o dispositivi digitali per la visita e solo il 13 per cento ha il catalogo accessibile on-line;
    i tentativi finora messi in campo per dotare il Paese di un portale nazionale del turismo e di una rete che venda il prodotto Italia sono naufragati con un inutile dispendio di risorse preziose;
    si registrano forti ritardi anche nella digitalizzazione dei sistemi di ospitalità, mediamente solo il 12,5 per cento dei pernottamenti sono venduti sul web, il 30 per cento delle attività ricettive non ha una piattaforma per le prenotazioni e solo il 46,7 per cento vende on-line;
    vi è anche l'Expo 2015 che rappresenta un'occasione imperdibile per tutta l'Italia. Attraverso questo evento mondiale sarà possibile presentare una vetrina globale unica del patrimonio italiano di varietà agroalimentari. Attraverso l'Expo 2015 si potrà offrire un sistema di itinerari turistici articolati intorno alla rete dell'ospitalità italiana;
    per un rilancio del turismo bisogna puntare, oltre sull'ineguagliabile patrimonio culturale, anche sulla forte identità e specificità dei territori: l'Italia conta, infatti, 1.923 comuni aderenti all'associazione Res Tipica, per la promozione e la valorizzazione del patrimonio enogastronomico, ambientale, culturale e turistico; 542 comuni aderenti all'associazione «Città del vino», 154 prodotti di denominazione di origine protetta, 92 prodotti di indicazione geografica protetta;
    il turismo è uno strumento importante per integrare le regioni meno sviluppate e garantire loro una partecipazione equa alla crescita. Per tali motivi i fondi europei strutturali e di coesione possono fornire un sostegno fondamentale per migliorare la competitività e la qualità del turismo a livello regionale e locale. Le infrastrutture turistiche contribuiscono allo sviluppo locale e a creare o mantenere posti di lavoro anche nelle aree in declino industriale o rurale o in quelle in corso di riqualificazione urbana;
    tra il 2007 e il 2013, gli aiuti destinati dall'Unione europea all'industria del turismo nell'ambito della politica di coesione sono stati pari a oltre 6 miliardi di euro, pari all'1,8 per cento del bilancio complessivo; di questi, 3,8 miliardi di euro sono stati destinati al miglioramento dei servizi turistici, 1,4 miliardi di euro alla protezione e lo sviluppo del patrimonio naturale e 1,1 miliardi di euro alla valorizzazione dei beni naturali. È stato, altresì, previsto un sostegno alle infrastrutture e ai servizi associati al turismo attraverso altre linee di bilancio, tra cui innovazione, promozione delle piccole e medie imprese, applicazioni delle tecnologie dell'informazione e capitale umano;
    l'aumento della domanda del mercato turistico presuppone l'esistenza di infrastrutture adeguate, oltre a quelle primarie, in quanto l'attrattività di un territorio e la scelta della vacanza dipende principalmente dal suo grado di accessibilità. Un'offerta dei mezzi di trasporto efficiente è direttamente proporzionale alla competitività turistica del Paese, soprattutto alla luce della concorrenza sempre più agguerrita degli altri Paesi europei e non;
    è necessario che il turista possa disporre di una soluzione integrata di servizi multicanale, che gli consenta di poter essere seguito ed assistito in tutte le fasi di acquisto e consumo del viaggio turistico-culturale in Italia;
    la ristrettezza di risorse economiche e la spending review impongono una revisione della normativa in materia di erogazioni liberali, sponsorizzazioni e fund raising, tali da agevolare, soprattutto dal punto di vista fiscale, i soggetti che vogliono liberamente contribuire al mantenimento e alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano;
    oltre ad essere una leva fondamentale per favorire lo sviluppo e l'occupazione, il turismo rappresenta uno strumento potente per migliorare la qualità della vita delle persone, soprattutto per quelle categorie economicamente svantaggiate. Secondo le ultime stime i viaggiatori con età superiore ai 65 anni sono più di 2 milioni l'anno e sono in continua crescita; le persone con disabilità sono circa 1 milione e 600 e di queste il 60 per cento effettua almeno un viaggio l'anno;
    in questo contesto, fornire servizi studiati ad hoc per gli anziani, rendere le strutture accessibili ai disabili, investire nel turismo giovanile attraverso l'ampliamento e il miglioramento di ostelli, possono rappresentare un'opportunità per allargare a ulteriori segmenti l'attività dell'operatore e rendere la propria offerta più competitiva sul mercato. Il turismo sociale, inteso quindi come «servizio sociale», può inoltre rappresentare, per chi opera nell'offerta turistica, una valida opportunità di sviluppo e di ritorno economico, concentrandosi in periodi di bassa stagione e destinato a località svantaggiate o in aree depresse,

impegna il Governo:

   al fine di valorizzare l'ineguagliabile patrimonio culturale, paesaggistico e agricolo italiano, contestualmente al recupero e al potenziamento della competitività del settore quale volano per lo sviluppo generale del Paese, a valutare l'opportunità di:
    a) rivedere, nell'ambito delle più generale riforma del Titolo V della Costituzione, la ripartizione delle competenze in materia di turismo tra Stato e regioni e a predisporre in tempi rapidi, nelle more di tale riforma, una revisione della governance attraverso la creazione di una cabina di regia unica per il turismo tra Governo, Ministeri e regioni;
    b) predisporre un programma di digitalizzazione e d'informatizzazione per migliorare l'offerta turistica, annullando il digital divide attualmente presente rispetto agli altri Paesi a vocazione turistica;
    c) agevolare la diffusione di start-up giovanili nel settore culturale e turistico;
    d) valorizzare le identità e le specificità dei territori e il loro patrimonio enogastronomico, anche attraverso una pianificazione agricola di qualità, competitiva e rispettosa dell'ambiente;
    e) concepire misure per il coinvolgimento dei privati nella valorizzazione di beni e siti turistici, compresi quelli minori per favorire lo sviluppo locale, anche attraverso soluzioni che agevolino le erogazioni liberali e le sponsorizzazioni;
    f) considerare il prossimo semestre europeo e la celebrazione di Expo 2015 quali occasioni imperdibili per recuperare credibilità e tornare al centro dei processi di sviluppo internazionali, riaffermando l'Italia quale produttore di cultura;
    g) reperire le risorse finanziarie necessarie a realizzare una seria programmazione strutturale di interventi di manutenzione per tutti i principali siti archeologici a partire dai siti Unesco;
    h) sviluppare in tempi rapidi un brand Italia da promuovere a partire dai prossimi grandi eventi nazionali e regionali;
    i) predisporre standard di classificazione europei e un marchio di qualità nazionale in modo da consentire il recupero di attrattività ed efficienza per il sistema dell'ospitalità italiana, soprattutto per migliorarne l'accessibilità attraverso una mappatura delle strutture accessibili e il potenziamento dell'accoglienza all'infanzia;
    l) sostenere la domanda di turismo sociale favorendo, soprattutto l'accesso al sistema del turismo per le categorie sociali più deboli, recuperando lo strumento dei buoni vacanze, rivelatosi molto importante per il forte impatto sociale ed economico, ma sospeso nel 2012 per la fine della convenzione e in attesa delle disposizioni ministeriali sulle modalità della sua riattivazione;
    m) studiare, all'interno dei piani per la sicurezza nazionali, un protocollo di garanzia turistica: vigilanza riconoscibile e amichevole, squadre anti scippo, controlli anti frode con adeguate conoscenze e percorsi rapidi su come intervenire con turisti stranieri, consolati, ambasciate ed altro;
    n) monitorare e ottimizzare le comunicazioni integrate aereo, treno, pullman, aliscafo, promuovendo, per quanto di competenza, la possibilità di effettuare gli acquisti dei biglietti on-line.
(1-00395)
«Schirò, Caruso, De Mita, Binetti, Santerini, Sberna, Gigli, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Piepoli, Cera».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il settore turistico è strategico per l'economia del Paese. Il contributo del turismo al prodotto interno lordo dell'Italia ammonta ad oltre 161 miliardi di euro nel 2012. Sempre nello stesso anno il settore ha contribuito a garantire circa 2 milioni 700 mila occupati;
    il settore è oggi in crisi e, nonostante una leggera ripresa nel 2013 con un +0,9 per cento di turismo interno e un +3 per cento di quello straniero, i profitti delle imprese e l'occupazione rimangono in forte calo. Da un'indagine realizzata da Federalberghi, il giro di affari nel 2013 si attesterà sui 14,9 miliardi di euro rispetto ai 15,3 miliardi di euro del 2012, con un -3 per cento e con l'occupazione in calo del 5 per cento;
    nella XVI legislatura sono state emanate alcune disposizioni per aumentare la competitività del turismo al fine di riqualificare e rilanciare l'offerta turistica a livello nazionale e internazionale. In particolare, il piano strategico di sviluppo del turismo in Italia, adottato ai sensi dell'articolo 34-quinquies, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, ha messo in risalto come l'Italia ha ancora un ruolo rilevante nel turismo nazionale ed internazionale, ma stenta a tenere il passo della crescita e tende a perdere quote di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei, in primo luogo Francia e Spagna;
    come emerso da un'audizione svolta in Parlamento dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del Governo Letta, Massimo Bray, l'Italia, pur rimanendo in cima ai desideri di viaggio dei turisti, perde continuamente quote di mercato a favore di un generalizzato aumento del turismo al livello mondiale; il marchio Italia rimane quindi ai primi posti, eppure il sistema italiano fatica ad intercettare la domanda per questioni che sono anche riconducibili a ritardi nello sviluppo infrastrutturale del Paese;
    l'Italia, a differenza di altri Paesi, ha un patrimonio artistico, culturale e paesaggistico e gastronomico che rappresenta una leva importante per lo sviluppo del turismo, il quale a sua volta è uno strumento efficace per la conoscenza e la valorizzazione delle bellezze di cui dispone il Paese;
    da un'indagine condotta da Symbola e Unioncamere, il sistema produttivo culturale nel 2012 ha reso alle casse dello Stato 75 miliardi di euro, rappresentando il 5,4 per cento della ricchezza prodotta. La sinergia tra cultura e turismo, se efficacemente sfruttata, può offrire quindi un'opportunità di crescita all'economia del Paese;
    il settore turistico ha davanti a sé un grande opportunità di sviluppo che è rappresentata dalla realizzazione di Expo 2015, un evento strategico che attrarrà, nei sei mesi di esposizione, oltre 20 milioni di visitatori di cui il 30 per cento stranieri, con la partecipazione di 145 Paesi per un investimento previsto per l'area espositiva di 1,7 miliardi di euro;
    molti Paesi che hanno aderito ad Expo 2015 da tempo stanno promuovendo, a livello nazionale ed internazionale, pacchetti turistici per attrarre sui loro territori i flussi di visitatori che arriveranno per l'evento, aumentando così il livello della competizione nel settore;
    il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Enrico Letta, ha più volte sottolineato l'importanza dell'evento come possibilità di ripresa dell'economia italiana e ne ha ribadito l'assoluta priorità per il Paese. In tal senso, è stato approvato il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014, che tra le varie misure prevede anche il finanziamento di progetti territoriali per la valorizzazione e l'accoglienza turistica legata all'evento Expo 2015;
    è indispensabile attivare tutte le occorrenti misure per potenziare e sfruttare al meglio tutte le opportunità che offrirà al tessuto sociale e imprenditoriale l'incremento del turismo legato ad Expo 2015, sostenendo le eccellenze del nostro Paese per far sì che la Lombardia e le regioni limitrofe possano esprimere al meglio il proprio potenziale e diventare uno stimolo per attrarre i visitatori che arriveranno a Milano per l'evento;
    la crisi in atto nel Paese ha avuto ripercussioni importanti anche sul turismo italiano; i viaggi effettuati dagli italiani nel 2013 sono stati 63 milioni e 154 mila, il 19,8 per cento in meno rispetto all'anno precedente; un trend negativo, rilevato già a partire dal 2009, che ha fatto registrare in totale una perdita di circa 60 milioni di viaggi;
    in tale scenario appare importante sostenere la domanda turistica degli italiani con iniziative che li incoraggino a trascorrere le proprie vacanze in Italia, dando così un segnale di fiducia all'intero comparto, caratterizzato prevalentemente dalla presenza di piccole e medie imprese;
    la Svizzera, ad esempio, discute da tempo la possibilità di adottare misure di detrazione dai redditi del costo delle vacanze trascorse dai turisti svizzeri in patria, con lo scopo di rilanciare la domanda interna, specie nelle località meno turistiche, a beneficio dell'intero comparto industriale;
    l'industria turistica italiana, con particolare riferimento al comparto alberghiero, attraversa oggi una fase molto delicata. La riduzione del fatturato, la scarsa liquidità finanziaria, riconducibile alla mancanza di possibilità di accesso al credito, e l'aumento della pressione fiscale costituiscono, infatti, gli ostacoli più gravi all'esercizio d'impresa, ed anzi in molti casi sono tra le principali cause dell'abbandono dell'attività da parte degli albergatori;
    in questo scenario bisogna anche considerare che il patrimonio alberghiero in molti casi appare obsoleto e non più rispondente alle esigenze dei consumatori, richiedendo la realizzazione di ingenti investimenti. Sarebbe opportuno, quindi, un intervento che punti in primo luogo a favorire gli investimenti per l'ammodernamento delle strutture alberghiere, necessari per restituire un nuovo impulso allo sviluppo dell'offerta turistica, che sia rinnovata e di maggiore qualità;
    con il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, è stata reintrodotta nella legislazione italiana un'imposta di soggiorno a carico di chi alloggia nelle strutture ricettive italiane, con l'obiettivo di finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali;
    non sempre la tassa di soggiorno viene applicata in modo trasparente sul territorio, con il rischio che i proventi derivanti da tale tassazione non vengano reinvestiti nello sviluppo del turismo ma si perdano per finalità diverse e generiche. Il ritorno a un'imposta di scopo, così come originariamente pensata nel citato decreto legislativo n. 23 del 2011, rappresenterebbe un importante fonte di finanziamento per il turismo in generale e per il rinnovamento dell'offerta turistico-alberghiera;
    la legge Costituzionale n. 3 del 2001 ha modificato profondamente il Titolo V della Costituzione, relativo agli enti territoriali, assegnando alle regioni la piena autonomia legislativa ed amministrativa in ambito turistico. Tuttavia, il persistere nell'ordinamento italiano di norme di natura diversa in materia di turismo ha portato ad una regolamentazione disorganica del settore, introducendo elementi di incertezza per le diverse categorie che vi operano,

impegna il Governo:

   ad adottare immediate iniziative di sostegno al settore turistico italiano, reperendo le risorse necessarie per consentire ai cittadini italiani la possibilità di detrarre dalle imposte dirette sui redditi le spese sostenute per le vacanze effettuate in strutture turistiche italiane;
   a destinare ulteriori risorse allo sviluppo di progetti per la valorizzazione del turismo che incentivino, in accordo con i piani di sviluppo regionali, la costruzione e l'ammodernamento di strutture ricettive collegate alla realizzazione dell'evento di Expo 2015, anche attraverso sgravi fiscali che possano attirare nuovi investimenti imprenditoriali per il settore;
   ad attivare campagne di promozione del patrimonio culturale, artistico, paesaggistico e gastronomico italiano al fine di valorizzare un'offerta turistica che sia legata alle specificità dei territori locali;
   a potenziare le infrastrutture di collegamento con i principali aeroporti di rilevanza internazionale;
   a garantire la tracciabilità dell'impiego delle risorse ottenute attraverso la tassa di soggiorno, recuperando le finalità originarie per cui la tassa stessa era stata concepita, e cioè per finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali;
   a sostenere il rilancio del settore turistico italiano attraverso l'adozione di misure per la riduzione del carico fiscale, la semplificazione burocratica e la facilitazione all'accesso al credito per le imprese turistiche, con particolare riferimento a quelle di medie e piccole dimensioni.
(1-00396)
«Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica che ha coinvolto le principali economie occidentali negli ultimi anni ha duramente colpito il tessuto produttivo italiano, interessando anche il comparto turistico;
    i dati contenuti nel report «Viaggi e vacanze in Italia e all'estero», pubblicato il 12 febbraio 2014 dall'Istat, evidenziano come continui il trend negativo iniziato nel 2009 che negli ultimi cinque anni ha causato la perdita di quasi 60 milioni di viaggi (290 milioni di notti) da parte dei cittadini residenti in Italia;
    secondo le rilevazioni campionarie sul turismo internazionale dell'Italia, per l'intero periodo gennaio-novembre 2013, la bilancia turistica dei pagamenti è in avanzo di 12.459 milioni di euro – a fronte dei 11.292 milioni di euro dello stesso periodo dell'anno precedente (+10,3 per cento) – grazie agli stranieri che, nei primi 11 mesi dell'anno, hanno speso nel nostro Paese 31 miliardi e 400 milioni di euro (+2,8 per cento) malgrado la loro spesa si sia contratta del 2,3 per cento;
    l'alta concentrazione di beni dal rilevante valore storico-artistico, il patrimonio diffuso costituito dall'insieme formato dal paesaggio e tradizioni locali non sono garanzia di alte performance nell’incoming turistico, visto che l'Italia vive una riduzione dell'affluenza straniera nonostante il World Tourism Organization (UNWTO) abbia registrato nel 2013 un incremento dei flussi da turismo internazionale, che hanno raggiunto la cifra record di un miliardo e 87 milioni di euro, ovvero il 5 per cento in più rispetto al 2012;
    la promozione è una componente essenziale per lo sviluppo e l'affermazione delle attività turistiche, ma è evidente l'esistenza di gravi difficoltà se, come riportato dallo studio «Opportunità e trend per fare impresa nel turismo» (28 novembre 2013) dell'Istituto nazionale ricerche turistiche (Isnart) di Unioncamere, i principali canali di comunicazione che influenzano ancora la scelta delle vacanze nel 2012 sono sempre più il passaparola (37,4 per cento) e l'esperienza personale (29,6 per cento);
    il ricorso al web, infatti, è fermo al 23,1 per cento, malgrado la maggioranza delle aziende del settore disponga di un sito internet utile non solo come vetrina ma anche per effettuare prenotazioni, fatto che ha notevolmente incrementato il flusso di clienti provenienti da questo canale;
    ad oggi esistono gravi lacune, numerose barriere di natura burocratica e ulteriori limiti strutturali che non permettono il pieno sviluppo del settore ricettivo per il quale l'immediata razionalizzazione e riorganizzazione delle strutture istituzionali esistenti preposte potrebbe ridurre i numerosi sprechi e produrre risultati immediati e concreti;
    il precedente Esecutivo guidato da Enrico Letta si è limitato a trasferire, con l'articolo 1 della legge 24 giugno 2013, n. 71, di conversione del decreto-legge cosiddetto «omnibus» sull'emergenza ambientale (n. 43 del 2013), le funzioni del dipartimento del turismo dalla Presidenza del Consiglio dei ministri al Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo (commi 2-8);
    il trasferimento, avvenuto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 ottobre 2013, ha seguito tempi troppo lunghi e modalità che, in pratica, hanno paralizzato le risorse umane ed economiche impiegate dallo Stato centrale;
    il tanto annunciato e atteso decreto «valore turismo» del precedente Esecutivo non è stato emanato e numerose azioni contenute nella bozza circolata facevano riferimento, in base all'attuale riparto delle competenze nella Costituzione, alla necessità di un accordo tra Stato e regioni, circostanza che avrebbe ulteriormente complicato l'operatività del provvedimento per la necessità di una consultazione successiva alla sua emanazione da parte degli enti interessati;
    le difficoltà legate al rilancio del turismo italiano sono secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in buona parte da imputare alla riforma del Titolo V della Costituzione, approvata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha sottratto questa materia alla competenza dello Stato;
    l'assetto normativo legato alla polverizzazione delle attribuzioni in materia ha comportato la paradossale concorrenza tra le regioni che hanno speso per ciascun anno del triennio 2009-2011, secondo uno studio del 2013 di Confartigianato, ben 939 milioni e 600 mila euro senza aumentare in modo sensibile l'attrattività turistica;
    l'Enit-Agenzia nazionale del turismo, che dovrebbe svolgere una funzione di promozione in coordinamento con le regioni, ha subito negli ultimi anni continui tagli al proprio fondo di dotazione, potendo ora disporre solo delle risorse necessarie alle spese ordinarie per il proprio funzionamento, circostanza che ne evidenzia il fallimento e la perdita di credibilità;
    si prospetta la necessità di un ministero autonomo, come previsto in altri Paesi europei, i cui dipartimenti siano a stretto contatto con gli altri dicasteri chiave in modo da elaborare una politica coerente e unitaria per il comparto turistico;
    il sistema ricettivo, per essere efficace, deve essere in grado di proporre e soddisfare soluzioni sempre più personalizzate e individuali per far fronte a una domanda di mercato specifica, definita da una progressiva settorializzazione legata alle forme di turismo come quello culturale, congressuale, legato ai «marina», ambientale, sportivo e termale;
    è necessario un supporto maggiore al turismo religioso e culturale visto che l'Italia detiene il maggior numero di siti (49) inclusi nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco, la cui valorizzazione può rappresentare una delle peculiarità e delle offerte tematiche trainanti per gli altri settori della filiera. Questi beni devono essere tutelati adeguatamente: è emblematica la trascuratezza di alcuni siti-simbolo, come Pompei, che danneggia l'immagine complessiva del Paese;
    l'industria degli eventi costituisce un'attrattiva del comparto ricettivo ampiamente sottostimata. Secondo Federcongressi&eventi, nel 2012 l'Italia si è posizionata al quinto posto nel ranking dei dieci maggiori Paesi europei per eventi internazionali ospitati, dopo Germania, Spagna, Gran Bretagna e Francia. Per il rilancio di questa tipologia di turismo, la cui filiera si sta riorganizzando e necessita comunque di un sostegno, l'Agenzia nazionale del turismo e Federturismo stanno collaborando per l'istituzione del «Convention Bureau Italia» in grado di far fronte a questa specifica domanda di mercato;
    il Libro bianco sul turismo per tutti in Italia, intitolato «Accessibile è meglio», presentato il 15 febbraio 2013 alla Borsa del turismo di Milano, evidenzia come le regioni abbiano avviato numerose iniziative ma manchi un'organizzazione in grado di mettere a sistema quanto è stato già fatto e non esista a livello nazionale uno strumento informativo sulle attività realizzate o in corso d'opera;
    le aziende termali costituiscono una parte consistente della filiera turistica legata alla cultura del «wellness», per le quali occorre un rilancio efficace, anche alla luce dei segnali di ripresa registrati nel 2013, per i notevoli margini di sviluppo economico e occupazionale, considerando inoltre lo stretto legame con il servizio sanitario nazionale, la rimborsabilità di alcune prestazioni che rientrano nella sfera terapeutica-sanitaria e le opportunità offerte dalla direttiva 2011/24/UE sull'assistenza sanitaria transfrontaliera;
    sono colpevolmente sottostimati anche la nautica e il settore diportistico che nel corso degli ultimi anni, complice un regime fiscale sproporzionato, sono stati gravemente danneggiati dalla crisi;
    in Friuli Venezia Giulia sono stati istituiti i dry marina e i marina resort, strutture organizzate che, essendo equiparate a complessi ricettivi, possono usufruire del regime iva della categoria, mantenendo la propria competitività soprattutto con i vicini mercati transfrontalieri;
    la ripresa del settore è possibile solo adeguando l'offerta alle mutate richieste della domanda, quindi è necessaria la riclassificazione delle strutture ricettive in modo da garantirne l'omogeneità su tutto il territorio nazionale, aggiornandole e rendendole più competitive, in grado di prestare servizi moderni e sempre più integrati dal punto di vista della sostenibilità ambientale;
    alle criticità complessive del comparto se ne aggiungono alcune che riguardano nello specifico la professione della guida turistica e le concessioni demaniali marittime;
    riguardo le guide turistiche, la legge europea per il primo semestre del 2013 (n. 97 del 2013) ha chiuso la procedura di pre-infrazione comunitaria legata all'applicazione – peraltro erronea – della direttiva cosiddetta «servizi» (2006/123/CE) alla categoria, prevedendo che l'abilitazione alla professione di guida turistica sia valida su tutto il territorio nazionale ed eliminando così la competenza in ambito locale;
    la stessa legge ha equiparato alle guide turistiche italiane tutti i cittadini dell'Unione europea in possesso della qualifica professionale conseguita in altri Stati europei, consentendo l'esercizio sull'intero territorio nazionale, ad eccezione dei siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico che avrebbe dovuto essere individuati con un decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo da emanare entro il 4 dicembre 2013, circostanza non verificatasi. Questa deregolamentazione comporta una grave perdita di competenze, servizi meno qualificati e un danno economico quantificabile intorno al 2 per cento dell'intero comparto turistico nazionale (studio TRIP-Italia 2013 del Ciset);
    prosegue da anni senza soluzione e certezze la questione legata alla durata e al rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime che coinvolge circa 30 mila imprese. La legge di stabilità per il 2014 è intervenuta sui pagamenti dei canoni oggetto di procedimenti giudiziari pendenti al 30 settembre 2013, prevedendo nelle more il riordino complessivo della materia da effettuare entro il 15 maggio 2014;
    costituisce un possibile strumento per finanziare la promozione turistica senza oneri per lo Stato il ricorso alla differenza tra i rimborsi tax free effettivamente versati ai turisti extracomunitari e l'iva stornata dai versamenti erariali che ammonta a circa il 5 per cento su una spesa totale stimata in circa 4 miliardi di euro all'anno;
    l'utilizzo dei buoni vacanza a disposizione di soggetti pubblici e privati per favorire il turismo sociale, quindi a sostegno delle categorie più deboli, si sta dimostrando uno strumento insufficiente, mentre alcuni Paesi europei hanno introdotto a sostegno anche della domanda interna la detrazione fiscale parziale delle spese nel ricettivo;
    lo sviluppo della cultura ricettiva si fonda necessariamente su una formazione professionale, puntuale e continua, che risponda in maniera dinamica alle esigenze del mercato. Il sostegno, in sinergia con le imprese e con gli operatori, di percorsi formativi specifici e di scuole alberghiere, rappresenta uno degli stimoli principali alla crescita qualitativa ed occupazionale del settore,

impegna il Governo:

   ad assumere in via prioritaria le seguenti iniziative, anche normative, per favorire la ripresa e il pieno sviluppo del comparto turistico nazionale:
    a) sostenere, nell'ambito della preannunciata riforma del Titolo V della Costituzione, una nuova collocazione della materia turistica, la cui attribuzione non deve essere sottratta alle regioni ma deve rispondere a una strategia unitaria concordata tra queste e lo Stato centrale, a cui deve essere attribuita la programmazione strategica del turismo fissandone i principi generali, a tal fine a valutare l'istituzione di un dicastero dedicato solo al turismo i cui dipartimenti in sinergia con i ministeri chiave come quello dello sviluppo economico, dei beni e delle attività culturali e del turismo, dell'economia e delle finanze, del lavoro e delle politiche sociali, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute per le evidenti interconnessioni e le necessarie integrazioni operative che devono favorire l'elaborazione di una politica coerente ed unitaria per il comparto;
    b) riorganizzare la struttura e le competenze in materia di promozione e commercializzazione dell'Agenzia nazionale del turismo (Enit) in modo da costituire un valido supporto operativo per il dicastero competente e per gli operatori del comparto, selezionando il personale in base a chiari criteri meritocratici, stabilendo precisi obiettivi operativi di promozione e la finalità delle risorse finanziarie impiegate;
    c) potenziare l'offerta turistica nazionale on-line del portale Italia.it, ad oggi disomogeneo e poco funzionale, rendendolo punto di riferimento promocommerciale dell’e-commerce turistico italiano, favorendo la leale collaborazione tra gli operatori coinvolti e vietando le clausole capestro contenute nella maggior parte dei contratti sottoscritti dalle strutture ricettive con le online travel agent al fine di rimuovere un grave ostacolo alla libera concorrenza;
    d) istituire un marchio distintivo e definitivo per la promozione del Paese, fortemente identitario e utilizzabile da tutti gli operatori che rispondono ai requisiti per l'esercizio della propria professione o attività che rappresenti una garanzia dei servizi offerti ai consumatori;
    e) assumere misure urgenti affinché l'intero territorio nazionale sia considerato «distretto turistico», semplificando le procedure burocratiche previste, causa principale del precedente fallimento di questo istituto, promuovendo la formazione di reti d'impresa territoriali con il riconoscimento dei relativi vantaggi fiscali e burocratici uniti a un reale sostegno economico;
    f) valutare l'adozione un sistema di detrazione fiscale, già utilizzato anche in altri Paesi europei, alternativo ai «bonus vacanze», che permetta il sostegno ed il rilancio della domanda interna;
    g) verificare con maggior rigore l'utilizzo delle risorse da parte delle regioni, soprattutto di natura comunitaria come i fondi strutturali e di coesione, da collegare in modo chiaro a tempistiche e progetti certi per evitare sprechi, ritardi e il loro mancato utilizzo;
    h) incentivare la creazione di start up che promuovano l'offerta turistica nazionale attraverso tecnologie innovative e prevedere misure di semplificazione amministrativa per le imprese turistiche che investano nel miglioramento delle strutture ricettive;
    i) estendere il fondo rotativo di Kyoto per l'occupazione giovanile a favore delle aziende turistiche che promuovano progetti di turismo ambientale;
    j) sostenere una strategia finalizzata alla destagionalizzazione delle attività ricettive basate sulle diverse potenzialità delle aree del Paese, anche con incentivi fiscali per gli operatori, stabilendo la presentazione in largo anticipo di piani triennali e annuali delle regioni;
    k) finanziare la promozione turistica adottando le misure normative necessarie per il recupero da parte dello Stato di una quota del margine di guadagno degli operatori specializzati nel tax refund;
    l) valorizzare in chiave turistica i siti limitrofi ai centri di grande attrazione al fine di realizzare percorsi integrati che puntino allo sviluppo di un turismo sempre più sostenibile e competitivo, prevedendo la realizzazione delle dorsali cicloturistiche e favorendo un approccio integrato al turismo in tema di infrastrutture e trasporti che permetta efficienti collegamenti tra hub, centri e periferie tali da garantire una miglior fruizione dell'intero territorio italiano;
    m) nell'ambito del progetto «Natura 2000», sviluppare e promocommercializzare percorsi e pacchetti turistici legati ai siti Unesco, alle terme e alle dimore storiche, attraverso una gestione integrata del patrimonio ambientale, culturale e storico che consenta di richiamare turisti puntando sulla qualità dell'offerta;
    n) riformare immediatamente il sistema normativo italiano delle concessioni demaniali marittime e il calcolo dei relativi canoni, attivando tavoli di confronto con i portatori di interessi e attuando il riordino della materia entro la scadenza del 15 maggio 2014, come previsto dalla legge di stabilità per il 2014 (n. 147 del 2013) e sollecitando il legislatore comunitario ad interpretare la direttiva servizi escludendo dall'applicazione della stessa direttiva il settore turistico-balneare e ricreativo;
    o) procedere immediatamente alla riclassificazione unitaria comune a tutto il territorio nazionale delle strutture ricettive – tenendo presente le peculiarità di bed and breakfast, affittacamere, agriturismo e appartamenti vacanza, sentite le organizzazioni di settore, dei consumatori e di categoria e previa intesa in conferenza unificata – che preveda anche strumenti di defiscalizzazione o contributivi, e avviare al contempo una semplificazione burocratica, che interessi anche la gestione degli ospiti, favorendo in questo modo l'emersione dell'eventuale evasione fiscale legata all'extralbeghiero;
    p) adottare misure urgenti per il rilancio della nautica da diporto nazionale e della relativa filiera, in modo da garantire la promozione unitaria del settore nautico-turistico in ambito nazionale ed internazionale, introducendo una classificazione delle strutture che tenga conto della diffusione di best practice ed estendendo l'iva agevolata delle strutture ricettive ai marina resort;
    q) favorire il rilancio del settore termale italiano, ampiamente sottostimato per le potenzialità legate alla sua attrattività turistica e occupazionale, puntando, tra l'altro, alle possibilità del mercato ora disponibili in ambito sanitario grazie alla direttiva 24/2011/UE sulla libera circolazione dei pazienti europei;
    r) promuovere gli opportuni tavoli di confronto e programmazione a sostegno dello sviluppo del turismo accessibile, settore che costituisce non solo una parte rilevante della filiera di riferimento ma anche un diritto per le persone con disabilità e bisogni specifici;
    s) contrastare con efficacia qualsiasi forma di abusivismo in materia, relativo per lo più ad agenzie di viaggio, tour operator, settore dei trasporti, guide turistiche e museali, oltre alle stesse strutture ricettive, che mina la credibilità del Paese all'estero danneggiando l'Erario e i consumatori;
    t) avviare una revisione organica e complessiva della disciplina relativa all'esercizio della professione di guida turistica, sostenendo in sede comunitaria la tutela della professionalità degli operatori italiani con l'applicazione della direttiva corretta al posto della direttiva 2006/123/CE, emanando nel frattempo l'atteso decreto attuativo dell'articolo 3, comma 3, della legge 6 agosto 2013, n. 97, «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – legge europea 2013»;
    u) riformare la figura professionale del direttore tecnico d'agenzia di viaggio per normare un ruolo ad oggi gestito da regioni, province e comuni con forti differenze che impattano sul lavoro stesso degli operatori, rendendo omogenee le prove per l'esercizio della professione e valutando la possibilità di inserire un registro nazionale;
    v) colmare il vuoto normativo sulla natura giuridica di filiali, sedi secondarie o altre articolazioni delle agenzie di viaggi, ad oggi oggetto di possibili abusi, per tutelare i consumatori e la libera concorrenza;
    w) finanziare con risorse adeguate la formazione offerta dalle scuole alberghiere, fondamentali per lo sviluppo della cultura ricettiva essenziale per la crescita del comparto e per il suo grado di professionalizzazione, coinvolgendo gli operatori del settore in percorsi formativi da concordare e promuovere percorsi formativi di studio propedeutici ai servizi alberghieri e alla ristorazione con istituti di istruzione secondaria e universitaria e con altri enti di formazione italiani ed esteri.
(1-00397)
«Prodani, Mucci, Da Villa, Crippa, Della Valle, Fantinati, Vallascas, Petraroli, Nuti».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    secondo il rapporto dell'Unwto (World Tourism Organisation) «Tourism Towards 2030», che presenta le prospettive a lungo termine del settore, il numero di arrivi dei turisti internazionali nel mondo aumenterà del 3,3 per cento per anno, tra il 2010 e il 2030, per raggiungere 1,8 miliardi al termine del periodo;
    anche per il 2013, l'Istat conferma il trend negativo del turismo italiano, avviatosi nel 2009, che nel corso del quinquennio ha comportato una perdita di quasi 60 milioni di viaggi (290 milioni di notti);
    nel 2012 il turismo internazionale nel mondo ha superato, per la prima volta nella storia, quota un miliardo di arrivi; nel 2013 gli arrivi internazionali, secondo i dati provvisori dell'Organizzazione mondiale del turismo, si sono attestati a 1 miliardo e 87 milioni di euro, con un aumento del 5 per cento rispetto al 2012, un trend in continua crescita del quale l'Italia non beneficia;
    secondo la Banca d'Italia, nel periodo gennaio-dicembre 2013, il settore ha registrato, comunque, un avanzo di 12.830 milioni di euro (lo 0,8 per cento del prodotto interno lordo), a fronte di 11.543 milioni di euro nello stesso periodo dell'anno precedente;
    le spese dei viaggiatori stranieri in Italia, per 32.989 milioni di euro, sono aumentate del 2,9 per cento; quelle dei viaggiatori italiani all'estero, per 20.159 milioni di euro, si sono ridotte dell'1,7 per cento;
    secondo l'Osservatorio nazionale del turismo, tra gennaio e ottobre 2013, gli arrivi e le presenze di italiani sono calati dell'8,3 per cento, gli arrivi degli stranieri dello 0,1 per cento e le presenze dello 0,3 per cento;
    il 2013 per il turismo italiano è stato l'anno peggiore del passato quadriennio, in totale nei mesi indicati la perdita complessiva di arrivi si attesta a -4,3 per cento, quella della presenze a 4,4 per cento;
    l'incertezza economica globale non ha fermato la crescita del turismo internazionale, che ha mostrato la sua capacità di adattamento alle mutevoli condizioni del mercato e, benché a un tasso inferiore, ci si aspetta un'ulteriore espansione del settore nel 2014;
    l'Europa rimane di gran lunga il continente con il più alto numero di turisti al mondo e, nonostante le difficoltà dell'eurozona, ha registrato una crescita degli arrivi internazionali pari al 3,3 per cento, risultato da considerarsi tendenzialmente positivo per una destinazione matura;
    il report sull'impatto economico annuale del World Travel and Tourism Council (WTTC) indica ancora nel 2013 un contributo al prodotto interno lordo italiano derivante da viaggi e turismo pari al 10,3 per cento, percentuale tra le più elevate tra i Paesi membri del G20 con significative possibilità di miglioramento;
    se i flussi turistici internazionali crescono e quelli diretti verso l'Italia diminuiscono, è urgente che il turismo sia compiutamente riconosciuto come opportunità strategica di crescita per il Paese attraverso un conseguente salto di qualità delle politiche ad esso dedicate;
    la novità costituita dalla nuova collocazione del settore all'interno del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con un ulteriore cambiamento nella gestione strategica del turismo italiano, può aprire nuove prospettive per il rilancio effettivo di immagine del turismo nazionale e per l'implementazione di nuove politiche di promozione del Paese a livello planetario;
    secondo la Banca d'Italia, infatti, il turismo culturale contribuisce in misura rilevante ai flussi di viaggiatori stranieri in Italia, pesando per circa un quarto sulla domanda estera complessiva di soggiorno e per quasi la metà su quella relativa ai soli viaggi per vacanza, poiché la spesa pro capite dei turisti interessati alle proposte culturali è più elevata della media e il loro contributo risulta anche maggiore in termini di risorse finanziarie;
    il saldo positivo tra entrate e uscite relative al turismo culturale è di circa 6 miliardi di euro l'anno, oltre la metà dell'attivo turistico complessivo;
    il confronto internazionale suggerisce l'esistenza di ampi margini di miglioramento nella valorizzazione e nella fruizione del patrimonio artistico e culturale e nel rafforzamento delle attività gestionali e promozionali, al fine di incrementare velocemente le quote di mercato nel settore del turismo culturale, nel quale l'Italia potrebbe ambire a collocarsi al primo posto nel mondo;
    l'ulteriore perdita di quote di mercato da parte del turismo italiano è un segnale molto negativo anche dentro la recessione che il Paese sta attraversando; se il turismo internazionale cresce nel mondo, non c’è alcuna ragione perché l'Italia perda in competitività internazionale, mentre il mercato nazionale affonda;
    le imprese turistiche italiane non possono vivere in solitudine questo momento difficile; a livello globale la maggior parte dei Paesi turistici e di quelli che intendono diventarlo si organizzano, investendo risorse importanti per intercettare i flussi internazionali previsti in crescita di qui al 2020;
    da molti anni non è più sufficiente il marchio «Italia» per vincere sul mercato globale, ma è necessaria una strategia nazionale forte, da realizzare d'intesa con le regioni, per il turismo internazionale, e si devono rafforzare gli strumenti a disposizione per incentivare la domanda interna, in particolare per le fasce più deboli, a cominciare da un nuovo ed efficiente sistema di buoni vacanze;
    le politiche per il turismo del dopo referendum e la riforma costituzionale sul Titolo V della Costituzione si sono caratterizzate per le continue oscillazioni tra difesa delle competenze regionali e momenti di accentramento nazionale;
    una delle poche novità positive è arrivata dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome che ha approvato nel 2010 un documento che rappresenta un valido punto di riferimento per realizzare le politiche nazionali necessarie per il rilancio del settore;
    il documento della Conferenza delle regioni e delle province autonome aveva anche lo scopo di evitare gli errori, poi commessi, nell'approvazione del codice del turismo, definito come una «riforma del settore» ma senza l'apporto delle regioni e delle organizzazioni di categoria, e successivamente bocciato ampiamente dalla Corte costituzionale;
    se il Governo intende mettere mano alla governance del turismo, non appare sufficiente il trasferimento delle competenze al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ma appare logico pensare a forme organizzate di coordinamento costante tra i Ministeri con deleghe che interessano il turismo, per redigere ed aggiornare annualmente il piano strategico nazionale per il turismo in condivisione con tutti i Ministri interessati e con le regioni, individuando le risorse necessarie per finanziarlo;
    appare, quindi, urgente la riformare il Titolo V della Costituzione, ripensando l'attuale assetto di competenze, in modo da favorire l'emergere di una strategia nazionale per il settore e la cooperazione e il coordinamento di ogni livello istituzionale e amministrativo;
    un progetto adeguato di rilancio del turismo deve occuparsi, in primo luogo, della promozione dell'immagine del nostro Paese che non può più essere inquadrata come un'attività sganciata dalle altre iniziative promozionali e organizzative che lo Stato italiano, a vario titolo, svolge sul mercato internazionale;
    la promozione turistica è in piena evoluzione nei concetti, nei criteri e negli strumenti: il modo tradizionale di fare promozione (brochure, fiere, campagne di advertising) non è più sufficiente, il rapporto diretto, on-line, sta rivoluzionando l'intero comparto, le parole chiave del web 2.0 sono interazione e partecipazione, le strategie promozionali devono tramutarsi, velocemente, in strategie di marketing web;
    l'Enit-l'Agenzia nazionale del turismo ha innanzitutto un problema di risorse, che occorre risolvere, ma deve essere affrontata contestualmente la riforma radicale dell'ente per realizzare una struttura specializzata, che riesca a interpretare i grandi cambiamenti del settore e dare risposte innovative nei mercati internazionali con politiche di promo-commercializzazione;
    una struttura che risponda a precisi indirizzi programmatici, autonoma e giudicata sulla base dei risultati operativi conseguiti, obiettivo che potrebbe essere realizzato da una società per azioni a maggioranza pubblica che coinvolga pienamente l'insieme di soggetti, di territori e di prodotti destinati a comporre un sistema sotto il «marchio Italia»;
    la strategia del rilancio del turismo si fonda, sulla scorta di quanto fin qui analizzato, su un profondo rinnovamento ed efficientamento della governance e della promozione, così come di un sistema imprenditoriale le cui necessarie trasformazioni vanno accompagnate riprendendo l’iter del piano strategico nazionale che, migliorato nei contenuti e adattato alle esigenze delle regioni, può costituire un primo importante approccio sistemico al settore;
    tra i vari problemi del settore c’è anche la disciplina normativa, modificata con il decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, «codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio», che è stato ampiamente bocciato dalla Corte costituzionale in 19 articoli per eccesso di delega del Governo;
    con il giudizio della Corte costituzionale sono state cancellate anche le norme in materia di classificazione e standard qualitativi delle strutture ricettive, la disciplina delle agenzie di viaggio e del tour operator, le norme sui sistemi turistici locali e quelle sulla gestione dei reclami da parte del dipartimento del turismo;
    quanto alle concessioni demaniali-marittime ad uso turistico-ricreativo va colto il segnale positivo arrivato dalla Commissaria europea per gli affari marittimi e le coste, Maria Damanaki, secondo la quale la Commissione europea sarebbe disponibile a modificare la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del consiglio, nella parte che riguarda proprio le spiagge, in quanto i vincoli applicati alle concessioni demaniali sono troppo rigidi, e a stendere una nuova direttiva che consenta maggiore flessibilità ai singoli Stati per tener conto delle peculiarità delle proprie coste;
    è, dunque, urgente risolvere alcune delle principali problematiche del settore rimaste inevase sostenendone la crescita con iniziative normative e finanziarie adeguate;
    la sfida del turismo, perno di un possibile rilancio della crescita del Paese, si concentra in poche mosse che attengono, tutte, alla capacità del nostro Paese di fare squadra;
    migliorare il turismo significa migliorare il Paese, valorizzare le straordinarie risorse italiane e creare nuova occupazione,

impegna il Governo:

   ad identificare una governance complessiva del turismo coordinata con la nuova collocazione del settore nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   a cooperare strettamente col Parlamento al fine di individuare, nell'ottica più generale della riforma del titolo V della Costituzione, le forme migliori per l'assetto delle competenze nel settore turistico, in modo da favorire anche la definizione ed il perseguimento di una strategia nazionale vincente in questo importante comparto;
   ad intervenire con un sistema organico di politiche economiche e fiscali che favoriscano in particolar modo la digitalizzazione del settore, sia pubblico che privato, e la competitività delle imprese turistico-ricettive;
   a favorire lo start up di imprese, in particolar modo giovanili, finalizzate alla valorizzazione e gestione del patrimonio pubblico, culturale e naturalistico;
   a prevedere un profondo rinnovamento dell'organizzazione e della missione dell'Agenzia nazionale del turismo ed una sua svolta digitale per favorire la competitività promo-commerciale internazionale dell'intero sistema culturale, turistico e della valorizzazione dei prodotti tipici e artigianali, anche contemplando in tale rinnovamento un maggiore apporto dei privati e dei vettori nazionali di trasporto alla definizione del piano di promozione nazionale;
   a valutare l'opportunità di rivedere il codice del turismo e il piano strategico nazionale;
   ad assumere iniziative per rivedere l'attuale «tassa di soggiorno» che ha prodotto scompensi sul territorio tra i comuni che l'hanno istituita e quelli che non l'hanno istituita;
   a valutare l'opportunità di riorganizzare l'attuale sistema dei buoni vacanza e delle modalità di finanziamento, alla luce delle migliori esperienze europee;
   ad ammodernare e semplificare il sistema dei visti al fine di favorire l'afflusso di turisti dai Paesi emergenti;
   ad assumere iniziative per estendere il bonus per le ristrutturazioni e la riqualificazione energetica anche agli immobili adibiti ad attività turistiche, finalizzandolo anche all'adeguamento alla sicurezza antincendio;
   ad assumere iniziative per rivedere la disciplina delle guide turistiche, inserendola nel contesto del quadro normativo europeo in materia di professioni e non di servizi;
   a verificare l'apertura della Commissione europea riguardo a una maggiore flessibilità nell'applicazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio alle concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo;
   a mettere il turismo al centro del piano giovani per sviluppare occupazione qualificata;
   a considerare nell'organizzazione del sistema dei trasporti aerei, ferroviari e marittimi una maggiore integrazione di servizi orientata allo sviluppo del turismo, su tutto il territorio nazionale e con particolare attenzione al sud dell'Italia, al fine di favorire la raggiungibilità e la fruibilità dei luoghi e dell'immenso patrimonio naturalistico e culturale.
(1-00401)
«Benamati, Petitti, Taranto, Montroni, Bini, Bonafè, Folino, Galperti, Ginefra, Mariano, Senaldi, Basso, Martella, Fabbri, Nesi».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    dai dati diffusi dall'Organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite (Unwto), il mercato del turismo mondiale nel 2013 ha superato la soglia di un miliardo di clienti ed è cresciuto, rispetto all'anno precedente, del 5 per cento, pari a 52 milioni di nuovi turisti in termini assoluti. Le aree mondiali che nel 2013 hanno registrato i migliori risultati in termini di crescita sono state: il Sudest asiatico (+10 per cento), l'Europa centrale e dell'est (+7 per cento), il Nord Africa (+6 per cento) e l'Europa meridionale e mediterranea (+6 per cento);
    l'Italia nel 2013 è stato il quinto Paese più visitato nel mondo con circa 55 milioni di turisti stranieri, con un volume d'affari valutato dall'osservatorio sul turismo di Unioncamere in 73 miliardi di euro. Rispetto al 2012, si registra una contrazione sia dei flussi (-3,9 per cento), sia dei consumi (-2 per cento), dovuta alla riduzione delle spese degli italiani (-3,9 per cento), mentre quelle degli stranieri risultano in contenuto aumento (+0,7 per cento); gli italiani che hanno fatto almeno una vacanza sono stati il 12,2 per cento in meno rispetto al 2012;
    con riferimento al 2008, anno in cui il volume dei consumi turistici superava i 77 miliardi di euro, la complessiva diminuzione della spesa (-5,7 per cento) ha investito tutti i comparti economici del turismo ad esclusione di quello agroalimentare, che cresce del +65,9 per cento, per un totale di oltre 11,7 miliardi di euro spesi dai turisti in negozi tipici e supermercati nei luoghi di vacanza; peraltro, il turismo enogastronomico attiva in media più ricchezza rispetto a quello balneare. Secondo le stime 2013 del centro studi Intesa San Paolo, l'enogastronomia genera 119,6 euro per ciascun turista, il turismo culturale 105,4 euro e le spiagge 83,8 euro;
    per quel che riguarda il futuro, l'Organizzazione mondiale del turismo prevede che il mercato turistico crescerà ancora nel 2014 del 4-5 per cento, con un aumento sia del numero delle persone che si spostano in vacanza per il pianeta, sia della spesa media pro capite; per quel che riguarda l'Italia, il Centro internazionale di studi sull'economia turistica dell'università di Venezia (Ciset) ha diffuso le proprio previsioni secondo le quali l'Italia si attesterà, nel 2014, su un numero di arrivi internazionali di poco superiore ai 55 milioni, mantenendosi al terzo posto in Europa dietro la Francia (91,4 milioni) e la Spagna (63,3 milioni); il primato mondiale delle presenze turistiche, che è stato appannaggio dell'Italia fino agli anni Ottanta, è quindi, oggi, della Francia, ma, con la frenata degli arrivi degli ultimi anni, il nostro Paese rischia di retrocedere anche dopo Inghilterra e Germania;
    tale dato è confermato dai dati dell'Organizzazione mondiale del turismo riguardanti l'apporto al prodotto interno lordo del settore turistico: per l'Italia esso è stato pari al 5,4 per cento nel 2012 (10 per cento, se si considera l'indotto), inferiore al dato della Spagna (6,4 per cento) e della Francia (6,2 per cento);
    per quel che riguarda l'occupazione, i dati dell'Organizzazione mondiale del turismo sull'Italia, riferiti al 2012, quantificano il contributo diretto del turismo italiano all'occupazione in circa 1,1 milioni di operatori (4,8 per cento), che salgono a 2,7 milioni se si considera anche l'occupazione indiretta (11,7 per cento);
    per quanto riguarda i Paesi di origine dei flussi turistici stranieri verso l'Italia, le previsioni parlano di una generale stagnazione della crescita degli arrivi dai principali mercati europei. Saranno i Paesi extraeuropei a sostenere la crescita del turismo internazionale a livello globale: i flussi internazionali generati fuori dal vecchio continente dovrebbero aumentare del 4,6 per cento nel 2014, superando quota 10 milioni e portando a un recupero delle perdite subite tra il 2008 e il 2009; sono in crescita, in particolare, gli arrivi statunitensi, seguiti dai giapponesi, dai cinesi e dai russi;
    secondo le proiezioni per il 2014, Grecia (+5,3 per cento), Portogallo (+5,1 per cento) e Francia (+4,5 per cento) si distingueranno per i maggiori incrementi nel numero di arrivi da turismo internazionale; per l'Italia le proiezioni registrano aumenti più contenuti (+2,2 per cento);
    per l'anno 2014, i diversi enti specializzati concordano nel prevedere che la concorrenza sarà particolarmente aspra per le destinazioni balneari italiane, le cui performance potrebbero essere condizionate da due fattori: le politiche di prezzo aggressive attuate nei Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo e il recupero di competitività delle destinazioni nordafricane. Un simile contesto rischia di penalizzare le regioni del Mezzogiorno, meno attrezzate a compensare eventuali perdite estive con un'offerta differenziata per stagione, prodotti e segmenti di domanda. Appare meno problematica la situazione sulla fascia adriatica, grazie anche alla maggiore organizzazione e alla vicinanza geografica rispetto ai Paesi del centro-nord Europa, nei quali la maggiore ricchezza pro capite si traduce in una maggiore spesa turistica;
    i problemi che affliggono l'industria turistica nazionale, e che ne impediscono uno sviluppo che sia comparabile con le bellezze paesaggistico-architettoniche e il patrimonio storico culturale che contraddistinguono il nostro Paese, possono esemplificarsi come segue:
     a) mancanza di un progetto nazionale sul turismo; secondo Federturismo – l'associazione di Confindustria che raccoglie le imprese di settore – tale problema è imputabile al titolo V della Costituzione che assegna alle regioni la competenza esclusiva in materia; tale frammentazione è evidenziata dal decreto legislativo n. 79 del 2011, definito come una «riforma del settore», ma successivamente dichiarato in parte incostituzionale dalla Corte costituzionale; parte del problema può imputarsi ai limitati e decrescenti finanziamenti, al sottoutilizzo ed allo scarso coordinamento degli enti turistici nazionali, regionali e locali;
     b) la scarsa resa economica del turismo nelle regioni meridionali: esaminando il valore aggiunto prodotto a livello locale dalle singole regioni, si scopre che alcuni territori producono bassi effetti moltiplicatori: Sardegna, Basilicata e Calabria attivano rispettivamente 63,8 euro, 61,3 euro e 38,6 euro per ciascun turista. Al top invece Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia Giulia (rispettivamente 184 euro, 177,2 euro e 123,3 euro (ricerca 2013 centro studi Intesa San Paolo);
     c) le ridotte dimensioni delle imprese turistiche nazionali, che sono strutturate in maniera similare al resto del sistema produttivo nazionale, fatto per la gran parte di piccole e medie imprese; ciò comporta maggiori difficoltà sia a reperire i capitali necessari ad espandersi, sia a coordinarsi per creare sistemi turistici in grado di adeguare l'offerta turistica alla crescente competitività degli altri Paesi;
     d) il deficit infrastrutturale del Paese e il mancato coordinamento delle politiche di trasporto con le esigenze del turismo; le reti trasportistiche ed in particolare le ferrovie, il trasporto navale verso le isole e gli aeroporti, scontano sia inefficienze, sia l'adozione di politiche volte a minimizzare i costi e massimizzare le entrate; nel deficit infrastrutturale va anche considerato il digital divide e cioè il ritardo nell'estensione delle reti telematiche veloci;
     e) la fiscalità, con particolare riferimento all'iva per i servizi turistici, gli oneri burocratici e gli adempimenti amministrativi, che si risolvono in più alti costi generali a carico delle imprese turistiche ed in una minore competitività rispetto all'offerta turistica delle analoghe imprese operanti nei Paesi concorrenti;
     f) l'elevata fiscalità, in particolare la recente esplosione della fiscalità locale (ivi compresa l'imposta di soggiorno), connessa agli oneri burocratici, ha prodotto un incremento dei prezzi turistici e dei costi connessi ben al di là della crescita derivante dall'inflazione: da un recente studio di Confartigianato emerge che, tra il 2009 e il 2013, l'indice dei prezzi dei servizi per le vacanze è aumentato del 15 per cento, mentre quello dei trasporti addirittura del 21,8 per cento; ben superiori al 10 per cento i rincari nella ristorazione, mentre nel settore alberghiero si rilevano tendenze contrastanti: alla crescita in termini di trend, si contrappongono drastici tagli volti a superare con il minimo danno possibile i periodi di bassa stagione;
     g) l'elevata stagionalità dei flussi turistici, in particolare del turismo balneare: un problema particolarmente grave per un Paese, come l'Italia, con oltre 8000 chilometri di coste, un problema che concentra in periodi ristretti la creazione di ricchezza e di posti di lavoro e che finisce per risolversi in un costo nei periodi di «bassa stagione» in quanto, da un lato, occorre mantenere l'efficienza delle strutture nei periodi improduttivi, dall'altro, adottare strumenti di sostegno del reddito per gli inoccupati; giova ricordare a tal proposito che il Parlamento europeo con la risoluzione sulla crescita blu - miglioramento della crescita sostenibile nel settore marino, dei trasporti marittimi e del turismo dell'Unione (2012/2297 (INI)), approvata il 2 luglio 2013, ha sottolineato l'importanza del turismo balneare quale strumento fondamentale di crescita di alcune regioni costiere europee, in particolare di quelle mediterranee;
    con riferimento al turismo sociale quale strumento di destagionalizzazione dei flussi turistici, in relazione al quale il decreto legislativo n. 79 del 2011, pur prevedendone l'incentivazione, non contiene finanziamenti, è di primaria importanza l'adozione di misure volte ad incentivare il turismo della terza età; i cittadini dai 55 anni in su rappresentano già circa il 25 per cento della popolazione europea; nel corso dei prossimi quattro decenni la popolazione over 60 crescerà del 50 per cento nei Paesi sviluppati, dai 264 milioni di persone nel 2011 ai 418 milioni nel 2050; il turismo della terza età, nonostante la crisi economica, registra un dato del 20 per cento di crescita all'anno e deve considerarsi un'importante risorsa economica;
    nell'ambito delle priorità della politica europea del turismo, la Commissione europea si è impegnata a ridurre la dimensione stagionale del settore, riconoscendo che il contributo dato dagli anziani all'industria turistica europea è notevole e andrebbe rafforzato per far fronte al problema della stagionalità; a tal fine, dopo il successo dell'iniziativa Calypso, la Commissione europea ha avviato nel maggio 2012 la fase pilota dell'iniziativa turismo della terza età e un invito a presentare proposte è stato pubblicato nel 2013 per dare sostegno a questa iniziativa;
    in questo ambito taluni Stati dell'Unione europea hanno già da anni avviato iniziative in tal senso con risultati di assoluto rilievo; in particolare, la Spagna con un'iniziativa avviata nel 1985 con soli 16.000 posti ha ospitato, ad oggi, oltre 12 milioni di anziani. Durante la stagione 2011-2012, il Governo spagnolo ha stanziato 103 milioni di euro per un programma di vacanze, che ha offerto a turisti anziani 1.084.730 pacchetti di servizi e ospitalità turistica completi e a prezzi agevolati fuori alta stagione in località diverse; i risultati economici e lavorativi sono stati notevoli: 238 milioni di euro di maggiori entrate fiscali e oltre 53.000 occupati destagionalizzati;
    l'accordo di partenariato sulla programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 prevede che una quota del Fondo per lo sviluppo e la coesione sia destinata allo sviluppo del turismo e al turismo di qualità; in tale quadro la legge di stabilità per il 2014 individua in 24 miliardi di euro la quota di cofinanziamento nazionale ad integrazione dei 30 miliardi di euro di fondi strutturali europei, nonché degli ulteriori 55 miliardi di euro per il Fondo per lo sviluppo e la coesione destinati per una quota dell'80 per cento al Mezzogiorno;
    ai sensi dell'articolo 34-quinquies del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, nei primi mesi del 2013 il Ministro degli affari regionali, dello sport e del turismo pro tempore, Piero Gnudi, ha messo a punto il piano strategico del turismo «Italia 2020»; secondo alcune stime conservative, le azioni contenute nel piano possono tradursi in circa 30 miliardi di euro di incremento del prodotto interno lordo e in 500.000 nuovi posti di lavoro entro il 2020; il piano individua le criticità del comparto e detta alcune parole d'ordine che sono coordinamento e innovazione; il piano Gnudi, che peraltro si concentra anche sui riflessi positivi derivanti dall'Expo 2015, risulta totalmente inattuato,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative normative in sede di riforma del Titolo V della Costituzione per una profonda riarticolazione delle competenze tra Stato e regioni, riportando a livello centrale le politiche a sostegno del «marchio Italia» e dei processi di ammodernamento e rilancio del sistema turistico;
   ad adottare iniziative normative urgenti di attuazione del piano strategico del turismo «Italia 2020», previsto ai sensi dell'articolo 34-quinquies del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, riprendendo e aggiornando quanto già elaborato in sede di redazione del decreto «valore turismo»;
   ad individuare quali risorse aggiuntive a quelle nazionali e locali per il rilancio del turismo, sia una quota significativa del Fondo per lo sviluppo e la coesione, nell'ambito della programmazione dei fondi strutturali 2014-2020, sia quote di ogni altro possibile programma comunitario di sostegno alle imprese quale, ad esempio, il programma Cosme;
   a rafforzare il ruolo degli enti turistici nazionali;
   in una strategia di più lungo periodo, ad introdurre, sull'esempio di quanto già si verifica in altri Paesi, un modello definibile «Sistema turistico integrato», nell'ambito del quale:
    a) amministratori pubblici, associazioni di categoria, manager, imprenditori ed enti turistici collaborino in maniera sinergica, in modo da offrire al cliente pacchetti integrati che comprendano il trasporto, l'accoglienza, la personalizzazione del servizio (accoglienza dedicata per minori, anziani e disabili, possibilità di turismo congressuale o sportivo) e l'organizzazione di eventi (visite ai musei e ai siti culturali, escursioni, percorsi enogastronomici o artigianali);
    b) sia prevista una cabina di regia, quale luogo di coordinamento degli operatori, di individuazione degli obiettivi qualitativi da raggiungere, di valorizzazione delle risorse umane e di selezione delle proposte turistiche innovative destinate a migliorare la competitività del cosiddetto sistema Italia;
    c) siano fortemente valorizzate le identità culturali di ciascun territorio, sia per quel che riguarda gli aspetti culturali, sia con riferimento alla gastronomia e all'artigianato;
    d) siano fissati standard elevati di servizio, ai quali gli operatori devono attenersi, con riferimento all'efficienza delle strutture e dei trasporti, alla professionalità degli operatori, alla qualità delle proposte e degli eventi;
   in attesa della definizione del modello di «Sistema turistico integrato», a rafforzare i circuiti nazionali di eccellenza di cui all'articolo 22 del decreto legislativo n. 79 del 2011 e a prevedere agevolazioni similari a quelle già previste per i distretti industriali in favore dei sistemi turistici locali, di cui al citato articolo 22, qualora gli operatori turistici e gli enti di settore ivi operanti si coordinino per avanzare offerte turistiche integrate;
   al fine di avviare i virtuosi processi di destagionalizzazione descritti in premessa, ad introdurre e a finanziare, con effetto già dalla stagione turistica 2014 e in coordinamento con le esperienze regionali già in corso, un programma volto ad offrire pacchetti turistici agevolati in favore del turismo della terza età e del turismo sociale, sul modello degli analoghi programmi previsti dalla Spagna e dalla Francia;
   in attuazione di quanto previsto sulle spiagge nella legge di stabilità per il 2014, a definire la riforma delle concessioni demaniali, per dare stabilità alle 30.000 aziende balneari e per far ripartire i necessari investimenti.
(1-00402) «Pagano, Dorina Bianchi».
(24 marzo 2014)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE AI RECENTI TERREMOTI CHE HANNO COLPITO ALCUNE AREE DELLA REGIONE CAMPANIA E LA PROVINCIA DI CAMPOBASSO

   La Camera,
   premesso che:
    il 29 dicembre 2013 un terremoto di magnitudo (ml) 4,9, localizzato dalla rete sismica nazionale tra le province di Caserta e Benevento, ha colpito nel raggio di oltre 10 chilometri dall'epicentro – identificato nel territorio del comune di Piedimonte Matese (Caserta) – molti comuni dell'area, producendo significative compromissioni statiche di numerosi edifici pubblici e privati rimasti seriamente danneggiati;
    il 20 gennaio 2014 si è registrata una nuova forte scossa di terremoto di magnitudo 4,2 che, oltre ad interessare le medesime aree già colpite dallo sciame sismico iniziato il 29 dicembre 2013, è stata avvertita anche nella città di Napoli e in tutta la provincia di Campobasso;
    nella medesima giornata ulteriori scosse, circa 19, secondo quanto registrato dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, si sono concentrate in particolare nelle aree dell'alto Matese, allocate sia nella provincia di Caserta che in quella di Benevento, provocando ingenti danni sia ad abitazioni private sia a molti opifici ed edifici pubblici tra i quali complessi scolastici, strutture sanitarie, immobili di pregio storico monumentale e chiese, da subito dichiarate inagibili e, quindi, sottratte alla pratica del culto;
    i descritti eventi hanno arrecato notevoli disagi alla popolazione residente, resi ancora più gravi dalla posizione geografica dei territori interessati, prevalentemente montani, e dal fatto che il sisma ha compromesso anche l'agibilità delle strade di accesso alle aree sopra citate;
    è necessario intervenire urgentemente a sostegno delle popolazioni e degli enti colpiti dall'evento calamitoso, individuando risorse pubbliche adeguate a fronteggiare e rimuovere le conseguenze dannose del sisma,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi affinché, unitamente alla regione Campania, individui le adeguate risorse finanziarie, anche a valere sui fondi aggiuntivi per la coesione territoriale, nazionali e comunitari, della programmazione 2007/2013, finalizzate ad assicurare, nelle zone terremotate, la ristrutturazione degli edifici e la riparazione di tutti i danni subiti dalle citate aree in seguito al terremoto;
   ad attivarsi immediatamente per accedere ai finanziamenti del Fondo di solidarietà dell'Unione europea per le grandi calamità.
(1-00387) «Sarro, Brunetta».
(20 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    nei mesi di dicembre 2013 e gennaio 2014 l'intera area geografica comprendente le province di Caserta, Benevento, Campobasso e la città di Napoli, è stata teatro di eventi tellurici ripetuti, con scosse di magnitudo compresa tra il 4,9 ed il 4,2 della scala Richter e con uno sciame sismico che ha prodotto ben 19 scosse ulteriori;
    la serie di manifestazioni telluriche ha causato ingenti danni ad abitazioni private ed edifici di utilità pubblica, quali scuole, ospedali e luoghi di culto;
    numerosi danni, inoltre, sono stati riportati dalle infrastrutture viarie di collegamento ai comuni ed alle località interessate dall'attività sismica, procurando inevitabilmente un isolamento dei comuni colpiti,

impegna il Governo:

   ad intraprendere, insieme alla regione Campania, quanto necessario per lo stanziamento di risorse economiche da destinare alle popolazioni delle zone colpite dai terremoti del periodo indicato in premessa, allo scopo di riparare i danni riportati dalle infrastrutture, dalle reti di comunicazione, dalle abitazioni private e dagli edifici pubblici e di culto;
   ad attivarsi affinché possano essere utilizzate le risorse messe a disposizione dal Fondo di solidarietà dell'Unione europea per le grandi calamità;
   a sostenere l'apparato produttivo dell'intera area geografica interessata dall'attività sismica, già di per sé compromessa dalla negativa congiuntura economica.
(1-00389) «De Girolamo».
(21 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    il territorio del comune di Piedimonte Matese è stato l'epicentro di un forte terremoto, in data 29 dicembre 2013, di magnitudo 4,9, localizzato tra le province di Caserta e Benevento, che ha colpito molti comuni dell'area, producendo significative compromissioni statiche di molteplici edifici pubblici e privati rimasti danneggiati in maniera consistente;
    il 20 gennaio 2014 si è verificata un'ulteriore forte scossa di terremoto di magnitudo 4,2 che è stata avvertita non solo nelle zone già colpite in data 29 dicembre 2013 ma anche a Napoli e nella provincia di Campobasso;
    nelle aree dell'alto Matese, le scosse di terremoto hanno provocato ingenti danni sia ad abitazioni private che ad immobili non residenziali e ad edifici pubblici, come scuole, strutture sanitarie, immobili di valore storico monumentale e chiese; molte chiese sono state dichiarate inagibili e chiuse al culto;
    i terremoti hanno arrecato, quindi, notevoli danni e disagi alla popolazione residente, anche a causa dell'inagibilità di strade ubicate in un territorio impervio e montano;
    è improrogabile garantire agli abitanti dei territori dell'alto Matese l'esecuzione delle opere che ripristinino una situazione che riporti alla normalità e, ove necessario, con l'occasione procedere ad interventi strutturali antisismici, tenuto conto dell'alto grado di sismicità del territorio interessato nell'ambito di un approccio organico alla gestione dei terremoti;
    è necessario procedere ad una mappatura aggiornata periodicamente in quanto la cronaca conferma l'alta sismicità del territorio italiano, in cui eventi disastrosi, come quello del 2012 in Pianura Padana o del 2009 in Abruzzo, sono intervallati da un numero consistente e costante di fenomeni di entità più lieve, ma comunque in grado di causare danni a persone, cose e infrastrutture;
    è, altresì, necessario procedere ad interventi di due tipi: interventi successivi ai sismi, da indirizzare specificatamente nelle aree colpite; interventi di prevenzione e riduzione del rischio sismico, da estendere su scala nazionale alle aree maggiormente esposte;
    la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico nel campo del telerilevamento mettono a disposizione strumenti capaci di effettuare mappature rapide post evento, sia di dettaglio che su vaste aree, utilizzabili come metodi speditivi per individuare le criticità maggiori e le priorità d'intervento;
    si evidenzia che lo Stato italiano, tramite diversi Ministeri, può servirsi liberamente di banche dati come ad esempio quella del Piano straordinario di telerilevamento ambientale (PST-A);
    nell'ottica di individuare finanziamenti congrui, al fine di dare continuità agli interventi anche strutturali che necessitano gli immobili pubblici e privati per ottenere una sensibile riduzione del rischio sismico, si evidenzia come il Cresme (Centro ricerche economiche, sociali e di mercato per l'edilizia e il territorio) intervenendo in audizione presso la VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati, ha presentato uno studio in cui veniva dimostrato analiticamente come il meccanismo del cosiddetto «eco-bonus» (esteso attualmente anche agli interventi di adeguamento antisismico) produce, tra imposte e tasse immediatamente riscosse a fronte di un bonus fiscale dilazionato nel tempo, un bilancio nettamente positivo per le casse dello Stato, in particolare nel breve periodo;
    la Protezione civile ha stilato delle norme di comportamento in caso di terremoto, che evidenziano il ruolo attivo del singolo cittadino ed indicano i comportamenti da tenere prima, durante e dopo il sisma per ridurre al minimo la probabilità di subire danni,

impegna il Governo:

   a fornire alle competenti Commissioni parlamentari a tre mesi dagli eventi sismici l'ammontare complessivo dei danni, gli interventi sostenuti, il numero di immobili pubblici e privati che sono stati interessati dall'evento sismico, riportando i danni strutturali che ne hanno impedito l'utilizzo, i tempi necessari al ripristino degli immobili e le risorse fino ad oggi individuate e utilizzate;
   a verificare, di concerto con la regione Campania, entro quindici giorni dall'approvazione del presente documento, la sussistenza di finanziamenti statali, regionali e comunitari che possano essere utilizzati nell'immediato per procedere ai lavori strutturali necessari al ripristino degli immobili pubblici e privati danneggiati e al sostegno delle famiglie e aziende che hanno subito danni a causa degli eventi sismici;
   a verificare in primis in ordine ai fondi comunitari se si sia proceduto ad accedere ai finanziamenti del Fondo di solidarietà dell'Unione europea per le grandi calamità e, in caso affermativo, ad informare le competenti Commissioni parlamentari dell'entità dei finanziamenti ai quali si è avuto accesso;
   a valutare, in virtù della necessità e dell'emergenza, l'ulteriore opportunità di individuare risorse su fondi europei della programmazione 2007-2013, ancora non spesi o su fondi europei della programmazione 2014-2020;
   nel caso di fondi ancora insufficienti, a seguito della verifica effettuata, ad assumere iniziative normative che prevedano la possibilità di reperire fondi adeguati, in relazione in primo luogo ai danni derivanti dagli eventi sismici richiamati in premessa, anche attraverso l'aumento della tassazione sui giochi d'azzardo e sui superalcolici, e attraverso la riduzione ulteriore delle indennità di parlamentari, sindaci, presidenti di regione, consiglieri comunali e regionali;
   a richiedere alla Banca europea per gli investimenti un finanziamento finalizzato alla realizzazione di un piano per il recupero, la conservazione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale danneggiato dagli eventi richiamati in premessa, nonché da altre calamità naturali;
   a valutare l'opportunità di ricavare dai sopra detti interventi risorse per la creazione di un fondo nazionale per fronteggiare le varie emergenze che dovessero presentarsi su tutto il territorio nazionale a seguito di calamità naturali;
   in tale contesto, a predisporre, all'ambito di ogni programma di intervento su edifici pubblici, criteri di priorità di finanziamento basati su evidenze tecnico-scientifiche della stabilità degli edifici, ricavate dall'analisi di dati già in possesso dei vari Ministeri, come, ad esempio, i dati di interferometria satellitare;
   ad assumere iniziative per stabilizzare il bonus fiscale del 65 per cento per l'adeguamento antisismico degli edifici, nell'ottica di mitigare il rischio sismico, innanzitutto nelle aree territoriali in questione, riducendo l'impatto dei futuri terremoti sul patrimonio edilizio pubblico e privato;
   a utilizzare lo strumento della «pubblicità progresso» attraverso reti televisive, radio e siti web, per diffondere, periodicamente, le norme di comportamento da tenersi prima, durante e dopo un terremoto, utilizzando per la copertura economica di tale campagna informativa il fondo già a bilancio al capitolo 563 «Finanziamento di progetti di comunicazione a carattere pubblicitario delle amministrazioni dello Stato, ritenuti di particolare utilità sociale o di interesse pubblico» inserito nel bilancio di previsione 2013 della Presidenza del Consiglio dei ministri, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 16 gennaio 2013, supplemento ordinario n. 5;
   a rendere pubblici e consultabili i dati di rischio sismico riferiti in particolare ad attività in corso nelle regioni interessate dal sisma;
   ad inviare una relazione alle competenti Commissioni parlamentari su quale sia lo stato di redazione e conoscenza della popolazione, in particolare delle province di Caserta e Benevento, dei piani di emergenza in caso di evento sismico, nonché sull'attendibilità dei piani di evacuazione e prima accoglienza in caso di evento sismico;
(1-00403)
«Colonnese, Silvia Giordano, Luigi Gallo, Sibilia, Tofalo, Micillo, Mantero, Segoni, Terzoni, Busto, De Rosa, Zolezzi, Daga, Mannino».
(24 marzo 2014)

   La Camera,
   premesso che:
    una forte scossa di terremoto di magnitudo 4,9 ha colpito il 29 dicembre 2013 le province di Caserta e Benevento, un'area notoriamente sismica. All'evento sono poi seguite molte altre repliche di magnitudo inferiore;
    la scossa di terremoto, avvertita in tutta la Campania e in Molise, ha avuto il suo epicentro nella provincia di Caserta, tra Castello del Matese e Piedimonte Matese, e gli effetti del sisma si sono sentiti in un raggio di 10 chilometri, interessando principalmente i comuni di Castello del Matese, Gioia Sannitica, Piedimonte Matese, San Gregorio Matese, San Potito Sannitico, in provincia di Caserta, e Cusano Mutri, in provincia di Benevento;
    a Piedimonte Matese è stato fatto evacuare l'ultimo piano dell'ospedale, sono state dichiarate inagibili la chiesa «Ave Gratia Plena» e quella annessa al convento francescano di «Santa Maria Occorrevole». Sono risultati inagibili anche l'istituto agrario e tredici abitazioni. Altre tre a Castello Matese. In provincia di Benevento è stata dichiarata inagibile la chiesa di Santa Maria del Carmelo a Faicchio;
    il terremoto ha prodotto danni anche in Molise: tra gli edifici danneggiati anche un'ala dell'assessorato regionale alle politiche sociali a Campobasso;
    successivamente, il 20 gennaio 2014, una nuova scossa di terremoto di magnitudo 4,2 alle 8,12 è stata localizzata nel distretto sismico Monti del Matese, tra il Molise e la Campania, a cui è seguito un movimento tellurico di magnitudo 3,7. Il sisma è stato avvertito dai comuni in un raggio di 20 chilometri in provincia di Caserta, Benevento e Campobasso; territori in gran parte già colpiti dagli eventi sismici del 29 dicembre 2013;
    in via cautelativa, sono state chiuse dai sindaci tutte le scuole in 22 comuni della provincia di Benevento e medesime chiusure a scopo precauzionale sono avvenute per scuole ed edifici pubblici in numerosi comuni della provincia di Caserta;
    come dichiarato dal direttore del Centro nazionale terremoti dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), Alberto Michelini, la zona dei Monti del Matese ha un livello di pericolosità sismica molto alta, «tra i più elevati in Italia. Per questo è fondamentale puntare sulla prevenzione, in modo da costruire sulle basi delle indicazioni contenute nella Mappa della pericolosità sismica»;
    la Campania è una delle zone a più alto rischio sismico, eppure, secondo l'ultimo rapporto Ecosistema scuola di Legambiente, circa il 60 per cento del patrimonio edilizio scolastico della regione è precedente al 1974, anno di entrata in vigore delle norme sulle edificazioni nelle zone a rischio sismico. Solo l'8,4 per cento risulta costruito secondo i criteri antisismici: solo nel 31,1 per cento è stata effettuata la verifica di vulnerabilità antisismica a fronte di un 100 per cento di edifici posti in aree a rischio sismico;
    il Presidente dell'Ordine dei geologi della Campania, Francesco Peduto, il 30 dicembre 2013 ha dichiarato all'agenzia AGI: «Sono anni che i geologi cercano di sensibilizzare le istituzioni ai diversi livelli in riferimento al rischio sismico, ed il terremoto che ieri ha interessato la fascia di territorio a cavallo delle province di Caserta e Benevento ha evidenziato ancora una volta la necessità di sviluppare una seria e sistematica politica pluriennale di previsione e prevenzione del rischio sismico. In Campania ben 4.608 edifici scolastici e 259 ospedali sono localizzati in aree ad elevato rischio sismico, tutti i comuni secondo l'ultimo aggiornamento delle mappe sismiche sono stati classificati, a diverso grado, a rischio sismico e circa il 50 per cento ha subito quantomeno un incremento di classe sismica, oppure è stato classificato sismico mentre prima non lo era. È normale, quindi, chiedersi se le scuole dei nostri figli, gli ospedali, gli edifici pubblici e le nostre case siano sicure. E non lo possiamo sapere, perché in Campania ancora oggi non abbiamo un dispositivo legislativo che impone il Fascicolo del Fabbricato: tale strumento ci avrebbe permesso di conoscere lo stato di salute degli edifici»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per garantire le risorse necessarie per gli interventi di riparazione e messa in sicurezza antisismica degli edifici e degli immobili colpiti dagli eventi sismici di cui in premessa;
   ad assumere iniziative per escludere dal Patto di stabilità interno le spese per i sopra detti interventi, sostenute dai comuni interessati a valere su risorse proprie o su donazioni di terzi;
   ad assumere iniziative per prevedere l'istituzione obbligatoria del fascicolo del fabbricato, quale strumento essenziale per conoscere lo stato di un immobile dal punto di vista delle caratteristiche statiche e di sicurezza;
   a prevedere adeguate risorse, con priorità per le zone a maggior rischio sismico (zone 1 e 2), finalizzate a un piano di investimenti necessari alla messa in sicurezza sismica del territorio italiano.
(1-00404)
«Scotto, Giancarlo Giordano, Migliore, Ragosta, Zan, Zaratti, Pellegrino, Di Salvo, Piazzoni, Lacquaniti».
(24 marzo 2014)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   BERGAMINI e PALESE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la piena applicazione dell'Agenda digitale a livello nazionale vale più di una manovra economica quanto al taglio dei costi della pubblica amministrazione, della possibilità di sviluppo per le PMI e per la creazione di posti di lavoro, eliminando le farraginosità della burocrazia delle sue inefficienze e dei sistemi di potere che essa genera;
   da una ricognizione a cura del Servizio Studi della Camera dei deputati in materia di Agenda digitale italiana del 27 maggio 2013, con dati aggiornati al 21 maggio 2013, si evince che dei 47 adempimenti considerati solo 4 sono stati adottati (per gli adempimenti non ancora adottati in 19 casi risultava già scaduto il termine per provvedere);
   nel corrente mese di marzo 2014, risulta che dei 55 adempimenti considerati, ne sono stati adottati 17 (per gli adempimenti non ancora adottati in 21 casi risulta già scaduto il termine per provvedere; rispetto alla ricognizione precedente sono state prese in considerazione le misure dell'articolo 13 del decreto-legge n. 69 del 2013, decreto «Del fare», la cui legge di conversione è entrata in vigore il 21 agosto 2013, nonché ulteriori disposizioni del decreto-legge «Crescita 2.0», n. 179 del 2012, la cui legge di conversione è entrata in vigore il 19 dicembre 2012, in precedenza non considerate, ma comunque collegate all'attuazione dell'agenda digitale);
   ad oggi tuttavia non risulta mai utilizzata la procedura prevista dall'articolo 13, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge n. 69 del 2013, in base alla quale, per accelerare l'adozione dei provvedimenti attuativi previsti da quattordici specifiche disposizioni del decreto-legge n. 179 del 2012 si consente, per i regolamenti governativi, la loro adozione su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e non dei ministri proponenti previsti (comma 2-bis), e per i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e per i decreti ministeriali la loro adozione su proposta del Presidente del Consiglio anche in assenza del concerto dei ministri previsti (commi 2-ter e 2-quater);
   tutti i provvedimenti attuativi in questione risultano ancora da adottare, fatta eccezione per due casi, nei quali si è però utilizzata la procedura ordinaria (si tratta nello specifico del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 agosto 2013, n. 109, attuativo dell'articolo 2, comma 1 e del decreto ministeriale 9 agosto 2013, n. 165, attuativo dell'articolo 14, comma 2-bis);
   nel suo ultimo intervento alla Camera dei deputati del 19 marzo 2014, il Presidente del Consiglio Renzi ha annunciato la necessità di organizzare nel mese di luglio 2014 un importante appuntamento sull'Agenda digitale in tutti e ventotto i Paesi, immaginando di arrivarci con un lavoro ancora più approfondito da parte del Governo italiano e delle nostre istituzioni, dopo ciò che già è stato fatto dalla commissione guidata dal presidente Francesco Caio;
   il Presidente Renzi ha sottolineato inoltre che una parte della competitività del sistema deriva dall'investimento sulla STI e dalla capacità delle forze politiche e dei Governi di tradurre in atti concreti tutto il grande tema dell'Agenda digitale, e ha dichiarato di averne già discusso con il Presidente Francois Hollande e il Cancelliere Angela Merkel decidendo di organizzare in luglio, a Venezia, il suddetto appuntamento ad hoc centrato su questi temi, per mostrare come un pezzo della competitività sia anche l'investimento sull'innovazione e sullo sviluppo delle reti, non solo di quelle tradizionali;
   la digitalizzazione è fondamentale per incentivare anche la trasparenza delle pubbliche amministrazioni permettendo l'accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, sul cui tema è già intervenuto il decreto legislativo n. 33 del 2013 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) diretto a sconfiggere la corruzione negli apparati burocratici –:
   se il Governo intenda attivarsi fin da subito per varare tutti i regolamenti, i decreti attuativi e le circolari già previste senza attendere il semestre europeo e quali iniziative intenda intraprendere, in linea generale, per garantire lo sviluppo digitale del nostro Paese sia dal punto di vista infrastrutturale che culturale, in particolar modo intervenendo a sostegno delle aree in digital divide ed assicurando che le misure previste dalle norme vengano poi realmente – e correttamente – applicate dalla pubblica amministrazione. (3-00705)
(25 marzo 2014)

   PAOLO NICOLÒ ROMANO, TRIPIEDI, RIZZETTO, BECHIS, BALDASSARRE, CHIMIENTI, CIPRINI, COMINARDI, ROSTELLATO, DA VILLA, CRIPPA, PRODANI, DELLA VALLE, FANTINATI, MUCCI, VALLASCAS, PETRAROLI, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Askoll è una importante holding, con sede a Dueville (Vicenza), leader mondiale nella produzione di motori elettrici sincroni che trovano applicazione in molti elettrodomestici, principalmente lavabiancheria e lavastoviglie, oltre che nel settore dell'acquario. Fondata nel 1978, con gli anni è diventata un'azienda di dimensioni internazionali con undici unità operative tra cui Italia, in cui ha sei stabilimenti, Brasile, Messico, Slovacchia, Romania e Cina. Possiede rappresentanze commerciali negli Stati Uniti e in Corea del Sud e una presenza consolidata nei mercati di 20 Paesi. Il fatturato annuo si aggira sui 400 milioni di euro e impiega oltre 2.500 addetti;
   nel 2008 la Askoll, per consolidare la propria presenza internazionale, acquisisce l'americana Emerson appliance motors Europe (E.A.M.E) proprietaria in Italia di due realtà industriali di eccellenza: lo stabilimento ex Plaset di Moncalieri, in provincia di Torino, con circa 330 dipendenti e lo stabilimento ex Ceset di Castell'Alfero, in provincia di Asti, con circa 296 dipendenti. Questi due siti produttivi assumeranno la nuova denominazione di Askoll P&C;
   quest'acquisizione permetterà alla Askoll di conseguire la leadership nel mercato mondiale dei motori elettrici per applicazioni domestiche (ex Ceset) e delle pompe di scarico per lavabiancheria e lavastoviglie (ex Plaset);
   al momento dell'acquisizione dell'EAME la Askoll P&C presenta il nuovo piano industriale di riconversione e riqualificazione industriale dei due siti produttivi di Moncalieri (Torino) e Castell'Alfero (Asti) prevedendo nel biennio 2009/2010 investimenti per complessivi 16 milioni di euro a fronte però di una riorganizzazione dei suddetti siti piemontesi con l'avvio della cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione (CIGS) su cui viene siglato un accordo sindacale;
   in contrasto con quanto affermato, anche con comunicato stampa del 9 giugno 2009, «(...) di rimanere competitiva ed efficiente senza delocalizzare, creando valore attraverso un nuovo sistema industriale, tecnologicamente avanzato, radicato e integrato nel territorio (...)» la Askoll avvia una sistematica azione di ridimensionamento della presenza in Italia a favore degli stabilimenti esteri;
   infatti, la ex Plaset di Moncalieri, dopo l'iniziale accordo dei 24 mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria (giugno 2009-giugno 2011) per l'avvio del percorso di ristrutturazione industriale, viene chiusa per crisi e i 208 lavoratori coinvolti messi in cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione attività;
   anche per Castell'Alfero, dove attualmente sono in forza circa 225 addetti, si sta profilando lo stesso destino della ex Plaset. Infatti, successivamente al piano di ristrutturazione e all'accordo sottoscritto il 5 giugno 2012 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, relativo al nuovo piano industriale, la società avvia la procedura di licenziamento collettivo comunicando la necessità di dar corso, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dagli articoli da 4 a 24 della legge n. 223 del 1991, «Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro», ad una riduzione collettiva del personale per cessazione dell'attività. Questo a fronte di un piano industriale che prevedeva la prosecuzione della produzione a Castell'Alfero dell'Askollmotor, che ha registrato negli ultimi anni un trend produttivo molto positivo, e all'industrializzazione di altri motori elettrici evoluti, già peraltro sviluppati nei laboratori castellalferesi anche in partnership col politecnico di Torino;
   infatti la Askoll è leader mondiale di motori elettrici, con 600 brevetti depositati e con circa 17 milioni annui dedicati allo sviluppo tecnologico di prodotti e componenti, con laboratori dedicati sia a Castell'Alfero che a Dueville. Inoltre, sono a un livello avanzato di sviluppo i prototipi di veicoli elettrici (minicar, scooter e biciclette elettriche) che rappresentano il futuro della mobilità urbana in Italia e nel mondo e, pertanto, l'azienda italiana, come per altri prodotti nel passato, potrebbe diventare leader mondiale di motori elettrici per la mobilità urbana;
   da settimane i lavoratori di Askoll P&C sono in stato di agitazione, con presidi ai cancelli e cortei per le vie di Asti e di Dueville (Vicenza), per denunciare il comportamento elusivo e poco etico della direzione aziendale e la decisione di trasferire all'estero tecnologia e know-how italiano, nonostante i volumi produttivi nel sito astigiano siano raddoppiati rispetto lo scorso anno e il trend sia in netta crescita. Senza tener alcun conto di questo, l'Azienda ha inviato alle organizzazioni sindacali il 25 febbraio 2014 la surricordata lettera di avvio procedura per la chiusura dello stabilimento;
   presso il Ministero dello sviluppo economico a Roma è stato attivato un tavolo di crisi per discutere di un piano alternativo alla cessazione dello stabilimento ex Ceset di Castell'Alfero. In particolare, nell'incontro di venerdì 21 marzo 2014 la regione Piemonte è intervenuta con un corposo piano di sostegno economico all'Azienda mettendo sul piatto 1.000.000 di euro di finanziamento a tasso agevolato per l'industrializzazione del nuovo motore Askoll Motor Evo. In più un ulteriore finanziamento sino al 40 per cento a fondo perduto su progetti di ricerca e sviluppo della mobilità elettrica, in virtù anche della partnership avviata tra la Askoll Holding e l'azienda torinese Model Master per la progettazione e realizzazione di prototipi e componenti per veicoli di case automobilistiche. Altre misure sono state presentate pur di evitare la cessazione della produzione, come la decontribuzione sino al 40 per cento di tutti gli oneri contributivi, ma da parte dell'Azienda si è sempre manifestato un netto rifiuto a qualsiasi ipotesi alternativa alla delocalizzazione;
   quest'atteggiamento dei vertici di Askoll è sospetto considerando il precedente della ex Plaset di Moncalieri, in provincia di Torino, e la diffusione da parte di alcuni organi di stampa di un documento riservato relativo ad un piano per la chiusura dello stabilimento di Castell'Alfero, redatto in tempi non sospetti, che evidenziano la volontà da tempo maturata dai vertici aziendali di delocalizzare all'estero la sua produzione;
   lo stabilimento Askoll P&C di Castell'Alfero si è sempre contraddistinto quale sito d'eccellenza per la progettazione e la produzione di motori elettrici e pertanto, oltre a salvaguardare i livelli occupazionali, occorre proteggere un patrimonio produttivo strategico per il nostro Paese che dovrà necessariamente conquistare una leadership mondiale nelle nuove tecnologie della mobilità urbana –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per scongiurare la chiusura dello stabilimento ex Ceset di Castell'Alfero, in provincia di Asti, oggetto, a giudizio degli interroganti, di una evidente operazione speculativa finalizzata a delocalizzare all'estero le sue attività, come è ampiamente emerso dal documento riservato diffuso dalla stampa, così da salvaguardare un sito di eccellenza nazionale nella progettazione e produzione di motori elettrici. (3-00706)
(25 marzo 2014)

   MATARRESE, CAUSIN, MONCHIERO, D'AGOSTINO, SOTTANELLI, RABINO e ANTIMO CESARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 41, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, così come modificato dall'articolo 44, comma 9-bis, della legge 24 novembre 2003, n. 326, e, da ultimo, dall'articolo 1, comma 190, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha previsto che «per gli anni 2004-2017 le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 6, 7 e 8, del decreto-legge 11 giugno 2002, n. 108, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2002, n. 172, si applicano anche ai lavoratori licenziati da enti non commerciali operanti nelle aree individuate ai sensi degli obiettivi 1 e 2 del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, con un organico superiore alle 1.800 unità lavorative, nel settore della sanità privata ed in situazione di crisi aziendale in seguito a processi di riconversione e ristrutturazione aziendale. Il trattamento economico, comprensivo della contribuzione figurativa e, ove spettanti, degli assegni per il nucleo familiare, è corrisposto in misura pari al massimo dell'indennità di mobilità prevista dalle leggi vigenti, per la durata di 66 mesi dalla data di decorrenza del licenziamento e nel limite di 400 unità, calcolato come media del periodo. Ai lavoratori di cui al presente comma si applicano, ai fini del trattamento pensionistico, le disposizioni di cui all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e relativa tabella A, nonché le disposizioni di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n. 449»;
   tale disposizione, nello stabilire una speciale indennità di mobilità per i lavoratori dipendenti da enti non commerciali operanti in aree disagiate, con un organico superiore alle 1.800 unità lavorative, nel settore della sanità privata, ha previsto, altresì, che gli stessi possano accedere al pensionamento con il possesso dei soli requisiti di cui «all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e relativa tabella A, nonché le disposizioni di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n. 449»;
   i predetti requisiti sembrerebbero più favorevoli per i lavoratori rispetto a quelli stabiliti, successivamente, dalla legge n. 243 del 2004 e dal decreto-legge n. 201 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, a ragione della particolare situazione economica del settore suddetto. Infatti, la legge n. 289 del 2002, dispone l'accesso al trattamento pensionistico con soli 57 anni di anzianità anagrafica e con 35 di anzianità contributiva mentre il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, aumenterebbe questi requisiti a oltre 66 anni di anzianità anagrafica con 20 anni di anzianità contributiva;
   sembrerebbe trattarsi di una norma di carattere speciale, con la conseguenza che la stessa non potrebbe ritenersi abrogata dalle successive disposizioni in materia di ordinamento pensionistico (ultima tra tutte, l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011);
   la disposizione, infatti, è stata prorogata di anno in anno (da ultimo, dall'articolo 1, comma 190, della legge 27 dicembre 2013, n. 147), senza che sia stato modificato il riferimento «all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e relativa tabella A, nonché le disposizioni di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n. 449»;
   inoltre, al momento dell'emanazione della legge n. 289 del 2002, era all'esame della Camera dei deputati il disegno di legge A.C. 2145 (poi divenuto legge 23 agosto 2004, n. 243) e, quindi, ad avviso degli interroganti, il riferimento alla legge n. 724 del 1994 e alla legge n. 449 del 1997 non può che interpretarsi come una espressa volontà legislativa di stabilizzare tale disciplina pensionistica;
   la Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza (Opera Don Uva), ente che rientra nell'ambito di applicazione della suddetta disposizione, ha avviato, con lettera del 23 ottobre 2014, una procedura di licenziamento collettivo ex articolo 24 della legge, 23 luglio 1991, n. 223, avente ad oggetto 587 lavoratori del settore sanitario;
   tale procedura si è conclusa con accordo del 22 febbraio 2013, stipulato presso la competente direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la previsione, in particolare, del criterio di scelta costituito dalla possibilità di accedere ad un trattamento pensionistico entro la durata dell'indennità di mobilità in questione;
   l'accoglimento della suddetta interpretazione consentirebbe di ridurre notevolmente l'impatto sociale della procedura di licenziamento in questione –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, in particolare, se la suddetta interpretazione sia corretta e se, quindi, i lavoratori di cui all'articolo 41, comma 7, della legge n. 289 del 2002, possano accedere ai trattamenti pensionistici di vecchiaia e di anzianità con il possesso dei requisiti di cui all'articolo 11 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e relativa tabella A, nonché di cui all'articolo 59, commi 6, 7, lettere a) e b), e 8 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, se possano beneficiare dei ridotti requisiti pensionistici solamente i lavoratori percettori dell'indennità di cui trattasi o tutti i lavoratori dipendenti dai datori di lavoro di cui all'articolo 41, comma 7, della legge n. 289 del 2002 che siano licenziati per motivi di carattere oggettivo e se l'organico minimo di 1.800 dipendenti debba intendersi riferito al momento di entrata in vigore dell'articolo 41, comma 7, della legge n. 289 del 2002, ovvero debba sussistere in occasione dell'attivazione delle procedure di licenziamento collettivo ex articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, o di licenziamento individuale ex articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604. (3-00707)
(25 marzo 2014)

   DI SALVO, AIRAUDO, PLACIDO e MIGLIORE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri del 12 marzo 2014 ha approvato due distinti e, a parere degli interroganti, contraddittori provvedimenti: un disegno di legge delega che propugna un contratto a tutele crescenti ed un decreto-legge (il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34) che stabilisce nei fatti periodi di prova lunghissimi;
   lo strumento della legge delega è stato utilizzato dal Governo per «semplificare» e «riordinare» le diverse figure contrattuali, introducendo «eventualmente in via sperimentale» un contratto «a tutele crescenti per i lavoratori coinvolti»;
   con il decreto-legge citato è ora, invece, possibile assumere per otto volte nell'arco di tre anni un lavoratore con un contratto a tempo determinato di 4/5 mesi. Una norma di questo tipo, di fatto, introduce un periodo di prova di 3 anni in cui il datore può licenziare senza pagare un'indennità, senza dare un minimo di preavviso e senza neanche motivazione;
   il decreto-legge con la nuova prova triennale rende del tutto improponibile un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti come quello al quale si accenna nel disegno di legge delega. Un periodo di prova così lungo spiazza, infatti, qualsiasi altra tipologia contrattuale nel periodo di inserimento. E dopo un periodo di prova di 3 anni, non si può immaginare di avere un contratto di inserimento a tutele crescenti che allungherebbe la fase iniziale del contratto a 6 anni, quando l'anzianità aziendale media in Italia è attorno ai 15 anni. Inoltre, il decreto aumenta il dualismo nel mercato del lavoro e innalza le barriere che separano i contratti temporanei da quelli a tempo indeterminato;
   il contratto di lavoro a tutele crescenti ha esattamente la filosofia opposta: ridurre le barriere, unificare laddove oggi c’è segmentazione. Invece con il decreto citato si è scelto di aumentarla ulteriormente: così il mercato del lavoro italiano sarà ancora più spaccato a metà. Le disposizioni del decreto-legge citate rendono improponibile la previsione della legge delega che introduce il contratto a tutele crescenti –:
   quale sia la reale politica che il Governo intende perseguire per riformare il mercato del lavoro. (3-00708)
(25 marzo 2014)

   FORMISANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economica degli ultimi anni ha avuto pesantissime ripercussioni sull'occupazione, in particolare su quella giovanile. I dati Istat più recenti parlano di una percentuale superiore al 42 per cento di disoccupati per i giovani dai 15 ai 24 anni di età. Si tratta di una cifra che, giustamente, il Presidente del Consiglio Renzi ha definito allucinante;
   il Governo ha appena emanato il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34 «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese», che è certamente una prima risposta al problema della disoccupazione, in particolare per quel che riguarda i giovani;
   appare, però, necessario intervenire anche con ulteriori misure che, sia pure non risolutive, diano un primo respiro ad una fascia sempre più ampia di popolazione italiana;
   uno strumento importante può essere certamente la cosiddetta «staffetta generazionale», che appare utile per affrontare una situazione che, se è difficile ovunque, è particolarmente tragica nel Mezzogiorno d'Italia, cronicamente afflitto dal fenomeno della disoccupazione e ora colpito con particolare durezza dalla crisi che si sta vivendo;
   la staffetta generazionale non è certo un'idea peregrina o utopistica. Infatti, già la cosiddetta «legge Treu», la legge 196 del 1997, all'articolo 13, comma 4, lettera b), stabiliva che la maggiore misura della riduzione delle aliquote contributive prevista si applicava ai «contratti di lavoro a tempo parziale in cui siano trasformati i contratti di lavoro intercorrenti con lavoratori che conseguono nei successivi tre anni i requisiti di accesso al trattamento pensionistico, a condizione che il datore di lavoro assuma, con contratti di lavoro a tempo parziale e per un tempo lavorativo non inferiore a quello ridotto ai lavoratori predetti, giovani inoccupati o disoccupati di età inferiore a trentadue anni»;
   successivamente, molte sono state le proposte per migliorare l'istituto della staffetta tra generazioni nel mondo del lavoro e oggi essa viene sperimentata in regioni quali il Piemonte, la Lombardia, l'Emilia-Romagna, mentre è utilizzata con successo in vari Stati europei, tra i quali la Germania, laddove lo Stato ha accettato di aiutare coloro che intendessero lasciare il lavoro, per farsi sostituire da un giovane, riconoscendo i contributi figurativi mancanti per il raggiungimento della pensione;
   la Camera dei deputati ha approvato, in data 20 giugno 2013 una mozione del gruppo Misto-Centro Democratico che impegnava il Governo ad intraprendere tutte le iniziative del caso per l'implementazione della cosiddetta «staffetta generazionale»;
   inoltre, durante la discussione della legge di stabilità, il 20 dicembre 2013, è stato accolto un ordine del giorno che impegnava il Governo a «riprendere concretamente ed in tempi rapidi il tema della «staffetta generazionale», in modo da consentire, anche in via sperimentale, la concreta attuazione di uno strumento utile per facilitare l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro» –:
   se il Ministro interrogato intenda, come auspicabile, proseguire nell'opera di concreta attuazione della «staffetta generazionale». (3-00709)
(25 marzo 2014)

   PIZZOLANTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono circa 80.000 le lavoratrici e i lavoratori italiani che ogni giorno attraversano i confini nazionali per prestare la loro attività lavorativa all'estero con il permesso di frontalieri;
   nonostante la rilevanza del fenomeno, il nostro Paese non dispone di una specifica disciplina legislativa in grado di riconoscere pienamente il valore e l'importanza del lavoro frontaliero per il contesto economico e sociale delle aree territoriali ove è presente;
   i provvedimenti del Governo adottati negli ultimi anni hanno ignorato la specificità dello status di lavoratore frontaliere; a titolo esemplificativo si sono verificate controversie in ordine al riconoscimento dell'indennità di disoccupazione; non è risolta in via definitiva la questione dell'esenzione per i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero in zone di frontiera; a tale problema si è provveduto con misure temporanee, da ultimo con una disposizione apposita nella legge di stabilità 2014, pur permanendo problematiche relative alla previdenza;
   inoltre, con riferimento a San Marino, il Protocollo sulla doppia imposizione sottoscritto a Roma il 13 giugno 2012 e ratificato con legge 19 luglio 2013, n.88 prevede che con legge ordinaria del Parlamento italiano si risolva in maniera definitiva la questione del trattamento fiscale e previdenziale dei lavoratori frontalieri; sul punto esistono proposte depositate in Parlamento –:
   se, in attesa di pervenire al più presto all'approvazione di uno Statuto dei lavoratori frontalieri (presumibilmente mediante l'apertura di un tavolo di confronto con le rappresentanze delle associazioni sindacali e dei lavoratori dei territori di confine – impegno assunto dal Governo a seguito dell'approvazione presso questa Camera il 22 ottobre 2013, della mozione Braga, Pizzolante, Antimo Cesaro, Kronbichler, Plangger ed altri n. 1-00013), non ritenga opportuno dare seguito a quanto previsto dal Protocollo con San Marino ratificato con la legge 19 luglio 2013, n. 88, presentando al Parlamento le proprie proposte in materia di trattamento fiscale e previdenziale dei lavoratori frontalieri. (3-00710)
(25 marzo 2014)

   FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 2008 è presente una gravissima crisi economica internazionale che ha colpito in modo particolare anche alcuni Paesi dell'area dell'Unione europea. L'attuale congiuntura economica, superiore, per intensità, durata e diffusione nei mercati globali a quella del 1929, ha investito anche il nostro Paese;
   secondo la circolare dell'8 gennaio 2014 del Ministero dell'interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, recante «Afflusso di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. Individuazione di strutture di accoglienza», a qualunque clandestino che sbarchi in Italia e semplicemente presenti richiesta di protezione internazionale, anche se fittizia, deve essere garantito vitto e alloggio per un importo pari a 30 euro oltre IVA, un pocket money di 2 euro e 50 centesimi al giorno e una tessera/ricarica telefonica di 15 euro all'ingresso delle strutture di accoglienza, nonché assistenza e cure sanitarie;
   considerando solo i clandestini arrivati in Italia dall'inizio del 2014, se presentassero domanda di protezione internazionale per ottenere tali benefit, i costi sarebbero di 127.500 euro di ricariche telefoniche, 21.250 euro di pocket money al giorno e 255.000 euro di vitto e alloggio al giorno, oltre a cure sanitarie;
   su undici centri di identificazione ed espulsione sei sono stati chiusi nel 2013 per lavori di ristrutturazione, causati dai danneggiamenti dei clandestini ospitati, e perciò risulta che centinaia di clandestini, in questi giorni trasferiti nelle regioni del Nord, vengano alloggiati anche in alberghi a 4 stelle, come ad esempio al Riz di San Genesio, in provincia di Pavia, dove il pernottamento a notte costa dai 120 ai 140 euro; non si sa al momento quanti di essi, dove e per quanto saranno alloggiati presso le strutture alberghiere;
   secondo anticipazioni di organi stampa, per affrontare il sovraffollamento delle carceri e la questione delle condanne della Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dell'Italia su questo tema, il Governo sarebbe sul punto di approvare un provvedimento che stabilirà, per tutti i detenuti che hanno fatto ricorso per la carenza di spazio nelle carceri, un indennizzo di 20 euro al giorno;
   la crisi economica che ha investito il nostro Paese ha fatto emergere in tutta la sua gravità le profonde criticità nella gestione pubblica delle risorse finanziarie. È palese come sia inaccettabile che lo Stato spenda per il sostegno ai migranti arrivati clandestinamente nel nostro Paese e per i detenuti, mentre nulla è stato previsto per le vittime della crisi economica: disoccupati, esodati, artigiani, commercianti e piccoli medi imprenditori –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno farsi promotore di un'iniziativa finalizzata al riconoscimento ufficiale delle vittime della crisi economica esercitando le dovute iniziative atte alla protezione umanitaria e presa in carico di questa particolare categoria, anche promuovendo l'individuazione delle risorse necessarie tra quelle destinate all'assistenza degli extracomunitari, sulla base del principio di dare priorità ai cittadini del nostro Paese. (3-00711)
(25 marzo 2014)

   ARGENTIN, LENZI, AMATO, BENI, BOSSA, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, IORI, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI, SCUVERA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in un'intervista rilasciata il 16 marzo 2014 al «Quotidiano Nazionale» il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ha indicato, fra le intenzioni governative: «Tagli alla spesa pubblica inefficiente. Ci sono tantissimi margini di manovra. Pensiamo ai 12 miliardi sulle pensioni di invalidità e accompagnamento spesi dall'Inps: hanno dei picchi in alcune zone totalmente inspiegabili, se non con il fatto che ci siano degli abusi. Per garantire controlli, equità ed evitare abusi applicheremo l'ISEE.»;
   dalle dichiarazioni sembra prendere corpo l'ipotesi, in modo assai preoccupante, che il Governo intenda ridurre drasticamente la spesa per pensioni di invalidità (circa 280 euro al mese) e per l'indennità di accompagnamento (500 euro al mese) riservata – fino a oggi – a persone con grave disabilità, non autosufficienti, allettati, malati oncologici terminali;
   è stata diffusa, inoltre, una tabella che sintetizza «le proposte per la revisione della spesa 2014-2016» elaborate dal commissario Carlo Cottarelli. Tra le varie voci di risparmio previste, sotto la categoria «Riduzioni trasferimenti inefficienti», compaiono la «Prova reddito per indennità accompagno» e «Abusi pensioni di invalidità»: il risparmio previsto è per entrambi pari a zero per il 2014, mentre per il 2015 e il 2016 si prevede un rientro di 0,1 e 0,2 miliardi da entrambe le voci (per un risparmio complessivo di 0.6 miliardi in due anni). Sotto la categoria «spese settori», compaiono invece sia la «Revisione pensioni di guerra» (per un risparmio di 0,2 miliardi già nel 2014, e di 0,3 nel 2015 e 2016), sia le «Pensioni reversibilità» (nessun risparmio nel 2014 e 2015, ma con un rientro di 0,1 miliardi nel 2016). Complessivamente, quindi, si parla di un rientro di spesa di 1,5 miliardi derivante da pensioni d'invalidità, indennità di accompagno, pensioni di guerra e reversibilità;
   in questi ultimi anni la campagna contro i cosiddetti «falsi invalidi», quale causa principale dei disastri del bilancio italiano, è stata prima di tutto una campagna strumentale e mediatica, assumendo in alcuni momenti anche toni drammatici;
   a partire dal 2008, con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, si prevede, all'articolo 80, un «Piano straordinario di verifica» di 200.000 accertamenti nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile da attuarsi da parte dell'Inps nel periodo dal 1o gennaio 2009 al 31 dicembre 2009;
   in questo caso l'individuazione del primo campione di 200.000 persone da sottoporre a visita fu demandata a un successivo decreto ministeriale del 29 gennaio 2009 che escluse dai controlli le persone affette dalle patologie di cui al decreto del 2 agosto 2007 (gravi patologie stabilizzate o ingravescenti), i residenti in regione Valle d'Aosta e nelle province autonome di Trento e Bolzano, ma anche le persone di età inferiore ai 18 anni e di età superiore ai 78 anni, i titolari di prestazioni sospese, gli invalidi inviati o da inviare a visita sanitaria di revisione rispettivamente dopo il 1o luglio 2007 o entro il 30 giugno 2010;
   ancora in corso questi primi accertamenti, su proposta del Governo, il Parlamento approvò, nel mese di agosto del 2009, la legge 3 agosto 2009, n. 102, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali» e all'articolo 20, comma 2, del decreto-legge, si predispose per il triennio 2010-2012 da parte dell'Inps, con le risorse umane e finanziarie previste a legislazione vigente, in via aggiuntiva all'ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, un programma di 100.000 verifiche per l'anno 2010 e di 250.000 verifiche annue per ciascuno degli anni 2011 e 2012 nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile;
   in questo caso l'Inps prese a campione i titolari di indennità di accompagnamento (ciechi e invalidi) e di comunicazione, ma solo di età compresa fra i 18 e i 67 anni compiuti; i titolari di assegno mensile di assistenza (invalidi parziali), ma solo di età compresa fra i 40 e i 60 anni. Inoltre, il campione è stato estratto solo su chi percepisce assegni o indennità da prima del 1o aprile 2007 (Circolare Inps n. 76 del 22 giugno 2010). Le verifiche non riguardarono, quindi, né i minori, né gli anziani oltre i 67 anni di età (cioè la fascia più ampia dei percettori di indennità di accompagnamento), né gli invalidi al 100 per cento che ricevono la sola pensione di invalidità;
   nel 2010, con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, si prevede, all'articolo 10, un potenziamento dei programmi di verifica per gli anni 2011 e 2012 portandoli a 250.000 l'anno per un totale di 500.000 verifiche in due anni;
   per il 2011 l'Inps prese come campione quello già evidenziato nel 2010 aggiungendo anche gli invalidi civili, ciechi civili e sordi – titolari di provvidenze economiche – il cui certificato di invalidità prevedesse una revisione fra luglio e dicembre 2011, mentre per il 2012 il campione comprese (circolare 76/2010 e messaggio 6763/2011) gli invalidi titolari di provvidenze economiche in scadenza prima della fine dell'anno (esclusi quelli per cui la scadenza era prevista entro due mesi dal messaggio), senza fissare alcun limite di età; i titolari di indennità di accompagnamento (ciechi e invalidi) e di comunicazione, ma solo di età compresa fra i 18 e i 67 anni compiuti; i titolari di assegno mensile di assistenza (invalidi parziali), ma solo di età compresa fra i 40 e i 60 anni;
   infine con la legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228), all'articolo 1, comma 109, si predispone per il periodo 2013-2015 da realizzarsi, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, un ulteriore piano di 150.000 verifiche straordinarie annue, aggiuntivo rispetto all'ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, nei confronti dei titolari di benefici di invalidità civile, cecità civile, sordità, handicap e disabilità;
   in questi anni numerosi sono stati i controlli sui cosiddetti falsi invalidi, 800 mila quelli straordinari effettuati dal 2009 al 2012, e altri 450 mila in programma dal 2013 al 2015 con l'unico obiettivo di contrastare le false invalidità per recuperare la spesa che deriva da pensioni che non spettano;
   secondo i dati della guardia di finanza si attestano attorno ai 1.500 all'anno i veri, reali, falsi invalidi (lo 0,06 per cento dei percettori di pensioni di invalidità) che vengono giustamente scoperti e denunciati alla fine delle procedure (visita di controllo – eventuale abbassamento della percentuale con sospensione della pensione – ricorso del disabile - giudizio della magistratura pro o contro disabile) –:
   se il Governo non ritenga opportuno e doveroso tranquillizzare tutte le persone disabili e le loro famiglie sul fatto che la normativa sulle pensioni di invalidità e sugli assegni di accompagnamento non sarà modificata ed in particolare che l'erogazione di questi ultimi non sarà legata al reddito e all'ISEE, ma continuerà a dipendere solo e soltanto dall'effettivo diritto della persona disabile, nonché quali siano stati fino ad oggi i risultati ed i costi dell'attività di verifica dei vari piani approvati. (3-00712)
(25 marzo 2014)

    FAUTTILLI e SCHIRÒ. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a distanza di tre anni dalla sua entrata in vigore non sono stati ancora emanati i decreti attuativi della legge n. 4 del 2011, recante «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari»;
   si stima che il 33 per cento della produzione complessiva dei prodotti alimentari venduti in Italia ed esportati con il marchio «made in Italy», contenga materie prime straniere. Secondo Coldiretti, due prosciutti su tre provengono da maiali allevati all'estero e tre cartoni di latte a lunga scadenza su quattro sono esteri, senza contare la pasta ottenuta da grano di indefinita provenienza, il concentrato di pomodoro cinese e l'elenco potrebbe continuare;
   gli unici prodotti che hanno ottenuto l'etichettatura d'origine obbligatoria, perché provvisti di una tutela a livello europeo, sono la carne bovina (a seguito dell'emergenza «mucca pazza»), i polli (ma solo dopo l'emergenza Sars) e l'ortofrutta;
   a dimostrazione di come questa situazione favorisca l'inserimento della criminalità organizzata, si segnala che dall'inizio del 2014 è stata sequestrata merce contraffatta per circa mezzo miliardo di euro;
   una risoluzione del Parlamento europeo votata recentemente ha ribadito che l'obbligo relativo a un'etichettatura chiara ed esaustiva sull'origine è essenziale e può contribuire a contrastare le frodi promuovendo una maggiore trasparenza lungo la catena di approvvigionamento alimentare;
   con oltre 53 miliardi di euro il «made in Italy» agroalimentare rappresenta più del 17 per cento del prodotto interno lordo e rappresenta la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica –:
   se non ritenga opportuno procedere senza ulteriori ritardi all'emanazione dei sopra detti decreti attuativi per garantire la salute dei consumatori e per tutelare l'industria agroalimentare italiana. (3-00713)
(25 marzo 2014)

   TAGLIALATELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 136 del 2013, recante «Disposizioni urgenti in materia di reati ambientali e per la tutela dell'ambiente, della salute e delle produzioni agroalimentari in Campania», cd. «decreto Terra dei fuochi», per la prima volta le istituzioni nazionali hanno affrontato l'emergenza della Terra dei fuochi, introducendo nell'ordinamento italiano il reato di combustione dei rifiuti, punibile con la detenzione fino a cinque anni e col sequestro del terreno;
   l'articolo 1 di tale decreto-legge ha stabilito, inoltre, che i massimi organismi scientifici in materia di ambiente, salute e agricoltura, individuati nell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, nell'Istituto superiore di sanità, nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura e nell'Arpac, svolgano indagini tecniche per la «mappatura, anche mediante strumenti di telerilevamento, dei terreni della Regione Campania destinati all'agricoltura, al fine di accertare eventuale esistenza di effetti contaminanti a causa di sversamenti e smaltimenti abusivi anche mediante combustione»;
   i Ministri dell'ambiente e della tutela e del territorio e del mare, della salute, e delle politiche agricole, alimentari e forestali, con apposita direttiva del 23 dicembre 2013, hanno emanato gli indirizzi comuni e le priorità cui gli enti citati devono attenersi nello svolgimento del compito assegnato;
   la priorità territoriale individuata dalla citata direttiva ministeriale include numerosi comuni delle province di Napoli e Caserta, in particolare tutti i 57 comuni aderenti al cosiddetto «Patto per la Terra dei fuochi»;
   in tale direttiva è stata prioritariamente richiamata la necessità della più ampia condivisione delle informazioni pertinenti, siano esse già disponibili agli enti interessati o da acquisire da parte di tutti gli altri organismi istituzionali che ne siano in possesso (come, ad esempio, i Noe, i Nas, Cfs ed altri), utilizzando a tale scopo apposite strutture informatiche;
   per l'esame dei dati così raccolti, la direttiva ha individuato un gruppo di lavoro composto, oltre che ovviamente da delegati degli enti scientifici sopra elencati, anche da rappresentanti della regione Campania, degli Istituti zooprofilattici sperimentali Abruzzo e Molise (Teramo) e Campania e Calabria Portici), dell'Università Federico II di Napoli e dell'Agea, cui è stato affidato il coordinamento del gruppo stesso;
   il gruppo di lavoro, come previsto dal decreto-legge, ha predisposto e consegnato, il 10 marzo 2014, la relazione finale inerente le indagini svolte e le metodologie utilizzate al fine dell'individuazione dei siti interessati da sversamenti e smaltimenti abusivi di rifiuti nel territorio della regione Campania;
   detta relazione individua 5 classi di rischio dei suoli agricoli, sovrapponendo le risultanze dell'interpretazione multitemporale delle ortofoto e dei valori relativi ai superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione, proponendo, per ciascun livello di rischio le indagini a farsi e la relativa tempistica, fissate in una tabella allegata;
   il decreto interministeriale in corso di pubblicazione prevede, tra l'altro, che il Crsa, l'Ispra, l'Iss e l'Arpac per il tramite del gruppo di lavoro, e avvalendosi delle Forze dell'ordine, stabiliscano le indagini dirette da effettuare nei terreni individuati; che per le indagini dirette, finanziate con le risorse del POR FESR Campania 2007/13 destinate alle bonifiche, gli enti richiedano alla regione il rimborso delle spese sostenute, nei limiti delle risorse stanziate dal decreto-legge, pari a complessivi 4 milioni di euro; che le indagini per i terreni con livello di rischio 5, 4, 3, 2a e 2b debbano essere effettuate nel termine di novanta giorni;
   in particolar modo per i siti inseriti nelle classi di rischio 2b, 3 e 5, sarà necessario procedere, preliminarmente all'esecuzione delle indagini analitiche dirette, alla esecuzione di indagini indirette a terra, e, nel caso in cui l'esito di tali indagini dovesse confermare i sospetti, effettuare gli scavi per verificare la eventuale presenza di rifiuti interrati –:
   se non ritenga che la tempistica indicata nel decreto interministeriale di cui in premessa per l'effettuazione delle indagini dirette delle matrici suolo ed acqua per i terreni classificati a rischio 5, 4, 3, 2a e 2b, che è di molto inferiore a quella proposta dal gruppo di lavoro, sia incongrua, posto che già per le sole classi di rischio 2a e 2b si tratta di migliaia di siti. (3-00714)
(25 marzo 2014)