TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 150 di Lunedì 13 gennaio 2014

 
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MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE VOLTE ALLA SALVAGUARDIA DELL'INTERESSE NAZIONALE IN RELAZIONE AGLI ASSETTI PROPRIETARI DI AZIENDE DI RILEVANZA STRATEGICA PER L'ECONOMIA ITALIANA

   La Camera,
   premesso che:
    in questi ultimi anni alcune delle maggiori industrie italiane sono state cedute, di fatto, a proprietà straniere: non solo i grandi marchi della moda e del lusso da sempre espressione del nostro made in Italy (da Bulgari a Loro Piana, da Valentino a Ferré), ma anche il settore alimentare (Dall'Orzo Bimbo agli spumanti Gancia, dai salumi Fiorucci alla Parmalat, dalla Star al Riso Scotti, fino al vino Chianti nel cuore della denominazione di origine controllata e garantita del Gallo Nero, diventata proprietà di un imprenditore cinese; sono molti e di prestigio, infatti, i marchi storici dell'agroalimentare italiano finiti in mani straniere, per un valore complessivo, dall'inizio della crisi ad oggi, di circa 10 miliardi di euro) e la meccanica (Ducati);
    il pericolo è, inoltre, che con un debito pubblico, che presumibilmente potrebbe arrivare a oltre il 130 per cento del prodotto interno lordo, lo Stato possa decidere di cedere altri gangli nevralgici del Paese sotto il profilo tecnologico e del know how, quali, ad esempio, gli asset civili di Finmeccanica a partire da Ansaldo Breda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenarinibus;
    inoltre, assistere oggi alla cessione, alla svendita o al trasferimento di aziende centrali non solo per il loro portato economico in termini occupazionali e di sviluppo di indotto, ma anche strategiche per gli interessi nazionali, come Telecom Italia, Alitalia e Finmeccanica, appare di eccezionale gravità perché in nessuno Stato del mondo settori di comunicazione, trasporti o difesa sono mai stati abbandonati in nome del mercato e perché questo dimostrerebbe la totale resa da parte dell'Esecutivo rispetto alla fase di deindustrializzazione che sta attraversando il nostro Paese;
    detta fase di deindustrializzazione è del resto evidenziata anche dal rapporto sulla competitività industriale presentato recentemente dalla Commissione europea a Bruxelles: rapporto da dove emerge con tutta evidenza che l'Italia è l'unico Paese dell'Eurozona che, insieme alla Finlandia, ha peggiorato la propria produttività, venendo superata anche dalla Spagna;
    a fronte di tale annosa situazione l'attuale Governo non sembra avere una posizione chiara rispetto al futuro degli asset strategici dell'economia del nostro Paese, a partire innanzitutto da quelli controllati direttamente dallo Stato come nel caso di Finmeccanica; e soprattutto, non è chiaro come intenda usare gli strumenti necessari, ivi compreso l'intervento del Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti che attualmente dispone di circa 7 miliardi di euro, al fine di preservare e rilanciare il patrimonio industriale italiano e non certo avallare nuove ipotesi di cessione industriale, svolgendo le mere funzioni di un fondo di garanzia;
    le vicende relative a Telecom Italia, Alitalia e Finmeccanica mettono a rischio la tradizione e l'intero know how italiani, ormai svenduti al miglior offerente già in passato in numerosi altri casi di produzione industriale;
    Sinistra Ecologia Liberta, come già chiaramente esplicitato in numerosissimi atti parlamentari precedenti come, da ultimo, l'interrogazione a risposta immediata in assemblea n. 3-00337, nonché nell'ambito della mozione sulla crisi del settore manifatturiero n. 1-00164, è completamente contraria a qualsiasi processo di depotenziamento e alienazione della tecnologia che si potrebbe verificare attraverso la cessione degli asset civili di Finmeccanica ai diretti concorrenti internazionali;
    sotto tale profilo, non si comprendono i motivi per i quali l'Esecutivo non abbia ancora attuato l'articolo 2 del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, recante: «Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni»;
    si tratta del cosiddetto golden power di cui, appunto, mancano i provvedimenti regolamentari di attuazione e senza tali provvedimenti il Governo non può esercitare i poteri speciali ivi previsti per tutelare l'interesse nazionale, come, ad esempio, imporre agli acquirenti condizioni di investimento o sul mantenimento dei presidi industriali, in caso di passaggio di proprietà straniera di importanti aziende italiane come Telecom, ma anche di Alitalia e le imprese con il marchio Ansaldo del gruppo Finmeccanica;
    al riguardo, si ricorda che, con lo scopo di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori reputati strategici e di interesse nazionale, il legislatore è intervenuto ridisciplinando con il citato decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21 la materia dei poteri speciali esercitabili dal Governo in tale settore, anche al fine di aderire alle indicazioni e alle censure sollevate in sede europea;
    per mezzo del decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2012 sono stati ridefiniti, anche mediante il rinvio ad atti di normazione secondaria (decreti del presidente del Consiglio dei ministri), l'ambito oggettivo e soggettivo, la tipologia, le condizioni e le procedure di esercizio da parte dello Stato (in particolare, del Governo) dei cosiddetti «poteri speciali», attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici;
    per «poteri speciali» si intendono, tra gli altri, la facoltà di dettare specifiche condizioni all'acquisito di partecipazioni, di porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all'acquisto di partecipazioni. L'obiettivo del provvedimento è di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo, che si ricollega agli istituti della «golden share» e «action spécifique» – previsti rispettivamente nell'ordinamento inglese e francese – e che in passato era già stata oggetto di censure sollevate dalla Commissione europea e di una pronuncia di condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea;
    per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, la Commissione europea ha adottato una comunicazione con la quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale». Riguardo agli specifici settori di intervento, la Commissione europea ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica purché, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, sia esclusa qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico;
    nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o con riguardo ai movimenti di capitali, le deroghe ammesse non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali. In ogni caso, secondo quanto indicato dalla Commissione europea, la definizione dei poteri speciali deve rispettare il principio di proporzionalità, vale a dire deve attribuire allo Stato solo i poteri strettamente necessari per il conseguimento dell'obiettivo perseguito. Gli indirizzi contenuti nella predetta comunicazione hanno costituito la base per l'avvio da parte della Commissione europea delle procedure di infrazione nei confronti delle disposizioni del decreto-legge n. 332 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 474 del 1994, recanti la disciplina generale dei poteri speciali. Procedure di infrazione in materia di golden share hanno riguardato anche il Portogallo, il Regno Unito, la Francia, il Belgio, la Spagna e la Germania;
    nel dettaglio, il decreto-legge n. 21 del 2012 reca anzitutto (all'articolo 1) la nuova disciplina dei poteri speciali esercitabili dall'Esecutivo rispetto alle imprese operanti nei comparti della difesa e della sicurezza nazionale;
    la principale differenza con la normativa precedente si rinviene nell'ambito operativo della nuova disciplina, che consente l'esercizio dei poteri speciali rispetto a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica. Per effetto delle norme in commento, alla disciplina secondaria (decreti del Presidente del Consiglio dei ministri) saranno affidate le seguenti funzioni: 1) individuazione di attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale in rapporto alle quali potranno essere attivati i poteri speciali; individuazione della tipologia di atti o operazioni infragruppo esclusi dall'ambito operativo della nuova disciplina; 2) concreto esercizio dei poteri speciali; 3) individuazione di ulteriori disposizioni attuative;
    le norme fissano puntualmente il requisito per l'esercizio dei poteri speciali nei comparti della sicurezza e della difesa, individuato nella sussistenza di una minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. L'Esecutivo potrà imporre specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni in imprese strategiche nel settore della difesa e della sicurezza; potrà porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni straordinarie o di particolare rilevanza, ivi incluse le modifiche di clausole statutarie eventualmente adottate in materia di limiti al diritto di voto o al possesso azionario; potrà opporsi all'acquisto di partecipazioni, ove l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. Sono poi disciplinati gli aspetti procedurali dell'esercizio dei poteri speciali e le conseguenze che derivano dagli stessi o dalla loro violazione. Sono nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica, nonché delle delibere o degli atti adottati in violazione o inadempimento delle condizioni imposte;
    con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 novembre 2012, n. 253, è stato adottato il regolamento che individua le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale al fine dell'esercizio dei poteri speciali e gli atti/operazioni infragruppo esclusi dall'ambito operativo della nuova disciplina;
    per quanto riguarda l'adozione dei regolamenti di attuazione del decreto-legge n. 21 del 2012, il rappresentante del Governo nel corso del dibattito ha dichiarato che il 9 ottobre 2013 il Consiglio dei Ministri ha avviato il complesso iter di definizione dei suddetti regolamenti. In particolare, si è proceduto all'esame preliminare di tre schemi di decreto del Presidente della Repubblica. Nel primo schema sono stati individuati gli attivi nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni; nel secondo schema sono state definite le procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei settori della difesa e sicurezza nazionale; nel terzo schema sono state definite le procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
    gli schemi dei suddetti decreti devono essere trasmessi al Parlamento e al Consiglio di Stato e, con riguardo al terzo schema, anche alle autorità indipendenti di settore, per i pareri di competenza;
    purtuttavia, si deve rilevare che, ad oggi, non risultano ancora definitivamente approvati tutti gli schemi di regolamento citati;
    nell'ipotesi specifica di Telecom, dopo lo svolgimento di un lungo ciclo di audizioni svoltesi presso la Commissione IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, dei sindacati, del Governo e dell'amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano, tutti i gruppi parlamentari, in data 4 dicembre 2013, hanno votato approvando la risoluzione n 8-00029 ove si impegna il Governo: 1) a pervenire, quanto prima possibile, all'approvazione definitiva dei regolamenti dell'articolo 2 del decreto-legge n. 21 del 2012, con i quali sono individuati le reti e gli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l'operatività dei servizi pubblici essenziali, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale nel settore delle comunicazioni e sono emanate le disposizioni attuative in materia di esercizio dei poteri speciali nel medesimo settore delle comunicazioni; 2) a garantire un'efficace vigilanza, in base ai poteri previsti dalla golden power, sui beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse e la sicurezza nazionale nel settore delle comunicazioni; 3) a chiedere nelle più opportune sedi europee garanzie affinché le banche interessate da aiuti provenienti dal fondo «salva Stati» (meccanismo europeo di stabilità) non utilizzino quelle risorse per finanziare l'acquisto di asset strategici ai danni delle Nazioni finanziatrici dello stesso fondo «salva Stati»; 4) ad adottare le iniziative consentite affinché siano garantiti i principi di equità e non discriminazione nell'accesso alla rete di telecomunicazioni da parte degli operatori, e, nel caso in cui si proceda alla costituzione di una società della rete, affinché la governance e gli assetti siano tali da assicurare che la gestione di una risorsa strategica per il Paese sia effettuata in modo rispondente a finalità di interesse generale; 5) ad assicurare piena tutela e valorizzazione dell'occupazione e del patrimonio di conoscenze e competenze di Telecom Italia; 6) ad assumere tutte le iniziative di propria competenza per evitare che, anche per effetto degli assetti proprietari del gruppo che potrebbero determinarsi, venga compromessa la dimensione internazionale del gruppo medesimo; 7) ad avviare ogni iniziativa volta a potenziare il sistema infrastrutturale delle telecomunicazioni, all'interno del piano previsto dall'Agenda digitale, al fine di determinare le condizioni affinché il nostro Paese diventi un vero hub globale delle comunicazioni, anche in considerazione del consolidamento del mercato europeo, ormai inevitabile;
    si rileva, inoltre, che durante le audizioni svolte presso la Commissione IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, il sindacato SLC-CGL aveva ribadito che senza uno strumento che potesse rimettere in discussione gli accordi che fanno diventare Telefonica controllore di fatto di Telecom Italia dal 1o gennaio 2014, ogni discussione sugli investimenti in infrastrutture necessari a rimuovere il gap tecnologico del nostro Paese potrebbe avvenire fuori tempo massimo. Sarebbe, quindi, necessario promuovere il decreto sull'offerta pubblica d'acquisto e successivamente avviare con Telefonica un negoziato che, partendo da un aumento di capitale a cui far partecipare investitori come Cassa Depositi e Prestiti, fondi pensione, assicurazioni vita, sia in grado di produrre uno sforzo significativo per la costruzione della rete di nuova generazione;
    detto sindacato ha, pertanto, chiesto ai membri della IX Commissione di farsi promotori di una mozione che impegni il Governo, tra e altre cose, a modificare la legge sull'offerta pubblica d'acquisto sulla scorta di quanto realizzato già dal Senato della Repubblica con la mozione n. 1-00160, cofirmata dai senatori del gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Liberta, ove si chiede al Governo ad attivarsi al fine di introdurre, con la massima urgenza, anche attraverso l'adozione di un apposito decreto-legge, le necessarie modifiche al Testo unico della finanza, in modo da: a) rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, in linea con le decisioni già assunte dalla Consob stessa in casi analoghi; b) aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, già prevista per l'offerta pubblica d'acquisto obbligatoria, una seconda soglia legata all'accertata situazione di controllo di fatto,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni atto di competenza diretto a pervenire all'approvazione definitiva dei regolamenti previsti dall'articolo 2 del decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, in maniera tale da esercitare i poteri speciali che per legge gli competono per tutelare l'interesse nazionale in caso di passaggio di proprietà straniera di importanti aziende italiane di particolare rilevanza strategica per il nostro Paese;
   a dare seguito il prima possibile agli impegni contenuti nella citata risoluzione n 8-00029, approvata il 4 dicembre 2013 dalla Commissione IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, relativa al caso Telecom e agli interventi a tutela dell'utilizzo per finalità di interesse generale delle reti, degli impianti, dei beni e dei rapporti di rilevanza strategica nel settore delle comunicazioni, al fine di salvaguardare un asset strategico per il nostro Paese e la tutela occupazionale di quella che è stata da sempre la più importante compagnia telefonica del Paese, nonché a dare, altresì, seguito agli impegni richiamati dalla citata mozione presentata al Senato della repubblica n. 1-00160 in materia di modifiche alla legislazione sull'offerta pubblica di acquisto;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato ad evitare che le vicende relative alla compagnia di bandiera Alitalia-Compagnia Aerea Italiana spa, a seguito dell'eventuale ingresso di nuovi soci anche stranieri in posizione dominante di cui dovrebbe essere per altro verificata l'affidabilità, si traducano in una ristrutturazione il cui unico scopo sarebbe l'ulteriore compressione del costo del lavoro già ridotto a seguito della privatizzazione avvenuta nel 2008 e un conseguente ridimensionamento degli aeroporti di Roma-Fiumicino e Milano-Malpensa rispetto ai collegamenti diretti di carattere extracontinentale, con grave nocumento per il sistema economico italiano;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a salvaguardare gli attuali livelli occupazionali della compagnia di bandiera Alitalia-Compagnia Aerea Italiana spa;
   ad arrestare, nella qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, ogni possibile cessione degli asset civili di Finmeccanica, a partire da Ansaldo Breda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenarinibus e, più in generale, qualsiasi cessione della quota di controllo, diretta o indiretta, immediata o differita o trasferita, di società appartenenti o controllate dal gruppo Finmeccanica stesso;
   ad avviare una strategia volta alla conclusione di partnership con imprese industriali complementari realmente operanti nel sistema competitivo globale dell'alta tecnologia e diverse da Doosan, conglomerata equivalente per dimensione a Finmeccanica – che, in ogni caso, non rappresenta una conglomerata – ma estranea al cosiddetto oligopolio dell'alta tecnologia;
   a ridurre alla maggioranza relativa la quota azionaria di Finmeccanica in tutte le società del gruppo generalizzando il modello di Ansaldo STS (Finmeccanica: 40 per cento) in tutte le società attraverso: a) quotazione (come è possibile farlo per Agusta Westland); b) una drastica riorganizzazione che consenta una successiva quotazione o la conclusione di accordi di partenariato (come quelli vigenti in Ansaldo Energia e in Atr); c) la ricerca immediata di partner complementari nel settore dei sistemi di difesa (Oto, Wass);
   ad avviare una riorganizzazione che investa in profondità Ansaldo Breda, Selex ES e Alenia Aermacchi al fine di ottenere un deciso incremento di competitività arricchendo il loro portafoglio di tecnologie e prodotti e internazionalizzando il loro capitale umano e direzionale;
   ad intraprendere un progetto volto all'integrazione finanziaria di Finmeccanica e Fintecna in una sola holding industriale dell'alta tecnologia cui attribuire la maggioranza relativa, la gestione e lo sviluppo di Fincantieri, società equivalente per dimensione alla somma di Ansaldo STS e Energia, ma inferiore per risultati economici e prospettive strategiche;
   a porre in essere, sempre con riferimento a Finmeccanica, ogni strategia e sviluppo di progettazione e riorganizzazione come quelle poc'anzi citate al fine di consentire di evidenziare le eventuali perdite ancora non esibite, di ridurre il debito, di affrontare i necessari investimenti d'innovazione tecnologica, di progettare l'acquisizione di nuove società nei settori in sviluppo, di restituire alla nuova holding la reputazione e il rango internazionale persi nell'ultimo triennio;
   a non procedere alla messa sul mercato delle residue quote pubbliche di grandi società partecipate dallo Stato come Fincantieri, adottando un piano che la renda effettivamente competitiva nel mercato interno ed internazionale.
(1-00196)
(Nuova formulazione) «Airaudo, Migliore, Ferrara, Boccadutri, Di Salvo, Quaranta, Lacquaniti, Aiello, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».
(27 settembre 2013)

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE IN AMBITO EUROPEO E NAZIONALE PER LA REVISIONE DEI VINCOLI DERIVANTI DAL TRATTATO NOTO COME «FISCAL COMPACT»

   La Camera,
   premesso che:
    come noto, il Consiglio europeo nel 2011 ha varato un nuovo sistema di governance economica europea. Esso è imperniato su sei pilastri principali:
     a) un meccanismo di discussione e coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio nazionali, realizzato mediante l'adozione a livello nazionale di un ciclo di procedure e strumenti di programmazione previsto e disciplinato a livello comunitario e concentrato nei primi sei mesi dell'anno (da qui la denominazione di «semestre europeo»), che vede una più stringente interazione tra istituzioni comunitarie e nazionali e che è destinato a integrarsi con i cicli di programmazione e di bilancio nazionali, al fine di consentire di valutare contemporaneamente le politiche strutturali e le misure di bilancio in un quadro di complessiva coerenza e sostenibilità, quale presupposto per una più efficace vigilanza e integrazione delle politiche economiche e di bilancio nazionali nell'Eurozona e nell'Unione europea;
     b) una più stringente applicazione del patto di stabilità e crescita, realizzata in virtù del rafforzamento sia del suo braccio preventivo sia di quello correttivo, attraverso l'adozione di tre appositi regolamenti;
     c) l'introduzione, mediante due appositi regolamenti, di una sorveglianza sugli squilibri macroeconomici degli Stati membri che include meccanismi di monitoraggio, allerta, correzione e sanzione;
     d) l'introduzione di requisiti comuni per i quadri nazionali di bilancio, mediante l'adozione di un'apposita direttiva;
     e) l'istituzione di un meccanismo permanente per la stabilità finanziaria della zona euro (MSE), attraverso una modifica dell'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, adottata dal Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011 e da recepirsi ad opera degli ordinamenti nazionali;
     f) il patto «Europlus», adottato con una dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo dell'11 marzo 2011, che impegna gli Stati aderenti (dell'Eurozona e alcuni altri Stati) a porre in essere ulteriori interventi in materia di crescita, occupazione, sostenibilità delle finanze pubbliche, competitività e coordinamento delle politiche fiscali;
    tali principi sono stati tradotti in corrispondenti cinque regolamenti e una direttiva (cosiddetta six pack). Inoltre, il 23 novembre 2011 la Commissione europea ha presentato due ulteriori proposte di regolamento (two pack) volte al rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri che affrontano o sono minacciati da serie difficoltà per la propria stabilità finanziaria, nonché il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio che assicurino la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri dell'Eurozona. In tale contesto, ha visto luce il «Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria», noto anche come «fiscal compact», firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012, che prevede, tra l'altro, l'introduzione della regola del pareggio di bilancio, oltre ad un meccanismo automatico per l'adozione di misure correttive, qualora necessarie;
    nel più ampio silenzio mediatico che si sia mai registrato (con l'assenza di servizi radiotelevisivi pressoché assoluta e il silenzio della quasi totalità dei giornali), il Parlamento italiano ha ratificato, sul finire del 2012, il cosiddetto fiscal compact, con grande zelo e senza alcun dibattito significativo e con l'opposizione o l'astensione di un gruppo assai sparuto di parlamentari;
    in linea molto generale e prima di entrare nei dettagli del suo contenuto, si può affermare che il meccanismo introdotto dal Trattato significa, per il nostro Paese, la definitiva cancellazione di ogni ipotesi di ruolo pubblico nello sviluppo, con un preciso obbligo al rientro del 50 per cento dell'ammontare complessivo del debito pubblico che eccede il 60 per cento del prodotto interno lordo;
    dal 2013, oltre alle normali manovre di riduzione del deficit di bilancio, al finanziamento del meccanismo europeo di stabilità e di probabili altre misure a salvataggio di altri Paesi della «zona euro», l'Italia è chiamata ad aggiungere la somma impressionante di ulteriori 50 miliardi di euro all'anno;
    il meccanismo del Trattato renderà vincolante questo obbligo, non per un anno, ma per i prossimi venti anni, con il risultato evidente che il futuro di due e più generazioni di italiani è ipotecato e ancorato ad una nuova e permanente dimensione di miseria sociale;
    accanto a questa ratifica, peraltro, con la legge 24 dicembre 2012, n. 243, approvata a maggioranza assoluta dai componenti di ciascuna Camera ai sensi del nuovo sesto comma dell'articolo 81 della Costituzione, sono state dettate le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni;
    la legge citata reca disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio, ai sensi del nuovo sesto comma dell'articolo 81 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, il quale prevede che il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni siano stabiliti da una apposita legge «rinforzata», in quanto deve essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale;
    il capo VII della legge reca l'istituzione dell'organismo indipendente previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera f), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che viene denominato «Ufficio parlamentare di bilancio», avente le funzioni di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio;
    l'ufficio ha una composizione collegiale di tre membri, di cui uno con funzioni di presidente, nominati d'intesa dai Presidenti delle Camere nell'ambito di un elenco di dieci soggetti con competenza a livello sia nazionale che internazionale in materia di economia e finanza pubblica indicati dalle Commissioni bilancio di ciascuna Camera, a maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti; i membri durano in carica 6 anni, salvo che siano revocati per gravi violazioni dei doveri d'ufficio, e non possono essere confermati;
    tutto il complesso legislativo posto in essere con l'approvazione della ratifica del Trattato sul «fiscal compact», unito alle legge costituzionali e ordinarie sopra richiamate, finisce per introdurre vincoli penetranti all'attività del legislatore nazionale;
    occorre, dunque, ripensare il contenuto del Trattato del marzo 2012;
    entrando nel dettaglio del suo contenuto, si osserva che il Trattato è composto da un preambolo e da 16 articoli, suddivisi in un titolo I, relativo all'oggetto e all'ambito di applicazione, in un titolo II, relativo alla coerenza e al rapporto con il diritto dell'Unione europea, in un titolo III, relativo proprio al «fiscal compact»o patto di bilancio, in un titolo IV, relativo al coordinamento delle politiche economiche e convergenza, in un titolo V, relativo alla governance della zona euro, e in un titolo VI, relativo alle disposizioni generali e finali. Il Trattato non è stato sottoscritto dal Regno Unito, come emerso nel Consiglio europeo del 9 dicembre 2011, dalla Repubblica Ceca, che ha negato il suo consenso dal momento dell'approvazione del Trattato, il 30 gennaio 2012, in occasione del Consiglio europeo informale a Bruxelles;
    è da rilevare che, al riguardo, il Parlamento europeo, il 18 gennaio 2012, nell'approvare una risoluzione fortemente critica nei confronti del testo sino allora disponibile, ha espresso perplessità su un siffatto accordo intergovernativo, ritenendo più efficace il quadro del diritto dell'Unione europea e il «metodo comunitario» per realizzare gli stessi obiettivi di disciplina di bilancio e per realizzare una vera unione economica e fiscale. In tale occasione il Parlamento ha richiesto una maggiore valorizzazione del proprio ruolo e di quello dei Parlamenti nazionali in tutti gli aspetti del coordinamento e della governance in ambito economico. Il Parlamento ha, inoltre, richiesto l'impegno a integrare l'accordo nei trattati europei al più tardi entro cinque anni, ha reiterato i propri appelli per un'Unione europea improntata non solo alla stabilità, ma anche alla crescita sostenibile, attraverso misure destinate alla convergenza e competitività, project bond, un'imposta sulle transazioni finanziarie ed ha espresso formalmente la riserva di avvalersi di tutti gli strumenti politici e giuridici per difendere il diritto dell'Unione europea qualora l'accordo definitivo dovesse prevedere elementi incompatibili con il diritto dell'Unione europea;
    il sopra detto monito del Parlamento europeo è rimasto però inascoltato, nonostante la strada intrapresa lasci ormai chiaramente emergere tutta una serie di squilibri in Europa tra i Paesi del Nord, in particolar modo la Germania, che guadagnano in termini di competitività ed eccedenze commerciali, e i Paesi del Sud, travolti da una bolla immobiliare e dall'aumento del debito privato;
    le principali disposizioni del nuovo Trattato, infatti, estendono e radicalizzano i trattati precedenti, in particolare il patto di stabilità e crescita. Nell'articolo 1, il Trattato riprende, infatti, le affermazioni abituali degli organismi europei. Le regole sono «volte a rafforzare il coordinamento delle politiche economiche». Ma vincoli numerici sui debiti e sui deficit pubblici, che non tengono conto delle differenti situazioni economiche, non possono di certo favorire un reale coordinamento di politiche economiche. Allo stesso modo, il Trattato afferma di rafforzare «il pilastro economico dell'Unione europea al fine di realizzare gli obiettivi in materia di crescita duratura, occupazione, competitività e coesione sociale», ma, al di là delle parole, niente di concreto viene previsto per facilitare la realizzazione di tali obiettivi, anzi si favorisce il contrario. Il «fiscal compact» richiede ai Paesi di seguire un sentiero di convergenza rapida verso l'equilibrio di bilancio, definito dalla Commissione europea, senza tener conto della situazione congiunturale;
    i Paesi perdono, dunque, ogni possibile libertà d'azione. Come precauzione supplementare, un meccanismo «automatico» dovrà essere messo in pratica per ridurre il deficit. Se la Commissione europea stabilisce che un Paese ha raggiunto per esempio un «deficit strutturale» pari a tre punti percentuali del prodotto interno lordo, questo dovrà mantenere un «deficit strutturale» limitato al 2 per cento l'anno successivo, amputando in tal modo la domanda (attraverso una riduzione delle spese e un aumento delle imposte) di un punto del prodotto interno lordo, indipendentemente dal livello di disoccupazione;
    certamente, come per il patto di stabilità e crescita, sarebbe comunque possibile prevedere uno scarto temporaneo in caso di circostanze eccezionali, come in caso di un «tasso di crescita negativo o un declino cumulativo della produzione per un periodo prolungato», ma le misure correttive dovrebbero essere sempre pianificate e adottate rapidamente. Quando un Paese ha superato i limiti prescritti ed è soggetto a una procedura per deficit eccessivi, deve presentare un programma di riforme strutturali alla Commissione europea e al Consiglio, i quali dovranno approvarlo e monitorarne l'attuazione;
    oggi, la quasi totalità dei Paesi dell'Unione europea (23 su 27) è soggetta a una procedura per deficit eccessivi. Oltre ai piani di riforma delle pensioni (aumento dell'età pensionabile), si vogliono imporre un abbassamento del salario minimo, minori prestazioni sociali (Irlanda, Grecia, Portogallo), la riduzione delle protezioni contro il licenziamento (Grecia, Spagna, Portogallo), la sospensione della contrattazione collettiva a favore della contrattazione d'impresa, più favorevole ai datori di lavoro (Italia, Spagna e altri) e la deregolamentazione delle professioni chiuse;
    la convinzione è che queste «riforme strutturali» creeranno un nuovo potenziale di crescita economica nel lungo periodo. Tuttavia, niente assicura che sarà così. Ciò che è certo, invece, è che nella situazione attuale queste riforme determineranno un aumento delle disuguaglianze, della precarietà e della disoccupazione;
    in nessun passaggio, purtroppo, l'espressione «riforma strutturale» riguarda l'adozione di misure volte a rompere il dominio dei mercati finanziari, ad aumentare l'imposizione fiscale sui più ricchi e sulle grandi imprese e a organizzare e finanziare la transizione ecologica;
    il risultato di dette strategie è l'annullamento delle politiche fiscali e la rinuncia a politiche economiche con qualsiasi potere discrezionale;
    il Trattato secondo i firmatari del presente atto di indirizzo non ha alcun altro obiettivo se non quello di ostacolare le politiche di bilancio nazionali. Ciascun Paese deve, quindi, adottare misure restrittive: ridurre le pensioni, ridurre le prestazioni sociali e il numero dei funzionari, aumentare le imposte (principalmente l'iva, che pesa sulle famiglie più povere). Non si prende minimamente in considerazione la situazione congiunturale specifica di ciascun Paese, né i bisogni sociali in termini d'investimenti e occupazione, né le politiche degli altri Paesi. Ciò implica che, oggi, tutti i Paesi stanno adottando, di fatto, politiche di austerità, mentre i deficit sono dovuti alla recessione che ha avuto origine con lo scoppio della bolla finanziaria e all'aumento degli squilibri causati dall'errata architettura della zona euro;
    il rischio concreto, oramai tradottosi in realtà, è che le teorie che ispirano il «fiscal compact» propongono, di fatto, di limitare gli interventi anticiclici dello Stato talora ritenuti responsabili dell'inflazione e soprattutto della riduzione della quota dei profitti sul reddito nazionale; si vuole convincere i cittadini a rinunciare definitivamente all'obiettivo di piena occupazione, considerato causa di un aumento dell'inflazione;
    questo genere di politica è teso a sottrarre le politiche economiche dalle mani dei Governi democraticamente eletti, mentre tutto è affidato ad organismi indipendenti composti da esperti e tecnocrati, che non sono responsabili di fronte al popolo e ai cittadini. La politica economica deve essere paralizzata con regole vincolanti. Pertanto, la Banca centrale europea, dichiarata «indipendente», ha il principale obiettivo di mantenere l'inflazione al di sotto del 2 per cento ogni anno. E in futuro la politica di bilancio sarà affidata a commissioni indipendenti, sotto l'egida del patto e della Commissione europea, con il solo obiettivo di garantire il mantenimento dell'equilibrio di bilancio;
    l'instabilità dell'economia renderebbe invece necessaria una politica attiva. Per questo, negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha abbassato praticamente a zero il tasso di interesse e ha comprato massicciamente titoli privati e pubblici, in totale contrasto con tutto il pensiero ortodosso: il deficit pubblico ha superato il 10 per cento del prodotto interno lordo nel periodo tra il 2009 e il 2011 senza sollevare alcun allarme;
    nonostante tutto ciò, gli attuali fini delle autorità europee vengono costantemente ribaditi e concettualmente alimentati attraverso l'imposizione di politiche «automatiche» e soglie che determinano l'applicazione di misure che stanno «affamando» i cittadini comprimendo i consumi,

impegna il Governo:

   ad avviare da subito negoziati in ambito europeo per rivedere l'impostazione del complesso dei vincoli derivanti all'Italia dal Trattato sul «fiscal compact» e dagli altri strumenti giuridici ed economici (a partire dal meccanismo europeo di stabilità) ad esso correlati, in modo da avviare una politica di crescita sostenibile e di ripresa economica e produttiva, in assenza della quale il Paese rischia di piombare in una situazione finanziaria e di bilancio, ma soprattutto in una crisi economica e sociale, di livello insostenibile;
   a sostenere in ogni possibile sede europea e internazionale, anche a livello bilaterale, la necessità di un alleggerimento dei vincoli finanziari e di recupero di politiche di sviluppo e di crescita;
   ad assumere una propria, forte, iniziativa per la revisione della legislazione italiana sulla materia di cui in premessa, con particolare riferimento all'esigenza di rendere meno opachi e più fruibili, anche per i cittadini italiani, i meccanismi introdotti con la legge costituzionale n. 1 del 2012 e con la legge n. 243 del 2012, in questo ambito promuovendo una revisione degli strumenti di controllo affidati al Parlamento dalla predetta legge n. 243 del 2012, anche intervenendo, sempre in via normativa, per una maggiore funzionalità dell'Ufficio parlamentare di bilancio, che dovrà rappresentare un reale strumento democratico a disposizione delle Camere, ai fini dell'esercizio della propria sovranità.
(1-00292)
«Ciprini, Tripiedi, Rizzetto, Rostellato, Cominardi, Baldassarre, Bechis, Chimienti, Cancelleri, Barbanti, Agostinelli, Alberti, Artini, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Catalano, Cecconi, Colletti, Colonnese, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(21 dicembre 2013)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL CONTRASTO ALLA POVERTÀ

   La Camera,
   premesso che:
    in solo sette anni, dal 2005 al 2012, il numero degli italiani che vivono in povertà assoluta è raddoppiato. Nel 2012, anno a cui risalgono gli ultimi dati dell'Istat, le famiglie che versavano in una condizione di povertà assoluta erano un milione e 725 mila (il 6,8 per cento delle famiglie residenti) per un totale di oltre 4,8 milioni di persone (l'8 per cento della popolazione), di questi poco più di 2,3 milioni erano residenti al Sud;
    la perdurante crisi economica ha prodotto l'impoverimento di un'ampia parte della popolazione ma non ne ha impedito la fruizione dei beni e dei servizi essenziali, a differenza di chi non raggiunge «uno standard di vita minimamente accettabile» calcolato dall'Istat e legato a un'alimentazione adeguata, a una situazione abitativa decente e ad altre spese basilari come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti;
    dal 2013, infatti, secondo il Food Security Risk Index (mappa che evidenzia le zone a rischio di tutto il mondo, aggiornata ogni anno dagli esperti della Maplecroft utilizzando i dati sulla sicurezza alimentare forniti dalla Fao), il nostro Paese non è più considerato «a basso rischio fame» ma «a rischio medio» e, a rendere la situazione ancora più instabile, si aggiunge un tasso di inattività tra i 15 e 64 anni pari al 36,6 per cento, dato che si attesta tra i più alti d'Europa;
    si stima che la ripresa potrà ridurre l'attuale percentuale di povertà assoluta ma non di molto, dato che la sua maggiore presenza è un fenomeno strutturale, così come il suo nuovo profilo, non concentrandosi più esclusivamente nel Meridione e tra le famiglie numerose (con almeno tre figli,) anche se queste rimangono le realtà dove risulta maggiormente presente;
    negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un incremento sempre più crescente di tale fenomeno in segmenti della popolazione prima ritenuti immuni: il Nord – dove le persone in povertà assoluta sono aumentate dal 2,5 per cento (2005) al 6,4 per cento (2012) – e le famiglie con due figli (dal 4,7 per cento al 10 per cento);
    a comportare un maggiore rischio di povertà è anzitutto l'allargamento familiare: avere tre figli da crescere significa un rischio di povertà pari al 27,8 per cento e nel Sud questo valore sale al 42,7 per cento. Il passaggio da 3 a 4 componenti espone 4 famiglie su 10 alla possibilità di essere povere. Appartenere a una famiglia composta da 5 o più componenti aumenta il rischio di essere poveri del 135 per cento, rispetto al valore medio dell'Italia. Ogni nuovo figlio, dunque, costituisce per la famiglia, oltre che una speranza di vita, una crescita del rischio di impoverimento;
    è cresciuta anche l'insicurezza delle famiglie italiane di non essere in grado di far fronte a eventi negativi, come, per esempio, un'improvvisa malattia, associata a non autosufficienza, di un familiare, o l'instabilità del rapporto di lavoro, o gli oneri finanziari sempre maggiori;
    la diffusione del precariato fra le giovani generazioni rende questa categoria tra quelle a maggior rischio di povertà, rinviando le possibilità ed il desiderio di una vita in coppia e di procreare, con riflessi negativi sul tasso di natalità;
    per fronteggiare questa situazione, l'impegno dei comuni e delle tante realtà non profit impegnate nel territorio o di conoscenti o di altri, non è sufficiente ed i grandi numeri della povertà di oggi fanno sì che, nella maggior parte dei casi, chi sperimenta questa condizione debba innanzitutto contare sulle proprie forze;
    l'Italia è l'unico Paese dell'Europa a 15, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale a sostegno di chi si trova in questa condizione;
    anche se con differenze, le legislazioni degli altri Paesi membri dell'Unione europea prevedono fondamentalmente un contributo economico per affrontare le spese primarie, accompagnato da servizi alla persona (sociali, educativi, per l'impiego) che servono ad organizzare diversamente la vita di queste persone aiutandole a cercare di uscire dalla povertà;
    si tratta, null'altro, che della messa in opera del patto di cittadinanza tra lo Stato e il cittadino in difficoltà: chi è in povertà assoluta ha diritto al sostegno pubblico e il dovere d'impegnarsi a compiere ogni azione utile a superare tale situazione;
    alcune delle misure messe in atto dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, a partire dalla «social card», non hanno sortito gli effetti desiderati: si è trattato di «provvedimenti tampone» che non hanno intaccato il problema strutturalmente e contrastato adeguatamente i disagi derivanti dalla condizione di povertà assoluta;
    in uno Stato moderno la spesa sociale dovrebbe svolgere una funzione di perequazione delle differenze in termini di dotazione di servizi tra i territori, operando, in particolare, una redistribuzione delle risorse in base ai rischi specifici dei diversi comparti quali la povertà, le condizioni di salute per la sanità, il disagio per l'assistenza sociale e l'investimento in capitale umano per l'istruzione;
    recentemente sono state elaborate alcune iniziative per contrastare questo fenomeno tra le quali si distinguono quella elaborata da un gruppo di lavoro insediato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, presieduto dal Viceministro Guerra, volte all'introduzione di una nuova misura di contrasto alla povertà, il sia (sostegno all'inclusione attiva) e quella elaborata da Acli e Caritas che hanno proposto il reis (reddito di inclusione sociale), fino ad arrivare all'elaborazione del piano nazionale contro la povertà propugnato da Alleanza contro la povertà in Italia, un insieme di soggetti sociali che ha deciso di unirsi per contribuire alla costruzione di adeguate politiche pubbliche contro la povertà assoluta nel nostro Paese;
    il piano nazionale contro la povertà, da avviare nel 2014, conterrebbe le indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento;
    sin dal 2014, la misura consisterebbe nel diritto ad una prestazione monetaria accompagnato dall'erogazione dei servizi necessari ad acquisire nuove competenze e/o organizzare diversamente la propria (servizi per l'impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale per esigenze di cura e altro);
    in via sperimentale si procederebbe al varo di una «nuova social card» (12 grandi comuni), della «carta per l'inclusione sociale» (8 regioni del Sud), oltre dalla carta acquisti tradizionale (quella introdotta nel 2008);
    l'avvio della nuova misura sulla lotta alla povertà assoluta non dovrà considerarsi in alcun modo sostitutiva del necessario rifinanziamento del fondo nazionale per le politiche sociali e del fondo per la non autosufficienza, oggetto peraltro negli anni recenti di tagli radicali;
    evidenziare la necessità del finanziamento statale non significa assolutamente svilire tutto quello che è già stato realizzato nel territorio contro la povertà che, al contrario, dovrà essere valorizzato e confluire nella riforma, mentre dovranno rimanere comunque destinate alla spesa sociale per le famiglie in condizione disagiata le risorse attualmente impiegate nella lotta alla povertà a livello regionale e territoriale;
    allo stesso modo, tutto il patrimonio di esperienze maturate a livello territoriale, da parte di enti locali, terzo settore e organizzazioni sociali, dovrà essere valorizzato nella costruzione della riforma e confluire in essa;
    nel progetto del piano nazionale contro la povertà si prevede che l'apporto finanziario di donatori privati possa svolgere un ruolo di rilievo, con funzione complementare rispetto al necessario finanziamento statale del livello essenziale;
    occorre evitare che la povertà estrema diventi povertà strutturale, coinvolgendo anche le generazioni successive,

impegna il Governo:

   a promuovere adeguate iniziative condivise ed efficaci contro la povertà assoluta nel nostro Paese, considerandole un obiettivo primario della politica del Paese, nella direzione indicata nelle premesse, favorendo il pieno coinvolgimento delle organizzazioni sociali e del terzo settore con le istituzioni interessate, sia nella programmazione che nella progettazione e gestione degli interventi relativi;
   ad individuare adeguate risorse aggiuntive rispetto a quelle previste per il finanziamento dei fondi attualmente esistenti e destinati alla spesa sociale da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali, incoraggiando e facilitando anche l'impegno finanziario di donatori privati;
   sin dalle prossime iniziative normative, ad assicurare il finanziamento del piano nazionale contro la povertà.
(1-00254)
«Gigli, Sereni, Cimmino, Sberna, Dellai, Marazziti, Albanella, Amato, Amoddio, Basso, Bazoli, Beni, Binetti, Biondelli, Borghi, Braga, Bruno Bossio, Buttiglione, Capodicasa, Capone, Carra, Casati, Casellato, Cenni, Colaninno, Cominelli, Coccia, Coscia, Covello, D'Agostino, D'Incecco, De Menech, De Mita, Marco Di Maio, Fauttilli, Gadda, Galperti, Grassi, Iacono, Lodolini, Marguerettaz, Mariani, Molea, Moscatt, Piccoli Nardelli, Fitzgerald Nissoli, Patriarca, Pellegrino, Piepoli, Giuditta Pini, Preziosi, Quartapelle Procopio, Rampi, Realacci, Rigoni, Santerini, Schirò, Senaldi, Terrosi, Vaccaro, Venittelli, Vargiu, Ventricelli, Vezzali, D'Ottavio, Marchi, Montroni, Fiano».
(20 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    vi è assoluta necessità e urgenza di porre mano alla questione del deterioramento delle condizioni economiche di una parte della popolazione in seguito alla crisi;
    i dati resi pubblici da Confcommercio il 4 aprile 2013 evidenziano un crollo dei consumi in misura pari al 3,6 per cento in un anno, che segue la diminuzione già riscontrata tra il 2011 e il 2012;
    come sottolineato anche da Codacons, la diminuzione dei consumi interessa in modo drammatico i consumi alimentari, scesi del 4,7 per cento rispetto al febbraio 2012, proseguendo una tendenza negativa che dura ormai da 5 anni: diminuzione dell'1,8 per cento nel 2007, del 3,3 nel 2008, del 3,1 per cento nel 2009, dello 0,7 nel 2010, dell'1,8 nel 2011 e del 3 per cento nel 2012;
    il deterioramento delle condizioni di vita dei cittadini era stato ben rappresentato dall'Istat, che constata come «nel 2011, il 28,4 per cento delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia Europa 2020» e che: «Rispetto al 2010 l'indicatore cresce di 3,8 punti percentuali a causa dall'aumento della quota di persone a rischio di povertà (dal 18,2 per cento al 19,6 per cento) e di quelle che soffrono di severa deprivazione (dal 6,9 per cento all'11,1 per cento)» (Istat, «Reddito e condizioni di vita», diffuso sul suo sito internet il 10 dicembre 2012);
    i dati resi noti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 5 aprile 2013, desunti dalle comunicazioni obbligatorie circa avviamenti e cessazioni dei rapporti di lavoro, evidenziano come nel 2012 oltre un milione di persone abbia perso il proprio posto di lavoro, dato in costante aumento dal 2009 ad oggi, mentre le attivazioni diminuiscono; il numero degli occupati è sceso, secondo l'Istat, di oltre 700.000 unità dal febbraio 2012 al febbraio 2013;
    questi dati trovano conferma in un aumento del tasso di disoccupazione, che a partire dall'ottobre 2012 si è mantenuto al di sopra dell'11 per cento, aumentando di 1,5 punti percentuali rispetto all'anno precedente;
    un'altra conferma delle condizioni di vita di una parte crescente della popolazione sta nei dati diffusi da molte Caritas diocesane, sull'aumento del numero dei cittadini che richiedono aiuti di prima necessità come i pasti; nel rapporto diffuso nell'ottobre 2012, la Caritas evidenzia come tra le persone che si sono rivolte ai suoi centri nel 2011 vi sia un aumento tra categorie che sino a poco tempo fa non erano interessate in misura così pregnante dal rischio di povertà; aumentano tra il 2009 e il 2011 del 25,1 per cento i cittadini italiani, aumentano del 177,8 per cento le casalinghe, del 65,6 i pensionati e del 52,9 per cento le famiglie con minori conviventi;
    un'indagine Istat diffusa il 12 ottobre 2012 ha realizzato una prima stima delle persone senza fissa dimora, quantificandole in 47.000 unità; di questi, quasi i due terzi hanno un passato di relativa normalità, avendo vissuto in una propria abitazione sino ad un periodo che in media risale a 2 anni e mezzo prima;
    il 5 aprile 2013 una nota Eurispes ha evidenziato come «7 italiani su 10 hanno visto peggiorare la situazione economica personale (per il 40,2 per cento di molto, per il 33,3 per cento in parte), il 60,6 per cento, 3 su 5, è costretto a intaccare i propri risparmi per arrivare alla fine del mese; il 62,8 per cento ha grandi difficoltà ad affrontare la quarta (quando non la terza) settimana» e come questa situazione abbia determinato «un circolo vizioso: indebitamento, insolvenze, vendita dei propri beni e rischio usura»;
    recenti fatti di cronaca hanno evidenziato in modo drammatico la disperazione in cui versano i cittadini che subiscono questi processi di impoverimento;
    gli effetti della crisi si sono verificati in un contesto di progressivo smantellamento delle risposte del welfare locale;
    sul fronte delle risorse nazionali, il fondo nazionale per le politiche sociali trasferito alle regioni (e da queste agli enti gestori) per finanziare gli interventi sociali, che aveva avuto dotazioni anche superiori al miliardo di euro nel 2004, è diminuito dai 656 milioni di euro del 2008 ai 518 milioni di euro del 2009, ai 435 milioni di euro nel 2010, ai 218 milioni di euro nel 2011 e a soli 43 milioni di euro nel 2012, con la previsione, ante legge di stabilità 2013, di soli 44 milioni di euro per il 2013;
    l'aumento del fondo nazionale per le politiche sociali di 300 milioni di euro, determinato dall'articolo 1, comma 271, della legge n. 228 del 2012 («Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2013»), è sicuramente un fatto positivo che segna una controtendenza rispetto ai tagli ininterrotti praticati nell'ultimo quinquennio, ma non è sufficiente a ripristinare una dotazione adeguata, soprattutto vista la drammatica situazione;
    le politiche nazionali di sostegno all'abitazione hanno registrato un deciso ridimensionamento, spesso accompagnato dal disimpegno da parte delle regioni;
    appare inderogabile e urgente l'adozione di misure eccezionali, che abbiano un impatto significativo e sensibile sulle condizioni di vita dei cittadini in situazioni di povertà o a rischio di cadervi;
    il Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Enrico Letta, nella seduta n. 10 di lunedì 29 aprile 2013, presso la Camera dei deputati, durante le comunicazioni del Governo, così interveniva: «Il welfare tradizionale, schiacciato sul maschio adulto e su pensioni e sanità, non basta più, non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le disuguaglianze. Non occorrono isterismi, occorre un cambiamento radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a rialzarsi e a riattivarsi. Per un welfare attivo, più giovane e al femminile andranno migliorati gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire (...). E si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto, per famiglie bisognose con figli»,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative urgenti in materia di povertà, assegnando per il 2013:
    a) ulteriori 300 milioni di euro da destinare ad aumento del fondo nazionale per le politiche sociali, da trasferirsi per il tramite delle regioni agli enti gestori, condizionando l'erogazione all'adozione entro tempi brevi di piani di azione per il contrasto dei fenomeni di povertà e impoverimento, facendo sì che gli interventi siano gestiti localmente in forma integrata con soggetti non profit con consolidata e comprovata esperienza nella raccolta e distribuzione di beni di prima necessità o nell'elargizione di aiuti per soddisfare bisogni primari;
    b) ulteriori 250 milioni di euro per estendere la sperimentazione della nuova social card, il cui avvio è previsto, dal decreto 10 gennaio 2013 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro pochi mesi nelle 12 città con più di 250.000 abitanti, con speciale riguardo ai nuclei familiari poveri con figli minori, in modo da ampliare la platea dei beneficiari e consolidare le caratteristiche di misura universalistica di contrasto alla povertà;
    c) ulteriori 100 milioni di euro da destinare, tramite le regioni, al sostegno della morosità incolpevole, per evitare che i fenomeni di impoverimento determinino la perdita dell'abitazione;
   a dare seguito a quanto comunicato nella seduta del 10 aprile 2013 di cui in premessa, assumendo le iniziative necessarie ad assicurare un reddito minimo garantito così come specificato nella stessa comunicazione del Governo;
   a procedere alla firma del riparto delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali concordato in sede di Conferenza delle regioni e delle province autonome, al fine di rendere queste risorse immediatamente disponibili alle regioni e quindi agli enti gestori;
   ad assumere iniziative per introdurre nella normativa del nostro Paese i livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali, affinché si possa realizzare su tutto il territorio nazionale una rete integrata di servizi;
   ad inserire, nell'ambito del programma nazionale di riforma, in sede di definizione della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, interventi di riforma delle politiche sociali e abitative, con particolare riferimento alle azioni di contrasto della povertà, quali misure di sostegno al reddito e di supporto a percorsi di uscita dalla condizione di indigenza;
   ad assumere iniziative per reperire le risorse necessarie anche attraverso l'incremento delle imposte sul gioco d'azzardo, in particolare sulle scommesse on line, e sulle sigarette elettroniche;
   ad assumere iniziative per potenziare l'utilizzo dello strumento delle deduzioni e delle detrazioni fiscali per le spese relative all'assistenza e al sostegno delle famiglie con componenti minori, persone non autosufficienti e anziani, al fine di facilitare l'accesso ai servizi per le famiglie meno abbienti e con maggior carico di bisogni e allo stesso tempo di ridurre forme di lavoro nero.
(1-00058)
«Bobba, Luigi Cesaro, Scotto, Antimo Cesaro, Binetti, Luciano Agostini, Albanella, Amato, Amoddio, Arlotti, Bargero, Bazoli, Bellanova, Benamati, Beni, Berlinghieri, Bini, Biondelli, Bonaccorsi, Bonifazi, Bonomo, Borghi, Boschi, Bossa, Braga, Capua, Cardinale, Carocci, Carra, Carrescia, Casati, Caruso, Causi, Cimbro, Coppola, Cova, Covello, Cuperlo, Culotta, D'Agostino, D'Incecco, D'Ottavio, Dal Moro, Marco Di Maio, Ermini, Fabbri, Fauttilli, Ferrari, Ferro, Fontanelli, Fregolent, Gasparini, Giacobbe, Giulietti, Gnecchi, Gozi, Giuseppe Guerini, Lorenzo Guerini, Gullo, Tino Iannuzzi, Incerti, Iori, Lenzi, Lodolini, Maestri, Magorno, Malpezzi, Manzi, Marazziti, Mariani, Martella, Martelli, Marzano, Mazzoli, Melilli, Montroni, Mura, Nissoli, Oliverio, Patriarca, Quartapelle Procopio, Rabino, Rampi, Realacci, Ribaudo, Richetti, Rigoni, Rosato, Rubinato, Rughetti, Sanga, Giovanna Sanna, Santerini, Sberna, Sbrollini, Scanu, Senaldi, Simoni, Taricco, Tartaglione, Tidei, Tullo, Valiante, Venittelli, Zanin, Coscia, Morani, Basso, Cenni, Capodicasa, Fossati, Pes, Petitti, Capone, Mattiello, Mariano, Pastorino, Mauro Guerra, Lauricella, Coccia, Moretti, Burtone, Carnevali, Piccione, Argentin».
(28 maggio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    è fin troppo nota la condizione di profonda crisi in cui tuttora versa la società italiana. I dati Istat del 2012 confermano un quadro allarmante in cui 9 milioni e 563.000 persone, pari al 15,8 per cento della popolazione italiana, versano in condizione di povertà relativa, mentre 4 milioni e 814.000 persone, pari al 7,9 per cento della popolazione, si trovano in condizioni di povertà assoluta. Il numero di famiglie in tale, drammatica, situazione sono aumentate, rispetto al 2011, del 33 per cento. Si tratta dell'incremento percentuale più rilevante degli ultimi dieci anni. Sempre stando ai dati del 2012, ben 8,6 milioni di individui fanno parte di nuclei familiari gravemente deprivati, ovvero, famiglie che presentano quattro o più segnali di deprivazione su un elenco di nove, comprendenti, tra l'altro: l'impossibilità di sostenere spese impreviste; non potersi permettere una settimana di ferie l'anno, lontano da casa; avere debiti arretrati per il pagamento di mutui, canoni di locazione e bollette; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni; non poter riscaldare adeguatamente la propria abitazione; non potersi permettere essenziali elettrodomestici di uso comune; non potersi permettere un'automobile;
    l'incremento vertiginoso degli indicatori sulla povertà assoluta – 2 milioni di persone in più a rischio negli ultimi 5 anni – e di quelli sulla povertà relativa, trovano riscontro nell'aumento dell'indebitamento medio delle famiglie italiane, passato nell'arco temporale 2003-2011, secondo i dati della Banca d'Italia, dal 30,8 per cento al 53,2 per cento del reddito disponibile lordo. Le famiglie si indebitano sempre di più, basti pensare che nei soli primi mesi del 2012 le famiglie indebitate sono passate dal 2,3 per cento al 6,5 per cento e che, secondo l'indagine di Confcommercio e Censis, Outlook Italia 2013, 4,2 milioni di famiglie (il 17 per cento del totale) non riescono a coprire tutte le spese mensili;
    più in dettaglio, gli ultimi rilevamenti dell'Istituto nazionale di statistica (Istat) restituiscono ancora una volta un'immagine drammatica:
     a) nel 2012, il 12,7 per cento delle famiglie è relativamente povero (per un totale di 3 milioni 232 mila) e il 6,8 per cento lo è in termini assoluti (1 milione 725 mila). Le persone in povertà relativa sono il 15,8 per cento della popolazione (9 milioni 563 mila), quelle in povertà assoluta l'8 per cento (4 milioni 814 mila);
     b) tra il 2011 e il 2012 aumenta sia l'incidenza di povertà relativa (dall'11,1 per cento al 12,7 per cento) sia quella di povertà assoluta (dal 5,2 per cento al 6,8 per cento), in tutte e tre le ripartizioni territoriali;
     c) la soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è pari a 990,88 euro, circa 20 euro in meno di quella del 2011 (-2 per cento);
     d) l'incidenza di povertà assoluta aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7 per cento al 6,6 per cento), quattro (dal 5,2 per cento all'8,3 per cento) e cinque o più componenti (dal 12,3 per cento al 17,2 per cento); tra le famiglie composte da coppie con tre o più figli, quelle in povertà assoluta passano dal 10,4 per cento al 16,2 per cento; se si tratta di tre figli minori, dal 10,9 per cento si raggiunge il 17,1 per cento;
     e) aumenti della povertà assoluta vengono registrati anche nelle famiglie di monogenitori (dal 5,8 per cento al 9,1 per cento) e in quelle con membri aggregati (dal 10,4 per cento al 13,3 per cento);
     f) oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5 per cento al 9,4 per cento) e di lavoratori in proprio (dal 4,2 per cento al 6 per cento), la povertà assoluta aumenta tra gli impiegati e i dirigenti (dall'1,3 per cento al 2,6 per cento) e tra le famiglie dove i redditi da lavoro si associano a redditi da pensione (dal 3,6 per cento al 5,3 per cento);
     g) la crescita dell'incidenza di povertà assoluta è tuttavia più marcata per le famiglie con a capo una persona non occupata: dall'8,4 per cento è salita all'11,3 per cento se in condizione non professionale, dal 15,5 per cento al 23,6 per cento se in cerca di occupazione;
     h) le dinamiche della povertà relativa confermano molti dei peggioramenti osservati per la povertà assoluta: famiglie con uno o due figli, soprattutto se minori (dal 13,5 per cento al 15,7 per cento quelle con un minore, dal 16,2 per cento al 20,1 per cento quelle con due); famiglie con tutti i componenti occupati (dal 4,1 per cento al 5,1 per cento), con occupati e ritirati dal lavoro (dal 9,3 per cento all'11,5 per cento), con persona di riferimento dirigente o impiegato (dal 4,4 per cento al 6,5 per cento, particolarmente marcata tra gli impiegati), ma soprattutto in cerca di occupazione (dal 27,8 per cento al 35,6 per cento);
     i) l'aumento di fenomeni di pauperizzazione ha colpito soprattutto i giovani e le regioni meridionali: il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio dell'Italia meridionale e insulare, con una percentuale di famiglie povere più che doppia rispetto alla media nazionale. Nel Mezzogiorno, le famiglie in povertà relativa sono il 23,3 per cento di quelle residenti (contro il 4,9 del Nord e il 6,4 del Centro) e quelle in povertà assoluta ne rappresentano l'8 per cento (contro il 3,7 per cento e il 4,1 per cento rispettivamente). Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in Sicilia (27,3 per cento) e Calabria (26,2 per cento) dove sono povere oltre un quarto delle famiglie. All'opposto, nel resto del Paese si registrano incidenze di povertà relativa decisamente più contenute: la provincia di Trento mostra l'incidenza più bassa (3,4 per cento), seguita da Lombardia (4,2 per cento), Valle d'Aosta e Veneto (4,3 per cento). Nel Mezzogiorno, inoltre, alla più ampia diffusione della povertà si associa anche una maggiore gravità del fenomeno: le famiglie povere sono di più e hanno livelli di spesa mediamente molto più bassi di quelli delle famiglie povere del Centro-Nord. L'intensità della povertà relativa è, infatti, pari al 22,3 per cento (contro il 18,2 per cento del Nord e il 20 per cento del Centro) e quella di povertà assoluta al 18,8 per cento (contro rispettivamente il 16,4 per cento e il 18,4 per cento);
    come riporta la relazione al Parlamento dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, presentata il 13 maggio 2013, il dato che più di altri aiuta ad individuare il fallimento delle politiche sinora adottate è quello relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni: esso è pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale. Settanta su cento minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno d'Italia rischiano di essere poveri;
    le peggiori condizioni di privazione ricadono, peraltro, sui figli degli immigrati, sui bambini delle famiglie giovani o i bambini con un solo genitore, spesso la madre, che, per il tasso di impiego delle donne molto più basso della media europea, non riesce a mantenere il bambino;
    già nella relazione dell'anno precedente l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza aveva sollevato la problematica relativa all'impatto negativo della mancanza di investimenti, da parte dello Stato, a favore dell'infanzia e dell'adolescenza;
    al forte ridimensionamento dell'intervento pubblico per quanto concerne le politiche sociali, si aggiunge la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale;
    i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista delle politiche sociali di contrasto alla povertà e della qualità dei relativi servizi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    i dati relativi al tasso di disoccupazione nel nostro Paese mostrano un quadro di assoluta gravità che continua a peggiorare. Si tratta di una vera e propria emorragia di posti di lavoro, che colpisce gli under 30, ma non di meno tutte le altre fasce di età. Quello che più turba è l'enorme crescita di quanti si dicono «scoraggiati», che hanno smesso di cercare lavoro perché ritengono di non trovarlo. La disoccupazione continua a crescere anche nell'ambito del lavoro precario, a riprova del fatto che la scelta di favorire contratti non a tempo indeterminato ha poco o scarso impatto sul problema occupazionale, mentre priva i lavoratori di molti diritti fondamentali;
    sono 2,8 milioni i lavoratori precari; la disoccupazione è prossima ormai alla soglia inaudita del 12,2 per cento, con punte che sfiorano il 40 per cento tra i più giovani; tra i disoccupati solo uno su quattro riesce a trovare un lavoro, sempre più spesso precario, entro un anno;
    se la disoccupazione giovanile è oltre il 40 per cento, il resto dei giovani è per la maggior parte precario e senza diritti. Tali numeri mettono a rischio la tenuta del sistema Paese. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
    i furti dei generi di prima necessità nei supermercati sono aumentati del 7,8 per cento (dato tratto dal «Barometro dei furti nella vendita al dettaglio» a cura del Centre for Retail Research, ottobre 2011);
    la questione abitativa, aggravata dal costante aumento del numero di famiglie ed individui che, a causa della perdita del lavoro e della drastica contrazione del reddito, scendono al di sotto della soglia di povertà, sta assumendo i caratteri di una vera e propria emergenza nazionale. Si stimano in oltre 430.000 le famiglie in difficoltà per il costo dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state ben 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi 4 anni) di cui l'87 per cento per morosità. Una situazione di vero allarme che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane e per le regioni dell'Italia settentrionale, ove, per l'incidenza della crisi economica, le percentuali di sfratti per morosità incolpevole arrivano a superare il 90 per cento e riguardano spesso anche le locazioni di alloggi popolari;
    da quanto si desume dai dati menzionati, sempre più persone – in una composizione sociale mutata comprendente interi nuclei familiari e tutti quei soggetti che rientrano nella definizione di «nuove povertà» – hanno perso, o rischiano seriamente di perdere, la propria abitazione, incrementando il già considerevole e drammatico numero di utenti bisognosi di accoglienza;
    in Italia, i dati relativi alle sentenze di sfratto emesse, diffusi dal Ministero dell'interno, dicono che nel solo 2012 le sentenze di sfratto sono state circa 68 mila e gli sfratti per morosità incolpevole sono stati oltre 60 mila;
    la crisi economica da almeno cinque anni si sta facendo sentire anche nel settore delle locazioni e produce precarietà abitativa, riduzione dei redditi e disagio sociale che spesso sfociano in questioni di ordine pubblico;
    secondo un'indagine realizzata dalla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, nel 2012 si stimavano in oltre 50.000 le persone senza fissa dimora, con la concreta possibilità che il numero reale si potesse attestare anche nel doppio, rasentando quasi lo 0,2 per cento della popolazione italiana. Le grandi città rispecchiano compiutamente tale tragico contesto: nella città di Milano si contavano oltre 4.000 adulti privi di una casa, nella città di Torino circa 1.300 persone si sono rivolte alle case di prima accoglienza notturna gestite dal comune e 1.500 persone hanno usufruito di interventi e prestazioni presso l'ambulatorio sociosanitario per persone senza fissa dimora. A Napoli, Bologna e Firenze è stata calcolata la presenza stabile di almeno 2.000 homeless, mentre nella capitale vivrebbero circa 8.000 persone senza fissa dimora, di cui ben 5.500 in strada e 2.500 ospitati nei centri di accoglienza notturni del comune e delle associazioni di volontariato;
    nel quadro delle politiche sociali, in Italia, il tema delle persone senza dimora e del grave disagio abitativo è sempre stato ai margini, in posizione analoga allo spazio occupato da queste persone e dai servizi che se ne occupano all'interno del contesto sociale. Questa dimensione di marginalità e separazione, sia nel quadro sociale, sia in quello politico e legislativo, ha impedito, da sempre, lo sviluppo di azioni programmatiche e di interventi che possono essere qualificati come «buone prassi» diffuse a livello nazionale;
    l'assenza di politiche nazionali strutturate e concrete per affrontare il problema di chi perde la propria abitazione o rimane senza fissa dimora sul territorio italiano sta lasciando sempre più in balia dell'emergenza i comuni;
    sebbene siano auspicabili nuove politiche sociali, capaci di non limitarsi a prevedere esclusivamente trasferimenti monetari verso le persone maggiormente in difficoltà, in un Paese fortemente diseguale come il l'Italia – secondo nei livelli di disparità nella distribuzione dei redditi solo al Regno Unito nell'Unione europea e con livelli di disparità superiori alla media dei Paesi Ocse – appare necessario prevedere stanziamenti adeguati finalizzati a garantire un alloggio a tutte quelle persone che ne sono prive;
    l'articolo 6, comma 5, della legge n. 124 del 2013, ha istituito un fondo nazionale per la morosità incolpevole e ha disposto che i comuni programmino azioni di accompagnamento sociale per il passaggio da casa a casa per sfrattati e ha disposto anche che i prefetti graduino gli sfratti sulla base delle attività di accompagnamento predisposte dai comuni. Resta da emanare il decreto attuativo di quanto disposto dall'articolo 6, comma 5, della legge n. 124 del 2013, in materia di ripartizione delle risorse del fondo contro la morosità incolpevole alle regioni e la definizione della morosità incolpevole valida per quelle regioni e comuni che ad oggi non hanno ancora proceduto alla definizione;
    le politiche messe in atto dagli ultimi Governi ruotano sostanzialmente intorno alla cosiddetta social card di impronta marcatamente assistenzialista e che ha dato scarsissimi risultati pratici;
    mercoledì 18 settembre 2013 è stata presentata a Roma la relazione finale: «Proposte per nuove misure di contrasto alla povertà», elaborata dal gruppo di studio appositamente istituito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali interrogato il 13 giugno 2013. Obiettivo della relazione è quello di descrivere una nuova misura nazionale di contrasto alla povertà assoluta e all'esclusione sociale, il «sostegno per l'inclusione attiva (sia)», che ancora non esiste nel sistema italiano e che dovrebbe rappresentare l'evoluzione naturale delle sperimentazioni già avviate con la carta acquisti;
    nonostante già dal 2008 la Commissione europea abbia emanato una raccomandazione a tutti i Paesi per l'adozione di una strategia d'inclusione attiva, articolata sui tre pilastri del sostegno economico, di mercati del lavoro inclusivi e di servizi personalizzati, e, in particolare, nonostante l'Italia sia stata anche oggetto di una raccomandazione specifica nell'ambito della Strategia Europa 2020, nella quale sia la Commissione europea che il Consiglio europeo hanno chiesto maggiori sforzi nella lotta alla povertà, pur nel contesto di rigore tuttora richiesto al nostro Paese, l'Italia è l'unico grande Paese europeo a non avere ancora una misura di questo tipo;
    secondo la relazione illustrativa, il sostegno per l'inclusione attiva si caratterizzerà: per l'universalità (non è cioè destinato solo ad alcune categorie, come l'assegno sociale o la pensione di invalidità civile, ma a tutti i poveri); per l'erogazione non solo di una semplice elargizione monetaria, ma per il collegamento di questa ad un percorso di inclusione e attivazione dei componenti del nucleo familiare; per la sua disponibilità a tutti i residenti legalmente in Italia da almeno due anni;
    l'Italia è uno dei pochissimi Paesi europei privi di un meccanismo di questo tipo, la cui assenza si è fatta fortemente sentire nel corso della crisi al punto tale che si hanno 5 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta. L'obiettivo del «sostegno per l'inclusione attiva (sia)» sarebbe dunque quello di permettere a tali soggetti l'acquisto di un paniere di beni e servizi ritenuto decoroso. Non si tratterebbe quindi di un reddito di cittadinanza rivolto a tutti indistintamente, ma di un sostegno rivolto ai poveri, identificati come tali da una prova dei mezzi. Al sostegno monetario si prevede di associare un progetto di attivazione e inclusione sociale;
    nella legge di stabilità 2014 è stata estesa la platea dei possibili beneficiari la sperimentazione della cosiddetta carta acquisti, o come ora viene anche chiamata: «Sostegno di inclusione attiva (SIA)» per il contrasto alla povertà, in primo luogo, ai familiari di cittadini italiani o comunitari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. I destinatari sono principalmente le famiglie povere con minori in cui uno degli adulti ha perso il lavoro negli ultimi tre anni. Si prevede, inoltre, una sorta di presa in carico della famiglia, selezionata dai comuni, in seguito a bandi, che poi verificano se i bimbi sono andati a scuola e dal medico, se il papà o la mamma hanno frequentato i corsi di formazione o fatto domanda di impiego ed altro;
    secondo Maria Cecilia Guerra, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali, la norma consentirà di allargare la platea a 400 mila poveri nel 2014, ovvero 160-170 mila in più del previsto: solo per un minoranza del tutto minima;
    dando vita all'Alleanza contro la povertà in Italia, un insieme molto rappresentativo di soggetti sociali, sindacali, del terzo settore, istituzionali (Acli, Anci, Action Aid, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil-Cisl-Uil, Cnca, Comunità di S. Egidio, Confcooperative, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano Onlus, Fio-PSD, Fondazione Banco Alimentare, Forum Nazionale del Terzo Settore, Lega delle Autonomie, Movimento dei Focolari, Save the Children, Jesuit Social Network) intende promuovere adeguate politiche contro la povertà assoluta, per far fronte al dilagare di questo grave fenomeno, che riguarda ormai l'8 per cento della popolazione;
    in un documento comune i soggetti che aderiscono all'Alleanza contro la povertà in Italia chiedono al Governo di avviare un piano nazionale contro la povertà, di durata pluriennale;
    questo piano, secondo l'Alleanza contro la povertà in Italia, «dovrebbe contenere le indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento»;
    l'avvio sin dal 2014 del piano nazionale contro la povertà richiederà investimenti, sviluppo di competenze e programmazione: gli enti locali, il terzo settore e le organizzazioni sociali impegnati nel territorio potranno realizzarla solo se riceveranno adeguata risorse economiche;
    il 21 ottobre 2010 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul «reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa», con una maggioranza di 540 voti a favore e 30 contrari;
    tale risoluzione, in modo ancora più netto rispetto ad una precedente sullo stesso tema del 2008, sancisce in modo pieno il riconoscimento di un diritto dei cittadini dell'Unione europea e delle persone che vi risiedano stabilmente ad un reddito che ne salvaguardi la dignità sociale;
    in attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Carta di Nizza, il reddito minimo viene definito come un diritto sociale fondamentale, destinato a fungere da strumento di protezione della dignità della persona e della sua «possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale e politica»;
    il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
    la piena partecipazione alla vita sociale è richiesta come obiettivo di garanzia della Repubblica italiana, dall'articolo 3 della Costituzione, e è stata richiamata dalla Corte costituzionale tedesca nella sentenza del 9 febbraio 2010, in materia di reddito minino;
    schemi di tutela del reddito sono presenti nella maggior parte dei Paesi europei: infatti, gli Stati membri dell'Unione europea hanno previsto nei loro rispettivi sistemi di protezione sociale un reddito base come fondamento del sistema stesso di integrazione e contrasto alla povertà. Attualmente, tra i ventisette Paesi dell'Unione europea la mancanza di un reddito base è una circostanza riscontrabile solo in Italia, Grecia ed Ungheria;
    la disoccupazione, in particolare quella giovanile, in Italia e in Europa ha raggiunto livelli non più sostenibili e tali da mettere a rischio la tenuta del sistema Paese nel futuro. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
    tale situazione non consente a molti giovani di studiare, di fare ricerca, di progettare e realizzarsi nella vita, di creare una famiglia e di mettere al mondo dei figli; li costringe a continuare a dipendere dalle famiglie di origine, anche quando le famiglie sono già, esse stesse, nell'impossibilità di continuare a sostenerli; gli impedisce di concorrere allo sviluppo sociale ed economico dell'Italia, incidendo sulla loro dignità sociale; li discrimina, oggi per il futuro, quando non avranno diritto ad una pensione che possa garantire loro un'esistenza libera e dignitosa;
    il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
    il reddito minimo è anche uno strumento che tutela la cultura e la dignità del lavoro, perché aiuta ad impedire che lavoratrici e lavoratori siano costretti ad accettare un lavoro purchessia;
    nel corso del 2012, in Italia, è stata avviata una campagna per un reddito minimo garantito, per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare, che ha visto il coinvolgimento di molte associazioni della società civile;
    tre proposte di legge d'iniziativa parlamentare di deputati appartenenti ai gruppi di Sinistra Ecologia Libertà, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, propongono l'istituzione anche nel nostro Paese di un reddito minimo garantito, sia pure con formulazioni parzialmente diverse,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per introdurre il reddito minimo garantito, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, con particolare riferimento alle situazioni di disagio sociale descritte in premessa;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse per le politiche sociali, per l'infanzia e l'adolescenza e per fornire adeguate risorse ai comuni per gli interventi di sostegno alle famiglie ed ai singoli in difficoltà;
   ad assumere iniziative per prevedere interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema;
   nelle more degli adempimenti previsti dall'articolo 6, comma 5, della legge n. 124 del 2013 e per dare modo alle regioni e ai comuni di procedere alla programmazione e alle attività necessarie per affrontare la questione degli sfratti in maniera strutturale e basata sul passaggio da casa a casa, nonché per dare modo al Governo stesso di avviare i provvedimenti già illustrati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ad assumere iniziative per procedere alla proroga degli sfratti, compresi quelli per morosità incolpevole, per tutto l'anno 2014;
   a prevedere, con apposito provvedimento, un piano nazionale per la messa in atto di interventi di alloggiamento a favore di persone senza fissa dimora che preveda chiaramente che, in ogni contesto territoriale nel quale siano presenti delle persone senza dimora, sia affrontato e programmato un intervento a favore di queste persone che comprenda servizi di accoglienza di primo livello, a bassa soglia di accesso, e servizi alloggiativi di secondo livello, capaci di dare risposte che possano trasformarsi in interventi stabili e duraturi nel tempo;
   a prendere le opportune iniziative per:
    a) il recupero di decine di migliaia di case popolari oggi inutilizzate;
    b) sostenere gli affitti agevolati con una ulteriore riduzione della cedolare secca;
    c) un aumento delle risorse a favore del Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione (cosiddetto fondo affitti).
(1-00295)
«Di Salvo, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Migliore, Airaudo, Placido».
(10 gennaio 2014)