TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 123 di Giovedì 21 novembre 2013

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI FEDERALISMO FISCALE

   La Camera,
   premesso che:
    la gravità dell'attuale condizione economica e sociale impone di proseguire con determinazione l'azione di riequilibrio dei conti pubblici, accompagnandola con il perseguimento dell'equità e della crescita dell'economia nazionale che deve diventare, non solo sulla carta o negli annunci televisivi, la priorità dell'azione del Governo e del Parlamento;
    con le manovre economiche adottate con decreto-legge tra il luglio e il dicembre 2011 (decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011; decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011; decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011) si è intervenuti con tagli alle risorse di regioni ed enti locali, con inasprimenti del patto di stabilità interno e con modifiche strutturali all'assetto tributario, in particolare dei comuni, che hanno prodotto un aumento della pressione fiscale e un'ulteriore riduzione della spesa per investimenti, invece che una riduzione della spesa corrente e l'adozione di modelli più efficienti di produzione dei servizi locali;
    gli enti locali e territoriali, a causa dei tagli ai trasferimenti statali di competenza, si trovano ad operare con equilibri di bilancio sempre più precari, tanto che talvolta non riescono neanche più a coprire le funzioni fondamentali se non attraverso un aumento della pressione fiscale sia per le spese indistinte che per quelle a domanda individuale, come le rette degli asili o i costi delle mense e in particolare per quelle relative alla raccolta dei rifiuti;
    tutto ciò avviene a danno delle fasce più deboli della popolazione, che a causa della crisi economica devono affrontare disoccupazione, cassa integrazione e diminuzione dei salari e della qualità del lavoro; la crisi occupazionale si è trasformata in crisi sociale alla quale occorre rispondere mediante un aumento degli aiuti dei servizi sociali comunali con conseguente aumento della spesa per gli enti locali;
    l'approccio al risanamento dei conti pubblici che è stato attuato ha comportato un inasprimento senza precedenti della pressione fiscale, per cui è urgente avviare una sistematica attività di revisione della spesa pubblica (spending review), destinando prioritariamente le risorse ricavate, insieme a quelle derivanti dal contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, alla riduzione della pressione fiscale, in particolare sui redditi da lavoro e da impresa, ridefinendo, nell'ambito della riforma fiscale, un nuovo patto tra fisco e contribuenti;
    in questo contesto, profondamente cambiato rispetto al momento in cui la riforma in tema di federalismo fiscale fu approvata, acquista ancor più importanza la piena e completa attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione»; la responsabilità e l'autonomia dei governi locali e regionali in campo fiscale risultano ora ancora più fondamentali per attivare il circuito di controllo dei cittadini sulle prestazioni delle amministrazioni e per renderle, di conseguenza, più efficienti e più capaci anche di ridurre la spesa e gli sprechi;
    è indispensabile, ad esempio, superare rapidamente, attraverso l'approvazione della Carta delle autonomie locali, la separazione finora operata tra il federalismo fiscale e il processo di riallocazione e riorganizzazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo, il quale, di per sé, potrebbe consentire una riduzione della spesa corrente e una conseguente riduzione della tassazione a livello sub statale;
    il meccanismo dei costi e dei fabbisogni standard per regioni ed enti locali, relativo ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali, rappresenta il modo per effettuare un'efficace spending review nel sistema delle autonomie territoriali e, come tale, può e deve procedere se possibile accelerando le scadenze previste, estendendone, comunque, principi e strumenti attuativi anche all'apparato centrale dello Stato, vero centro di spesa pubblica;
    vista l'urgenza imposta dalla crisi, si rende necessaria un'accelerazione nell'attuazione della legge delega attraverso il suo completamento entro la fine della legislatura XVII, nei termini espressi anche dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Delrio, che, più volte, ha ribadito che è necessario far ripartire il federalismo basato sui principi della perequazione e della responsabilità, in quanto il centralismo ha fallito e non ha risolto i problemi, come, invece, appare ineludibile un nuovo patto con le autonomie locali;
    è necessario, pertanto, adottare velocemente tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili, consentendo così l'avvio della transizione verso il nuovo assetto in tutti i suoi aspetti, che sono complementari tra di loro e non possono essere affrontati in modo separato;
    si tratta di colmare i vuoti ancora esistenti rispetto alla legge delega, di verificare lo stato di attuazione degli atti amministrativi previsti dai decreti legislativi già approvati e di coordinare con appositi decreti legislativi le nuove norme legislative che sono nel frattempo entrate in vigore, come quelle relative all'assetto tributario dei comuni, con i meccanismi previsti dalla legge delega e dai relativi decreti legislativi,

impegna il Governo:

   a dare piena e completa attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili e prevedendo, in particolar modo, interventi diretti ad eliminare l'applicazione dell'imposta municipale unica sulla prima abitazione e a garantire che il gettito derivante dall'applicazione dell'imposta stessa sulle seconde abitazioni rimanga interamente in capo ai comuni, nonché introducendo, a favore dei comuni stessi, la compartecipazione all'imposta sul reddito delle persone fisiche;
   a garantire agli enti locali le risorse del 2012 e che non siano questi a dover sopportare la mancata adozione dell'Imu sulla prima casa;
   a garantire che la nuova service tax sia una vera tassa federale, meno onerosa della somma di imu e tares, creando così un'imposta leggera e più equa con aliquote modulabili da parte degli amministratori con l'obiettivo di creare un sistema fiscale federale;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché l'attività della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dall'articolo 5 della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, sia efficace ed incisiva, considerato che la citata Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento, alla verifica periodica del nuovo ordinamento finanziario, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema, e che è prevista l'istituzione di una banca dati condivisa, la quale risulta indispensabile per avviare efficacemente le nuove relazioni finanziarie tra i diversi livelli di governo;
   a verificare prioritariamente l'attuazione della procedura per l'individuazione dei costi e fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e dall'articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, e ad adottare, nel termine ineludibile di tre mesi dall'approvazione del presente atto di indirizzo, tutti gli atti conseguenti e necessari ai fini della loro compiuta determinazione, unico modo per avviare una vera ed efficace spending review delle amministrazioni statali, specie in campo sanitario, visti i dati contrastanti dei bilanci sanitari tra le diverse regioni relativamente ai costi per le forniture;
   nel percorso di completamento dell'attuazione del federalismo fiscale, ad agire con la massima urgenza per rendere operativo il criterio dei costi standard relativi al servizio sanitario e dei fabbisogni standard per comuni e province, affinché sia consentito agli enti territoriali di contenere le addizionali regionali e locali, inducendo tutti gli amministratori alla massima responsabilizzazione;
   a coordinare il tema della finanza locale, con le modifiche ordinamentali già contenute nell'articolo 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e con quelle in corso di approvazione nell'ambito della Carta delle autonomie locali e della riforma costituzionale, con particolare riguardo alla forma di Governo, alla previsione del Senato federale, alla riduzione del numero dei membri delle Camere, all'eliminazione degli enti intermedi inutili e, in generale, alla revisione della parte seconda della Carta costituzionale;
   per quanto riguarda la riforma organica delle istituzioni di governo di area vasta, introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, a riconsiderare l'impatto che il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalle province avrà sui bilanci e sull'organizzazione di regioni e comuni, già gravati dalle difficili condizioni di sostenibilità del loro patto di stabilità, posto che le nuove norme ingenerano confusione nel sistema delle autonomie e conseguenze pesanti per lo sviluppo dei territori, producendo notevoli costi aggiuntivi per lo Stato e per la pubblica amministrazione;
   ad adottare con gli strumenti di programmazione finanziaria tutti i provvedimenti per il coordinamento dinamico della finanza pubblica previsti dalla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009 e dai decreti legislativi approvati, a partire dal percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p) della Costituzione (articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68) e dall'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali (articolo 18 della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009);
   ad assumere iniziative per eliminare da subito tutte le norme che bloccano oggi l'autonomia dei comuni e che non hanno effetti sui saldi di finanza pubblica e, in generale, a rivedere le regole del patto di stabilità interno, introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2011, in materia di meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni;
   a pianificare una riforma strutturale e stabile nel tempo del patto di stabilità interno e che preveda l'equilibrio di bilancio come unico vincolo, l'esclusione dal computo delle spese senza debito e con risorse autonome per favorire gli enti virtuosi e l'adozione, anche tra più regioni, del patto di stabilità integrato al fine di migliorare il coordinamento della finanza territoriale;
   a completare il processo di riforma federalista superando definitivamente il sistema di finanza derivata in ragione di una piena autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali, senza aumentare la pressione fiscale complessiva, garantendo certezza di risorse e promuovendo lo sviluppo economico locale anche attraverso l'implementazione di nuovi ed appositi strumenti in grado di supportare le amministrazioni locali nel processo di acquisto dei beni e dei servizi al fine di attuare efficienti revisioni di spesa;
   a verificare il motivo della mancata emanazione dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri che completano il percorso del federalismo demaniale previsto dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, relativo all'attribuzione alle autonomie territoriali di un proprio patrimonio, alla luce della priorità che va assegnata ad una decisa azione di riduzione del debito pubblico;
   a cambiare l'approccio allo strumento dell'addizionale irpef da parte di regioni e comuni, oggi troppo spesso usata forzatamente per compensare carenze di bilancio, laddove dovrebbe invece costituire uno strumento attraverso il quale gli enti locali e territoriali costruiscono in autonomia un sistema di detrazioni atte a favorire e sostenere le categorie sociali più deboli o meritevoli di tutela;
   ad assumere iniziative per ripristinare il dettato del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), con particolare riferimento alla compartecipazione regionale all'iva, le cui modalità di attribuzione siano stabilite in conformità con il principio di territorialità;
   ad assumere iniziative per abrogare l'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» (cosiddetto decreto sulle liberalizzazioni), in quanto interviene, secondo i firmatari del presente atto, in contrasto con l'articolo 119 della Costituzione, accentrando la gestione delle tesorerie di regioni ed enti locali e riportando in vigore le norme degli anni Ottanta precedenti all'innovazione costituzionale citata;
   a verificare lo stato di attuazione di tutti i decreti legislativi approvati, comprensivi degli atti amministrativi previsti, al fine di definire un percorso per la loro reale definitiva entrata in vigore.
(1-00201)
«Guidesi, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Marguerettaz».
(4 ottobre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    nella XVI legislatura, al termine di un ampio confronto tra Governo, Parlamento, regioni ed enti locali, è stata approvata la legge 5 maggio 2009, n. 42, (delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), con la quale si è dato avvio ad un processo di ridefinizione degli assetti e delle potestà fiscali tra amministrazione centrale ed autonomie territoriali, al fine di dare attuazione al principio dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali sancito nel Titolo V della Costituzione;
    in attuazione della citata legge delega, nel corso della XVI legislatura, sono stati emanati nove decreti legislativi che hanno realizzato la gran parte del progetto normativo delineato dalla legge n. 42 del 2009, senza che, tuttavia, possa al momento ritenersi completato il nuovo assetto del federalismo fiscale;
    al centro dell'intervento riformatore vi è il passaggio dai trasferimenti fondati sulla spesa storica a quello basato sull'individuazione dei fabbisogni standard al fine di garantire sull'intero Paese il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali;
    alcuni aspetti fondamentali per la costruzione del nuovo assetto non sono ancora definiti, anche a causa dell'oggettiva complessità tecnica delle tematiche e degli innumerevoli interessi da regolare e a causa di un assetto normativo che ha subito svariate modificazioni producendo un quadro mutevole e, al momento, ancora non a regime;
    in campo sanitario, il 7 novembre 2013, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha deliberato di procedere da subito all'introduzione dei costi standard nella sanità, in modo sperimentale per il 2013 e in via definitiva a partire dal 2014, superando le divergenze dei mesi scorsi. Le regioni si sono anche dette pronte ad individuare le regioni di riferimento per l'applicazione dei costi standard, indispensabili per aprire una nuova fase nella sanità regionale in ragione della quale non si potranno disperdere risorse;
    è innegabile che sulla piena attuazione del federalismo fiscale abbia inciso negativamente l'aggravarsi della situazione economica e sociale che ha imposto drastici interventi di riequilibrio dei conti pubblici, con la necessità di reperire ingenti risorse e di realizzare risparmi di spesa, che hanno comportato un considerevole inasprimento della pressione fiscale;
    va, tuttavia, rilevato che il federalismo fiscale, se attuato coerentemente, costituisce di per sé un imponente processo di razionalizzazione della spesa e di una parte importante del sistema fiscale. In particolare, il passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard è la vera spending rewiew per il comparto degli enti territoriali (dove si colloca oltre un terzo della spesa pubblica italiana); è un intervento strutturale che modifica, nel lungo periodo, il sistema istituzionale, con un impatto su grandi temi quali: i comportamenti, la responsabilità, la trasparenza, la democraticità e il controllo elettorale. I costi e i fabbisogni standard permettono il risultato epocale del superamento dell'irrazionalità del finanziamento in base alla spesa storica;
    nella relazione finale del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica in tema di federalismo fiscale si legge: «La riforma della finanza locale e regionale avviata con la legge 42/2009 sul federalismo fiscale e con i successivi decreti legislativi è stata frenata dalla crisi economico-finanziaria. Il processo di consolidamento dei conti pubblici ha investito la finanza decentrata. In particolare la riduzione delle risorse riconosciute a Regioni e Comuni e i nuovi vincoli loro imposti hanno costretto gli enti locali a riduzioni di spesa, soprattutto di investimento, e a un aumento della pressione fiscale in un quadro di progressiva ricentralizzazione della finanza pubblica. La crisi potrebbe costituire, invece, una ragione per esaltare le ragioni del federalismo fiscale. Questa riforma, infatti, rafforza la responsabilità delle autonomie territoriali nella gestione dei propri bilanci a partire da una ripartizione delle risorse pubbliche tra tutti i livelli di governo e tra enti decentrati ispirata a criteri di equità e di efficienza. La riforma non va lasciata nel limbo; va invece ripresa come componente essenziale delle politiche per il rilancio del Paese»;
    il Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, nel corso dell'intervento programmatico tenuto il 29 aprile 2013 alla Camera dei deputati, affermò: «Semplificazione e sussidiarietà debbono guidarci al fine di promuovere l'efficienza di tutti i livelli amministrativi e di ridurre i costi di funzionamento dello Stato. Questo non significa perseguire una politica di tagli indifferenziati, ma, al contrario, valorizzare comuni e regioni per rafforzare le loro responsabilità, in un'ottica di alleanza tra il Governo, i territori e le autonomie ordinarie e speciali. Bisogna altresì chiudere rapidamente la partita del federalismo fiscale rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia, salvaguardando la centralità dei territori delle regioni e valorizzando le autonomie speciali»;
    i due processi riformatori avviati, quello del federalismo fiscale e quello istituzionale, pur seguendo ognuno con i propri tempi, devono, tuttavia, procedere lungo binari paralleli: non è possibile spingere sul federalismo fiscale se, contestualmente, non si vara la Carta delle autonomie locali. Così come non si possono applicare i principi di autonomia e responsabilità quando vi è ancora incertezza sulle funzioni che gli enti locali dovranno svolgere;
    l'approvazione della Carta delle autonomie locali consentirà di superare la separazione finora operata tra il federalismo fiscale e il processo di riallocazione e riorganizzazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo, nonché di revisione della struttura organizzativa a più livelli di governo della Repubblica e di riduzione dei centri di spesa, il quale, di per sé, potrebbe consentire una riduzione della spesa corrente e, di conseguenza, della tassazione a livello substatale;
    la responsabilità e l'autonomia dei governi locali e regionali in campo fiscale, che sono tra i principi ispiratori della legge delega, risulterebbero utili per attivare il circuito di controllo dei cittadini sulle prestazioni delle amministrazioni e per renderle, di conseguenza, più efficienti e più capaci anche di ridurre la spesa e gli sprechi, secondo il concetto cardine del federalismo «vedo-pago-voto»;
    il meccanismo dei costi e dei fabbisogni standard per regioni ed enti locali, relativo ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali, può rappresentare un modo efficace per effettuare la spending review nel sistema delle autonomie territoriali, attraverso la determinazione di parametri che tengano conto di comportamenti di spesa virtuosi;
    il coordinamento dinamico della finanza pubblica e la collaborazione tra i vari livelli di governo della Repubblica, al fine di distribuire in modo equo il carico del necessario riequilibrio finanziario e anche di contenere la pressione tributaria, sono essenziali soprattutto in un momento di crisi come l'attuale;
    la perequazione verso i territori con minore capacità fiscale per abitante che la Costituzione affida allo Stato, al fine di garantire coesione e solidarietà tra aree forti e aree deboli del Paese, è uno dei pilastri della legge n. 42 del 2009. È perciò indispensabile dare priorità al tema della perequazione nel successivo percorso di attuazione del federalismo fiscale, per evitare che la funzione statale di riequilibrio venga progressivamente del tutto meno. Bisogna, peraltro, tenere conto che in assenza di un previo adeguamento del sistema finanziario e fiscale delle regioni a statuto speciale ai principi e alle regole dell'articolo 119 della Costituzione e alle relative leggi di attuazione, non sarà possibile attuare un equilibrato sistema a livello nazionale;
    è viva l'esigenza di pervenire alla definizione di un quadro normativo certo e stabile nei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo, atteso che i ripetuti interventi legislativi, anche a breve distanza di tempo, operati prevalentemente mediante la decretazione d'urgenza, hanno determinato situazioni di precarietà ed incertezza;
    risulta, quindi, necessario adottare i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili, consentendo l'avvio della transizione verso il nuovo assetto in tutti i suoi aspetti, che sono complementari tra loro e non possono essere affrontati in modo separato;
    si tratta di colmare i vuoti ancora esistenti rispetto alla legge delega, di verificare lo stato di attuazione degli atti amministrativi previsti dai decreti legislativi già approvati e di coordinare con appositi decreti legislativi le nuove norme che sono nel frattempo entrate in vigore, come quelle relative all'assetto tributario dei comuni, con i meccanismi previsti dalla legge delega e dai relativi decreti legislativi,

impegna il Governo:

   a dare piena e completa attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili e approvando tempestivamente tutti gli atti amministrativi previsti, in modo da garantire l'effettiva operatività del sistema di federalismo fiscale;
   a valorizzare, nelle more di una riforma costituzionale che ridisegni l'impalcatura dello Stato, introducendo un Senato federale o delle autonomie, e della piena attuazione della legge delega sul federalismo fiscale, il ruolo della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, la cui prima riunione si è tenuta il 10 ottobre 2013, posto che tale organo, che vede al suo interno Ministri e rappresentanti politici degli enti territoriali con competenze specifiche, può diventare un valido strumento per rendere partecipi gli enti territoriali delle scelte, anche difficili, che il nostro Paese è tenuto ad adottare;
   a rendere pienamente operativi i criteri dei costi standard e dei fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio, adottando tutti gli atti necessari all'avvio di un'efficace revisione della spesa delle amministrazioni regionali e locali, specie in campo sanitario, considerato che l'operatività del criterio dei costi standard relativi al servizio sanitario e dei fabbisogni standard per i comuni e le province dovrebbe, altresì, consentire agli enti territoriali di contenere la pressione fiscale derivante dalle imposte di propria competenza, in particolare dalle addizionali, e indurre gli amministratori alla massima responsabilizzazione;
   ad assumere iniziative per rivedere in materia di meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, le regole del patto di stabilità interno, che non dovrà più essere sottoposto a continue variazioni e dovrà porre alle autonomie territoriali gli stessi vincoli complessivi a livello di singoli comparti che valgono per il bilancio dello Stato, agevolando l'esercizio dell'autonomia locale e lo sviluppo della spesa per investimenti;
   a completare il sistema di armonizzazione dei bilanci e della contabilità di regioni ed enti locali, tenuto conto che tale processo inciderà, modernizzandoli, sui bilanci degli enti stessi, accrescendone il livello di trasparenza e di ordine;
   a coordinare il tema della finanza locale con le modifiche già contenute nell'articolo 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e con quelle in corso di approvazione nell'ambito della Carta delle autonomie locali e della riforma costituzionale;
   ad assumere iniziative per riconsiderare la disciplina in materia di tesoreria unica, introdotta dall'articolo 35 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per verificare i reali effetti sui bilanci comunali, valutando la possibilità di diverse forme di compensazione delle eventuali minori disponibilità per i comuni;
   ad adottare i provvedimenti per il coordinamento dinamico della finanza pubblica previsti dalla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009 e dai decreti legislativi approvati, con particolare riferimento al percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione (articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68) e alla determinazione dell'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali.
(1-00235) «Palese, Giammanco, Costa».
(11 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la finanza regionale e locale è stata caratterizzata, nel corso di questi ultimi anni, da un importante processo di riforma diretto a dare attuazione al principio dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali sancito nel Titolo V della Costituzione;
    il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie, incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale, è stato individuato dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, di attuazione del federalismo fiscale, e dai successivi decreti legislativi approvati nel corso della XVI Legislatura;
    il processo, tuttavia, è ancora lontano dall'essere compiuto: rimangono, infatti, indeterminati degli elementi essenziali per la ridefinizione degli assetti e delle potestà fiscali tra amministrazione centrale ed autonomie territoriali, come l'individuazione, con legge, dei livelli essenziali delle prestazioni nei settori diversi dalla sanità;
    la legislazione delegata, inoltre, non ha risolto alcune delle questioni normative poste dalla legge delega, ovvero presenta problemi di coordinamento sia tra i vari decreti (quali quello sul fisco municipale e sulla fiscalità regionale), sia tra i decreti e la legislazione generale in vigore nella materia (ad esempio, per il federalismo demaniale e per gli interventi speciali);
    i provvedimenti attuativi, ancora, prevedevano il rinvio a numerosi altri decreti e regolamenti, anche relativamente ad elementi cruciali per la funzionalità del nuovo assetto, che, in molti casi, non sono stati adottati;
    infine, l'intensificarsi dell'emergenza finanziaria ha fatto sì che, sul quadro definito dalla legge delega e dai relativi provvedimenti di attuazione, intervenissero con leggi ordinarie rilevanti modifiche, le quali, senza cambiare l'impianto complessivo, hanno dato luogo a un quadro normativo mutevole e, al momento, ancora non a regime, come dimostra la vicenda relativa alla tassazione immobiliare, che, ad oggi, non ha trovato una definitiva soluzione;
    in sostanza, la riforma del federalismo fiscale presenta un bilancio non soddisfacente sul piano della realizzazione: il 2013 sarebbe dovuto essere l'anno della completa attuazione normativa della riforma mentre, allo stato, nessun decreto correttivo e integrativo è stato emanato; mancano ancora 70 tra decreti ministeriali, regolamenti e convenzioni; i tagli delle risorse e la legislazione emergenziale del biennio 2011-2012 hanno drasticamente ridimensionato la consistenza finanziaria di alcuni dei meccanismi del federalismo e sono intervenuti direttamente e ripetutamente su alcune delle componenti fondamentali della riforma;
    solo nell'ottobre 2013, con un ritardo di due anni, è stata insediata la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, pensata come sede istituzionale di confronto tra Stato e autonomie territoriali per tutte le questioni finanziarie, quali il riparto delle manovre di aggiustamento, la verifica dei risultati raggiunti, il funzionamento della perequazione e la premialità;
    pesa sull'interruzione del processo anche il mancato insediamento, ad oggi, della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale;
    è in corso di esame alla Camera dei deputati una proposta di revisione dell'assetto istituzionale di comuni, province e città metropolitane e delle relative funzioni amministrative, che rende ancora più urgente una stabilizzazione del quadro normativo dei rapporti tra lo Stato e gli enti territoriali;
    l'attuale contesto economico-finanziario dovrebbe esaltare, e non indebolire, le ragioni del federalismo fiscale, ossia il rafforzamento della responsabilità delle autonomie territoriali nella gestione dei propri bilanci, a partire da una ripartizione delle risorse pubbliche tra livelli di governo e tra enti decentrati ispirata a criteri di equità;
    un più ordinato e razionale ridisegno delle relazioni finanziarie intergovernative costituisce il prerequisito per un governo della finanza pubblica coerente con gli obiettivi della disciplina fiscale e del sostegno alla crescita economica,

impegna il Governo:

   a dare piena e completa attuazione alla legge 5 maggio 2009, n. 42, adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive utili e approvando, in modo tempestivo, tutti gli atti amministrativi previsti, in modo da garantire l'effettiva operatività del sistema di federalismo fiscale;
   a completare il processo di determinazione dei fabbisogni standard comunali, ad individuare i livelli essenziali delle prestazioni nei settori regionali che ne sono ancora privi, in particolare l'assistenza, e a definire le capacità fiscali standard a livello comunale e regionale;
   ad adottare iniziative per definire i sistemi perequativi regionali e comunali;
   ad adottare i provvedimenti per il coordinamento dinamico della finanza pubblica previsti dalla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009 e dai decreti legislativi approvati, con particolare riferimento al percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione e alla determinazione dell'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali;
   a dare effettiva operatività alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica integrandola nel processo di bilancio, per dare contenuto concreto al processo di co-decisione multilivello della finanza pubblica e per introdurre quelle innovazioni istituzionali e procedurali che permettano l'effettiva considerazione degli obiettivi di servizio, dei livelli essenziali delle prestazioni e dei percorsi di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard;
   ad adottare iniziative per prevedere una riforma del patto di stabilità interno maggiormente rispettoso dell'autonomia locale, funzionale alla crescita economica e coerente con il quadro delle regole di disciplina fiscale disegnato dalla legge 24 dicembre 2012, n. 243;
   a coordinare la facoltà di introdurre addizionali all'irpef da parte di regioni e comuni, in particolare modo per quanto riguarda la struttura delle addizionali per scaglioni e aliquote, nonché la facoltà di introdurre detrazioni, con l'obiettivo, da un lato, di non pregiudicare l'autonomia finanziaria di regioni e comuni e, dall'altro, di semplificare gli adempimenti da parte dei sostituti d'imposta, nonché di riportare le addizionali a funzioni allocative, riducendone l'impatto sulla progressività del sistema tributario, anche in relazione a quanto previsto dal disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale;
   a realizzare il sistema di finanziamento della spesa in conto capitale degli enti territoriali, in particolare per quanto riguarda la perequazione infrastrutturale, così da rispondere alla forte sperequazione delle dotazioni infrastrutturali tra le diverse aree del Paese;
   ad accelerare l'attuazione dei principi del federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome, assegnando priorità al completamento degli accordi in fase di discussione ai tavoli di confronto istituiti presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, in base all'articolo 27 della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009.
(1-00236)
«Causi, Marchi, Martella, Lorenzo Guerini, Misiani, Bargero, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Colaninno, De Maria, De Menech, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gutgeld, Lodolini, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Rostan, Rughetti, Giovanni Sanga, Gebhard».
(11 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la legge delega 5 maggio 2009, n. 42, ha avviato un percorso di ridefinizione dell'assetto dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, volto a completare, nell'arco di un quinquennio, il processo di valorizzazione del sistema delle autonomie territoriali, l'abbandono del sistema di finanza derivata ed il superamento del criterio della spesa storica in favore dei costi standard per il finanziamento delle funzioni fondamentali di regioni ed enti locali, anche al fine di realizzare un modello finanziario improntato al principio di responsabilità dei singoli livelli istituzionali e ad una maggiore autonomia di entrata e di spesa, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale;
    l'approvazione della sopra citata delega, che risponde a un più ampio e coerente disegno evolutivo in senso autonomistico e federalistico dell'ordinamento della Repubblica, rappresenta un momento istituzionale di grande rilevo nel processo di riforma iniziato nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione e l'occasione storica per una razionalizzazione del sistema finanziario pubblico, in cui il federalismo fiscale è considerato un fattore di responsabilizzazione delle amministrazioni;
    il nuovo sistema di ripartizione delle risorse verso gli enti territoriali che ne deriva è basato su principi che dovranno regolare l'assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e predispone gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica, ma anche sull'individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire, sull'intero territorio nazionale, il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali;
    molti ravvisano che le criticità che gli amministratori locali stanno vivendo in questa fase di transizione al federalismo siano da ricondurre alla mancata e contestuale approvazione della cosiddetta Carta delle autonomie locali, la sola in grado di dare la risposta necessaria per realizzare quel federalismo istituzionale che definisca le competenze e le funzioni dei diversi livelli istituzionali ed evitare in futuro sprechi e sovrapposizioni;
    infatti, il mancato avvio del parallelismo tra federalismo fiscale e federalismo istituzionale ha creato in alcuni casi una situazione ingestibile. L'entrata in vigore anticipata dell'imu ne ha costituito un esempio, rispondendo a logiche solo marginalmente legate alla finanza dei comuni, quali gli obiettivi generali di risanamento del bilancio statale e quelli di ridistribuzione del carico fiscale, imponendo anzi agli stessi comuni vincoli di bilancio più stringenti e minori risorse a fronte di una maggior pressione fiscale gravante sulla collettività locale, e prevedendo, inoltre, una sorta di «coabitazione» con lo Stato sul medesimo cespite, regole di gestione complicate e influenza su una buona parte del fondo di riequilibrio, il tutto lasciando, peraltro, in ombra temi prioritari, come la scelta dello schema di perequazione da adottare e delle modalità con le quali utilizzare i fabbisogni standard;
    il sopra citato avvio anticipato della norma ha impresso una notevole modificazione all'impianto dell'intera imposizione municipale, così come delineata dal decreto sul federalismo municipale, stabilendo la riserva allo Stato di una quota del tributo locale mirata non solo a far riappropriare l'erario dell'intero gettito dell'Irpef sui redditi fondiari dei beni non locati, ma anche ad incrementarne l'entità rispetto alla situazione preesistente, mantenendo tutte le principali leve di comando del tributo;
    le imposte sulla proprietà immobiliare costituiscono il perno della fiscalità locale nella maggiore parte dei Paesi europei, poiché esiste un evidente collegamento fra la base imponibile (dettata dal valore dell'abitazione) e l'attività svolta dall'ente che riscuote il gettito. Inoltre, la possibilità per il contribuente di commisurare l'onere fiscale al beneficio ricevuto in termini di servizi pubblici locali rappresenta un importante incentivo a scelte di bilancio responsabili da parte degli enti e solamente grazie al rapporto diretto del contribuente con il proprio territorio e con la propria amministrazione è possibile attuare un fisco più oggettivo per tutti, marginalizzando le aree di evasione e di elusione;
    quanto premesso dimostra che, negli ultimi anni, in controtendenza rispetto al progetto federalista, complice soprattutto la crisi economica che ha imposto a tutte le istituzioni di farsi carico dell'equilibrio dei conti pubblici e del rilancio della crescita del Paese, si è registrato un incessante deterioramento delle relazioni tra Stato centrale ed istituzioni territoriali, anche a causa di politiche di austerity, che, attraverso la decretazione d'urgenza, hanno imposto tagli alle loro risorse, amplificato lo spazio d'intervento e l'ingerenza dello Stato, affossando, nei fatti, il federalismo fiscale delineato nell'articolo 119 della Costituzione e, più in generale, tradendo il più ampio progetto federalistico ispiratore della riforma del Titolo V della Costituzione;
    le sopra citate politiche hanno prodotto un «evitamento» degli enti territoriali ed una crisi istituzionale che rischia di mettere in discussione i modelli di autonomia e favorisce un progressivo e pericoloso accentramento, affidato, peraltro, quasi esclusivamente al controllo finanziario attraverso la riduzione della spesa, atteggiamento questo che, invece di premiare il comportamento autonomo e responsabile, accentua l'ingessatura dei meccanismi burocratici e pretende di governare il pluralismo sociale ed economico del Paese con norme centralistiche, imposte dall'alto;
    l'incessante logica dei tagli statali ai trasferimenti locali ha fortemente penalizzato e compromesso l'intero assetto delle autonomie locali che non riescono, a fronte di esigue risorse, a rispondere, con l'erogazione dei servizi essenziali di propria competenza, alle istanze ed ai bisogni sempre più complessi dei cittadini; pertanto, qualsiasi processo di riordino istituzionale, seppure necessario, rischia di essere fallimentare se costruito in un'ottica di ulteriore riduzione delle risorse a disposizione dei soggetti istituzionali periferici;
    le manovre economiche approvate dai governi Berlusconi e Monti hanno determinato, anche grazie alla centralizzazione delle risorse, peraltro aggravata dalle norme sulla tesoreria unica, effetti devastanti sul sistema finanziario delle autonomie locali, che solo per le province, ad esempio, hanno determinato, nel solo biennio 2011/2012, una riduzione di risorse strutturali per 915 milioni di euro, nonché di obiettivi del patto di stabilità interno per 1,5 miliardi di euro;
    a dispetto del vero federalismo e del principio di sussidiarietà, oggi le autonomie locali sono diventate una sorta di presidi democratici svuotati di poteri che contrastano da soli e senza adeguate risorse gli effetti della crisi e dei tagli operati dalle sopra citate manovre economiche. Infatti, il combinato disposto dei tagli alle entrate e delle regole del patto di stabilità interno ha prodotto effetti perversi e irragionevoli, come l'impossibilità a svolgere alcun ruolo a sostegno dello sviluppo locale, ad accompagnare i processi sociali e di mutamento che si producono nelle realtà locali e ad assicurare la continuità e la qualità dei servizi erogati alla cittadinanza;
    la stessa Carta costituzionale prefigura un federalismo fiscale di alto profilo, autonomistico ma nel contempo solidale, che garantisce la perequazione delle diverse capacità fiscali dei territori e prevede fondi speciali per le aree in situazioni di particolare disagio socio-economico;
    il superamento del sistema di finanziamento delle funzioni e delle competenze comunali, basato sulla finanza derivata, sia statale che regionale, è il principale obiettivo del processo di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, che prevede l'attribuzione ad ogni istituzione, «senza vincolo di destinazione», di risorse sufficienti a «finanziare integralmente le funzioni assegnate»;
    i Governi che si sono avvicendati all'indomani del varo della legge n. 42 del 2009, nell'attuare la relativa delega legislativa si sono discostasti dal solco tracciato loro dal Parlamento, disattendendo in tal modo le aspettative di quanti, credendo nello spirito riformatore della legge, guardano oggi ad essa come ad un'occasione mancata;
    il federalismo rischia di rivelarsi una gigantesca soluzione pasticciata, buona per tutti i gusti, dove tutti si riconoscono per quota a seconda di ciò che sono riusciti ad ottenere; un modello confuso di federalismo in parte «competitivo» (sul terreno del rapporto tra pressione fiscale e qualità dei servizi offerti), in parte «solidale e cooperativo» per far fronte ai divari persistenti in termini di reddito, servizi e infrastrutture e per garantire a tutti i territori uguali punti di partenza;
    dalla lettura dei decreti attuativi fino ad oggi varati dal Governo, emerge che il passaggio dalla finanza derivata alla finanza decentrata non sembra venire contestualmente supportato da una precisa ed attenta definizione delle cosiddette funzioni essenziali finanziabili. La stessa legge delega sul federalismo fiscale, infatti, sconta tale anomalia mal definendo i contorni del finanziamento delle funzioni degli enti locali, contorni, peraltro, non ben delineati neanche dal decreto di attuazione sul finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane;
    fino ad oggi non si è voluto affrontare, come auspicato, né il tema delle diseguaglianze sociali né di quelle territoriali, queste ultime superabili solo grazie all'avvio di una reale perequazione infrastrutturale, versante, quest'ultimo, sul quale occorre agire se si vuole evitare che il federalismo diventi un'asticella che obbliga gli enti territoriali meno virtuosi a mettere tasse per raggiungere la soglia minima degli standard e dei servizi;
    è, inoltre, indispensabile rivedere il sistema fiscale definendo quale rapporto debba sussistere tra funzioni attribuite e risorse economiche necessarie al loro esercizio e prevedendo forme di autonomia impositiva per i diversi livelli che non ricadano, come oggi, soprattutto, sui redditi dei contribuenti;
    pur in presenza di un corpus normativo che ha sostanzialmente affrontato pressoché tutti gli aspetti indicati nella legge delega sul federalismo fiscale, essendo stati emanati circa nove decreti, il percorso attuativo del federalismo fiscale non può ritenersi completato, in quanto l'implementazione della nuova disciplina risulta particolarmente complessa come nel caso della mancata individuazione dei fabbisogni standard che, unita all'ancora non intervenuta definizione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni, nei settori diversi dalla sanità, ove peraltro la vigente disciplina è risalente al 2001, rende fortemente incompiuto il nuovo assetto federalista;
    un altro rilevante tema concerne, infine, la mancata attuazione del meccanismo di coordinamento finanziario dinamico della finanza pubblica posto dal «patto di convergenza», di cui all'articolo 18 della legge n. 42 del 2009, che prefigura un complesso disegno concertativo multilivello tra Stato ed autonomie territoriali;
    la concreta realizzazione della finanza decentrata ha presentato in alcuni casi problemi tecnici di oggettiva complessità, che in molti casi hanno reso necessario, come nel caso dei fabbisogni standard, del funzionamento dei fondi perequativi per gli enti locali o dell'armonizzazione dei sistemi contabili la previsione di lunghi periodi transitori e di fasi di sperimentazione prima dell'entrata a regime;
    nella riformulazione dei parametri di virtuosità ai fini del patto di stabilità, la legge di stabilità per il 2013 prevede che, a partire dal 2014, si dovrà dare prioritaria considerazione alla convergenza tra spesa storica e fabbisogni standard;
    ad oltre dieci anni oramai dall'approvazione del nuovo Titolo V della Costituzione, è necessaria una riflessione sull'assetto della Repubblica che coniughi unità e decentramento istituzionale, in cui i differenti livelli di governo operino in sinergia e non in contrapposizione, nella definizione di un punto di equilibrio che può e deve essere raggiunto anche attraverso un'adeguata individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale;
    l'attuazione del Titolo V della Costituzione, tuttavia, potrà svilupparsi compiutamente se, contestualmente al processo di attuazione del federalismo fiscale avviato dalla legge n. 42 del 2009, si procederà, con altrettanta coerenza e ampio confronto, all'attuazione degli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione, garantendo la necessaria armonia tra i due provvedimenti e tra questi e quelli ad essi collegati, riguardanti, in particolare, la legge di contabilità e finanza pubblica e l'attuazione della legge di ottimizzazione del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni;
    c’è necessità, innanzitutto, di garantire una forte governance complessiva al processo di attuazione del federalismo che coinvolga in modo paritario e leale le regioni e gli enti locali; di contro, senza una chiara sede di regia unitaria è forte il rischio di incagliare definitivamente la riforma del Titolo V della Costituzione;
    la questione cruciale è che il tema dell'autonomia non può essere declassato a semplice problema di risorse: l'attuazione del titolo V della Costituzione, avviato dalla recente legge sul federalismo fiscale, esige che si proceda tramite un ampio dibattito parlamentare e un confronto con gli enti locali che si coniughi con il dettato costituzionale di cui all'articolo 5 che recita: «La Repubblica, una e indivisibile, che riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento»,

impegna il Governo:

   nell'ambito di una razionalizzazione e riorganizzazione dell'assetto istituzionale del territorio e della distribuzione delle funzioni tra i diversi livelli di governo attraverso la compiuta riforma del Titolo V della Costituzione, ad ultimare il processo di riforma federalista, valorizzando le autonomie locali come istituzioni pubbliche in grado di garantire i diritti fondamentali dei cittadini, capaci di porsi come motore di sviluppo delle economie locali, salvaguardando e rilanciando il loro valore di prossimità territoriale rispetto alle domande espresse dalle comunità locali, anche in chiave di sussidiarietà;
   a respingere qualsiasi tentazione di arretramento rispetto al decentramento responsabile e partecipato delle scelte politiche da parte dei territori, garantendo loro non solo l'individuazione funzionale delle modalità di erogazione dei servizi, ma anche il controllo sociale sul modo di organizzarne e gestirne la spesa;
   a promuovere una revisione del sistema fiscale definendo, per gli enti locali, quale rapporto debba sussistere tra funzioni attribuite e risorse economiche necessarie al loro esercizio, prevedendo forme di autonomia impositiva per i diversi livelli, le cui storture non ricadano, come avviene oggi, sui redditi dei contribuenti;
   a ricondurre l'imposizione fiscale sugli immobili alla natura di tassazione municipale avente come finalità il finanziamento dei servizi comunali strettamente connessi al territorio su cui insistono i beni immobili che costituiscono la sua base imponibile;
   ad assumere le opportune iniziative anche normative, al fine di chiarire che l'intero ammontare del gettito in astratto riconducibile agli immobili di proprietà dei comuni e siti nei loro territori non concorre alla compensazione delle risorse comunali attraverso il fondo di riequilibrio di cui all'articolo 13, comma 17, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
   nell'ambito della definizione dei livelli minimi e la conseguente definizione dei costi standard, a perseguire l'obiettivo complessivo di non penalizzare più attraverso il ricorso ai tagli lineari le esperienze degli enti virtuosi, ma a fare di queste esperienze punti di riferimento da diffondere anche nelle realtà meno concorrenziali sul versante dei costi e della qualità dei servizi.
(1-00237)
«Paglia, Lavagno, Ragosta, Pilozzi, Kronbichler, Marcon, Melilla, Boccadutri, Di Salvo, Piazzoni».
(11 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il processo di decentramento legislativo e amministrativo avviato sin dalla fine degli anni Novanta non si è tradotto affatto in un parallelo trasferimento di entrate e spesa dalla potestà e disponibilità delle amministrazioni centrali dello Stato a quelle periferiche (regioni ed enti locali), con effetti positivi in termini di razionalizzazione e riduzione tanto della spesa quanto della pressione fiscale, bensì si è tradotto, prima, nella stratificazione di una crescente disponibilità di spesa delle amministrazioni periferiche su quella già elevata delle amministrazioni centrali, e, successivamente, nella speculare stratificazione di una crescente potestà impositiva delle amministrazioni periferiche su quella già elevata delle amministrazioni centrali, con effetti negativi di esplosione tanto della spesa pubblica complessiva quanto della pressione fiscale complessivamente esercitata dai diversi livelli di governo statali e territoriali sui cittadini e sulle imprese;
    tre sono tra le principali ragioni di questo vero e proprio auto-goal, che tanto danno ha recato al Paese, contribuendo in misura determinante all'esplosione della spesa pubblica che si è registrata in particolare modo negli anni dal 2001 al 2006 e alla conseguente esplosione della pressione fiscale dal 2006 in avanti, quando sono cominciate, con intensità crescente di pari passo con l'aggravarsi del contesto di crisi, le inevitabili politiche restrittive di riequilibrio dei conti pubblici culminate, all'apice delle difficoltà e delle turbolenze finanziarie, con le manovre varate nella seconda metà del 2011 dal Governo Berlusconi prima e dal Governo Monti poi;
    una prima ragione va individuata in un'infelice ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni e, in particolare modo, nell'enumerazione eccessivamente ampia delle materie di competenza concorrente, il cui radicale sfoltimento si palesa come uno dei presupposti imprescindibili per consentire che i processi di decentramento si traducano realmente in avvicinamenti dei livelli di governo ai cittadini, con possibili ricadute positive in termini di razionalizzazione e riduzione della spesa e della pressione fiscale su di essi esercitata, invece che in duplicazione di costi burocratici e, quindi, in stratificazioni di nuova spesa su spesa, con conseguente stratificazione di tasse su tasse quando il riequilibrio dei conti diviene condizione imprescindibile e non più rinviabile;
    una seconda ragione, che trova in parte le proprie premesse nella prima, va individuata nel fatto che le riforme degli anni Novanta (la cosiddetta riforma «Bassanini») e del 2001 (riforma del Titolo V della Costituzione) hanno sensibilmente decentrato la spesa, ma non hanno fatto altrettanto in termini di decentramento del personale pubblico e delle risorse finanziarie;
    una terza ragione, che trova in parte le proprie premesse nella seconda, va individuata nella persistente asimmetria quantitativa tra volumi di spesa sviluppati dai singoli livelli di governo statale e territoriale e potestà impositiva da essi direttamente esercitata sul cittadino, con quel che ne consegue in termini di opacità per quest'ultimo delle dinamiche finanziarie interne al bilancio dello Stato e sostanziale deresponsabilizzazione dei decisori politici per le scelte di competenza di ciascuno: ancora oggi, il 40 per cento delle entrate di regioni ed enti locali è rappresentato da trasferimenti invece che da entrate proprie;
    con la riforma del 2009 (legge n. 42 del 2009) si è inteso creare i presupposti per potere correggere queste storture e dare forma a un federalismo fiscale capace di stimolare un'effettiva responsabilità a livello locale, attraverso l'esercizio dell'autonomia fiscale, l'imposizione di una piena trasparenza nell'assegnazione delle risorse a ciascun ente locale e l'abbandono graduale del circolo vizioso della spesa storica;
    a tutt'oggi, e nonostante l'avvenuta emanazione di numerosi decreti attuativi, la trama complessiva della legge delega n. 42 del 2009 per l'attuazione del federalismo fiscale è ancora lungi dall'essere attuata nel suo complesso, mentre si avvicina anche il termine del 21 novembre 2014, entro cui è prevista la possibilità di emanare decreti legislativi integrativi e correttivi;
    in particolare, il passaggio dai criteri fondati sulla spesa storica ai concetti di costo e fabbisogno standard appare fondamentale, ai fini di un'apprezzabile riduzione quantitativa della spesa pubblica e, conseguentemente, della pressione fiscale, secondo logiche però qualitative e di efficienza, in contrapposizione alle logiche di tagli lineari, presenti soprattutto per quanto riguarda i trasferimenti agli enti locali, idonei a creare talvolta inefficienze addirittura maggiori dei risparmi che generano;
    è necessario, pertanto, adottare velocemente tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili, consentendo così l'avvio della transizione verso il nuovo assetto in tutti i suoi aspetti che sono complementari tra di loro e non possono essere affrontati in modo separato, tenendo anche conto che la crisi dei conti pubblici, esplosa in tutta la sua evidenza nella seconda metà del 2011, ha portato all'adozione di una serie di misure emergenziali, finalizzate al loro riequilibro, che hanno pesantemente inciso sui bilanci di regioni ed enti locali, con tagli nelle disponibilità di spesa e interventi di natura tributaria non pienamente allineati agli obiettivi di fondo della riforma disegnata dalla legge n. 42 del 2009,

impegna il Governo:

   a dare piena e completa attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili;
   ad assumere iniziative per dare vita quanto prima ad una vera service tax federale, il cui gettito sia per intero destinato ai comuni e alla perequazione tra i medesimi e che non sia una mera sommatoria, ridenominazione o scomposizione per parti delle attuali imu e tares;
   a verificare prioritariamente l'attuazione della procedura per l'individuazione dei costi e dei fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio, valutando anche l'opportunità di stabilire un principio di flessibilità per tipologia di prestazione e diversità territoriale, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e dall'articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, ed adottare, nel termine ineludibile di tre mesi dall'approvazione del presente atto di indirizzo, tutti gli atti conseguenti e necessari ai fini della loro compiuta determinazione;
   nel percorso di completamento dell'attuazione del federalismo fiscale, ad agire con la massima urgenza per rendere operativo il criterio dei costi standard relativi al servizio sanitario e dei fabbisogni standard per comuni e province, affinché sia consentito agli enti territoriali di contenere le addizionali regionali e locali, inducendo tutti gli amministratori alla massima responsabilizzazione;
   a coordinare il tema della finanza locale con le modifiche ordinamentali già contenute nell'articolo 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e con quelle in corso di approvazione nell'ambito della Carta delle autonomie locali e della riforma costituzionale, con particolare riguardo alla forma di Governo, alla previsione del Senato federale, alla riduzione del numero dei membri delle Camere, all'eliminazione degli enti intermedi inutili e, in generale, alla revisione della parte seconda della Carta costituzionale;
   per quanto riguarda la riforma organica delle istituzioni di governo di area vasta, introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, a riconsiderare l'impatto che il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalle province avrà sui bilanci e sull'organizzazione di regioni e comuni, già gravati dalle difficili condizioni di sostenibilità del loro patto di stabilità, posto che le nuove norme ingenerano confusione nel sistema delle autonomie e conseguenze pesanti per lo sviluppo dei territori, producendo notevoli costi aggiuntivi per lo Stato e per la pubblica amministrazione;
   ad adottare con gli strumenti di programmazione finanziaria tutti i provvedimenti per il coordinamento dinamico della finanza pubblica previsti dalla legge delega n. 42 del 2009 e dai decreti legislativi approvati, a partire dal percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p) della Costituzione, (articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68) e dall'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali (articolo 18 della legge delega n. 42 del 2009);
   a promuovere una revisione delle regole del patto di stabilità interno, introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2011, in materia di meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni;
   a completare il processo di riforma federalista superando definitivamente il sistema di finanza derivata in ragione di una piena autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali, senza aumentare la pressione fiscale complessiva, garantendo certezza di risorse e promuovendo lo sviluppo economico locale anche attraverso l'implementazione di nuovi ed appositi strumenti in grado di supportare le amministrazioni locali nel processo di acquisto dei beni e dei servizi al fine di attuare efficienti revisioni di spesa;
   ad adottare, nell'ambito delle riforme concernenti la disciplina di bilancio delle pubbliche amministrazioni, ogni utile iniziativa volta ad implementare le procedure telematiche di comunicazione annuale dei dati, finalizzate alla creazione di un'anagrafe telematica della spesa, dei debiti e dei contratti di ogni genere e tipo, ivi compresi quelli di consulenza e di lavoro subordinato;
   a cambiare l'approccio allo strumento dell'addizionale irpef da parte di regioni e comuni, oggi troppo spesso usata forzatamente per compensare carenze di bilancio, laddove dovrebbe, invece, costituire uno strumento attraverso il quale gli enti locali e territoriali costruiscono in autonomia un sistema di detrazioni atte a favorire e sostenere le categorie sociali più deboli o meritevoli di tutela;
   ad assumere iniziative per ripristinare il dettato del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, (disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), con particolare riferimento alla compartecipazione regionale all'iva, le cui modalità di attribuzione siano stabilite in conformità con il principio di territorialità;
   a verificare lo stato di attuazione di tutti i decreti legislativi approvati, comprensivi degli atti amministrativi previsti, al fine di definire un percorso per la loro reale definitiva entrata in vigore.
(1-00238)
«Zanetti, Dellai, Balduzzi, Sottanelli, Andrea Romano, Sberna, Rossi, Librandi, De Mita, Fauttilli, Piepoli».
(11 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la revisione del Titolo V della Costituzione, in particolare l'articolo 119, ha rafforzato l'autonomia finanziaria delle regioni, prevedendo che sia le regioni che gli enti locali abbiano autonomia finanziaria di entrata e di spesa, mediante l'adozione di un modello costruito sul principio che ogni funzione attribuita da parte dei diversi livelli di governo sia finanziata integralmente. L'articolo 119 prevede, altresì, che gli enti territoriali e locali hanno un proprio patrimonio attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato;
    dalla sopra citata modifica costituzionale del 2001 il legislatore è stato inerte e non ha provveduto all'attuazione dell'autonomia delle regioni e degli enti locali;
    nella XVI legislatura, con l'approvazione della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 nel 2009, è stato autorizzato il Governo ad attuare il federalismo fiscale mediante l'adozione di decreti delegati. Obiettivo prioritario del nuovo assetto federale è consentire il superamento del tradizionale criterio della spesa storica per il finanziamento di regioni ed enti locali, in favore di un sistema che preveda l'assegnazione delle risorse in base al parametro del «fabbisogno standard» e del «costo standard»;
    si rileva che l'approvazione della legge n. 42 del 2009, d'iniziativa del Governo Berlusconi, ha avuto un iter parlamentare caratterizzato dalla condivisione e dal confronto fra l'allora maggioranza e opposizione, per addivenire ad un testo condiviso;
    a distanza di tre anni il percorso legislativo non si è concluso. Oggi, con l'insediamento del Governo cosiddetto delle «larghe intese», sono coinvolte nell'attività esecutiva entrambe le forze politiche che si sono già confrontate nel 2009 sul tema dell'attuazione del federalismo fiscale. Pertanto, non si ravvedono particolari motivazioni per non procedere nella conclusione dell'attuazione della legge delega n. 42 del 2009, dopo il periodo di sospensione correlato al Governo tecnico Monti;
    il modello delineato dalla legge n. 42 del 2009 conferma la centralità del superamento dei criteri di spesa storica ed è finalizzato a creare un sistema in cui regioni ed enti locali possano attingere alle entrate provenienti dal proprio territorio per finanziare lo svolgimento delle funzioni essenziali a loro attribuite, ma con i limiti di spesa dettati dall'individuazione di livelli essenziali da garantire ai cittadini nel rispetto di costi e fabbisogni standard da rispettare nell'esercizio del potere di spesa;
    la responsabilizzazione di ciascun livello istituzionale nell'esercizio del potere di spesa abbinato all'autonomia impositiva, da cui si attende la razionalizzazione della spesa a livello territoriale e la riduzione dell'indebitamento degli enti, consentirebbe ai cittadini di poter valutare e giudicare l'operato e l'efficienza dei propri amministratori locali. La legge n. 42 del 2009 prevede, altresì, interventi perequativi per salvaguardare la solidarietà fra gli enti locali, compensando le differenze tra i territori con diversa capacità fiscale;
    un'aspettativa importante era riposta nell'attuazione della legge delega n. 42 del 2009, ossia nell'applicazione dei costi standard nel settore sanitario, come strumento di razionalizzazione della spesa sanitaria nelle regioni e strumento di contrasto alle inefficienze in un settore delicato, che deve garantire livelli essenziali di assistenza accettabili su tutto il territorio nazionale e superare gli sprechi, che hanno comportato il disavanzo sanitario di importanti regioni, a danno della tutela e della cura della salute dei cittadini;
    ad oggi, nonostante l'entrata in vigore del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, recante «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario», ancora non c’è l'intesa fra il Governo e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome sull'individuazione dei «costi standard»;
    è auspicabile, in occasione dell'emanazione dei decreti mancanti e dei decreti correttivi, un monitoraggio degli effetti prodottisi in termini di una migliore ed efficiente gestione delle risorse finanziarie a livello territoriale, affinché le nuove forze politiche in Parlamento possano esprimere un giudizio di condivisione del nuovo assetto federale dello Stato;
    è necessario anche valutare le ripercussioni sull'efficacia del nuovo assetto federale nel contesto di grave crisi economica, che può incidere in modo rilevante sui risultati attesi, in quanto le riforme rilevanti sono di difficile realizzazione nei momenti in cui l'economia è in flessione. Si alterano gli equilibri e le decisioni sono condizionate da priorità più impellenti;
    si rileva, altresì, la necessità di attivare la Commissione parlamentare bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, la cui composizione è stata già determinata, ma non è stato ancora nominato il presidente,

impegna il Governo:

   a proseguire l'attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, adottando tempestivamente tutti i provvedimenti attuativi mancanti, al fine di attivare il nuovo assetto istituzionale e verificare gli effetti in termini di migliore e controllata gestione delle risorse finanziarie a livello territoriale;
   a presentare al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della riforma federale per una ricognizione degli effetti economici e finanziari espletati dai provvedimenti già vigenti;
   a valutare l'opportunità, in sede di adozione dei decreti legislativi integrativi e correttivi, di individuare e correggere le problematiche attuative per armonizzare la normativa in ragione del mutato contesto economico e finanziario caratterizzato dalla fase recessiva dell'economia e per coordinare le nuove relazioni finanziarie fra i differenti livelli di governo, affinché il prelievo fiscale complessivo a carico dei contribuenti né aumenti né peggiori in termini di maggiori adempimenti;
   ad accelerare i tempi per conseguire l'intesa con le regioni sull'individuazione e sull'applicazione dei costi standard nel settore sanitario, aprendo un tavolo di confronto, al fine di consentire l'applicazione dei costi standard già a decorrere dall'anno 2014.
(1-00241)
«D'Incà, Villarosa, Nuti, Castelli, Sorial, Brugnerotto, Cecconi, Dadone, Spessotto, Cozzolino, Turco, Rostellato, Businarolo, Lorefice, L'Abbate, Manlio Di Stefano, Da Villa, Terzoni, Sibilia».
(13 novembre 2013)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO ALLA DISMISSIONE DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE DEGLI ENTI PREVIDENZIALI

   La Camera,
   premesso che:
    l'emergenza abitativa costituisce, nell'attuale crisi economica che colpisce il Paese, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che interessa larghi strati della popolazione appartenenti, oltre che alle tradizionali categorie a rischio, anche a fasce di ceto medio, professionisti e famiglie con doppio reddito;
    tale situazione è resa particolarmente acuta dai caratteri del mercato immobiliare italiano dove l'offerta di abitazioni private – con costi molto alti ed inaccessibili per un numero sempre maggiore di famiglie e di giovani coppie – supera largamente l'offerta pubblica scesa progressivamente, negli ultimi anni, ad una quota pari a circa l'1 per cento della produzione edilizia totale;
    occorre prendere atto di un'assenza di iniziativa delle autorità pubbliche che, nonostante la crescita della crisi abitativa e la sollecitazione delle forze sociali e di vari organismi parlamentari, non sono state in grado, negli ultimi anni, di varare un'organica politica per la casa che, intrecciata con innovative politiche di governo del territorio, fosse in grado di rilanciare la produzione di edilizia a fini sociali o di carattere pubblico con il recupero urbano ed il contenimento del consumo di suolo nelle città;
    la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell'uomo hanno, in questo quadro, segnalato, l'inopportunità di provvedimenti «tampone» – soprattutto in materia di proroga delle ordinanze di sfratto – che ledono il libero dispiegarsi del diritto alla proprietà, in assenza di azioni organiche e complessive capaci di dare una risposta d'insieme ai vari aspetti che riguardano il problema dell'emergenza abitativa in Italia e, d'altro canto, si deve tenere presente che il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa sono sancite dall'articolo 47 della Costituzione;
    parte essenziale della crisi abitativa è legata alla dismissione del patrimonio abitativo degli enti previdenziali pubblici e privatizzati; processo che ancora oggi – dopo le alienazioni concluse negli anni precedenti – riguarda circa 100 mila famiglie, in gran parte concentrate nella capitale d'Italia;
    in questo ambito gli affittuari degli immobili degli enti previdenziali privatizzati vivono una condizione di particolare disagio con aumenti consistenti dei canoni di affitto per il rinnovo dei contratti di locazione e con proposte di acquisto dell'alloggio da parte degli enti con prezzi a valore praticamente di mercato;
    la condotta degli enti privatizzati per i rinnovi contrattuali e le vendite è regolata da una serie di provvedimenti succedutisi nel tempo – il decreto legislativo n. 509 del 1994, la legge n. 104 del 1996, l'articolo 1, comma 38, della legge 243 del 2003, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, la direttiva europea 2004/18/CE – che creano molte incertezze e dubbi normativi sulla piena legittimità, oltre che sostenibilità sociale, delle procedure in atto e che la stessa Corte di cassazione si è incaricata di segnalare con sentenza a sezioni unite 22 giugno del 2006, n. 20322, e da un'eterogeneità di situazioni tra ente ed ente che rischia di creare situazioni di iniquità di trattamento;
    l'ulteriore conferma è ravvisabile nel decreto-legge 3 febbraio 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, in cui è previsto, ai sensi dell'articolo 5, che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono gli enti e i soggetti indicati ai fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica in data 24 luglio 2010;
    oltretutto, sempre a riscontro dell'intrinseca natura pubblicistica di queste casse, non può non essere preso in considerazione quanto sancito dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
    in particolare, tale normativa, al comma 11-bis dell'articolo 3, rubricato «razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzione dei costi per locazioni passive», disciplina specificatamente la nuova procedura che gli enti previdenziali inseriti nel conto economico della pubblica amministrazione devono seguire nella dismissione immobiliare. Appare, dunque, chiara e leggibile la natura giuridica degli enti previdenziali privatizzati, anche alla luce degli ultimi interventi normativi;
    la situazione dei conduttori degli immobili degli enti previdenziali pubblici non appare meno preoccupante alla luce dell'interruzione del processo di alienazione e della scadenza dei contratti che mette sia i conduttori con titolo che le tante famiglie di occupanti sine titulo in una condizione di angoscia e incertezza, tanto più assurda in presenza di una legge – la n. 410 del 2001 – che ha fissato con chiarezza le condizioni e le prerogative con cui agire per la vendita del patrimonio degli enti previdenziali pubblici;
    in questo specifico caso, va ricordato che già il 90 per cento del patrimonio abitativo è stato alienato ai conduttori con le prerogative della sopra citata legge e attraverso l'azione di specifici soggetti societari all'uopo costituiti – Scip 1 e Scip 2 – dopo lo scioglimento dei quali, il patrimonio residuo è entrato integralmente in possesso dell'Inps;
    l'Inps stesso, più volte sollecitato sul tema, ha inviato – anche con specifica lettera del presidente Mastrapasqua – ai Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali, vigilanti sull'Istituto – richiesta di chiarimento sul da farsi, in ragione anche della sopravvenuta norma sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico presente all'articolo 27 del cosiddetto «decreto Salva Italia», decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
    appare, pertanto, urgente un pronunciamento degli organi parlamentari e del Governo sulle modalità con cui affrontare, in un quadro di sostenibilità economica dello Stato e degli enti sopra richiamati, ma anche e soprattutto di tutela e garanzia sociale delle famiglie interessate, il processo di alienazione degli immobili del patrimonio abitativo degli enti pubblici e privatizzati, evitando il rischio di accentuare l'emergenza abitativa, in particolare a Roma,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, nel più breve tempo possibile, per chiarire il quadro normativo che regola il processo di alienazione del patrimonio immobiliare dei vari enti previdenziali privatizzati;
   ad intervenire per garantire, comunque, agli inquilini tutele e garanzie di controllo sui prezzi di vendita da parte degli enti e sull'entità dei canoni di affitto in rinnovo di locazione, traendo prioritario riferimento da quanto stabilito dalla legge n. 410 del 2001 e dagli accordi sindacali in materia, in modo che i diritti in essi stabiliti siano effettivamente praticabili;
   ad intervenire presso gli enti previdenziali pubblici ed in particolare presso l'Inps – come da esso stesso richiesto – affinché vengano adottate con chiarezza e celerità tutte le procedure necessarie per la ripresa del processo di alienazione degli immobili reimmessi in possesso dell'Inps stesso con le tutele, il prezzo e le garanzie stabilite dalla legge n. 410 del 2011;
   ad aprire, in ogni caso, da subito un tavolo di confronto tecnico e sindacale con le organizzazioni sindacali e dell'inquilinato e con gli enti locali interessati riguardante sia il patrimonio degli enti previdenziali pubblici che quello degli enti previdenziali privatizzati, per individuare le soluzioni più rapide e socialmente efficaci per raggiungere gli obbiettivi sopra richiamati e per la regolarizzazione degli occupanti sine titulo o delle assegnazioni irregolari negli alloggi degli enti previdenziali pubblici, anche al fine di prevenire situazioni esplosive di disagio sociale e per favorire l'accesso al credito delle famiglie con reddito medio basso, con mutui sostenibili e finalizzati all'acquisto;
   ad impartire, per quanto riguarda gli enti previdenziali pubblici, precise disposizioni affinché, nelle more dei provvedimenti da assumere, venga differita l'esecuzione degli sfratti o degli sgomberi pendenti nelle aree urbane e attuata la sospensione delle aste riguardanti le unità immobiliari ad uso residenziale che non risultino effettivamente libere;
   ad assumere un provvedimento che obblighi gli enti previdenziali pubblici e privatizzati e quelli partecipati, con controllo o vigilanza pubblica, a stipulare e rinnovare i contratti di locazione, tenendo conto della situazione di difficoltà economica delle famiglie, anche riconsiderando in forme socialmente più sostenibili gli accordi recentemente stipulati da diversi enti;
   a prevedere, in attesa di un rapido chiarimento sulle procedure da adottare derivanti dagli esiti del sopra citato tavolo tecnico, una moratoria delle procedure di alienazione degli immobili degli enti previdenziali privatizzati – ancorché deliberate ma ad oggi non avviate – e degli aumenti dei canoni connessi ai rinnovi contrattuali, nonché delle procedure di sfratto in corso per gli enti previdenziali privatizzati, tenuto conto che la Commissione VIII (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati ha già approvato all'unanimità nel 2010 la risoluzione Alessandri, Piffari e Braga n. 8-00101, che dà mandato al Governo di convocare un tavolo tecnico e sindacale sui temi sopra citati;
   a prevedere per le procedure di alienazione in fase di attuazione, anche a causa della congiuntura economica e della difficoltà di accedere al credito, la possibilità, per chi non è in grado di procedere all'acquisto, di poterlo fare alle medesime condizioni per i successivi 5 anni;
   ad intervenire, anche con precise disposizioni normative, per risolvere l'annosa vicenda del contenzioso giudiziario dei cosiddetti immobili di pregio.
(1-00011)
«Morassut, Argentin, Braga, Villecco Calipari, Martella, Meta, Coscia, Realacci, Peluffo, Lenzi, Brandolin».
(27 marzo 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    all'interpellanza urgente n. 2-00062, presentata dalla firmataria del presente atto di indirizzo e discussa nella seduta n. 22 del 23 maggio 2013, alla quale ci si riporta integralmente, ha risposto in rappresentanza del Governo il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Carlo Dell'Aringa;
    la risposta non ha soddisfatto l'interpellante e, per tali motivi, è stata presentata la presente mozione ex articolo 138, comma 2, del regolamento della Camera dei deputati;
    sul corretto inquadramento normativo degli enti previdenziali trasformati in associazioni e fondazioni di diritto privato, ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994, il Sottosegretario di Stato ha sostenuto che tali questioni: «coinvolgono profili decisionali che esulano dalle competenze del solo Ministero che rappresento, in quanto coinvolgono, talora perlomeno, scelte che spettano al Governo nella sua collegialità»; sarebbe opportuno avere notizie in merito alla posizione che il Governo assumerà in relazione ai profili di illegittimità costituzionale sollevati dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo e, in particolare, sul comportamento normativo da far applicare a tali soggetti;
    il Sottosegretario di Stato, nel giustificare il comportamento degli enti e quella che alla firmataria del presente atto di indirizzo appare la negligenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha sostenuto in Aula che: «le disposizioni del decreto legislativo n. 509 del 1994 non hanno subito fino ad oggi alcuna modifica e sono tuttora pienamente operanti, nonostante nel tempo si siano moltiplicate le spinte del legislatore a incrementare il complesso dei vincoli finanziari e amministrativi imposti alle gestioni, attraendo nell'orbita della finanza pubblica anche le casse private di previdenza, sulla scorta della loro inclusione nell'elenco ISTAT di individuazione delle amministrazioni pubbliche (...). D'altra parte, (...) alcune iniziative hanno invece contribuito a rafforzare proprio l'autonomia riconosciuta agli enti previdenziali privatizzati, salvaguardando gli equilibri delle gestioni, in funzione – questo è importante – dell'autosostenibilità di lungo periodo (...)»;
    è vero che con il decreto legislativo n. 509 del 1994 gli enti previdenziali sono stati trasformati in associazioni o in fondazioni con deliberazione dei competenti organi, ma ad una precisa condizione: che non usufruissero più di finanziamenti o altri ausili pubblici di carattere finanziario (articolo 1 del decreto legislativo n. 509 del 1994), condizione che è stata a giudizio della prima firmataria del presente atto di indirizzo palesemente violata. È opportuno ricordare che tali enti non hanno rispettato le condizioni imposte dalla legge;
    sono enti che sussistono senza scopo di lucro, ma nella realtà quotidiana si comportano come qualsiasi società con l'unica finalità di monetizzare e speculare sul patrimonio immobiliare e sugli stessi inquilini, utilizzando quel patrimonio che negli anni era stato acquistato con danaro pubblico e che aveva una finalità ben precisa: quella di tutelare l'emergenza abitativa;
    la stessa Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nella segnalazione, approvata dal consiglio nella seduta del 26 gennaio 2011, e depositata il successivo 3 febbraio 2013, rafforza giuridicamente quanto illustrato, affermando che la contribuzione obbligatoria di tipo solidaristico, posta a carico degli iscritti, realizza una forma indiretta di concorso finanziario dello Stato; eppure, è lo stesso decreto legislativo n. 509 del 1994 che prevede che non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti;
    inoltre, è lo stesso allegato III della direttiva 2004/18/CE (modificabile solo seguendo la procedura all'uopo stabilita) ad elencare, in via non limitativa, gli organismi e le categorie di organismi di diritto pubblico, includendo espressamente in tale novero gli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza;
    quanto alla legge 23 agosto 2004, n. 243, articolo 1, comma 38, norma definita di interpretazione autentica, con cui il legislatore aveva escluso dalla dismissione di cui al decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, gli enti di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, la Corte di cassazione, in diverse occasioni, si è espressa affermando che tale norma, seppure formulata come norma di interpretazione autentica, ha carattere innovativo, quindi confermando l'esigenza di tutelare dei rapporti giuridici che, secondo le leggi previgenti, avevano previsto la prelazione o l'opzione legale a favore del conduttore qualificato;
    quindi, tale legge detta una nuova regolamentazione per le situazioni non esaurite escludendo, appunto, gli enti previdenziali successivamente «privatizzati» dalla speciale disciplina posta dal decreto legislativo n. 104 del 1996, operando il consueto limite delle situazioni giuridiche esaurite, dove la locuzione «limite consueto» esprime l'esigenza di tutela dei rapporti giuridici che, secondo le leggi previgenti, avevano previsto la prelazione o l'opzione legale a favore del conduttore qualificato; la trasformazione dell'ente in fondazione ha determinato un effetto giuridico di natura successoria per tutti i rapporti giuridici pendenti e per tutti i diritti di credito o gli obblighi assunti, in mancanza di una diversa e specifica disciplina legislativa. Questo dice la Corte di cassazione, queste sono le frasi utilizzate dai supremi giudici;
    allora, quelle case andavano vendute agli inquilini secondo i principi stabiliti nel decreto legislativo n. 104 del 1996, visto che le abitano, sin dall'inizio degli anni Settanta, le hanno continuate ad abitare anche quando la suindicata normativa obbligava gli enti a dismettere il patrimonio immobiliare, e, purtroppo, le vivono ancora oggi non potendole acquistare viste le gravose condizioni;
    infatti, il 90 per cento degli inquilini è affittuario delle case degli enti da prima del 1996 ed il legislatore, con decreto legislativo n. 104 del 1996 (modificato ed integrato dalla legge n. 410 del 2001), aveva deciso di disciplinare l'attività in campo immobiliare degli enti previdenziali – secondo una specifica tabella (allegata alla legge n. 70 del 1975) tra cui era ricompresa anche Enasarco, oltre a tutti gli enti di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994;
    alla luce di quanto detto nell'interpellanza urgente è grave che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ritenga: «difficile ipotizzare, come richiesto dall'interpellante, sistematici processi di omogeneizzazione di obiettivi e procedure (procedure, in particolare, al di fuori delle prescrizioni generali dirette ad imporre il conseguimento del risultato fondamentale che è quello della sostenibilità pluriennale per garantire agli assicurati che avranno una pensione), alla luce della normativa vigente che continua a tutelarne l'autonomia e la ricerca individuale delle soluzioni più rispondenti alle esigenze delle categorie (...)»;
    invero, non applicare una procedura omogenea comporterebbe una palese violazione dei principi costituzionali, in particolare quelli previsti dall'articolo 3; infatti, non si comprende come sia possibile legittimare comportamenti diversi sia nelle vendite che negli affitti da parte degli stessi enti sottoposti alla stessa normativa e con conseguente danno a carico degli inquilini/affittuari;
    a contrario, dimentichi degli obiettivi di natura sociale per cui sono stati istituiti e sostenuti, e che permangono a tutt'oggi, attraverso quella che alla firmataria del presente atto di indirizzo appare una falsa e distorta applicazione della normativa in materia, gli enti privatizzati hanno, con il tempo, gestito la res publica (perché frutto del danaro pubblico) come se fosse cosa privata amministrata da soggetto privato, in aperto contrasto con quanto dispone la normativa sovranazionale nella direttiva 2004/18/CE e con quanto stabilisce la Corte di giustizia dell'Unione europea. In ordine agli evidenziati profili, secondo la prima firmataria del presente atto di indirizzo emergono manifestamente dei profili di illegittimità costituzionale nell'affermare la disciplina privatistica nel caso de quo, per stridente contrasto non solo con i principi fondamentali della Carta costituzionale, ma anche con la normativa sovranazionale, laddove la diretta applicabilità delle direttive, che hanno i caratteri della chiarezza e della precisione, è stata, tra l'altro, ormai riconosciuta dalla costante giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (fin dal lontano 1963, nella sentenza relativa al caso Van Gend en Loos, causa 26/62);
    sulla richiesta di un tavolo tecnico interistituzionale, il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, nel rispondere, affermava che, nella XVI legislatura la direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali aveva preso parte ad un tavolo tecnico unitamente al Ministero dell'economia e delle finanze; i lavori si sono conclusi con delle ipotesi normative da cui si potrebbe ripartire; si chiede di avere copia di tale lavoro e di poter sapere dai Ministeri competenti quando potrà ripartire tale tavolo e quali saranno i soggetti che vi faranno parte;
    sarebbe necessario, però, rispondere in tempi brevi a tali necessità, in primis con l'abrogazione dell'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, e dell'articolo 168 della legge n. 228 del 2012, nella parte in cui prevede che: «le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della Fondazione Enasarco»;
    nelle more dell'instaurazione del tavolo tecnico, prima che vengano stabilite le modalità ed i tempi per attuare tale tavolo interministeriale per le vendite, i rinnovi delle locazioni e le conseguenti problematiche legate al patrimonio degli enti, gli stessi comunque proseguono nella vendita, ragion per cui sarebbe auspicabile, anche alla luce dei quotidiani episodi di suicidio legati anche al problema casa, intervenire con un provvedimento urgente che possa in tempi brevi dirimere la controversia;
    oltre a ciò, non è dato comprendere il perché nessuna risposta è giunta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali a giustificazione delle perdite di Enasarco, situazione che tocca quasi tutti gli altri enti, e cioè quelle relative agli investimenti finanziari per un ammontare di circa 1,5 miliardi di euro, di cui ben 780 milioni di euro investiti nel fondo Anthracite delle Isole Cayman;
    sono riconosciuti dalla stessa Enasarco, nel bilancio 2012, i problemi derivati dai titoli strutturati, poco efficienti, molto costosi, scarsamente liquidizzabili senza perdite e molto opachi;
    dallo stesso bilancio, infatti, emerge: «in virtù di una clausola contrattuale, della cui esistenza né l’advisor, né il direttore generale, né il dirigente del servizio finanza avevano dato conoscenza al consiglio d'amministrazione della Fondazione (...) la Fondazione, sulla base di verifica effettuata con i propri legali, in data 15 aprile 2013 si è vista costretta a corrispondere la somma di euro 14,7 milioni comprensiva di interessi ad Elliott management»;
    da un'indagine della Corte dei conti, pubblicata solo nel giugno 2013, sulla gestione finanziaria di Enasarco per gli esercizi 2010-2011 emerge: «questa Corte porrà la massima attenzione nella propria relazione al bilancio 2012, sul quale impatteranno gli effetti negativi in termini di sopravvenienza passiva, per la suddetta restituzione»;
    per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, il portafoglio degli investimenti immobiliari e mobiliari presenterebbe uno sbilanciamento anomalo dell’asset allocation, che vedrebbe la parte illiquida rappresentata dal 92 per cento circa del totale investito rispetto all'8 per cento della parte liquida;
    gli «investimenti alternativi» sarebbero concentrati in maniera anomala attorno a 3 fondi, che andrebbero a finanziare veicoli off shore basati all'estero e rappresenterebbero complessivamente 1.815 milioni di euro del valore di carico, quasi il 93 per cento del totale del valore di carico degli «investimenti alternativi», e cioè il 29 per cento circa del totale degli asset investiti (6.284 milioni di euro);
    i tre fondi, per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, registrerebbero minusvalenze significative in termini di differenza fra net asset value a valori di mercato e valore di carico dell'apporto di capitale investito, responsabili in maniera preponderante della perdita complessiva di valore del totale della minusvalenza del totale del patrimonio mobiliare, pari a circa 570 milioni di euro;
    tali investimenti, in tutti e tre i casi, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, violerebbero complessivamente i limiti 1, 2 e 3 dell'articolo 15 del regolamento per l'impiego delle risorse finanziarie della Fondazione Enasarco;
    l'operato apparentemente illecito è stato persino confermato dall'ex presidente di Enasarco. Infatti, lo stesso ex presidente di Enasarco Donato Porreca sulla rivista Il Mondo, rivista autorevole nell'informazione economica, in data 7 giugno 2013 pubblica una lettera aperta in cui attacca i vertici di Enasarco, attribuendo specifiche responsabilità circa la gestione del patrimonio immobiliare e mobiliare, muovendo delle accuse precise agli attuali vertici della fondazione Enasarco non solo sugli investimenti nei titoli tossici, ma anche sulla dismissione del patrimonio immobiliare. Lo stesso afferma che: «ma ora non posso tacere, visto come qualcuno si è esercitato nell'italica ed atavica virtù dello scaricabarile, vanamente tentando di mistificare sui propri fallimenti invocando gravose eredità del tutto inventate (Il Mondo 19, ma soprattutto nel notiziario Enasarco 10). Si tenta di spacciare iniziative improvvide come il famoso titolo Anthracite, come fossero state realizzate nel 2005, nel 2001-2004 o nel 2007, ma per ristrutturare titoli acquistati nel periodo 2001-2005. Detto prodotto è stato, invece, acquisito nel 2007 (...) al momento delle mie dimissioni (28 novembre 2006) provocate dalla vicenda giudiziaria che mi incombeva e che, si badi bene, non ha mai e dico mai riguardato la gestione della fondazione, né mobiliare, né immobiliare (...)». Continuano gli attacchi mirati del Porreca: «ho lasciato oltre un miliardo e 200 milioni di euro in contanti nelle casse della fondazione. Anzi, per maggior precisione in pronti contro termine a breve. Ho lasciato la fondazione con un bilancio tecnico perfetto e con la sostenibilità del sistema, così come prevista dalle leggi in vigore, un patrimonio immobiliare di oltre 3 miliardi in tutta sicurezza ed un piano per la dismissione degli immobili che, nel rispetto della più assoluta trasparenza, avrebbe portato nelle casse della fondazione 3 miliardi e 250 milioni, pari al valore stimato degli immobili e pari alla somma iscritta in bilancio a tale titolo. Il tutto cash e senza costi di due diligence e nel pieno rispetto dei diritti degli inquilini in ordine alla prelazione, al sostegno alle fasce sociali deboli e sotto l'egida del consiglio di amministrazione di Enasarco (...) si è frettolosamente accantonato il piano di dismissioni già predisposto ed approvato dagli organi di amministrazione e governativi per procedere al cosiddetto piano Mercurio, che dopo anni e anni e dopo costi gravosi è ancora lontanissimo dalla conclusione, con grave danno della fondazione, degli inquilini e degli stessi stabili privi di manutenzione ordinaria e straordinaria»;
    sulla richiesta dell'interpellante di una moratoria, alla luce delle difficili condizioni e gravose situazioni che moltissimi enti previdenziali utilizzano a danno degli inquilini, è sicuramente contraddittoria o di difficile comprensione la posizione assunta dal Governo attraverso il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali; infatti, lo stesso per tutelare le casse ha citato l'articolo 38 della Costituzione, pur dimenticando che i comportamenti attuati dagli enti a danno degli inquilini violano gli articoli 2, 3, 10 e 97;
    ma vi è di più: non è chiaro come possa sostenersi che Enasarco ha rivolto particolare attenzione ai risvolti socioeconomici di tale operazione di dismissione, se i diretti interessati, gli inquilini, non sono riusciti a poter acquistare l'agognata casa o, nei casi migliori, si sono visti costretti a firmare mutui con condizioni allucinanti, perché le banche (Monte dei Paschi di Siena e Bnl), a dispetto delle gare pubbliche cui erano obbligate, non hanno rispettato le condizioni prestabilite. Il tutto nell'assoluta inerzia delle istituzioni e degli enti preposti al controllo;
    nel mese di luglio 2013, la magistratura ha evidenziato forti infiltrazioni mafiose nella dismissione e/o assegnazione degli immobili Enasarco ad Ostia; l'ente sembra dichiararsi estraneo alla vicenda, dimostrando, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una completa incompetenza e il mancato controllo degli immobili che gestisce;
    non si comprende come può essere giustificata la circostanza che, in data 11 settembre 2008, Enasarco, nella persona del presidente Brunetto Boco e del direttore generale Carlo Felice Maggi, ha firmato un accordo con le organizzazioni sindacali, a dispetto della circostanza che la delibera del consiglio di amministrazione, con la quale è stato approvato il piano di dismissione del patrimonio immobiliare, inteso a perseguire l'obiettivo di stabilità del bilancio tecnico ultratrentennale, è datata 18 settembre 2008;
    inoltre, non si può non far rilevare che, in data 12 novembre 2013, è stato pubblicato un articolo sul quotidiano La Stampa, che riguardava una maxitruffa di 80 milioni di euro con due arrestati avvenuta a Torino a seguito di un'indagine della Guardia di finanza; in tale articolo affiorava che: «i commercialisti potevano contare su consulenti legali (uno pure radiato dall'ordine degli avvocati), ma anche su colleghi. Come l'ex associato e docente universitario, nonché ex direttore dell'Enasarco di Roma, che proprio in quegli uffici aveva piazzato la sede di una società servita a fabbricare fatture fasulle. Lui e Boggi chiacchieravano al tavolo di un ristorante “in” del centro. A spese dei contribuenti onesti (...)», La descrizione sembrerebbe corrispondere a Carlo Felice Maggi ex direttore di Enasarco e massimo responsabile del «progetto Mercurio» ed ex consigliere del fondo immobiliare Idea Fimit sgr. Se fosse così sarebbe enormemente preoccupante quanto denunciato nell'articolo;
    che la nomina del presidente di Enasarco, Brunetto Boco, sia avvenuta in contrasto con l'articolo 17 dello statuto è, secondo la prima firmataria del presente atto di indirizzo, assolutamente pacifico e lo si può affermare senza impelagarsi in inutili e fantasiose esasperazioni di diritto. È sufficiente leggere l'articolo 17 dello statuto della fondazione, dove in modo chiaro – e non si tratta di una mera presunzione – è stabilito che per la nomina del presidente è richiesto il requisito della professionalità che, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lettera b), del decreto legislativo n. 509 del 1994, è ritenuto esistente solo nei soggetti appartenenti alla categoria degli agenti e rappresentanti di commercio, anche in stato di quiescenza. Il signor Brunetto Boco, non rivestendo la qualità di rappresentante di commercio né attivo né in pensione, non poteva essere eletto consigliere e conseguentemente presidente. Circostanze che a giudizio della firmataria del presente atto di indirizzo dovrebbero integrare i presupposti di cui all'articolo 2, comma 6, del decreto legislativo n. 509 del 1994 e, di conseguenza, comportare il commissariamento dell'ente e, se ciò non dovesse accadere, chi farà tale scelta se ne assumerà le conseguenze;
    ecco perché sarebbe adeguato fare confluire tutti gli enti privatizzati, di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994, con i relativi patrimoni immobiliari, anche se conferiti a fondi pensioni di società di gestione del risparmio, nell'Inps, così come avvenuto per Inpdap e Enpals, in modo da poter tutelare gli iscritti beneficiari dei trattamenti pensionistici, attuando le eventuali vendite anche attraverso fondi immobiliari completamente gestiti dal Ministero dell'economia e delle finanze. Tale possibilità porterebbe un duplice risultato: a) ridurre i costi sostenuti dalla casse; b) rendere più agevole il controllo e la vendita del patrimonio immobiliare, evitando così delle speculazioni a danno dei cittadini, cosa che invece sta accadendo,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative urgenti volte:
    a) ad abrogare sia l'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, che l'articolo 1, comma 168, della legge n. 228 del 2012, nella parte in cui prevede che: «le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della Fondazione Enasarco (...)», poiché trattasi di norme ad avviso della firmataria del presente atto di indirizzo non in linea con i principi costituzionali;
    b) a precisare che alle dismissioni degli enti previdenziali, di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994, si applica il decreto legislativo n. 104 del 1996;
    c) a stabilire, altresì, che il decreto legislativo n. 104 del 1996 trovi applicazione anche nei confronti delle dismissioni attuate attraverso i fondi immobiliari di società di gestione del risparmio che hanno avuto il conferimento del loro patrimonio da enti previdenziali di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994;
    d) a sospendere gli sfratti per finita locazione e morosità degli inquilini degli enti previdenziali, anche se attuati attraverso fondi immobiliari di società di gestione del risparmio o di altre società, per un tempo non inferiore ad un anno;
   a disporre, in relazione alle dismissioni degli enti previdenziali privatizzati, ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994, un tavolo tecnico interistituzionale finalizzato a definire norme trasparenti per la stipula ed i rinnovi dei canoni di locazione nelle more della dismissione del patrimonio immobiliare;
   a verificare, attraverso gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la legittimità della nomina del presidente di Enasarco Brunetto Boco;
   ad effettuare, attraverso gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'immediata analisi della gestione finanziaria dell'ente e ad accertare le relative responsabilità del presidente e degli organi del consiglio di amministrazione;
   a verificare, attraverso gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quali siano state le azioni che l'ente ha intrapreso nei confronti dei responsabili delle perdite provocate sugli investimenti finanziari, come indicato nel bilancio consuntivo 2012;
   a verificare, attraverso gli uffici competenti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quali siano state le azioni che l'ente ha intrapreso per accertare chi siano i responsabili di quanto ha denunciato la magistratura sulla gestione delle assegnazioni/dismissioni degli immobili ad Ostia;
   ad accertare e a verificare tramite ispezione dell'Agenzia delle entrate la reale rispondenza delle categorie catastali degli immobili di proprietà di Enasarco a quelle denunciate dallo stesso ente;
   a porre rimedio, con un'adeguata iniziativa normativa, anche al conflitto d'interesse che sta scaturendo dal fatto che le stesse organizzazioni sindacali che compongono il consiglio d'amministrazione degli enti previdenziali sono anche firmatarie degli accordi di vendita del patrimonio e/o di rinnovi contrattuali degli affitti in rappresentanza degli inquilini;
   a valutare di fare confluire tutti gli enti previdenziali privatizzati, di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994, con i relativi patrimoni immobiliari anche se conferiti a fondi pensione di società di gestione del risparmio, nell'Inps, così come avvenuto per l'Inpdap e l'Enpals – tale scelta risolverebbe gran parte delle criticità su indicate – in modo da poter tutelare al meglio gli iscritti beneficiari dei trattamenti pensionistici.
(1-00092)
(Nuova formulazione) «Lombardi, Villarosa, Bechis, Grillo, Daga».
(11 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    in questa fase di crisi economica, l'emergenza abitativa risulta essere uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che coinvolge larghi strati della popolazione: dalle categorie a rischio fino a larghe fasce di ceto medio, oltre 430.000 famiglie sono in difficoltà con il pagamento dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi quattro anni), di cui l'87 per cento per morosità. Una situazione di vero allarme che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane e per le regioni dell'Italia settentrionale, ove, proprio per l'incidenza della crisi economica, le percentuali di sfratti per morosità incolpevole superano il 90 per cento;
    lo stato attuale del mercato immobiliare e del sistema di accesso al credito non fanno che aggravare il quadro sopra descritto, in quanto l'offerta di abitazioni private – a costi molto elevati, assolutamente inaccessibili per famiglie e giovani coppie, anche a fronte delle gravose condizioni richieste per ottenere finanziamenti a tal fine diretti – sovrasta nettamente l'offerta pubblica, che negli ultimi anni è scesa fino a toccare, attualmente, un quota di poco avvicinabile all'uno per cento della produzione edilizia complessiva;
    l'inerzia da parte delle autorità pubbliche in materia, le quali – al di fuori di provvedimenti disorganici ed estemporanei – non sono state capaci di promuovere politiche innovative per la casa, che permettano di arrestare il consumo di suolo e, al contempo, favorire il recupero urbano per rilanciare l'edilizia residenziale pubblica e a fini sociali, mette seriamente a rischio il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa, sancito dall'articolo 47 della Costituzione;
    aspetto di estrema rilevanza nella situazione esposta di crisi abitativa è quello attinente alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privatizzati, dismissione che ancora oggi investe le vicende umane e le sorti di numerosi nuclei familiari;
    nello specifico, gli affittuari degli immobili degli enti previdenziali privatizzati hanno subito un continuo e costante aggravio delle loro condizioni abitative: considerevoli sono gli aumenti dei canoni di affitto per il rinnovo dei contratti di locazione e, in molti casi, anche l'acquisto dell'alloggio è reso impossibile a causa dei prezzi – a valore di mercato – praticati dagli enti stessi, senza neanche tenere conto dello stato reale in cui versano gli immobili e in molti casi delle agevolazione fiscali e urbanistiche avute in passato. Tutto ciò è causa di una situazione di intollerabile disagio sociale;
    a determinare il contesto di emergenza abitativa sopra introdotto ha contribuito in maniera rilevante la successione nel tempo di una serie considerevole, nonché disorganica e talvolta contraddittoria, di provvedimenti normativi che hanno gradualmente mutato il regime dei rinnovi dei contratti di locazione e della vendita degli immobili inerenti al patrimonio degli enti previdenziali privatizzati, facendo sorgere molti dubbi, oltre che sulla sostenibilità sociale, anche sulla legittimità delle procedure in atto;
    tali vicende normative prendono il via con il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, – con il quale si avvia la privatizzazione degli enti previdenziali, che assumono personalità giuridica di diritto privato, pur continuando a sussistere come enti senza scopo di lucro – e si diramano passando per il decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, come integrato dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, – che disciplina l'attività in campo immobiliare degli enti previdenziali pubblici – l'articolo 1, comma 38, della legge n. 243 del 2004, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 2010, il decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 e la direttiva europea 2004/18/CE;
    tra gli atti normativi sopra citati, causa una particolare situazione di incertezza la formulazione della legge di interpretazione autentica di cui all'articolo 1, comma 38, della legge n. 243 del 2004, la quale esclude che le norme sulla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici – nello specifico l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 104 del 1996, che regola il campo di applicazione dell'intera disciplina – si applichino agli enti previdenziali privatizzati, anche quando la trasformazione degli enti in questione in persone giuridiche di diritto privato sia avvenuta successivamente all'entrata in vigore del decreto stesso. La sopra citata norma contenuta nella legge n. 243 del 2004, ha dato il via, di fatto, a operazioni di dismissione a prezzi di mercato, con valori correnti, e a rinnovi dei contratti di locazione con aumenti dei canoni anche fino al 300 per cento, con conseguenti rischi di sfratto per gli inquilini non più disposti ad accettare i nuovi e insostenibili, prezzi di locazione;
    la norma interpretativa stabilita dalla sopra citata legge n. 243 del 2004 è già stata oggetto di pronuncia a sezioni unite 22 giugno 2006, n. 20322, da parte della Suprema Corte di cassazione, la quale si è espressa contestandone la natura di legge di interpretazione autentica, attribuendole invece portata innovativa, determinando così che i rapporti giuridici sorti sulla base delle leggi previgenti seguano il regime di tutela stabilito da queste ultime. Pertanto, la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali, privatizzati successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 104 del 1996, dovrebbe seguire quest'ultima disciplina e le successive modifiche e integrazioni;
    pur in presenza dell'ambigua norma interpretativa sopra citata, non dovrebbero tuttavia permanere dubbi sull'intrinseca natura pubblicistica degli enti previdenziali privatizzati, la quale si desumerebbe anche alla luce di quanto stabilito dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, il cui articolo 5 prevede che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendano gli enti e i soggetti indicati ai fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica emanato in data 24 luglio 2010, il quale comprende gli enti sopra citati;
    inoltre, per chiarire la natura degli enti previdenziali privatizzati, può essere portato a sostegno quanto previsto nel decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, che al comma 11-bis dell'articolo 3 – rubricato «razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzioni dei costi per locazioni passive» – introduce una nuova e specifica procedura di dismissione immobiliare per gli enti previdenziali inseriti nel conto economico della pubblica amministrazione. Altresì, la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 6014 del 2012, ha chiarito in via definitiva che, il mutamento operato dal decreto legislativo n. 509 del 1994 ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e assistenza, svolta dagli enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo, la privatizzazione, un'innovazione di carattere essenzialmente organizzativo, interpretazione confermata nella sentenza della sezione III del Tar del Lazio, 12 giugno 2013, n. 05938;
    il quadro tracciato, connotato da forte disorganicità e ambiguità normativa, determina, tra l'altro, un'irragionevole eterogeneità di situazioni tra ente ed ente, che rischia di creare situazioni di iniquità di trattamento, a riprova della quale non può non citarsi la disposizione di cui all'articolo 1, comma 168, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la quale esclude espressamente l'applicabilità delle procedure di dismissione introdotte dal comma 11-bis dell'articolo 3 della legge n. 135 del 2012, contenenti aspetti di maggior favor per i conduttori al piano di dismissione immobiliare della fondazione Enasarco;
    posto quanto sopra illustrato circa la situazione di disagio in cui versano i conduttori di immobili degli enti previdenziali privatizzati, non meno preoccupante può considerarsi quanto sta accadendo ai conduttori di immobili appartenenti agli enti previdenziali pubblici, per l'interruzione del processo di alienazione e per la scadenza dei contratti di locazione che rendono insicuro e incerto il futuro delle famiglie dei conduttori con titolo nonché degli occupanti sine titulo, nonostante siano chiaramente indicati dalla legge n. 410 del 2001 condizioni e prerogative per la vendita degli immobili di tali enti, il cui patrimonio residuo è ora entrato integralmente in possesso dell'Inps;
    l'Inps stessa, tuttavia, attende chiare indicazioni operative da parte dei Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali vigilanti sull'istituto, anche in relazione alla sopravvenuta norma sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, presente all'articolo 27 del cosiddetto «decreto Salva Italia» 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
    alla luce di tutto ciò, non sembra rinviabile un pronunciamento sulla questione da parte del Governo e degli organi parlamentari, affinché il processo di alienazione degli immobili degli enti previdenziali pubblici e privatizzati avvenga in un quadro di tutela e garanzia sociale delle famiglie interessate,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative indirizzate a chiarire il quadro normativo entro cui deve svolgersi il processo di alienazione del patrimonio immobiliare dei vari enti previdenziali privatizzati, affinché le procedure avvengano in maniera trasparente e uniforme, evitando disparità di trattamento;
   a promuovere con urgenza, nel quadro di tali iniziative, misure finalizzate all'abrogazione dell'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, e dell'articolo 1, comma 168, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nella parte in cui prevede che: «le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della Fondazione Enasarco (...)»;
   a intervenire per tutelare gli inquilini, vigilando sui prezzi di vendita degli immobili degli enti e sull'entità dei canoni di affitto al momento del rinnovo del contratto di locazione, traendo primario riferimento da quanto stabilito dalla legge n. 410 del 2001;
   ad intervenire in modo chiaro presso gli enti previdenziali pubblici, in particolare presso l'Inps, affinché vengano riprese con celerità e con eguali tutele – in particolare quelle previste dal comma 20 dell'articolo 3 della legge n. 410 del 2001, confermate dall'articolo 43-bis del decreto-legge n. 207 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2009 – le procedure di alienazione degli immobili reimmessi in possesso dell'Inps stesso;
   a disporre, in relazione alle dismissioni immobiliari degli enti previdenziali, un tavolo tecnico interistituzionale e di confronto sindacale per raggiungere le finalità sopra indicate e provvedere alla regolarizzazione degli occupanti sine titulo e alle assegnazioni irregolari di alloggi, indicando inoltre percorsi per agevolare l'accesso al credito delle famiglie con reddito medio basso, con mutui sostenibili e finalizzati all'acquisto;
   a sospendere, nelle more dell'instaurazione del tavolo tecnico e dell'adozione dei provvedimenti necessari, l'esecuzione degli sgomberi nonché delle aste e degli sfratti per morosità incolpevole riguardanti unità immobiliari ad uso residenziale;
   ad utilizzare il patrimonio abitativo sfitto e disponibile degli enti previdenziali, anche quello conferito ai fondi immobiliari, mettendolo a disposizione dei comuni per affrontare l'emergenza abitativa;
   ad adottare provvedimenti idonei a vincolare gli enti previdenziali pubblici o privatizzati a riconsiderare contratti già stipulati secondo forme e canoni socialmente sostenibili e a stipulare e rinnovare i contratti di locazione, tenendo conto della situazione di difficoltà economica delle famiglie;
   a prevedere, in attesa di chiarimenti sulle procedure da adottare scaturenti dall'apposito tavolo tecnico all'uopo istituito, il blocco delle procedure di alienazione degli immobili degli enti previdenziali privatizzati e degli aumenti dei canoni connessi ai rinnovi contrattuali, nonché delle procedure di sfratto in corso;
   a prevedere, con apposito provvedimento, che il prezzo di alienazione degli immobili, le cui procedure sono in fase di attuazione, rimanga fermo per un periodo comunque non inferiore a 5 anni, in modo da garantire a tutti coloro che attualmente non sono in grado di procedere all'acquisto la possibilità di poterlo effettuare alle medesime condizioni.
(1-00149)
«Piazzoni, Migliore, Nicchi, Aiello, Zan, Zaratti, Pellegrino, Boccadutri, Pilozzi».
(17 luglio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici è stata avviata a seguito delle norme (decreto legislativo n. 104 del 1996) emanate dal Governo su delega del Parlamento (legge n. 335 del 1995) e, successivamente, si è sviluppata con la legge n. 410 del 2001, che ha consentito il ricorso alle operazioni finanziarie di cartolarizzazione, effettuate tramite la società veicolo Scip srl costituita dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze;
    dopo 17 anni sono risultate vendute 74.926 delle 90.392 unità immobiliari; ad oggi, risulta un portafoglio residuo complessivo di 15.466 unità immobiliari vincolate alla dismissione;
    è ormai innegabile che la situazione generale del Paese, dal punto di vista sociale ed economico è molto difficile e la crisi mette in discussione la coesione sociale che interessa ormai larghi strati della popolazione;
    è improrogabile la necessità di trovare una soluzione alla problematica della casa degli inquilini degli enti previdenziali pubblici e, in particolare, degli inquilini dei «cosiddetti» immobili di pregio, tra i quali anche pensionati e lavoratori dipendenti con reddito medio basso;
    occorre, pertanto, intervenire urgentemente per superare innanzitutto la situazione di stallo delle vendite, che permane dal 2009 per le unità immobiliari (prevalentemente residenziali), rimaste invendute dopo la chiusura delle fallimentari operazioni di cartolarizzazione e ritrasferite in proprietà agli enti previdenziali, comunque vincolate da molti anni dalla vigente legislazione alla dismissione con diritto di opzione all'acquisto riconosciuto agli inquilini;
    è evidente come la quasi totalità delle vendite che negli anni sono state realizzate dallo Stato e dagli enti previdenziali pubblici sono state fatte agli stessi inquilini opzionari, ai quali è stato praticato il prezzo di mercato determinato, come per legge, dall'Agenzia del territorio e ridotto del trenta per cento, così come stabilito in ordine a tutte le dismissioni immobiliari pubbliche (legge n. 622 del 1996) e ribadito anche nella legge n. 410 del 2001, oltre al cosiddetto sconto di blocco;
    non v’è dubbio che la gestione del sopra citato portafoglio residuo dalle operazioni di cartolarizzazione, in massima parte costituito da unità residenziali, i cui inquilini pagano una «indennità di occupazione», rappresenti una «coda» di difficile gestione per gli enti, vincolati, da una parte, per legge alla dismissione degli immobili inseriti nei piani di alienazione, dall'altra, dal legislatore del 2009 a promuovere la definizione dei contenziosi privilegiando soluzioni transattive (articolo 43-bis della legge n. 14 del 2009);
    la mancanza assoluta in questi ultimi quattro anni di iniziative autonome da parte degli enti – malgrado le varie iniziative parlamentari succedutesi – lascia supporre quante difficoltà trovino le amministrazioni nella prudente valutazione di circostanze per accordi transattivi, in grado di soddisfare l'interesse pubblico e la convenienza del privato;
    di qui la necessità di intervenire con una norma idonea a definire la massima parte delle vertenze in atto, ponendo fine ad annosi contenziosi dall'esito incerto, nella prospettiva dell'immediato bilanciamento d'interessi tra l'aspirazione dei conduttori ad acquistare finalmente la casa ed il conseguimento del risultato economico per la finanza pubblica;
    in questo quadro si rende necessaria ed opportuna un'accelerazione sulle dismissioni immobiliari, a cominciare dagli immobili residenziali dell'Inps e dell'Inail. È necessario, quindi, affrontare tutte le criticità che sono emerse negli anni passati, che vanno affrontate e risolte tenendo anche conto delle legittime aspettative degli inquilini che, a distanza di 17 anni dall'avvio del processo di dismissioni, non sono stati ancora messi in condizione di potere acquistare la loro prima abitazione in cui vivono da decenni;
    occorre anche valutare con equità quanto posto in evidenza, nel corso di questi ultimi anni, dal coordinamento nazionale degli inquilini dei «cosiddetti» immobili di pregio oggetto di cartolarizzazioni, al cui giudizio i precedenti Governi hanno fissato criteri del tutto sommari ed approssimativi nell'individuazione degli immobili di pregio, con conseguente esclusione dell'abbattimento del 30 per cento del prezzo di offerta in opzione ai conduttori che li acquistano in forma individuale;
    la legge, infatti, impone la classificazione «di pregio» dell'immobile solo sulla base dell'ubicazione e non per le condizioni effettive dello stesso. Si tenga conto che molti di questi immobili, in realtà, sono in un avanzato stato di degrado;
    dal 2009, l'Inps non ha inviato più le offerte in opzione dopo oltre un decennio dalla data di determinazione dei prezzi di vendita stabilita, come per legge, dall'Agenzia del territorio ed è stato negato quindi agli inquilini il diritto di esercitare in tempi tollerabili l'opzione all'acquisto;
    non è stata sperimentata alcuna soluzione transattiva dopo l'entrata in vigore dell'articolo 43-bis della legge 27 febbraio 2009, n. 14;
    non risulterebbe applicata, da parte dell'Inps, la direttiva ministeriale del 10 febbraio 2011, indirizzata a tutti gli enti, con cui il Governo è intervenuto sul blocco delle vendite disponendo che occorre procedere alla dismissione favorendo soluzioni transattive che consentano di stipulare compravendite con un corrispettivo pari al valore dell'immobile, determinato a suo tempo dall'Agenzia del territorio, e un versamento di una quota parte di tale prezzo;
    non sono state definite le modalità di attuazione della norma che garantisce il rinnovo novennale dei contratti di locazione per gli inquilini ultrasessantacinquenni con basso reddito;
    numerosi sono stati gli atti presentati nelle passate legislature, al fine di porre una soluzione al problema, per citarne alcuni: l'atto Camera n. 5478 del 7 dicembre 2004 e l'atto Camera n. 2063 del 13 dicembre 2006, nonché l'atto Senato n. 1019 del 26 settembre 2006 e l'atto Senato n. 1328 del 15 febbraio 2007; oppure sono state proposte soluzioni transattive del contenzioso, come suggeriva l'ordine del giorno n.9/1746-bis/48 accolto in Parlamento in relazione alla legge finanziaria per il 2007, oltreché molteplici atti di sindacato ispettivo;
    si tratta di un problema di grande impatto sociale che necessita di una soluzione sostanziale, che risponde ad un bisogno abitativo diffuso nel nostro Paese, con la conseguenza di garantire la soluzione del gigantesco contenzioso instaurato presso i tribunali civili, i tribunali amministrativi regionali e il Consiglio di Stato da cittadini locatari di immobili residenziali inopportunamente classificati di pregio;
    in merito alla dismissione del patrimonio a reddito degli istituti previdenziali appare necessario intervenire, con celerità e chiarezza, anche relativamente alle caratteristiche del programma straordinario di dismissione del patrimonio strumentale dell'Inps che si appresta a varare a seguito dell'integrazione logistica in corso;
    in forza dell'articolo 21, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, con decorrenza 1o gennaio 2012, l'Inps succede all'Inpdap ed all'Enpals, in tutti i rapporti attivi e passivi a seguito della soppressione di tali enti, con l'attribuzione delle relative funzioni all'Inps;
    il presidente dell'Inps ha approvato i singoli piani operativi di razionalizzazione logistica delle direzioni regionali e provinciali dell'Inps, con integrazione del patrimonio degli enti soppressi al patrimonio dell'Inps, approvando i relativi finanziamenti, distinti per direzioni regionali, per permettere interventi di razionalizzazione nell'arco temporale 2011-2014, atti a favorire la dismissione degli immobili strumentali locati e la messa a disposizione alla locazione ovvero all'alienazione degli immobili strumentali di proprietà che risultino in eccesso rispetto alle esigenze organizzative dell'istituto integrato;
    le direttive del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in riferimento ai piani di investimento degli enti pubblici previdenziali e assistenziali vigilati, hanno individuato i seguenti obiettivi strategici:
     a) il raggiungimento dell'interesse pubblico;
     b) la riduzione complessiva dei costi di gestione;
     c) lo sviluppo di immobili gestiti da amministrazioni o enti pubblici;
   le iniziative di razionalizzazione logistica del patrimonio strumentale in corso stanno rendendo disponibili immobili da destinare alla locazione o all'alienazione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative nel più breve tempo possibile – in attesa di elementi informativi, relativamente alle caratteristiche del programma straordinario di dismissione degli immobili che si appresta a varare – al fine di chiarire il quadro normativo che regolerà il processo di locazione e/o alienazione del patrimonio immobiliare, compreso quello strumentale, degli enti previdenziali;
   ad intervenire affinché vengano adottate con chiarezza e celerità, in un tempo definito, tutte le procedure necessarie per l'inizio del nuovo processo di dismissione che tenga conto delle esigenze di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica;
   ad assumere iniziative per garantire, comunque, agli inquilini tutele e garanzie di controllo sui prezzi di vendita da parte degli enti o di eventuali società strumentali e sull'entità dei canoni di affitto in rinnovo di locazione, traendo prioritario riferimento da quanto stabilito dalla legge n. 410 del 2001 e dagli accordi sindacali in materia, in modo che i diritti in essi stabiliti siano effettivamente praticabili;
   ad attivarsi anche con una precisa iniziativa normativa per risolvere l'annosa vicenda del contenzioso giudiziario dei cosiddetti immobili di pregio;
   ad assumere nelle future iniziative normative obblighi a stipulare e rinnovare i contratti di locazione, anche tenendo in considerazione eventuali situazioni di difficoltà economica delle famiglie interessate;
   ad adottare iniziative per pervenire a criteri di definizione della natura di «pregio» degli immobili che tengano conto, non soltanto dell'ubicazione dei medesimi, ma anche delle effettive condizioni manutentive.
(1-00246)
«Antimo Cesaro, Tinagli, Zanetti, D'Agostino, Sottanelli, Cimmino, Binetti, Rabino, Causin, Fitzgerald Nissoli, Monchiero, Schirò».
(15 novembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    nell'attuale contesto di crisi economica che colpisce il Paese, l'emergenza abitativa rappresenta un elemento di maggiore e crescente tensione sociale, che riguarda diversi strati della popolazione, non soltanto le categorie a rischio, ma anche larghe fasce di ceto medio, giovani coppie e famiglie con doppio reddito;
    tale situazione è dovuta ad una coesistenza di fattori: l'andamento del mercato immobiliare con un'offerta di abitazioni private a costi sempre più elevati; la difficoltà di accesso al credito con le banche restie nel concedere mutui e la mancanza di politiche abitative volte all'ammodernamento del patrimonio immobiliare esistente, con il recupero urbano e senza ulteriore consumo del suolo;
    la scarsità di alloggi di edilizia residenziale pubblica da concedere in locazione, in combinazione con le difficoltà di accesso al credito da parte delle giovani coppie che nell'attuale momento di crisi economica sono sempre più contrassegnate dalla precarietà di lavoro, non solo ostacola la naturale formazione di nuovi nuclei familiari, ma crea anche un disagio sociale che vede caricare sui privati proprietari immobiliari i problemi dell'edilizia sociale;
    le continue proroghe degli sfratti nelle aree di crisi abitativa non hanno fatto altro che caricare sui privati proprietari immobiliari la risoluzione dei problemi abitativi delle categorie socialmente deboli; è riconosciuto da tutti ormai che i timori sulla mancanza di garanzia per l'immediata restituzione dell'immobile al locatore alla scadenza del contratto, mancanza di garanzia che in passato ha costretto i piccoli proprietari a tenere spesso gli immobili sfitti, ha inciso pesantemente sulla paralisi del settore delle locazioni e sull'innalzamento dei prezzi degli affitti;
    parte di tale disagio abitativo è dovuto anche alla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privati;
    la normativa di riferimento in materia risale al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, con il quale si avvia la privatizzazione degli enti previdenziali, cui fa seguito il decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, come integrato dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, (che disciplina l'attività in campo immobiliare degli enti previdenziali pubblici), l'articolo 1, comma 38, della legge n. 243 del 2004, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 112 del 2010, il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, la direttiva europea 2004/18/CE;
    il susseguirsi di interventi legislativi ha, di fatto, creato un panorama indefinito ed eterogeneo di situazioni tra ente ed ente, che necessita di chiarimenti per evitare speculazioni ed iniquità di trattamento;
    in particolare, pare che a creare maggiore confusione sia stata la norma di interpretazione autentica di cui all'articolo 1, comma 38, della legge n. 243 del 2004, la quale esclude che le norme sulla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici possano applicarsi agli enti previdenziali privatizzati; disposizione sulla quale si è pronunciata anche la Corte di cassazione, con sentenza a sezioni unite n. 20322 del 22 giugno 2006, contestandone la natura di norma di interpretazione autentica e attribuendole di contro portata innovativa;
    peraltro, la natura pubblicistica degli enti previdenziali pur privatizzati trova, comunque, conferma da quanto stabilito all'articolo 5 della legge n. 44 del 2012, laddove si dispone che, ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono gli enti ed i soggetti indicati nell'elenco Istat oggetto di comunicato pubblicato in data 24 luglio 2010, il quale comprende, per l'appunto, gli enti privatizzati;
    a rendere ancora più disorganico il quadro normativo inerente all'alienazione degli immobili da parte degli enti e, conseguentemente, disomogenee le modalità di dismissione adottate dagli stessi è l'articolo 1, comma 168, della legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228), laddove prevede che «(...) le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n.135 (cosiddetta spending review bis) non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della fondazione Enasarco (...)»;
    non meno confusa appare la situazione che investe gli immobili degli enti previdenziali pubblici, già oggetto in passato delle operazioni cosiddette Scip 1 e Scip 2;
    il patrimonio residuo invenduto è ora entrato integralmente in possesso dell'Inps; lo stesso presidente dell'istituto ha scritto ai Ministeri vigilanti, Ministeri dell'economia e delle Finanze e del lavoro e delle politiche sociali, per chiedere chiarimenti sul da farsi, anche alla luce del sopravvenuto intervento normativo sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico di cui all'articolo 27 del «decreto salva Italia», decreto-legge n. 201 del 2011;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, gli enti previdenziali privatizzati e pubblici devono garantire in primis i trattamenti previdenziali dei loro iscritti, salvaguardando i versamenti contributivi da loro effettuati,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative atte a definire un quadro normativo univoco per tutti gli enti previdenziali, pubblici e privatizzati, entro cui debbano svolgersi le operazioni di dismissione del relativo patrimonio immobiliare;
   ad intervenire, nell'ambito della dismissione degli immobili degli enti privatizzati, da un lato, per garantire agli inquilini uniformità di trattamento nella definizione del prezzo di vendita da parte degli enti, parametrato a prezzo di mercato, e, dall'altro, per tutelare, al contempo, i versamenti contributivi degli iscritti agli enti medesimi, tenuto conto che con essi nel tempo gli enti hanno proceduto all'acquisto di siffatto patrimonio immobiliare;
   ad intervenire, altresì, presso gli enti previdenziali pubblici e, in particolare, presso l'Inps, come richiesto dal suo stesso presidente, affinché vengano riprese con celerità e chiarezza, le operazioni di alienazione degli immobili reimmessi in possesso dell'istituto medesimo, sempre con definizione del prezzo di vendita parametrato al prezzo di mercato;
   ad attuare, in collaborazione con le regioni, una riforma degli strumenti di edilizia residenziale pubblica, con l'introduzione di modelli innovativi di partenariato pubblico e privato, in grado di ampliare il parco alloggi dell'edilizia sociale, incentivando, anche con benefici economici rivolti alla copertura dei costi legati alla bonifica delle aree e degli immobili dismessi, o non più utili ai loro fini istituzionali, le iniziative di recupero e ristrutturazione urbanistica ed edilizia che evitano l'espansione urbana delle periferie.
(1-00252)
«Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(18 novembre 2013)

INTERPELLANZE URGENTI

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per l'integrazione e il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la denuncia di don Mussie Zerai, il sacerdote eritreo presidente e fondatore dell'agenzia umanitaria Habesshia per la cooperazione allo sviluppo, che dalle pagine de Il Secolo XIX e da quelle del sito della sua associazione ha richiamato l'attenzione sul fatto che circa dieci giorni dopo la morte dei 365 migranti nella tragedia di Lampedusa, non appena l'attenzione mediatica iniziava a calare, Zemede Tekle, il diplomatico che a Roma rappresenta il Governo eritreo, ovvero il regime dittatoriale di Isaias Afewerki, si sarebbe recato a Lampedusa per portare, in via ufficiale, il sostegno e la solidarietà ai sopravvissuti, ma in realtà con ben altri intenti;
   al suo seguito si sarebbe presentata Aster Tesfamariam, quale responsabile della comunità eritrea in Europa, nota invece per essere una collaboratrice dell'ambasciatore, nonché Tedros Goytom, responsabile giovanile del partito al potere;
   come anche riportato dal giornalista Corrado Giustiniani nelle pagine del suo blog su l'Espresso, sembrerebbe che l'ambasciatore e i suoi accompagnatori/collaboratori, dietro l'apparente testimonianza di solidarietà, abbiano, invece, cercato di raccogliere e schedare i nomi dei sopravvissuti e avrebbero cercato di sapere dagli stessi i nomi dei defunti per comunicarli al regime di Isaias Afewerki;
   in Eritrea, come noto, vige un regime politico che limita ogni libertà, totalitario, sanguinario, che avrebbe fatto guadagnare al Paese il non raccomandabile titolo di «Nord Corea africana»;
   i sopravvissuti alla drammatica vicenda di Lampedusa, esasperati dal regime sanguinario di Afewerki, tanto da aver affrontato un viaggio verso l'ignoto proprio per sfuggire allo stesso, e ancora traumatizzati per la tragedia di inizio ottobre 2013, nella quale hanno perso fratelli, sorelle, figlie e genitori, hanno comprensibilmente rifiutato qualsiasi incontro con il diplomatico;
   mentre l'ambasciatore di Asmara, Tekle, girava indisturbato con il suo gruppo per Lampedusa a schedare i sopravvissuti, la Ministra Kyenge avrebbe ricevuto, forse per un errore, in buona fede, i rappresentanti della comunità eritrea capeggiati dal signor Deres Araya, residente da molti anni in Italia, che proprio don Mussie Zerai descrive quale «il vero sostenitore e finanziatore del regime eritreo che è il più sanguinario e totalitario dell'Africa dei nostri tempi» –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interpellati sui fatti riferiti in premessa;
   se si intendano adottare misure e, in caso affermativo, di quale genere e in quali tempi, per verificare se l'ambasciatore Tekle e il suo seguito abbiano schedato i fuggitivi eritrei, che, in quanto richiedenti asilo politico in Europa, non possono che essere visti dal regime di Afewerki come ribelli, con tutte le intuibili conseguenze circa l'incolumità dei familiari rimasti nel territorio eritreo.
(2-00311)
«Migliore, Costantino, Pilozzi, Fratoianni, Palazzotto».
(19 novembre 2013)

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   fondata nel 1881, la Franco Tosi meccanica spa è un'azienda leader a livello internazionale per l'ingegnerizzazione, la produzione e la vendita di turbine a vapore e turbine idrauliche, inserita in un mercato che prevede per il futuro una forte e continua crescita, soprattutto nei Paesi emergenti;
   il Ministero dello sviluppo economico ha organizzato nell'ultimo anno diversi incontri con i rappresentati della Gammon India limited, società indiana che detiene il controllo della maggioranza dell'azionariato dal 2008, al fine di trovare una soluzione alla critica situazione aziendale, anche attraverso l'ingresso di nuovi partner aziendali nel capitale. Numerosi sono stati gli incontri presso le istituzioni locali, quali regione Lombardia e comune di Legnano, numerose le manifestazioni e gli scioperi organizzate dalle rappresentanze sindacali dell'impresa e numerosi gli articoli di diverse testate giornalistiche, quali Il Sole 24 ore, Il Giorno, La Prealpina, che hanno puntualmente riportato l'evolversi della situazione aziendale. Da quasi due anni è in atto un continuo e sempre più rapido deteriorarsi del patrimonio industriale, tecnologico e commerciale di uno storico marchio di rilievo internazionale;
   in relazione alle vicende della stessa azienda è già stata presentata un'interrogazione parlamentare dall'onorevole Daniele Farina il 29 aprile 2013, che riporta «il 16 aprile presso il Ministero dello sviluppo economico si è svolto un incontro tra la Gammon India limited, la regione Lombardia, la provincia di Milano, i sindacati e l'amministrazione comunale di Legnano e la società Termomeccanica, altra storica azienda italiana, che ha presentato una proposta di acquisto della Franco Tosi meccanica spa;
   nei mesi successivi la proprietà della Franco Tosi meccanica spa, vista negata la richiesta di concordato presentata presso il tribunale di Milano, ha rischiato il fallimento, di fatto scongiurato dal commissariamento: il dottor Filippo D'Aquino, giudice delegato del tribunale di Milano, ha autorizzato il commissario giudiziario, l'avvocato Gian Paolo Barazzoni, a ricercare un affittuario del ramo d'azienda produttivo di Franco Tosi meccanica spa in data 31 luglio 2013. Nel mese di settembre 2013 sono state aperte le offerte presentate per il bando di gara per l'affitto della storica azienda di Legnano; l'interesse è stato manifestato da quattro realtà industriali di carattere internazionale. Il tribunale di Milano ha poi fissato per il 23 ottobre 2013 la data entro la quale si sarebbe dovuto prendere una decisione sulla delicata vicenda;
   tale decisione viene superata dalla nomina da parte del Ministero dello sviluppo economico di un amministratore straordinario, il dottor Andrea Lolli, nel mese di ottobre 2013. Nelle prossime due settimane, si evince dalla stampa, sentito i pareri del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'economia e delle finanze ed ottenute le finanze necessarie, il commissario straordinario potrebbe decidere di traghettare l'azienda fino all'estate del 2014 e prevedere un nuovo bando internazionale, questa volta non destinato all'affitto, ma all'acquisto della Franco Tosi meccanica spa;
   il continuo procrastinare una scelta definitiva da quasi due anni per la storica azienda di Legnano potrebbe risultare catastrofico, dato che i livelli produttivi ed occupazionali dell'azienda sono ridotti al minimo storico, con un fatturato ormai inferiore ai 70 milioni di euro e con circa 400 dipendenti, di cui gran parte in cassa integrazione guadagni straordinaria;
   il know-how tecnologico e produttivo rappresentato da giovani menti potrebbe definitivamente essere disperso, e difficilmente poi recuperato, con l'esodo di ingegneri e tecnici di produzione dall'azienda stessa;
   il valore e la stima del marchio Franco Tosi meccanica spa nei confronti di clienti di spicco internazionale potrebbe perdere sensibilmente di valore di mese in mese;
   gli interessi di creditori privati ed istituzionali – l'esposizione verso Equitalia spa sembra essere superiore ai 40 milioni di euro, mentre il totale dei debiti dell'azienda sembra raggiungere cifre ben più importanti – potrebbero essere ulteriormente lesi nei prossimi mesi;
   potrebbe nel tempo venire meno l'interesse di possibili acquirenti, che già hanno manifestato le loro intenzioni attraverso le procedure previste dal tribunale di Milano per l'affitto ed il successivo acquisto dell'azienda stessa –:
   quali ulteriori iniziative i Ministri interpellati, per quanto di competenza, intendano intraprendere al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e di quelli produttivi della società Franco Tosi meccanica spa ed entro quale data tali iniziative verranno intraprese.
(2-00289)
«Cimbro, Cassano, Chaouki, Arlotti, D'Ottavio, Gianni Farina, Bersani, Villecco Calipari, Monaco, Manfredi, Marchi, De Micheli, Gribaudo, Zoggia, Causin, Oliaro, Amendola, Pollastrini, Carlo Galli, De Maria, Carnevali, Bosco, Galperti, Bolognesi, Genovese, Peluffo, Giorgio Piccolo, Scanu, Porta, Realacci, Lacquaniti, Fava, Marcon, Airaudo, Ferrari, Quartapelle Procopio, Giacomelli, Daniele Farina, Moretti, Giampaolo Galli».
(6 novembre 2013)

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   com’è noto, la multinazionale svedese Electrolux, leader nel settore degli elettrodomestici e delle apparecchiature per uso professionale, è da tempo alle prese con la difficile situazione del mercato dell'elettrodomestico, che ha portato in pochi anni a ben tre riorganizzazioni, con notevoli ripercussioni sul piano produttivo ed occupazionale che hanno interessato, in modo particolare, i due stabilimenti di Porcia (Pordenone) e Susegana (Treviso);
   il piano industriale di ristrutturazione presentato dall'azienda alle organizzazioni sindacali di categoria il 10 febbraio 2011 prevedeva, con riferimento specifico a tali siti, il licenziamento di circa 800 lavoratori e il trasferimento della parte più significativa della produzione, il frigorifero free standing, dal sito di Susegana all'Ungheria;
   a seguito del tavolo tecnico di confronto tra i rappresentanti dell’Electrolux e le organizzazioni sindacali, alla presenza del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro interpellato, avviato il 24 febbraio 2011, è stato raggiunto un accordo, che prevedeva, da un lato, il riallineamento strategico degli stabilimenti di Porcia e di Susegana e, dall'altro, un piano sociale che, oltre al ricorso agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione guadagni straordinaria), metteva in campo una serie di strumenti per favorire la ricollocazione dei lavoratori in esubero (ad esempio, lavoro part time, ricollocazione professionale con incentivo economico iniziative di autoimprenditorialità). Tali misure non hanno, tuttavia, prodotto i risultati sperati: nel 2012, infatti, il numero degli esuberi è cresciuto in tutti i siti (Susegana, Porcia, Solaro e Forlì) rispetto ai termini dell'accordo del 2011;
   l'assemblea dei soci Electrolux ha, quindi, presentato un nuovo piano strategico che prevedeva: per l'anno 2012 la volontà di continuare a ridurre i costi e potenziare la propria presenza a Est e nei mercati emergenti; la riduzione della capacità produttiva nei mercati cosiddetti «maturi»; la proroga, fino al 2015, del progetto di riposizionamento produttivo, al fine di diminuire ulteriormente la capacità produttiva nei Paesi ad alto costo e trasferirla in quelli low cost;
   dopo un'intensa trattativa tra sindacati e azienda, il 30 marzo 2012 è stato sottoscritto un nuovo accordo in sede ministeriale, preceduto da un referendum tra i lavoratori negli stabilimenti del gruppo, per gestire i predetti consistenti esuberi. Il nuovo piano sociale, ferma restando la cassa integrazione guadagni straordinaria a rotazione mensile per 120-130 lavoratori alla volta, prevede, altresì, l'utilizzo della cassa integrazione a riduzione d'orario giornaliero con turni di 6 ore in tutti gli stabilimenti del gruppo e offre misure incentivanti l'esodo, fondi, garanzie e consulenza per promuovere l'autoimprenditorialità, nonché formazione finalizzata all’outplacement;
   va rilevato, altresì, che sin dall'accordo del marzo del 2011 la proprietà ha messo a disposizione, a condizioni particolarmente agevolate, le aree inutilizzate degli stabilimenti di Susegana e Porcia, a favore di processi di reindustrializzazione ad opera di soggetti industriali con un piano solido e credibile che siano intenzionati ad assumere lavoratori Electrolux;
   lo stato del comparto nazionale dell'elettrodomestico è noto: il settore soffre da tempo di una crisi di competitività, aggravata negli ultimi quattro anni a causa della rilevante contrazione della domanda e della concorrenza di produzione da Paesi a basso costo del lavoro, ormai di qualità comparabile, al punto che è minacciata la sostenibilità del comparto anche nel breve periodo. Da tempo è, altresì, evidente la necessità di costruire un piano di ampio respiro di politica industriale, capace di dare sostegno e rilancio ad un settore che riveste da sempre in Italia un ruolo strategico e di primaria importanza, con una leadership per investimenti in ricerca e sviluppo e per qualità del prodotto, essendo il secondo comparto manifatturiero, dopo quello dell'automobile, con 130 mila lavoratori addetti tenuto conto dell'indotto, che sta parimenti soffrendo e comprende aziende, come, ad esempio, l’Acc compressors spa di Mei (Belluno), nata da uno spin-off di Electrolux, a sua volta leader europeo nel settore dei compressori per il freddo;
   per tale ragione, sin dall'intesa del marzo del 2011, i Ministri pro tempore del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico hanno stabilito l'opportunità di costituire un tavolo nazionale del settore dell'elettrodomestico;
   in data 17 maggio 2012, nel corso della XVI Legislatura, in risposta all'interpellanza urgente 2-01486, presentata dalla prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, il rappresentante del Ministero dello sviluppo economico ha riferito che:
    a) «il tavolo con le organizzazioni sindacali e l'azienda è operante e consente di tenere sotto monitoraggio continuo la situazione. La nostra opzione è quella che l'azienda realizzi il piano di allineamento, assestamento e ripresa industriale nei termini concordati nel marzo 2011» e «oltre a confrontarci con l'azienda, ci stiamo confrontando con l'associazione di categoria Ceced Italia, con la quale stiamo ragionando sulle criticità complessive del comparto»;
    b) «la seconda proposta degli interpellanti, ossia quella di valutare, in particolare per i siti di Susegana e Porcia, le iniziative atte a dare corso ad un piano di reindustrializzazione delle aree oggi inutilizzate degli stabilimenti già messe a disposizione dalla proprietà, quali, ad esempio, l'assegnazione delle aree stesse alle società strumentali delle regioni interessate, aventi la mission specifica della promozione dello sviluppo economico, rappresenta un tema che affronteremo senz'altro. Questa è un'indicazione che raccogliamo. Naturalmente il problema generale della reindustrializzazione è già sotto osservazione da parte del Ministero. Questa proposta di assegnare le aree alle società strumentali delle due regioni interessate può essere interessante ed è una proposta su cui lavoreremo»;
    c) «l'altra proposta che viene avanzata dagli interpellanti, quella di attivare presso il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e coinvolgendo le istituzioni, le regioni e via dicendo e, ovviamente, sindacati e aziende, un tavolo nazionale per il settore dell'elettrodomestico viene accolta dal Governo (...) e convocheremo al più presto un tavolo sulla filiera dell'elettrodomestico in cui analizzare la situazione che, come rileva correttamente l'interpellante, è una situazione critica, certamente acuita dalla pesante recessione che colpisce il nostro come gli altri Paesi avanzati dal 2008, ma che richiede anche interventi di fondo, di strategia industriale, perché attinge ad una ridislocazione complessiva delle produzioni rispetto ai mercati di sbocco del settore degli elettrodomestici a livello, non solo europeo, ma internazionale»;
   successivamente, in data 25 luglio 2012, il Governo Monti, accogliendo l'ordine del giorno 9/5312/184, presentato dalla prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, in sede di esame dell'atto Camera n. 5312-A, si è, inoltre, impegnato, tra l'altro, a valutare l'opportunità di:
    a) avviare immediate misure di contenimento del costo dell'energia, introducendo regimi tariffari speciali per i grandi consumatori industriali di energia elettrica;
    b) sostenere la domanda di mercato, estendendo la detrazione per la ristrutturazione edilizia anche all'acquisto di elettrodomestici da incasso di classe energetica non inferiore ad A+;
    c) prorogare la detrazione per la sostituzione di frigoriferi, congelatori e loro combinazioni prevista dal comma 353 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007;
    d) sostenere, anche mediante incentivi fiscali per aziende e consumatori (ad esempio, un «eco-prestito decennale»), l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo nelle imprese del settore;
    e) favorire l'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese del settore;
    f) contrastare la concorrenza sleale e intensificare, altresì, i controlli sui prodotti importati, per garantire qualità e sicurezza ai consumatori;
   tuttavia, il tavolo nazionale permanente a livello governativo per la protezione e lo sviluppo del sistema industriale di questo settore non è stato costituito, né è stato concertato il piano d'azione tra tutti i soggetti interessati per dare risposte al comparto e non sono state messe in atto le azioni necessarie al suo rilancio, con l'unica eccezione contenuta nel decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, dell'estensione della detrazione del 50 per cento dall'irpef prevista per la ristrutturazione edilizia all'acquisto di grandi elettrodomestici di classe energetica A+ (classe A per i forni) finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di ristrutturazione per le spese sostenute, fino ad un limite massimo di euro 10.000;
   di recente Ceced Italia (l'Associazione nazionale dei produttori di apparecchi domestici e professionali) ha commissionato autonomamente uno studio sullo stato del mercato e la competitività del settore dell'elettrodomestico, al fine di favorire finalmente l'avvio del tavolo di lavoro nazionale, studio che dovrebbe essere completato nel mese di gennaio 2014;
   nel frattempo, Electrolux, stante il trend allarmante del declino della produzione italiana (tornata ai livelli di 25 anni fa) e di quella europea allocata nel nostro Paese (scesa al 17 per cento), e considerato, altresì, che il divario competitivo si sta allargando (il raffronto tra costo del lavoro per un operaio polacco ed uno italiano è tra 4 euro all'ora e 23 euro all'ora), ha avviato un'investigazione di competitività sostenibile di tutte le fabbriche Emea presenti in Italia, volta a valutare la sostenibilità competitiva delle diverse produzioni ed esplorare tutte le vie percorribili per consolidare i fattori di competitività e le azioni necessarie per permettere nelle aree più critiche un rapido ritorno alla profittabilità. Tale investigazione si concluderà entro aprile 2014, essendo volontà di Electrolux assumere le eventuali decisioni operative che consentano di recuperare competitività in tempo utile per cogliere le opportunità di crescita entro il 2015, incluso ove necessario, a tal fine, il ridimensionamento degli stabilimenti italiani. Tuttavia, in tale contesto, il 28 ottobre 2013, l'azienda ha annunciato alle organizzazioni sindacali ulteriori 461 esuberi, conseguenti alla decisione di delocalizzare in altri siti la produzione, arrivando così il numero complessivo di esuberi del gruppo nei quattro siti italiani a 1.550, a fronte di 6.185 dipendenti Electrolux;
   a tale cifra, già di per sé ingente, va aggiunta la perdita occupazionale ancor più consistente nell'indotto del settore e la prospettiva concreta di una desertificazione industriale del Nordest del Paese, ove l'industria del bianco rappresenta ciò che la Fiat rappresenta per il Nordovest dell'Italia;
   appare, pertanto, non più dilazionabile la messa in campo come sistema Paese di soluzioni di breve e di medio periodo da portare al tavolo di confronto con Electrolux entro l'inizio del 2014, al fine di garantire che sui temi chiave della competitività Governo e sindacati siano disponibili ad azioni concertate, se Electrolux si impegna a sua volta ad investire ancora in Italia. A tal fine va costruito in tempi rapidissimi un vero e proprio «patto» tra Governo, regioni interessate e sindacati, da un lato, ed Electrolux, dall'altro, che – nel breve periodo – metta in campo tutti gli strumenti possibili per evitare l'accelerazione della delocalizzazione delle produzioni del medio di gamma verso l'Est Europa e nel medio periodo progetti un'alternativa di sviluppo concreta per il territorio, salvaguardando in ogni caso la permanenza in Italia del settore strategico della ricerca e dello sviluppo e la produzione manifatturiera di più alto valore aggiunto sull'alto di gamma e sui nuovi prodotti;
   più in generale, va osservato, altresì, che nell'ambito dei gruppi multinazionali hanno particolare rilevanza i fenomeni di rilocazione all'estero di funzioni aziendali, rischi imprenditoriali, beni materiali o immateriali, i quali non scontano oggi nel nostro Paese un livello di imposizione adeguato ai valori attuali o potenziali trasferiti; tale situazione di fatto è agevolata dalle diverse possibili interpretazioni, attualmente sostenibili, della disciplina sui prezzi di trasferimento applicabile alle riorganizzazioni aziendali, ai sensi delle linee guida sui prezzi di trasferimento emanate dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), ad oggi principale riferimento internazionale e domestico in materia;
   appare, perciò, necessario salvaguardare l'interesse nazionale in presenza di tali fenomeni, anche alla luce della legislazione già implementata nella Repubblica federale di Germania, che ha dato prova di salvaguardare l'interesse erariale, economico e sociale in conformità sia alle menzionate linee guida sui prezzi di trasferimento emanate dall'Ocse, sia al diritto comunitario, introducendo un contesto normativo più rigoroso sul piano fiscale, che tuteli, in particolar modo, il know how delle aziende italiane che rappresentano l'eccellenza del tessuto produttivo manifatturiero italiano, al fine di scongiurare che aziende multinazionali possano essere in grado di acquisire e/o replicare a basso costo, attraverso la delocalizzazione delle produzioni, il know how italiano nel mondo –:
   se non ritenga il Presidente del Consiglio dei ministri di avocare a sé l'iniziativa in materia per istituire con estrema urgenza il tavolo nazionale per il settore dell'elettrodomestico, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico e con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, coinvolgendo le rappresentanze sindacali e di categoria, nonché le regioni interessate, stante l'urgenza di intervenire in un comparto produttivo strategico per l'industria in Italia, alla pari di Fiat, Alitalia e Telecom, per definire entro i prossimi mesi una strategia di politica industriale di breve e medio periodo e per implementare con urgenza le azioni necessarie per il rilancio del settore, inclusa la sorveglianza di mercato per il sostegno e la difesa del valore aggiunto del prodotto italiano, affinché possa continuare a dare il suo importante contributo alla crescita del Paese e alla salvaguardia dei livelli occupazionali;
   se non ritengano, in occasione del semestre italiano di Presidenza europea, di affrontare la questione del declino del mercato europeo occidentale dell'elettrodomestico e del rischio della desertificazione produttiva nei Paesi dell'Europa occidentale, a causa della delocalizzazione del «bianco» nei Paesi dell'Europa dell'Est, ponendo a tema delle politiche comunitarie, di concerto con il Vicepresidente della Commissione europea, con delega per l'industria e l'imprenditoria Antonio Tajani, la situazione di insostenibile disparità tra i Paesi membri in tema di costo del lavoro e dei servizi;
   se non ritengano di intervenire direttamente nei confronti della proprietà e del management di Electrolux per rendere esplicita la volontà del Paese di mantenere una forte presenza del gruppo in Italia, sollecitando l'operatività del tavolo di confronto già esistente presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dello sviluppo economico tra i vertici dell'azienda Electrolux ed i sindacati, coinvolgendo anche le regioni interessate, in particolare Veneto e Friuli Venezia Giulia, e le amministrazioni locali, con l'obiettivo, da un lato, di verificare l'attuazione da parte di Electrolux del piano di allineamento, assestamento e ripresa industriale nei termini concordati nel marzo 2011, e, dall'altro, di individuare nuove misure di sostegno alla competitività che possono essere messe in campo dalle istituzioni e dalle parti sociali e quelle di competenza dell'azienda, che consentano di salvaguardare i poli produttivi in Italia, in particolare quelli di Susegana e Porcia, ed i livelli occupazionali, potenziando in ogni caso il settore strategico Ricerca e Sviluppo e lavorando, infine, anche sulla proposta di assegnazione delle aree dismesse dalla multinazionale svedese nei due siti alle società strumentali delle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, per dare corso ad un piano di reindustrializzazione, che potrebbe comprendere anche l'ipotesi di interventi di ottimizzazione energetica utili al rilancio degli investimenti;
   se non ritengano, infine, di assumere iniziative per l'introduzione anche in Italia di norme fiscali sulle riorganizzazioni transfrontaliere e delocalizzazioni, che, sull'esempio di quanto già avviene in alcuni Paesi, come la Germania, nel rispetto della normativa comunitaria, salvaguardino l'interesse economico e sociale nazionale, pur senza contraddire i principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento.
(2-00302)
«Rubinato, Sandra Savino, Sanga, Ginato, Grassi, Rosato, Brandolin, Zanin, Rizzetto, Prodani, De Menech, Gnecchi, Cominelli, Madia, Lodolini, Valiante, Martella, Mognato, Fioroni, Rigoni, Zanetti, D'Incecco, Fedriga, Marcolin, Gentiloni Silveri, Prataviera, Marantelli, Cova, Maestri, Marco Di Maio, Gigli, D'Arienzo, Dal Moro, Benamati, Peluffo, Crivellari, Moretto, Casellato, Bonafè, Velo, Gasbarra, Milanato, Sbrollini».
(14 novembre 2013)

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   le società di mutuo soccorso, istituite mediante la legge 15 aprile 1886, n. 3818, hanno svolto da sempre un importante ruolo di coesione sociale e di tutela delle fasce meno abbienti in settori di primaria importanza, quali lavoro e sanità, mediante il nobile principio della mutualità volontaria. Il progressivo miglioramento del livello di scolarizzazione e del servizio sanitario pubblico ha spinto le suddette società ad una rivisitazione delle loro attività istituzionali verso fini culturali, educativi e formativi. A distanza di oltre un secolo dalla loro costituzione, le società di mutuo soccorso, grazie soprattutto ai contributi ed al lavoro gratuito di alcune generazioni di soci, hanno potuto conseguire una maggiore autonomia economico-finanziaria attraverso la costituzione di un patrimonio immobiliare di tutto rispetto;
   l'articolo 23 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, incide pesantemente sulla disciplina relativa alle società di mutuo soccorso, di cui alla legge 15 aprile 1886, n. 3818, prevedendo, tra l'altro, l'obbligo di iscrizione presso il registro delle imprese secondo criteri e modalità stabilite con un decreto del Ministro dello sviluppo economico;
   il citato articolo 23 prevede, a carico delle società di mutuo soccorso, obblighi che risultavano essere in contrasto con la loro autonomia privata sancita dalla legge, nonché la soppressione di segni distintivi importanti e dell'identità delle stesse società di mutuo soccorso, alle quali è fatto obbligo di iscriversi al registro delle imprese, laddove imprese non sono; infatti, la normativa appare alquanto incongruente, perché, da una parte, costituiva obbligo per le società di mutuo soccorso di iscriversi al registro delle imprese, dall'altra, vietava espressamente alle stesse società di svolgere attività d'impresa;
   più in particolare, le norme emanate in attuazione delle suddette linee di politica economica impongono alle società di mutuo soccorso, entro e non oltre il 19 novembre 2013, di:
    a) adottare esclusivamente nel proprio statuto, quale oggetto sociale, una o più attività previste dal nuovo articolo 1 della legge n. 3818 del 1886, così come modificato del decreto-legge n. 179 del 2012;
    b) iscriversi presso apposita sezione del registro delle imprese mediante il deposito del proprio statuto ed atto costitutivo conformi ai nuovi dettami;
    c) divieto di svolgere qualunque attività d'impresa;
    d) devolvere il proprio patrimonio in caso di liquidazione o di perdita della natura di società di mutuo soccorso;
   sono numerose le società di mutuo soccorso, i cui statuti non rispondono ai dettami delle nuove disposizioni normative, che hanno difficoltà ad adeguare in tempi brevi i propri statuti, a causa del gran numero di soci e degli elevati quorum deliberativi necessari a recepire le suddette disposizioni;
   a seguito dell'approvazione del decreto-legge n. 179 del 2012, in tutto il Paese si è determinato un clima di sfiducia e d'incertezza e una grave situazione di disagio per le oltre 1.100 società di mutuo soccorso ancora operanti nel nostro Paese, le quali, anche a seguito dell'esclusione dal tavolo della riforma dei coordinamenti regionali che le rappresentavano, il 17 novembre 2012 hanno dato vita all'Aisms (Associazione italiana delle società di mutuo soccorso);
   il nuovo soggetto giuridico di rappresentanza, dopo essersi attivato per portare a conoscenza di tutti gli organismi istituzionali interessati i motivi di doglianza delle oltre 100 società a essa aderenti (numero in continua crescita) e dopo aver inviato al Consiglio dei ministri una richiesta di rinvio di 24 mesi della data prevista per l'iscrizione delle società al registro delle imprese (19 novembre 2013), si è visto costretto a rivolgersi all'autorità giudiziaria per richiedere che siano dichiarate non applicabili le disposizioni di cui all'articolo 2 della legge n. 3818 del 1886 riformata, considerato che sarebbero costituzionalmente illegittime;
   le società di mutuo soccorso non intendono sottrarsi ad una regolamentazione normativa, purché sia adeguata alla loro specifica realtà, nella convinzione che le stesse società, se adeguatamente disciplinate e supportate, possano diventare parte integrante del welfare nazionale –:
   se il Ministro interpellato non ritenga necessario valutare, al fine di tutelare i diritti inviolabili sanciti dalla Costituzione, di assumere iniziative normative per la concessione di una proroga biennale alle società di mutuo soccorso per l'adozione delle nuove disposizioni previste dall'articolo 23 del decreto-legge n. 179 del 2012;
   se il Ministro interpellato non ritenga necessario chiarire, anche a mezzo di iniziativa normativa, le conseguenze derivanti dalla mancata adozione nei termini di legge delle disposizioni previste dalla nuova formulazione degli articoli 1 e 2 della legge 15 aprile 1886, n. 3818;
   se il Ministro interpellato non ritenga necessario chiarire, anche a mezzo di iniziativa normativa, quale sia l'ambito di applicazione del divieto di svolgimento di qualunque attività d'impresa di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 aprile 1886, n. 3818, precisando se, così come previsto per gli enti associativi senza fini di lucro, sia consentito lo svolgimento, in via del tutto sussidiaria ed accessoria rispetto alle finalità istituzionali, di attività diverse da quelle previste dall'articolo 2195 del codice civile effettuate nei confronti dei soci ed in conformità alle finalità istituzionali dell'ente, senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione;
   se non ritenga necessario chiarire, in questa fase transitoria, quale sia l'organo competente ad effettuare il controllo di legalità degli statuti eventualmente depositati senza l'intervento notarile, in quanto ritenuti conformi ai dettami di legge da parte degli organi direttivi delle società stesse, ossia se tale competenza spetti al registro delle imprese all'atto della ricezione della documentazione ovvero ai revisori ministeriali o delle associazioni maggiormente rappresentative in sede di primo controllo.
(2-00309)
«Giancarlo Giorgetti, Rondini, Busin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».
(19 novembre 2013)

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 della Costituzione, sancendo che «Ogni cittadino può circolare (...) liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale», salvo deroga imputabile a motivi di sanità e sicurezza, configura il diritto alla mobilità, ponendo conseguentemente in capo allo Stato l'onere di costituire le condizioni di diritto e di fatto ad esso conseguenti;
   un sistema di mobilità pubblica moderna ed efficiente rappresenta un obiettivo strategico per la costruzione di politiche tese a promuovere sviluppo sostenibile, strategie di crescita economica e di progresso sociale, migliori condizioni di tutela della salute dei cittadini;
   sono 2 milioni e 903 mila i pendolari che utilizzano quotidianamente in Italia i servizi su rotaia: a dirlo è il rapporto «Pendolaria 2012» di Legambiente, che dal 2007 a oggi ha registrato un incremento del 20 per cento del numero dei viaggiatori giornalieri italiani;
   in particolare, il servizio dei treni intercity rappresenta, per un'ampia e diversificata fascia di utenza, su tutto il territorio nazionale, un mezzo di trasporto pubblico fondamentale per garantire il diritto alla mobilità ai cittadini che sono costretti quotidianamente ad affrontare spostamenti per motivi di lavoro, studio o salute;
   l'offerta di servizi per i pendolari è, infatti, basata essenzialmente sul trasporto pubblico regionale su ferro, finanziato dalle regioni, e sull'interazione con i treni intercity, che, sulle lunghe percorrenze di carattere interregionale, rappresentano, peraltro, l'unico mezzo disponibile presso molte stazioni capoluogo di provincia o con un bacino di area vasta anch'esso interregionale;
   il contratto di servizio pubblico – si legge sul sito internet di Trenitalia – è un atto stipulato tra l'autorità pubblica (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dell'economia e finanze) e Trenitalia, allo scopo di garantire il diritto alla mobilità, tramite servizi di trasporto effettuati per soddisfare esigenze sociali, ambientali e di assetto del territorio, e per far fronte all'esigenza di garantire particolari condizioni e tariffe a specifiche categorie di passeggeri. Nella misura in cui tali servizi siano in contrasto con l'interesse commerciale dell'impresa, l'autorità pubblica, a fronte dell'obbligo di produzione di detti servizi, è tenuta a corrispondere a Trenitalia un'adeguata compensazione economica;
   con il contratto di servizio pubblico l'azienda è impegnata a garantire:
    a) l'adozione di una politica di prezzi, legata al raggiungimento degli obiettivi fissati nel contratto;
    b) la manutenzione ordinaria e straordinaria del materiale rotabile, che deve rispondere a caratteristiche di sicurezza, pulizia ed efficienza;
   il contratto di servizio segnala, inoltre, che «Trenitalia monitora costantemente la performance erogata per questi servizi, comunicando trimestralmente all'autorità competente i risultati di questa analisi. Sono oggetto del contratto di servizio pubblico tutti i treni notte e la maggior parte dei treni intercity»;
   nonostante ciò, si è verificato, negli ultimi anni, un progressivo ed inequivocabile ridimensionamento dei servizi ferroviari interregionali e nazionali (soprattutto nei treni intercity) non rientranti nell'alta velocità, che ha penalizzato, soprattutto, gli utenti pendolari italiani che devono quotidianamente raggiungere le regioni limitrofe;
   tali riduzioni si sommano ai già molti disservizi, a cui sono sottoposti giornalmente i passeggeri che viaggiano sui treni intercity tra cui: lunghi tempi di percorrenza; mancanza di puntualità; soppressione senza preavviso delle corse; carenza di informazione, non garanzia di partenza delle coincidenze; guasti tecnici; carrozze non adeguate e poco pulite; sovraffollamento dei convogli; condizioni precarie delle infrastrutture ferroviarie; aumenti delle tariffe non giustificati dalla bassa qualità e riduzione dei servizi offerti;
   tali disfunzioni e inefficienze inducono, quindi, spesso i passeggeri a ricorrere al trasporto regionale, che risulta, però, scadente per ciò che concerne la qualità del materiale rotabile, decoro di viaggio, disponibilità di convogli, affollamento, riduzione delle corse, aumento dei tempi di percorrenza, ritardi molto pesanti e sistematici, guasti alle locomotrici e alle vetture;
   va, inoltre, sottolineato che, a causa dell'inadeguatezza infrastrutturale delle ferrovie italiane, la frequenza dei treni ad alta capacità che viaggiano sulle linee ad alta velocità ha creato ulteriori problemi al trasporto locale, dal momento che, in molte tratte, il transito degli intercity, soprattutto nelle fasce orarie di maggiore affluenza, è stato spostato sulle linee lente già sature per la presenza dei treni regionali;
   da quanto è emerso, nei giorni scorsi, da organi di informazione Trenitalia avrebbe avanzato l'ipotesi di sopprimere 12 treni interregionali intercity, che riguardano l'utenza di 9 regioni;
   i presidenti delle regioni interessate (Toscana, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria e Campania) hanno inviato il 24 ottobre 2013 una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, al Ministro dell'economia e delle finanze, Fabrizio Saccomanni, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, ed all'amministratore delegato di Trenitalia, Vincenzo Soprano, per esprimere la totale contrarietà delle nove regioni interessate all'ipotesi avanzata da Trenitalia di sopprimere 12 treni interregionali intercity: «Con sempre maggior insistenza – riporta la lettera – ci giungono segnali sulla definitiva soppressione di ogni ormai residuo servizio intercity sulla linea dorsale che collega capoluoghi ed importanti centri di Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Campania. Il danno che ne deriverebbe per i cittadini delle nostre regioni, e per i pendolari in particolare, sarebbe di assoluta gravità. Chiediamo di dissipare ogni dubbio sul mantenimento del servizio e comunque di convocare un incontro con la presenza dei vertici Trenitalia»;
   sempre secondo fonti di informazione il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, e l'assessore regionale ai trasporti, Vincenzo Ceccarelli, hanno incontrato, il 24 ottobre 2013, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, ottenendo «rassicurazioni sulla sua volontà di affrontare al più presto la questione». «Non è accettabile – ha spiegato dopo la riunione l'assessore Vincenzo Ceccarelli – ed è del tutto contraddittorio che, da un lato, si emani un decreto per fare sconti agli operatori dell'alta velocità, che genereranno minori introiti per 70 milioni di euro a Rete ferroviaria italiana e risparmi per 50 e 20 milioni di euro a Trenitalia ed al gestore privato, mentre, dall'altro lato, si procede al taglio di servizi essenziali ed irrinunciabili per i cittadini»;
   risulta, quindi, evidente che, qualora fosse attuata un'ulteriore riduzione dei treni intercity da parte di Trenitalia, verrebbero a mancare non solo il principio stesso del diritto alla mobilità, ma anche i contenuti del contratto di servizio sopra citato –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza delle reali intenzioni di Trenitalia di sopprimere collegamenti intercity e nello specifico in quali tratte e quali bacini di utenza coinvolgono tali riduzioni di servizio;
   se i Ministri interpellati non ritengano conseguentemente necessario assumere iniziative urgenti per evitare tali riduzioni di servizio insostenibili per garantire il diritto alla mobilità a milioni di cittadini, a partire da una revisione ed aggiornamento del contratto nazionale di servizio con Trenitalia, per vincolare la società al rispetto di standard qualitativi effettivamente adeguati e promuovere un effettivo ottenimento di miglioramenti nel trasporto ferroviario pubblico.
(2-00276)
«Dallai, Donati, Parrini, Faraone, Marco Di Maio, Gelli, Biffoni, Bini, Lotti, Magorno, Ermini, Bonafè, Cenni, Carrescia, Anzaldi, Boschi, Mariani, Braga, Richetti, Malpezzi, De Menech, Bratti, Fontanelli, Coppola, Terrosi, Nardella, Zanin, Ventricelli, Manzi, Carra, Sani, Senaldi».
(4 novembre 2013)

F)

   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni si è registrato un forte degrado del trasporto pubblico su rotaia nella regione Umbria, in particolare per quanto riguarda la linea che collega le stazioni umbre alle città di Roma e Firenze e Perugia/Ancona, via Foligno;
   sono migliaia le persone che ogni giorno si muovono dall'Umbria per dirigersi, per motivi di lavoro o di studio, verso la capitale;
   la tratta è frequentata costantemente anche da un numero rilevante di turisti, nazionali e internazionali, essendo le zone interessate fortemente attrattive dal punto di vista paesaggistico, artistico e religioso;
   sono molte le sollecitazioni pervenute in ordine ai vari disservizi del trasporto ferroviario su tale linea, alla bassa qualità dei treni utilizzati, vetusti e fatiscenti, e alle cattive condizioni igieniche delle vetture, proprio in un momento in cui, anche per la crisi economica esistente, bisogna garantire servizi efficienti e continuativi ai tanti utenti che preferiscono viaggiare in treno piuttosto che in auto;
   negli ultimi anni si sono moltiplicate le denunce di associazioni di consumatori, comitati di pendolari e singoli utenti sull'insostenibilità del servizio ferroviario della linea Firenze-Roma e Ancona/Perugia, via Foligno;
   sono molti i disservizi a cui sono sottoposti giornalmente i passeggeri che viaggiano sui treni intercity della linea direttissima, a contratto di servizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti: lunghi tempi di percorrenza, mancanza di puntualità, soppressione senza preavviso delle corse, carenza di informazione, non garanzia di partenza delle coincidenze, guasti tecnici all'ormai obsoleto materiale rotabile dotato di motrici vecchie e carrozze non adeguate e poco pulite, sovraffollamento dei convogli, condizioni precarie delle infrastrutture ferroviarie, aumenti delle tariffe non giustificati dalla bassa qualità e riduzione dei servizi offerti;
   tali disfunzioni e inefficienze inducono spesso gli utenti a ricorrere al trasporto regionale, parimenti scadente per qualità del materiale rotabile, decoro di viaggio, disponibilità di convogli, affollamento, riduzione delle corse, aumento dei tempi di percorrenza, ritardi molto pesanti e sistematici, guasti alle locomotrici e alle vetture;
   a causa dell'inadeguatezza infrastrutturale delle ferrovie italiane, la frequenza dei treni ad alta capacità che viaggiano sulle linee ad alta velocità ha creato ulteriori problemi al trasporto locale, dal momento che, in molte tratte, il transito degli intercity e degli interregionali, soprattutto nelle fasce orarie di maggiore affluenza, è stato spostato sulle linee lente già sature per la presenza dei treni regionali;
   i treni intercity e interregionali subiscono spesso soppressioni di corse, variazioni di orario o notevoli ritardi, tali da rendere estremamente disagevoli i collegamenti tra le città umbre e le regioni limitrofe;
   le carrozze di questi treni sono sovraffollate e spesso vetuste e fatiscenti, con bagni poco igienici e impianti di condizionamento e riscaldamento malfunzionanti e non dimensionati decentemente per resistere a condizioni normali di temperatura invernale ed estiva; in alcuni casi le carrozze di prima classe («revampizzate», non diverse «fisicamente» da quelle di seconda classe) vengono declassate per un viaggio di andata, grazie ad un foglietto applicato sulla porta di interconnessione della carrozza con scritto «2», mentre al viaggio di ritorno diventano nuovamente di prima classe: ciò causa confusione tra i passeggeri ed imbarazzo nei controllori che non riescono a spiegare come la medesima carrozza sia di 1a o di 2a classe a seconda del foglietto di carta applicato sulla porta, piuttosto che ai servizi che dovrebbero essere diversi;
   una quota parte non trascurabile del materiale rotabile dei treni del trasporto regionale, non oggetto di interventi di revisione, è ancora dotata di finestrini tradizionali, senza doppi vetri, e con la possibilità di apertura da parte dei viaggiatori; pertanto, in caso di guasto o malfunzionamento degli impianti di climatizzazione, diventa consuetudine che i viaggiatori aprano i finestrini per ottenere un minimo di refrigerio, causando forti correnti d'aria che possono risultare disagevoli per altri viaggiatori;
   il grave problema che, tuttavia, scaturisce da tale situazione è il forte livello di pressione anche acustico che si produce nelle gallerie della linea direttissima, in speciale modo durante gli incroci con i treni di alta velocità: un impatto teorico a circa 400 chilometri orari, visto che i treni regionali viaggiano a 160 chilometri orari ed i treni ad alta velocità a 250 chilometri orari, per cui la pressione che si produce in tal circostanze, anche a livello acustico, può essere pericolosa per i viaggiatori e per l'apparato uditivo;
   inoltre, persistono con frequenza e diffusione, su tutti i treni intercity e interregionali transitanti per l'Umbria, problemi riguardanti il funzionamento e il bloccaggio delle porte esterne ed interne delle vetture, che spesso sono causa delle soppressioni di corse ferroviarie o dei ritardi dei treni e sono motivo di disagio e anche di pregiudizio per la sicurezza attiva e passiva;
   l'inadeguatezza funzionale della rete ferroviaria nella regione Umbria e il peggioramento del servizio, sia dal punto di vista quantitativo, per disponibilità di convogli e infrastrutture, sia dal punto di vista qualitativo, in termini di affidabilità e pulizia, crea incertezza e precarietà nei collegamenti tra le diverse aree della regione, con gravi conseguenze sui flussi legati all'economia del territorio, al lavoro e al turismo;
   per quanto concerne l'attività ispettiva della regione Umbria sui servizi di Trenitalia, da un comunicato pubblicato sul portale regionale, relativo alle sanzioni applicate a Trenitalia per inadempienze riguardanti il contratto di servizio, si evince che «la regione è costantemente impegnata a verificare il rispetto degli accordi sottoscritti da Trenitalia per la fornitura dei servizi ferroviari, attraverso un'attenta attività ispettiva e di monitoraggio su puntualità e regolarità dei treni, pulizia, comfort di viaggio e affidabilità». Tuttavia, nessuna autorità regionale ha finora specificato come e da chi sia svolta tale attività e come sia possibile agli utenti chiedere l'intervento di tali ispettori. Di fatto, a quanto consta all'interpellante, è pressoché inesistente un'attività ispettiva sulle inadempienze di Trenitalia, nonché il servizio segnalazione dei disservizi, in Umbria come in molte altre regioni italiane –:
   se sia a conoscenza della situazione di emergenza del servizio ferroviario nelle tratte in regione Umbria (sia sulla linea Firenze-Roma, che sulla linea Ancona/Perugia, via Foligno) e dei gravi disagi a cui sono sottoposti giornalmente migliaia di passeggeri, in particolare lavoratori, studenti e turisti, che viaggiano sulla linea che collega le stazioni umbre a tali città;
   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza e nei confronti di Trenitalia, per evitare che continuino a verificarsi quei disservizi e malfunzionamenti dei treni denunciati in premessa, accertando lo stato di manutenzione delle vetture impiegate e di conformità delle stesse, adottando ogni utile provvedimento a tutela degli utenti, della loro sicurezza di viaggio e della regolarità del servizio ferroviario;
   se non ritenga opportuno intervenire presso Trenitalia affinché provveda a garantire alla regione Umbria una sufficiente copertura del territorio in termini di trasporto pubblico, nonché un servizio ferroviario continuativo e non disagevole, con treni adeguati e senza ripetuti e frequenti ritardi, che i passeggeri sono costretti a subire ormai da troppo tempo;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per il potenziamento infrastrutturale delle linee ferroviarie utilizzate dai pendolari, e in particolare delle linee umbre verso la capitale, per l'adeguamento dell'offerta di trasporto pubblico locale, per l'ammodernamento del parco rotabile su gomma, destinando risorse per un serio piano di ristrutturazione delle carrozze e dei servizi ai passeggeri, che metta in condizione i viaggiatori di usufruire di un servizio di trasporto dignitoso ed efficiente;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti di Trenitalia al fine di assicurare, su tutto il territorio nazionale, il pieno rispetto degli standard qualitativi europei in merito a puntualità, affidabilità, affollamento, pulizia, comfort, decoro e informazione;
   se non ritenga opportuno rivedere e aggiornare il contratto nazionale di servizio con Trenitalia per vincolare la società al rispetto di tali standard qualitativi, condizionando l'assegnazione di ulteriori risorse a Trenitalia all'effettivo ottenimento di miglioramenti nel trasporto ferroviario pubblico.
(2-00298) «Galgano».
(12 novembre 2013)

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno e il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto la riduzione delle risorse destinate ai comuni per un importo pari a 2 miliardi e 250 milioni di euro per l'anno 2013;
   la situazione della finanza pubblica locale risulta estremamente complessa, sia alla luce della pesante riduzione di risorse operata attraverso la rideterminazione dei trasferimenti erariali, sia per il fatto che le amministrazioni locali, proprio per sopperire a tali deficit, in numerosi casi potrebbero essere costrette a rivedere in aumento delle imposte locali, a partire dall'imu;
   la difficoltà attuale degli enti locali è ulteriormente acuita dal fatto che gli amministratori locali si stanno muovendo in quadro normativo estremamente variabile ed incerto, soprattutto con riferimento al gettito della imposta municipale propria, e questo ha portato al differimento del termine per l'approvazione dei bilanci preventivi 2013;
   il decreto-legge n. 102 del 2013 reca un'ulteriore proroga, rispetto a quelle già precedentemente intervenute, del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2013 degli enti locali, fissandolo alla data del 30 novembre 2013, facendo così coincidere tale adempimento con l'approvazione dell'assestamento di bilancio; l'ulteriore proroga deriva dalla necessità di consentire agli enti locali di acquisire maggior certezza sull'entità delle proprie entrate, in considerazione delle numerose modifiche legislative apportate in corso d'anno sulla materia;
   il decreto-legge n. 54 del 2013 ha sospeso – per l'anno 2013 – il versamento della prima rata dell'imu per determinate categorie immobiliari e, secondo quanto previsto dal decreto-legge stesso, tale sospensione opera nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base di alcuni principi;
   la compensazione disposta copre solo parzialmente le risorse incassate dai comuni per il gettito imu complessivo incassato nel 2012, che, ad aliquota standard del 4 per mille, ammontava per il comparto a circa 3,8 miliardi di euro, e, mentre i comuni che hanno già approvato il bilancio di previsione hanno già impegnate, quando non spese, le risorse iscritte in funzione del gettito imu previsto ad inizio anno, i comuni che devono ancora predisporre i bilanci preventivi non hanno ad oggi conoscenza precisa delle risorse che saranno loro a disposizione come ristoro per il mancato incasso dell'imposta municipale propria; questo potrebbe comportare gravi situazioni di squilibrio economico-finanziario, nel caso in cui il rimborso non fosse in linea con le previsioni attese;
   l'articolo 1, comma 380, lettera b), della legge 24 dicembre 2012, n. 228, prevede l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, del fondo di solidarietà comunale, il quale è alimentato con una quota dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, definita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-città ed autonomie locali;
   il citato articolo 1, comma 380, lettera b), della legge n. 228 del 2012 dispone che con il medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabiliti i criteri di formazione e di riparto del fondo di solidarietà comunale, tenendo anche conto per i singoli comuni degli effetti finanziari derivanti dalle disposizioni di cui alle lettere a) ed f) del medesimo comma 380, della definizione dei costi e dei fabbisogni standard, della dimensione demografica e territoriale, della dimensione del gettito dell'imposta municipale propria ad aliquota base di spettanza comunale, della diversa incidenza delle risorse soppresse di cui alla lettera e) sulle risorse complessive per l'anno 2012, delle riduzioni di cui al comma 6 dell'articolo 16 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, dell'esigenza di limitare le variazioni, in aumento ed in diminuzione, delle risorse disponibili ad aliquota base, attraverso l'introduzione di un'appropriata clausola di salvaguardia;
   sono state recentemente comunicate ai comuni le risorse a valere sul fondo sperimentale comunale 2013, determinate sui criteri sopra descritti, e in numerosi enti tali risorse ammontano a zero;
   in numerosi casi, tuttavia, gli enti locali, soprattutto in Veneto, stando a tali quantificazioni, si ritrovano nella paradossale situazione di dover restituire allo Stato risorse, così che, di fatto, il valore del fondo di solidarietà comunale 2013 loro spettante risulta oggi negativo;
   l'articolo 2-bis del decreto-legge n. 102 del 2013 stabilisce come, nelle more di una riforma complessiva della tassazione immobiliare, con riferimento alla seconda rata dell'anno 2013 dell'imu, i comuni possano equiparare all'abitazione principale le abitazioni non di lusso concesse in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado, che le utilizzano come abitazione principale, e a ciascun comune spetta la definizione di criteri e modalità per l'applicazione dell'agevolazione, anche con riferimento al limite dell'indicatore della situazione economica equivalente (isee) al quale subordinare la fruizione del beneficio;
   il comma 2 del provvedimento stabilisce anche il ristoro a favore dei comuni del minor gettito derivante dalla disposizione, nella misura massima di 18,5 milioni di euro per l'anno 2013, e la copertura necessaria è rinvenuta nella riduzione lineare delle dotazioni finanziarie di ciascun Ministero;
   i comuni possono modificare le aliquote di imposta, in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge e comunque entro il termine massimo del 30 novembre, ma, alla luce delle evidenti difficoltà di redigere i bilanci previsionali, peraltro resa più complessa dal fatto che, a fronte della vigente normativa sugli immobili D, il cui gettito da quest'anno sarà interamente riversato nelle casse dell'erario, è presumibile supporre come numerosi enti locali saranno costretti ad aumentare le aliquote su tutto gli altri immobili al fine di compensare il gettito oggi mancante a seguito delle disposizioni dello Stato centrale, determinando così un aumento della pressione fiscale a carico dei cittadini –:
   se non ritenga opportuno, alla luce dell'incertezza relativamente alle risorse economiche a disposizione dell'ente e dell'imminente scadenza del 30 novembre, precisare chiaramente quando verranno comunicate agli enti locali le risorse a valere per l'esercizio 2013 per la compensazione della prevista soppressione della seconda rata imu sull'abitazione principale;
   se si intendano rivedere le metodologie e i criteri con i quali sono state definite le risorse del fondo di solidarietà comunale 2013, in particolar modo verificando i casi di quei comuni che oggi sono nella situazione di restituire parte delle risorse allo Stato;
   se si intendano adottare iniziative normative per garantire il ristoro a favore di quei comuni che hanno equiparato, per il 2013, le abitazioni principali non di lusso concesse in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, precisando, altresì, i criteri e le modalità con i quali si provvederà al riparto di tali risorse.
(2-00310)
«Giancarlo Giorgetti, Busin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(19 novembre 2013)

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'8 novembre 2013 il Consiglio dei ministri ha cominciato l'esame collegato alla legge di stabilità, che delega il Governo ad adottare, entro 9 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, «uno o più decreti legislativi al fine di provvedere al riassetto ed alla codificazione delle disposizioni vigenti in materia di istruzione, università e ricerca»;
   in particolare, per il settore istruzione, le materie oggetto di tale «riassetto» dovrebbero essere il reclutamento del personale, gli organi collegiali, lo stato giuridico e il trattamento economico del personale della scuola;
   per quanto attiene al reclutamento del personale scolastico, sembra che sia nell'intenzione del Ministro interpellato avviarne una riforma organica «anche attraverso il ricorso al corso-concorso per l'accesso all'insegnamento presso le istituzioni scolastiche»; espressione che, tra l'altro, lascia pensare alla volontà di introdurre la cosiddetta «chiamata diretta» degli insegnanti da parte del dirigente scolastico; una via già tentata e non riuscita durante la XVI legislatura nella regione Lombardia e contro cui si è scagliato unanime il dissenso del mondo della scuola, consapevole del rischio per il sistema di istruzione pubblico, di non essere più in grado di garantire il rispetto del principio del merito nella scelta degli insegnanti e di vedere sacrificate anche le logiche del clientelismo locale;
   per quanto riguarda la riforma degli organi collegiali, nella bozza del disegno di legge in questione si parla di «mantenimento delle sole funzioni consultive» ed è, quindi, evidente la volontà di una modifica sostanziale all'attuale normativa con la definitiva rinuncia al principio democratico della collegialità, che, a partire dall'istituzione degli organi collegiali della scuola (decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 416), è stato posto a fondamento irrinunciabile per il buon funzionamento delle nostre istituzioni scolastiche e con il sacrificio definitivo del principio della libertà di insegnamento, garantito dalla Costituzione, ed esercitato in particolare nell'ambito del collegio dei docenti, attraverso la definizione degli obiettivi e delle scelte didattico-educative della scuola;
   per quanto riguarda la riforma dello stato giuridico dei docenti, si vorrebbe intervenire nella «precisa definizione dei rapporti tra le diverse fonti di disciplina pubblicistica e negoziale»; ciò permetterebbe, ad avviso degli interpellanti, con un'operazione di dubbia legittimità, al Governo-legislatore, che è anche, in questo caso, il datore di lavoro, di intervenire, senza alcuna mediazione, sul contratto di lavoro dei propri dipendenti;
   inoltre, la delega vorrebbe intervenire per semplificare una serie di procedimenti in materia finanziaria, di bilancio e controlli, valutazione, organizzazione delle università, contributi universitari, reclutamento dei docenti e ricerca universitaria; per il settore della ricerca, le materie interessate dalla semplificazione dovrebbero essere: il finanziamento, il personale degli enti, la durata del programma nazionale della ricerca e la gestione delle risorse finanziarie;
   appare, quindi, subito evidente che gli argomenti oggetto di questo disegno di legge sono particolarmente delicati e di interesse collettivo; ad avviso degli interpellanti, è pertanto necessario che attorno ad essi venga attivato un costruttivo dibattito fuori e dentro le istituzioni, evitando a tutti i costi intraprendere strade come quelle del trasferimento alla sede legislativa, che, pur del tutto legittime sul piano regolamentare, di fatto rendono meno accessibile l'argomento all'attenzione dell'opinione pubblica;
   il sistema di istruzione italiano ha bisogno di essere adeguatamente rifinanziato per allineare gli investimenti a quelli degli altri Paesi dell'Ocse, prima di qualsiasi altra illusoria riforma a costo zero come quelle degli ultimi Governi (si confrontino le riforme Gelmini della scuola primaria – decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137 – della scuola secondaria di secondo grado – decreti del Presidente della Repubblica n. 88 e n. 89 del 2009) che hanno avuto il deprecabile effetto non solo di sottrarre alla scuola più di 130 mila unità negli organici del personale, ma anche di depotenziare e dequalificare l'intero sistema di istruzione italiano e di farlo piombare in coda alle classifiche internazionali;
   è del 18 novembre 2013 la notizia che, con una nota sintetica, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha fatto sapere che il testo del disegno di legge delega circolata negli ultimi giorni e a cui si fa riferimento è da ritenersi «del tutto superato» –:
   quali siano i motivi che hanno spinto il Ministro interpellato ad affidare tali materie ad un disegno di legge delega, peraltro collegato alla legge di stabilità e pertanto caratterizzato da specifici vincoli procedurali durante il dibattito parlamentare, tradendo in tal modo, ad avviso degli interpellanti, in maniera definitiva le aspettative che il mondo della scuola aveva riposto in questo nuovo Governo e nella sua volontà dichiarata di operare una netta inversione di tendenza rispetto ai precedenti in materia di politica scolastica;
   se il Ministro interpellato non ritenga opportuno precisare quali siano le modifiche che intende apportare, tali da far ritenere «del tutto superata» la bozza di legge delega che è circolata presso gli organi di stampa in questi giorni.
(2-00312)
«Luigi Gallo, Brescia, Simone Valente, Vacca, Di Benedetto, Marzana, D'Uva, Battelli, Chimienti, Rostellato, Tripiedi, Cominardi, Bechis, Rizzetto, Cecconi, Di Vita, Baroni, Dall'Osso, Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Dadone, Nuti, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Toninelli, Cozzolino, D'Ambrosio, Mucci, Di Battista».
(19 novembre 2013)

I)

   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, la necessità di un'analisi puntuale dei meccanismi che incidono sull'andamento della spesa pubblica e l'esigenza di individuare interventi mirati al contenimento e alla sua progressiva riqualificazione sono state più volte al centro dell'attenzione del legislatore, divenendo tema fondamentale della politica finanziaria e di bilancio, reso ancora più stringente alla luce del percorso di consolidamento dei conti pubblici necessario ai fini del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea;
   a fronte delle difficoltà riscontrate nel perseguire un raffreddamento delle dinamiche della spesa pubblica, è emersa la necessità di potenziare il monitoraggio dei flussi di finanza pubblica e di elaborare nuovi strumenti, di carattere più strutturale e selettivo, finalizzati a consentire un più penetrante controllo anche qualitativo della spesa; ed è in questa prospettiva che si colloca l'avvio, sin dalla XV legislatura, di un programma straordinario di analisi e valutazione della spesa, comunemente denominato, sulla base di analoghe esperienze internazionali, «spending review»;
   tale programma – che s'innestava nella cornice di un'estesa riclassificazione in senso funzionale del bilancio dello Stato, articolato in missioni e programmi – veniva fin dall'inizio configurato come uno strumento di programmazione economico-finanziaria, volto a fornire una metodologia sistematica per migliorare sia il processo di decisione delle priorità e di allocazione delle risorse, sia la performance delle amministrazioni pubbliche in termini di economicità, qualità ed efficienza dei servizi offerti ai cittadini;
   tra gli obiettivi sottesi alla spending review vi è quello di superare sia la logica dei tagli lineari alle dotazioni di bilancio, sia il criterio della «spesa storica»;
   nel corso della XVI legislatura, il processo di analisi e revisione della spesa è stato dapprima incorporato e reso permanente nel sistema delle decisioni di bilancio ad opera della nuova legge di contabilità e finanza pubblica, legge n. 196 del 2009, e successivamente rilanciato, anche in ragione delle persistenti esigenze di consolidamento dei conti pubblici, con misure specifiche e nuove modalità operative introdotte in larga parte attraverso provvedimenti d'urgenza;
   la legge n. 196 del 2009 ha previsto l'istituzionalizzazione del processo di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni centrali, attraverso la costituzione di apposite strutture specializzate (nuclei di analisi e valutazione della spesa) e la sua graduale estensione alle altre amministrazioni pubbliche;
   i risultati conseguiti dai nuclei di analisi e valutazione della spesa ed esposti nelle relazioni annuali sono utilizzati ai fini dell'elaborazione del rapporto triennale sulla spesa delle amministrazioni dello Stato – documento di sintesi dell'attività triennale di spending review volto ad illustrare la composizione e l'evoluzione della spesa, i risultati conseguiti con le misure adottate ai fini del suo controllo e quelli relativi al miglioramento del livello di efficienza delle amministrazioni – previsto anch'esso dalla legge di contabilità e presentato alle Camere, per la prima volta, nell'agosto 2012;
   alla normativa in tema di analisi e revisione della spesa si sono affiancati, a partire dall'estate del 2011, specifici interventi legislativi che, oltre ad ampliarne l'ambito di operatività, hanno definito modalità applicative di carattere speciale rispetto alla disciplina generale sopra richiamata, facendo in particolare leva sulla diffusione del metodo dei fabbisogni e dei costi standard utilizzato e sancito sul piano normativo, con rifermento agli enti territoriali, dalla legge delega n. 42 del 2009 di attuazione del federalismo fiscale;
   in particolare, un primo insieme di misure è contenuto nel decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, che ha previsto, a decorrere dall'anno 2012, l'avvio di un ciclo di spending review mirato alla definizione dei fabbisogni standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato. In questa prospettiva, l'attività di analisi e revisione della spesa – affidata al dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze – viene finalizzata a individuare, tra l'altro, le eventuali criticità nella produzione ed erogazione dei servizi pubblici, le possibili duplicazioni di strutture e le strategie di miglioramento dei risultati ottenibili con le risorse disponibili. Per le amministrazioni periferiche dello Stato si prevede, invece, la proposizione di specifiche metodologie per quantificarne i relativi fabbisogni, anche ai fini dell'allocazione delle risorse nell'ambito della loro complessiva dotazione;
   il complesso normativo appena illustrato è stato in seguito integrato da ulteriori disposizioni introdotte dal decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, che ha a sua volta riproposto, seppur con talune modifiche, alcune norme contenute nel precedente decreto-legge n. 98 del 2011;
   in particolare, il decreto-legge n. 138 del 2011, riproponendo, con talune varianti, quanto disposto dal precedente decreto-legge n. 98 del 2011, ha previsto che la Ragioneria generale dello Stato dia inizio, a partire dall'anno 2012, d'intesa con i Ministeri interessati, a un ciclo di spending review mirata alla definizione dei «costi standard» dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato, prevedendo, al contempo, per gli anni 2012 e 2013, una serie di obiettivi di riduzione delle spese relative alle missioni di ciascun Ministero, nonché, per gli anni 2014, 2015 e 2016, di contenimento dell'aumento in termini nominali della spesa primaria del bilancio dello Stato, da realizzare nella misura delle risorse finanziarie discendenti dall'attuazione del citato programma per la riorganizzazione della spesa pubblica e del ciclo di revisione della spesa mirato alla definizione dei costi standard delle amministrazioni centrali;
   un ulteriore filone di interventi in materia di spending review si è registrato nell'ultimo anno della XVI legislatura, anche a seguito della presentazione, in data 30 aprile 2012, del citato rapporto, che ha inteso affrontare il problema della spesa pubblica dal punto di vista delle singole attività, funzioni o organizzazioni nelle quali l'offerta di beni e servizi al cittadino si organizza;
   il rapporto presenta un'analisi del livello e della struttura della spesa pubblica italiana, evidenziando, in particolare, come l'attuale dimensione della spesa e della sua struttura costituisca oggi un «ostacolo ad uno scenario di ripresa ciclica dell'economia». L'importo presumibile della spesa che può essere oggetto di revisione nel breve e lungo termine, la cosiddetta «spesa aggredibile», viene quantificato in circa 295 miliardi di euro;
   pressoché contestualmente alla presentazione del rapporto, il 3 maggio 2012, è stata adottata una direttiva del presidente del Consiglio dei ministri, che ha disciplinato l'attività di revisione della spesa delle amministrazioni centrali da realizzare nell'arco del periodo 1o giugno-31 dicembre 2012, al fine di conseguire un obiettivo di riduzione della spesa indicato in un importo pari a 4,2 miliardi di euro per l'anno 2012;
   la direttiva ha indicato ai dicasteri le linee da seguire per contenere le spese di gestione. Gli interventi enunciati contemplano la riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi, la revisione dei programmi di spesa, il ridimensionamento delle strutture dirigenziali esistenti, la riduzione, anche mediante accorpamento, degli enti strumentali e vigilati e delle società pubbliche, la ricognizione degli immobili pubblici in uso alle pubbliche amministrazioni al fine di possibili dismissioni, nonché la riduzione della spesa per locazioni e l'eliminazione di spese di rappresentanza e per convegni;
   con due appositi provvedimenti d'urgenza si è, dunque, provveduto ad avviare il nuovo ciclo di spending review; in particolare, in una prima fase, con il decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 94 del 2012, recante «Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica», è stata istituito un comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri, al quale è stato attribuito il compito di svolgere attività di indirizzo e di coordinamento, in particolare, in materia di revisione dei programmi di spesa e dei trasferimenti a imprese, razionalizzazione delle attività e dei servizi offerti, ridimensionamento delle strutture, riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, ottimizzazione dell'uso degli immobili e nelle altre materie individuate dalla citata direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 maggio 2012;
   nell'ambito di tale comitato, è stato delegato alla spending review il Ministro per i rapporti con il Parlamento, cui è stato attribuito il coordinamento dell'azione del Governo in materia di programma di Governo e analisi e studio per il riordino della spesa pubblica. Contemporaneamente, è stata prevista la nomina del commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi delle amministrazioni pubbliche, designato dal Governo Monti nella persona di Enrico Bondi (poi dimessosi nel gennaio 2013 e sostituito dal ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio), con il compito di definire per voci di costo il livello di spesa per acquisti di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni, nonché di coordinarne l'attività di approvvigionamento e di assicurarne una riduzione;
   in un secondo momento, con il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», si è proceduto all'adozione di una serie di misure di contenimento e riorganizzazione della spesa pubblica volte a realizzare, per quanto concerne il comparto delle amministrazioni centrali, gli obiettivi indicati nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 maggio 2012, nonché, per ciò che attiene al generale settore della pubblica amministrazione, ad operare una rimozione della spesa per beni e servizi, anche sulla base delle risultanze dell'analisi svolta del commissario straordinario per la spending review;
   il Consiglio dei ministri del 4 ottobre 2013 ha nominato Carlo Cottarelli, già responsabile del dipartimento finanza pubblica del Fondo monetario internazionale, nuovo commissario straordinario per la spending review;
   l'esperienza dei suoi predecessori dimostra che il compito non è affatto semplice: le misure messe in atto hanno infatti raramente inciso sulla spesa pubblica improduttiva. Va anche detto che tali lavori hanno avuto il merito di evidenziare determinati margini di razionalizzazione e di avviare una proficua dialettica con le amministrazioni coinvolte; ad ogni modo, se l'approccio basato sulla partecipazione e il coinvolgimento delle amministrazioni non dovesse produrre i risultati attesi, allora si potrà pensare di procedere con riduzioni di spesa selettive e guidate dai risultati delle evidenze empiriche; il gruppo di lavoro del commissario Bondi ha comunque «censito» circa 60 miliardi di euro dei 136 miliardi di euro destinati all'acquisto di beni e servizi intermedi, e ha riscontrato «eccessi di spesa» nell'ordine del 25-40 per cento (con un record in Sicilia dove è stimato circa il 51,8 per cento di spesa anomala registrata sul totale di tutte le regioni a statuto speciale);
   la spesa pubblica italiana è un unicum mondiale dove, su 807 miliardi di euro totali, oltre 330 miliardi di euro sono destinati a oneri sul debito e a pensioni; la manovrabilità è limitata, ma sulla carta sono aggredibili, in tempi brevi, almeno 100 miliardi di euro; la sanità è il principale imputato perché conta una spesa annua di oltre 106 miliardi di euro (destinati alle regioni) e anche un semplice intervento sui servizi non sanitari, secondo il rapporto del commissario Bondi, avrebbe potuto fruttare 3,2 miliardi di euro solo grazie alla rinegoziazione dei contratti di pulizia, mensa e manutenzione degli ospedali;
   il 1o agosto 2013, la Conferenza Stato-regioni aveva rinviato a settembre, per «necessari approfondimenti tecnici», la discussione del documento del Ministero della Salute, utile per individuare le tre regioni di riferimento per la determinazione del «fabbisogno sanitario standard» (le regioni in lizza per il benchmark sanitario al momento sono cinque, in quest'ordine: Umbria, Marche, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto); ad oggi, però, non risulta essere stata ancora presa alcuna decisione in merito;
   sempre sul tema dei costi standard, è stata effettuata una prima ricognizione relativa ai settori di polizia locale e «amministrazione generale»; si attendeva un ulteriore passo in merito al tema «istruzione» e alle altre funzioni fondamentali, ma ad oggi non ancora arrivati alla loro approvazione definitiva;
   il processo dell'attribuzione di risorse basate sull'individuazione dei fabbisogni standard, finalizzato alla ridefinizione degli assetti e delle potestà fiscali tra amministrazione centrale ed autonomie territoriali, strettamente legato all'intero impianto della spending review, risulta quindi ancora in itinere;
   dopo un susseguirsi pressoché ininterrotto di norme ed interventi di vario genere sopra riportati, spending review e individuazione dei fabbisogni e dei costi standard sono ancora oggi al centro del dibattito. Sembra che il tutto sia ancora in fase di «prova», di «monitoraggio» e fermo, come se non fosse abbastanza chiaro che razionalizzare la spesa pubblica con un processo celere e rigoroso sia un obbligo morale oltre che una necessità contabile e un dovere che si ha nei confronti del nostro Paese;
   considerato il proficuo lavoro fin qui svolto da chi ha esaminato con grande attenzione i comparti e le voci di spesa «aggredibili», è necessaria una presa di posizione da parte del Governo di larghe intese e partire finalmente con tagli reali di spesa improduttiva, con grande «attenzione», ma senza avere il timore di prendere decisioni «coraggiose», non facili, ma comunque indispensabili;
   è fondamentale partire dal presupposto che non è più sostenibile incidere sull'imposizione fiscale e gravare ancora di più su cittadini e imprese; per avviare la ripresa è chiaro che l'unica soluzione sembra essere quella di mettere finalmente il taglio della spesa pubblica al centro dell'impostazione dell'azione di bilancio per il 2014, e fondare l'azione di Governo su decisioni chiare ed effettive in merito ai tagli di spesa aggredibile e improduttiva, e non su aumenti di tasse e accise che sembrano aver caratterizzato questi primi mesi dell'Esecutivo;
   con i risparmi conseguiti si dovrà provvedere al taglio del cuneo fiscale, ovvero meno tasse per imprese e lavoratori, e al taglio in generale della tassazione che oggi grava in maniera spropositata su tutti i cittadini; ad ogni modo, non si dovrà procedere solo con tagli netti, ma anche con un processo generale di revisione delle strutture pubbliche, a partire dalle procedure che le caratterizzano e che spesso sono fonte di inefficienza che incide necessariamente sugli equilibri di bilancio;
   il processo di «tagli» e di «revisione» della spesa e delle strutture pubbliche (anche in tema di dismissioni immobiliari) dovrà seguire criteri di competenza massima e di attenzione, senza però mai perdere di vista l'obiettivo finale, che rimane quello di contenere il complesso della spesa pubblica, favorendo, al contempo, una maggiore qualità della stessa e una allocazione più efficiente delle risorse nella direzione di ridurre la pressione fiscale –:
   quali siano stati, ad oggi, gli effetti concreti delle misure di razionalizzazione e di revisione della spesa messe in atto e riportate in premessa, come il Governo abbia fino ad ora utilizzato i dati forniti dall'analisi svolta del commissario straordinario per la spending review e quali siano stati i tagli di spesa effettivamente conseguiti;
   quali siano stati, ad oggi, i risultati dell'attività di monitoraggio e di revisione dei fabbisogni e dei costi standard delle funzioni e dei servizi resi dalle regioni e dagli enti locali;
   attraverso quali provvedimenti e con quali azioni il Governo intenda assumere le necessarie decisioni in merito al taglio della spesa pubblica, e, in particolare quali siano i risparmi di spesa previsti gli anni 2014, 2015 e 2016 e quali i settori di spesa «aggredibile» su cui intende incidere e per quali cifre, anche sulla base dei dati forniti dalle analisi svolte;
   quali siano i possibili effetti in termini di riduzione della pressione fiscale alla luce dei risparmi di spesa previsti per il prossimo triennio;
   se i prossimi interventi in tema di analisi e revisione della spesa troveranno concreta applicazione attraverso la diffusione del metodo dei fabbisogni e dei costi standard, anche rapportando la perequazione delle risorse destinate agli enti territoriali in base a questi indicatori, superando, quindi, definitivamente il criterio della spesa storica, che alimenta l'inefficienza, favorendo una maggiore qualità della spesa pubblica e un'allocazione più efficiente delle risorse, sempre nella direzione di ridurre la pressione fiscale.
(2-00286) «Gelmini».
(5 novembre 2013)

L)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la Cassa depositi e prestiti è una società per azioni a controllo pubblico che agisce al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione: il Ministero dell'economia e delle finanze detiene l'80,1 per cento del capitale, il 18,4 per cento è posseduto da un gruppo di fondazioni di origine bancaria, il restante 1,5 per cento in azioni proprie;
   la Cassa depositi e prestiti gestisce una parte consistente del risparmio nazionale, il risparmio postale (buoni fruttiferi e libretti), che rappresenta la sua principale fonte di raccolta; inoltre, è azionista di riferimento del Fondo strategico italiano, di Eni spa, Terna spa e Snam spa, possiede il 100 per cento di Sace spa, il 76 per cento di Simest spa, il 100 per cento di Fintecna spa;
   secondo l'articolo 15 dello statuto il consiglio di amministrazione è composto da nove membri, i quali durano in carica per un periodo non superiore a tre esercizi e sono rieleggibili;
   l'articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, nel disciplinare la trasformazione di Cassa depositi e prestiti in società per azioni, al comma 10 dispone che, per l'amministrazione della gestione separata, il consiglio di amministrazione è integrato dai membri, con funzioni di amministratore, indicati alle lettere c), d) ed f) del primo comma dell'articolo 7 della legge 13 maggio 1983, n. 197;
   in particolare, l'articolo 7, comma 1, lettera f), della citata legge n. 197 del 1983 dispone che i rappresentanti delle autonomie locali nel consiglio di amministrazione siano tre esperti in materie finanziarie, scelti da terne presentate dalla Conferenza dei presidenti delle giunte regionali, dall'Unione delle province italiane (Upi), dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) e nominati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, in rappresentanza, rispettivamente, delle regioni, delle province e dei comuni;
   il consiglio di amministrazione attualmente in carica risulta composto per la parte governativa esclusivamente da dirigenti del Ministero dell'economia e delle finanze;
   la composizione dell'attuale consiglio di amministrazione, interamente frutto della designazione del Governo, eccezion fatta per i rappresentanti delle fondazioni bancarie, rischia di mettere in discussione anche la stessa natura giuridica della Cassa depositi e prestiti inquadrata oggi al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione, qualificazione questa che deve essere preservata per evitare che operazioni finanziarie, anche di un certo valore specifico, vengano riclassificate e imputate dentro i saldi di finanza pubblica –:
   quali azioni e con quale tempistica il Governo intenda assumere per integrare il consiglio di amministrazione con i rappresentanti degli enti territoriali;
   se il Governo intenda attivarsi per dare alla Cassa depositi e prestiti un consiglio di amministrazione rappresentativo e qualificato, tale da scongiurare il rischio che la Cassa depositi e prestiti possa essere qualificata come ente pubblico, con la conseguente riclassificazione di tutte le operazioni da essa compiute con lo Stato, a cominciare dagli acquisti di Sace spa e Fintecna spa.
(2-00303)
«Rughetti, Parrini, Fanucci, Morani, Martelli, Coscia, Ginefra, Palese, Rostan, Simoni, Valiante, Rigoni, Gentiloni Silveri, Bobba, Giachetti, Bonifazi, Bressa, Paola Bragantini, Marantelli, Marchetti, Boccia, Giacomelli, Giovanna Sanna, Morassut, Iori, Fedi, Ghizzoni, Fabbri, Marrocu, Nicoletti, Montroni, Pierdomenico Martino, Taranto, Guidesi, Andrea Romano, Marcon, Bazoli, Bonaccorsi, Marco Di Stefano, Fiano, Giorgis, Picierno, Ribaudo».
(15 novembre 2013)

M)

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il 9 novembre 2013 sul sito internet del Ministero dell'economia e delle finanze è stato pubblicato il rapporto sull'aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d'Italia inviato il 23 ottobre 2013, in osservanza a quanto disposto dal comma 10 dell'articolo 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (legge finanziaria 2006);
   la sopra indicata disposizione prevede, infatti, che: «con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, è ridefinito l'assetto proprietario della Banca d'Italia e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici»;
   il medesimo documento, predisposto con l'ausilio di un comitato di esperti, è stato reso noto a seguito di diverse sollecitazioni da parte dell'interpellante, il quale ha in diverse occasioni inoltrato l'invito a fornire delucidazioni sui metodi di calcolo alla base della rivalutazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici;
   l'urgenza e la necessità di acquisire tali importanti indicazioni di politica economica e monetaria erano dettate sia dall'esigenza di valutare, considerata l'attuale fase di congiuntura economica, in tempi rapidi, i criteri e le modalità utilizzate dal predetto comitato, che dalla consistenza dell'effettivo valore delle quote necessarie dal gettito, atteso che poteva essere utilizzato per finanziare alcune delle modifiche alla legge di stabilità per il 2014;
   l'interpellante rileva che a tutt'oggi il capitale della Banca d'Italia ammonta all'anacronistica cifra di 156 mila euro, a fronte di riserve iscritte a bilancio, per il 2012, di 22,6 miliardi di euro, a differenza degli utili netti riportati nello stesso esercizio, che invece ammontano a 2,5 miliardi di euro;
   l'evidente discordanza nei dati contabili ha portato fin dalla primavera del 2013 ad ipotizzare, sulla base dei normali parametri di borsa (price earning e valore di libro), in una chiave assolutamente prudenziale, un valore effettivo del suddetto capitale pari a circa 25 miliardi di euro, ipotizzando un moltiplicatore degli utili di gran lunga inferiore rispetto ai possibili valori di mercato;
   ristabilire le giuste proporzioni non comporterebbe, a giudizio dell'interpellante, soltanto un immediato vantaggio per le finanze pubbliche, dovuto al pagamento, da parte degli azionisti privati, delle imposte per la rivalutazione dei cespiti delle quote di capitale in loro possesso, tassabili al 16 per cento, ma determinerebbe anche un corrispondente aumento del loro patrimonio netto;
   tale operazione risulta, a giudizio dell'interpellante, ulteriormente necessaria, in considerazione del fabbisogno di capitale richiesto, ai fini di una patrimonializzazione delle banche italiane in vista di Basilea III e degli stress-test, che, sotto l'egida del single supervisory mechanism, saranno avviati nel corso del 2014;
   se la rivalutazione dei cespiti delle quote di capitale fosse stata compiuta nei tempi originariamente proposti (prima dell'estate 2013) ne sarebbe derivata un'attenuazione del credit crunch, con immediato beneficio per le famiglie e le imprese, grazie all'allentamento di quella morsa finanziaria che ha contribuito, non poco, a peggiorare la performance dell'economia italiana rispetto al resto dell'eurozona;
   le entrate aggiuntive al bilancio dello Stato, grazie alla rivalutazione dei partecipanti al capitale la Banca d'Italia, avrebbe poi consentito di migliorare l'azione a favore di famiglie e imprese, a partire dall'eliminazione della seconda rata dell'imu;
   nel mese di settembre 2013 è stato nominato dalla Banca d'Italia un comitato di esperti per definire l'effettivo valore del proprio capitale e, quindi, poter procedere al relativo aumento, destinato a scattare, almeno in termini di competenza economica, nel 2014;
   gli effetti derivanti dalla suddetta disposizione introdurranno, a giudizio dell'interpellante, ulteriori ritardi e complicazioni per la gestione della finanza pubblica, in considerazione delle evidenti carenze di adeguate risorse necessarie ad affrontare gli impegni assunti dal Presidente del Consiglio dei ministri, nel corso della presentazione alle Camere del programma di Governo;
   secondo quanto risulta da organi di informazione il suddetto comitato ha terminato i suoi lavori e prodotto un report che sarebbe stato consegnato al Ministro interpellato;
   nel documento conclusivo le ipotesi di rivalutazione indicate dal comitato dei saggi sono ben inferiori alle cifre sopra richiamate e risentono di un metodo di calcolo quanto mai discutibile –:
   per quale ragione, nel valutare i profili complessivi del problema, si sia tenuto solo conto degli aspetti contabili in senso stretto, costruiti su sottostanti ipotesi estremamente restrittive, e senza considerazione alcuna circa i restanti profili – patrimonializzazione del sistema bancario, maggiori entrate per l'erario e altro – che solo una visione più complessiva, pur nel rispetto dello statuto della Banca d'Italia, avrebbe consentito.
(2-00308) «Brunetta».
(19 novembre 2013)