TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 112 di Mercoledì 6 novembre 2013

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   BENEDETTI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza n. 4755 del 2013 del Consiglio di Stato - relativa ad un ricorso presentato dalla Federazione Coldiretti della regione Veneto concernente l'autorizzazione alla costruzione di un impianto fotovoltaico su un'area di circa 120 ettari, insistente su zona territoriale omogenea agricola E2 nel comune di Canaro (Rovigo) – stabilisce che gli impianti fotovoltaici in area agricola possono essere realizzati anche se le norme urbanistiche regionali non lo prevedono;
   in particolare, la sentenza statuisce che sulla normativa locale prevale il principio comunitario dello sviluppo delle energie rinnovabili di cui alla direttiva 2001/77/CE, recepita nell'ordinamento italiano con decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che esplicitamente ammette la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili anche nelle zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici e, quindi, in deroga agli stessi;
   la motivazione dei ricorrenti verteva proprio su una delibera con cui la regione Veneto autorizzava la realizzazione dell'impianto fotovoltaico suddetto, consentendo a coloro, che non sono riconosciuti come imprenditori agricoli, l'edificazione su terreni a destinazione agricola;
   si è evidenziato che l'edificazione dell'impianto interferirebbe con lo sviluppo agricolo dell'area, contravvenendo, in qualche modo, allo stesso articolo 12, comma 7, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che espressamente dispone «che nell'ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale (...)»;
   la sentenza del Consiglio di Stato chiarisce come sia rimessa all'autorità regionale ed agli enti competenti, nell'ambito della conferenza di servizi, ogni valutazione di opportunità di inserimento di un impianto in area agricola; le procedure autorizzative dovrebbero, quindi, essere analizzate nel dettaglio specie per le ricadute dell'impianto non soltanto sul piano paesaggistico, ma anche sul contesto socio-economico e sullo sviluppo rurale;
   il settore primario è l'unico nel nostro Paese che, ancorché in piena crisi economica, registra segnali positivi sia in termini di occupazione che di export di prodotti agroalimentari; nonostante ciò nessun provvedimento a livello centrale è stato sinora attuato al fine di promuovere e valorizzare il settore, ma anzi, attraverso una normativa quale quella ricordata in premessa, a parere degli interroganti, si tende a penalizzare l'agricoltura a favore di impianti per la produzione di energia che potrebbero senza dubbio essere collocati in altri contesti;
   una tale tipologia di intervento, a parere degli interroganti, contribuirebbe certamente al fenomeno del «consumo di suolo» in agricoltura, posto che è noto che negli ultimi 20 anni la cementificazione e l'abbandono hanno sottratto all'agricoltura nazionale circa 5 milioni di ettari (passando da 18 a 13) pari al 28 per cento delle aree coltivate – e cioè la riduzione di superficie agricola per effetto di interventi di impermeabilizzazione, urbanizzazione ed edificazione non connessi all'attività agricola –:
   di quali ulteriori elementi disponga in relazione ai fatti espressi in premessa e se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto dell'autonomia regionale e delle amministrazioni locali, intervenire per tutelare il patrimonio agricolo o a destinazione agricola dal consumo di suolo, in particolare da quello causato dalla realizzazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile, garantendo che la loro installazione, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa comunitaria, non pregiudichi la produzione agricola locale e nazionale, e se non ritenga, altresì, opportuno valutare la possibilità di rivedere la normativa prevista dall'articolo 12, comma 7, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che appare lesiva del patrimonio agricolo italiano. (3-00416)
(5 novembre 2013)

   PASTORELLI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, in attuazione del piano europeo di azione per il settore dell'olio di oliva, la Commissione europea nel mese di marzo 2013 ha adottato il regolamento n. 299, introducendo, per coloro che detengano a fini professionali o commerciali partite d'olio d'oliva, l'obbligo di iscrivere in un apposito registro le entrate e le uscite per ogni singola categoria di oli detenuta;
   dinanzi a tale evoluzione del quadro normativo sovranazionale il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, a quanto risulta all'interrogante, sta provvedendo ad elaborare, previo coinvolgimento della conferenza Stato-regioni, un decreto ministeriale di esecuzione della citata normativa europea. Ed a tal riguardo parrebbe che, secondo la futura disciplina attuativa, saranno soggetti all'obbligo di tenuta di tale registro non solo i frantoiani ed i commercianti d'olio, ma anche gli olivicoltori;
   a ciò si aggiunga che la disciplina nazionale sin dal 1999 (decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1999) prevede per tutti i produttori di oli vergini la tenuta e l'aggiornamento di un fascicolo aziendale, dispensando da tale obbligo solo coloro che producono un quantitativo irrisorio di olio (200 chili);
   la confusione che scaturisce da tale sovrapposizione di registri e fascicoli non incoraggia, ma dissuade i piccoli olivicoltori dal curare i propri oliveti ed i vincoli burocratici troppo stretti certamente comporteranno una produzione e commercializzazione sregolata degli oli italiani;
   è evidente che adeguati controlli fiscali e qualitativi siano necessari e, con riferimento al ruolo di monitoraggio finora svolto dai frantoi oleari, anche suscettibili di espansione, ma per fare ciò la stessa disciplina europea non sembra tutelare adeguatamente gli olivicoltori –:
   se non ritenga di dover chiarire i criteri in base ai quali si darà attuazione alla presente disciplina europea, al fine di rendere meno onerose per i piccoli olivicoltori la coltivazione e la raccolta delle olive, costituendo tale pratica un concreto strumento di presidio e salvaguardia nel territorio italiano. (3-00417)
(5 novembre 2013)

   VIGNALI e COSTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 novembre 2011, n. 180, «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese», è stata salutata come «una rivoluzione copernicana nei rapporti tra Stato e piccole e medie imprese» e prevede che l'intervento pubblico e l'attività della pubblica amministrazione debbano conformarsi alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese, in particolare a quelle giovanili, femminili e innovative, che sono il punto di forza del sistema economico italiano;
   a questo scopo lo statuto, unica traduzione legislativa in Europa dello small business act comunitario, introduce il principio della progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, la «reciprocità dei diritti e dei doveri nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione», la garanzia di un sostegno pubblico «attraverso misure di semplificazione amministrativa da definire in appositi provvedimenti legislativi»;
   occorre ricordare che il Governo Berlusconi ha dato sollecita attuazione allo small business act con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2010 e ha sempre offerto, nel corso del dibattito parlamentare, il suo pieno appoggio alla rapida approvazione della legge n. 180 del 2011;
   in particolare, l'articolo 18 della legge prevede che, entro il 30 giugno di ciascun anno, il Governo debba presentare al Parlamento una «legge annuale per le micro, piccole e medie imprese», volta a definire gli interventi per la tutela e lo sviluppo di queste, le norme per l'immediata riduzione degli oneri burocratici a loro carico, misure di semplificazione amministrativa, deleghe al Governo in materia di tutela e di sviluppo delle micro, piccole e medie imprese. Oltre a questo, al disegno di legge deve essere allegata una relazione:
    a) sullo stato di conformità della normativa vigente in materia di imprese rispetto ai principi e agli obiettivi dello small business act;
    b) sull'attuazione degli interventi programmati;
    c) sulle ulteriori specifiche misure da adottare per favorire la competitività delle micro, piccole e medie imprese, al fine di garantire l'equo sviluppo delle aree sottoutilizzate;
   per la definizione delle legge annuale per le micro, piccole e medie imprese, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 180 del 2011, il Governo è tenuto a consultare il tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria, costituito presso il Garante delle micro, piccole e medie imprese;
   in sede di dichiarazioni programmatiche di Governo il Presidente del Consiglio dei ministri Letta ha considerato centrali gli interventi in favore delle piccole e medie imprese;
   il Ministro interrogato, in occasione dello svolgimento dell'interrogazione a risposta immediata del 30 luglio 2013, ebbe ad affermare in Aula che avrebbe presentato il disegno di legge annuale in Consiglio dei Ministri entro il 30 settembre 2013;
   dedicare alle micro, piccole e medie imprese una sessione parlamentare annuale riveste sia una funzione culturale per sottolineare la centralità delle nostre micro, piccole e medie imprese, sia l'occasione per intervenire con politiche sempre più necessarie alle stesse –:
   quali intenzioni e quali attività abbia in corso il Governo per la definizione della legge annuale sulle micro, piccole e medie imprese, prevista dall'articolo 18 della legge 11 novembre 2011, n. 180. (3-00418)
(5 novembre 2013)

   CASELLATO, PELUFFO, MARTELLA, ZANIN, MAESTRI, GREGORI, MOGNATO, ZARDINI, CASATI, MARCO DI MAIO, ZAMPA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Electrolux, una multinazionale con sede in Svezia e uno dei leader mondiali nel settore degli elettrodomestici e delle apparecchiature per uso professionale, ha recentemente manifestato, in seguito alla contrazione di vendite registratasi sul mercato europeo, l'intenzione di rivedere l'assetto produttivo e occupazionale;
   tale revisione coinvolgerebbe i quattro stabilimenti italiani di Susegana (Treviso), dove si producono frigoriferi a incasso con 1.033 addetti, Porcia (Pordenone), dove si producono lavatrici e lavorano 1.160 addetti, Forlì, dove sono occupate 800 unità e si producono piani cottura e forni, e Solaro (Milano), dove si producono lavastoviglie con 912 addetti;
   l'amministratore delegato del gruppo ha annunciato che sarà lanciata un'indagine di competitività sulle quattro fabbriche, con il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, per verificare la sostenibilità delle produzioni che si realizzano in Italia, la competitività dei singoli stabilimenti, l'andamento delle varie produzioni, il raffronto tra volumi prodotti e volumi venduti, il trend dei prezzi e confronto con le spese, chiarendo che ciò potrà significare il mantenimento, il ridimensionamento o la chiusura degli stabilimenti;
   i dirigenti della Electrolux hanno dichiarato alle organizzazioni sindacali che il costo orario del lavoro sarebbe di ventiquattro euro in Italia e circa sei o sette euro in Polonia; da qui il necessario trasferimento delle produzioni;
   la Electrolux ha, inoltre, dichiarato la volontà di delocalizzare nell'Europa dell'Est, tra Polonia e Ungheria, una parte considerevole della sua produzione: questo porterebbe rapidamente all'esubero di 140 operai a Susegana (Treviso), 46 a Porcia (Pordenone), 25 a Forlì, 75 a Solaro (Milano) e di 200 unità tra gli impiegati;
   la produzione di lavabiancheria per il mercato di massa basata sulla piattaforma Prometeo sarà completamente realizzata a Olawa, Polonia (finora a Porcia); la produzione di frigoriferi basata sulla Cairo 3 sarà realizzata a Jàszberény, Ungheria (finora a Susegana); la produzione di lavastoviglie da 45 centimetri sarà realizzata a Zarow, Polonia (finora a Solaro). Per la sede di Susegana, nel trevigiano, ciò si tradurrà nello spostamento della produzione di 158.000 pezzi, a fronte dei 700.000 complessivamente annunciati all'inizio del 2013, un anno, questo, peraltro caratterizzato dalla positiva risposta del mercato, soprattutto grazie alle commesse Ikea e Aeg;
   nel complesso, l'impatto delle decisioni annunciate sulle fabbriche e nel settore impiegatizio rischia di produrre da subito 461 esuberi in aggiunta ai 1.200 esuberi (oggi 1.100 per effetto delle dimissioni incentivate) affrontati con il ricorso alla solidarietà nell'accordo del 22 marzo 2013 e di determinare la perdita di migliaia di posti di lavoro nell'indotto;
   le organizzazioni sindacali hanno proclamato 16 ore di sciopero in tutti gli stabilimenti del gruppo, da effettuarsi entro venerdì 8 novembre 2013, e richiesto il coinvolgimento dei presidenti di regione e delle istituzioni locali per illustrare la gravissima situazione che le decisioni di Electrolux determinano sul tessuto sociale –:
   se il Ministro interrogato intenda convocare urgentemente tutti i soggetti coinvolti per una disamina della vicenda Electrolux, al fine di individuare i possibili interventi e le strategie di politica industriale che consentano nel medio-lungo periodo il rilancio della produzione della multinazionale svedese in Italia e prevenire le ricadute sociali e occupazionali sul comparto lavorativo afferente al settore industriale interessato. (3-00419)
(5 novembre 2013)

   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giacimenti petroliferi della Val d'Agri si realizza l'80 per cento della produzione nazionale di idrocarburi su terraferma (on-shore), che copre il dieci per cento del fabbisogno energetico nazionale;
   la strategia energetica nazionale annovera la Basilicata come snodo strategico della politica energetica italiana, la quale mira alla massimizzazione della resa di ogni concessione mineraria, in particolar modo per la Basilicata, che, stando agli operatori del settore, potrebbe raggiungere una produzione massima di 200 mila barili giornalieri;
   il comma 1 dell'articolo 16 del cosiddetto decreto liberalizzazioni (decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1) prevede che, «al fine di favorire nuovi investimenti di ricerca e sviluppo delle risorse energetiche nazionali strategiche di idrocarburi nel rispetto del dettato dell'articolo 117 della Costituzione, dei principi di precauzione, di sicurezza per la salute dei cittadini e di tutela della qualità ambientale e paesistica, di rispetto degli equilibri naturali terrestri e acquatici, secondo i migliori e più avanzati standard internazionali di qualità e sicurezza e con l'impiego delle migliori tecnologie disponibili, garantendo maggiori entrate erariali per lo Stato», sarà emanato un decreto ministeriale, di concerto tra il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, atto a definire le modalità per individuare le maggiori entrate effettivamente realizzate e le modalità di destinazione di una quota di tali maggiori entrate per lo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi e dei territori limitrofi;
   il decreto ministeriale di attuazione è stato emanato il 12 settembre 2013 e reca, in primo luogo, l'istituzione di un fondo alimentato da una quota dell'ires versata dai soggetti che svolgano attività di coltivazione relative a progetti di sviluppo, sulla base di concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma;
   i successivi articoli 2 e 3 del decreto ministeriale prevedono che tale fondo sia destinato a finanziare interventi per lo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi e dei territori limitrofi, nonché al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo regionale, provinciale o locale, «aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi di consistenza progettuale ovvero realizzativa tra loro funzionalmente connessi, in relazione a obiettivi e risultati quantificabili e misurabili, anche per quanto attiene al profilo temporale»;
   sia rispetto all'aumento delle attività petrolifere, sia rispetto alle attività che la relazione di accompagnamento all'articolo 16 del citato decreto-legge definisce come «altre attività di sfruttamento del territorio, generalmente di minore valore economico ma fortemente radicate, e che generano occupazione», appare necessario effettuare una verifica della compatibilità degli interventi, in primo luogo sotto il profilo dell'esposizione ai rischi ambientali, sismici e sanitari cui è esposta la popolazione residente in Basilicata e, in secondo luogo, rispetto all'impatto in termini occupazionali e di ricadute sul tessuto produttivo lucano –:
   se siano state effettuate delle verifiche nel senso di cui in premessa e, se del caso, quali ne siano state le risultanze, nonché a quale organismo spetterà la verifica della connessione funzionale tra gli interventi proposti a finanziamento ai sensi del citato decreto ministeriale e secondo quali criteri tale valutazione sarà effettuata. (3-00420)
(5 novembre 2013)

   PIAZZONI, ZAN, NICCHI, ZARATTI, AIELLO, PELLEGRINO, MIGLIORE, AIRAUDO, NARDI e DI SALVO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese ormai circa il 78 per cento delle famiglie è proprietario di case, ma nonostante questo nelle grandi aree urbane l'emergenza abitativa è sempre più forte;
   l'Italia è purtroppo il Paese che porta la maglia nera nella produzione di edilizia residenziale pubblica, di edilizia a fini sociali, che corrisponde a circa l'1 per cento della produzione edilizia totale;
   peraltro, la crisi economica e sociale sta aggravando in maniera insostenibile l'emergenza abitativa: oltre 430.000 famiglie in difficoltà con il pagamento dei mutui; circa 70 mila sentenze di sfratto l'anno, di cui quasi il 90 per cento sono per morosità. Una situazione di vero allarme sociale che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane. Un'emergenza che coinvolge anche migliaia di famiglie che occupano le case degli enti previdenziali;
   a seguito delle manifestazioni di protesta del 19 ottobre 2013 – a cui è seguita la manifestazione del 31 ottobre 2013 in occasione della conferenza Stato-regioni proprio sul tema – il Ministro interrogato ha incontrato i sindacati, i movimenti e i rappresentanti degli inquilini e ha annunciato un provvedimento urgente del Governo per un nuovo «piano casa», in grado di dare alcune prime risposte alle emergenze abitative e che dovrebbe prevedere stanziamenti per fondi di sostegno agli affitti;
   accanto a questi interventi necessari e a quelli che si spera vengano inseriti, a partire dall'avvio di una ricognizione del patrimonio abitativo sfitto o inutilizzato e alla messa a disposizione di tale patrimonio per i comuni, è, però, indispensabile intervenire immediatamente per dare una prima efficace risposta all'emergenza e alla disperazione di molte famiglie;
   vale, peraltro, la pena sottolineare che attualmente sono tra i 20 mila e i 30 mila gli alloggi di edilizia residenziale pubblica non assegnabili perché necessitano di essere risanati e che potrebbero essere recuperati;
   le risorse, che possono essere liberate per dare una prima significativa risposta all'emergenza abitativa, sono rinvenibili sia dai fondi Gescal ancora disponibili, la cui cifra si aggirerebbe intorno al miliardo di euro, che dai ben più consistenti fondi europei che possono essere dirottati verso le politiche abitative –:
   se non intenda, alla luce dell'allarmante emergenza abitativa e alla conseguente necessità di intervenire con provvedimenti tampone immediati ed efficaci, adottare iniziative volte a prevedere una moratoria immediata degli sfratti, a cominciare dalle categorie più disagiate, nonché il blocco degli sfratti per gli alloggi di proprietà degli enti pubblici e privatizzati, in attesa che si proceda al riordino normativo delle dismissioni degli immobili di questi ultimi e in attesa che diventino operativi i provvedimenti annunciati.
(3-00421)
(5 novembre 2013)

   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, rubricato «Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive» (cosiddetta legge obiettivo), così come modificato dall'articolo 13 della legge 1o agosto 2002, n. 166, al comma 1, dispone che «il Governo, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, individua le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi e strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese»;
   il medesimo articolo 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001 dispone che l'individuazione di dette infrastrutture sia operata a mezzo di un programma predisposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa coi Ministeri competenti e le regioni interessate, e poi inserito nel documento di programmazione economica e finanziaria con l'indicazione degli stanziamenti necessari per la loro realizzazione;
   nella seduta del 21 dicembre 2001 il Cipe ha approvato il primo programma delle infrastrutture strategiche e le infrastrutture interessanti il territorio della regione Campania ivi comprese e la relativa previsione di spesa;
   il sopra richiamato articolo 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001 dispone che «gli interventi previsti dal programma sono compresi in un'intesa generale quadro avente validità pluriennale tra il Governo e ogni singola regione, al fine del congiunto coordinamento e realizzazione delle opere»;
   il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, alla parte II, titolo III, capo IV, detta la disciplina relativa alla progettazione, approvazione dei progetti, procedure di aggiudicazione e realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, individuate a mezzo del programma di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e, all'articolo 256, comma 1, dispone l'abrogazione del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190;
   nel primo atto integrativo all'intesa generale quadro, firmato in data 1o agosto 2008 tra Governo e regione Campania, è stata inserita l'opera infrastrutturale ferroviaria Napoli-Bari tra gli interventi strategici di preminente interesse nazionale;
   nell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza contenente il 9o programma delle infrastrutture strategiche è inserito l'intervento denominato «Linea AV/AC Napoli-Bari – completamento e raddoppio Napoli-Cancello-Frasso Telesino-Apice-Orsara»;
   nel piano nazionale per il Sud, approvato con delibera Cipe n. 62 del 2011, sono confluite le principali opere localizzate nel Mezzogiorno, con caratteristiche di preminente interesse nazionale, tra cui la direttrice ferroviaria Napoli-Bari-Lecce-Taranto;
   il 14 maggio del 2012 la regione Campania ha pubblicato sul Bollettino ufficiale n. 35 il testo della delibera della giunta n. 87, adottata il 6 marzo 2012, recante «Approvazione dello schema di protocollo di intesa tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero per la coesione territoriale, regione Campania e Rete ferroviaria italiana spa per il congiunto coordinamento ai fini della direttrice ferroviaria Napoli-Bari»;
   dall'attenta lettura di tale protocollo di intesa si evince che la regione Campania ha proposto, in relazione alla tratta «Apice-Orsara», di tornare alla prima soluzione, ovvero un tracciato diretto, in massima parte interrato, al fine di ridurre i tempi di percorrenza, i costi ed i tempi di realizzazione;
   tale soluzione determinerebbe l'esclusione dell'Irpinia dal tracciato dell'alta capacità e il conseguente venir meno dei presupposti per la realizzazione di una prevista piattaforma logistica nel territorio del comune di Grottaminarda;
   il 7 giugno del 2012, rispondendo ad un'interrogazione parlamentare, il Ministro per i rapporti con il Parlamento pro tempore ha confermato che la regione Campania ha ufficialmente espresso l'esigenza di rivedere, per la tratta Apice-Orsara, il progetto in istruttoria presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per ritornare alla soluzione progettuale che era originariamente stata ipotizzata da Rete ferroviaria italiana spa –:
   quali siano le intenzioni del Governo in merito alla definizione del tracciato dell'alta capacità «Apice-Orsara» o se il Ministro interrogato intenda confermare quanto già annunciato dal precedente Governo nella persona del Ministro per i rapporti con il Parlamento pro tempore. (3-00422)
(5 novembre 2013)

   SOTTANELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della programmazione finanziaria pluriennale per il periodo 2014-2020, la Commissione europea ha annunciato la creazione di un nuovo strumento denominato «Meccanismo per collegare l'Europa» che sosterrà le infrastrutture aventi una dimensione europea e a livello del mercato unico, indirizzando il sostegno dell'Unione europea alle reti prioritarie che devono essere realizzate entro il 2020 e per le quali si giustifica maggiormente un'iniziativa a livello europeo;
   tale strumento disporrà di una dotazione di 50 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, di cui saranno assegnati al settore dei trasporti 31,7 miliardi, 10 miliardi dei quali specificamente destinati ad investimenti in infrastrutture collegati ai trasporti ammissibili nell'ambito del fondo di coesione. Assieme al «Meccanismo per collegare l'Europa», sono stabilite le priorità per il finanziamento europeo delle infrastrutture di trasporto;
   la realizzazione della linea alta velocità/alta capacità sull'intera dorsale adriatica è indubbiamente riconducibile alla strategia della macroregione adriatico-ionica, la quale rappresenta senz'altro un'opportunità per il nostro Paese di prendere parte a quel grande processo di coesione europeo già avviato con successo in Europa con l'approvazione delle strategie macroregionali del Danubio e del Baltico, quali strumenti innovativi per le politiche di coesione e cooperazione territoriale tra Stati e regioni ai fini del conseguimento di obiettivi comuni di sviluppo;
   l'Abruzzo è la regione più penalizzata tra quelle dell'area adriatica dalla mancanza dell'alta velocità, visto che dal 15 dicembre 2013 Ntv avvierà il servizio di alta velocità nella tratta Milano-Ancona, mentre la tratta più a sud, tra Bari e Foggia, risulta già inserita nei piani finanziari dell'alta velocità e dal 2016 dovrebbe essere fruibile l'alta capacità sulla tratta Foggia-Napoli-Roma-Milano;
   i cittadini abruzzesi risultano gravemente penalizzati dalla mancanza di un'adeguata infrastruttura per l'alta velocità, che impedisce, di fatto, non solo un trasporto ferroviario migliore, ma anche una concorrenza in termini di tariffe ferroviarie lungo la tratta Ancona-Lecce tra Trenitalia ed altri gestori;
   la mancanza di infrastrutture per l'alta velocità lungo la dorsale adriatica determina un notevole aumento dei tempi di percorrenza e un aggravio dei costi dei biglietti ferroviari per i cittadini abruzzesi, rispetto a coloro che viaggiano lungo le linee coperte dall'alta velocità e già servite da tutti gli operatori del settore in regime di concorrenza;
   l'intero sistema ferroviario abruzzese è caratterizzato da grave deficit infrastrutturale, gestionale ed organizzativo, che produce una bassa qualità del servizio offerto e gravi disagi per gli utenti, non solo lungo la direttrice adriatica, ma anche nell'interno, in particolare nel collegamento strategico tra la città di Pescara e Roma, che attualmente necessita di quattro ore di viaggio;
   la velocizzazione dei tempi di percorrenza lungo la tratta ferroviaria tra Pescara e Roma permetterebbe lo sviluppo dell'aeroporto d'Abruzzo situato nell’hinterland pescarese, garantendo un ulteriore sbocco per il traffico aereo proveniente da e verso la capitale –:
   quali misure intenda adottare per garantire un'adeguata programmazione in favore di progetti indirizzati all'ammodernamento della linea ferroviaria della dorsale adriatica e su tutto il territorio abruzzese, anche in considerazione della programmazione delle risorse dell'Unione europea per il periodo 2014-2020 nel quadro delle grandi reti transeuropee, nonché in vista della prossima approvazione della strategia macroregionale adriatico-ionica.
(3-00423)
(5 novembre 2013)