TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 93 di Mercoledì 9 ottobre 2013

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI UTILIZZO DI ALCUNE TIPOLOGIE DI COMBUSTIBILI SOLIDI SECONDARI NEI FORNI DEI CEMENTIFICI

   La Camera,
   premesso che:
    il 14 marzo 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22, «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni»;
    di fatto, il citato decreto istituzionalizza l'incenerimento dei combustibili solidi secondari nei forni dei cementifici, introducendo l'espediente della «dichiarazione di conformità» (articolo 4 del citato decreto ministeriale) che permetterebbe ai combustibili solidi secondari di «cessare di essere considerati rifiuti»;
    appena tre giorni prima della pubblicazione del decreto, l'11 febbraio 2013, la VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati aveva dato parere contrario allo «Schema di Decreto del Presidente della Repubblica concernente il Regolamento recante disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime dell'autorizzazione integrata ambientale, ai sensi dell'articolo 214, comma 11, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni»;
    il citato schema di decreto del Presidente della Repubblica prevedeva «l'utilizzo dei CSS (...) in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, negli impianti di produzione di cemento a ciclo completo» (articolo 1);
    durante il dibattito sul citato schema di decreto del Presidente della Repubblica è emerso come «lo schema di provvedimento sia stato predisposto da oltre un anno e che nessuna ragione può essere addotta per giustificare la presentazione alle Camere soltanto al momento della conclusione della legislatura» e sono state espresse forti critiche «alle politiche perseguite dal Ministero dell'Ambiente e dal Governo nel suo complesso, le quali hanno sistematicamente eluso la questione della costruzione di un moderno ed efficace sistema di controlli ambientali»;
    la VIII Commissione della Camera dei deputati, nell'esprimere il proprio parere contrario, ha ribadito la necessità di «svolgere un approfondimento con adeguate forme di consultazione», ha espresso una chiara preoccupazione per «la rilevanza delle conseguenze del provvedimento sul funzionamento del sistema dei cementifici e della tutela ambientale e della gestione dei rifiuti», ha ritenuto «indispensabile il coinvolgimento delle Regioni» e ha chiesto di rinviare «alla prossima legislatura l'adozione del provvedimento in questione»;
    lo schema di decreto era stato proposto come regolamento di delegificazione ai sensi dell'articolo 17, secondo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attività di Governo», così come previsto dall'articolo 214, comma 11, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» e il parere negativo espresso in materia nella competente sede parlamentare avrebbe dovuto indurre il Governo a sospendere l'emanazione del citato decreto ministeriale n. 22 del 2013, atto regolamentare di rango inferiore;
    l'operato del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Clini, espressione di un Governo dimissionario, che avrebbe dovuto occuparsi unicamente di questioni ordinarie, non sembra ai firmatari del presente atto di indirizzo conforme né al chiaro indirizzo espresso nelle sedi parlamentari, né alle indicazioni espresse a livello comunitario; infatti, le sue manovre tendono esplicitamente verso la chiusura del ciclo dei rifiuti con la combustione (l'incenerimento nei cementifici) in netto contrasto con la risoluzione del Parlamento europeo P7–TA(2012)0223, adottata il 24 maggio 2012: la destinazione dei rifiuti all'incenerimento, ancorché con recupero di energia, è contraria alla citata risoluzione che, invece, propende per l'individuazione di una gerarchia dei rifiuti con l'obiettivo, entro il prossimo decennio, del definitivo abbandono delle pratiche di incenerimento di materie recuperabili;
    nella parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, relativa alla gestione dei rifiuti, l'articolo 179 stabilisce i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti in due ordini di interventi distinti, al quinto e sesto comma: «5. Le pubbliche amministrazioni perseguono, nell'esercizio delle rispettive competenze, iniziative dirette a favorire il rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti di cui al comma 1 in particolare mediante:
     a) la promozione dello sviluppo di tecnologie pulite, che permettano un uso più razionale e un maggiore risparmio di risorse naturali;
     b) la promozione della messa a punto tecnica e dell'immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità o la nocività dei rifiuti e i rischi di inquinamento;
     c) la promozione dello sviluppo di tecniche appropriate per l'eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti al fine di favorirne il recupero;
     d) la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti e di sostanze e oggetti prodotti, anche solo in parte, con materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi;
     e) l'impiego dei rifiuti per la produzione di combustibili e il successivo utilizzo e, più in generale, l'impiego dei rifiuti come altro mezzo per produrre energia.

  6. Nel rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio o ogni altra operazione di recupero di materia sono adottate con priorità rispetto all'uso dei rifiuti come fonte di energia»;
    la sopracitata gerarchia degli interventi prevede, all'esaurimento di tutte le opzioni alternative disponibili, la possibilità di contemplare i «rifiuti come fonte di energia», stabilendo, altresì, una ben definita consequenzialità delle azioni e delle misure che devono essere messe in campo dalla pubblica amministrazione; inoltre, le misure di cui al secondo comma sono specificatamente subordinate in maniera vincolante all'adozione delle prioritarie misure di cui al primo comma;
    le proposte politiche devono, quindi, essere finalizzate alla transizione dal concetto di rifiuto a quello di risorsa, che preveda una progressiva riduzione della quantità di rifiuti prodotti e una concreta azione di riutilizzo della materia attraverso trattamenti a freddo, pratica prontamente più sostenibile, economicamente vantaggiosa e orientata al bene comune di quanto sia qualunque scelta che comporti forme di incentivo alla combustione;
    nel testo del citato decreto ministeriale viene dichiarata l'intenzione di ottenere un elevato livello di protezione ambientale, mentre, al contrario, la letteratura scientifica internazionale conferma ogni giorno l'evidenza degli effetti nocivi e tossici della pratica dell'incenerimento dei rifiuti o loro derivati;
    la combustione di rifiuti nei cementifici comporta una variazione della tipologia emissiva di questi impianti, in particolare in merito all'emissione di diossine, composti organici clorurati e metalli pesanti; la produzione di diossine è direttamente proporzionale alla quantità di rifiuti bruciati;
    riguardo alle diossine, evidenze scientifiche dimostrano che – a differenza di quanto prospettano i sostenitori della combustione dei combustibili solidi secondari, secondo i quali le alte temperature dei cementifici diminuirebbero o addirittura eliminerebbero le emissioni di queste sostanze altamente nocive –, sebbene le molecole di diossina abbiano un punto di rottura del loro legame a temperature superiori a 850o C, durante le fasi di raffreddamento (nella parte finale del ciclo produttivo) esse si riaggregano e si riformano; inoltre, considerata la particolarità chimica delle diossine (inquinanti liposolubili, persistenti per decenni nell'ambiente e nei tessuti biologici, dove si accumulano nel tempo), l'eventuale riduzione quantitativa della concentrazione di diossine nelle emissioni dei cementifici sarebbe abbondantemente compensata dall'elevato volume emissivo tipico di questi impianti;
    è stato dimostrato che la combustione di combustibili solidi secondari nei cementifici causa un significativo incremento delle emissioni di metalli pesanti, in particolare mercurio, enormemente pericolosi per la salute umana;
    secondo i calcoli effettuati nell'ambito delle ricerche scientifiche, la combustione di una tonnellata di combustibili solidi secondari in un cementificio in sostituzione parziale di combustibili fossili causa un incremento di: 421 milligrammi nelle emissioni di mercurio, 4,1 milligrammi in quelle di piombo, 1,1 milligrammi in riferimento al cadmio; ulteriori particolari criticità dovute alla tipologia di rifiuti bruciati sono state riportate in merito alle emissioni di piombo;
    l'utilizzo dei combustibili solidi secondari in cementifici prevede l'inglobamento delle ceneri tossiche prodotte dalla combustione dei rifiuti, di solito smaltite in discariche per rifiuti speciali pericolosi, nel clinker da cemento prodotto; questo comporta rischi potenziali per la salute dei lavoratori e possibili rischi ambientali per l'eventuale rilascio nell'ambiente di sostanze tossiche; inoltre, le caratteristiche fisiche del cemento potrebbero essere alterate dalla presenza di scorie da combustione in modo tale da non renderlo universalmente utilizzabile;
    molte perplessità derivano dalle modalità con le quali il Governo ha varato la norma che consente l'utilizzo dei rifiuti come combustibili nei cementifici;
    il decreto ministeriale è stato approvato, come si è visto, dopo il parere contrario della VIII Commissione parlamentare della Camera dei deputati allo schema di decreto del Presidente della Repubblica per la disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari dell'11 gennaio 2013;
    in sostanza il decreto ministeriale, pur attraverso una formulazione differente, ha lo stesso obiettivo dello schema di decreto del Presidente della Repubblica «bocciato» in Parlamento: promuovere, come afferma la stessa premessa del decreto, «la produzione e l'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS) da utilizzare, a determinate condizioni, in sostituzione di combustibili convenzionali»;
    se nel primo schema di decreto si punta a convertire i cementifici in inceneritori con l'obiettivo di bruciare rifiuti per produrre energia, nel secondo decreto ministeriale del 14 febbraio 2013 si pone la questione della trasformazione di alcuni rifiuti, compresi quelli speciali, sulla base della classificazione di cui all'articolo 184 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in combustibili solidi secondari, sottraendoli pertanto alla disciplina normativa sui rifiuti;
    secondo quanto disposto dall'articolo 13, primo comma, del citato decreto ministeriale n. 22 del 2013, «l'utilizzo (...) di CSS (...) è consentito esclusivamente negli impianti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere b) e c) – cementifici e centrali termoelettriche – ai fini della produzione, rispettivamente, di energia termica o di energia elettrica»; mentre al secondo comma si afferma che «l'utilizzo del CSS-Combustibile (...) è soggetto al rispetto delle pertinenti disposizioni del decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, applicabili al coincenerimento»; in sostanza, dalla lettura del combinato disposto dei citati atti normativi, emerge chiaramente la volontà di trasformare in modo strutturale i rifiuti prodotti in fonte energetica;
    l'orientamento assunto dall'Esecutivo contravviene, pertanto, le indicazioni date dalla direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008, la quale, al punto 6 della premessa, afferma: «L'obiettivo principale di qualsiasi politica in materia di rifiuti dovrebbe essere di ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l'ambiente. La politica in materia di rifiuti dovrebbe altresì puntare a ridurre l'uso di risorse e promuovere l'applicazione pratica della gerarchia dei rifiuti»; la gerarchia dei rifiuti è definita dall'articolo 4: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento;
    appare, altresì, preoccupante e discutibile che un Governo dimissionario abbia affidato ad un semplice decreto ministeriale l'attribuzione ai produttori stessi di combustibili solidi secondari della possibilità di emettere la dichiarazione di conformità (allegato 4 del decreto ministeriale di cui sopra), con l'evidente esposizione al rischio dell'avvio di una procedura di infrazione comunitaria;
    forti perplessità emergono dall'ipotetica possibilità di rimettere sul mercato, anche comunitario, i «prodotti combustibili solidi secondari» senza tenere conto degli enormi costi ambientali e della probabile inefficienza, sotto il profilo energetico e ambientale, del trasporto – evidentemente su gomma – di questa fonte di energia;
    i cementifici sono impianti industriali altamente inquinanti e l'utilizzo di combustibili solidi secondari come combustibile permetterebbe, di fatto, l'innalzamento – da due a nove volte – dei limiti di emissione rispetto ai valori fissati per gli inceneritori;
    considerando solo gli ossidi di azoto, per un inceneritore il limite di legge è 200 mg/Nmc, mentre per un cementificio è tra 500 e 1800 mg/Nmc; inoltre, un cementificio produce di solito almeno il triplo di anidride carbonica rispetto ad un inceneritore classico, mentre la lieve riduzione dei gas serra ottenuta dalla sostituzione parziale dei combustibili fossili con rifiuti ridurrebbe le emissioni dei cementifici in maniera scarsamente significativa, considerata l'abnorme produzione annua di anidride carbonica da parte di questi impianti che, secondo i dati del Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (PRTR) ammonta in Italia a circa 21.237.000 tonnellate l'anno; basta un piccolo aumento della capacità produttiva dei singoli impianti per recuperare abbondantemente la quantità di gas serra «risparmiata» dalla sostituzione parziale dei combustibili fossili con i rifiuti; questi ultimi, infatti, sono per gli imprenditori del cemento economicamente molto più vantaggiosi dei combustibili tradizionali e, dunque, agirebbero da concreto incentivo all'aumento della produzione;
    le emissioni di inquinanti gassosi da parte dei cementifici-inceneritori rimarrebbero molto più alte di quelle degli inceneritori; nel caso dei microinquinanti (metalli pesanti e diossine), a parità di concentrazioni nei fumi, i cementifici-inceneritori emettono volumi di fumi enormemente maggiori rispetto agli inceneritori classici; poiché la quantità assoluta di diossine e metalli pesanti è proporzionale sia alla quantità di rifiuti bruciati che al volume di fumi emessi, i cementifici-inceneritori, pur rispettando la parità di concentrazione espressa dai limiti di legge, emettono quantità assolute di microinquinanti (non biodegradabili e persistenti nell'ambiente) enormemente maggiori rispetto agli inceneritori classici; l'incenerimento di rifiuti varia, inoltre, la tipologia emissiva dei cementifici, creando in particolare criticità aggiuntive soprattutto per i metalli pesanti (principalmente piombo, arsenico e mercurio);
    del resto, da un punto di vista squisitamente comparativo, i limiti di emissione di inquinanti in atmosfera previsti per i cementifici (impianti di co-incenerimento) sono più alti rispetto a quelli previsti per i normali impianti di incenerimento; per le polveri totali il limite giornaliero dei cementifici è di 30 mg/m3 contro i 10 mg/m3 degli inceneritori, mentre per gli ossidi di azoto i limite è di 800 mg/m3 per gli impianti esistenti, di 500 mg/m3 per quelli nuovi, a fronte del limite di 200 mg/m3 degli inceneritori;
    inoltre, gli inceneritori devono rispettare per legge medie di emissioni giornaliere e semiorarie, mentre per i cementifici l'unico limite da rispettare è quello giornaliero, all'interno del quale è possibile «spalmare» la presenza di eventuali picchi emissivi;
    l'Italia ha il maggior numero di cementifici in Europa (i quali sono per una gran parte «conglobati» nel tessuto della città); inoltre, come ampiamente dimostrato, la combustione di rifiuti «per se» rappresenta un enorme disincentivo alle «buone pratiche» (riduzione, riuso, riciclo e riduzione della produzione dei rifiuti); l'Italia è, ad oggi, il terzo Paese europeo per numero di inceneritori operativi; la strategia di azione avviata dal Governo Monti raddoppierebbe, potenzialmente, il quantitativo di rifiuti avviati all'incenerimento in Italia, rendendo immediatamente disponibili all'incenerimento dei combustibili solidi secondari molti impianti su tutto il territorio nazionale, portando l'Italia al primo posto in Europa per incenerimenti di rifiuti e contravvenendo alle più recenti direttive europee, che chiedono agli Stati membri l'abbandono dell'incenerimento nel prossimo decennio,

impegna il Governo:

   ad avviare, in coerenza con le indicazioni presenti nel parere della VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati citato in premessa, i necessari approfondimenti per valutare sia le possibili conseguenze, sul piano ambientale e sanitario, della scelta di consentire ai cementifici l'incenerimento dei cosiddetti combustibili solidi secondari, sia l'opportunità di un iter procedurale fortemente semplificato nonostante l'oggettiva complessità della questione;
   a realizzare una moratoria e a sospendere, fin da ora, ogni atto che vada nella direzione di consentire la «riconversione» dei cementifici in inceneritori, onde evitare che aziende ed imprese investano in un settore che potrebbe dimostrarsi incompatibile con l'esigenza di garantire la tutela della salute e dell'ambiente;
   a promuovere studi scientifici sulle effettive emissioni di sostanze inquinanti derivanti dall'uso dei rifiuti come combustibili, che tengano conto non solo del funzionamento degli impianti a regime e in condizioni di massima sicurezza, ma dei possibili rischi derivanti da malfunzionamenti o errori in fase di gestione;
   ad adottare, sempre ed in ogni caso, il principio di precauzione, così come previsto dall'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, evitando di esporre inutilmente le popolazioni che abitano in prossimità dei cementifici ad ulteriori pericoli per la propria salute.
(1-00030) «Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Segoni, Terzoni, Tofalo, Zolezzi, Alberti, Basilio, Nesci».
(7 maggio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    nei mesi di gennaio e febbraio del 2013, a Camere ormai sciolte, l'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Corrado Clini, ha presentato al Parlamento per il parere uno schema di decreto del Presidente della Repubblica per l'utilizzo di combustibili solidi secondari, in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime di autorizzazione integrata ambientale;
    dopo un parere favorevole con condizioni, espresso molto rapidamente dalla XIII Commissione parlamentare (Territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato della Repubblica il 16 gennaio 2013, senza peraltro che nessun senatore fosse intervenuto in discussione, la VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati, il successivo 11 febbraio 2013, ha invece espresso parere contrario al medesimo schema di decreto del Presidente della Repubblica;
    da quel momento, di detto decreto del Presidente della Repubblica sui combustibili solidi secondari si sono perse le tracce e non è più stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale;
    la mancata pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del sopradetto decreto del Presidente della Repubblica sull'utilizzo in alcune categorie di cementifici dei combustibili solidi secondari, in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, nulla toglie alla sempre dichiarata ferma volontà dell'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Clini, di aver voluto proseguire nella scorciatoia dell'incenerimento dei rifiuti nei cementifici, bruciando rifiuti solidi urbani per alimentare i forni di cottura del clinker, cioè la componente principale del cemento;
    in Gazzetta Ufficiale, sono stati quindi pubblicati due decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: il decreto 14 febbraio 2013, n. 22, (Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 2013), recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari, dove vengono stabiliti – tra l'altro – i criteri da rispettare affinché determinate tipologie di combustibile solido secondario cessano di essere qualificate come rifiuto; il decreto 20 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2013) che modifica l'allegato X della parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006, in materia di utilizzo del combustibile solido secondario, che recepisce i criteri contenuti nel sopradetto decreto del 14 febbraio 2013, n. 22, che devono essere rispettati affinché determinate tipologie di combustibili solidi secondari cessino di essere qualificate come rifiuto e possono, quindi, essere riutilizzate;
    il decreto ministeriale n. 22 del 2013 stabilisce le condizioni e i requisiti in base ai quali dalle operazioni di trattamento di specifiche tipologie di rifiuti si ottiene il prodotto denominato combustibile solido secondario, nonché le relative condizioni di utilizzo a fini energetici nei cementifici soggetti ad autorizzazione integrata ambientale;
    il sopra indicato decreto n. 22 del 2013 riafferma, di fatto, la finalità dello schema di decreto del presidente della Repubblica, passato al Parlamento per il parere, di utilizzare il combustibile solido secondario come combustibile. La stessa premessa al decreto ministeriale n. 22 del 2013 sottolinea la necessità di «incoraggiare la produzione di combustibili solidi secondari (CSS) di alta qualità, aumentare la fiducia in relazione all'utilizzo di detti combustibili e fornire, con riferimento alla produzione e l'utilizzo di detti combustibili chiarezza giuridica e certezza comportamentale uniforme sull'intero territorio nazionale»;
    per i cementieri dell'Aitec (Associazione italiana tecnico economica cemento) si tratta di recupero energetico; per l'Associazione italiana medici per l'ambiente «la combustione di rifiuti nei cementifici comporta una variazione della tipologia emissiva di questi impianti, in particolare di diossine e metalli pesanti»;
    utilizzare i combustibili solidi secondari è dannoso per la salute e, soprattutto, è superato in quanto esistono moderne tecnologie e soluzioni alternative alla combustione che creano maggiori posti di lavoro e sono più sostenibili a livello economico e ambientale;
    la scelta dell'incenerimento dei rifiuti (combustibili solidi secondari) nei cementifici non è condivisibile se si considera la diversità esistente fra i limiti delle emissioni di inquinanti pericolosi per la salute previsti per i cementifici: polveri totali: mg 30/Nm3; biossido di zolfo: fino a mg 600/Nm3; ossido di azoto: mg 500/Nm3 per i nuovi impianti; mentre i limiti per gli stessi inquinanti prodotti dagli inceneritori sono: polveri totali: mg 10/Nm3; biossido di zolfo: mg 50/Nm3; ossido di azoto: mg 200/Nm3;
    i sostenitori della co-combustione di rifiuti sono soliti affermare che l'utilizzo di combustibile da rifiuti nei cementifici può consentire una riduzione dell'uso di combustibili fossili e, di conseguenza, una riduzione della produzione di anidride carbonica. Ciò che di solito viene taciuto è che un cementificio produce di solito circa il triplo di anidride carbonica rispetto ad un inceneritore. La sola cementeria Colacem di Galatina (Lecce), ad esempio, nel 2007 ha prodotto 774.000 tonnellate di anidride carbonica, circa il triplo delle emissioni di un inceneritore di grossa taglia come quello di Brescia (228.000 tonnellate di anidride carbonica nello stesso anno);
    l'utilizzo di combustibili solidi secondari per alimentare i forni di cottura dei cementifici produrrebbe, tra l'altro, gravi conseguenze in diverse aree del Paese, dove sono ubicati numerosi cementifici, in termini di inquinamento ambientale e di peggioramento degli attuali livelli di raccolta differenziata dei rifiuti;
    a ciò va aggiunta l'aggravante della mancanza, nel nostro Paese, di un serio ed efficace sistema nazionale di controlli ambientali;
    l'Italia è, peraltro, la nazione europea con più cementifici, con i suoi 58 impianti (22 per cento del totale degli impianti europei);
    dal punto di vista strettamente sanitario (escludendo dunque ogni considerazioni di tipo economico e sociale), una corretta gestione del ciclo dei rifiuti non dovrebbe assolutamente prevedere il loro incenerimento. Che si tratti di inceneritori «classici» o di cementifici, tale pratica è dannosa per l'ambiente e per gli esseri umani che lo popolano, come documentato da ormai innumerevoli testimonianze scientifiche;
    considerata l'abnorme produzione annua nazionale di anidride carbonica da parte di questi impianti, una minima riduzione è, dunque, una goccia nel mare, per giunta pagata a caro prezzo, soprattutto se si considera la sottrazione di rifiuti alla raccolta differenziata, al riciclo e al riuso (la vera valorizzazione dei rifiuti);
    peraltro, continuare a bruciare rifiuti è uno spreco di risorse e un alto costo in termini ambientali, inoltre, non si rispettano le disposizioni europee sul recupero della materia che è prioritario nella gerarchia d'intervento, continuando a ignorare anche la direttiva 96/62/CE sulle polveri sottili, finanche dopo la condanna dell'Italia da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea del 19 dicembre 2012;
    si ricorda che la direttiva 2008/98/CE, con l'obiettivo di ridurre l'impatto ambientale dei rifiuti, ha imposto una particolare attenzione da parte degli Stati dell'Unione europea al rispetto del principio gerarchico (le cosiddette «quattro r») previsto dalla medesima direttiva (riduzione, riutilizzo, riciclaggio e recupero energetico);
    la sopradetta gerarchia dei rifiuti prevede che al primo posto, nell'ordine di priorità, vi siano la prevenzione – individuata in una serie di misure finalizzate alla riduzione della quantità di rifiuti anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o l'estensione del loro ciclo di vita – e la preparazione per il riutilizzo, ovvero le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui i rifiuti sono preparati per essere reimpiegati senza altro pretrattamento. Seguono poi il riciclaggio, il recupero e, a seguire, lo smaltimento;
    la direttiva 2008/98/CE è stata recepita nell'ordinamento italiano dal decreto legislativo n. 205 del 2010, che ha conseguentemente apportato diverse modifiche al decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto Codice ambientale);
    è evidente, quindi, come l'utilizzo dei rifiuti come fonte di energia deve essere valutato come finalità residuale, mentre il ricorso all'incenerimento dei rifiuti va in tutt'altra direzione rispetto alla corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti e all'indispensabile incremento della raccolta differenziata;
    l'uso dei combustibili solidi secondari nei cementifici rischia di tradursi in un ulteriore freno all'aumento dei livelli della raccolta differenziata come richiesti dalla normativa nazionale e comunitaria, allo sviluppo della filiera industriale del riciclo e al radicamento di una cultura ambientale e di un costume civico basati sull'uso consapevole dei beni, compresi gli stessi rifiuti,

impegna il Governo:

   ad escludere definitivamente, per quanto di competenza, la prosecuzione dell’iter di approvazione del decreto del Presidente della Repubblica sulla disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari, in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime di autorizzazione integrata ambientale, già presentato per il parere presso le Commissioni parlamentari competenti dal precedente Governo;
   a valutare attentamente – nella decisione di utilizzare in alcune categorie di cementifici i combustibili solidi secondari – gli effetti di tale scelta sulla salute pubblica, anche attraverso opportuni approfondimenti degli studi ambientali ed epidemiologici relativamente all'utilizzo di combustibili solidi secondari in determinati cementifici;
   ad assumere iniziative per escludere qualunque forma di «riconversione» dei cementifici in inceneritori;
   ad assumere, per quanto di competenza, iniziative per avviare adeguate forme di monitoraggio delle emissioni degli impianti di cui in premessa e gli opportuni controlli ambientali e sanitari nei territori interessati dagli impianti che utilizzano combustibili solidi secondari, anche al fine di un confronto di dati, laddove presenti, relativi alla qualità dell'aria e dell'acqua nelle aree interessate dai suddetti impianti prima dell'utilizzazione del combustibile solido secondario;
   a garantire, in raccordo con gli enti locali, adeguate e costanti modalità di informazione e pubblicità alle comunità locali, anche tramite i siti istituzionali dei comuni interessati, circa i risultati dell'attività di monitoraggio sanitario e ambientale in relazione alle emissioni conseguenti all'attività degli impianti che utilizzano combustibili solidi secondari;
   ad attuare, per quanto di competenza, opportune forme di controllo al fine di garantire che le caratteristiche del combustibile solido secondario, utilizzato dagli impianti di cui in premessa, rispondano effettivamente a quanto previsto dalla normativa vigente.
(1-00188) (Nuova formulazione) «Zan, Zaratti, Pellegrino, Migliore, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Di Salvo».
(23 settembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    nel mese di gennaio 2013 è stato presentato alle commissioni parlamentari competenti lo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente regolamento recante «disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime dell'autorizzazione integrata ambientale», atto del Governo n. 529, con termine per la trasmissione del parere il 13 febbraio 2013;
    la 13a Commissione del Senato della Repubblica, in data 16 gennaio 2013, ha espresso parere favorevole all'atto del Governo, mentre l'VIII Commissione della Camera dei deputati, in data 11 febbraio 2013, dopo ampia discussione, «ritenuto assolutamente necessario svolgere un approfondimento con appropriate forme di consultazione; valutata la rilevanza delle conseguenze del provvedimento sul funzionamento del sistema dei cementifici e della tutela ambientale e della gestione dei rifiuti; ritenuto indispensabile il coinvolgimento delle regioni e ritenuto quindi necessario rinviare alla prossima legislatura l'adozione del provvedimento in questione», ha espresso parere contrario;
    a seguito di tale posizione del Parlamento, il Governo non ha, quindi, proceduto, per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, all'approvazione definitiva del decreto del Presidente della Repubblica;
    tuttavia, in data 14 febbraio 2013, il Governo Monti ha emanato il «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni», di cui al decreto ministeriale n. 22 del 2013, che, dettando la disciplina per trasformare i rifiuti urbani e speciali in combustibili solidi secondari, CSS-combustibile, riclassificando questi ultimi da rifiuti a sottoprodotti, consente in realtà a grandi impianti di cementifici e centrali termoelettriche, sotto determinate condizioni, di utilizzare il CSS-combustibile per la produzione di energia termica o elettrica, escludendo dalla disciplina dei rifiuti tali combustibili;
    tale comportamento del Governo Monti si presenta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come un atto di forza inopportuno e da stigmatizzare, poiché ha scavalcato le indicazioni e le direttive del Parlamento e, in realtà, ha conseguito la sostituzione di un atto «bocciato» dall'VIII Commissione della Camera dei deputati con un altro che, nel concreto, produce analoghi effetti;
    l'atto del Governo n. 529 aveva lo scopo di disciplinare e agevolare l'utilizzo dei combustibili solidi secondari (CSS) da parte dei cementifici, dettando, all'articolo 3, le condizioni affinché modifiche impiantistiche o edilizie realizzate all'interno del perimetro dei cementifici siano considerate modifiche non sostanziali ai fini dell'esclusione dagli obblighi e dai procedimenti disciplinati dalla parte II decreto legislativo n. 152 del 2006, concernenti la valutazione di impatto ambientale e l'autorizzazione integrata ambientale;
    tale atto del Governo n. 529, fatte salve le disposizioni dell'articolo 184-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 sulla cessazione della qualifica di rifiuto, manteneva comunque la classificazione del combustibile solido secondario (CSS) come rifiuto speciale, sottoponendolo alle condizioni di esercizio previste per il coincenerimento, di cui al decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133;
    lo scopo del decreto ministeriale n. 22 del 2013 è, soprattutto, quello di facilitare e promuovere l'utilizzo da parte dei grandi impianti di cementifici e centrali di una determinata tipologia di combustibile solido secondario, il CSS-combustibile, che, ai sensi dell'articolo 184-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006, cessa di essere rifiuto e diventa un sottoprodotto, svincolandosi dalle limitazioni poste dalla normativa sui rifiuti, in virtù delle caratteristiche di qualità ambientale e dei controlli cui viene sottoposto l'intero ciclo di produzione di tale materiale e le caratteristiche di qualità degli impianti, ferme restando le condizioni di esercizio identiche a quelle previste per il coincenerimento di rifiuti, di cui al decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133;
    senz'altro, occorrono azioni concrete e mirate alla conservazione delle risorse terrestri e alla riduzione dei rifiuti da conferire in discarica, all'incentivazione dell'utilizzo delle fonti rinnovabili e delle biomasse, alla semplificazione e facilitazione dei processi autorizzativi per la produzione di energia da tali fonti (che rendono realizzabile un reale incremento di produzione), alla riduzione della dipendenza del Paese dalle materie fossili e, quindi, dall'estero, ma anche all'incentivazione dell'utilizzo di migliori tecnologie per la diminuzione delle emissioni inquinanti in aria, acqua, suolo, senza tuttavia penalizzare lo sviluppo economico e i diritti alla tranquillità dei cittadini, sia per un sufficiente approvvigionamento energetico del Paese, sia per la tutela della propria salute;
    in materia di rifiuti, le amministrazioni locali e le regioni del Nord hanno responsabilmente attuato forme di gestione del ciclo dei rifiuti che hanno raggiunto un'eccellenza riconosciuta a livello internazionale;
    la filiera della gestione dei rifiuti al Nord rispetta la differenziazione e la gerarchia stabilita dalle direttive comunitarie, che prevedono una sequenza di priorità, come prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia, e, infine, lo smaltimento;
    tale gerarchia deve essere rigorosamente seguita anche nella catena della produzione del combustibile solido secondario, allo scopo di evitare la disincentivazione della differenziazione e delle filiere di recupero delle materie riutilizzabili nei cicli di produzione;
    le regioni e gli enti locali del Nord hanno raggiunto un'autosufficienza nella gestione differenziata dei propri rifiuti, privilegiando il criterio della prossimità ai fini del recupero e dello smaltimento, che permette alle amministrazioni di ridurre i costi aggiuntivi di trasporto ed evita ai cittadini di prestare il proprio territorio per smaltire i rifiuti di altri territori;
    l'eccellenza raggiunta dai comuni del Nord nella gestione dei rifiuti, anche grazie a campagne di informazione e iniziative di coinvolgimento dei cittadini, rende ancora più evidenti le criticità riscontrate in altre aree del Paese, in particolare del Centro-Sud, che spesso hanno danneggiato non solo l'immagine ma anche l'economia dell'intero Paese, sia attraverso le procedure di infrazione e le multe che è costretta a pagare l'Italia alla Commissione europea, sia attraverso le ripercussioni al comparto turistico;
    chiaramente, dopo la riduzione, la selezione e il recupero di materia da rifiuto e l'utilizzo dell'umido per la produzione di biomassa e di compost, essendo impossibile recuperare il cento per cento di tutti i rifiuti, resta sempre una minima parte che è impossibile recuperare e, pertanto, occorre considerare anche la possibilità di produrre energia attraverso il trattamento dei rifiuti per poter evitare di riempire il territorio di discariche; questo deve avvenire in modo tale da fornire un'ulteriore opportunità a tutta la comunità, attraverso i termovalorizzatori, il teleriscaldamento, la produzione di energia termica o elettrica;
    la produzione di combustibili solidi secondari, combustibile solido secondario o CSS-combustibili, che, grazie a particolari tecnologie innovative ambientalmente sostenibili, diventano rifiuti speciali da urbani o addirittura cessano di essere rifiuti e diventano sottoprodotti e comunque possono essere utilizzati in sostituzione di combustibili convenzionali per finalità ambientali ed economiche, deve comunque rispettare il criterio di prossimità e non deve diventare la scusa per poter esportare fuori territorio i rifiuti solidi urbani; pertanto, gli impianti di trasformazione dei rifiuti urbani in combustibile solido secondario devono comunque restare all'interno di ciascuna regione dove vengono prodotti i rifiuti urbani;
    l'incenerimento del combustibile solido secondario per la produzione di energia termica comporta senz'altro una riduzione degli oneri ambientali ed economici legati allo smaltimento di rifiuti in discarica, un risparmio di risorse naturali e una riduzione della dipendenza del Paese da combustibili convenzionali ai fini dell'approvvigionamento energetico;
    chiaramente nel caso di incenerimento del combustibile solido secondario ai fini della produzione del clinker nei cementifici, ossia in impianti che non sono dedicati al solo incenerimento di rifiuti, esiste comunque una variazione della tipologia emissiva dell'impianto che occorre valutare nell'ambito dell'autorizzazione integrata ambientale da parte dell'autorità competente e stabilire le condizioni per poter attuare tale incenerimento senza provocare danni per l'ambiente e per la salute dei cittadini, tenendo conto che sta avvenendo una trasformazione dell'impianto originario che deve tenere conto anche delle condizioni al contorno e del fatto che spesso tali impianti sono situati in aree urbanizzate;
    fermo restando il fatto che già oggi i cementifici bruciano combustibile solido secondario e rifiuti, come farine animali o pneumatici fuori uso, la convenienza ambientale di trasformare i rifiuti in CSS-combustibile è quella della qualità; il CSS-combustibile rappresenta un sottoprodotto, conveniente anche commercialmente in quanto svincolato dalla disciplina dei rifiuti, di cui viene tracciato il percorso di produzione e sono noti la propria tipologia e il potere calorifico; l'utilizzo di CSS-combustibile garantisce, dunque, una maggiore tutela per l'ambiente e per un controllo superiore sulla tipologia dei materiali contenuti;
    in ogni caso, per ciascun impianto destinato a bruciare anche combustibile solido secondario o CSS-combustibile proveniente da rifiuti urbani o speciali, i limiti imposti dall'autorizzazione integrata ambientale per le emissioni devono tenere conto di tale possibilità e devono essere analoghi a quelli previsti per gli impianti dedicati, termovalorizzatori o inceneritori, indicando valori limite per le sostanze inquinanti che tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente, anche con riguardo al traffico indotto relativo al trasporto del combustibile solido secondario e alla possibilità del trasporto su rotaia dei materiali, per garantire i cittadini circa la sostenibilità ambientale di ciascun impianto;
    in particolare, in pareggio del potere calorifico del carbone occorre 1,8 chilogrammi di combustibile solido secondario per ciascun chilogrammo di carbone; pertanto, c’è senz'altro un incremento del traffico indotto dal trasporto dei materiali che bisogna considerare nell'ambito delle autorizzazioni degli impianti da parte delle regioni;
    inoltre, l'esercizio dei controlli, affidato giustamente alle amministrazioni locali competenti, spesso, specialmente in alcune realtà territoriali del Paese, è piuttosto carente, permettendo l'inserimento della criminalità organizzata nel ciclo della gestione dei rifiuti;
    la possibilità di bruciare il combustibile solido secondario o CSS-combustibile nei cementifici si presenta, pertanto, come una situazione complessa che richiede un approfondito esame da parte del Governo e del Parlamento, che deve coinvolgere anche il mondo economico e gli enti territoriali interessati;
    per poter procedere alla produzione di combustibili solidi secondari di alta qualità, occorre acquisire la fiducia della popolazione in relazione all'utilizzo di detti combustibili e fornire, con riferimento alla produzione e all'utilizzo di detti combustibili, chiarezza giuridica e certezza comportamentale da parte degli operatori, a garanzia dei cittadini circa le buone pratiche utilizzate e la tutela della propria salute,

impegna il Governo:

   a promuovere un approfondito dibattito sulla materia fornendo alle commissioni parlamentari competenti un quadro aggiornato sull'attuale utilizzo del combustibile solido secondario e del CSS-combustibile nei cementifici, sia in Italia, disaggregato per regioni, sia all'estero, anche sulla base di approfonditi studi scientifici specifici, con particolare riferimento:
    a) alle emissioni di sostanze inquinanti e alle possibili conseguenze sul piano ambientale, sanitario e sociale, anche a seguito di eventuali malfunzionamenti o errori di gestione;
    b) alle conseguenze sul piano organizzativo del trasporto dei materiali e alle ripercussioni del traffico indotto sulle realtà territoriali locali;
    c) alle restrizioni che occorre individuare circa la circolazione in altre regioni del combustibile solido secondario proveniente da rifiuti urbani, garantendo, comunque, il criterio di prossimità e che gli impianti di trasformazione dei rifiuti urbani in combustibile solido secondario siano comunque situati all'interno di ciascuna regione dove vengono prodotti i rifiuti;
    d) al rispetto rigoroso della gerarchia di gestione dei rifiuti prevista dalle direttive comunitarie nella catena della produzione sia del CSS-combustibile, sia del combustibile solido secondario, allo scopo di evitare la disincentivazione della differenziazione e delle filiere di recupero delle materie riutilizzabili nei cicli di produzione;
    e) agli strumenti di informazione e consultazione in relazione ai progetti in essere per l'utilizzo di combustibili alternativi da parte dei cementifici;
    f) al rafforzamento, con ogni strumento a disposizione e su tutto il territorio nazionale, del sistema dei controlli, sia sulle emissioni inquinanti dei cementifici mediante una rete di monitoraggio ambientale, sia sul processo di gestione dei combustibili solidi secondari utilizzati in tali impianti, sia sul rispetto della gerarchia nella gestione dei rifiuti ai fini della produzione del combustibile solido secondario.
(1-00189) «Grimoldi, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(23 settembre 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 183, comma 1, lettera cc), del codice dell'ambiente, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, reca la definizione di combustibile solido secondario: «il combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate delle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e successive modifiche ed integrazioni; fatta salva l'applicazione dell'articolo 184-ter, il combustibile solido secondario, è classificato come rifiuto speciale»;
    nella Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 2013, n. 62, è stato pubblicato il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 14 febbraio 2013, n. 22, «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni», che prima dell'emanazione è stato preventivamente notificato alla Commissione europea ed è stato approvato decorso il termine di «stand still»;
    come indicato nel titolo, il regolamento attua, dunque, l'articolo 184-ter (rubricato «Cessazione dalla qualifica di rifiuto») del codice dell'ambiente, stabilendo, nel rispetto degli standard di tutela ambientale e della salute, le condizioni alle quali alcune tipologie di combustibile solido secondario cessano di essere rifiuti e sono da considerare, a tutti gli effetti, un prodotto (la cosiddetta end of waste ai sensi della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti);
    nel regolamento sono, dunque, definite le condizioni e i requisiti in base ai quali, dalle operazioni di trattamento di specifiche tipologie di rifiuti, si ottiene il prodotto denominato combustibile solido secondario, nonché le relative condizioni di utilizzo in alcune specifiche tipologie di impianti industriali (cementifici e centrali termoelettriche) ritenute idonei, al fine di rispettare gli standard di tutela dell'ambiente e della salute umana;
    in particolare, sotto il profilo della tutela dell'ambiente e della salute, il decreto n. 22 del 2013 stabilisce che il combustibile solido secondario può essere utilizzato solo in impianti che rispettano le condizioni di esercizio stabilite nel decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, in materia di co-incenerimento di rifiuti, che ha recepito nell'ordinamento nazionale la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 dicembre 2000, 2000/76/CE, sull'incenerimento dei rifiuti;
    l'articolo 13 del decreto n. 22 del 2013 stabilisce, inoltre, che possono utilizzare combustibile solido secondario solo gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, obbligati, come tali, al rispetto delle migliori tecnologie disponibili (best available techniques, bat);
    pertanto, l'utilizzo del combustibile solido secondario deve, comunque, rispettare i valori limite di emissioni in atmosfera indicati o calcolati secondo quanto descritto nell'allegato 2 del citato decreto legislativo n. 133 del 2005;
    per poter procedere all'utilizzo del combustibile solido secondario, inoltre, gli impianti devono rispettare anche le prescrizioni, più restrittive, contenute nella rispettiva autorizzazione integrata ambientale: ai sensi dell'articolo 13 del decreto n. 22 del 2013, infatti, possono utilizzare combustibile solido secondario solo gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, obbligati, come tali, al rispetto delle migliori tecnologie disponibili (best available techniques, bat);
    in materia di emissioni dei cementifici e di eventuali variazioni della loro tipologia, numerosi sono gli studi che analizzano gli effetti dell'utilizzo di combustibili alternativi nei cementifici; da ultimo, nel 2011, uno studio condotto dal «Network for business sustainability» (Canada) in collaborazione con il Politecnico di Bari (facoltà di ingegneria meccanica) ha raffrontato le pubblicazioni internazionali in materia. Sono stati giudicati rilevanti ai fini dello studio più di 110 articoli tecnici, rapporti di associazioni internazionali di ricerca e organizzazioni governative, pubblicazioni di ricercatori universitari, life cycle analysis, la maggior parte dei quali conclude che le emissioni dai camini di anidride carbonica, ossido di azoto, diossido di zolfo, metalli, diossine e furani sono generalmente inferiori rispetto a quelle generate con l'utilizzo di combustibili fossili;
    sulla questione, in particolare delle diossine generate nel processo di combustione, i processi di combustione che avvengono a temperature molto elevate, quali quelli dei cementifici, e l'utilizzo del combustibile solido secondario con dosaggi e proporzioni prestabilite e controllate non favoriscono la formazione di diossine, quanto, invece, la distruzione e la completa ossidazione delle molecole inquinanti di natura organica eventualmente presenti; con riferimento agli ossidi di azoto, l'istruttoria del decreto ministeriale si è basata su esperienze tecniche condotte in Italia e in tutta Europa che evidenziano una diminuzione dei livelli emissivi in caso di utilizzo di combustibile solido secondario, come rilevato anche dal Politecnico di Torino (Genon, Brizio, 2008) e dalla provincia di Cuneo (settore tutela ambiente, atti Forum PA 2009);
    il bilancio emissivo e ambientale preso a riferimento per la stesura del decreto ministeriale n. 22 del 2013 è risultato, complessivamente, a favore dell'impiego del combustibile solido secondario nei cementifici, sia sotto l'aspetto del miglioramento dell'impatto emissivo degli stessi rispetto alla normale conduzione con combustibili fossili, sia sotto l'aspetto dell'eliminazione delle emissioni del processo di incenerimento, sia, in particolare, per quanto riguarda gli impatti della messa in discarica dei rifiuti altrimenti non impiegati nella filiera di produzione ed utilizzo del combustibile solido secondario;
    inoltre, è necessario ricordare che la produzione e l'utilizzo del combustibile solido secondario sono soggetti non solo a tutte le attività di controllo previste dall'ordinamento, ma anche a una serie di ulteriori e specifici controlli previsti nello stesso decreto ministeriale n. 22 del 2013;
    la produzione dei rifiuti ha mostrato, negli ultimi decenni, una crescita vertiginosa: dalla metà degli anni ’90 ad oggi, quella italiana è quasi raddoppiata, con conseguenze naturalmente molto gravi dal punto di vista ambientale e della salute, in particolare perché la maggior parte dei rifiuti prodotti è sottoposta a smaltimento in discarica; nel 2010, in base ai dati Ispra, oltre 17,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani sono stati smaltiti in discarica; nel 2009, sono stati prodotti 128,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali totali e la quota di rifiuti speciali destinata al recupero di energia rappresenta solo l'1,5 per cento, mentre il 9,6 per cento è la quota di rifiuti speciali destinata allo smaltimento in discarica;
    in Italia, tra l'altro, alla questione della produzione e dello smaltimento dei rifiuti si lega un problema molto grave, quello dello smaltimento illegale di rifiuti industriali, che rappresenta un pericoloso campo d'attività delle ecomafie e uno tra i business illegali più redditizi; naturalmente, ciò ha gravi ripercussioni nel campo della sicurezza ambientale e sanitaria, dal momento che i rifiuti, anziché essere trattati e gestiti secondo le norme di legge, finiscono per essere fonte di inquinamento dell'aria, di contaminazione delle acque sotterranee, di inquinamento dei fiumi e delle coltivazioni agricole, rischiando di contaminare con metalli pesanti, diossine e altre sostanze cancerogene anche i prodotti alimentari;
    il problema dello smaltimento dei rifiuti in Italia e le emergenze che in molti casi vi sono connesse richiedono la predisposizione di una politica complessiva in materia, con le soluzioni integrate che tengano in debita considerazione gli obiettivi fissati anche a livello europeo e la «gerarchia» indicata nella normativa in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti, in particolare, la direttiva 2008/98/CE: dalla prevenzione, alla preparazione per il riutilizzo, al riciclaggio, al recupero (tra cui, appunto, il recupero di energia) e, infine, come soluzione ultima, lo smaltimento;
    è compito di ciascuno Stato membro adottare quelle misure che favoriscano il miglior risultato ambientale complessivo e, a tale fine, ai sensi dell'articolo 4, secondo comma, della stessa direttiva, può essere necessario che flussi di rifiuti specifici «si discostino dalla gerarchia laddove ciò sia giustificato dall'impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti»;
    l'enorme produzione di rifiuti, in particolare nella situazione italiana, richiede dunque la gestione di un regime transitorio che permetta lo sviluppo compiuto delle politiche e delle azioni necessarie a garantire la soluzione di lungo termine al problema, attraverso la riduzione della produzione di rifiuti, il riuso, l'aumento della raccolta differenziata e del riciclo, consentendo di risparmiare materie prime e ridurre l'uso delle discariche – e, quindi, anche lo sfruttamento e l'inquinamento del suolo – ed effettivamente costruire un ciclo dei rifiuti integrato, virtuoso e sostenibile;
    pur essendo prioritario massimizzare il riciclo e le politiche di prevenzione nella produzione, è altresì importante iniziare ad utilizzare il combustibile solido secondario in parziale co-combustione negli impianti industriali esistenti, proprio al fine di sostituire una parte dei combustibili fossili e inquinanti utilizzati fino ad oggi, tra i quali petroleum coke, polverino di carbone ed altri;
    tale scelta permette, tra l'altro, di limitare il ricorso alle discariche e agli inceneritori, evitando di inchiodare il ciclo dei rifiuti all'opzione meno preferibile (smaltimento) con il rischio di bloccare le possibilità di sviluppo del riciclaggio o delle politiche di prevenzione;
    in concreto, l'effetto dell'utilizzo del combustibile solido secondario nei cementifici non ha tali effetti negativi sullo sviluppo della raccolta differenziata: da un lato, la disciplina europea e quella nazionale impongono comunque obiettivi minimi di raccolta differenziata che devono essere rispettati; dall'altro, la raccolta differenziata della frazione umida potrebbe, al contrario, essere incentivata. In tal senso, l'articolo 6, secondo comma, del decreto ministeriale n. 22 del 2013 richiama espressamente l'articolo 179 del codice dell'ambiente, proprio al fine di evitare che la produzione del combustibile solido secondario avvenga nel mancato rispetto della gerarchia indicata a livello europeo nella gestione dei rifiuti;
    il ciclo integrato dei rifiuti prevede che il recupero energetico si effettui a valle del processo di corretta raccolta e riciclo dei rifiuti, ovvero sulla percentuale del 25-30 per cento restante;
    tale percentuale va poi trattata: il combustibile solido secondario è, infatti, un tipo di combustibile prodotto dai rifiuti non pericolosi e ottenuto attraverso un complesso e controllato processo di produzione. Per essere classificato come combustibile solido secondario, il combustibile da rifiuti deve possedere determinate caratteristiche e parametri qualitativi, che sono prescritti nelle norme tecniche europee che regolamentano il suo processo produttivo;
    l'utilizzo di rifiuti nei cementifici è una pratica largamente diffusa ed è riconosciuta a livello europeo come best available technique, favorendo la riduzione delle emissioni di gas serra nonché di anidride carbonica prodotte dalle discariche; nei Paesi europei più avanzati, il tasso di sostituzione termica dei combustibili fossili con i combustibili solidi secondari nelle cementerie ha raggiunto nel 2011: l'83 per cento in Olanda, il 62 per cento in Germania, il 63 per cento in Austria, il 40 per cento in Polonia, il 30 per cento in Francia, il 22 per cento in Spagna (dati aggiornati al 2011 in base alle fonti ufficiali Aitec). Nel 2012, solo il 10 per cento dell'energia termica necessaria per la produzione del cemento in Italia proviene da fonti energetiche alternative, il restante 90 per cento circa è ottenuto con l'utilizzo di combustibili fossili non rinnovabili;
    la gestione dell'utilizzo del combustibile solido secondario ha alimentato, insieme ad un ampio dibattito, alcune preoccupazioni riguardo all'impatto delle emissioni sui livelli di tutela dell'ambiente e della salute, in particolare nelle comunità locali più prossime agli impianti;
    risulta, pertanto, necessario adottare tutte le iniziative volte ad aumentare la fiducia in relazione all'utilizzo di detti combustibili e fornire, con riferimento alla produzione e all'utilizzo di combustibile solido secondario, chiarezza giuridica e certezze scientifiche, in particolare riguardo alle emissioni dei cementifici e alle eventuali variazioni della loro tipologia,

impegna il Governo:

   ad effettuare un'approfondita comparazione in merito alle condizioni tecnologiche ed operative che disciplinano l'impiego del combustibile solido secondario in altri Paesi europei;
   ad avviare approfondimenti tecnici multidisciplinari per verificare se e a quali condizioni l'utilizzo del combustibile solido secondario nei cementifici non determina rischi per la salute e per l'ambiente, con particolare riferimento alle effettive emissioni di sostanze inquinanti derivanti dall'uso dei rifiuti come combustibili, che tengano conto non solo del funzionamento degli impianti a regime e in condizioni di massima sicurezza, ma anche dei possibili rischi derivanti da malfunzionamenti, fuori servizio e gestione dei transitori;
   a fornire, a seguito di tali accertamenti preliminari, un quadro aggiornato sull'attuazione, da parte dei settori industriali coinvolti, del potenziale costituito dal combustibile solido secondario, fornendo anche informazioni circa i processi autorizzativi avviati a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 22 del 2013, nonché a rendere alle competenti Commissioni parlamentari ogni necessario elemento informativo relativo alle verifiche tecniche attuate e al vaglio dei risultati di tali verifiche, nonché ai dati di utilizzo del combustibile solido secondario, anche sulla base delle comunicazioni annuali previste dall'articolo 14 del decreto ministeriale n. 22 del 2013 a carico dei produttori e degli utilizzatori di combustibile solido secondario;
   ad adottare tutte le iniziative necessarie a tutela della salute e dell'ambiente, anche integrative, o, se necessario, di modifica del decreto ministeriale n. 22 del 2013;
   a prevedere adeguati strumenti di informazione e consultazione in relazione ai progetti di utilizzo, nell'ambito dei singoli cementifici, dei combustibili alternativi, tra cui i combustibili solidi secondari, in luogo dei combustibili tradizionali (carbone, petroleum coke ed altri), in particolare prevedendo forme di coinvolgimento delle regioni interessate a tali processi;
   a garantire la completa e verificata applicazione della normativa ambientale relativa all'esercizio degli impianti di produzione di cemento a ciclo completo, nonché ad assumere iniziative normative ad hoc per garantire, altresì, la completa trasparenza e aderenza alle severe norme comunitarie in materia di emissioni, nei processi di autorizzazione, che, nel caso di istanza da parte del gestore dell'impianto di utilizzo, dovranno essere considerati dall'autorità competente uno ad uno;
   a procedere rapidamente alla costituzione del comitato di vigilanza e controllo previsto all'articolo 15 del decreto ministeriale n. 22 del 2013, avente il compito di garantire il monitoraggio della produzione e dell'utilizzo del combustibile solido secondario ai fini di una maggiore tutela ambientale – nonché la verifica dell'applicazione di criteri di efficienza, efficacia ed economicità, di intraprendere le iniziative idonee a portare a conoscenza del pubblico informazioni utili o opportune in relazione alla produzione e all'utilizzo del combustibile solido secondario, anche sulla base dei dati trasmessi dai produttori e dagli utilizzatori di cui all'articolo 14 del medesimo decreto, nonché di assicurare il monitoraggio sull'attuazione della disciplina dettata dal decreto, garantire l'esame e la valutazione delle problematiche collegate, favorire l'adozione di iniziative finalizzate all'applicazione uniforme e coordinata del regolamento e sottoporre eventuali proposte integrative o correttive della normativa;
   a rafforzare con ogni strumento a disposizione, in particolare in materia di emissioni inquinanti, il processo di costruzione di un moderno ed efficace sistema di controlli ambientali in tempo reale, al fine di garantire ai cittadini effettive ed efficaci forme di tutela della salute e assieme dell'ambiente, anche con la prescrizione di precise procedure tecniche che impongano agli operatori l'obbligo di rendere disponibili on line i dati raccolti;
   a definire linee guida che specifichino, per gli impianti utilizzatori del combustibile solido secondario, tecnologie di processo e di trattamento degli effluenti gassosi, liquidi e solidi, tali da garantire la qualità e la quantità delle emissioni nel rispetto delle normative di settore;
   nel rispetto del decreto ministeriale n. 22 del 2013, a mettere in atto misure che evitino che gli standard di qualità ambientali definiti dalle vigenti normative siano raggiunti attraverso meri effetti di diluizione del combustibile solido secondario con i tradizionali combustibili;
   a intraprendere le iniziative idonee a portare a conoscenza delle popolazioni interessate tutte le informazioni relative alla produzione e all'utilizzo del combustibile solido secondario;
   a definire, d'intesa con le regioni, modalità e limiti quantitativi di utilizzo del combustibile solido secondario, tenendo conto delle percentuali di raccolta differenziata raggiunte, al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi comunitari e nazionali di raccolta differenziata e di recupero della materia.
(1-00193) «Borghi, Latronico, Matarrese, Carrescia, Alli, Arlotti, Baldelli, Dorina Bianchi, Mariastella Bianchi, Braga, Bratti, Castiello, Cominelli, D'Agostino, Dallai, Decaro, Distaso, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Mazzoli, Morassut, Moretto, Realacci, Giovanna Sanna, Vella, Zardini».
(25 settembre 2013)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   MATTEO BRAGANTINI, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nella partita di calcio disputata a Torino domenica 22 settembre 2013 fra Milan e Napoli i tifosi dei due schieramenti, come accade in ogni match calcistico da sempre, hanno intonato cori campanilistici e prese in giro nei confronti degli avversari;
   per i soli cori contro Napoli e i napoletani (e non per i cori contro Balotelli), il giudice sportivo ha disposto la chiusura dello stadio San Siro ai tifosi milanisti nella prossima partita contro l'Udinese, nel rispetto della nuova normativa Uefa per combattere ogni forma di razzismo, inclusa la discriminazione territoriale;
   per quanto possa essere non condivisibile l'abitudine di intonare cori contro gli avversari durante una disputa sportiva, appare discutibile un sistema sanzionatorio che accomuna la goliardia alle discriminazioni razziali. Tanto è vero che gli stessi tifosi napoletani hanno sdrammatizzato l'episodio avvenuto, solidarizzando con i tifosi milanisti intonando cori autoironici;
   la reazione dei tifosi napoletani dimostra come alcuni comportamenti ed espressioni particolarmente «coloriti», all'interno di uno stadio, non sono giudicati offensivi, né tanto meno espressione di uno scontro sociale fra il Nord e il Sud del Paese, ma semplicemente rientrano in una tradizione «popolare» delle tifoserie;
   le sanzioni sono chiare e molto dure: settore a porte chiuse per la prima violazione, stadio chiuso per la seconda, con, in casi di particolare gravità, la partita persa e altre sanzioni accessorie. In caso di ulteriore recidiva «si applicano, congiuntamente o disgiuntamente tra loro,» la sanzione della perdita della gara, ulteriori porte chiuse di una o più gare, penalizzazione di uno o più punti in classifica, fino addirittura all'esclusione dal campionato;
   la situazione sopra descritta comporta anche significative conseguenze per l'ordine pubblico –:
   al netto della competenza del Coni e della Federazione per quanto riguarda la giustizia sportiva in merito a quanto accaduto in campo, se non ritenga, al fine di garantire l'ordine e la sicurezza pubblica in occasione di incontri sportivi, di valutare l'opportunità di mettere a punto a livello normativo, di concerto con il Ministero dell'interno, linee guida capaci di consentire una netta distinzione fra i comportamenti, dentro e fuori dai campi di gioco, oggettivamente violenti e discriminatori da quelli che possono essere attribuibili a manifestazioni campanilistiche, che da sempre appartengono alla tradizione popolare, evitando in questo modo di drammatizzare questi fenomeni come veri e propri scontri sociali fra il Nord e il Sud del Paese.
(3-00361)
(8 ottobre 2013)

   SBERNA, GIGLI e BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in un periodo storico di grave difficoltà sono state approvate norme che hanno modificato radicalmente il sistema pensionistico, recando – a parere degli interroganti – discriminazioni che violano il principio di equità di trattamento tra donna e uomo, tra sano e malato, tra pubblico e privato e a discapito di alcune categorie, già sufficientemente svantaggiate;
   si tratta di norme che penalizzano i cosiddetti lavoratori precoci che possono andare in pensione anticipata, ma che vedono allontanarsi il pensionamento a causa dell'aumento del numero massimo di contributi richiesti in corrispondenza dell'aumento della speranza di vita;
   nello specifico, in base all'articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, se il pensionamento anticipato avviene prima del compimento dei 62 anni di età è applicata, sulla quota di trattamento di pensione relativa all'anzianità contributiva maturata fino al 31 dicembre 2011, una riduzione dell'1 per cento per i primi due anni mancanti al raggiungimento dei 62 anni ed elevata al 2 per cento per gli ulteriori anni mancanti alla suddetta età, a partire dalla data del pensionamento;
   paradossalmente, questa situazione si è aggravata con l'introduzione di una deroga alla penalità, deroga che vale per chi raggiunge i requisiti entro il 2017 senza avere i 62 anni di età. Infatti, l'articolo 6, comma 2-quater del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012, ha disposto che la sopraddetta riduzione non trova applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora la contribuzione ivi prevista derivi esclusivamente da «prestazione effettiva di lavoro», escludendo in tal modo: l'astensione facoltativa per maternità; i periodi di mobilità, di cassa integrazione straordinaria o in deroga, di disoccupazione; i permessi ex lege n. 104 del 1992; l'astensione dal lavoro per donazione di sangue e di emocomponenti; le giornate di sciopero; le aspettative senza assegni a qualsiasi titolo;
   escludendo, dunque, dal computo la contribuzione figurativa, si sono aperte evidenti contraddizioni. Per coloro che potranno andare in pensione entro il 2017, le nuove regole dettate dalla riforma prevedono che chi ha usufruito di periodi di maternità facoltativa, di permessi della legge n. 104 del 1992, di periodi di disoccupazione o cassa integrazione straordinaria o in deroga o ha fatto scioperi e goduto di permessi sindacali, se non vuole subire una penalizzazione, deve allungare del corrispondente periodo «perduto» l'attività lavorativa. Perfino le maggiorazioni per invalidità superiore al 75 per cento, non verrebbero considerate utili per evitare le penalizzazioni;
   con queste nuove disposizioni, vengono meno le misure a favore di maternità e lavoro, realtà non sempre conciliabili: lo dimostrano le statistiche, con un abbandono del lavoro femminile al primo figlio che aumenta a dismisura al secondo, in assenza di risorse interne familiari. A parere degli interroganti, con il prolungamento dell'età pensionabile, sarebbe stato opportuno prevedere nuovi strumenti di welfare, sostitutivi del lavoro parentale, come accade in altri Paesi europei;
   inoltre, la legge n. 104 del 1992, istituita per assicurare una corretta tutela ai cittadini portatori di disabilità, prevede alcuni permessi lavorativi, definiti nelle modalità e nei tempi, per il disabile stesso o per il familiare che garantisce assistenza e sostegno. La riforma prevede, limitatamente ai lavoratori del pubblico impiego, il recupero dei permessi usufruiti, introducendo una grave discriminazione fra pubblico e privato;
   in sintesi, vengono escluse, da un adeguato computo dei contributi pensionistici, categorie già sufficientemente vessate dalla crisi e che, contrariamente a quanto avviene, dovrebbero poter contare sul supporto della società;
   in un momento di grave crisi occupazionale, con percentuali di disoccupazione giovanile preoccupanti, è davvero di difficile lettura strategica la scelta di chiedere un prolungamento della permanenza in servizio a lavoratori che già hanno subito – non per loro volontà – situazioni di lavoro insicuro –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a superare le discriminazioni oggi esistenti in materia di trattamento pensionistico.
(3-00362)
(8 ottobre 2013)

   LENZI, GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, BELLANOVA, BOCCUZZI, CASELLATO, FARAONE, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MADIA, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, SIMONI, ZAPPULLA, AMATO, ARGENTIN, BENI, BIONDELLI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, IORI, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI, SCUVERA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   mercoledì 18 settembre 2013 è stata presentata a Roma, nella Sala Zuccari del Senato della Repubblica, la relazione finale «Proposte per nuove misure di contrasto alla povertà», elaborata dal gruppo di studio appositamente istituito con Decreto del Ministro interrogato il 13 giugno 2013;
   obiettivo della relazione, illustrata dal professor Paolo Bosi dell'Università di Modena e Reggio Emilia e dal professor Ugo Trivellato dell'Università di Padova, componenti del gruppo di lavoro, è quello di descrivere una nuova misura nazionale di contrasto alla povertà assoluta e all'esclusione sociale, il «sostegno per l'inclusione attiva (sia)», che ancora non esiste nel sistema italiano e che rappresenta l'evoluzione naturale delle sperimentazioni già avviate con la carta acquisti;
   nonostante già dal 2008 la Commissione europea abbia emanato una raccomandazione a tutti i Paesi per l'adozione di una strategia d'inclusione attiva, articolata sui tre pilastri del sostegno economico, di mercati del lavoro inclusivi e di servizi personalizzati, e, in particolare, nonostante l'Italia sia stata anche oggetto di una raccomandazione specifica nell'ambito della Strategia Europa 2020, nella quale sia la Commissione europea che il Consiglio europeo hanno chiesto maggiori sforzi nella lotta alla povertà, pur nel contesto di rigore tuttora richiesto al nostro Paese, l'Italia è l'unico grande Paese europeo a non avere ancora una misura di questo tipo (tra i «Vecchi Quindici», solo la Grecia è nella condizione dell'Italia);
   fino ad oggi vi sono state sperimentazioni in poche regioni ed è operativa solo qualche misura locale (Valle d'Aosta, province di Bolzano e Trento; alcuni comuni, soprattutto nel Centro-Nord), ma nulla di significativo a livello nazionale;
   secondo la relazione illustrativa il sostegno per l'inclusione attiva si caratterizza: per l'universalità (non è cioè destinato solo ad alcune categorie, come l'assegno sociale o la pensione di invalidità civile, ma a tutti i poveri); per l'erogazione non solo di una semplice elargizione monetaria, ma per il collegamento di questa ad un percorso di inclusione e attivazione dei componenti del nucleo familiare; per la sua disponibilità a tutti i residenti legalmente in Italia da almeno due anni;
   nella relazione illustrativa si dedica ampio spazio anche alla fase attuativa, individuando nell'Inps il soggetto che verifica la prova dei mezzi, attraverso la dichiarazione isee, ed eroga il trasferimento, mentre i servizi sociali dei comuni dovrebbero prendere in carico le famiglie e stipulare con esse un progetto di inclusione e attivazione, fino alla verifica del suo rispetto –:
   quali siano attualmente le iniziative governative volte alla concreta realizzazione della misura in oggetto, anche tenendo in considerazione gli effetti finanziari stimati e la necessità di una sua attuazione progressiva e sperimentale.
(3-00363)
(8 ottobre 2013)

   CENTEMERO e COSTA — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dal focus «Sedi, alunni, classi e dotazioni organiche del personale docente della scuola statale anno scolastico 2013/2014», pubblicato il 10 settembre 2013 dal servizio statistico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, emerge che gli alunni con disabilità rappresentano circa il 2,3 per cento della popolazione scolastica complessiva. È nella scuola secondaria di primo grado che si registra la maggior incidenza del numero di alunni con disabilità rispetto al numero complessivo degli iscritti: 3,75 per cento. Il rapporto scende a 2,95 per cento nella primaria, a 2,07 per cento nella secondaria di secondo grado e a 1,38 per cento nella scuola dell'infanzia;
   dietro questi numeri e queste percentuali ci sono migliaia di famiglie italiane, impegnate ogni giorno nella difficile impresa di donare un'istruzione ai propri figli disabili, al pari di ciascun altro alunno presente nelle nostre scuole di ogni ordine e grado;
   l'insegnante di sostegno offre, dunque, la sua professionalità e competenza per apportare all'interno della classe in cui opera un significativo contributo a supporto non solo dell'alunno con disabilità, ma anche della collegiale azione educativo-didattica, secondo principi di corresponsabilità e di collegialità, così da fungere da mediatore tra l'allievo disabile e i compagni, gli insegnanti e la scuola, ponendosi come strumento indispensabile per assolvere agli impegni sanciti nell'articolo 3, secondo comma, della Costituzione, che invita a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di un'effettiva sostanziale uguaglianza di opportunità;
   gli insegnanti di sostegno della scuola secondaria di secondo grado sono attualmente suddivisi in quattro aree: scientifica (AD01), umanistica (AD02), tecnica professionale artistica (AD03) e psicomotoria (AD04). La suddivisione in aree disciplinari delle attività di sostegno nelle scuole superiori non è stata istituita per legge;
   a favore dell'unificazione delle aree del sostegno sulla scuola secondaria di secondo grado si era espressa unanimemente la VII Commissione della Camera dei deputati, nel corso della XVI legislatura, attraverso la risoluzione n. 8-00197, a prima firma Pes. Sono mancati, ad oggi, atti amministrativi consequenziali, che portino al rispetto della volontà originaria del legislatore e della volontà espressa dalla Camera dei deputati e, ciò che più conta, vengano incontro alle esigenze dell'integrazione degli alunni con disabilità, che devono trovare nell'insegnante di sostegno per l'appunto un «sostegno» al proprio processo di integrazione e non un succedaneo dell'insegnante di classe, chiamato altresì a partecipare al processo inclusivo;
   se si procedesse all'unificazione delle aree del sostegno sulla scuola secondaria di secondo grado, si otterrebbero risultati sensibili in termini di trasparenza, visto che, come più volte denunciato, l'assegnazione dei posti di sostegno sulle aree ha una discrezionalità che sfocia spesso nell'arbitrio;
   in particolare, i concorsi banditi sui posti di sostegno non prevedono una specifica procedura concorsuale, ma il semplice scorrimento delle graduatorie sulle classi di concorso normali. In sostanza, viene chiesto ai docenti utilmente collocati, in possesso del titolo di sostegno, se preferiscano il posto sulla cattedra o quello sul sostegno. Il che è paradossale, dato che la procedura concorsuale dovrebbe selezionare per merito, e ciò è a maggior ragione paradossale, nel momento in cui la selezione riguarda docenti investiti di una delle funzioni più delicate;
   ad oltre trent'anni dall'approvazione della legge n. 517 del 1977, che ha dato avvio al processo di integrazione dei ragazzi con disabilità nelle scuole pubbliche, si può affermare che i risultati conseguiti mostrano in Italia un grave ritardo nel fornire strumenti di intervento che facilitino l'azione educativo-didattica –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno qualificare la funzione del docente di sostegno, anche mediante l'unificazione delle aree del sostegno nella scuola secondaria di secondo grado e la trasformazione degli elenchi sul sostegno in specifiche graduatorie, prevedendo una procedura specifica per i posti di sostegno nelle prossime procedure concorsuali.
(3-00364)
(8 ottobre 2013)

   MARCON, MIGLIORE, DURANTI, PIRAS, FAVA, SCOTTO e PELLEGRINO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Camera dei deputati, in data 26 giugno 2013, e il Senato della Repubblica, in data 16 luglio 2013, hanno approvato mozioni aventi per oggetto anche la partecipazione italiana al programma di produzione Joint Strike Fighter per l'acquisizione del cacciabombardiere F-35;
   nelle mozioni 1-00125 della Camera dei deputati e 1-00107 del Senato della Repubblica, relativamente al programma F-35, si impegnava il Governo: «a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244»;
   nell'audizione tenuta il 1o ottobre 2013, presso la Commissione difesa della Camera dei deputati, nell'ambito della «Indagine conoscitiva sui sistemi d'arma», auspicata dalle stesse mozioni, la Rete per il disarmo e la campagna «Sbilanciamoci» hanno portato a conoscenza dei deputati un documento del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti in cui si rende noto l'impegno contrattuale, datato 27 settembre 2013, con la capocommessa del progetto Lockheed Martin per l'acquisizione da parte dell'Italia di ulteriori 3 aerei F-35 (appartenenti al lotto VII il cui «buy year» cade nel 2013) e il completamento formale, prima non ancora firmato, dell'acquisto di 3 aerei appartenenti al lotto VI –:
   se il Ministro interrogato non intenda rendere edotto il Parlamento circa quanto contenuto nel citato documento del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti e, in particolare, quali siano i motivi che hanno portato il Governo a non investire il Parlamento, così come disposto invece dalle mozioni approvate da entrambe le Camere.
(3-00365)
(8 ottobre 2013)

   PESCO, TRIPIEDI, CASO, CARINELLI, MANLIO DI STEFANO, DE ROSA, BUSINAROLO, DADONE, D'AMBROSIO, CRIPPA, MICILLO, RUOCCO, CANCELLERI, PAOLO BERNINI, ALBERTI, LUIGI DI MAIO, NUTI, DIENI, COZZOLINO, PRODANI, DA VILLA, SIBILIA, DEL GROSSO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, CRISTIAN IANNUZZI, BATTELLI, FRUSONE, RIZZO, CORDA, BASILIO, VILLAROSA, COMINARDI, COLLETTI e MUCCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a Milano la casa circondariale San Vittore, al civico 2 di piazza Gaetano Filangieri, costruita nella seconda metà dell'Ottocento, desta forte preoccupazione per le precarie condizioni di vivibilità;
   si fa riferimento, nello specifico, alla grave situazione di sovraffollamento che costringe i detenuti a condividere in sei persone celle adatte ad ospitare al massimo una o due persone;
   dal rapporto dell'associazione Antigone si apprende che la situazione nel settembre 2012 era la seguente:
    a) 1.595 uomini (di cui 975 stranieri, pari al 61 per cento) e 110 donne (di cui 61 straniere, pari al 55 per cento, e 8 mamme con bambini recluse all'istituto a custodia attenuata per detenute madri);
    b) posizione giuridica: tra gli uomini 643 giudicabili, 382 appellanti, 220 ricorrenti e 350 definitivi; tra le donne 41 giudicabili, 29 appellanti, 3 ricorrenti e 37 definitive. In totale la quota di detenuti in attesa di giudizio è del 78 per cento al maschile e del 66 per cento al femminile;
   in merito alle presenze, ad oggi la situazione non è migliorata e le circa 1.600 persone detenute risiedono in spazi adatti ad ospitare non più di 600-800 persone;
   l'invivibilità della struttura ed il disagio vissuto dai detenuti sono causa di drammatici atti compiuti dai detenuti stessi. A tal proposito si segnala l'ultimo suicidio che risale al febbraio 2012: la vittima è un giovane di 21 anni, accusato di reati sessuali e ricoverato da alcuni giorni al centro di osservazione neuropsichiatrica dopo essere stato recluso nel reparto «protetti». I casi precedenti risalivano al gennaio 2010 e all'agosto 2009, mentre nel gennaio 2011 si verificava un decesso per cause naturali. Sono frequenti gli episodi di autolesionismo, soprattutto tra i detenuti stranieri; nei mesi estivi, quando aumenta il disagio anche per il calo delle attività e della presenza di operatori, se ne registrano circa 8 a settimana. Numerosi anche gli scioperi della fame (in media 10 a settimana, riconducibili soprattutto all'andamento del percorso giuridico-penale degli interessati o al mancato inserimento in attività lavorative);
   le condizioni di vivibilità potrebbero essere facilmente migliorate con semplici interventi di ristrutturazione;
   nello specifico, la struttura è composta da sei raggi che confluiscono in un'unica «rotonda» ed al di fuori dell'esagono vi sono altre strutture comprendenti gli uffici, le sale colloqui, la caserma per gli agenti e la sezione femminile: il raggio è il corridoio che porta alla rotonda e alle sezioni; ai piani superiori, nella vecchia sezione penale, sono al momento ospitati i giovani adulti. Lateralmente si accede al centro clinico e al centro di osservazione neuro-psichiatrica. Il centro clinico (detto anche VII reparto) ospita mediamente 100/110 pazienti-detenuti, spesso con patologie di particolare gravità (in particolare, patologie cardiocircolatorie). Il centro di osservazione neuro-psichiatrica, con le sue otto celle da due posti ciascuna, è un'area di osservazione e trattamento psichiatrico importante per l'intero circuito penitenziario lombardo (e non solo);
   il II raggio è chiuso dal 2006 per rischio di crollo della struttura;
   il III raggio, ristrutturato a norma di regolamento (servizi interni con docce, angolo cucina separato, spazi per le attività) e non sovraffollato, ospita sui vari piani detenuti lavoranti, tossicodipendenti già in carico al servizio per le tossicodipendenze (sert) e al quarto piano «La Nave», un progetto sperimentale dell'azienda sanitaria locale della Città di Milano per detenuti tossicodipendenti a trattamento avanzato. Per i detenuti comuni, è considerato un approdo privilegiato; è qui che vengono convogliati anche i cosiddetti «detenuti eccellenti» (politici o personaggi famosi) al loro arrivo a San Vittore;
   il IV raggio è chiuso in attesa di ristrutturazione; i lavori dovrebbero partire entro il 2013;
   il V raggio è il reparto riservato ai detenuti comuni, è stato recentemente sottoposto a lavori di ammodernamento e ristrutturazione ordinaria e, quindi, offre condizioni di igiene e vivibilità migliori del VI;
   nel V raggio è ubicata anche l'infermeria;
   il VI raggio non è da anni oggetto di lavori e, pertanto, è il raggio che attualmente versa in condizioni peggiori sia per il sovraffollamento (un terzo dei detenuti totali dell'istituto è attualmente stipato in questo raggio) che per le pessime condizioni igieniche. Molte celle misurano 6/7 metri quadrati e contengono due letti a castello a tre piani, che impediscono anche l'apertura delle finestre (per cambiare aria si smontano e rimontano i vetri) e che impongono ai reclusi di stare in piedi a turno. I servizi igienici risultano inadeguati; le docce comuni sono insufficienti per garantire a tutti i detenuti l'utilizzo quotidiano e impongono, quindi, la turnazione delle docce anche nei mesi estivi. L'accesso ai piani è consentito da un'unica scala molto stretta, senza ascensore o montacarichi (tra l'altro, la scala non consente il passaggio del carrello del cibo); non ci sono spazi per la socialità. In questo raggio vengono anche ospitati i nuovi giunti in attesa di assegnazione alle celle (piano terra) e i «protetti» (secondo piano);
   gli spazi per le ore d'aria sono tutti in cemento e con scarsa protezione dal sole e dalle intemperie; fa eccezione il III raggio, dotato anche di un campo da calcetto in erba sintetica;
   per i colloqui con figli minori è presente un piccolo spazio verde attrezzato con giochi da giardino e ben curato;
   nella sezione femminile le condizioni sono meno degradate, anche se si riscontrano problemi igienici e di carenza di spazi (in particolare, gli spazi comuni per le attività);
   la criticità riferita al sovraffollamento è particolarmente grave in alcuni raggi, in particolare nel VI, inoltre il II e il IV raggio sono chiusi dal 2005 in attesa dell'avvio dei lavori di ristrutturazione;
   sempre il rapporto dell'associazione Antigone conferma che il carcere di San Vittore, che sorge in una zona centrale della città, presenta molti problemi, legati alla fatiscenza e all'inadeguatezza delle strutture. Questi problemi strutturali, uniti all'elevato valore immobiliare dell'area che occupa, costituiscono la ragione per cui periodicamente si ridiscute l'opportunità della chiusura di San Vittore e dello spostamento della casa circondariale in un'altra zona di Milano. Per questa ragione, in attesa di una decisione sulla sua eventuale delocalizzazione, negli ultimi anni erano stati interrotti i lavori di ristrutturazione che dovevano interessare a turno tutti i sei raggi detentivi del carcere, per ammodernare l'istituto e migliorarne la vivibilità interna, adeguando progressivamente la struttura alle indicazioni contenute nel regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario;
   il piano di governo del territorio recentemente varato dalla giunta Pisapia (maggio 2012) ha definitivamente sancito che San Vittore non verrà spostato e, in occasione del consiglio comunale straordinario tenutosi proprio all'interno del carcere (5 ottobre 2012) Luigi Pagano, attuale vicecapo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e già storico direttore di San Vittore e in seguito provveditore regionale, ha annunciato che il Ministero dell'interno ha sbloccato i fondi per far ripartire i lavori di ristrutturazione;
   ad oggi i lavori, che sarebbero dovuti partire nel 2013, per la riapertura del IV raggio non sono ancora iniziati, mentre per il II raggio, sgomberato d'urgenza nel 2006 perché a rischio di crollo, i tempi saranno ancora lunghi;
   il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo ha verificato di persona la difficile situazione e le criticità per i detenuti e i dipendenti della struttura, causate dalla fatiscenza del VI raggio e di altre parti della casa circondariale –:
   quali siano i motivi per i quali non sono ancora iniziati i lavori di ristrutturazione dei raggi II, IV e VI.
(3-00366)
(8 ottobre 2013)

   DI LELLO e DI GIOIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge 14 settembre 2011, n. 148, all'articolo 1, comma 2, ha previsto la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione di una pluralità di uffici giudiziari su tutto il territorio nazionale;
   il Governo – come si legge nella Gazzetta ufficiale n. 216 del 16 settembre 2011 – ha il compito di «ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l'assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane»;
   i successivi decreti legislativi n. 155 del 2012 e n. 156 del 2012, recanti le disposizioni attuative sull'accorpamento dei tribunali, prevedono la soppressione di trentuno sedi di fori e delle relative procure della Repubblica; tra questi: Ariano Irpino, in provincia di Avellino, Sala Consilina, in provincia di Salerno, Melfi, in provincia di Potenza, Lucera, in provincia di Foggia, e Sulmona, in provincia dell'Aquila, nonché la soppressione di duecentoventi sezioni distaccate di tribunale ed infine la soppressione di seicentosessantasette sedi di giudice di pace;
   per quanto concerne la soppressione del plesso di Ariano Irpino, necessaria secondo il Governo ai fini della spending review, questa danneggia fortemente i cittadini del circondario, in quanto saranno costretti a subire l'accentramento presso la città di Avellino dei servizi giudiziari prima esplicati in sede locale; saranno particolarmente gravose le difficoltà dei cittadini che vivono nelle zone montane, costretti nei mesi invernali a raggiungere Avellino attraverso strade non sempre praticabili;
   la decisione, assunta dal precedente Governo, di un accorpamento del tribunale di Sala Consilina con quello, fuori regione, di Lagonegro penalizzerà certamente i vasti territori del Vallo di Diano e del Golfo di Policastro, che vivranno un forte disagio, dovendo effettuare lunghi spostamenti per vedere riconosciuti i propri diritti;
   anche la soppressione del tribunale di Melfi risulta incomprensibile, stante il ruolo fondamentale che lo stesso svolge nel contrasto alla criminalità organizzata. La città di Melfi, infatti, possiede un carcere di terzo livello e la chiusura del tribunale e il suo accorpamento presso il tribunale di Potenza comporterà lo spostamento dei detenuti che dovrebbero essere scortati a Potenza in caso di udienza o interrogatorio, con un notevole aumento di costi, tra magistrati e polizia penitenziaria di scorta;
   per quanto concerne, invece, la soppressione del tribunale di Lucera, baluardo indispensabile nella lotta alla criminalità organizzata, anche di stampo mafioso, si sta assistendo ad un serio e grave problema di funzionalità della giustizia, nonostante il lodevole impegno da parte sia delle forze dell'ordine che della magistratura, che stanno operando per far fronte alle difficoltà oggettive che tale accorpamento sta comportando;
   in particolare, il tribunale di Foggia, già in difficoltà per la quantità di procedimenti pendenti e l'insufficienza degli apparati giudiziari del territorio, non può sopportare l'ulteriore sovraccarico di lavoro;
   a differenza della soppressione dei tribunali sopra citati per i quali l'esecuzione è stata disposta entro il 13 settembre 2013, per i quattro tribunali abruzzesi l'esecuzione del provvedimento di soppressione è differita al settembre del 2015, in quanto, per gli effetti del sisma del 2009, le sedi dei tribunali accorpanti non erano e non sono ancora funzionali;
   a Sulmona, da tempo, si stanno svolgendo numerose manifestazioni di protesta che hanno raccolto l'adesione della generalità delle cittadinanze e delle rappresentanze istituzionali dei comuni compresi nel territorio del suo tribunale, perché si ritiene che il tribunale peligno abbia in pieno i requisiti per dettare la sua sopravvivenza, sia per quanto riguarda il territorio (vastità del circondario e diffuse ed elevate altitudini), sia per quanto concerne la precarietà delle infrastrutture e dei servizi di collegamento dei suoi territori con il futuro tribunale accorpante dell'Aquila;
   in tale zona è poi presente uno dei carceri di massima sicurezza d'Italia dove verranno ospitati solo detenuti AS1 e AS3 e collaboratori di giustizia e la cui capienza è già disposto che venga aumentata di altri 180 posti su 450 esistenti attualmente; il che comporterà evidenti problemi di sicurezza e di costi nei futuri collegamenti tra il penitenziario sulmonese e la sezione di sorveglianza del futuro tribunale accorpante dell'Aquila –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, alla luce delle considerazioni sopra esposte, che riguardano solo alcuni tribunali, ma che coinvolgono un elevato numero di cittadini e vasti ambiti territoriali, abbia intenzione di assumere al fine di rivedere il testo del decreto legislativo recante «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero», in attuazione della legge 14 settembre 2011, n. 148, in modo da evitare la paralisi ed il mal funzionamento del sistema giudiziario del nostro Paese.
(3-00367)
(8 ottobre 2013)