TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 16 di Mercoledì 15 maggio 2013

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   CAUSIN, ZANETTI, MOLEA, SOTTANELLI e MATARRESE. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore della pesca, soprattutto della piccola pesca, vive la più grave crisi della storia determinata anche dalla presenza di competitor aggressivi, come Slovenia, Croazia, Svezia, Spagna e Francia, che emarginano le attività di pesca in termini di caduta dei prezzi e della domanda, con riflessi immediati sulla redditività e sugli occupati;
   a fronte di un aumento crescente del consumo pro capite di pesce e di prodotti della pesca, si registra una drastica riduzione della quantità di pesce nei mari dovuta ad una pesca fortemente intensiva, che, unitamente ai continui rialzi del prezzo del carburante, ha prodotto in Italia un calo della produzione ittica e del numero degli occupati nel settore;
   dalle dimensioni della flotta al numero dei pescatori imbarcati, dalla produzione ai ricavi economici, tutti i parametri segnano valori in calo, compreso quelli delle catture e conseguentemente dei ricavi;
   oltre al depauperamento delle risorse marine e alla moria di molluschi, dalle cause ancora sconosciute, che rendono minimo lo stock ittico dell'alto Adriatico, si segnala anche l'azione dell'Europa che con i suoi regolamenti, come quello relativo alle «misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo», influisce ulteriormente sull'operatività del settore, limitando lo «sforzo» di pesca e vietando lo svolgimento nel mare italiano di attività tipiche;
   a questi fattori si accompagna un'attività sempre più frammentata durante l'anno, tra il fermo-pesca, le giornate perse dovute al cattivo tempo e le stagioni sempre più corte –:
   quali iniziative si intendano adottare, anche a livello europeo, per rilanciare il settore della pesca in Italia. (3-00050)
(14 maggio 2013)

   OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, FERRARI, FIORIO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VALIANTE, VENITTELLI, ZANIN, DE MARIA e ROSATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'attuale contesto di stagnazione degli investimenti la capacità di autofinanziamento delle imprese italiane è certamente diminuita. Questo ha determinato un incremento del fabbisogno finanziario da parte delle aziende produttrici, soprattutto di quelle, come le imprese agricole, che hanno difficoltà strutturali di autofinanziamento. L'indebitamento bancario per il settore agricolo rischia, però, di diventare un onere gravoso, soprattutto in questa fase di difficoltà economica e di restrizione creditizia;
   numerose sono le imprese agricole in difficoltà economiche, specialmente al Sud, che avrebbero semplicemente necessità di riequilibrare la loro posizione finanziaria attraverso l'accensione di operazioni di ristrutturazione dei loro debiti bancari, ma trovano forti difficoltà ad accedere a questi finanziamenti. Lo Stato e le regioni, per mancanza di risorse e anche per i limiti posti dalla Commissione europea sugli «aiuti di Stato» su operazione di consolidamento o di semplice ristrutturazione finanziaria, non sono stati finora in grado di intervenire;
   inoltre, alla luce della nuova regolamentazione creditizia prevista da Basilea, che dà particolare importanza alle garanzie come strumenti utili per la mitigazione del rischio, le imprese agricole non possono contare su di un adeguato sistema di garanzie;
   infine, bisogna sottolineare come i consorzi fidi in agricoltura non hanno ottenuto il successo che si riscontra in altri settori produttivi e sarebbe importante favorire un loro sviluppo e rafforzamento, attraverso anche una politica di agevolazioni al loro accorpamento, per dare una competenza territoriale più ampia ed un bacino di utenza superiore, sia in termini di volumi patrimoniali, che di numero di associati;
   come è noto, il problema del ricambio generazionale, già molto acuto nell'agricoltura europea, è particolarmente grave in Italia che, con il Portogallo, presenta l'indice di invecchiamento più elevato di tutta l'Unione europea; l'età media dei conduttori di impresa agricola in Italia si attesta sui 58 anni, con punte di 62 anni in caso di imprese che producono esclusivamente per autoconsumo;
   per favorire il ricambio generazionale servono politiche e regole adeguate e servizi specifici, soprattutto finalizzati all'aggregazione sia all'interno del settore agricolo che nel contesto territoriale in cui le imprese operano, favorendo ogni tipo di integrazione –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per facilitare l'accesso al credito delle imprese agricole e il ricambio generazionale, nell'obiettivo di sostenere quelle in difficoltà e quelle che intendono rilanciare la propria attività mediante il ricorso ad investimenti innovativi, favorendo politiche di aggregazione e di integrazione per il ricambio generazionale, anche mediante un corretto e pieno utilizzo dei fondi comunitari destinati ai piani di sviluppo rurale. (3-00051)
(14 maggio 2013)

   MIGLIORE, PILOZZI e KRONBICHLER. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   le dichiarazioni xenofobe e razziste rilasciate nei giorni scorsi da rappresentanti delle istituzioni (quali consiglieri comunali, nonché parlamentari europei) contro il Ministro interrogato, ad avviso degli interroganti – che, a fronte di tali episodi, hanno espresso la propria solidarietà al Ministro interrogato, condannando simili iniziative – non possono non destare preoccupazione rispetto ad un clima che strumentalmente si vuole esasperare a danno delle politiche di convivenza civile e di integrazione;
   la cittadinanza costituisce un tema di primaria importanza in uno Stato democratico: il tratto fondamentale della democrazia è, infatti, il suo carattere inclusivo, tendente a far sì che le persone possano godere pienamente di tutti i diritti fondamentali, tra i quali la cittadinanza si pone certamente come decisivo;
   attualmente, nel nostro Paese, vivono circa 5 milioni di persone di origine straniera; molti di loro sono bambine/i e ragazze/i nate/i o cresciute/i in Italia, che tuttavia possono accedere alla cittadinanza con modalità quanto mai ristrette e dopo un lungo percorso burocratico;
   le conseguenze di tale situazione sono disuguaglianze e ingiustizie, che, impedendo una piena integrazione, disattendono il dettato costituzionale che, all'articolo 3, stabilisce il fondamentale principio di uguaglianza ed impegna al contempo lo Stato a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il raggiungimento;
   non può non essere segnalato, peraltro, che a più di 60 anni dall'approvazione della nostra Carta fondamentale, ancora non ha trovato attuazione l'articolo 10 della Costituzione, in tema di diritto d'asilo;
   la disciplina italiana in materia di cittadinanza è principalmente contenuta nella legge n. 91 del 1992 e, ai sensi di tale legge (in particolare, dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della stessa) che fonda l'attribuzione della cittadinanza per lo più sullo ius sanguinis, acquistano di diritto la cittadinanza italiana alla nascita coloro i cui genitori (anche soltanto il padre o la madre) siano cittadini italiani;
   seppur in via residuale e in casi limitatissimi, l'ordinamento italiano riconosce anche il criterio alternativo dello ius soli; tuttavia, mentre l'acquisto della cittadinanza prevista in base al principio dello ius sanguinis non richiede uno specifico procedimento, nelle altre e residuali ipotesi si prevede una procedura estremamente farraginosa, che coinvolge diverse amministrazioni pubbliche;
   le procedure italiane, peraltro, rispetto a quelle degli altri Paesi che prevedono quale principio cardine lo ius sanguinis, in ogni caso sono estremamente lunghe;
   nella XVII legislatura, come anche nelle altre, sono state depositate sin da subito in Parlamento numerose proposte di modifica dell'attuale normativa, frutto di un lungo e partecipato percorso con le associazioni impegnate sulla tematica delle migrazioni, che prevedono lo ius soli quale principio cardine per il riconoscimento della cittadinanza;
   in particolare, l'acquisizione della cittadinanza non può continuare a costituire una sorta di privilegio da elargire discrezionalmente e a seguito di un tortuoso percorso burocratico, ma deve poter essere il naturale coronamento della legittima aspirazione del richiedente, a seguito di un soggiorno legale di durata ragionevole sul territorio;
   tale modifica, peraltro, che comporterebbe l'inclusione piena di persone nella fruizione di diritti e nell'adempimento di doveri, comporterebbe anche per lo Stato innegabili vantaggi, soprattutto in termini di coesione sociale –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende avviare per facilitare il riconoscimento della cittadinanza, in particolare prevedendo interventi sulla materia che incentrino la disciplina sul principio dello ius soli. (3-00052)
(14 maggio 2013)

   MOLTENI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   sabato 11 maggio 2013 a Milano, zona Niguarda, si è verificato un gravissimo episodio: un extracomunitario ghanese, entrato clandestinamente e destinatario di un provvedimento di diniego della richiesta d'asilo da parte della commissione territoriale per la protezione internazionale, con precedenti penali e senza fissa dimora, ha aggredito per strada senza alcun motivo, armato prima di una spranga e poi di un piccone, degli ignari passanti, causando la morte di tre persone;
   ancora recentemente un immigrato senegalese irregolare, contro il quale era già stato emesso un provvedimento di espulsione ma non eseguito e con precedenti per furto, lesioni e rissa, è stato indagato per la brutale aggressione e uccisione di una ragazza di 19 anni avvenuta a Castagneto Carducci nella notte del 1o maggio 2013;
   dal mese di aprile 2013 sono ripresi, e si sono intensificati negli ultimi giorni, gli sbarchi di immigrati irregolari nel nostro Paese: sull'isola di Lampedusa solo il 12 maggio 2013 sono state intercettate imbarcazioni con a bordo circa 180 extracomunitari, di origine tunisina e algerina, pertanto non profughi ma clandestini;
   dal suo insediamento proprio nel mese di aprile 2013, il Ministro interrogato ha posto come priorità e indicato come iniziative del proprio dicastero l'abrogazione del reato di «clandestinità» e l'introduzione dello ius soli nell'ordinamento italiano;
   tali proposte inviano messaggi sbagliati nei Paesi da cui proviene l'immigrazione clandestina e soprattutto verso le organizzazioni che prosperano sul traffico degli immigrati, incoraggiandoli ad intensificare la tratta di esseri umani verso le coste italiane;
   l'immigrazione è un fenomeno che va regolamentato e gestito in maniera rigorosa e attenta, in quanto coinvolge interessi pubblici primari e fondamentali, quali, ad esempio, la sicurezza, la sanità pubblica e l'ordine pubblico, cui lo Stato non può rinunciare nell'assicurare la pacifica convivenza sociale (sentenze n. 148 del 2008, n. 206 del 2006 e n. 62 del 1994 della Corte costituzionale);
   una rigorosa legislazione interna scoraggia sicuramente i flussi migratori clandestini: dopo l'entrata in vigore delle disposizioni del «pacchetto sicurezza» (che ha introdotto, tra le altre cose, all'articolo 10-bis, il reato di immigrazione clandestina) nel 2009 gli sbarchi sono diminuiti, rispetto al 2008, di circa il 74 per cento, come testimoniavano i dati pubblicati sul sito del Ministero dell'interno, ora non più reperibili;
   il reato di immigrazione clandestina vige, ancora prima che in Italia, anche in altri Paesi europei, ad esempio Gran Bretagna, Francia e Germania, e la Corte costituzionale, con la sentenza n. 250 del 2010, ha respinto la questione di costituzionalità del reato di «clandestinità», definendolo del tutto legittimo;
   è necessaria anche una continua cooperazione internazionale con i Paesi di origine dei flussi migratori, al fine di accelerare tutte quelle pratiche burocratiche che spesso rendono difficoltoso il rimpatrio, in particolare l'identificazione, per la quale è necessaria la permanenza nei centri di identificazione ed espulsione;
   la cittadinanza non può essere imposta e non è lo strumento per agevolare l'integrazione, ma, al contrario, il provvedimento finale di un reale processo di inserimento del soggetto nella realtà sociale in cui vive;
   l'integrazione, mezzo per il raggiungimento della cittadinanza e non il suo contrario, presuppone necessariamente da parte dell'immigrato la ferma volontà non solo di rispettare le leggi vigenti, le regole, nonché le tradizioni del Paese ospitante, ma anche di farle e sentirle proprie, e va condotta attraverso un percorso ordinato e con strumenti quali l'accordo di integrazione e il permesso di soggiorno a punti, in vigore dal marzo 2012 e introdotti dall'allora Ministro dell'interno Roberto Maroni;
   a seguito, invece, dell'intensificarsi dei fenomeni immigratori, la situazione è diventata di difficile gestione, tanto che, come dimostrano i sempre più frequenti fatti di cronaca, l'integrazione non è così facilmente raggiungibile e si impone, invece, una seria riflessione sulle politiche da attuare in materia –:
   quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato con riguardo alla proposta più volte annunciata di introdurre lo ius soli nell'ordinamento italiano e di modificare l'attuale legge sulla cittadinanza, di abrogare il reato di immigrazione clandestina, nonché di procedere alla chiusura dei centri di identificazione ed espulsione e se consideri ancora tali proposte, alla luce anche degli ultimi avvenimenti, priorità del proprio incarico. (3-00053)
(14 maggio 2013)

   RAMPELLI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   all'atto del proprio insediamento il Ministro interrogato ha avuto modo di dichiarare che il primo traguardo che si prefiggerà come Ministro è la conquista dello ius soli per i bambini stranieri nati in Italia, affinché questi abbiano da subito la cittadinanza italiana;
   ancora in tema di immigrazione, il Ministro interrogato ha affermato che «occorre rivedere la struttura dei centri di identificazione ed espulsione e lo stato di emergenza», anche riesaminando la direttiva europea che, a suo dire, «l'Italia ha ratificato in modo sbagliato»;
   allo stesso modo, sempre a parere del Ministro interrogato, dovrebbero essere abrogate le disposizioni normative che hanno introdotto il reato di immigrazione clandestina;
   nei giorni scorsi il Ministro interrogato ha annunciato l'imminente presentazione di un disegno di legge di riforma della cittadinanza che recherà l'introduzione di uno ius soli «temperato», cioè legato ad alcuni requisiti, definiti dallo stesso disegno di legge;
   allo stato attuale il Ministro interrogato non risulta aver avuto alcuna delega, né in materia di cittadinanza, riservata al Ministero dell'interno, né in materia di ordinamento penale, di competenza del Ministero della giustizia –:
   con quali limiti e attraverso quali modalità il Ministro interrogato intenda attuare l'introduzione dello ius soli nell'ordinamento italiano, anche in considerazione del proprio ambito di competenza. (3-00054)
(14 maggio 2013)

   TONINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni la comunità internazionale discute sugli open data e open Government e, secondo quanto risulta da alcune fonti di stampa, anche il Presidente degli Stati Uniti firma un nuovo ordine esecutivo: «Tutte le agenzie governative dovranno adottare open data interoperabili da mettere a disposizione dei cittadini a stelle e strisce»;
   in Italia è stata istituita un'Agenzia per l'Italia digitale e la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, considerata uno strumento cardine per la realizzazione dell'agenda digitale;
   l'agenda digitale ha compiti e destino fondamentali, dalla diffusione delle reti di nuova generazione all'uniformità tecnica dei sistemi informativi pubblici per l'erogazione di servizi ai cittadini, fino alla promozione di iniziative di alfabetizzazione informatica per abbattere il cosiddetto digital divide;
   ad avviso dell'interrogante, nonostante i proclami e la sua importanza, l'Agenzia non sembra decollare e non si è in grado di avere informazioni basilari on line; risulta all'interrogante da fonti di stampa che in questi giorni lo statuto dell'Agenzia sia stato oggetto di richiamo da parte della Corte dei conti e sia stato, al momento, ritirato;
   la stessa Agenzia ha selezionato il proprio direttore generale, seguendo un protocollo di trasparenza pubblica, anche se, ad avviso dell'interrogante, gli aspetti innovativi hanno evidenziato diversi «errori» di trascrizioni, di fotocopie pubblicate on line in luogo dei documenti digitali ed altro ancora;
   risulta all'interrogante che alla selezione abbiano partecipato oltre 200 esperti di comprovata esperienza, inviando il proprio curriculum vitae, ma non si ha notizia alcuna di queste informazioni, che risulterebbero preziose per la collettività, al fine di conoscere l'operato del Governo;
   sul sito DigitPA, in ordine al nuovo direttore, si legge: «Nomina frutto di una valutazione collegiale cui si è giunti attraverso una procedura innovativa e aperta alla quale hanno partecipato oltre 200 candidati»; eppure, ad oggi, non risultano pubblicati o resi noti i nomi degli esperti ed i loro curricula, unico elemento di valutazione per la scelta;
   sul sito dell'Agenzia non v’è traccia neanche del curriculum vitae del nominato direttore;
   l'avviso pubblico per la selezione del direttore dell'Agenzia per l'Italia digitale recitava che essa sarebbe avvenuta «tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione»; questione di non poco conto, ad avviso dell'interrogante, è conoscere la procedura ed i criteri che hanno guidato la scelta;
   ad avviso dell'interrogante, sarebbe stato opportuno richiedere, al profilo dei candidati, anche eventuali abilitazioni al trattamento dei dati classificati con le idonee e necessarie «cleareance di sicurezza internazionali» previste in questi casi e sapere se l'attuale direttore le possieda;
   ad avviso dell'interrogante, i curricula dei dirigenti non sembrano conformi a quanto richiesto per la loro selezione, né rispetto al ruolo che ricoprono; una vetrina, questa, del tutto inadeguata per un'Agenzia, il cui obiettivo, tra gli altri, è quello di contribuire a procurare risparmi, secondo stime attendibili, pari ad oltre 60 miliardi di euro annui, sostenendo lo Stato nell'ottimizzazione di tutti i flussi informativi propedeutici alle decisioni;
   risulta da chiarire, ad avviso dell'interrogante, come mai non sia stata pubblicata la graduatoria dei partecipanti alla selezione e se, eventualmente, i candidati non possano essere utilizzati da amministrazioni o enti pubblici, i quali dovrebbero dotarsi di uffici ed esperti per l'uso coordinato e congiunto dell'informazione digitale in Italia, nell'ambito del cosiddetto progetto di riuso;
   ad avviso dell'interrogante, la presenza di personale, dirigenziale e non, qualificato e competente dovrebbe essere un vanto per ogni amministrazione pubblica, che dovrebbe spingere alla trasparenza e alla pubblicazione di tutte le fasi procedurali –:
   se e come intenda rimediare alla mancata trasparenza in ordine alla procedura, alla graduatoria ed alla scelta finale del direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale, in particolare nel caso in cui i profili selezionati o la medesima scelta finale risultassero inadeguati. (3-00055)
(14 maggio 2013)

   PALMIERI, BERGAMINI e BALDELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella XVI legislatura sia i Governi che il Parlamento, in particolar modo la Camera dei deputati, si sono «applicati» alla realizzazione dell'agenda digitale italiana;
   da ultimo, nei due decreti-legge di giugno e ottobre 2012, il Governo aveva tentato un lavoro di sintesi con la nascita dell'Agenzia per l'Italia digitale e una serie di misure di e-government e di sviluppo dell'economia digitale, alcune delle quali prendevano spunto dal lavoro fatto presso la Camera dei deputati;
   l'Agenzia attualmente non è ancora in grado di operare. Il Governo ha dovuto ritirarne lo statuto. I troppi decreti attuativi previsti e non ancora emanati bloccano la gran parte delle misure necessarie all'attuazione dell'agenda digitale –:
   cosa intenda fare per avviare realmente l'attività dell'Agenzia per l'Italia digitale e quando intenda emanare i decreti attuativi per l'agenda digitale. (3-00056)
(14 maggio 2013)

   PISICCHIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», all'articolo 16, comma 2, prevede che gli obiettivi del patto di stabilità interno delle regioni a statuto ordinario siano rideterminati in modo tale da assicurare l'importo di 700 milioni di euro per l'anno 2012 e di 2.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 2.050 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013)», all'articolo 1, comma 449, ha stabilito che il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile delle regioni a statuto ordinario, non può essere superiore, per ciascuno degli anni 2013 e 2014, all'importo di 20.090 milioni di euro e, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, all'importo di 20.040 milioni di euro;
   l'ammontare dell'obiettivo di ciascuna regione in termini di competenza eurocompatibile, per gli esercizi dal 2013 al 2016, è determinato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio di ciascun anno;
   la Conferenza Stato-regioni nella seduta del 24 gennaio 2013 ha ripartito tra le regioni a statuto ordinario l'obiettivo del patto di stabilità interno per l'esercizio 2013;
   con il decreto ministeriale del 20 febbraio 2013 è stata adottata la ripartizione tra le regioni a statuto ordinario; i criteri adottati per effettuare questa ripartizione si basano su dati storici del 2005, fotografano una realtà distorta. Tali criteri dovrebbero essere rivisti e rapportati a criteri oggettivi;
   la cifra che scaturisce nella tabella allegata al decreto citato vede un tetto di spese complessive pari a 1.340.693.635 euro per la regione Puglia, che si traduce nella possibilità di destinare appena 327 euro pro capite per i cittadini della regione;
   altre regioni possono, sulla base di questa tabella, destinare cifre superiori ai loro cittadini. Si parla di 826 euro per il Molise, 925 per la Basilicata e 407 per la Campania –:
   se il Governo non ritenga indispensabile e urgente, al fine di stimolare la ripresa dell'economia e dello sviluppo del Meridione, assumere iniziative finalizzate a rivedere i criteri con i quali vengono attribuiti i tetti per le singole regioni ai fini del patto di stabilità. (3-00057)
(14 maggio 2013)