TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 14 di Mercoledì 8 maggio 2013

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   VITELLI, MONCHIERO e RABINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Cipe ha rimodulato le risorse del fondo per le infrastrutture ferroviarie e stradali relativo a opere di interesse strategico, stabilendo che i 10 milioni di euro previsti per le misure compensative della Tav tra il 2013 e il 2015 vengano ripartiti in due tranche: 2 milioni di euro sul 2013 e i restanti 8 milioni sul 2016;
   tale decisione sottrae nel breve termine risorse a quelle, già scarse, destinate ai territori interessati dalla realizzazione della Torino-Lione;
   risulterebbe agli interroganti che tale scelta sia stata fatta senza informare il Governo, il commissario Virano e gli enti locali interessati e che parte dei fondi destinati alla Val Susa sarebbero stati dirottati per il completamento del «Nuovo Auditorium-Teatro dell'opera» di Firenze –:
   se non ritenga di intervenire in tempi rapidi, nell'ambito delle proprie competenze, per ripristinare le risorse compensative destinate alle comunità locali interessate dalla Tav. (3-00036)
(7 maggio 2013)

   FORMISANO, TABACCI, PISICCHIO, LO MONTE e CAPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini della regione Campania, sulla base di un discutibile intervento legislativo regionale, poi vanificato, non hanno potuto usufruire del condono edilizio del 2003;
   il fenomeno dell'abusivismo edilizio ha raggiunto nel napoletano punte notevoli, sia sulla base di interventi di necessità, sia sulla base di interventi speculativi;
   l'assenza dell'applicabilità della norma nazionale del 2003 ha prodotto un ulteriore imbarbarimento della realtà, dovuto al sommarsi degli abusi teoricamente rientranti nel condono del 2003 e quelli successivi a tale data;
   la magistratura penale giustamente, a fronte di tale quantità di abusi edilizi, sta provvedendo ad emettere ed a notificare agli interessati ordinanze di abbattimento dei manufatti abusivi, sia costruiti per mera attività speculativa, sia costruiti sulla base di necessità effettive, sia teoricamente rientranti nella previsione di condono del 2003 e precedenti, senza operare alcuna distinzione tra le varie fattispecie;
   tale situazione incide negativamente in una realtà già compressa socialmente ed economicamente quando il previsto abbattimento deve essere realizzato su attività commerciali che producono risorse e lavoro –:
   se non sia il caso di prevedere, attraverso iniziative normative urgenti, una soprasessoria o una graduazione delle previste demolizioni, al fine di salvaguardare, ove possibile, le attività commerciali in essere e tenendo conto anche della qualità dell'abuso realizzato, distinguendo, se possibile, tra abuso di speculazione e abuso di necessità commesso anche a titolo abitativo di prima e unica casa, in assenza del piano di sicurezza nazionale non ancora adottato. (3-00037)
(7 maggio 2013)

   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli ammortizzatori in deroga sono trattamenti di sostegno al reddito in favore di lavoratori dipendenti da imprese escluse dalla normativa generale sugli ammortizzatori sociali; a beneficiarne, pertanto, sono soprattutto i lavoratori delle piccole e medie imprese, quelle stesse che principalmente costituiscono il tessuto economico italiano e che, in questi anni, maggiormente risentono della crisi socio-economica del Paese;
   la legge n. 92 del 2012, più comunemente nota come «riforma Fornero», nel delineare la riforma degli ammortizzatori sociali con l'introduzione dell'assicurazione sociale per l'impiego (aspi) e della mini-aspi, ha previsto la possibilità di concedere trattamenti di cassa integrazione in deroga, tramite accordi governativi tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dell'economia e delle finanze, per gestire «situazioni derivanti dal perdurare dello stato di debolezza dei livelli produttivi del Paese per gli anni 2013-2016»;
   secondo quanto riportato dalla stampa nei giorni scorsi è «allarme» sulle risorse per il finanziamento della cassa in deroga: il segretario della Cgil ha dichiarato che servono 2,7 miliardi di euro per il 2013, mentre l'ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Fornero, ha affermato che un miliardo di euro forse non sarebbe bastato;
   nel dicembre 2012, una circolare inviata dall'Inps aveva disposto i pagamenti per i soli decreti regionali giunti entro il 31 dicembre 2012 e, solo a seguito della protesta di sindacati e regioni, il 13 febbraio 2013 l'ex Ministro Fornero aveva autorizzato l'Inps all'erogazione degli ammortizzatori sociali in deroga limitatamente alle regioni che avessero già siglato le convenzioni con il Ministero, nonché al pagamento di due mensilità della cassa integrazione in deroga del 2012, con autorizzazione successiva al 31 dicembre 2012, ma limitatamente al tetto di copertura di 200 milioni di euro;
   dal 13 febbraio 2013 al 13 marzo 2013 un forte pressing ha portato alla definizione delle spettanze per le diciannove regioni italiane e le due province autonome di Trento e Bolzano, ma subito è scattata l'agitazione, soprattutto da Lombardia, Toscana e Puglia, poiché le richieste pervenute da gennaio 2013 hanno già sforato la copertura prevista a livello regionale: in Lombardia l'assegnazione in base alla spesa storica è stata pari ad 87 milioni di euro, contro un fabbisogno di 300 milioni di euro;
   il mancato reperimento di fondi per garantire gli ammortizzatori in deroga per tutto il 2013 rischia di creare una vera e propria emergenza sociale, che coinvolge migliaia di lavoratori e rispettive famiglie –:
   come il Governo intenda reperire le risorse per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga ed entro quali tempi, auspicando che non percorra la strada dell'aumento della pressione fiscale, già tra le più alte d'Europa, causa principale dello stato di crisi e di recessione del Paese. (3-00038)
(7 maggio 2013)

   BELLANOVA, SPERANZA, DE MICHELI, GIACOMELLI, GRASSI, MARTELLA, VELO, DE MARIA, ROSATO, FREGOLENT, GARAVINI, POLLASTRINI e MAURI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il drammatico contesto socio-economico che caratterizza da diversi anni il nostro Paese non mostra segnali di miglioramento per tutto il 2013, con una riduzione del prodotto interno lordo che dovrebbe attestarsi attorno al 1,4 per cento e una timida ripresa per l'anno 2014, tuttavia, senza che questa possa produrre effetti benefici sul piano occupazionale;
   la crisi economica ha fortemente indebolito il sistema produttivo italiano, reso più fragile ed esposto a una crisi di competitività che si ripercuote sui lavoratori e sul loro posto di lavoro, sempre più a rischio; per far fronte a quella che si va delineando come una vera e propria emergenza sociale occorre sfruttare tutti gli strumenti a disposizione dello Stato, al fine di attenuare gli effetti della grave recessione sulle famiglie italiane;
   nella consapevolezza della gravità degli effetti sociali del protrarsi della crisi, tra i primi atti prodotti dal gruppo del Partito democratico nell'immediatezza dell'avvio della XVII legislatura vi è stata la mozione n. 1-00007, a prima firma dell'onorevole Speranza, volta a promuovere l'immediato rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga per tutto l'anno 2013;
   su tale urgenza si è registrata l'unanime condivisione delle organizzazioni sindacali e delle amministrazioni regionali;
   vanno sottolineati positivamente la consapevolezza dell'urgenza e gli impegni assunti dal Presidente del Consiglio dei ministri, sin dalle dichiarazioni programmatiche su cui ha ricevuto la fiducia delle Camere –:
   con quali tempi si intenda intervenire per assicurare le opportune risorse economiche necessarie a finanziarie gli ammortizzatori sociali in deroga per tutto il 2013, in prospettiva di un più generale intervento di riordino e universalizzazione degli strumenti di sostegno del reddito di tutti lavoratori, a prescindere dal settore di appartenenza e dalle diverse tipologie contrattuali applicate. (3-00039)
(7 maggio 2013)

   MIGLIORE, DI SALVO, AIRAUDO, PLACIDO e RAGOSTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i cosiddetti esodati sono lavoratori e lavoratrici che, al momento dell'adozione della «riforma pensionistica Fornero» (articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011), erano prossimi al raggiungimento dei requisiti pensionistici ed erano fuoriusciti o stavano per fuoriuscire dal mercato del lavoro;
   poiché la «riforma Fornero», dal 2012, ha sensibilmente incrementato i requisiti anagrafici e contributivi per l'accesso al pensionamento, tali lavoratori e lavoratrici hanno visto spostarsi in avanti, anche di svariati anni, il momento in cui potranno accedere alla pensione;
   essendo rimasti senza lavoro e non potendo più accedere subito alla pensione, lavoratori e lavoratrici esodati rimarranno – da subito o al termine del periodo di godimento di eventuali ammortizzatori sociali cui avevano diritto – senza reddito e senza mezzi di sostentamento per sé e per le loro famiglie;
   la «riforma Fornero» della previdenza, pensata per fare cassa, non ha dettato una vera disciplina transitoria per salvaguardare le legittime aspettative di tutte le lavoratrici e i lavoratori prossimi al raggiungimento dei requisiti pensionistici, limitandosi, invece, ad individuare alcune categorie di lavoratori ai quali continuare ad applicare la normativa previdenziale previgente (cosiddetti salvaguardati), fino alla concorrenza di limitate risorse finanziarie a ciò destinate;
   secondo dati della Ragioneria generale dello Stato, prodotti in occasione dell’iter parlamentare dell'atto Camera n. 5103 della XVI legislatura, i lavoratori esodati interessati dalle disposizioni del progetto di legge in questione sarebbero stati ben 314 mila; ma secondo le stime dell'Inps, e dichiarazioni variamente rilasciate dall'ex Ministro Fornero, un calcolo preciso non è possibile e comunque si potrebbe arrivare a circa 400 mila lavoratori e lavoratrici;
   venutasi a creare una grave situazione sociale e una rottura del patto che i cittadini lavoratori hanno fatto con lo Stato, con provvedimenti successivi sono state parzialmente incrementate le risorse, portando il numero totale degli esodati salvaguardati a 130.130 unità;
   il numero degli esodati per i quali non è stata trovata ancora una soluzione sono oltre 200 mila, forse molti di più, rispetto ai quali lo Stato e la politica ha delle gravi e urgenti responsabilità;
   inoltre, rispetto ai 130.130 salvaguardati sussiste una situazione di totale mancanza di certezze. Sono moltissimi i lavoratori e le lavoratrici che, pur avendo presentato domanda perché ritengono di avere i requisiti per essere salvaguardati, scrivono allarmati perché l'Inps e gli altri enti competenti non forniscono informazioni certe riguardo alle posizioni di ciascuno di loro;
   in altri casi, invece, comunicano agli interroganti addirittura che gli stessi enti si rifiutano di ricevere le loro domande, senza neppure disporre la necessaria istruttoria in considerazione della particolarità e della complessità di ciascuna posizione;
   quanto sta accadendo è particolarmente grave, perché rivela la sottovalutazione del problema nella situazione di incertezza che è venuta a determinarsi, non garantendo a tali lavoratori e lavoratrici almeno il migliore servizio possibile di informazione e assistenza;
   è noto, infine, che per i lavoratori e le lavoratrici l'accesso alla salvaguardia si è concretamente aperta solo nel giugno 2012, a seguito della pubblicazione del decreto ministeriale del 1o giugno 2012, grazie al quale sono poi iniziate le procedure di monitoraggio atte a controllare il possesso dei requisiti richiesti ai lavoratori e la definizione delle liste di salvaguardia. Questa operazione, sfortunatamente, sembra ancora non essersi conclusa, pur a fronte del fatto che alcuni soggetti abbiano già maturato la decorrenza pensionistica; e questo perché le procedure di emersione sono scattate solo nel settembre 2012. Per questi lavoratori l'Inps sta esaminando le singole istanze, per verificare le condizioni contrattuali e il percorso lavorativo di ciascun candidato alla salvaguardia. Ciò nonostante rimane ancora sconosciuto il numero dei lavoratori che nel gruppo dei primi 65.000 salvaguardati rimane escluso, pur avendo i requisiti previste dalla legge. Su questo fronte né l'Inps, né il Ministero del lavoro e delle politiche sociali forniscono informazioni dettagliate e precise;
   nel suo discorso alle Camere per la richiesta della fiducia, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che: «con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo Governo»;
   in un'intervista rilasciata al quotidiano la Repubblica, il Sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali, professor Carlo Dell'Aringa, ha dichiarato che occorre introdurre una flessibilità in uscita verso il pensionamento, ricordando che bisogna prendere atto con realismo che con la «riforma Fornero» «si è aperta una falla sociale spaventosa» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per offrire una soluzione strutturale al problema dei lavoratori cosiddetti esodati non ancora salvaguardati, che includa anche il rafforzamento dei servizi di informazione e assistenza che l'Inps e gli altri enti interessati devono necessariamente prestare a ciascuno di loro. (3-00040)
(7 maggio 2013)

   ROSTELLATO, CIPRINI, COMINARDI, BECHIS, TRIPIEDI, BALDASSARRE, RIZZETTO e LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti intendono farsi portavoce di una situazione sociale al limite della sostenibilità; si è assistito alla recente nascita di una congerie di nuove categorie di «non lavoratori», in particolare con la riforma dell'ex Ministro Fornero, ma tale peculiare condizione è uno dei risultati della precarietà a tempo indeterminato, spacciata per flessibilità, introdotta a partire dalla metà degli anni ’90, ma senza il necessario corollario delle misure di tutela;
   gli interroganti ritengono di dover chiarire gli equivoci di fondo e spiegare chi sono gli esodati: essi sono i 130.000 che hanno interrotto il proprio rapporto di lavoro avendo trattato o firmato accordi, sindacali o no, per l'accompagnamento alla pensione con il pagamento, da parte dell'azienda, dello stipendio e dei contributi fino al raggiungimento della pensione oppure, con l'ottenimento di forti incentivi economici – in particolare nel caso di manager – cifre tali da permettere loro una vita più che tranquilla senza lavorare e, contemporaneamente, di pagare contributi «volontari» per il raggiungimento della pensione nel 2013 (gli interroganti rilevano che la stragrande maggioranza degli «esodati» che hanno firmato l'accompagnamento alla pensione lavoravano in aziende quali Poste italiane, Enel, banche, Italtel-Siemens, vale a dire aziende sopra i 15 dipendenti, statali e/o parastatali);
   con la riforma dell'ex Ministro Fornero e l'innalzamento dell'età pensionabile, i 130.000 «esodati» si sono trovati scoperti, nella maggioranza dei casi, per qualche mese o, al massimo, per un anno, ma risultano tutti «salvati» e, al momento, solo in attesa delle risorse economiche che l'Inps non ha ancora inviato per questioni di graduatorie;
   la questione che preme agli interroganti mettere in luce è la condizione di quanti, rispetto agli esodati ufficiali, si trovano nella medesima posizione – espulsi dal mondo del lavoro – ma completamente privi di tutele: risulta discriminatorio porre l'accento esclusivamente sulle problematiche inerenti agli «esodati», come sopra indicati, a fronte di lavoratori che non hanno potuto stringere accordi o essere accompagnati alla pensione, perché era inutile che facessero quegli accordi, perché avevano già una contribuzione più che utile al raggiungimento della pensione, o era impossibile ottenere quegli accordi, perché lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti, o, ancora, perché lavoratori del commercio sotto i 50 dipendenti o perché lavoratori a partita iva, o perché lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo (crisi, ristrutturazione, mancato pagamento ed altro) o perché lavoratori di imprese fallite o perché lavoratori a contratto stagionale e/o precario, o perché vittime di mobbing uscite «volontariamente» dal mondo del lavoro singolarmente (anche se in massa) e tutti diventati immediatamente troppo vecchi per lavorare, troppo giovani per la pensione e, quindi, non più ricollocabili;
   ad avviso degli interroganti, gli accordi di accompagnamento alla pensione, per i lavoratori appartenenti al 76 per cento del mondo del lavoro, cioè a tutti quei lavoratori che non sono sotto l'egida sindacale, erano e sono assolutamente preclusi, accordi impossibili anche per coloro ai quali mancava solo l'età stabilita (già aumentata dai precedenti Governi, a fronte dell'altissimo numero di lavoratori e lavoratrici disoccupati proprio a causa dell'età avanzata), che prevedeva il suo termine di ammissione, nel e dal 2013, per la maturazione del diritto in base all'età e non solo alla soglia contributiva dei 35 anni, magari già raggiunta da tempo;
   gli interroganti stigmatizzano il costume di questo Paese nei confronti di aziende ritenute particolarmente significative dai Governi e di altre, statali e parastatali, alle quali sono stati concessi negli anni, in assenza di strategie o ristrutturazioni lungimiranti da parte delle beneficiarie, oltre ad ingenti aiuti economici, sulle spalle di tutta la collettività, anche agevolazioni in ordine a prepensionamenti o cosiddetti «scivoli» a dipendenti con parecchi anni in meno dei 35 di contribuzione e con età anagrafica ben lontana da quella oggi richiesta;
   ad avviso degli interroganti, anche a fronte del «balletto di cifre» intercorso tra l'ente competente Inps e l'ex Ministro Fornero, è opportuno che oggi siano chiarite le cifre esatte in ordine agli effetti sulle categorie e sul numero dei lavoratori della recente riforma previdenziale –:
   quanti siano in totale i soggetti penalizzati, in quanto non più titolari di rapporto di lavoro e non ancora titolari di pensione, che secondo la previgente normativa ne sarebbero stati titolari, al netto dei circa 130.000 esodati già salvaguardati, e come intenda il Governo intervenire al fine di salvaguardare anche la restante parte. (3-00041)
(7 maggio 2013)

   BALDELLI, PIZZOLANTE e POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 38,4 per cento a marzo 2013 ed è in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto a febbraio 2013 e di 3,2 punti rispetto allo stesso periodo del 2012;
   tra i principali interventi da adottare per ridurre la disoccupazione giovanile c’è la detassazione per le imprese che assumono con contratti a tempo indeterminato e la modifica della cosiddetta legge Fornero in merito ai contratti a termine –:
   quali iniziative intenda adottare per rilanciare il mercato del lavoro in Italia e, in particolare, per abbattere la disoccupazione giovanile. (3-00042)
(7 maggio 2013)

   GIORGIA MELONI e RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la perdurante crisi economica che sta proseguendo in ogni parte del mondo manifesta i propri effetti negativi, in particolare, nei confronti delle categorie più deboli, alle quali è stato chiesto un enorme sacrificio per il bene dell'Italia;
   in tale contesto di reale sofferenza spicca, per la propria incomprensibile essenza, la questione delle cosiddette «pensioni d'oro»;
   erroneamente percepite come diritti acquisiti, le pensioni d'oro non possono non essere considerate altro che ingiusti privilegi, che, in specie in tale contesto socio-economico, non hanno alcun motivo per essere perpetuate;
   il livello medio delle pensioni erogate dagli enti previdenziali, anche in considerazione dell'elevato numero e della cifra quasi simbolica delle pensioni minime, è assolutamente incompatibile con la loro conservazione;
   sarebbe opportuno fissare un tetto alle pensioni d'oro quando le stesse non corrispondano a contributi effettivamente versati, stabilendo, ad esempio, che le stesse non possano superare dieci volte il livello delle pensioni minime, salvo i casi di chi abbia versato somme maggiori rispetto al limite proposto;
   quello dell'assoluta ingiustizia delle pensioni d'oro è un sentimento diffusissimo nella società e nella XVI legislatura la questione di una riforma delle stesse venne più volte dibattuta e condivisa dalle diverse forze politiche nel Parlamento;
   proprio per quanto appena detto è urgente riformare il sistema delle pensioni d'oro, senza avere intenti penalizzanti nei confronti di alcuno, ma cercando la giusta via per affrontare una questione ormai non più rimandabile –:
   quali siano gli intendimenti del Governo nella materia delle cosiddette pensioni d'oro, in considerazione del fatto che l'esigenza di una riforma delle stesse è ampiamente condivisa dalla società e dalle forze politiche, e, nello specifico, se si intenda utilizzare i risparmi eventualmente prodotti per la creazione di un fondo destinato all'adeguamento delle pensioni di invalidità al livello delle pensioni minime. (3-00043)
(7 maggio 2013)