XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULLA POLITICA ESTERA PER L'INDO-PACIFICO

Resoconto stenografico



Seduta n. 18 di Giovedì 4 aprile 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROIEZIONE DELL'ITALIA E DEI PAESI EUROPEI NELL'INDO-PACIFICO
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Grano Simona Alba , professore associato di sinologia presso l'Università di Zurigo (intervento in videoconferenza) ... 3 
Formentini Paolo , Presidente ... 6 
Carè Nicola (PD-IDP)  ... 6 
Grano Simona Alba , professore associato di sinologia presso l'Università di Zurigo (intervento in videoconferenza) ... 6 
Billi Simone (LEGA)  ... 6 
Quartapelle Procopio Lia (PD-IDP)  ... 7 
Formentini Paolo , Presidente ... 7 
Grano Simona Alba , professore associato di sinologia presso l'Università di Zurigo (intervento in videoconferenza) ... 7 
Formentini Paolo , Presidente ... 9

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 13.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di Simona Alba Grano, professore associato di sinologia presso l'Università di Zurigo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative alla proiezione dell'Italia e dei Paesi europei nell'Indo-Pacifico, l'audizione, in videoconferenza, di Simona Alba Grano, professore associato di sinologia presso l'Università di Zurigo.
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori la professoressa Grano. Considerati i tempi stretti dell'audizione, Le do subito la parola perché possa svolgere il proprio intervento.
  Grazie.

  SIMONA ALBA GRANO, professore associato di sinologia presso l'Università di Zurigo (intervento in videoconferenza). Grazie, presidente, per l'invito ad intervenire di fronte a voi e al Comitato sulla politica estera per l'Indo-Pacifico e grazie anche agli onorevoli per l'attenzione che mi state dedicando.
  Partirò subito a parlare dello Stretto di Taiwan. So che avete già parlato con altri ospiti, con altre persone e altri esperti, quindi cercherò di non ripetermi. Vorrei, però, ribadire una cosa che, a mio parere, è molto importante, ovvero che lo Stretto di Taiwan è assolutamente l'elemento scatenante di un possibile futuro grande conflitto tra le due superpotenze, Cina e Stati Uniti.
  Il massiccio programma di modernizzazione militare della Cina e anche le recenti azioni militari e diplomatiche della Repubblica popolare cinese nei confronti di Taiwan – di cui parlerò in dettaglio tra poco – sottolineano proprio questo potenziale per un confronto epocale. Quindi, visto che siamo qui per immaginare una strategia efficace che riguardi l'Indo-Pacifico, ritengo che sia indispensabile capire sia come essere presenti in quell'area del mondo e come offrire sostegno ai Paesi che ne fanno parte – che ormai sono preoccupati, lo vediamo con una serie di alleanze di sicurezza che stanno nascendo per la crescente assertività della Cina – sia come tentare di ridurre le tensioni e contrastare le azioni della Cina.
  Io mi focalizzerò soprattutto su questo primo punto, perché penso che sia essenziale e che l'Italia possa giocare un ruolo importante. Poi, per concludere, parlerò brevemente delle ultime azioni che la Cina sta compiendo, all'indomani delle elezioni che si sono svolte a Taiwan a gennaio di quest'anno.
  Vorrei menzionare brevemente il fatto che la Svizzera, Paese in cui vivo da quindici anni, ha prodotto un documento sulla Cina, che si chiama «Strategia Cina 2021-2024», che menziona brevemente Taiwan. Pag. 4A mio parere è molto importante menzionare Taiwan, ancora di più in un documento non specificatamente rivolto alla Cina, ma all'Indo-Pacifico, come quello che avete intenzione o a cui state pensando in Italia, perché è diventata chiara negli ultimi anni quale sia l'importanza geopolitica e geostrategica di Taiwan per la regione dell'Indo-Pacifico, per gli Stati Uniti e per il mondo nel suo complesso quando si tratta di questioni, ad esempio, come quella dei semiconduttori.
  Lo avrete sentito, una guerra per Taiwan causerebbe problemi logistici venti volte superiori a quelli che stiamo vivendo per via dell'invasione russa in Ucraina, oltre ad uno shock economico globale che potrebbe potenzialmente sconvolgere l'economia mondiale. Non so se lo avete visto, ma un rapporto che è uscito a dicembre del 2022 – se non sbaglio, del Rhodium Group di New York – stima che un eventuale embargo – quindi un blocco dell'isola, non un conflitto militare vero e proprio – provocherebbe perdite economiche annue per il mondo pari a 2,5 trilioni di dollari. Questo, ovviamente, potete immaginarlo, avrebbe un forte impatto sul commercio, sugli investimenti su scala globale, lasciando pochi Paesi indenni e, come detto, si verificherebbe anche se il conflitto non diventasse cinetico.
  Questo stesso rapporto, tra l'altro, ha anche rilevato che Taiwan, ovviamente, sarebbe il più colpito, ma anche il danno economico che ne deriverebbe per la Cina sarebbe immenso. Quindi, data l'importanza della Cina come partner economico per molti Paesi in via di sviluppo, un simile shock potrebbe spingere circa una dozzina di mercati emergenti in una crisi economica. Un conflitto potrebbe anche avere un impatto di vasta portata sugli investimenti cinesi in uscita e sulle attività di prestito, per esempio, all'interno della Via della seta, che la Cina probabilmente sospenderebbe.
  Quali sarebbero i settori colpiti? In termini di settori, probabilmente le catene di approvvigionamento che dipendono dai semiconduttori – quindi l'elettronica, il settore automobilistico e l'informatica – subirebbero le maggiori ripercussioni, ma anche molte industrie – per esempio, del settore dei servizi – dipendono dalla disponibilità di apparecchiature contenenti microchip taiwanesi. Tra questi penso, ad esempio, al commercio elettronico, alla logistica, all'intrattenimento. Sono tutti settori che collettivamente impiegano decine di milioni di persone. I pezzi di ricambio e i componenti, per esempio, per le principali infrastrutture pubbliche e telecomunicazioni, i dispositivi medici, tutto questo potrebbe scarseggiare.
  L'impatto sociale ed economico di una carenza di microchip, ovviamente, è incalcolabile e sarebbe catastrofico, quindi in uno scenario del genere è impraticabile – per concludere questa prima parte del mio intervento – rimanere neutrali, come disse quasi un anno fa il Presidente francese Emmanuel Macron. Anzi, gli Stati Uniti e l'Europa – Italia inclusa – dovrebbero elaborare una strategia chiara per promuovere la deterrenza, la de-escalation, e che non si arrivi ad un conflitto militare. La neutralità, chiaramente, non può essere un'opzione per l'Europa, perché, come abbiamo appena detto, un conflitto su e per Taiwan avrebbe implicazioni significative anche per l'Europa. Qui credo – e questo forse è utile per voi, per questo documento a cui state pensando – che la chiave per fornire supporto ai Paesi dell'Indo-Pacifico sia anche quella di investire in programmi come quello proposto da Ursula von der Leyen, il Global Gateway dell'Unione europea, che prevedono aiuti monetari e infrastrutturali nella zona da parte di Europa e Stati Uniti per contrastare l'influenza cinese, ma anche per dare ai Paesi allocati nell'Indo-Pacifico delle alternative alla Via della seta, attraverso la quale la Cina costruisce infrastrutture, ma dissemina anche la propria influenza.
  Questi Paesi in via di sviluppo hanno esigenze economiche e politiche, che ovviamente richiedono la presenza attiva di una potenza di livello mondiale e la Cina questo ruolo, finora, è stata ben felice di svolgerlo.
  Questi Governi non necessariamente si fidano o vorrebbero solo avere a che fare con la Cina, ma hanno, ovviamente, come detto, importanti esigenze di sviluppo e Pag. 5sentono di avere poca scelta, se non quella di rivolgersi a Pechino. Se Washington e i Paesi europei, inclusa l'Italia, vogliono sostenere Taiwan ed evitare una guerra nell'Indo-Pacifico, secondo me, la prima cosa che dovrebbero fare è riallacciare i rapporti con il mondo in via di sviluppo, in particolare con i Paesi che attualmente ancora riconoscono Taipei, quei dodici Paesi al mondo che riconoscono la Repubblica di Cina, per sentire quali sono le loro esigenze.
  Questa strategia, a mio parere, avrà maggiori possibilità di successo se verrà portata avanti insieme ad altri Paesi alleati in Europa, negli Stati Uniti, ma anche in Asia, come per esempio con il Giappone e anche Taiwan stessa.
  Passo tra poco alle vostre domande, però vorrei brevemente descrivervi quali sono – perché mi è stato detto che non ne avete ancora parlato – le tattiche che la Cina ha utilizzato da gennaio fino ad oggi, al di là delle elezioni taiwanesi. Sono le cosiddette «tattiche di zona grigia», che la Cina sta utilizzando per cercare sempre più di cambiare lo status quo a proprio favore.
  La prima ha a che fare con la giurisprudenza. La Cina utilizza un principio tradizionale dell'ordinamento giuridico e politico internazionale, ovvero quello dello Stato sovrano, e lo utilizza – o meglio, lo sfrutta – per negare a Taiwan lo status di nazione e per respingere anche il sostegno internazionale a Taiwan, giustificandolo come un'ingerenza negli affari interni della Cina. Però, per fare questo la Cina, ovviamente, ricorre a delle interpretazioni scorrette delle principali norme giuridiche e politiche internazionali, che si estendono anche oltre il caso di Taiwan. Penso, per esempio, al Mar della Cina meridionale e alle Filippine.
  Vi do un esempio concreto: la Cina prova a confondere e a far confluire nell'ordinamento internazionale l'idea che il principio dell'unica Cina e la politica dell'unica Cina – che è quella che diversi Paesi adottano, riconoscono ovviamente solo una Cina al mondo, perché così si può fare – siano la stessa cosa. La Cina lo fa sostenendo che la risoluzione dell'ONU n. 2758 del 1971, che diede alla Repubblica popolare cinese il seggio della Cina all'ONU, abbia sistemato la questione di Taiwan come questione interna cinese. Non è così. In quell'occasione si parlò solo della questione del riconoscimento diplomatico e del seggio della Cina, ma non si parlò della questione di Taiwan.
  Oltre a questo – sto per concludere – la Cina utilizza sempre più, ultimamente, delle tattiche e delle tecniche volte ad erodere man mano l'indipendenza e l'autonomia di Taiwan, in quanto entità, di fatto, indipendente attraverso queste tattiche di zona grigia che, fino a pochi anni fa, la Cina stessa non utilizzava. Mi riferisco a provocazioni continue, alle invasioni della cosiddetta «linea mediana» nello Stretto da parte di jet cinesi, pescherecci che sconfinano nelle acque territoriali taiwanesi, rastrellamento di alleati diplomatici che vengono convinti ad interrompere i rapporti diplomatici con Taiwan – Repubblica di Cina – e ad intrattenerne con la Repubblica popolare cinese.
  La Cina fa tutto questo perché ovviamente cerca di far retrocedere queste cosiddette «linee rosse», che prima erano in vigore, e di creare una nuova normalità, che è più a favore della Cina. Tenta, quindi, di riformulare il diritto internazionale. Questo, però, ha implicazioni in senso lato per molti Paesi, soprattutto per quello che riguarda le dispute di sovranità territoriale.
  Pechino, ve lo ricordo, ha tenuto – lo sapete già – comportamenti simili con i giapponesi per quello che riguarda le Isole Senkaku/Diaoyutai, e lo sta facendo con le Filippine dal 2016 per diversi atolli, come lo Scarborough Shoal.
  Se questa tattica funzionasse con Taiwan potrebbe essere utilizzata in futuro ogni qualvolta Pechino abbia bisogno di far avanzare la propria agenda strategica. Quindi, lo sforzo di Pechino di reinventare a proprio favore il diritto internazionale con queste attività di zona grigia mette in discussione lo status quo non solo nello Stretto di Taiwan, ma nell'intero Mar Cinese meridionale ed orientale.Pag. 6
  Ecco perché, per riallacciarmi alla prima parte del mio discorso, secondo me, queste questioni vanno affrontate collettivamente da una coalizione di Stati e non possiamo lasciare da soli gli Stati nella zona – singoli, con i loro problemi – ad aver a che fare con la Cina.
  Io concluderei qui. Avrei molto altro da dirvi, ma preferisco aprire alle vostre domande ed essere breve.

  PRESIDENTE. Grazie mille, professoressa, è stata chiarissima. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  NICOLA CARÈ. Grazie, professoressa, è stata veramente gentile e anche molto esauriente su quello che si sta svolgendo nell'area dell'Indo-Pacifico. Io ho vissuto all'estero e conosco l'area molto bene. Lei ha perfettamente ragione per quanto riguarda la Cina, soprattutto sull'insistenza della strategia geopolitica che la Cina sta svolgendo in quei Paesi.
  Ci sono naturalmente Paesi come l'Australia, il Giappone e la Corea del Sud che hanno costituito un partenariato con la NATO per creare una politica di deterrenza, ma nello stesso tempo la Cina sta lavorando aggressivamente verso quelle aree.
  Taiwan naturalmente è una questione molto delicata. Le volevo fare una domanda ben precisa: Xi Jinping ha detto che entro il 2029 la Cina vorrebbe integrare Taiwan all'interno della nazione. Se questo avvenisse, Lei pensa che forse un conflitto dell'area, che potrebbe coinvolgere moltissime altre nazioni, si potrebbe sviluppare nel mondo? Grazie.

  SIMONA ALBA GRANO, professore associato di sinologia presso l'Università di Zurigo (intervento in videoconferenza). Grazie per la domanda. È vero che Xi Jinping ha detto diverse volte di voler integrare con la forza o non con la forza – ultimamente ha eliminato l'aggettivo peaceful, quindi pacificamente – Taiwan entro il 2027, ma il 2027 è una data simbolica, che comunque ha a che fare con la fondazione dell'Esercito popolare di liberazione nel 1927, e che quindi, dal punto di vista simbolico, si legherebbe molto bene con lo scopo di far ritornare quest'ultimo pezzo, secondo la visione cinese, del territorio che ha lasciato la madrepatria – la mainland China – per via dell'annessione coloniale all'epoca del Giappone e poi è rimasto sostanzialmente indipendente.
  Quindi, per tornare alla sua domanda, se davvero questa fosse la data – ma io ne dubito – credo comunque che l'evoluzione nella zona, quindi anche un eventuale conflitto di cui Lei mi ha chiesto, abbia molto di più a che fare con la situazione interna in Cina, ovvero la situazione di stabilità o meno della società, che ovviamente è legata alla situazione di recessione economica al momento. Non ritengo impossibile un conflitto – perché per la Cina la questione di Taiwan è molto ideologica –, ma ritengo che Xi Jinping – vedi anche il tentativo che è stato fatto da novembre in poi e anche l'altro ieri con la telefonata tra Xi Jinping e Biden – abbia interesse in questo momento ad arginare quantomeno le tensioni. Quindi, penso che riguardo ad un potenziale conflitto – che comunque, per tornare alla sua domanda, coinvolgerebbe molti altri Paesi, sicuramente il Giappone e le Filippine, anche come base degli Stati Uniti, in virtù delle proprie relazioni con gli Stati Uniti –, come detto, dobbiamo guardare più alla situazione interna della Cina, alla situazione degli Stati Uniti, ma soprattutto all'evoluzione delle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Più riusciamo a pacificare le tensioni e meno, a mio parere, è possibile che la Cina voglia risolvere la questione con la forza nei prossimi anni.

  SIMONE BILLI. Anch'io ringrazio la professoressa. Innanzitutto, vorrei fare un brevissimo cenno alla stretta attualità, con il terremoto che è successo a Taiwan. Ad ora sembra che ci siano circa dieci morti, un migliaio di feriti e diverse centinaia di persone intrappolate nelle montagne. Vogliamo manifestare la nostra vicinanza alle vittime, ai feriti e anche agli sfollati della regione.
  Professoressa, Lei ha sostanzialmente già risposto anche a quello che Le volevo chiedere – con una breve discussione, però Pag. 7molto interessante – e ha dato degli ottimi spunti di riflessione. Io volevo aggiungere un altro paio di elementi di dibattito, anche con il supporto dei miei colleghi che possono intervenire dopo, per realizzare una discussione più organica sull'argomento.
  Come ha appena detto Lei, la situazione economica interna della Cina chiaramente va presa in considerazione. Si è passati da un decennio di crescita del PIL cinese a double digit ad una crescita di circa il 5 per cento. Le previsioni dicono che il PIL cinese dovrebbe crescere nel prossimo decennio addirittura a meno del 5, c'è chi dice il 2 o il 3 per cento. Consideriamo anche la disoccupazione giovanile.
  La situazione economica interna cinese, quindi, non è così florida come nei decenni passati, considerando la politica del Presidente cinese Xi Jinping, fondata sul protezionismo interno e un libero commercio con l'esterno, spingendo al massimo sull'export.
  È da considerare, quindi – come accennava anche Lei – la situazione economica interna, con dei consumi privati rispetto al PIL che pochi anni fa erano al 50 per cento, stanno scendendo e ora sono al 30. I consumi interni cinesi stanno diminuendo.
  Anche le ambizioni personali del Presidente Xi Jinping possono avere un'influenza su questo argomento, su Taiwan, nel senso che i predecessori del Presidente Xi Jinping sono riusciti a portare l'economia cinese ad una crescita di double digit. Xi Jinping chiaramente non lo può più fare e non lo potrà fare nemmeno in futuro.
  Per avere un ritaglio nella storia, per rimanere nella storia del proprio Paese, il Presidente può – immagino – cercare di ottenere la riunificazione della Cina o, come la chiamano loro, una sola Cina. In questo modo, le ambizioni personali del Presidente Xi Jinping potrebbero essere soddisfatte.
  Inoltre, una potenza a livello globale non può essere solo una potenza commerciale ed economica, ma deve dimostrare anche la propria forza dal punto di vista militare. Queste sono tutte considerazioni che vanno, da un lato, contro una certa azione – non la voglio chiamare «invasione» – della Cina nei confronti di Taiwan. Dall'altro, però, vanno in favore di questa azione. Come ha detto anche il mio collega poco fa, voci dicono che nel 2029 il piano cinese sarebbe quello di riannettere Taiwan.
  Ribadisco, quindi, professoressa, che la discussione è interessante. I miei sono brevi spunti di riflessione che potrebbero forse anche essere integrati da ulteriori interventi dei miei colleghi. Grazie.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO(intervento in videoconferenza). Ringrazio molto anch'io la professoressa per gli spunti estremamente interessanti, e anche chi ha organizzato l'audizione.
  Io ho alcune domande. La prima riguarda la situazione dell'invasione russa contro l'Ucraina, quanto l'evoluzione di questa situazione può avere un impatto sulla politica del fatto compiuto che la Cina sta compiendo rispetto a Taiwan e rispetto ad altri conflitti nella regione.
  In secondo luogo, vorrei una valutazione degli sforzi americani per riaprire il dialogo: sono solidi? Come vengono ricevuti? Funzionano davvero come deterrenza? Infine, quale può essere l'impatto, rispetto a questo tipo di deterrenza, di una vittoria del Presidente Trump alle elezioni americane di novembre? Grazie mille.

  PRESIDENTE. Aggiungerei anch'io due ulteriori domande brevissime. Se potesse chiarirci meglio cosa può fare la Svizzera nell'Indo-Pacifico. Ci ha accennato alla dottrina adottata dalla Svizzera, alla posizione, però se ci potesse chiarire meglio quali sono le aspirazioni della Svizzera nell'area e, se ritiene – visto dalla Svizzera –, cosa potrebbe fare in più l'Italia, che qualcosa – anzi molto, ultimamente – sta facendo, però non ha ancora una propria visione e una propria dottrina. Grazie.
  Do la parola alla nostra ospite per la replica.

  SIMONA ALBA GRANO, professore associato di sinologia presso l'Università di Zurigo (intervento in videoconferenza). Grazie.Pag. 8 Spero di ricordarmi tutto quello che mi avete chiesto.
  In merito alle considerazioni dell'onorevole Billi, sono assolutamente d'accordo. Brevemente posso anche aggiungere che, oltre alla situazione interna di recessione economica e alla crisi immobiliare, la Cina viene anche fuori da quasi quattro decenni di politica del figlio unico. Ci sono diversi studi che dimostrano che proprio questi giovani ragazzi non sono disposti a perdere la loro vita per una guerra nei confronti di un Paese – o come vogliamo chiamarlo, entità semi-indipendente – che comunque non li sta attaccando. È uno studio venuto fuori proprio due settimane fa, anche perché questo potrebbe avere il potenziale di aumentare ancora di più l'instabilità sociale se questi giovani ragazzi fossero mandati a combattere per Taiwan.
  Questa non è una garanzia che non succeda, ovviamente. Sono d'accordo con voi. Direi anche un'ultima cosa per rispondere a quello che diceva l'onorevole Billi: fino a qualche anno fa c'era – questo era un segnale positivo che faceva propendere per una non guerra – la speranza da parte della Cina che un giorno Taiwan sarebbe stata cinese, proprio in virtù delle strette relazioni economiche che si erano venute a creare tra il 2008 e il 2016, allorché a Taiwan c'era un Presidente al Governo che era molto China friendly. Oggi non è più così, anzi vediamo che le statistiche e i sondaggi tra i giovanissimi a Taiwan ci fanno capire che la maggior parte della gente si sente solo taiwanese, quindi c'è una crescita dell'identità taiwanese che porta, di fatto, Taiwan sempre più lontano dalla Cina. Questo è un elemento di grande preoccupazione per Xi Jinping.
  Per quanto riguarda la domanda della Russia contro l'Ucraina e il fatto compiuto, questa è una discussione molto interessante, anche molto lunga, su cui sarò molto breve. C'è stata una grande discussione negli ultimi due anni e anche un possibile paragone tra la situazione di Taiwan e la Cina con quella dell'Ucraina e della Russia. Ci sono delle similitudini, ma ci sono molte differenze anche in termini di geopolitica e di importanza geostrategica di Taiwan. Quello che, secondo me, la Cina, ha visto nei mesi al di là del conflitto è che non è poi così semplice invadere un altro Paese e conquistarlo. Xi Jinping e Putin si erano parlati in febbraio, qualche giorno prima o due settimane prima che scoppiasse la guerra, e probabilmente Xi Jinping aveva creduto o gli era stato comunicato da Putin che sarebbe stato un conflitto – una blitzkrieg – molto veloce. Invece, così non è stato. Oltre a questo, la Cina sa benissimo – e lo sanno anche gli Stati Uniti – che Taiwan è molto più difficile da attaccare, perché comunque è un'isola con una topografia molto particolare, in cui ci sono solo tredici posti, tredici spiagge in cui un esercito e le truppe di terra potrebbero atterrare. Dietro ci sono le montagne, quindi è abbastanza facile da difendere. Per contro, è molto più difficile per gli alleati da riforaggiare.
  Comunque, non è così semplice e, come detto, ci sono diversi studi militari che lo dimostrano. Quello che si sa è che alla Cina e all'Esercito Popolare di Liberazione manca ancora il coordinamento tra le diverse truppe, quindi l'aviazione, le truppe di terra e le truppe marine.
  Ci sono queste zone intermedie e zone grigie che stanno provando a portare avanti tutto, ma ritengo che, comunque, per tornare alla domanda che Lei ha fatto, semmai l'invasione russa in Ucraina ha fatto capire alla Cina che non è poi così semplice invadere un Paese come Taiwan.
  In merito alla domanda sulla solidità degli sforzi americani per riaprire il dialogo risponderei di sì, però dobbiamo anche valutarli alla luce dei fatti. Biden, in questo momento, in cui i sondaggi non sono particolarmente positivi, ha un interesse a mantenere la situazione un po' più distesa con la Cina, quindi, ovviamente, ci sono degli interessi sia da parte della Cina sia degli Stati Uniti, per via delle rispettive debolezze interne, a quantomeno riallacciare i rapporti formali e comunque quelli militari.
  Le comunicazioni, quindi, che hanno riavviato da novembre in poi sono utili, perché ovviamente vediamo che sia nel Mar Cinese meridionale sia nello Stretto ci sono Pag. 9una serie di incidenti che si sono verificati ultimamente, in cui gli Stati Uniti dovrebbero giocare un ruolo, specie con le Filippine, con cui hanno un Trattato di mutua alleanza.
  L'impatto della vittoria di Trump è una domanda molto importante e molto difficile, perché io ritengo che la principale differenza sia non tanto determinata dai dazi o dalle politiche anti-cinesi, anche dal punto di vista commerciale e tecnologico – che sono state persino ampliate, da un certo punto di vista, da Biden –, ma ritengo che il grosso problema per noi, in Europa soprattutto, sarebbe che le alleanze transatlantiche che si sono venute a creare sotto Biden e le alleanze anche con diversi Paesi dell'Indo-Pacifico – penso alle Filippine, al Vietnam e al Giappone, tra gli Stati Uniti e questi Paesi – verrebbero molto probabilmente a calare. Questo lo vedo come molto problematico per il mondo in questa fase di grandi tensioni di geopolitica. Potrei parlare molto di più, ma so che avete i tempi contati, quindi passo alla domanda sulla Svizzera.
  La Svizzera nell'Indo-Pacifico non ha grandi interessi. La strategia riguarda solo la Cina, ed è stata anche molto criticata dall'Ambasciata cinese in Svizzera, perché prima non c'erano altre strategie singole su Paesi, e deriva dal fatto che anche in Svizzera – Paese molto complicato per quello che riguarda i rapporti con Cina e Taiwan, perché abbiamo un Accordo di libero scambio dal 2013-2014 che rende la Svizzera molto vicina per interessi commerciali alla Cina – vediamo che nel Parlamento e nell'opinione pubblica si levano sempre di più voci discordanti, voci critiche sulla Cina. Quindi, il Governo e il Consiglio federale hanno cercato di correre ai ripari cercando un po' di delimitare quali sono i settori in cui la Svizzera può essere più critica e quali quelli in cui la Svizzera può essere meno critica.
  Questo Accordo di libero scambio dovrebbe essere rinnovato il prossimo anno e anche la strategia sulla Cina. Per cui, ovviamente, vediamo una fase un po' altalenante di «avanti e indietro», in cui il Governo non sa se prestare attenzione al pubblico più critico e a certe voci in Parlamento o subordinare i rapporti di sicurezza a quelli economici.

  PRESIDENTE. Perfetto. Grazie per il contributo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.