ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00662

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 706 del 13/06/2022
Firmatari
Primo firmatario: SAPIA FRANCESCO
Gruppo: MISTO-ALTERNATIVA
Data firma: 10/06/2022
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BARONI MASSIMO ENRICO MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
VOLPI LEDA MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
COLLETTI ANDREA MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
CABRAS PINO MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
CORDA EMANUELA MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
FORCINITI FRANCESCO MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
GIULIODORI PAOLO MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
MANIERO ALVISE MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
RADUZZI RAPHAEL MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
SPESSOTTO ARIANNA MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
TESTAMENTO ROSA ALBA MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
TRANO RAFFAELE MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
VALLASCAS ANDREA MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022
VIANELLO GIOVANNI MISTO-ALTERNATIVA 10/06/2022


Stato iter:
13/06/2022
Fasi iter:

RITIRATO IL 13/06/2022

CONCLUSO IL 13/06/2022

Atto Camera

Mozione 1-00662
presentato da
SAPIA Francesco
testo di
Lunedì 13 giugno 2022, seduta n. 706

   La Camera,

   premesso che:

    ogni anno in Italia, stando ad alcune stime dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono circa 4 mila suicidi che, tradotto in termini sociali, significa una città di 40mila abitanti che ogni dieci anni scompare dalla geografia del nostro Paese;

    il 10 settembre 2019, in occasione della Giornata mondiale della prevenzione del suicidio, l'istituto superiore di sanità annunciava la nascita dell'Osservatorio epidemiologico sui suicidi e sui tentativi di suicidio (OESTeS);

    i dati attualmente disponibili non sono correntemente aggiornati, tant'è che l'ultimo annuario statistico dell'Istat (anno 2021), contiene dati relativi al 2018. Nell'anno 2018 si sono osservati 3.789 suicidi (6,3 ogni 100 mila abitanti), ma non vi sono dati relativi ai tentativi di suicidio;

    la carenza di dati epidemiologici sul fenomeno sociale del suicidio, sono ancor di più aggravati dalla mancata attivazione, a tutt'oggi ad opera dell'istituto superiore di sanità, dell'Osservatorio. In sostanza all'annuncio non è seguito alcun atto concreto;

    la «Brain Research Foundation» – Istituto per la ricerca in psichiatria e neuroscienze, da marzo a giugno 2020, per ovviare alla mancanza assoluta di dati aggiornati, ha istituito durante la prima ondata della pandemia, un «Osservatorio Suicidi COVID-19», monitorando gli atti suicidari in base alle notizie di cronaca;

    le crisi economiche, le emergenze nazionali, le epidemie, le pandemie, i cataclismi, ossia tutto ciò che rappresenta un'incapacità di determinazione dell'individuo nel contesto socio-economico in cui vive, fungono da detonatore dei disturbi di natura mentale che tragicamente si concludono con l'autosoppressione;

    nei primi tre mesi di pandemia lo «Osservatorio Suicidi COVID-19» ha raccolto notizie di 62 suicidi correlati, direttamente o indirettamente, al COVID-19. Dal 1° gennaio 2021 al 22 agosto 2021, si sono contati 413 suicidi e 348 tentati suicidi;

    il tasso di mortalità per suicidio in Italia nel periodo 2015-17 è stato pari a 6 per 100 mila residenti (molto più basso della media europea, che era pari a 11 suicidi per 100 mila). Una quota che aumenta con l'età, passando dai 0,7 casi per 100 mila residenti nei ragazzi fino a 19 anni, ai 10,5 casi per 100 mila negli anziani. È tuttavia la classe di età tra i 20 e i 34 anni quella dove il suicidio rappresenta una rilevante causa di morte (ben il 12 per cento dei decessi);

    i numeri sui suicidi si impennano in corrispondenza delle crisi sociali ed economico-finanziaria, a titolo d'esempio, nella crisi economica del 2008 si è visto un aumento esponenziale dei suicidi e dei tentati suicidi i quali hanno riguardato quasi esclusivamente gli uomini in età lavorativa. Il fenomeno e si è protratto negli anni seguenti la crisi almeno fino al 2016;

    secondo l'Oms il diritto alla salute fisica e mentale è un diritto umano fondamentale; tant'è che definisce la salute mentale: «...come uno stato di benessere mentale che consente agli individui di superare le tensioni della vita di tutti i giorni, di realizzarsi, di lavorare in maniera fruttuosa e produttiva e di contribuire alla vita della comunità...»;

    la pandemia ha modificato le condizioni di lavoro di molti lavoratori in Europa, cristallizzando i problemi esistenti e nuovi correlati al benessere sul luogo di lavoro, il quale ha inciso ed incide in modo sproporzionato sul benessere mentale di coloro che si trovano ad affrontare incertezze finanziarie, nonché delle popolazioni vulnerabili, compresi le minoranze etniche, la comunità LGBTI+, gli anziani, le persone con disabilità e i giovani;

    prima della pandemia si stimava che il 25 per cento dei cittadini della Unione europea avrebbe sofferto di problemi di salute mentale nel corso della propria vita;

    i problemi sul luogo di lavoro che interessano la salute mentale, includono l'esaurimento professionale, le molestie, la violenza, lo stigma e la discriminazione sociali, tant'è che un lavoratore su quattro in Europa ritiene che il lavoro incida negativamente sulla sua salute;

    i costi delle patologie mentali sono stimati in oltre il 4 per cento del prodotto interno lordo in tutti gli Stati membri della Unione europea. Il costo della depressione collegata al lavoro è stato stimato in 620 miliardi di euro all'anno, con una perdita di 240 miliardi di euro in termini di produzione economica;

    il Italia reperire dati che fotografino il problema è un'impresa decisamente ardua. Ad oggi, non abbiamo ancora dati solidi sull'impatto che hanno avuto le ondate pandemiche e né tantomeno gli effetti a strascico che stanno avendo sulle nostre vite;

    la maggioranza degli studi che sono stati pubblicati nell'ultimo anno e mezzo sono trasversali (si dice in gergo medico) cioè intervistano persone per la prima volta, ponendo domande sul proprio stato di salute in un dato momento, in questo caso, per esempio, durante o dopo il primo lockdown si sono registrate alte percentuali di stati d'ansia o depressione. È difficile comprendere se il fenomeno si sia generato o acuito in relazione alla pandemia. Per fare ciò, vi è la necessità di studi longitudinali, dove si intervistano le stesse persone nel corso del tempo sugli stessi aspetti della vita, per intercettare i reali cambiamenti nel loro stato di salute. Questa metodologia d'indagine sociale viene indicata come necessaria dal dottor Angelo Picardi, psichiatra e psicoterapeuta che lavora nel Centro di riferimento per le scienze comportamentali e la salute mentale dell'Istituto superiore di sanità. Ed ancora: «... ci sono stati per esempio dei Paesi che negli ultimi decenni hanno strutturato delle coorti di popolazione, le hanno seguite nel tempo, garantendone la rappresentatività, investendo del denaro per garantire a tutti l'accesso al computer e a internet, anche a chi era in difficoltà economiche, per non rischiare di perdere questa importante parte del campione...»;

    i dati Eurostat pre-pandemia registrano che il 7,2 per cento dei cittadini dell'Unione europea ha riferito di avere una depressione cronica, in percentuale maggiore fra le donne. Tra i Paesi dell'Unione europea, la Slovenia (15,1 per cento) ha avuto la quota più alta della popolazione che ha riportato depressione cronica nel 2019, seguita dal Portogallo (12,2 per cento) e dalla Svezia (11,7 per cento). Gli italiani si attestano al 6 per cento;

    emerge dalla rilevazione «PASSI 2016-19» dell'Istituto superiore di sanità che, la percentuale di persone adulte campionate riferiva sintomi depressivi e percepiva compromesso il proprio benessere psicologico per una media di 14 giorni al mese. Fra queste persone, oltre alla salute psicologica, anche quella fisica è risultata decisamente compromessa. Chi soffre di sintomi depressivi ha vissuto mediamente 10 giorni in cattive condizioni fisiche, contro i 2 giorni passati male dalle persone libere da sintomi depressivi, e 8 giorni con limitazioni alle abituali attività quotidiane, a differenza delle persone senza sintomi depressivi che hanno avuto meno di 1 giorno passato con limitazioni;

    i sintomi depressivi sono più frequenti all'avanzare dell'età, sfiorano l'8 per cento fra i 50-69enni, nella popolazione femminile il 7 per cento, tra le classi socialmente più svantaggiate sia per difficoltà economiche e sia per bassa istruzione il dato si attesta ben oltre il 14 per cento. Li manifesta l'8 per cento di chi non ha un lavoro regolare continuativo, il 13 per cento di chi riferisce almeno una diagnosi di patologia cronica e l'8 per cento delle persone che vivono sole. Solo il 61 per cento degli intervistati che riferiscono sintomi depressivi ricorrono all'aiuto di qualcuno, rivolgendosi soprattutto a medici/operatori sanitari;

    secondo la «International Association for Suicide Prevention», Iasp, associazione internazionale affiliata dall'Oms come organizzazione chiave che si occupa della prevenzione dei suicidi, ogni anno nel mondo il suicidio è tra le prime 20 principali cause di morte per persone di tutte le età e la terza causa di morte tra i ragazzi di 15-19 anni;

    l'Iss ha presentato la nascita dell'Osservatorio epidemiologico sui suicidi, quale progetto per il Programma statistico nazionale (Psn 2020-2022) unitamente all'Istat, al Ministero della salute e al Dipartimento di neuroscienze salute mentale e organi di senso (Nesmos) dell'università La Sapienza di Roma. Obiettivo dell'OESTeS avrebbe dovuto essere quello di integrare le informazioni provenienti dalle principali fonti esistenti (accessi al pronto soccorso, schede di dimissione ospedaliera e dati mortalità Istat) per fornire un quadro epidemiologico esaustivo del fenomeno che includesse anche la stima dei tentativi di suicidio nel nostro Paese;

    tra le informazioni presentate durante il «World Suicide Prevention Day 2019» è da segnalare anche lo studio condotto dal sistema di sorveglianza ostetrica, «Italian Obstetric Surveillance System – Itoss», dell'Iss relativo ai suicidi materni nel nostro Paese;

    in diversi Paesi ad alto reddito, il suicidio è una delle cause di morte più frequenti tra le donne entro un anno dall'esito della gravidanza. In Italia (Paese caratterizzato da un basso tasso di suicidi femminili: 2,1 ogni 100 mila abitanti), uno studio condotto dal sistema di sorveglianza ostetrica, ha messo in evidenza che tra il 2006 e il 2012 si sono verificati 67 casi di suicidio materno (rapporto di suicidio materno pari a 2,30 per 100 mila nati vivi);

    obiettivo dello studio, i cui risultati sono stati pubblicati a maggio 2019 sulla rivista «Archives of Women's Mental Health» nell'articolo «Maternal suicide in Italy», era quello di fornire la prima stima della frequenza del fenomeno dei suicidi materni e una descrizione delle caratteristiche delle donne decedute per suicidio durante la gravidanza o entro un anno dal suo esito in dieci regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna), che coprono il 77 per cento del totale delle nascite nazionali;

    dai dati emerge che circa il 60 per cento delle donne decedute per suicidio materno risulta avere una precedente «storia psichiatrica» e che oltre i 3/4 delle diagnosi di disturbo mentale grave non sono state registrate con le informazioni ostetriche;

    i suicidi materni sono stati identificati attraverso procedure di record linkage tra i registri di mortalità regionali e le schede di dimissione ospedaliera (Sdo). La precedente storia psichiatrica delle donne è stata recuperata da altri flussi sanitari disponibili a livello regionale;

    il suicidio è una causa rilevante di morte materna in Italia. La continuità dell'assistenza tra cure primarie, servizi del percorso nascita e della salute mentale risulta critica. I professionisti sanitari, ginecologi, ostetriche, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, che assistono le donne durante e dopo la gravidanza, dovrebbero essere maggiormente consapevoli del problema, poiché possono svolgere un ruolo importante nella prevenzione del suicidio nelle donne a rischio;

    il periodo perinatale – inteso come il periodo che va dal concepimento al compimento del primo anno di vita del bambino – è fra i momenti emotivamente più importanti nella vita di una donna. Dopo il parto dal 30 per cento al 75 per cento delle donne sperimenta un disturbo dell'umore transitorio (chiamato maternity blues) che tende a risolversi spontaneamente entro una decina di giorni dal parto. Per alcune donne invece, il periodo perinatale può essere offuscato dai sintomi di un disturbo mentale più grave e invalidante, che si ripresenta o esordisce in questo momento della vita. I disturbi più comuni sono quelli d'ansia e depressivi, che arrivano a colpire dal 10 per cento al 15 per cento delle donne nel periodo perinatale. Questi possono avere un impatto sugli esiti ostetrici ed esercitare un effetto negativo a lungo termine sulla salute della donna e del bambino. Per questo, se i disturbi si manifestano, è molto importante che sia disponibile un accesso tempestivo alla presa in carico della donna e alle cure;

    in Italia i servizi specialistici esclusivamente dedicati alla salute mentale perinatale non sono disponibili su larga scala. Nell'ambito del progetto sul disagio psichico al quale la sorveglianza ostetrica ha partecipato in qualità di unità operativa, in quattro Asl delle regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Lazio e Sicilia, è stato realizzato un intervento per il riconoscimento precoce e l'appropriata presa in carico dei disturbi mentali o del disagio psicosociale perinatale a livello dei consultori e della rete dei servizi sanitari e sociali presenti sul territorio. Alla luce dei risultati positivi raggiunti dall'intervento e grazie a un finanziamento ad hoc erogato nel 2018 dal ministero della salute, l'Emilia-Romagna ha deciso di estendere all'intera regione l'implementazione del modello di presa in carico e trattamento del disagio psichico perinatale;

    in Italia, come del resto in diversi altri Paesi soprattutto asiatici, il fenomeno potrebbe essere in aumento anche a causa della pandemia che ha determinato nelle società travolte dal COVID-19 incertezza del futuro, preoccupazioni economiche, paura, stress e ansia generalizzata che, in persone fragili e già provate da altre condizioni, possono scatenare una sofferenza tale da spingerli a togliersi la vita. Non un rapporto causa-effetto, dunque, ma una sofferenza che incide su condizioni già critiche. Il suicidio infatti – come sottolinea Maurizio Pompili, professore ordinario di psichiatria alla Sapienza Università di Roma e animatore del sito www.prevenireilsuicidio.it – non deve essere inteso come un avvicinarsi alla morte, bensì come un allontanarsi da un dolore intollerabile, da emozioni negative intollerabili e da una devastazione interiore. Gli effetti della pandemia sono sconosciuti rispetto alle conseguenze che la pandemia stessa può accentuare, pur non rappresentandone necessariamente la causa;

    il suicidio è un problema complesso e di cui è necessario parlare con le modalità adeguate, come ha più volte sottolineato l'organizzazione mondiale della sanità. Il rischio è infatti il cosiddetto «effetto Werther», l'eroe romantico del romanzo di Goethe le cui pene d'amore lo avevano portato a spararsi alla tempia: la diffusione del libro aveva effettivamente generato l'emulazione in diversi giovani a fine Settecento. Ma la questione dell'aumento dei suicidi è sul tavolo. L'impressione di alcuni esperti è che in questi mesi i casi di suicidio siano più numerosi, un dato ancora però non sostenuto da statistiche ufficiali. Del resto, che le crisi economiche e sociali possano provocare un aumento dei suicidi è un fatto noto: durante la crisi economica del 2008 in Italia si è verificato un aumento del 12 per cento dei suicidi negli adulti maschi. Alcune stime si spingono a quantificare il probabile incremento dei suicidi negli Stati Uniti in oltre 75.000 persone in più in dieci anni. La verità, però, è che in assenza di stime ufficiali tutto questo ha il sapore della congettura, per quanto allarmante. I conti potranno farsi solo quando l'Istat elaborerà e renderà pubblici i dati relativi al periodo della pandemia;

    come riferiscono Monica Vichi e Silvia Ghirini, rispettivamente del servizio tecnico-scientifico di statistica (Stat) e del Centro nazionale dipendenza e doping dell'Iss – «... il pericolo che l'attuale crisi sanitaria, con le associate conseguenze economiche e sociali, possa causare anche un aumento dei suicidi è uno scenario molto probabile ma forse non ineluttabile. La situazione che il mondo sta attraversando è in qualche modo senza precedenti e sono sconosciuti gli effetti a lungo termine del “distanziamento sociale”, del confinamento in casa, della convivenza con una familiare affetto da COVID-19, nonché delle limitazioni all'accesso ai servizi sanitari e di prevenzione e cura (di routine o di emergenza). I ceti sociali più svantaggiati, in particolare, vedono messi a rischio anche il soddisfacimento dei loro bisogni primari, a causa della perdita del lavoro o della riduzione del reddito dovuto al fermo delle attività produttive. Tutto questo, unito alla paura di essere positivi al COVID-19 e di ammalarsi e/o di far ammalare i propri cari, ha generato un forte stato d'ansia e preoccupazione per il futuro che si ripercuoterà inevitabilmente sulla salute mentale della popolazione e può impattare anche sul rischio di suicidio andando ad aggiungersi e interagendo con i fattori di rischio preesistenti...»;

    per l'Italia c'è solo una sensazione diffusa del peso della pandemia sul problema, per altri Paesi il dato è più solido e parecchio più preoccupante. In Giappone, per esempio, la tendenza è ormai sotto gli occhi di tutti, con grande sconcerto delle autorità, visto che le vittime di suicidio sono in numero assai superiore a quelle del Coronavirus. Scrive il «Japan Times» che il mix tossico di stress e ansia generato dalla pandemia ha fatto sì che per la prima volta in poco più di un decennio, il numero di coloro che si sono tolti la vita nel 2020 abbia superato quello relativo al 2019, invertendo anni di lavoro per frenare un numero ostinatamente alto di morti autoinflitte. Secondo i dati preliminari del Ministero della salute, le morti per suicidio sono state di 20.919 persone: un aumento del 3,7 per cento rispetto all'anno precedente. E, in termini assoluti, un numero spaventoso se paragonato ai 3.459 decessi correlati al coronavirus nello stesso periodo;

    anche negli Stati Uniti il fenomeno è monitorato con costanza, anche se il Paese appare in controtendenza. Uno studio apparso di recente su «Jama», condotto da un team guidato da John W. Ayers della University of California di San Diego, ha per esempio esaminato le ricerche su internet relative al suicidio durante le prime fasi della pandemia di COVID-19, per intercettare cambiamenti nella popolazione relativi al comportamento suicidano. I ricercatori hanno analizzato le query su Google relative alla parola «suicidio», confrontando il periodo precedente e quello successivo alla seconda settimana di marzo 2020, quando l'allora Presidente Trump dichiarò l'emergenza nazionale a causa della pandemia. E i risultati sembrano confortanti: tutte le query contenenti la parola «suicidio» sono diminuite in media del 22 per cento nelle 18 settimane successive alla dichiarazione. In altri termini, dicono i ricercatori, si tratta di circa 7,8 milioni di ricerche in meno del previsto. Certo, ammettono gli studiosi, questo non implica necessariamente che ci siano stati meno suicidi nella popolazione. Però, aggiungono, la letteratura scientifica relativa agli eventi catastrofici supporta questo tipo di risultati, nel senso che a volte, gli eventi drammatici che colpiscono un Paese possono generare, come conseguenza, una maggiore coesione sociale, unificando la comunità nazionale, e sono quindi associati a un ridotto numero di suicidi;

    come già detto, a pagare il tributo più alto allo stress da pandemia sono come sempre le categorie più vulnerabili: le donne, insieme ai giovani e agli anziani. Tradizionalmente, infatti, sono gli uomini ad avere le maggiori probabilità di morire per suicidio, eppure l'anno scorso in Giappone il numero di donne che si sono suicidate è passato da 885 a 6.976, mentre i suicidi tra gli uomini sono leggermente diminuiti. Contemporaneamente, i dati relativi ai ventenni o più giovani sarebbero cresciuti, secondo quanto riporta il quotidiano «Nikkei», rispettivamente del 17 per cento e del 14 per cento. In generale la prevalenza del suicidio è di 1 donna e tre uomini, ma con significative eccezioni in alcuni Paesi asiatici, dove la prevalenza è invertita, e a suicidarsi sono più spesso le donne. Il motivo di questo fenomeno non è del tutto chiaro: forse vi è il ruolo della cultura, dei ruoli ricoperti e dall'interpretazione di successi e fallimenti. In termini generali, invece, si assiste a una sorta di «paradosso di genere», come lo definisce la letteratura: a quanto pare gli uomini utilizzano metodi a maggiore letalità, mentre le donne lasciano più spazio alla possibilità di essere soccorse. Non ci sono stime certe sui tentativi di suicidio, ma si calcola che in generale nel sesso femminile i tentativi di suicidio siano dalle 10 alle 25 volte maggiori;

    da più parti si denunciano le conseguenze del disagio provato dai giovani nei mesi trascorsi, fatti di restrizioni e privazioni, scuole chiuse e vita sociale azzerata. C'è chi evidenzia la forza e la resilienza dei giovani e chi denuncia devastanti effetti di lungo periodo;

    l'autolesionismo interessa il 20 per cento degli adolescenti in Italia: «i suicidi sono la seconda causa di morte tra i 10 e i 25 anni di età. E la pandemia e il lockdown hanno peggiorato la situazione e fatto crescere gli accessi al pronto soccorso per questa ragione», spiega Stefano Vicari, responsabile dell'Uoc di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza dell'Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, dove, in questi mesi, tutti i posti letto sono per la prima volta occupati da tentativi di suicidio. Su «Lancet Psychiatry» già nei primi mesi del 2020 se ne preannunciava l'incremento, ricordando analoghi aumenti in concomitanza di altre gravi epidemie, come la Spagnola nel 1918 o la Sars nel 2003;

    nell'85 per cento dei casi, dietro un tentativo di suicidio c'è la depressione e i giovani che ne soffrono hanno un aumentato tasso di mortalità per via dell'autolesionismo che essa induce e dell'esposizione a condotte di pericolo. Come conferma una revisione apparsa sul «Journal Of American Academy of Child and Adolescent» bambini e ragazzi hanno sperimentato alti tassi di ansia e depressione per la solitudine e l'isolamento sociale e il fenomeno non fa che peggiorare con il passare del tempo, anche per via della latenza tipica di certi disturbi che richiedono del tempo per diventare patologia, tanto che gli autori insistono sulla necessità di interventi preventivi per scongiurare l'aumentare delle criticità;

    il manifestarsi di un disturbo psichiatrico in giovane età non è anomalo; il 75 per cento dei casi di malattia negli adulti ha avuto un esordio nell'età evolutiva. «La cosa importante è intercettare i segnali e agire prontamente. Perché a quest'età è ancora possibile evitare il progredire della malattia o il suo cronicizzare» è l'accorato appello di Stefano Vicari che denuncia carenza di risorse assistenziali e servizi territoriali da ben prima del Covid e il permanere dello stigma verso queste patologie. «Guai a derubricare i disturbi dell'attenzione, i disturbi d'ansia o dell'umore a una questione di forza di volontà o di disciplina. Stiamo invece parlando di disturbi con origini organiche per i quali affidarsi a degli specialisti è fondamentale». E non si pensi, puntualizza Vicari, che qualcuno possa aver realmente tratto qualche beneficio dal ritiro nel domicilio: «... chi aveva qualche tratto asociale e fobico, dalla temporanea sospensione della socialità può anche aver trovato un beneficio momentaneo, ma ha poi avuto grosse difficoltà a uscire di casa quando è tornato a essere possibile: la malattia era peggiorata...»;

    la chiusura delle scuole, ridotte a mera didattica quando, invece, decenni di ricerche in pedagogia sono lì a ricordare che la scuola, per un bambino, non è tanto apprendimento di materie curricolari quanto, piuttosto, occasione unica per sperimentare relazioni, riconoscere negli altri le proprie emozioni, scoprire sé stessi. Insomma, un passaggio vitale che non andrebbe negato a questa generazione;

    mettere a rischio la formazione significa anche bloccare del tutto un ascensore sociale già piuttosto malmesso. Inoltre, ad essere stata interrotta è stata anche ogni terapia riabilitativa che, «... per bambini con autismo, disturbo di linguaggio, iperattività, disabilità intellettiva non è un passatempo capriccioso, ma rappresenta l'unica opportunità per implementare le proprie competenze e ridurre, così, lo svantaggio sociale...», spiega Stefano Vicari, il neuropsichiatra nel libro Bambini, adolescenti e COVID-19, che ha curato con Silvia Di Vara, neuropsicologa del Bambini Gesù. Il volume, con contributi di neuropsichiatri, neuropsicologi, pedagogisti è una prima valutazione dell'impatto della pandemia sugli aspetti emotivi, psicologici e scolastici dei minori. È un appello a non sottovalutare questa dimensione, perché gli effetti futuri ipotizzabili saranno nel medio e lungo termine ben peggiori di quelli osservabili al momento;

    non tutti sono stati esposti alla pandemia allo stesso modo, perché molto hanno contato le condizioni socio-economiche, importante fattore protettivo. I genitori si sono dovuti improvvisare insegnanti, anche quelli che avevano abdicato al loro ruolo genitoriale. E, poi, non tutti i bambini sono ugualmente vulnerabili. «Perché la malattia si manifesti, alla vulnerabilità individuale data ad esempio dalla predisposizione familiare, serve la presenza concomitante di alcuni fattori di rischio ambientali noti e studiati, come la prematurità, il basso peso alla nascita, il consumo di alcol e di sostanze in gravidanza, i traumi e l'incuria, l'insuccesso scolastico e la povertà...» spiega Stefano Vicari «... in generale, le situazioni di deprivazione fisica, sociale e di stress psicologico giocano un ruolo e, in epoca di pandemia, per molti si sono aggravate e sono diventate un fattore di rischio rilevante...»;

    la salute dei più giovani preoccupa molti Paesi alle prese con un aumento della povertà anche per via del COVID-19 Nel Regno Unito, il «Royal College of Paediatrics and Child Health», il «National Children's Bureau» e alcuni dei principali accademici, hanno firmato una lettera parlando di «emergenza nazionale» e chiedendo una commissione indipendente, per individuare una strategia intergovernativa per mettere al riparo i bambini e i giovani dagli effetti persistenti del COVID-19, per evitare questa crisi sempre più profonda. Al momento, le soluzioni sono frammentarie e fatte da misure tampone;

    l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha definito diciassette obiettivi interconnessi, «SDGs Sustainable Development Goals», col fine di promuovere la salute mentale della popolazione quale strategia necessaria per la sostenibilità dello sviluppo della salute «per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti», affinché si metta la salute mentale al centro dell'agenda dello sviluppo globale. L'Obiettivo 3, in particolare, è di «assicurare vite in salute e promuovere il benessere a tutte le età» e, inoltre, l'obiettivo 3.4 recita che «entro il 2030, è fondamentale la riduzione di un terzo della mortalità prematura dalle malattie non trasmissibili attraverso la prevenzione, il trattamento e la promozione della salute mentale e del benessere», a cui si aggiungono gli altri obbiettivi quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo:

     a) occorre cambiare paradigma su ciò che comunemente si pensa sulla salute mentale;

     b) è necessaria una comprensione più ampia del concetto di salute mentale che inglobi il concetto di salute mentale positiva e di benessere;

     c) la salute mentale è una parte integrante della salute e vi è quindi una stretta interrelazione fra la salute mentale e fisica;

     d) sono necessarie nuove strategie per creare il più grande incremento di salute mentale per il maggior numero di persone in modo da promuovere e proteggere la salute mentale positiva;

     e) bisogna porre l'attenzione sul potenziale di salute delle persone e sui loro stili di vita quotidiani, indirizzando i determinanti sociali della salute mentale e riducendo le diseguaglianze;

     f) occorre contrastare l'impatto drammatico del COVID-19 sul benessere psicofisico di tutta la popolazione, investendo innanzitutto sulla promozione della salute mentale, per essere in prima fila nella risposta alla pandemia globale e nei recovery plans;

     g) occorre investire nella creazione di forza lavoro e capacità organizzativa per implementare la promozione della salute mentale;

     h) bisogna sviluppare e disseminare le evidenze per azioni di informazione efficace sui diversi setting socioculturali ed economici;

    la «International Union for Health Promotion and Education», l'Iuhpe, è un'organizzazione non governativa professionale globale dedicata alla promozione della salute in tutto il mondo. Per più di 65 anni, la Ihupe ha gestito una rete indipendente, globale e professionale di persone e istituzioni impegnate a migliorare la salute e il benessere delle persone attraverso l'istruzione, l'azione comunitaria e lo sviluppo di politiche pubbliche sane. L'organizzazione ha stilato otto azioni prioritarie per la salute mentale che si riassumono:

     a) nel promuovere la salute mentale infantile e materna attraverso l'integrazione e la concentrazione sullo sviluppo sociale positivo, emotivo e mentale, nei servizi di sviluppo della prima infanzia, compresa l'assistenza prenatale, visite domiciliari e programmi per genitori;

     b) nel coltivare la salute mentale e il benessere di bambini e adolescenti attraverso iniziative di educazione scolastica e approcci a tutta la scuola, compresi i programmi di apprendimento sociale ed emotivo in età prescolare, scuola e ambienti giovanili;

     c) nell'implementare programmi di rafforzamento della genitorialità e della famiglia, attraverso la scuola, per promuovere il funzionamento emotivo e comportamentale dei bambini e i loro genitori;

     d) nel sostenere i luoghi di lavoro mentalmente sani integrando la salute mentale attraverso la promozione nelle politiche e pratiche di salute e sicurezza sul lavoro, compreso il cambiamento organizzativo;

     e) nell'avviare programmi di responsabilizzazione della comunità (ad esempio partecipazione, volontariato giovanile, microfinanza comunitaria e la gestione del debito abbinata alla formazione sulle abilità di vita e prevenzione/promozione di relazioni sane) per migliorare il capitale sociale e ambienti che promuovano la salute mentale e il benessere lungo il corso della vita;

     f) nell'incorporare la promozione della salute mentale all'interno dei servizi sanitari attraverso un focus sulla salute mentale e il benessere degli utenti del servizio come parte dell'assistenza sanitaria di base di routine e dei servizi di salute mentale;

     g) nel migliorare la consapevolezza del pubblico sui modi per promuovere una mentalità positiva e ridurre lo stigma associato alla malattia mentale attraverso programmi di alfabetizzazione sulla salute mentale, campagne e iniziative locali attraverso azioni comunitarie;

     h) nell'adottare un approccio di «salute mentale in tutte le politiche» per promuovere le multiformi politiche e azioni intersettoriali che creino sostegno per la salute mentale e migliorino l'equità e la giustizia sociale;

    è di fondamentale importanza il «Piano d'azione della salute mentale 2013-2030» dell'Oms, il quale sottolinea:

     a) il ruolo essenziale della salute mentale nell'ottenere salute per tutti;

     b) la necessità di strategie globali per la promozione prevenzione e trattamento e ricovero attraverso un approccio di tutto il Governo;

     c) l'importanza di proteggere e promuovere il benessere mentale di tutti i cittadini;

     d) come sia indispensabile portare alla conoscenza di tutti la salute mentale nelle politiche di salute sociali ed economiche;

     e) come la salute mentale e molti disordini mentali comuni siano fortemente modellati da ambienti sociali economici e fisici in cui le persone vivono;

     f) che è necessario un approccio da parte di tutto il Governo e di tutta la società con azioni universali nel corso della vita in diversi settori e livelli;

    diventa prioritario quindi:

     a) rafforzare gli individui e le famiglie e promuovere il benessere sociale ed emozionale, le competenze e il senso di controllo;

     b) rafforzare le comunità attraverso il supporto sociale, lo sviluppo del senso di collettività e l'inclusione, la partecipazione sociale, la cittadinanza e la partecipazione alla vita civile;

     c) riorientare i servizi di salute per promuovere e fare prevenzione per la salute mentale;

     d) incorporare la prevenzione della salute mentale in una routine di salute mentale e nei servizi di salute mentale;

     e) rimuovere le barriere strutturali alla salute mentale a livello sociale;

     f) adottare nuove politiche culturali economiche e sociali e un approccio che si possa riassumere con la frase «salute mentale in tutte le politiche»;

    infine, il Piano dell'Oms fa riferimento alle evidenze sugli effetti positivi anche a lungo termine della promozione della salute mentale, per il benessere di individui, famiglie e società. Bisogna quindi:

     a) rafforzare i fattori protettivi per la salute mentale positiva e il benessere;

     b) ridurre il rischio di fattori per i disordini mentali e comportamentali;

     c) tendere verso effetti positivi a lungo termine così da raggiungere risultati a livello economico sociale e di salute;

     d) implementare ciò che funziona (si legga anche adozione di progetti pilota);

     e) porre in essere interventi prioritari che possono essere implementati ed essere sostenibili a costi ragionevoli mentre si genera un chiaro incremento sociale e di salute;

     f) avere un approccio nel corso della vita con politiche e interventi dall'infanzia alla vecchiaia e azioni in tutti i setting;

     g) adottare interventi basati sull'evidenza in cui vi sia evidenza di efficacia dei costi e fattibilità in termini di accettazione culturale;

    è di fondamentale importanza guardare ai programmi e alle strategie di altri Paesi per avere contezza delle politiche sanitarie adottate, degli obiettivi e dei risultati conseguiti. A titolo d'esempio, è molto interessante la strategia nazionale finlandese per la salute mentale e il programma per la prevenzione del suicidio 2020-2030, dove si definiscono le linee guida per il processo decisionale e per indirizzare attività e risorse. La strategia pone quale punto di partenza l'approccio globale alla salute mentale nella società e nei suoi diversi settori e livelli, riconosce l'importanza della salute mentale in un mondo che cambia. La salute mentale è vista come una risorsa che può essere sostenuta. È possibile prevenire e gestire efficacemente i disturbi mentali e ridurre la discriminazione e la stigmatizzazione associate ai disturbi mentali. I disturbi mentali sono una sfida per la salute pubblica, e quindi la disponibilità dei servizi di salute mentale (e dei servizi per le dipendenze) deve essere portata allo stesso livello di altri servizi sanitari e sociali;

    la strategia finlandese ha cinque aree prioritarie: salute mentale come capitale, salute mentale dei bambini e dei giovani, diritti alla salute mentale, servizi e gestione della salute mentale. Il monitoraggio dei progressi dovrebbe utilizzare sia gli indicatori esistenti sia i nuovi indicatori. Gli obiettivi della strategia saranno innanzitutto attuati aumentando la disponibilità di servizi preventivi e terapie a livello di base e migliorando le strutture di cooperazione necessarie per il mantenimento di tali servizi. Altre misure mirano a migliorare i servizi di salute mentale orientati all'occupazione, aumentare il livello di competenza in materia di salute mentale nei comuni e intensificare gli sforzi di prevenzione del suicidio;

    l'approccio attiene:

     a) alla promozione della salute mentale che deve essere assunta su più livelli utilizzando approcci multidisciplinari;

     b) al soddisfacimento delle diverse esigenze che vanno dalla promozione della salute mentale per l'intera popolazione al trattamento urgente di gravi disturbi mentali;

     c) alla necessità che vi siano valori e principi reciprocamente accettati per facilitare la pianificazione delle azioni;

    il «Mental Health Strategy» finlandese fornisce linee guida per decisioni concrete, che si riassumono in quattro priorità di indirizzo della politica di salute mentale e delle proposte per raggiungerle con un programma separato di prevenzione del suicidio e sono:

     1) la salute mentale come capitale umano: la salute mentale è il capitale dell'individuo, delle famiglie, delle comunità e della società. Occorre identificare i professionisti, le reti, le persone e le comunità per le quali la salute mentale, l'alfabetizzazione e lo sviluppo delle competenze sarebbero particolarmente utili e aumenterebbero le competenze in questi gruppi;

     2) salute mentale per bambini e giovani: occorre offrire pari opportunità per un'infanzia sicura e per trovare e realizzare le proprie potenzialità per tutti i bambini e i giovani e garantire che i bambini e i giovani abbiano opportunità versatili per impegnarsi in attività ricreative in base ai loro interessi, attraverso la regolamentazione legislativa e di qualità dove necessario;

     3) diritto di tutti alla salute mentale: tutti hanno diritto a una buona salute mentale. Occorrono: accettazione e non discriminazione nei servizi e rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali e umani, del diritto di agire come cittadino, come decisore e come esperto per esperienza e del diritto a una buona assistenza; pianificare misure per ridurre gli effetti della povertà e della disuguaglianza per gli individui e famiglie; servizi di supporto orientati al paziente, realizzabili, tempestivi, efficaci, flessibili, coordinati e continui; includere prospettive basate sul paziente nella pianificazione, implementazione e valutazione dei servizi, ad esempio, facendo uso di esperti per esperienza e delle esperienze dei pazienti;

     4) gestione della buona salute mentale: la considerazione della salute mentale deve essere inclusa in tutti i settori. Il lavoro sulla salute mentale è sistematicamente guidato e gestito nel suo insieme, attraversando i confini amministrativi. È necessario stabilire un centro di informazione digitale per un'efficace promozione della salute mentale e prevenzione dei problemi di salute mentale;

    la strategia enfatizza la continuità per raggiungere l'obiettivo applicando, nel modo più rapido possibile, politiche e misure di salute mentale che vadano oltre i periodi di Governo. Ogni Governo selezionerà le sue misure pratiche nel lavoro sulla salute mentale per ogni mandato;

    l'avvio attuativo della strategia (2020-2022) si concentra sullo sviluppo di servizi, lanciando un programma di prevenzione del suicidio e aumentando le capacità di salute mentale negli ambienti quotidiani delle persone come parte di una promozione più ampia del benessere e della salute;

    nella seduta del 26 ottobre 2021, alla Camera dei deputati si è concluso l'esame delle mozioni Boldi, Bologna ed altri n. 1-00236, Bagnasco ed altri n. 1-00528, Ianaro, Carnevali, Noja, Stumpo ed altri n. 1-00529 e Leda Volpi ed altri n. 1-00531, concernenti iniziative per potenziare gli strumenti per la diagnosi e la cura della depressione, e il Governo ha assunto degli impegni in merito all'oggetto delle mozioni,

impegna il Governo:

1) a rendere operativo in tempi strettissimi l'Osservatorio epidemiologico sui suicidi e sui tentativi di suicidio (OESTeS) che, ad oggi, si è rivelato essere solo un annuncio, nonché ad adottare iniziative affinché l'Istat fornisca all'interno dell'annuario statistico i dati aggiornati relativi ai suicidi e/ai tentativi di suicidio;

2) ad avviare studi longitudinali sui suicidi quale metodologia di indagine sociale, al fine di comprendere la portata degli effetti post-lockdown e degli strascichi conseguenti alla pandemia;

3) nel quadro delle misure volte a ridurre l'incidenza dei suicidi, ad adottare iniziative per introdurre servizi specialistici dedicati alla salute mentale perinatale, garantendo la continuità dell'assistenza e la strutturazione di politiche attive che diano reale supporto alle gestanti;

4) ad avviare politiche mirate per gli adolescenti e i giovani, utilizzando quali strumenti di indagine sociale anche questionari all'interno dei percorsi scolastici con cui poter individuare la latenza dei disturbi scatenanti il suicidio e i tentativi di suicidio;

5) a predisporre in tempi brevi un piano strategico nazionale e le relative linee guida, con cui affrontare in maniera multidisciplinare e sistematica il dramma sociale dei suicidi e dei tentativi di suicidio, individuando le opportune risorse economiche al fine di garantire i relativi servizi territoriali assistenziali e di cura all'interno della medicina territoriale e di prossimità;

6) ad adottare, nell'ambito delle politiche per la prevenzione dei suicidi, le iniziative di competenza volte a dare attuazione agli specifici obiettivi stabiliti nel «SDGs Sustainable development Goals» promosso dall'Onu e alle azioni prioritarie indicate dallo «International Union for Health Promotion and Education» e dal «Piano d'azione per la salute mentale dell'Oms 2013-2030», rafforzando i servizi per la salute mentale e avviando in quest'ambito un monitoraggio che fotografi l'effettiva situazione che si registra nel nostro Paese;

7) ad adottare iniziative di contrasto al fenomeno dei suicidi in analogia a quelle previste dalla strategia nazionale finlandese per la salute mentale e dal relativo programma per la prevenzione del suicidio 2020-2030, all'interno di un percorso multidisciplinare e di indagine sociale;

8) ad adottare le iniziative di competenza, anche sul piano finanziario, per contrastare ogni altro fattore che contribuisce ad alimentare il fenomeno dei suicidi, a partire dall'incapienza economica e dal disagio sociale.
(1-00662) «Sapia, Massimo Enrico Baroni, Leda Volpi, Colletti, Cabras, Corda, Forciniti, Giuliodori, Maniero, Raduzzi, Spessotto, Testamento, Trano, Vallascas, Vianello».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

malattia

suicidio

malattia mentale