ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00655

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 700 del 24/05/2022
Firmatari
Primo firmatario: D'ELIA CECILIA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 24/05/2022
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
SERRACCHIANI DEBORA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
BERLINGHIERI MARINA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
QUARTAPELLE PROCOPIO LIA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
AVOSSA EVA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
BOLDRINI LAURA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
BONOMO FRANCESCA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
BRAGA CHIARA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
BRUNO BOSSIO VINCENZA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
CENNI SUSANNA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
CIAGA' GRAZIELLA LEYLA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
CIAMPI LUCIA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
CRITELLI FRANCESCO PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
DE LUCA PIERO PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
DI GIORGI ROSA MARIA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
FASSINO PIERO PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
FRAGOMELI GIAN MARIO PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
GRIBAUDO CHIARA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
IANARO ANGELA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
LA MARCA FRANCESCA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
MORANI ALESSIA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
MURA ROMINA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
PALAZZOTTO ERASMO PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
ROSSI ANDREA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
ROTTA ALESSIA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
SANI LUCA PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
SIANI PAOLO PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022
VERINI WALTER PARTITO DEMOCRATICO 24/05/2022


Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Mozione 1-00655
presentato da
D'ELIA Cecilia
testo di
Martedì 24 maggio 2022, seduta n. 700

   La Camera,

   premesso che:

    ad oggi, secondo lo Stockholm international peace research institute, sono stati registrati conflitti armati attivi in almeno 39 Stati e, stando invece, al più recente Global Trends dell'UNHCR – che «traccia» le migrazioni forzate nel mondo basandosi su dati forniti dai governi, dalle agenzie partner e dai rapporti dell'organizzazione stessa – 82,4 milioni di persone nel mondo sono state costrette alla fuga da persecuzioni catastrofi climatiche e guerre. Si tratta di un dato complesso da calcolare, soprattutto se ci si vuole concentrare esclusivamente su chi è colpito dalle guerre, ma di sicuro un numero enorme e drammatico, di cui donne e bambine sono attualmente circa la metà;

    in questi contesti, le donne sono quelle che pagano il prezzo più alto: secondo l'Unhcr, una donna rifugiata o sfollata interna su cinque è stata oggetto di violenza sessuale. Difatti, in un mondo che non trova la pace, nelle zone di conflitto e di guerra è purtroppo notorio che aumentino le violazioni del diritto umanitario internazionale e a esser maggiormente colpite sono proprio le fasce più vulnerabili della popolazione: donne, minori, persone disabili e persone anziane. In particolare, le donne durante i conflitti sono state sistematicamente sottoposte a violenze e abusi sessuali e lo stupro di massa è stato utilizzato come arma di guerra e strumento di terrore verso la popolazione;

    gli effetti di uno stupro sono sempre devastanti per la vittima che lo subisce, ma, lo stupro come strumento di guerra, tuttavia, presenta delle peculiarità: in seguito a uno stupro, la vittima può contrarre delle malattie sessualmente trasmissibili o restare incinta, ma in zone di conflitto è quasi impossibile riuscire ad accedere a delle cure mediche adeguate o ricorrere a un aborto sicuro, inoltre le vittime di stupro di guerra rischiano di essere stigmatizzate e allontanate dalla famiglia. Restare incinte a causa di un soldato nemico significa, nell'ottica di guerra, partorire un nemico. Gli stupri di guerra, inoltre, sono spesso stupri di gruppo;

    ultimi, in linea temporale, giungono i racconti degli orrori della guerra in Ucraina, da cui stanno arrivando sempre più testimonianze di stupri compiuti perlopiù dai soldati russi su civili ucraini. Kateryna Busol, ricercatrice del centro studi inglese Chatham House ed esperta di diritto internazionale, ritiene che i casi di stupro potrebbero essere «molto più diffusi» di quanto emerso finora. Tra le altre cose, Busol si è occupata di documentare le violenze sessuali compiute sia nel Donbass, a partire dal conflitto tra i separatisti filorussi e le forze ucraine, sia in Crimea, dopo la sua invasione e successiva annessione russa, nel 2014. Era infatti già successo negli ultimi anni che dall'Ucraina arrivassero testimonianze di stupri compiuti da militari e miliziani di entrambe le parti, sia russi che ucraini. A raccogliere le testimonianze sono organizzazioni per i diritti umani e autorità locali, anche se, in guerra affrontare gli stupri — prevenirli da una parte, garantire assistenza alle vittime dall'altra — è ancora più difficile di quanto lo sia in tempo di pace;

   secondo i dati della procura generale ucraina sono, a oggi, 10.619 i crimini di guerra e di aggressione registrati da inizio conflitto in Ucraina, ma, riguardo agli stupri, soltanto poche tra le donne vittime di violenza sono psicologicamente e fisicamente in grado di testimoniare per le loro aggressioni sessuali, che rientrano anch'esse in questa categoria di reati. La possibilità che le donne (e anche gli uomini) parlino di violenza sessuale, in un qualsiasi contesto, dipende da una serie di fattori, tra cui elementi culturali e religiosi, l'esistenza di un'infrastruttura per la raccolta della documentazione e per l'indagine e la disponibilità di un supporto medico e psicologico per i sopravvissuti, che, in contesti caratterizzati da un tale livello di insicurezza come l'Ucraina oggi, rende la testimonianza e la raccolta di prove dello stupro molto complessa;

   l'Unione europea, le Nazioni Unite, diverse organizzazioni per i diritti umani, il segretario generale della Nato e il procuratore generale dell'Ucraina hanno tutti di recente chiesto di indagare su possibili crimini di guerra in Ucraina, compreso lo stupro, e offerto il loro aiuto in indagini di questo tipo. Pramila Patten, la rappresentante speciale del segretario generale che lavora per porre fine agli stupri in guerra, ha detto, durante la visita a Kiev: «I diritti delle donne non finiscono quando iniziano le guerre. I vostri corpi non sono (un) campo di battaglia e non devono mai essere trattati come parte del campo di battaglia»;

   la Procura di Bari ha aperto un'indagine su presunti crimini di guerra commessi da soldati russi su civili ucraini. Il fascicolo d'inchiesta barese è aperto a carico di ignoti per «collaborazione internazionale su crimini di aggressione». Fa seguito alla richiesta avanzata da Eurojust alle procure presso la Corte penale internazionale e nei diversi Stati membri di «conservare, analizzare archiviare le prove relative a crimini contro l'umanità commessi in Ucraina»;

   ulteriore capitolo, in questi racconti dell'orrore dalla guerra in Ucraina, sono le notizie che arrivano dalla Polonia, in merito alla possibilità di aborto per le profughe, spesso vittime di stupro, e per le quali, non poter abortire legalmente è un ulteriore choc. In Polonia, difatti, legalmente, si può abortire in due casi: in caso di violenza sessuale denunciata o nel caso in cui la donna rischi la vita. Ovviamente, l'attuale condizione di guerra, rende ancora più complesso poter denunciare la circostanza e di conseguenza abortire. Da notizie a mezzo stampa, sarebbero oltre trecento le donne ucraine che, in questi due mesi, si sono rivolte ad Abortion without border, associazione che aiuta le donne che vogliono interrompere la gravidanza in Polonia, e che sono state sono state aiutate ad avere o un aborto farmacologico o sono state portate nelle cliniche all'estero;

   l'Ufficio dell'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha registrato oltre 5,6 milioni di rifugiati ucraini il 90 per cento dei quali sono donne e bambini. Si tratta, finora, della più grande migrazione forzata di profughi interni e internazionali di questo nuovo secolo e millennio, il più grande e rapido spostamento di persone in Europa dalla fine dei conflitti nei Balcani;

   per garantire una immediata ed efficace risposta di accoglienza per i profughi che lasciano l'Ucraina, l'Unione europea ha attivato, per la prima volta, la direttiva 2001/55/CE per la «Protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati» del 2001. Questo sistema di protezione speciale, finora, non era mai stata applicata, e introduce una protezione immediata e temporanea sul tutto il territorio dell'unione, istituendo la connessione quasi automatica dell'asilo e, soprattutto, fornendo i permessi di soggiorno e lavorativi, di alloggio e accesso all'istruzione per i minori, oltre a considerare legami familiari o reti di supporto preesistenti, con procedure minime ed efficienti;

   anche in Italia, si è registrata una rapida risposta all'arrivo dei tanti profughi dall'Ucraina, sia istituzionale che di solidarietà privata — al 10 maggio, sono 112.098 le persone in fuga dal conflitto in Ucraina giunte fino a oggi in Italia, sul totale, 58.334 sono donne, 15.256 uomini e 38.508 minori. Il decreto del 28 marzo ha consentito che a ucraini e ad alcuni residenti in Ucraina prima del 24 febbraio sia stato rilasciato un permesso di soggiorno valido 1 anno, prorogabile per un altro anno, che consente l'iscrizione al Sistema sanitario nazionale e l'accesso al lavoro, allo studio e alle misure assistenziali e di accoglienza. Tra l'altro, prevede espressamente che l'iscrizione al Ssn, con la scelta del medico di base o del pediatra, sia possibile sin dalla presentazione della richiesta di protezione temporanea. Si sono regolate anche due situazioni particolari dei cittadini ucraini in Italia prima dell'invasione. Quelli con una pratica pendente per l'emersione del 2020 potranno tornare in Ucraina, prestare soccorso ai familiari, quindi rientrare in Italia. Quelli che, dopo il 24 febbraio 2022, hanno chiesto la cittadinanza italiana, sono esonerati, fino alla fine dell'emergenza, dal presentare l'atto di nascita e il certificato penale ucraino. La successiva ordinanza della Protezione civile ha tradotto le norme in un sistema di effettiva accoglienza diffusa, integrando servizi pubblici e privati;

   anche in Russia, moltissime donne subiscono le conseguenze della guerra, sia perché stanno piangendo i loro figli, i loro mariti, i padri, i fratelli caduti in combattimento, sia perché, da quando è cominciata l'invasione, il 24 febbraio, in Russia più di 15 mila persone sono state arrestate per aver partecipato a una manifestazione o a una veglia, pagando a caro prezzo il voler manifestare il proprio dissenso: donne che, sfidando pestaggi, arresti, vendette, stanno manifestando contro Putin e contro la guerra nelle piazze russe, o che come, a esempio, la direttrice del Meyerhold Center, il teatro statale di Mosca, Elena Kovalskaya, decidono di lasciare i loro incarichi in segno di protesta;

   la risoluzione n. 1325 su «Donne, Pace e Sicurezza», approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell'Onu il 31 ottobre del 2000, è stata la prima a menzionare esplicitamente l'impatto devastante della guerra sulle donne e il loro contributo nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole. Essa, riconoscendo in particolare che le donne e i fanciulli rappresentano la popolazione più colpita dalle conseguenze di un conflitto armato e che le donne svolgono un ruolo fondamentale e imprescindibile nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, nonché nelle attività di ricostruzione della pace, invita gli Stati membri ad assicurare una maggiore partecipazione delle donne a tutti i livelli decisionali, in particolare nei meccanismi di prevenzione, gestione e risoluzione delle crisi;

   già questo Parlamento, su iniziativa anche del Partito Democratico, aveva sentito la necessità di implementare concretamente la risoluzione n. 1325, approvando nel corso dell'esame della legge 30 dicembre 2020, n. 178, legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023, un emendamento che ha previsto la spesa di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, ai fini dell'attuazione del piano di azione in ottemperanza alla risoluzione n. 1325(2000) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (S/RES/1325), sulle donne, la pace e la sicurezza, e alle risoluzioni seguenti, comprese le azioni di promozione, monitoraggio e valutazione dello stesso piano nonché la formazione nel settore della mediazione e della prevenzione dei conflitti, e per le conseguenti azioni previste;

   il IV Piano di azione nazionale dell'Italia su donne pace e sicurezza 2020-2024 aggiornato anche sulla base dell'obiettivo 5 di Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile del Pianeta, ne rappresenta l'attuazione formale accanto all'applicazione di tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che hanno focalizzato il dramma delle violenze sessuali e stupri di guerra, quali la risoluzione 1820(2008), la risoluzione n. 1882 (per i diritti dei minori, 2009), le risoluzioni n. 1888 e 1889 (2009), riconoscendo il nesso tra sicurezza internazionale e violenza sessuale, in quanto quest'ultima, quando utilizzata come tattica di guerra, può esacerbare significativamente i conflitti armati e impedire il ripristino della pace e della sicurezza internazionale;

   inoltre, nello stesso Piano d'azione italiano, promossa dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, e implementato dallo IAI e dalla sezione italiana di Women in International Security (WIIS Italia), è nata, nel 2017, l'iniziativa per una Rete di donne mediatrici nell'area mediterranea, finalizzata a rispondere al bisogno di aumentare il numero di donne coinvolte nel lavoro di peacemaking e a facilitare l'assegnazione di incarichi a donne mediatrici a livello locale e internazionale. Il progetto è anche volto a ridurre le limitate capacità di fare rete nell'area Mediterranea, non interamente coperta dalle attuali reti di donne mediatrici. La Rete si adopererà anche per un approccio coerente stretta collaborazione con l'Onu e il registro degli e delle esperti/e mediatori/trici gestito dall'Undpa;

    desta preoccupazione il crescente numero di denunce di tratta di esseri umani, violenza sessuale, sfruttamento, stupro e abusi subiti da donne e bambini in fuga dall'Ucraina. Anche il Parlamento europeo ha chiesto all'Unione di proteggere le donne che fuggono dall'Ucraina dalla violenza e dalla tratta di esseri umani, e di garantire loro l'accesso ai servizi sanitari essenziali. E proprio la piattaforma di Anti-trafficking dell'Unione europea si è impegnata ad attuare e a dare seguito a un piano comune di contrasto della tratta per affrontare i rischi della tratta di esseri umani e sostenere le potenziali vittime tra coloro che fuggono dalla guerra in Ucraina. Il piano mira a sensibilizzare, rafforzare la prevenzione, potenziare le attività di contrasto e la risposta giudiziaria, nonché migliorare l'individuazione delle vittime e il sostegno loro offerto. Il piano riguarda anche la cooperazione a livello mondiale e con i Paesi terzi, in particolare la Moldava e l'Ucraina. La piattaforma di solidarietà è il principale meccanismo operativo e di coordinamento dell'Unione europea, istituito subito dopo l'inizio della guerra in Ucraina. Riunisce rappresentanti dei Paesi dell'Unione europea degli Stati membri associati Schengen, delle agenzie dell'Unione europea, delle autorità ucraine e di partner come l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e l'UNHCR;

    dalle immagini e cronache dai numerosissimi teatri di guerra aperti in Ucraina arrivano prove inequivocabili di una barbarie che richiama fortemente la necessità di tavoli di negoziato tra le Parti, sinora unanimemente definiti inadeguati e infruttuosi;

    l'impatto di questa guerra è incalcolabile sia in termini di tragedia umanitaria e sofferenze che in termini di recessione economica e sociale;

    se nascere donna è complicato in tutte le parti del mondo, vivere in determinati Paesi o essere costrette ad abbandonare tutto e cercare la salvezza in un'altra terra peggiora ulteriormente la condizione di donne e bambine,

impegna il Governo:

1) a promuovere, in tutti i consessi utili, l'inclusione delle donne nei processi di pace, oltre a favorire negoziati in cui gli aspetti legati alla parità di genere siano debitamente considerati in tutte le fasi dei processi, anche in considerazione delle numerose le militanti per i diritti umani e operatrici delle Ong umanitarie impegnate ai confini, così come le competenze femminili disponibili dentro e fuori le istituzioni che potrebbero essere utilizzate nella costruzione di scenari positivi di ritrovata sicurezza;

2) a sostenere, sia in ambito diplomatico che più prettamente giuridico, nell'ambito dell'azione congiunta con i partner, europei ed internazionali, la giustizia ucraina nel lungo e complesso percorso di ricostruzione e persecuzione dei crimini di guerra commessi nel proprio territorio, anche attraverso la raccolta sistematica di testimonianze dai tanti ucraini attualmente in Italia;

3) ad adoperarsi per promuovere ed implementare la Risoluzione n. 1325/ 2000 su «Donne, Pace e Sicurezza», approvata dal Consiglio di Sicurezza ONU all'unanimità, continuando nell'impegno assunto anche dal nostro Paese per la tutela delle donne, con particolare attenzione alle donne nei Paesi in conflitto, e in particolare al contesto ucraino;

4) a sostenere in tutte le sedi istituzionali il rafforzamento in maniera continuativa e durevole del ruolo delle donne nei processi di pace e in tutti i processi decisionali, accrescendo le sinergie col terzo settore e la società civile, e a promuovere la prospettiva di genere nelle progettualità della cooperazione allo sviluppo e di aiuto umanitario e a sostenere le associazioni locali e le associazioni di donne che operano per la pace e per i diritti umani per prevenire e contrastare ogni tipo di violenza e sopraffazione basata sul genere e la violenza sessuale;

5) a consolidare nel territorio italiano l'impegno dell'accoglienza e ad adottare iniziative per provvedere alla formazione di chiunque operi nel mantenimento della pace, sia per quanto riguarda la protezione, i diritti e le necessità specifiche delle donne che per quanto concerne l'importanza della loro partecipazione attiva in tutti i processi di mantenimento e consolidamento della pace;

6) ad adottare iniziative per intensificare, insieme ai partner europei e nell'ambito di una maggiore sinergia, la lotta volta a identificare e perseguire le reti di trafficanti che approfittano dello sfruttamento sessuale delle donne rifugiate, rafforzando le attività di contrasto e la risposta giudiziaria alla tratta, migliorandone l'individuazione tempestiva, nonché il sostegno e la protezione delle vittime e affrontando i rischi della tratta nei Paesi terzi, in particolare Ucraina e Moldova, anche fornendo alle stesse donne un trasporto sicuro e coordinato tra Stati membri;

7) ad adoperarsi, nell'ambito dei rapporti diplomatici bilaterali e multilaterali nelle competenti sedi europee, per garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali dell'Unione in Polonia, quale anche quello delle donne all'aborto, garantendo comunque l'accesso alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi – in particolare la contraccezione di emergenza e l'assistenza all'aborto anche per le vittime di stupro, oltre alle cure ostetriche – sostenendo una buona salute sessuale delle donne profughe, anche integrando i kit per la salute destinati all'Ucraina e ai Paesi ospitanti, con dispositivi in materia di salute sessuale e riproduttiva;

8) ad adottare iniziative per ampliare l'esperienza della Rete di donne mediatrici nell'area mediterranea anche al contesto ucraino, in quanto le donne mediatrici possono portare conoscenze strategiche e contribuire alla risoluzione dei conflitti e a una pace duratura;

9) ad adoperarsi, in sede europea e nei rapporti internazionali, per promuovere una policy di accoglienza integrata anche per i cittadini e le cittadine che scappano dalla Russia e per concedere lo status di rifugiato internazionale per coloro che ne avrebbero i requisiti.
(1-00655) «D'Elia, Serracchiani, Berlinghieri, Quartapelle Procopio, Avossa, Boldrini, Bonomo, Braga, Bruno Bossio, Cenni, Ciagà, Ciampi, Critelli, De Luca, Di Giorgi, Fassino, Fragomeli, Gribaudo, Ianaro, La Marca, Morani, Mura, Palazzotto, Rossi, Rotta, Sani, Siani, Verini».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

violenza sessuale

risoluzione

diritti umani