ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00615

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 666 del 28/03/2022
Firmatari
Primo firmatario: BERTI FRANCESCO
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 28/03/2022
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BRUNO RAFFAELE MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
BUSINAROLO FRANCESCA MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
DEL SESTO MARGHERITA MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
GALIZIA FRANCESCA MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
GRILLO GIULIA MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
PAPIRO ANTONELLA MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
RICCIARDI RICCARDO MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
SCERRA FILIPPO MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
VIGNAROLI STEFANO MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
MARTINCIGLIO VITA MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
FRACCARO RICCARDO MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
SAITTA EUGENIO MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
TUZI MANUEL MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022
AIELLO DAVIDE MOVIMENTO 5 STELLE 28/03/2022


Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Mozione 1-00615
presentato da
BERTI Francesco
testo di
Lunedì 28 marzo 2022, seduta n. 666

   La Camera,

   premesso che:

    i fenomeni di globalizzazione dell'economia ed in particolare l'avvento dell'economia digitale, comprendente tutte le attività economiche sviluppatesi sulle tecnologie digitali o che fanno ad esse riferimento, hanno determinato l'insorgere di nuove importanti sfide dal punto di vista fiscale e tributario legate a fenomeni quali: l'alta mobilità dei contribuenti e del capitale, l'alto numero di transazioni transfrontaliere e l'internazionalizzazione delle strutture finanziarie;

    le trasformazioni sopra richiamate hanno comportato che alcuni operatori economici, approfittando della situazione di incertezza e dell'assenza di normative e regolamenti in materia, abbiano elaborato pratiche di evasione e di elusione fiscale, nonché politiche commerciali perseguite, sfruttando il gap legislativo-tributario esistente tra le diverse legislazioni nazionali, al fine di massimizzare i propri profitti e minimizzare il contributo a favore degli erari nazionali (cosiddetti fenomeni dell'aggressive tax planning e del profit shifting);

    l'Unione europea ha tra le proprie fondamenta il mercato unico che, ad oggi, non ricomprende l'Unione fiscale: pertanto gli Stati membri possono attuare politiche di concorrenza fiscale, le quali impattano fortemente sulla responsabilità fiscale delle imprese a detrimento della fiscalità generale degli stessi Stati membri e quindi della capacità di tali Stati di finanziare spesa pubblica e servizi;

    nelle raccomandazioni dell'Unione europea contenenti i pareri sul programma nazionale di riforma verso Olanda, Lussemburgo, Malta, Cipro, Irlanda, emerge, dal 2017, il tema della pianificazione fiscale aggressiva strategica (Atp): l'elevato livello dei dividendi, degli interessi e delle royalty pagati in percentuale del prodotto interno lordo indica che le imprese impegnate nella Atp sfruttano la normativa tributaria per eludere l'imposizione fiscale. Tali transazioni, se non sono tassate neanche nella giurisdizione di riscossione, rappresentano una evasione fiscale;

    l'entità delle transazioni finanziare all'interno degli Stati dell'Unione e degli stessi gruppi di imprese (holding) è reso di ancora più difficile misurazione, poiché le società multinazionali non rendono pubbliche le rendicontazioni Paese per Paese (cosiddetto country-by-country reports o (Cbcr), determinando la conseguente impossibilità di valutare i dati di bilancio aggregati e facilitando così il fenomeno del profit-shifting;

    la pubblicazione dei Cbcr risulta particolarmente utile al fine di condurre una verifica del principio di responsabilità fiscale d'impresa rispetto al grado di pianificazione fiscale societaria globale, permettendo una valutazione rispetto a potenziali disallineamenti esistenti tra l'attività economica condotta da grandi multinazionali in ciascuna giurisdizione in cui operano tramite entità di gruppo e il livello di utili ivi registrati;

    la pubblicazione dei Country by Country Reports risulta, oggi, ancora più importante come strumento di trasparenza per verificare l'effettiva applicazione delle sanzioni economico-finanziarie introdotte in seguito all'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa. I Cbcr fungono, altresì, come importante strumento di trasparenza per verificare le attività di quelle società il cui assetto proprietario è riconducibile ad oligarchi russi o a personalità soggette a sanzioni da parte occidentale;

    il fenomeno dell’«arbitraggio fiscale», il trasferimento dei profitti verso Paesi a bassa imposizione fiscale, non riguarda solo i Paesi extra Unione Europea. Secondo recenti stime conservative realizzate dagli economisti Tørsløv, Wier e Zucman, il fenomeno del profit-shifting ha un costo per l'Italia (in termini di mancata riscossione di gettito Ires quantificabile fino a 6,35 miliardi di dollari annui, con oltre l'87 per cento degli utili trasferiti in sei giurisdizioni appartenenti all'Unione europea (Belgio, Cipro, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi);

    secondo quanto evidenziato nel report «The axis of tax avoidance» pubblicato, a fine aprile 2020, dal Tax Justice Network, gli Stati membri dell'Unione europea perdono, ogni anno, più di 27 miliardi di dollari di imposte sulle società da parte di aziende statunitensi che si avvantaggiano delle opportunità offerte dalle norme in vigore nel vecchio continente per spostare i loro profitti dove è più conveniente ed in particolare in Stati quali Regno Unito, Svizzera, Lussemburgo e Paesi Bassi. Gli autori del report hanno calcolato che, per ogni singolo dollaro di imposta sulle società, spostato all'interno dell'Unione europea, gli Stati membri perdono complessivamente 7 dollari di imposte. Tra i Paesi più colpiti dal fenomeno del profit shifting vi sono la Francia (7 miliardi di dollari in meno di imposte), la Germania (oltre 4 miliardi), l'Italia (poco meno di 4 miliardi) e la Spagna (oltre 2 miliardi);

    tra gli Stati ed anche tra gli stessi membri dell'Unione europea permangono forti differenze tra le legislazioni in materia fiscale riguardo l'ammontare dell'aliquota di tassazione sul reddito societario. L'Ungheria applica un'aliquota pari al 9 per cento, l'Irlanda del 12,5 per cento, nettamente inferiori a quelle applicate in Paesi quali l'Italia, con un'aliquota pari al 27,8 per cento, la Germania, del 29,9 per cento, e la Francia pari al 32 per cento;

    la pandemia dovuta alla diffusione del virus Sars-CoV-2 ha maggiormente evidenziato i gravi costi delle pianificazioni fiscali aggressive all'interno dell'Unione europea, in termini di profonda distorsione dell'architettura comunitaria che danneggia il nostro Paese – con perdite altissime in termini di entrate tributarie proprie dalle imprese – e impoverimento per l'intera Unione europea;

    per quanto concerne l'assenza di una tassazione sulle attività dell'economia digitale nello studio «I giganti del WebSoft», pubblicato nel 2019 dall'Area studi di Mediobanca, si evidenzia che la tassazione ai colossi digitali frutta, annualmente, allo Stato italiano 70 milioni di euro, a fronte di un fatturato totale (per le sole filiali italiane) pari a 3,3 miliardi di euro. I dati evidenziano che, a causa della mancata previsione di un'imposta in materia, Amazon nel 2019 ha pagato appena 10.9 milioni di euro di imposte a fronte di un fatturato di oltre 1 miliardo, Google 5.7 milioni e Facebook 2.3 milioni. I casi più controversi sono rappresentati da E-bay che ha corrisposto al fisco italiano nel 2019 soltanto 145.000 euro e da Netflix che ha pagato 6.000 euro, importo equiparabile all'imposizione fiscale a cui è soggetto un lavoratore dipendente con reddito lordo pari a 29.500 euro;

    come riportato nel volume «Giù le tasse, ma con stile!», scritto da Fabio Ghiselli e pubblicato nel 2019, all'interno dell'Unione europea, mediamente, i cosiddetti e-commerce, in assenza di aliquota unica, scontano una tassazione che oscilla tra lo 0.1 e il 4 per cento del loro profitto; secondo dati diffusi dalla Commissione europea, negli ultimi anni, da crescita media annua dei ricavi delle principali imprese digitali si è attestata al 14 per cento circa, a fronte di una crescita media del 3 per cento delle società del settore informatico e delle telecomunicazioni e dello 0,2 per cento delle altre multinazionali. Mediamente, i modelli d'imprese digitali nazionali sono soggetti a un tasso di imposizione fiscale effettiva dell'8,5 per cento, due volte inferiore a quello applicato ai modelli d'impresa tradizionali;

    vi è oggi una larga condivisione, sia a livello nazionale che internazionale, riguardo all'esigenza di prevedere una tassa minima globale sulle imprese multinazionali (cosiddetto minimum global tax o corporate tax) ed un adeguato regime fiscale per le attività legate alla fornitura di beni e servizi senza una presenza fisica o legale (esempio e-commerce), nonché per quei casi in cui i consumatori accedono a servizi digitali gratuitamente, a fronte della mera corresponsione dei propri dati personali (esempio Google, Facebook e altro);

    nel gennaio 2019, durante la riunione dell'Ocse/G20 è stato raggiunto un accordo, per una soluzione riguardante il problema della tassazione societaria legato alla digitalizzazione dell'economia che avrebbe dovuto essere approvata entro la fine del 2020. Il lavoro in sede Ocse/G20 sulla cosiddetta digital o web tax si inserisce nel quadro dell'Azione 1 – Sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione (Tax Challenges Arising from Digitalisaton), parte integrante del cosiddetto «pacchetto BEPS» (base erosion and profit shifting) adottato dall'Ocse e nel quale si individuano i principali settori di intervento necessari per affrontare i fenomeni dell'erosione della base fiscale e lo spostamento dei profitti;

    nel febbraio 2021, in seguito al mancato raggiungimento di un accordo, i Ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali del G20, hanno ribadito il loro impegno ad adoperarsi per trovare una soluzione globale consensuale sulla tassazione internazionale dei servizi digitali entro la metà del 2021, la quale dovrebbe basarsi su due pilastri: la previsione di nuove norme sulla «presenza imponibile» e sui diritti di attribuzione degli utili da tassare e l'introduzione di norme volte a garantire che le società operanti a livello internazionale paghino un livello minimo di tassazione, evitando così casi di profit shifting;

    il principale ostacolo al raggiungimento di un accordo internazionale in materia è la posizione statunitense, i cui rappresentanti hanno sollevato perplessità riguardo le tasse sui servizi digitali introdotte in diversi Paesi europei tra i quali Francia ed Italia. Tuttavia, secondo quando riportato da diverse fonti stampa, nel corso del vertice del G20, celebratosi a febbraio 2021, Janet Yellen, la Segretaria al Tesoro statunitense, avrebbe dichiarato che gli Stati Uniti sono intenzionati a rimuovere gli ostacoli esistenti nel negoziato sulla digital tax;

    nel marzo 2018 la Commissione europea ha presentato due proposte di direttiva finalizzate a: riformare la normativa in materia di imposte societarie, per fare in modo che la tassazione degli utili avvenga dove le imprese hanno una presenza digitale significativa (COM(2018) 147), e all'elaborazione di un'imposta sui ricavi derivanti dai servizi digitali (imposta sui servizi digitali-Isd) applicabile, in via temporanea, nell'attesa che venga raggiunto un accordo in sede di Ocse per una soluzione globale, consensuale e a lungo termine (COM(2018) 148);

    l'imposta transitoria elaborata dalla Commissione europea si applicherebbe ai ricavi derivanti da attività, realizzate attraverso canali digitali, nelle quali gli utenti svolgono un ruolo centrale nella creazione di valore e che non sono adeguatamente coperte dalle norme fiscali attuali. L'imposizione si applicherebbe, con un'aliquota del 3 per cento, alle imprese con ricavi totali annui pari a 750 milioni di euro a livello mondiale e a 50 milioni di euro a livello europeo, mentre la riscossione fiscale spetterebbe agli Stati membri in cui si trovano gli utenti;

    il Consiglio europeo ha deciso di sospendere i negoziati sulla proposta fintanto che saranno in corso i lavori dell'Ocse G20 impegnandosi, come ribadito nella Dichiarazione successiva alla riunione del 25 marzo 2021, a seguire un duplice approccio. Da un lato, adoperandosi, congiuntamente agli Stati membri, a raggiungere un accordo globale nel quadro dell'Ocse, dall'altro, a procedere a livello comunitario a partire da una nuova proposta, relativa ad un'imposta sui servizi digitali, che la Commissione avrebbe presentato entro il primo semestre del 2021 in vista della sua introduzione al più tardi entro il 1° gennaio 2023, così come stabilito nell’«Accordo interistituzionale sulla cooperazione in materia di bilancio e sulla sana gestione finanziaria, compresa una tabella di marcia verso l'introduzione di risorse proprie», approvato nel dicembre 2020;

    la tassa sui servizi digitali è parte integrante delle proposte sulle nuove tasse europee al vaglio della Commissione, indispensabili per dotare l'Unione europea di risorse proprie con l'obiettivo di svincolarsi, almeno parzialmente, dalla dipendenza dai contributi degli Stati membri e necessarie per finanziare il bilancio comunitario ed in particolare i programmi di spesa e di investimento adottati per contrastare le conseguenze economiche della pandemia da Sars-CoV-2 (esempio strumento Next Generation EU);

    il 15 ottobre 2020, mediante l'approvazione della legge n. 4/2020, il Parlamento spagnolo ha introdotto l'Impuesto sobre Determinados Servicios Digitales (Imposta su determinati servizi digitali), in vigore dal gennaio 2021 e dalla quale il Governo spagnolo si attende di ricavare circa 968 milioni di euro, mentre, al mese di ottobre 2020, discipline simili sono già in vigore in Paesi quali Austria, Regno Unito, Polonia, Ungheria e Turchia;

    dal 1° dicembre 2020, in seguito al mancato raggiungimento di un accordo in sede di Ocse, è attiva in Francia la Taxe sur les services numériques (tassa sui servizi digitali) approvata in via definitiva dal Senato francese nel luglio del 2019. La tassa prevede l'applicazione di un'aliquota del 3 per cento sul fatturato delle grandi imprese del mercato digitale, ovvero quei soggetti aventi ricavi superiori a 750 milioni di euro di cui almeno 25 milioni realizzati in Francia, fornitrici di servizi di targeting pubblicitario, intermediazione del commercio online e vendita di dati raccolti a fini pubblicitari;

    in Italia, il primo tentativo di tassare i servizi digitali è stato perseguito mediante l'introduzione di un'imposta sulle transazioni digitali, prevista dalla legge di bilancio 2018 (articolo 1, commi da 1011 a 1019, della legge n. 205 del 2017), che avrebbe dovuto applicarsi alle transazioni digitali relative a prestazioni di servizi effettuate tramite mezzi elettronici, con un'aliquota del 3 per cento applicata al valore della singola transazione, al netto dell'Iva;

    mediante la legge di bilancio 2019 (articolo 1, commi da 35 a 50, legge n. 145 del 2018) è stata abrogata la previgente disciplina ed è stata istituita un'imposta sui servizi digitali, in vigore dal 1° gennaio 2020, pari al 3 per cento dei ricavi realizzati da imprese, anche non residenti, che, nel corso dell'anno solare precedente, abbiano realizzato ovunque nel mondo, singolarmente o congiuntamente a livello di gruppo, ricavi globali pari ad almeno 750 milioni di euro di cui almeno 5,5 milioni realizzati in Italia;

    mediante la legge di bilancio 2020 (articolo 1, comma 678, legge n. 160 del 2019) sono state introdotte modificazioni allo scopo di chiarire le modalità applicative dell'imposta con riferimento ai corrispettivi colpiti, alle dichiarazioni, alla periodicità del prelievo e finalizzate a svincolare l'applicazione dall'emanazione di provvedimenti attuativi;

    con il decreto-legge n. 3 del 2021, del 14 gennaio 2021, è stato prorogato di un mese sia il termine di versamento dell'imposta sui servizi digitali che quello di presentazione della relativa dichiarazione. Mediante un provvedimento del 15 gennaio 2021 l'Agenzia delle entrate ha definito le regole operative relative alla prima applicazione della disciplina;

    non essendo stato raggiunto un accordo internazionale in materia, partire da aprile 2021 si sono manifestati i primi obblighi in relazione a tale imposta. Secondo le stime contenute nella relazione tecnica alla legge di bilancio 2020 dalla tassa sui servizi digitali si attende un gettito di circa 708 milioni di euro annui, cifra che tuttavia non considera i profondi mutamenti dovuti alla pandemia di Sars-CoV-2;

    in alcune dichiarazioni rese ad inizio 2021 il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e la Segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, si sono espressi favorevolmente riguardo l'introduzione di una corporate tax globale al fine di contrastare i fenomeni dell'aggressive tax planning e del profit shifting;

    nel giugno 2021 i Ministri delle finanze del G7 hanno raggiunto un accordo sul principio di un'aliquota globale minima del 15 per cento per la tassazione delle grandi imprese, applicata Paese per Paese. Sempre nel giugno 2021, un accordo simile era stato raggiunto dai rappresentanti di 130 Paesi. Attualmente, l'accordo è stato firmato da tutti i Paesi che compongono il G20, l'Ocse e l'Unione europea;

    nell'ottobre 2021, nel corso della riunione del G20 tenutasi a Roma, è stata approvata l'introduzione di una tassa minima globale pari al 15 per cento sugli utili delle multinazionali, aventi un fatturato superiore ai 750 milioni di euro, da attuarsi entro l'annualità 2023. Secondo alcune stime dell'Ocse la misura comporterà benefici per oltre 125 miliardi di dollari di cui, secondo uno studio indipendente, solo 60 miliardi di dollari di introiti annui negli Stati Uniti. Secondo i dati dell'Osservatorio fiscale dell'Unione europea, il gettito stimato dalla global minimum tax è pari a livello di Unione europea a 71,5 miliardi, di cui 2,6 miliardi per la sola Italia;

    in data 16 marzo 2022 durante una riunione del Consiglio «Economia e finanza» (Ecofin) Estonia, Malta, Polonia e Svezia si sono espressi negativamente in merito all'adozione della direttiva che dovrebbe recepire l'intesa raggiunta in sede Ocse sull'introduzione di una global minimum tax la cui introduzione era già stata precedentemente rinviata al 31 dicembre 2023;

    il tema della minimum o corporate tax e della digital tax si collega inevitabilmente a quello delle risorse proprie dell'Unione europea, ovvero le principali fonti di entrata nel bilancio dell'Unione, attualmente rappresentate da: i dazi doganali sulle importazioni dell'Unione un'imposta sul valore aggiunto Iva, i trasferimenti degli Stati membri di un tasso percentuale uniforme del suo Reddito nazionale lordo e, a decorrere dal 1° gennaio 2021, un contributo da parte dei Paesi membri basato sulla quantità di rifiuti di imballaggi in plastica non riciclati;

    il tema delle risorse proprie dell'Unione europea è di fondamentale importanza poiché tali risorse, che potrebbero essere integrate dall'introduzione e dall'applicazione della minimum o corporate tax e dalla digital tax, potrebbero sostenere le spese necessarie a rafforzare la ripresa in seguito alla crisi economica determinata dalla diffusione del virus Sars-CoV-2, a finanziare lo strumento del Next Generation EU e ad aiutare a contrastare gli effetti economici derivanti dall'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa;

    nel periodo 4 marzo-1° aprile 2021 l'Unione europea ha avviato una consultazione pubblica in merito all'iniziativa «Un quadro moderno dell'Unione europea per la tassazione delle imprese» (A modern EU business taxation framework) finalizzata a garantire che il quadro per la tassazione delle imprese nei Paesi dell'Unione europea rispecchi le realtà di un'economia moderna, globalizzata e digitalizzata;

    in base all’«Accordo interistituzionale sulla cooperazione in materia di bilancio e sulla sana gestione finanziaria, compresa una tabella di marcia verso l'introduzione di risorse proprie», la Commissione europea si è impegnata a proporre entro giugno 2024 l'introduzione di nuove risorse proprie che includeranno un'imposta sulle transazioni finanziarie, un contributo finanziario collegato al settore societario o una nuova base imponibile comune per l'imposta sulle società, in merito alle quali, in base alla medesima tabella di marcia, il Consiglio delibererà al più tardi entro il 1° giugno 2025 in vista della loro introduzione entro il 1° gennaio 2026,

impegna il Governo:

1) adoperarsi in tutte le sedi internazionali, ed in particolare in seno all'Unione europea, all'Ocse, al G7 e al G20, per introdurre e successivamente implementare ulteriori misure che contemplino meccanismi per il superamento dell'attuale disomogeneità tra i regimi fiscali nazionali, ed in particolare degli Stati membri dell'Unione europea, e la conseguente concorrenza fiscale aggressiva, al fine di contrastare gli effetti distorsivi arrecati al mercato unico e al fine, altresì, di recuperare risorse necessarie a rafforzare la ripresa in seguito alla crisi economica determinata dalla diffusione del virus Sars-Cov-2, a finanziare lo strumento del Next Generation EU, con particolare riguardo alle politiche strategiche del Green Deal e della transizione ecologica e digitale, e ad aiutare a contrastare gli effetti economici derivanti dall'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa;

2) ad adoperarsi, in sede comunitaria, per contribuire ad attuare la tabella di marcia per l'introduzione di risorse proprie prevista dall'accordo interistituzionale in materia di bilancio dell'Unione europea.
(1-00615) «Berti, Bruno, Businarolo, Del Sesto, Galizia, Grillo, Papiro, Ricciardi, Scerra, Vignaroli, Martinciglio, Fraccaro, Saitta, Tuzi, Davide Aiello».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

risorse proprie

politica fiscale

paese membro