ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00603

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 652 del 08/03/2022
Firmatari
Primo firmatario: PEREGO DI CREMNAGO MATTEO
Gruppo: FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 08/03/2022
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MARROCCO PATRIZIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 08/03/2022
PORCHIETTO CLAUDIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 08/03/2022
D'ATTIS MAURO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 08/03/2022


Stato iter:
22/03/2022
Fasi iter:

RITIRATO IL 22/03/2022

CONCLUSO IL 22/03/2022

Atto Camera

Mozione 1-00603
presentato da
PEREGO DI CREMNAGO Matteo
testo di
Martedì 8 marzo 2022, seduta n. 652

   La Camera,

   premesso che:

    i dati di Confindustria moda, presentati nell'agosto 2021, evidenziano che le imprese del sistema moda Italia, del quale fanno parte calzature, concia, occhialeria, oreficeria, argenteria e gioielleria, pelletteria, pellicceria, tessile abbigliamento e accessori, nel 2019 hanno fatturato 98 miliardi di euro, hanno esportato per 68 miliardi e hanno positivamente contribuito al saldo della nostra bilancia commerciale per 32 miliardi. Il solo settore tessile moda abbigliamento (Tma) ha realizzato un valore aggiunto superiore ai 26 miliardi di euro, che rappresenta un decimo del valore aggiunto del settore manifatturiero e lo colloca come quarto settore industriale nazionale. A livello di occupazione il solo Tma disponeva di 575.000 occupati, di oltre 64.000 aziende e valeva oltre il 13 per cento dell'occupazione manifatturiera;

    fino al 2019, le esportazioni di questo settore sono cresciute notevolmente rispetto 20 miliardi di euro degli anni Novanta e nell'arco degli anni 2012-2019 l'industria della moda italiana nel suo complesso è cresciuta più del prodotto interno lordo, raggiungendo circa il 2 per cento dello stesso prodotto interno lordo;

    con la crisi pandemica del 2020 il fatturato è sceso a 75 miliardi di euro (-23,5 per cento) l'export a 54,6 miliardi (-19,8 per cento), il saldo della nostra bilancia commerciale a 22,5 miliardi (-29,6 per cento). Più contenuta è stata la perdita delle imprese (circa 1.500 in meno -2,4 per cento) e degli addetti (circa 21 mila in meno, -3,5 per cento). Unico dato positivo per l'anno 2021 è costituito dall'aumento della propensione all'export, salito al 72,8 per cento, ma a fronte della grave caduta dei consumi interni. Il 2021 ha registrato un importante recupero (circa il 20 per cento) attestandosi però su risultati di alcuni punti inferiori al 2019. In questo quadro si registra il vivace incremento dell'export verso la Cina e la Corea del Sud (oltre il 50 per cento), nonché verso la Francia, gli Stati Uniti e la Germania. La Brexit ha inciso fortemente sull'export verso la Gran Bretagna e questo dà il senso di quanto la globalizzazione sia importate per il comparto;

    da anni, tuttavia, il sistema moda nazionale registra rallentamenti nella crescita sia dei ricavi che dei profitti. Dal 2008 al 2016 il numero delle imprese artigiane che si occupavano di abbigliamento si è ridotto da 37.449 a 28.317 con un calo del 24,4 per cento. Tuttavia, il sistema di subfornitura italiano rifornisce ancora il 60 per cento della moda di qualità del mondo e il tessile lavorato in Italia costituisce quasi il 78 per cento delle esportazioni europee;

    nel febbraio 2019 Mediobanca ha diffuso una analisi delle 163 aziende del settore moda che nel 2017 hanno maturato un fatturato almeno di 100 milioni di euro. Dell'intero campione, 66 (erano 58 nel 2016) sono di proprietà straniera e, in particolare, oltre il 12,4 per cento sono controllate da gruppi francesi (per l'esattezza 26). Con riferimento al fatturato, dall'assieme analizzato da Mediobanca, il 34 per cento è stato generato da imprese a controllo estero;

    inoltre, il citato rapporto fa il confronto tra le 15 imprese più rilevanti del settore, sia per l'Italia, che per la Francia. Per l'Italia si tratta di 15 imprese con un volume di affari superiore al miliardo di euro. Il giro d'affari del Top15 moda Italia si è attestato nel 2016 a 30,3 miliardi di euro (+18,6 per cento sul 2012). Ma il giro d'affari delle Top15 moda Francia nel 2016 è stato pari a 76,9 miliardi di euro, oltre il doppio di quello delle Top15 moda Italia. Inoltre, il Top15 moda Francia è cresciuto di più del Top15 moda Italia: nel 2012-2016 i ricavi francesi sono aumentati del 24,4 per cento contro il 186 per cento di quelli italiani. In un quadro comune di margini calanti, la moda italiana è meno redditizia di quella francese: nel 2016 il risultato aziendale prima delle imposte e degli oneri finanziari (EBIT margin) per i Top15 Francia era del 17,2 per cento, mentre per i Top15 Italia si è fermato all'11,65;

    tuttavia, mentre in Italia le imprese di settore oltre il miliardo sono 15, in Francia sono solo 8. Il gruppo Gruppo LVMH (proprietario di oltre settanta marchi divisi in aziende di alta moda come Christian Dior, Bulgari, DKNY, Fendi, Céline, Guerlain, Givenchy, Kenzo, Loro Piana e Louis Vuitton), da solo, fattura circa la metà del Top15 francese (38 miliardi) e più di tutto il Top15 italiano. Segue Kering (proprietario di marchi di lusso, tra i quali Gucci, Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron, Brioni, Pomellato) con 12,39 miliardi;

    per fronteggiare la crisi pandemica del 2020 sono state adottate diverse misure a sostegno del settore della moda. Oltre alle norme di valenza generale (cassa integrazione COVID-19, credito di imposta per i fitti commerciali, finanziamenti coperti dal Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese e dalla Sace), sono stati previsti crediti d'imposta per contenere gli effetti negativi sulle rimanenze finali di magazzino nel settore tessile, della moda e degli accessori, nonché per la mancata partecipazione a fiere e manifestazioni commerciali, oltre a misure per il sostegno ai dei giovani talenti operanti nell'industria del tessile, della moda e degli accessori. Inoltre, è stato previsto l'inserimento del settore Tma nell'ambito dei settori strategici per i quali Sace Spa deve promuovere all'estero l'internazionalizzazione del made in Italy;

    sono stati inoltre fortemente aumentati i finanziamenti del Piano straordinario per il made in Italy, originariamente previsto dall'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto «Sblocca Italia»). Ai 605 milioni di euro previsti nel maggio 2021 per il quadriennio 2021-2024 (di cui 30 milioni l'anno manifestazioni fieristiche italiane di livello internazionale e 80 milioni complessivi per l'e-commerce), si sono aggiunte le risorse del Patto per l'export, dotato, dal 2022 al 2026, di uno stanziamento di 1,5 miliardi l'anno a titolo rotativo. Le iniziative che l'Ice-Agenzia realizza a favore dell'export e dell'internazionalizzazione delle aziende italiane del Sistema moda, sono rivolte non solo alla partecipazione collettiva presso le più importanti fiere a livello globale e alle operazioni di incoming di operatori esteri in Italia, ma sono sempre più orientate a progetti attinenti alla grande distribuzione organizzata (Gdo) e all'e-commerce;

    gli operatori del Sistema moda nazionale segnalano, peraltro, che, se le aziende italiane di settore negli ultimi anni hanno aumentato l'export (salito al 65,5 per cento) e costruito reti distributive internazionali, è stato anche grazie alla spinta arrivata dalle fiere nostrane e ai finanziamenti erogati dallo Stato ai 50 saloni-top del made in Italy. Circa il 50 per cento delle nuove esportazioni italiane nascono da contatti avuti durante le sfilate, i saloni, le manifestazioni e gli incontri di affari ad esse connessi;

    tra le sei filiere strategiche individuate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza c'è anche la moda. Gli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per sostenere i settori industriali del Paese, tra crediti di imposta e contratti di sviluppo, cubano un totale di 2,2 miliardi di euro complessivi. Una dote da 750 milioni di euro è destinata a progetti di investimento legati alla digitalizzazione, innovazione e competitività delle filiere del made in Italy e un'altra da 1 miliardo di euro per rafforzare gli investimenti, anche in ricerca e innovazione;

    nel corso della pandemia una parte crescente del mercato delle griffe si è trasferito on line: un'indagine McKinsey per Camera della moda e Pitti Immagine ha mostrato che nel periodo di chiusura gli acquirenti on line di prodotti fashion e luxury sono aumentati del 24 per cento e che in Italia l'82 per cento dei clienti ha trovato questa esperienza soddisfacente. Il digitale ha contribuito a mantenere vivo l'interesse per questi settori, ma i brand dovranno ripensare la propria presenza e l'esperienza di acquisto che offrono ai consumatori;

    tuttavia, la riforma del patent box, prevista dalla legge di bilancio per il 2022, che prevede una super deduzione dei costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo, diversamente da quanto originariamente previsto, esclude dal beneficio i marchi della moda e le aziende della filiera non risultano più tra i beneficiari. L'agevolazione per i costi di sviluppo del marchio decade, disincentivando la stessa ricerca dei brand. Altagamma, associazione che riunisce oltre 100 marchi del lusso, ha chiesto un confronto al Ministero dello sviluppo economico. Resta invece applicabile al settore moda il credito d'imposta «Ricerca, sviluppo, innovazione e design» introdotto dalla legge di bilancio per il 2020, nonostante l'ultima legge di bilancio per il 2022 abbia esteso l'ambito temporale del credito di imposta «design» sino al 2025 a fronte dell'estensione del credito «ricerca e sviluppo» sino al 2031, a discapito peraltro dell'agevolazione ridotta dal 10 per cento (prevista fino al 2023) al 5 per cento prevista nel biennio 2024, 2025;

    secondo un report del 2019 della Banca mondiale, con 2,4 miliardi di dollari di fatturato globale e 75 milioni di persone coinvolte, l'industria della moda è la terza più inquinante dopo quella dell'automotive e il tech. Essa produce il 10 per cento delle emissioni globali di CO2, più del sistema di trasporti aerei e marittimi messi insieme. Emissioni che saranno incrementate dalla domanda globale di abbigliamento e calzature, prevista in aumento del 63 per cento entro i prossimi 10 anni. Dal forum di Ginevra del 2018, l'Onu ha messo sotto accusa il fast fashion, l'industria della moda basata sul consumo continuo, responsabile del 20 per cento delle acque di scarico e della diffusione di microplastiche negli oceani. Tuttavia, si tratta di un'accusa che non riguarda, se non marginalmente la filiera del tessile-moda-abbigliamento italiana, che lavora sulla sostenibilità ambientale da almeno dieci anni;

    la sostenibilità è richiesta dai consumatori, in particolari dai più giovani, che ormai la danno per scontata. Le aziende e i marchi ne chiedono certificazione, tramite etichette intelligenti o tramite l'utilizzo di blockchain. Poiché la moda vive di immagine, oltre che di marketing, un ruolo importante nella comunicazione della sostenibilità lo hanno sfilate e presentazioni: in questo la moda italiana è un passo avanti rispetto alle associazioni di Francia, Londra e New York, grazie ai Green Carpet Fashion Awards, che si sono tenuti anche nell'anno della pandemia, con una formula digitale. Una delle iniziative più innovative, è il Green Retail Park (Green Pea), un luogo per dare vita a un nuovo modo di consumare: prodotti belli a basso impatto sull'ambiente, di alta qualità, made in Italy e dal mondo;

    analisti e consulenti certificano da tempo l'importanza di investimenti in questo nuovo tipo di Corporate social responsibility (Csr) 4.0, e il settore dell'alta gamma si è già mosso con dichiarazioni d'intenti e iniziative, l'ultimo report di GlobalData: «Zero waste top of mind for fashion industry», segnala l'importanza dell'attenzione alle persone e all'ambiente per tutti, dal pret-à-porter al lusso, dall'abbigliamento agli accessori, passando per il fast fashion. La formula scelta da Lvmh per battezzare il nuovo progetto con la scuola Central Saint Martins, regenerative luxury, interpreta perfettamente la nuova prospettiva che l'industria della moda e del lusso devono assumere per essere sostenibili;

    dal 1° gennaio 2022 è entrato in vigore l'obbligo di recuperare e riciclare la frazione tessile dei rifiuti urbani e commerciali, ossia l'obbligo di riciclo. Una opportunità per ripensare il business e tracciare un percorso per altri settori. Secondo la Commissione europea solo l'1 per cento dei rifiuti tessili globali è riciclato e riutilizzato. Secondo la Ong Ecos, l'80 per cento dell'impatto ambientale di un capo di abbigliamento è determinato in fase di design. Lo stesso studio precisa che un capo indossato il doppio delle volte rispetto alla media genera il 44 per cento in meno di gas serra rispetto alla produzione di un capo nuovo. La nuova frontiera dell'impegno passa dalla durabilità, dalla possibilità di riutilizzare, ma anche di riparare un prodotto. Nuove abitudini che possono generare nuovi tipi di business, come quello del «seconda mano», e che presto potrebbe svilupparsi anche nelle boutique o nei negozi virtuali dei singoli marchi;

    in questo ambito, il rapporto Unicircular sui rifiuti tessili urbani in Italia, mostra come il nostro Paese sia sensibilmente più virtuoso in tema di riutilizzo dei rifiuti tessili: il 68 per cento degli abiti viene recuperato e riutilizzato, il 29 viene riciclato e solo il 3 per cento smaltito nella raccolta indifferenziata. Tuttavia, la crescente quantità di abbigliamento realizzato con materie sintetiche comporta un ostacolo per il riciclo e favorisce la diffusione nell'ambiente di microfibre e microplastiche. Un abito realizzato con tessuti sintetici (derivati generalmente da idrocarburi), come il poliestere e l'acrilico, può rilasciare fino a 1.900 microplastiche quando viene lavato in lavatrice;

    anche le fibre artificiali cellulosiche derivate dalla polpa di legno, da vegetali come il bamboo e dal cotone sembrano creare problemi. La ricerca scientifica sull'inquinamento da microfibre (diverso da quello delle microplastiche) è appena iniziata, quindi l'impatto ambientale reale deve essere ancora pienamente compreso. Infine, occorre ricordare che tessuti senza certificazioni tessili che garantiscano l'assenza, o quantomeno la scarsa presenza di sostanze tossiche, potrebbero invece contenere metalli pesanti, formaldeide, conservanti, triclosan, anti-batterici e funghicidi;

    nel nuovo Piano d'azione promosso dall'Unione europea per l'economia circolare vi è un capitolo riguardante la «strategia dell'Unione europea per il tessile sostenibile» che si basa sulla produzione di capi di abbigliamento progettati per durare, essere riparati, riutilizzati in maniera efficiente ricorrendo alla rigenerazione dei capi dismessi. Inoltre, in base alla stessa strategia, tutti gli Stati membri dell'Unione europea entro il 2025, nel rendere obbligatoria la raccolta differenziata del tessile, dovranno riorganizzare la filiera secondo il criterio della responsabilità estesa del produttore;

    anche il settore conciario, che raccoglie 1.175 aziende con 18.000 addetti per 4 miliardi di fatturato l'anno e rappresenta una delle eccellenze nazionali, è impegnato nella transizione ecologica. Finché ci sarà l'industria della carne, si dovranno recuperare le pelli. Anche questa è economia circolare. L'Unione nazionale concerie italiane (Unic) sta sviluppando progetti di riconversione industriale per arrivare a una concia a impatto zero. Questo significa depurazione delle acque, riduzione dell'energia e dei prodotti chimici, oltre al recupero del 75 per cento degli scarti di questo processo produttivo che vengono utilizzati per altri settori, come la cosmetica e l'agricoltura. Nel settembre 2021 l'Unic e l'Istituto di certificazione della qualità per l'industria conciaria (Icec) hanno avviato una partnership strategica con Wwf, con l'obiettivo di promuovere il miglioramento delle pratiche di sostenibilità e la tracciabilità delle materie prime;

    da ultimo, è opportuno affrontare le tematiche relative alla creazione di un sistema di istruzione nel campo della moda, sul modello di quello francese, che gode di un maggior successo di quello italiano, appunto perché organizzato in sistema. Nei prossimi anni andranno in pensione 45-50 mila addetti di alta specializzazione che, ad oggi, si è in grado di sostituire solo con 7-8 mila persone. C'è un problema di formazione di un artigianato di grande qualità, cioè delle professionalità che fanno della moda italiana il prodotto ricercato in tutto il mondo. È opportuno sostenere con la mediazione pubblica gli sforzi dei soggetti privati che operano in accordo cogli operatori del settore,

impegna il Governo:

1) a rafforzare le misure del Piano di promozione straordinaria del made in Italy, in favore della partecipazione delle imprese del sistema moda Italia alle manifestazioni nazionali e internazionali di settore;

2) a monitorare gli effetti del conflitto in Ucraina sul settore Tessile, moda e abbigliamento (Tma) soprattutto per i soggetti più deboli della filiera e in relazione ai problemi creati dal blocco dei pagamenti, anche adottando iniziative per prevedere opportune forme di sostegno e ristoro;

3) ad adottare iniziative per prevedere l'estensione del regime del Patent box, come modificato dalla legge di bilancio per il 2022, anche ai marchi d'impresa che si configurano come brand e come tale sviluppabili;

4) nell'ambito delle misure destinate a rafforzare le filiere produttive, ad adottare iniziative che favoriscano la creazione di scuole di moda o creazione di corsi di apprendistato delle competenze artigianali del settore della moda, favorendo, mediante il sostegno pubblico, l'accesso gratuito ai giovani talenti e prevedendo forme di incentivazione fiscali e sul lato previdenziale;

5) ad adottare iniziative per implementare le risorse per le misure individuate in premessa, con riferimento alla digitalizzazione del settore, all'adozione di modelli innovativi di presentazione e vendita, allo sviluppo e ottimizzazione digitale della relazione con i clienti finali («Customer Relationship Management» o Crm), al sostegno delle imprese verso modelli produttivi sostenibili e alla penetrazione commerciale dei mercati esteri, anche attraverso lo sviluppo della rete distributiva diretta ed il canale e-commerce, integrati tra loro con un approccio omnichannel;

6) ad adottare iniziative per sviluppare, mediante le tecnologie digitali, la tracciabilità e la trasparenza dell'intero ciclo di vita dei prodotti tessili, agevolando il processo di transizione verso modelli di sviluppo improntati ad un miglior uso delle risorse, al riciclo e al riuso di materiali tessili in un'ottica di circolarità;

7) a sostenere, tramite adeguate finalizzazioni delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza allo scopo dedicate, gli sforzi del settore conciario verso la sostenibilità del ciclo produttivo, l'economia circolare e la tracciabilità del prodotto;

8) ad adottare iniziative per introdurre agevolazioni per le aziende che investono in nuove tecnologie per riutilizzare le fibre naturali o che sostituiscano le fibre sintetiche con altre sostenibili o adottino procedimenti produttivi a basso impatto energetico e ambientale, rafforzando il sistema dei controlli e delle certificazioni;

9) ad adottare iniziative per sviluppare ulteriormente le misure agevolative dei crediti per ricerca, sviluppo, innovazione e design, efficaci in termini di ricadute effettive su tutta la filiera produttiva, incentivando l'attività di ricerca e sviluppo e di ideazione estetica e design alla base della competitività del sistema produttivo nazionale e prevedendo un orizzonte temporale a medio-lungo termine e aliquote di agevolazione adeguate agli investimenti del settore;

10) ad adottare iniziative per inasprire le pene previste in materia di prodotti contraffatti e ad avanzare proposte, nelle sedi europee e internazionali, per una regolamentazione più stringente in materia di traffico di rifiuti tessili, in particolare da e verso i Paesi che hanno normative meno severe in materia di riciclo e smaltimento dei rifiuti tessili.
(1-00603) «Perego Di Cremnago, Marrocco, Porchietto, D'Attis».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

industria dell'abbigliamento

denominazione di origine

rifiuti