ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00600

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 652 del 08/03/2022
Abbinamenti
Atto 1/00485 abbinato in data 08/03/2022
Atto 1/00598 abbinato in data 08/03/2022
Atto 1/00599 abbinato in data 08/03/2022
Firmatari
Primo firmatario: ORRICO ANNA LAURA
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 08/03/2022
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
FEDERICO ANTONIO MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
SUT LUCA MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
CARBONARO ALESSANDRA MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
ALEMANNO MARIA SOAVE MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
CARABETTA LUCA MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
CHIAZZESE GIUSEPPE MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
FRACCARO RICCARDO MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
GIARRIZZO ANDREA MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
MASI ANGELA MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
PALMISANO VALENTINA MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
PERCONTI FILIPPO GIUSEPPE MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
DAGA FEDERICA MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
DEIANA PAOLA MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
D'IPPOLITO GIUSEPPE MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
DI LAURO CARMEN MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
MARAIA GENEROSO MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
MICILLO SALVATORE MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
TERZONI PATRIZIA MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
TRAVERSI ROBERTO MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
VARRICA ADRIANO MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
ZOLEZZI ALBERTO MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022
PAPIRO ANTONELLA MOVIMENTO 5 STELLE 08/03/2022


Stato iter:
22/03/2022
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 08/03/2022
Resoconto MASI ANGELA MOVIMENTO 5 STELLE
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 08/03/2022
Resoconto SOVERINI SERSE PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto MARROCCO PATRIZIA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 08/03/2022

DISCUSSIONE IL 08/03/2022

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 08/03/2022

RITIRATO IL 22/03/2022

CONCLUSO IL 22/03/2022

Atto Camera

Mozione 1-00600
presentato da
ORRICO Anna Laura
testo di
Martedì 8 marzo 2022, seduta n. 652

   La Camera,

   premesso che:

    con un fatturato che supera gli 80 miliardi di euro la filiera della moda rappresenta l'8,2 per cento dell'industria manifatturiera in Italia;

    il sistema moda occupa quasi 500 mila addetti (12,5 per cento dell'occupazione del comparto) di cui circa 312 mila (66,6 per cento impiegati in circa 55 mila micro-piccole imprese del tessile, abbigliamento e pelle (MPI): il nostro, infatti, è il primo Paese europeo per numero di occupati nelle MPI del settore. Nel sistema moda operano, altresì, 36 mila imprese artigiane che danno lavoro a 158 mila addetti, un terzo (34,8 per cento) dell'occupazione del settore;

    nelle sole cinque regioni che trainano il settore (Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia) sono occupate 227 mila persone nelle micro e piccole imprese, valore che supera del 25,6 per cento l'occupazione delle omologhe imprese di Spagna, Germania e Francia messe insieme; come emerge dai dati sopracitati il settore moda si caratterizza nel nostro Paese per essere ad elevata vocazione artigiana;

    la ridotta dimensione media delle aziende rispetto a quella degli altri Paesi dell'Unione europea è bilanciata da una forte interrelazione tra le imprese che comporta una elevata capacità di innovazione e consente una maggiore flessibilità e un elevato grado di specializzazione, garantendo una forte competitività della filiera. Questa caratteristica è confermata dalle performance dell'export del settore e dal ruolo di grande rilievo della filiera nazionale nel mercato europeo della moda di qualità. Si stima, infatti, che il sistema di subfornitura italiano rifornisca il 60 per cento della moda di qualità del mondo e che l'industria tessile italiana raggiunga il 77,8 per cento del totale delle esportazioni europee;

    la filiera della moda nazionale è estesa e articolata, caratterizzata da una fase produttiva in cui prevalgono le piccole e medie imprese e una fase finale post-produzione operata in prevalenza da grandi marchi;

    a partire dall'inizio degli anni '90 alcune parti della filiera, quelle a più basso valore aggiunto e ad alta intensità di lavoro, sono passate nelle mani di imprenditori stranieri o sono state delocalizzate in paesi con un minor costo del lavoro. L'industria nazionale della moda ha però mantenuto in Italia le produzioni relative alle prime linee, ossia quelle che riguardano i prototipi e i campioni, le produzioni di nicchia e quelle posizionate sulla fascia alta del mercato, per le quali il made in Italy rappresenta un valore apprezzato dal consumatore, soprattutto straniero. Ed è proprio alle produzioni relative alle prime linee che le imprese finali medio-grandi con marchi a elevata visibilità e riconoscibilità si affidano per le loro forniture;

    aver mantenuto all'interno dei confini gran parte del processo produttivo e delle competenze di qualità ha garantito al sistema moda italiano un vantaggio competitivo indiscutibile che si registra anche in termini di capacità innovativa: l'innovazione caratterizza da sempre il sistema e contribuisce a renderlo particolarmente resiliente di fronte alle crisi;

    l'industria della moda è stata una delle prime a convertirsi alla tecnologia: il 7 per cento della spesa per ricerca e sviluppo manifatturiera italiana viene realizzato dal comparto moda. Un ambito rispetto al quale l'innovazione della moda italiana sta facendo grandi passi in avanti è quello legato al riciclo dei prodotti;

    dopo anni di andamenti positivi, nel 2020 il settore dell'abbigliamento ed accessori è stato tra i più esposti agli effetti della crisi – secondo solo al settore ricettivo e del turismo – e ha subìto un duro contraccolpo a causa della pandemia, legato al mutamento di esigenze dei consumatori e alle criticità riscontrate nell'approvvigionamento, nella distribuzione e nelle vendite di articoli;

    la caduta dei ricavi nella moda registrati nel 2020 è stata del 21,2 per cento di intensità doppia della media delle imprese, con minori vendite per 17,9 miliardi di euro. Nei tredici mesi della pandemia, da marzo 2020 a marzo 2021, la perdita di fatturato rispetto ai 13 mesi precedenti è salita a 20,6 miliardi di euro;

    sul fronte della domanda interna, nel 2020 i consumi delle famiglie per vestiario e calzature si è ridotto di 12,6 miliardi di euro, con un calo del 19,7 per cento;

    sui mercati esteri, le esportazioni della moda nei 2020 sono diminuite di 11,2 miliardi di euro, pari ad una caduta del 19,5 per cento, intensità quasi doppia rispetto alla media della manifattura (-10 per cento);

    nei primi quattro mesi del 2021 nella moda si registrava un livello della produzione inferiore del 25,6 per cento rispetto al primo quadrimestre del 2019, anno pre-Covid, a fronte di un divario negativo dell'1,3 per cento per il totale della manifattura, con 13 comparti su 24 comparti che registrano un livello della produzione nei primi quattro mesi del 2021 superiore a quello del primo quadrimestre del 2019;

    già nel primo semestre dello scorso anno sul comparto moda si è inevitabilmente riversato l'impatto negativo delle tensioni sui prezzi delle materie prime e sul prezzo dell'energia;

    secondo i dati più recenti diffusi da Confartigianato a fronte di una produzione manifatturiera nazionale che grazie al rimbalzo del +13 per cento nel 2021, ha quasi completamente recuperato i livelli di attività pre-pandemia, (-0,4 per cento rispetto al 2019), il settore della moda appare in pesante ritardo: in particolare, la produzione dell'abbigliamento registra una riduzione del 35,4 per cento del volume di produzione rispetto a quello di due anni prima;

    il periodo di lockdown ha determinato il blocco di tutte le attività commerciali dei negozi di abbigliamento e accessori attivi in Italia (circa 130 mila con 300 mila addetti), dei quali circa 85 mila relativi al settore abbigliamento e circa 45 mila agli accessori. Solo una piccola parte del comparto, grazie allo smart working e all'intensificazione della vendita tramite piattaforme digitali, e-commerce o soluzioni, quali il Click&Collect e ship-from-store, ha potuto dare continuità al business. Proprio l'e-commerce, infatti, è stato uno dei principali fattori di resilienza del settore durante il lockdown, garantendo la sussistenza di un giro d'affari minimo per le imprese attive nelle vendite online (l'11,6 per cento del totale). Allo stesso tempo, la migrazione verso soluzioni full digital è uno dei fattori che potrebbero costituire un rischio per l'occupazione nel settore: l'attuazione diffusa della dematerializzazione dell'attività di vendita infatti comporta un cambiamento dell'assetto organizzativo delle imprese, nelle competenze future-proof del settore e, di conseguenza, nei profili professionali, rendendo più deboli alcune tipologie di lavoratori, soprattutto quelli a più bassa qualifica come gli addetti alle vendite al dettaglio;

    la ripresa delle attività produttive non si è ancora riflessa pienamente sull'occupazione del settore moda: nei primi tre trimestri del 2021 il numero di ore lavorate è stato maggiore per il 63 per cento delle imprese, ma l'ottimismo legato a questo rialzo non si è tradotto nello scorso anno in un aumento significativo degli addetti;

    segnali di ottimismo arrivano dal Focus On – «Il Fashion tornerà di moda?» – elaborato da Sace, il quale evidenzia come il comparto moda nazionale abbia dimostrato una generale e significativa resilienza nel contesto emergenziale pandemico e questo grazie in gran parte all'organizzazione produttiva (grandi realtà imprenditoriali che convivono con e fioriscono grazie alla presenza di micro e piccole imprese localizzate in distretti o territori altamente specializzati, dove l'artigianalità ha saputo mantenersi e rinnovarsi con l'avanzare del tempo, delle tecnologie e dei gusti e delle scelte dei consumatori) e in parte all'elevata qualità dei prodotti, che genera un alto valore di vendite estere;

    nel contesto post pandemico il settore della moda si trova dunque di fronte a profondi cambiamenti strutturali che rappresentano una sfida e richiedono uno sforzo innovativo alle imprese: per il settore sarà dunque di fondamentale importanza affrontare temi, quali digitalizzazione e sostenibilità; la sostenibilità è diventata parte integrante di varie iniziative di rilancio post-Covid. In questo senso, allo scopo di favorire l'economia circolare all'interno del sistema moda. Anche le imprese stanno agendo sempre più per limitare il proprio impatto ambientale in fase sia di produzione sia di ricerca e sviluppo, ma anche tramite servizi offerti al consumatore (ad esempio, quelli di sartoria per incentivare la riparazione dei prodotti);

    a sua volta, la digitalizzazione porterà ampie innovazioni al sistema moda lungo le diverse fasi della filiera, A valle l'esperienza di shopping diventerà sempre più digitale, grazie alla maggiore diffusione dell'e-commerce su diverse piattaforme e all'utilizzo dell'intelligenza artificiale nei camerini di prova dei negozi fisici. A monte, invece, l'applicazione della realtà aumentata permetterà di ridurre gli sprechi lavorando su modelli 3D e producendo solo le parti necessarie. L'applicazione delle avanzate tecnologie dell'industria 4.0 potrebbe consentire di ridurre i costi di produzione, il time-to-market ovvero il lasso di tempo che intercorre fra l'ideazione e la commercializzazione di un prodotto, e i rifiuti generati: le evoluzioni della blockchain – da un lato – potrebbero essere funzionali nel migliorare la tracciabilità di ogni fase di vita di un capo moda rendendo più trasparente la catena di approvvigionamento e – dall'altro – potrebbero garantire lo scambio di informazioni fra fornitore e venditore tramite una gestione sincronizzata dei dati, migliorando la gestione dei magazzini e delle scorte;

    dopo lo scoppio della pandemia, le imprese hanno dovuto reagire velocemente trovando nuove soluzioni per raggiungere la propria clientela. Tali modalità di comunicazione e di ingaggio online, così come la digitalizzazione delle esperienze di shopping, non solo online ma anche nei negozi fisici, vedranno con ogni probabilità un'ulteriore diffusione nel corso dei prossimi anni. L'e-commerce, come in parte già detto sopra, assumerà un ruolo sempre più rilevante nelle scelte di acquisto dei consumatori e diventerà quindi essenziale predisporre innovative piattaforme di vendita online per intercettare anche le esigenze e i gusti delle nuove generazioni sia sul mercato domestico sia su quello estero;

    i social media e le applicazioni di messaggistica stanno diventando importanti mezzi per influenzare e direzionare le preferenze dei clienti, non solo come strumento pubblicitario ma anche per lo shopping online; si pensi al fenomeno del livestream commerce, che consiste nell'utilizzo di piattaforme per sessioni di shopping online in diretta tramite cui si possono vendere e pubblicizzare i propri prodotti, operazione a un costo minimo per i brand ma con un'elevata e rapida risposta tra gli utenti;

    d'altro canto, i negozi fisici, così come le fiere, continueranno a essere luoghi dove il cliente può sentirsi accolto, seguito e guidato nel percorso di scelta all'acquisto, dimostrandosi sempre un'occasione per enfatizzare e promuovere la qualità e l'artigianato dei prodotti made in Italy;

    sarà cruciale, dunque, un'integrazione dei canali fisici con il digitale: la digitalizzazione, grazie all'uso dell'intelligenza artificiale, permetterà di proporre metodi innovativi per promuovere l'esperienza di shopping nei negozi fisici;

    i vantaggi della digitalizzazione non riguardano solamente la vendita al consumatore finale, bensì anche l'intero ciclo delle catene del valore: grazie alla realtà aumentata e ai modelli 3D si può generare e visualizzare un'immagine come se fosse nel mondo reale senza che sia stata materialmente prodotta. Questo permetterà, non solo, di ridurre gli sprechi di tessuto o altri rifiuti perché sarebbero utilizzate solo le parti necessarie, ma anche al design del prodotto di essere inviato direttamente al sito manifatturiero, essere modificato o personalizzato secondo i gusti del cliente senza lo spreco di risorse fisiche, il cosiddetto virtual sampling;

    anche la filiera della moda, specie nelle fasi di ricerca delle materie prime, fabbricazione e distribuzione, potrebbe essere resa più efficiente e trasparente con l'introduzione di nuovi metodi digitali. Algoritmi statistici e tecniche di machine learning potrebbero aiutare a prevedere trend di domanda e preferenze di consumo futuri;

    la digitalizzazione può essere intesa – altresì – anche come driver della stessa sostenibilità permettendo di costruire una catena di fornitura più veloce e flessibile, in modo da ridurre gli sprechi e rendere l'industria fashion meno inquinante;

    il tema della sostenibilità ha visto una vera e propria spinta a seguito dello scoppio della pandemia diventando parte integrante di varie strategie di rilancio. Tale indirizzo si aggiunge a consumatori sempre più consapevoli e interessati a conoscere le modalità di produzione e lavorazione degli indumenti, con un'attenzione particolare sia all'origine naturale delle fibre tessili sia alle condizioni di lavoro degli addetti nelle filiere, in questo contesto, la filiera del fashion si trova a dover operare alcuni importanti cambiamenti;

    l'industria della moda è infatti inquinante; le diverse stime sulle emissioni globali di gas serra del settore moda variano dal 3 al 10 per cento; considerato l'elevato impiego di energia e l'utilizzo di una vasta quantità di acqua sia per la coltivazione di cotone e altre fibre tessili sia nella fase di produzione;

    l'industria dell'abbigliamento sarebbe responsabile del 6,7 per cento delle emissioni globali, circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2eq, mentre quello dell'industria calzaturiera per l'1,4 per cento, pari a 700 milioni di tonnellate di gas climalteranti. Il 70 per cento delle emissioni proviene da attività di produzione e lavorazione della materia prima (tintura e finissaggio, preparazione del filato e produzione di fibre sono le fasi a più alta intensità di carbonio). Il maggior impatto ambientale è riconducibile al crescente utilizzo di fibre a base di combustibili fossili (il 64 per cento dei tessuti prodotti è realizzato in materiali sintetici, compresi poliestere, nylon, acrilico e poliammide), ma anche alle abitudini di consumo e alla catena di approvvigionamento. Basti pensare che, tra il 2000 e il 2015, il numero dei capi di abbigliamento prodotti ogni anno è più che raddoppiato, arrivando a circa 100 miliardi di unità, mentre è diminuito di quasi il 40 per cento il cosiddetto «tasso di utilizzo»;

    ciò ha determinato un largo aumento della quantità di rifiuti tessili: un cittadino europeo acquista in media 26 kg di prodotti tessili in un anno e ne smaltisce circa 11 kg (l'87 per cento dei quali viene smaltito in discarica o negli inceneritori). A livello globale solo l'1 per cento degli abiti viene riciclato per produrre nuovi vestiti;

    nel nostro Paese il settore tessile ha prodotto in totale nel 2019 circa 480.000 tonnellate di rifiuti; circa la metà proviene dall'industria tessile, seguita dalla raccolta urbana che incide per il 30 per cento. A confronto con il 2010, i rifiuti tessili complessivamente sono in aumento del 39 per cento. I rifiuti smaltiti in discarica o con altre modalità di smaltimento, pur avendo mantenuto una percentuale di circa il 10 per cento sul totale, sono aumentati tra il 2010 e il 2019 di quasi il 50 per cento in quantità (passando da circa 35.000 tonnellate a oltre 50.000 tonnellate). Secondo i dati dell'istituto superiore per la protezione ambientale, pubblicati lo scorso dicembre nell'ultimo «Rapporto sui rifiuti urbani», sono 143,3 mila le tonnellate di rifiuti tessili urbani differenziate nel 2020, in diminuzione rispetto alle 157,7 mila del 2019, e appena l'1 per cento del totale della raccolta differenziata;

    in risposta a tali criticità il nuovo Piano d'azione europeo 2020 sull'economia circolare (COM/2020/98) individua il tessile tra i settori strategici per il raggiungimento degli obiettivi di prevenzione e riduzione della produzione dei rifiuti e l'incremento sostanziale del riciclaggio dei rifiuti urbani e dei rifiuti d'imballaggio. In fase di recepimento delle direttive rientranti nel pacchetto europeo sull'economia circolare, il decreto legislativo n. 116 del 2020 ha previsto l'adozione di un Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, nell'ambito del quale risulta fondamentale la creazione di sistemi che promuovano attività di riparazione e di riutilizzo anche per il settore tessile. L'Italia ha inoltre fissato al 2022 l'avvio della raccolta differenziata per i tessili, anticipando la soglia stabilita a livello comunitario per il 2025;

    nell'ambito del Piano italiano di ripresa e resilienza, una specifica linea di investimento («1.2: Progetti “faro” di economia circolare»), si propone inoltre di potenziare la rete di raccolta differenziata e degli impianti di gestione contribuendo al raggiungimento del 100 per cento di recupero nel settore tessile tramite «Textile Hubs»;

    al fine di agire a monte della filiera e renderla fin dal principio più sostenibile è necessario introdurre anche nel settore tessile il meccanismo della responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsibility, riutilizzo). Al momento, la Francia è l'unico Paese europeo ad aver introdotto, già nel 2007, l'EPR sui rifiuti tessili, biancheria per la casa e calzature, ma la Commissione europea sta lavorando a una sua applicazione a livello di Unione europea;

    in quest'ambito, la distribuzione commerciale potrebbe avere un importante ruolo nel recupero di prodotti usati per favorire il loro riciclo o il riuso, ad esempio, attraverso la donazione dei prodotti in buono stato e/o la donazione delle eccedenze di magazzino ad Onlus/Enti di beneficenza. In questo caso, sarebbero importanti interventi mirati a concedere vantaggi fiscali, ad esempio, attraverso crediti d'imposta alla distribuzione commerciale che si adopera in tal senso. Ciò consentirebbe, snellendo le procedure, di donare i beni assolvendo un ruolo sociale, oltre che ambientale; sotto il profilo della sostenibilità ambientale, l'industria tessile riveste un ruolo cruciale anche nell'inquinamento da microplastiche delle acque. Ogni anno, per effetto del lavaggio dei prodotti tessili e dei capi di abbigliamento, vengono rilasciati nei mari mezzo milione di tonnellate di microfibre di origine sintetica: una quantità pari a 50 miliardi di bottiglie di plastica, con ingenti danni all'ecosistema e alla vita marina. Secondo un recente studio della International Union for Conservation of Nature, le microfibre da tessuti sintetici rappresenterebbero ben il 35 per cento delle microplastiche primarie (quelle cioè che non si formano dalla decomposizione dei rifiuti) che finiscono in mare, la sostenibilità non si misura ovviamente solo in termini ambientali, ma anche a livello sodale. L'industria della moda, in parte per la propria struttura caratterizzata da catene di approvvigionamento lunghe, così come dalla ricerca di fornitori in grado di garantire prezzi sempre inferiori a sfavore, talvolta, della sicurezza, è stata e tutt'ora è particolarmente soggetta a problemi di sostenibilità sociale, quali inadeguati compensi economici per i lavoratori e mancato rispetto dei diritti umani lungo la catena. L'interesse sempre crescente mostrato dai consumatori per questi temi è sicuramente un importante stimolo di miglioramento su questi aspetti per gli attori della filiera;

    l'innovazione tecnologica avanza prepotentemente nel settore moda e da questo discende direttamente la necessità di procedere con tempestività e determinazione verso l'upskilling e reskilling degli occupati: da subito occorre impostare e rendere operative azioni condivise per sostenere processi di innovazione nel campo della formazione e del trasferimento delle competenze, in favore delle lavoratrici, dei lavoratori e delle imprese del settore della moda, volte a migliorare la capacità produttiva delle aziende;

    un'ulteriore preoccupazione per il futuro del settore tessile, abbigliamento e pelli – da tutti riconosciuto come strategico per il made in Italy – discende dall'impatto della mancanza del ricambio generazionale che in questo settore, caratterizzato dal trasferimento delle conoscenze tra il lavoratore più esperto e il giovane neoassunto, può facilitare la dispersione di competenze essenziali lungo tutta la filiera produttiva;

    particolarmente interessata dai processi di modernizzazione e della mancanza del ricambio generazionale è l'attività di sartoria: la creatività sartoriale italiana è ammirata ed elogiata in tutto il mondo, ma la professione del sarto è troppo spesso sottovalutata all'interno della filiera. Purtroppo, tra le nuove generazioni, i ragazzi che scelgono questa professione sono pochi, mentre, per contro, la domanda da parte delle sartorie per assumere giovani qualificati e formati nei processi innovativi di processo e di prodotto è in costante crescita. Pochi anche i giovani che scelgono la strada della professione sartoriale autonoma; l'apertura di una nuova sartoria comporta, infatti, una spesa media che si aggira dai 30 ai 40 mila euro, per un locale di piccole e medie dimensioni (ma tale cifra varia in base ai macchinari utilizzati e alla tipologia di servizi che sono messi a disposizione della clientela) e l'assolvimento di alcuni passaggi amministrativi e burocratici riguardanti sia la ditta che il locale utilizzato;

    una particolare importanza deve essere dedicata al tema dei giovani, a come costruire un percorso che porti al mondo del lavoro attraverso una più stretta correlazione e integrazione tra scuola e lavoro, tra mondo dell'istruzione e formazione e imprese: dobbiamo preparare nuovi tecnici, preparati nell'utilizzo delle nuove tecnologie ma anche pensare alla nostra tradizione artigianale riportando attenzione alla manualità;

    con riguardo alla formazione a livello universitario, questa deve essere portata a sviluppare un maggior confronto con il mondo delle piccole e medie imprese e definire costanti programmi di internship per gli studenti durante tutto il percorso universitario;

    si rende poi necessario supportare le imprese italiane sul fonte dell'internazionalizzazione favorendo l'entrata nelle imprese di nuove, aggiornate e adeguate competenze;

    le aziende titolari dei marchi storici del settore sono il trait de union tra passato e futuro del settore moda: esse incarnano «il bello e ben fatto» che mantiene le caratteristiche di opera artigianale e creativa pur affermandosi come brand innovativo ed internazionale;

    la necessità di incentivare l'innovazione di processo e di prodotto e di arginare il crollo della domanda nel settore moda sono stati oggetto nel contesto dell'emergenza pandemica di due specifiche misure del decreto-legge n. 34 del 2020 (cosiddetto decreto Rilancio): un contributo a fondo perduto per l'acquisto e l'installazione di nuovi macchinari da parte delle piccole imprese di nuova o recente costituzione e per la creazione e l'utilizzo di tessuti innovativi da parte di giovani talenti (articolo 38-bis) e un credito d'imposta riconosciuto al fine di contenere gli effetti negativi delle rimanenze dei prodotti in magazzino (articolo 48-bis): con avviso del 23 settembre 2021, a fronte delle domande presentate e del relativo assorbimento dell'intera dotazione finanziaria, il Ministero dello sviluppo economico ha comunicato la chiusura dello sportello per richiedere il citato contributo a fondo perduto;

    lo scoppio della pandemia ha purtroppo rallentato la definizione di un Piano strategico per le imprese culturali e creative, in particolare quelle del settore moda;

    la realizzazione e la piena operatività di tale Piano risultano imprescindibili per superare la natura frammentata ed emergenziale dell'azione di supporto al settore e definire una strategia a medio e lungo termine di sostegno e di potenziamento del comparto moda,

impegna il Governo:

1) nel quadro di una complessiva strategia di sostegno e di potenziamento dell'operatività del settore della moda, ad intraprendere tempestive iniziative, anche normative, finalizzate:

   a) a prevedere nel più breve tempo possibile, un piano strategico per le imprese culturali e creative con specifico riguardo alla filiera della moda;

   b) a supportare, attraverso un programma mirato di incentivi di carattere finanziario e fiscale, la creazione di ecosistemi produttivi in cui attivare percorsi di formazione e di affiancamento finalizzati a favorire – anche attraverso il potenziamento della collaborazione tra enti locali, camere di commercio ed associazioni di categoria delle micro-piccole e medie imprese della filiera moda – la nascita di nuove imprese nonché il passaggio dalla micro attività artigianale locale a realtà imprenditoriali di maggiori dimensioni nella prospettiva di una evoluzione di tali ecosistemi in veri e propri distretti produttivi della moda;

   c) a definire una misura ad hoc finalizzata a sostenere la rinegoziazione dei debiti nell'ambito delle misure di potenziamento del Fondo di garanzia portando i prestiti «Covid» e «SACE» dai 6 ai 10 anni;

   d) a predisporre una misura che agevoli l'inserimento nel settore di nuova tecnologia e strumenti digitali – anche attraverso il rifinanziamento della misura di cui al citato articolo 38-bis del decreto-legge n. 34 del 2020 (cosiddetto decreto Rilancio) – accompagnando tale inserimento con percorsi formativi ad hoc, sostegno per investimenti nella realizzazione dei campionari e promozione anche tramite strumenti digitali;

   e) a prevedere un contributo a copertura totale per un primo modulo espositivo per la partecipazione a manifestazioni in Italia con qualifica di fiera internazionale a favore delle imprese artigiane e piccole e medie imprese del settore moda (tessile, abbigliamento, pelletteria, pellicceria, calzature, occhialeria e componenti per la realizzazione delle collezioni) per gli anni 2022/2023, iniziando da quelle già in programma nel calendario invernale;

   f) a supportare le imprese italiane del settore della moda, ed in particolare le micro, piccole e medie imprese, sul fronte dell'internazionalizzazione favorendo l'entrata nelle imprese di nuove, aggiornate e adeguate competenze e prevedendo, in questo contesto, oltre alle misure già previste dal Patto per l'export e dal piano straordinario per il made in Italy con particolare riferimento su questo fronte ai progetti per la formazione dei cosiddetti D-TEM Giovani, anche misure integrative che possano finanziare il soggiorno all'estero di giovani laureati per realizzare progetti di penetrazione commerciale sul mercati a favore di imprese artigiane e piccole e medie imprese;

   g) a sostenere la collaborazione tra università e la filiera dell'artigianato moda, favorendo una distribuzione equilibrata delle innovazioni sviluppate dalla ricerca anche tra le micro, piccole e medie imprese;

   h) a incentivare l'adozione di modelli di sostenibilità che rivalorizzino il punto vendita come luogo di interazione ed esperienziale in grado di reggere la concorrenza dell'e-commerce;

   i) a incentivare gli investimenti in nuovi concept store sostenibili e in nuovi servizi coerenti con la circular economy (come la creazione di corner o punti vendita di prodotti di seconda mano e/o per il noleggio di accessori, allestimento di aree per la riparazione di capi sartoriali o calzature e accessori), anche attraverso la diffusione di best practice e reti di impresa;

   l) a qualificare le imprese del settore in questione ambientalmente virtuose attraverso la previsione di un marchio di sostenibilità sulla base di un sistema di valutazione delle attività e dei target energetici e ambientali conseguiti;

   m) a definire in tale contesto una strategia nazionale volta a prevenire la produzione di rifiuti tessili e a incrementare la raccolta differenziata, in modo strutturale e uniforme sull'intero territorio nazionale;

   n) a incentivare investimenti in tecnologie e impianti in grado di recuperare materia dagli scarti di lavorazione della frazione tessile e ridurre le emissioni di CO2 e NOx con riguardo all'intera filiera;

   o) a introdurre sistemi di tracciabilità della filiera e un regime di etichettatura obbligatoria degli abiti che indichi la composizione del tessuto e i metodi di lavaggio più sostenibili e a promuovere un sistema di responsabilità estesa del produttore (cosiddetto EPR) per i rifiuti tessili;

   p) a promuovere campagne di sensibilizzazione rivolte alle aziende dell'intera filiera, compresi i creatori di moda, sulla necessità di investire nella ricerca e nell'innovazione in tessuti e prodotti più sostenibili in tutte le fasi del ciclo di vita e con un rilascio minimo di microfibre nell'ambiente;

   q) a prevedere misure agevolative, con particolare riferimento all'abbattimento degli oneri contributivi e alla formazione nelle tecnologie innovative, in favore dei giovani tra i 18 e i 35 anni che vogliano avviare in forma autonoma l'attività di sartoria;

   r) a potenziare le misure di tutela della competitività delle aziende titolari dei marchi storici attraverso strumenti di rafforzamento patrimoniale e di sostegno all'internazionalizzazione nonché a definire agevolazioni di natura fiscale e finanziaria per l'acquisizione da parte di imprese nazionali di aziende titolari di marchi storici in crisi, al fine di tutelarne la proprietà industriale.
(1-00600) «Orrico, Federico, Sut, Carbonaro, Alemanno, Carabetta, Chiazzese, Fraccaro, Giarrizzo, Masi, Palmisano, Perconti, Daga, Deiana, D'Ippolito, Di Lauro, Maraia, Micillo, Terzoni, Traversi, Varrica, Zolezzi, Papiro».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

industria dell'abbigliamento

industria tessile

piccole e medie imprese