ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00556

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 603 del 25/11/2021
Firmatari
Primo firmatario: GIANNONE VERONICA
Gruppo: FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 25/11/2021
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
D'ATTIS MAURO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE 25/11/2021


Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Mozione 1-00556
presentato da
GIANNONE Veronica
testo di
Giovedì 25 novembre 2021, seduta n. 603

   La Camera,

   premesso che:

    la Dichiarazione del 1924 sui Diritti del Fanciullo, che è stata riconosciuta nella Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, come anche negli statuti degli istituti specializzati e delle organizzazioni internazionali che si dedicano al benessere dell'infanzia, definisce il fanciullo come destinatario di una particolare protezione e di cure speciali, compresa un'adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita;

    l'Assemblea generale proclamò la Dichiarazione dei diritti del fanciullo affinché il fanciullo stesso avesse un'infanzia felice e potesse godere, nell'interesse suo e di tutta la società, dei diritti e delle libertà che vi sono enunciati, invitando i genitori, gli uomini e le donne in quanto singoli, come anche le organizzazioni non governative, le autorità locali e i governi nazionali, a riconoscere questi diritti e a fare in modo di assicurare il rispetto degli stessi per mezzo di provvedimenti legislativi e di altre misure; tra i diritti riconosciuti a tutti i fanciulli senza eccezione alcuna, e senza distinzione e discriminazione fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione o opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, le condizioni economiche, la nascita, o ogni altra condizione – sia che si riferisca al fanciullo stesso o alla sua famiglia – vi sono il diritto di crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale in condizioni di libertà e di dignità;

    il punto quarto della Dichiarazione dei diritti del Fanciullo prevede, infatti, che: «Il fanciullo deve beneficiare della sicurezza sociale. Deve poter crescere e svilupparsi in modo sano. A tal fine devono essere assicurate, a lui e alla madre, le cure mediche e le protezioni sociali adeguate, specialmente nel periodo precedente e seguente alla nascita. Il fanciullo ha diritto ad una alimentazione, ad un alloggio, a svaghi e a cure mediche adeguate; il punto sesto della Dichiarazione stabilisce inoltre che “il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità ha bisogno di amore e di comprensione. Egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d'affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre”»;

    nonostante le predette premesse, varie sono le vicende giudiziarie e le inchieste nazionali sul funzionamento dei servizi sociali, soprattutto in ambito socio-familiare, legate agli affidi in strutture dei minori e al loro allontanamento dalla famiglia d'origine. In base alle notizie riportate negli ultimi anni dalla stampa e dalla tv, si è venuti a conoscenza di quali siano le modalità concrete di allontanamento del minore a seguito di decisioni sia del tribunale ordinario sia del tribunale dei minori;

    la situazione attuale in Italia, relativamente alle modalità di collocazione dei minori in strutture protette, denota una grave mancanza di regolamentazione, nonostante esistano delle linee guida, e dei principi cardine stabiliti dalle convenzioni internazionali, non obbligatorie, previste per le forze di polizia e per gli assistenti sociali che devono eseguire materialmente i provvedimenti di allontanamento;

    sia che si tratti di decreti di affido del minore al servizio sociale emessi dal tribunale per i minorenni in situazioni di pregiudizio per il minore stesso, sia che si tratti di decreti emessi nei casi di separazione/divorzio dei coniugi con prole dal tribunale ordinario o per i minorenni, ai sensi della legge n. 54 del 2006 recante «Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento Condiviso dei figli», in entrambi i casi, quando viene deciso il collocamento in struttura, le modalità mediante le quali sono eseguite tali disposizioni non tengono comunque conto del «supremo interesse del minore», principio cardine di tutta la materia relativa all'affido;

    alla base di tale grave mancanza vi è un'applicazione distorta della legge n. 54 del 2006. Il Tribunale ordinario tende ad applicare, prevalentemente, le disposizioni che prevedono come prassi normale l'affido condiviso del minore ad entrambi i genitori. Ovviamente, l'ambito in cui interviene tale legge è diverso dal contesto in cui si muove il tribunale per i minorenni nei casi di pregiudizio per il minore; la modifica dell'articolo 155 del codice civile, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 54 del 2006, ha introdotto come principio cardine in materia di affidamento dei minori, a seguito di separazione personale dei coniugi, il cosiddetto «affidamento condiviso dei figli»; la norma si riferisce espressamente alla valutazione prioritaria circa la possibilità di un affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, che il giudice deve effettuare al momento dell'emissione dei provvedimenti di cui al secondo comma dell'articolo 155 del codice civile;

    sin dai primi commenta, gli interpreti non hanno mancato di sottolineare come la legge in questione ponga l'affidamento condiviso dei figli come regola generale anche in presenza di elevata conflittualità nell'ambito della crisi familiare considerando, di contro, l'affido esclusivo, o mono genitoriale, come eccezione, allorquando l'affidamento ad entrambi i genitori potrebbe rivelarsi pregiudizievole per il minore;

    in realtà, la regola individuata dal legislatore del 2006 costituisce un precipitato del principio della bi-genitorialità come superiore interesse dei figli minori, e non un diritto dei genitori; tra l'altro, in presenza di episodi di violenza domestica, l'affido condiviso non è mai la soluzione. E, soprattutto per le donne, un supporto durante la separazione dal marito violento può rivelarsi una fonte di aiuto molto preziosa, a volte indispensabile;

    nei casi di separazione consensuale, si applica l'istituto dell'affido condiviso tra entrambi i genitori. L'obiettivo principale è quello di garantire la continuità dei legami affettivi, attribuendo uguale importanza ad entrambi i genitori. Infatti, come previsto nel primo comma dell'articolo 337-ter del codice civile, con l'affido condiviso, il minore avrebbe la possibilità di mantenere «un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori»; l'assunto deve, tuttavia, confrontarsi e conservare la propria funzione tipica di tutela del supremo interesse del minore con i casi di separazioni altamente conflittuali, ovvero con quelli caratterizzati da violenza domestica;

    può accadere che, nelle sentenze dei tribunali, il conflitto venga confuso con la violenza domestica, o addirittura che la violenza domestica non sia nemmeno presa in considerazione e valutata come tale. E questo può portare a decisioni potenzialmente pericolose ai danni delle donne e dei minori coinvolti. Inoltre, il problema può aggravarsi soprattutto nei casi di separazione consensuale. In simili circostanze, il tribunale ratifica l'accordo raggiunto dai coniugi senza alcuna valutazione sull'affidamento del minore. Valutazioni che sono previste, di prassi, dal suddetto articolo 337-ter del codice civile;

    sempre più spesso, nelle sentenze, emerge il costrutto giuridico dell'alienazione parentale, un'evoluzione del concetto della Pas (sindrome da alienazione parentale) sindrome non riconosciuta dalla scienza medica ufficiale. L'alienazione parentale consiste in una strumentalizzazione della relazione con uno o più minori da parte di un genitore a danno dell'altro: sovente, l'alienazione parentale emerge proprio nei casi di abusi o maltrattamenti in famiglia, sull'assunto che i minori – testimoni per eccellenza dei reati endofamiliari – siano manipolati soprattutto dalla madre denunciante; secondo questa prospettiva, le madri sarebbero la causa del cattivo rapporto tra il padre ed il figlio. Viene così strumentalizzato il rifiuto del minore per impedire il diritto di visita del coniuge. In realtà, però, spesso, queste madri hanno vissuto in prima persona o sono a conoscenza di episodi di violenza da parte del padre. Ed è proprio per questo che, nel tentativo di tutelare sé stesse, ma soprattutto i figli, cercano di limitare i contatti con il genitore violento. Dall'altro lato, si sente parlare di «deprivazione materna»: entrambi i fenomeni citati possono, purtroppo, presentarsi in fase di separazione, soprattutto se questa non è consensuale o caratterizzata da episodi violenti;

    il ricorso a tali concetti, e in particolare alla ex Pas, produce una situazione di abuso che perde di vista la necessità di indagini più approfondite su motivi che spingono un bambino a non voler più vedere un genitore. In tal senso, gioverebbe implementare i momenti di ascolto dei minori, così come previsto – a livello internazionale – dall'articolo 12, Convenzione di New York e dall'articolo 6, Convenzione di Strasburgo, evitando, contestualmente, che i figli percepiscano questo fondamentale strumento di loro tutela, quale momento di indebita assunzione di responsabilità circa le sorti della separazione – a discapito dell'uno o dell'altro genitore; riconoscere i casi di violenza domestica non è semplice ed è per questo che bisognerebbe affrontare il problema con la massima cura e attenzione. L'obiettivo del sistema giuridico dovrebbe essere sempre quello di difendere donne, bambini e, più in generale, qualsiasi vittima di violenza;

    tuttavia, il principio della bigenitorialità, che è alla base della legge n. 54 del 2006, non deve essere utilizzato come via di semplificazione e sollevare, perciò, gli operatori dalla responsabilità di entrare nel merito dell'interesse del minore: in conseguenza di un utilizzo miope del principio di bigenitorialità, padri, mariti maltrattanti continuano nel processo di vittimizzazione secondaria, delle donne-madri denuncianti, che sono definite dalle consulenze tecniche d'ufficio come soggetti, alienanti, ostative, simbiotiche, adesive;

    in 15 anni di applicazione – mai monitorata – la legge n. 54 del 2006 – ha trascurato di prendere in considerazione l'asimmetria di potere tra i sessi, e la diseguaglianza delle condizioni socio-economiche delle donne, nonché l'enorme differenza dell'onere della maternità, a dispetto del teorico entusiasmo iniziale di tanti per il principio di bigenitorialità e cioè della teorica collaborazione di entrambi i genitori alla crescita della propria prole nonostante la condizione di genitori separati. Quindi, l'apparato di questa legge sta rivelando la sua fragilità proprio nelle situazioni di conclamata violenza domestica; la Suprema Corte, con la sentenza n. 13274 del 2019, ha puntualizzato e confermato che «qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti 5 comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia» e non può invece solamente limitarsi a recepire le conclusioni dei consulenti tecnici che abbiano accertato tale sindrome; la stessa Corte di Cassazione, con l'ordinanza 17 maggio 2021, n. 13217, si è ulteriormente pronunziata sulla sindrome da alienazione parentale (PAS) o sindrome della madre malevola (Mms), affermando che queste non sono patologie riconosciute scientificamente, pertanto, per giustificare un provvedimento di affido super esclusivo a favore di un coniuge sono necessari ulteriori elementi. Il giudice deve indagare la sussistenza di fatti gravi come «irrecuperabili carenze d'espressione delle capacità genitoriali»;

    inoltre, occorre considerare le conseguenze che il super affido ad un genitore provoca sul minore, stante la rilevante attenuazione dei rapporti con l'altro, anche in ragione dell'età del bambino. Infatti, il giudice deve evitare «di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare»;

    anche i giudici di merito si sono posti sul solco della Suprema Corte: il decreto n. 2 del 3 gennaio 2020 emanato dalla corte d'appello di Roma, relativo ad un caso di allontanamento minorile. In particolare la corte d'appello ha sottolineato che: «Il Decreto del TM Difetta – né se ne trova adeguata traccia nella CTU – una valutazione comparativa degli effetti sul minore del trauma dell'allontanamento dalla casa familiare rispetto al beneficio atteso. Il dolore vivo della forzata separazione, con drastica limitazione anche dei contatti telefonici, rimane sullo sfondo, recessivo rispetto alla ritenuta prevalenza dell'interesse alla attuazione coattiva del sempre richiamato diritto alla bigenitorialità del bambino. Il superiore interesse del minore che ispira il provvedimento impugnato non appare sorretto da un adeguato bilanciamento, in mancanza del quale esso rischia di risolversi in una formula precostituita, che non tiene conto delle situazioni concrete che giungono all'attenzione del giudice nel caso specifico, accogliendo soluzioni apparentemente definitive ma di fatto inapplicabili e fonti di eccessiva sofferenza per il minore. Ciò in quanto la bigenitorialità non è un principio astratto e normativo, ma è un valore posto nell'interesse del minore, che deve essere adeguato ai tempi e al benessere del minore stesse»;

    secondo un'indagine realizzata nel 2020 dall'autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, l'ascolto della persona minore di età è un diritto previsto e riconosciuto da tempo, ma a lungo non rispettato. La Convenzione di New York sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, al secondo comma dell'articolo 12, prevede che «si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale». Il diritto all'ascolto rappresenta un tassello fondamentale del principio del superiore interesse del minore sancito all'articolo 3 della Convenzione, che ne costituisce il perno, finalità e insieme strumento di tutela delle persone di minore età, vale a dire la persona che non ha ancora compiuto 18 anni. Questa nozione di minore età è adottata ormai unitariamente a livello europeo: infatti, minore è una persona di età inferiore agli anni 18 (articolo 2, paragrafo 2, n. 6 del regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio, del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori);

    il diritto a esprimere liberamente la propria opinione si traduce nella possibilità, per il bambino e per l'adolescente, di poter condividere il proprio punto di vista, di essere parte attiva nei processi decisionali che lo riguardano e di poterli influenzare. Aspetto rilevante è la volontarietà di questo intervento. Il minore ha la facoltà di esprimere il proprio punto di vista. Ciò significa che si tratta di una scelta e non di un obbligo; l'ascolto del minorenne è un diritto espressamente disciplinato anche nell'ordinamento italiano e deve essere garantito nei procedimenti di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, in tutti i procedimenti civili finalizzati all'emissione di provvedimenti relativi all'affidamento ai genitori e alla responsabilità genitoriale, e comunque in tutti i procedimenti che incidono sullo status del minore, compresi i procedimenti di tutela. Come rileva la Corte suprema di Cassazione, sezione prima civile, nell'ordinanza n. 1474 del 25 gennaio 2021, «L'audizione dei minori, già prevista nell'articolo 12 della Convenzione di New York, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino e, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003, nonché dell'articolo 315-bis del codice civile (introdotto dalla legge n. 219 del 2012) e degli articoli 336-bis e 337-octies del codice civile (inseriti dal decreto legislativo n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l'articolo 155-sexies del codice civile). Ne consegue che l'ascolto del minore di almeno 12 anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale a essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse»;

    nel nostro Paese l'ascolto del minorenne è di certo necessario, anche se non vincolante per il giudicante – nell'ambito del percorso decisionale che il giudice del merito è tenuto a sviluppare. Per questo la sua omissione non può trovare giustificazione né nel dubbio circa la capacità di discernimento del minorenne, né in ragioni di mera opportunità, in ragione dei rilevanti effetti che possono derivarne non solo sul piano procedimentale, ma anche su quello sostanziale;

    l'ascolto del minorenne che si trovi al centro del conflitto tra i genitori ha caratteristiche del tutto particolari e va disposto e condotto con estrema cautela. Infatti, è importante scongiurare innanzitutto il pericolo che il figlio si senta responsabile della decisione del giudice. Nei procedimenti di separazione dei genitori sono state accolte nel nostro ordinamento le indicazioni delle convenzioni internazionali sulla necessità che si proceda all'ascolto del minorenne di età prima di assumere le decisioni che lo riguardino. Nei procedimenti di separazione e di divorzio, il giudice non è chiamato necessariamente a decidere in merito all'esercizio della funzione genitoriale. L'audizione del figlio è da ritenersi doverosa in caso di una vera e propria controversia genitoriale riguardante, ad esempio, l'affidamento e/o il collocamento dei figli minorenni, oppure il diritto di visita dell'altro genitore rispetto a quello collocatario;

    l'articolo 315-bis del codice civile, introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, prevede il diritto del minorenne che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Di conseguenza, anche in quelle relative all'affidamento ai genitori, salvo che l'ascolto possa risultare in contrasto con il suo superiore interesse o sia manifestamente superfluo;

    la Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite ricorda che gli Stati parte «si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, ed a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati» e che «riconoscono il diritto di ogni fanciullo a un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale». Tali principi devono essere di profonda ispirazione in tutte le fasi: dalla predisposizione all'effettiva implementazione di nuove norme e strategie. Nel general comment n. 7 del 2005 alla stessa Convenzione («Attuare i diritti del fanciullo nella prima infanzia») si afferma inoltre che «Gli Stati devono garantire un supporto appropriato a genitori, affidatari e famiglie per consentire loro di svolgere adeguatamente le loro funzioni genitoriali» e che «i primi anni di vita costituiscono il periodo dove le responsabilità parentali riguardano tutti gli aspetti del benessere dei bambini affrontati dalla Convenzione. Di conseguenza, la realizzazione di questi diritti dipende in grande misura dal benessere e dalle risorse a disposizione di quanti portano queste responsabilità»;

    le linee guida Onu sulle Alternative Care, pubblicate nell'ottobre del 2012, presentano un importante riferimento per l'intervento delle istituzioni e degli operatori impegnati nel settore della tutela minorile indicando due principi cardine in materia di decisioni di allontanamento di un bambino o di un ragazzo dalla sua famiglia e di ogni azione di inserimento in comunità educative, case-famiglia o famiglia affidataria: il principio di necessità e il principio di appropriatezza; per quanto riguarda il principio di necessità, esso indica chiaramente che bambini e ragazzi hanno bisogno innanzitutto di stare con la loro famiglia. Si tratta di un diritto fondamentale, sancito con chiarezza dalla normativa;

    ciò nonostante ci sono diversificate situazioni di disagio familiare nelle quali è necessario porre in atto la complessa azione di separazione del bambino dal suo contesto familiare perché altrimenti, se vi rimanesse, i danni che andrebbe a subire sarebbero molto gravi, tali da inficiarne il percorso di crescita. Secondo il principio di necessità, la scelta dell'allontanamento, si pone, dunque, come una sorta di «male minore» da preferire rispetto ad alternative ben peggiori;

    per quanto riguarda il principio di appropriatezza degli interventi di allontanamento, questi non si debbono sostanziare nella mera decisione del collocamento etero-familiare. Si rende invero necessaria una approfondita valutazione di merito delle modalità e dell'adeguatezza dell'accoglienza case by case, ciò nel precipuo interesse del minore;

    secondo quanto pubblicato dal Ministero dell'interno è operativo, per le forze di polizia, un vademecum per rendere l'allontanamento stesso il meno traumatico possibile per il minore; in particolare nel documento è previsto che:

     a) l'esecuzione dei citati provvedimenti giudiziari è delegata ai Servizi Sociali territoriali, che si impegnano ad attivare gli interventi professionali ritenuti opportuni e a utilizzare tutti gli strumenti atti a realizzare l'allontanamento con la collaborazione dei genitori, tenendo in debita considerazione le esigenze di rispetto ed informazione dei soggetti coinvolti e cercando di individuare le modalità esecutive più opportune anche in relazione alla tempistica;

     b) l'intervento della forza pubblica è sempre disposto dall'Autorità giudiziaria minorile ed ha carattere di eccezionalità. In tali situazioni gli operatori di polizia devono agire in stretta collaborazione con gli operatori dei Servizi Sociali, non devono essere in uniforme e devono utilizzare modalità che rendano l'evento il meno traumatico possibile per il minorenne e i familiari. Il compito degli operatori di polizia è principalmente quello di fornire ausilio agli operatori dei servizi sociali impegnati nell'allontanamento del minorenne – atto che rimane di loro esclusiva competenza – in particolare, impedendo a chiunque di ostacolarne l'esecuzione. Per la sola polizia di Stato siffatti interventi vengono affidati, di prassi, al personale in servizio presso gli uffici minori delle divisioni anticrimine delle questure, che hanno competenza specialistica per le variegate problematiche minorili;

    il Consiglio nazionale ordine assistenti sociali, Cnoas definisce linee guida nazionali sui processi di sostegno e allontanamento dei minori, che prevedono le seguenti modalità, a «tutela» dei minorenni e delle loro famiglie:

     a) l'allontanamento dovrebbe essere accompagnato da un'opportuna e approfondita indagine psicologica e sociale nell'interesse della persona di età minore, dei suoi genitori, della famiglia allargata e del gruppo dei pari;

     b) al minore devono essere garantiti, in ogni fase, diritti d'informazione e di ascolto, e se fornito della capacità di discernimento, della sua opinione;

     c) che siano coltivate e privilegiate modalità spontanee di allontanamento, favorendo la collaborazione dei genitori e di altri familiari coinvolti;

     d) che il provvedimento di allontanamento stabilisca quindi quali siano i servizi sociali incaricati, evitando il ricorso alla forza pubblica, se non come modalità residuale ed estrema e, comunque, se indispensabile, al fine del mantenimento dell'ordine pubblico o della necessità di salvaguardare la sicurezza pubblica e l'incolumità fisica delle persone anche estranee, da attuarsi con il coinvolgimento di personale in borghese e idoneamente informato;

    purtroppo, si assiste, più e più volte, a prelievi che paiono essere o sembrare dei veri e propri rapimenti o effettuati con modalità altamente brutali e oggettivamente lesive dell'integrità del minore il quale è costretto a subire la violenza di sentirsi portato via dalla propria abitazione e dal proprio genitore senza tante volte capirne il motivo o avere gli strumenti per capirlo;

    i minori sono, in tali modalità di esecuzione del prelievo, doppiamente vittime inconsapevoli e innocenti ma sono anche i principali destinatari della misura che viene loro applicata e ne subiscono direttamente le conseguenze derivanti dal sentirsi abbandonati o rapiti;

    si rende pertanto necessario modificare le attuali modalità di prelievo, che portano spesso, ad atti di vera e propria violenza fisica e psicologica fino ad arrivare in casi estremi a prelievi perpetrati con l'inganno, con la forza, con sotterfugi, mediante quelle che, di fatto, risultano essere vere e proprie irruzioni nelle abitazioni da parte delle forze dell'ordine, con la divisa di ordinanza. I bambini devono essere tutelati nella loro integrità psico/fisica e un prelievo/rapimento porta innegabilmente delle conseguenze a livello psicologico che richiedono specifici trattamenti non sempre risolutivi; evitare traumi al minore deve costituire la priorità che si può e si deve raggiungere tramite la predisposizione di idonei strumenti protettivi che siano indirizzati a salvaguardare l'integrità del bambino e che evitino e impediscano l'insorgere di 10 comportamenti aggressivi, violenti, cruenti da parte dei soggetti incaricati al prelievo,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative normative per garantire l'ascolto della persona minorenne sia in fase istruttoria, che a seguito dell'emissione di un provvedimento a sua tutela, informandola adeguatamente circa le decisioni che la riguardano e assicurando la sua partecipazione alla definizione del progetto educativo;

2) ad adottare iniziative normative volte a predisporre un protocollo vincolante sulle modalità di prelievo del minore, affinché detti prelevamenti vengano compiuti senza violenza, intimidazione e/o con l'uso della forza, nel rispetto della salute psico-fisica del minore, e nel caso in cui ciò accada, a prevedere altresì dei meccanismi di sospensione immediata del prelievo medesimo, con conseguente segnalazione alle pubbliche autorità competenti dei comportamenti ritenuti lesivi della integrità psico/fisica del minore;

3) ad adottare iniziative di competenza, anche normative, volte a garantire e a rafforzare le misure preventive degli allontanamenti, e a definire i livelli essenziali delle prestazioni in riferimento all'accoglienza residenziale sull'intero territorio nazionale;

4) ad adottare iniziative di competenza, anche normative, volte a definire risorse e strumenti affinché, per ogni minore in situazione di pregiudizio, possa essere avviato un processo di prevenzione efficace e una conseguente corretta pianificazione dell'intervento, in modo che nessun bambino sia collocato in accoglienza etero-familiare se non necessario, e affinché la realtà di accoglienza individuata sia la più appropriata ai bisogni del minore, garantendo contestualmente il diritto all'ascolto e alla partecipazione dello stesso attraverso modalità adeguate;

5) ad adottare iniziative per dotare gli uffici delle procure della Repubblica presso il tribunale per i minorenni delle risorse necessarie al fine di rendere effettivo il monitoraggio costante circa la situazione dei minorenni in comunità, in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 184 del 1983, all'articolo 2, comma 2, e all'articolo 9, comma 2, e 3, e dall'articolo 25 della Convenzione sui Diritti dell'infanzia e dell'Adolescenza;

6) ad adottare iniziative di competenza, anche normative, per garantire l'obbligatoria presenza del tutore e di un parente scelto dal tutore tra coloro che garantiscono, per grado, maggiore apporto di serenità al minore stesso, al momento del prelevamento del minore;

7) ad adottare iniziative normative finalizzate a riformare il sistema dell'affidamento minorile e del servizio sociale, attraverso la previsione di modelli formativi specialistici per gli operatori dei predetti servizi, che garantiscano l'acquisizione di competenze specifiche e specializzanti per la pratica della professione di assistente sociale;

8) a intraprendere le opportune iniziative di competenza volte a garantire l'omogenea attuazione su tutto il territorio nazionale delle prestazioni socio-assistenziali in favore dei minorenni;

9) ad adottare le iniziative di competenza atte a garantire che l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine venga disposto solo in casi di estrema gravità, così come previsto dalla legge e con esclusione della possibilità di avvalersi di teorie non validate scientificamente come l'alienazione parentale (ex Pas) valutando l'allontanamento del minore come estrema ratio e dando priorità all'allontanamento del genitore violento a garanzia della incolumità del minore;

10) a prevedere, anche attraverso le opportune iniziative normative che la responsabilità genitoriale, in caso di allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare, possa essere revocata solo dopo aver verificato circostanze precise e ben definite;

11) ad adottare iniziative di competenza, nelle sedi opportune, al fine di istituire tempestivamente una banca dati dei minori allontanati dal proprio nucleo familiare finalizzata a tracciarne la esatta collocazione;

12) ad intraprendere, per quanto di competenza, iniziative volte a definire le modalità di svolgimento del progetto genitoriale predisposto dai servizi sociali per le famiglie e i minori coinvolti nel procedimento di affido, affinché sin dal momento del collocamento del minore in struttura residenziale, casa famiglia, o famiglia affidataria, non vengano interrotti forzatamente i rapporti tra il minore stesso e la sua famiglia d'origine, tenendo sempre in debita considerazione la volontà espressa dal minore e i suoi desideri, con l'esclusione dei casi in cui vi sia un grave e comprovato pregiudizio o pericolo di vita del minore di età.
(1-00556) «Giannone, D'Attis».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

minore eta' civile

protezione dell'infanzia

diritti del bambino