XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 15 di Lunedì 1 giugno 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Stumpo Nicola , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONE DELL'ACCESSO DEI CITTADINI AI SERVIZI EROGATI DAL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Audizione di rappresentanti di Cittadinanzattiva onlus, Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani e Confcooperative sanità.
Stumpo Nicola , Presidente ... 3 
Rossini Roberto (M5S) , presidente nazionale delle Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani ... 3 
Stumpo Nicola , Presidente ... 3 
Rossini Roberto (M5S) , presidente nazionale delle Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani ... 3 
Budano Gianluca , consigliere della presidenza nazionale con delega alla sanità delle Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani ... 4 
Stumpo Nicola , Presidente ... 6 
Marcocci Marco , Consigliere di Confcooperative sanità ... 6 
Stumpo Nicola , Presidente ... 10 
Gaudioso Antonio , segretario generale di Cittadinanzattiva onlus ... 10 
Stumpo Nicola , Presidente ... 15 
De Toma Massimiliano (Misto)  ... 15 
Stumpo Nicola , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
NICOLA STUMPO

  La seduta comincia alle 10.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati, anche per consentire ai deputati e senatori che non hanno potuto essere presenti di seguire i nostri lavori.

Audizione di rappresentanti di Cittadinanzattiva onlus, Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani e Confcooperative sanità.

  PRESIDENTE. Gentili colleghi, nella seduta odierna prosegue lo svolgimento dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione dell'accesso dei cittadini ai servizi erogati dal Servizio sanitario nazionale. Procediamo oggi all'audizione del Presidente delle Associazioni cristiane lavoratori italiani, dottor Roberto Rossini, accompagnato dal consigliere della presidenza nazionale con delega alla sanità, dottor Budano, del dottor Marco Marcocci in sostituzione del presidente di Confcooperative Sanità, dottor Giuseppe Milanese, e del presidente di Cittadinanza attiva, dottor Antonio Gaudioso, che svolgeranno da remoto una relazione sulle questioni connesse al rafforzamento della rete territoriale di assistenza domiciliare attraverso lo sviluppo di nuove modalità erogabili anche da remoto. Ringrazio innanzitutto gli auditi che hanno immediatamente aderito all'invito a partecipare ai nostri lavori e do intanto la parola al presidente Rossini, ricordando che al termine degli interventi è previsto un breve spazio per le domande dei deputati e dei senatori. Prego, presidente Rossini.

  ROBERTO ROSSINI, presidente nazionale delle Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani. Grazie per l'invito. Sono accompagnato dal consigliere, dottor Budano, che poi concretamente entrerà nei temi di questa seduta. Pertanto, se il Presidente è d'accordo, subito dopo la mia introduzione, lascerò la parola al dottor Budano per il proseguimento dell'audizione.

  PRESIDENTE. Prego.

  ROBERTO ROSSINI, presidente nazionale delle Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani. Preciso solo un aspetto, vale a dire che il tema della semplificazione nell'accesso alle cure del cittadino fragile, per quanto ci riguarda, si è basato sul concetto di salute da cui muove l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), inteso non come assenza di malattia, ma come generale stato di benessere fisico, psichico e materiale. Pertanto, partendo da questa premessa, da tempo stiamo lavorando al tema, non soltanto limitandoci alla traduzione elettronica di alcuni aspetti burocratici, ma anche cercando di capire come il concetto di semplificazione in materia di salute possa essere esso stesso un pezzo del concetto di benessere: quindi si tratta non soltanto di favorire l'innovazione tecnologica ed elettronica, ma anche, attraverso questa, di migliorare la qualità della vita della persona. Pertanto questa è la ragione per cui negli anni precedenti noi abbiamo posto il problema della riforma del welfare, anche dal punto di vista dell'accesso, Pag. 4sottolineando che, oltre alla qualità delle prestazioni, si pone anche il problema della qualità dell'accesso, tenendo presente che la questione è evidente tra l'altro in termini di differenziazione territoriale. Attraverso il consigliere Budano, che ha un'esperienza professionale stratificata come welfare manager pubblico e anche come direttore generale del Consorzio ambito territoriale sociale di Francavilla Fontana, la nostra associazione ha elaborato un paio di proposte che verranno illustrate dal mio collega e che hanno a che fare esattamente con la semplificazione: la prima è relativa allo Sportello unico per la famiglia come nuovo paradigma della pubblica amministrazione nel semplificare l'accesso a ogni presa in carico sanitaria o sociale e la seconda riguarda il principio di automaticità delle prestazioni per i soggetti fragili in stato di accertata patologia o cronicità. Concludo sottolineando che tali proposte sono in via di formalizzazione anche presso il Governo, che ha istituito una cabina di regia denominata «Benessere Italia»: noi siamo stati auditi anche in questo caso e abbiamo fatto le nostre proposte che vanno proprio nella direzione della semplificazione. Quindi chiedo al dottor Budano di intervenire per la specificazione di entrambe le proposte.

  GIANLUCA BUDANO, consigliere della presidenza nazionale con delega alla sanità delle Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani. Grazie, presidente Rossini. Grazie, presidente Stumpo. Io descriverò con qualche dovizia di dettaglio le due proposte introdotte dal presidente Rossini. Vorrei però partire da una premessa. Intanto, apprezziamo molto il fatto che ci sia una Commissione per la semplificazione che voglia partire dall'abbattimento delle barriere burocratiche all'accesso alle cure. Riteniamo tuttavia che l'accesso alle cure non riguardi esclusivamente le cure sanitarie, che rappresentano – e l'emergenza COVID-19 l'ha plasticamente dimostrato – un pezzetto dello stato di salute complessivo del cittadino. Il presidente Rossini citava la definizione dell'OMS, ormai abbastanza risalente, per cui la salute non è l'assenza di malattia; quindi, da ciò consegue che lo Stato non può occuparsi soltanto del tema sanitario in senso stretto. Ho letto con attenzione i resoconti dei lavori della Commissione bicamerale per la semplificazione, esaminando quello che è stato dichiarato da chi è stato audito precedentemente, e anche lo stesso programma dell'indagine conoscitiva. Il contributo che vorremmo dare è quello di estendere il concetto di semplificazione in sanità al concetto di semplificazione sul tema più generale della salute, che è il vero elemento per allinearci non soltanto alla definizione dell'OMS, ma anche a ciò che la pandemia ha rappresentato plasticamente e che in qualche modo profeticamente alcune organizzazioni pre-pandemia avevano prefigurato. C'è uno Stato che investe tantissimo in sanità – e diremmo più in generale, in politiche di welfare, dove le politiche della salute sono ampiamente comprese, come la dottrina ci può confermare – ma molto spesso l'accesso a tutte le misure, su cui si registra una spesa importante e notevole, anche al di sopra della media comunitaria, è difficoltoso per il cittadino fragile, per il cittadino che ha una fragilità sanitaria, ma potremmo dire più in generale per tutti coloro che vivono in uno stato di non autosufficienza fisica, psicologica, economica, in uno stato di fragilità multidimensionale, che la pandemia ha soltanto amplificato. Quindi il tema dell'accesso ai servizi da parte del cittadino diventa ancora più attuale. Noi sposiamo in pieno il programma della Commissione su telemedicina, teleassistenza, e servizi a domicilio. Il Consorzio ambito territoriale di Francavilla Fontana, dove presto la mia attività professionale, aveva già iniziato ad avviare esperienze di questo tipo nel 2015, all'esordio dei PAC (Percorsi attuativi della certificabilità). Tuttavia il tema più generale è relativo a come far accedere il cittadino alla gamma di servizi e prestazioni offerti dallo Stato, quando interviene una fragilità. Da qui sono nate due idee che vorremmo prospettare anche per ampliare, se possibile con il permesso del signor Presidente, lo spettro dei lavori della Commissione.
  La prima riguarda lo Sportello unico per la famiglia, quale elemento di semplificazione amministrativa che di per sé diventa già una cura, come ha titolato Welfare Oggi di Maggioli Editore nel numero 3 del 2019, pubblicando un nostro brevissimo articolo di divulgazione Pag. 5 scientifica che, se il Presidente vorrà, possiamo fornire agli atti della Commissione. L'idea parte da un'intuizione banale e lineare, che ha per oggetto il cittadino che vive in uno stato di deprivazione sociale e materiale, che vive in uno stato di non autosufficienza, che subisce una «tegola» che tocca lui, ma molto spesso anche il contesto familiare. Si pensi al paziente oncologico, per avere la rappresentazione plastica del profilo più critico al quale ci possiamo riferire: quando si manifesta una patologia del genere quel cittadino, se segue cure chemioterapiche, ha diritto a una pensione di accompagnamento e dovrà rivolgersi all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per il tramite di un padronato; se ha necessità di un dispositivo medico dovrà passare da un distretto socio-sanitario – poi l'Italia è lunga e non vorrei semplificare, però essenzialmente è l'azienda sanitaria che eroga prestazioni che riguardano la fornitura di presidi sanitari –, se scatta una problematica che attiene alla povertà educativa o economica del nucleo familiare, per esempio riguardante i figli minori, è previsto l'intervento del consultorio presso l'azienda sanitaria locale (ASL) oppure dei servizi sociali comunali integrati alle politiche socio-sanitarie della ASL. Insomma, un cittadino che vive in uno stato di fragilità multi-dimensionale, viene «spezzettato» rispetto a tutta una serie di burocrazie, che si sostanziano nel dover fare «il giro delle sette parrocchie», come noi lo abbiamo definito, pur a fronte di una spesa sociale e sanitaria importante: i servizi ci sono, ma non sono facilmente accessibili a causa di barriere burocratiche o semplicemente in ragione della frammentazione, sia nella percezione sia nell'effettiva erogazione, di alcuni strumenti che lo Stato mette a disposizione dei cittadini che vivono uno stato di difficoltà. Allora, siamo partiti dall'intuizione che oramai circa vent'anni orsono portò allo sportello unico per le attività produttive, cioè all'elemento di semplificazione all'accesso che allora l'ordinamento pensò per gli addetti ai lavori, cioè per le imprese dotate di consulenti e professionisti, senza preoccuparsi invece di tutta un'altra platea, di un mondo molto diverso quale è quello dei cittadini che vivono uno stato di fragilità multidimensionale. Allora dall'«arazzo» del SUAP, dello Sportello unico per le attività produttive, è nata l'idea di un SUF, quindi di uno Sportello unico per la famiglia, grazie al quale, nel momento in cui il cittadino si rivolge alla pubblica amministrazione se lo fa con un clic o lo fa in presenza poco importa, ma nel momento in cui si rivolge ad uno sportello comunale oppure ad uno sportello sanitario, oppure semplicemente nel momento in cui gli viene diagnosticata una gravissima patologia presso un ospedale, una struttura sanitaria, e quindi lo Stato entra in contatto con questa fragilità, scatta all'interno di un piano individualizzato, l'erogazione di una serie di strumenti e servizi del cui backoffice il cittadino non deve preoccuparsi. Se ne occupa la pubblica amministrazione, che è chiamata a integrarsi rispetto all'unica problematica che è quella del cittadino, il quale non può essere parcellizzato rispetto alle proprie necessità. Questa proposta è già all'attenzione legislativa di alcune assemblee regionali, in particolare di quella siciliana e di quella abruzzese, che hanno accolto qualche tempo fa l'idea delle Acli, ma è anche all'attenzione di alcuni parlamentari che ne stanno facendo oggetto di studio nonché della cabina di regia «Benessere Italia», di cui ha parlato il presidente Rossini, presieduta dalla professoressa Filomena Maggino, in quanto c'è dietro una logica di semplificazione che diventa già di per sé cura, perché elimina il disorientamento del cittadino, consentendogli di essere preso in carico in forma integrata e globale. La proposta porta inoltre con sé anche una riforma della pubblica amministrazione: si tratta, per tutti i servizi sanitari e di welfare, di formare in modo trasversale le competenze dei dipendenti della pubblica amministrazione interessati da questa rivoluzione copernicana nell'affrontare le fragilità dei cittadini: ciò non è da confondere con le porte uniche di accesso, che invece intervengono a macchia di leopardo, affrontando soltanto un pezzettino dell'integrazione socio-sanitaria. La proposta porta con sé una riforma globale del sistema di accesso al welfare d'accesso in chiave di semplificazione. Accanto a questa proposta inoltre in questi mesi abbiamo avviato un confronto costruttivo con Anffas (Associazione Pag. 6Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), in particolare con il suo presidente Roberto Speziale, concentrandosi in particolare sul tema della non autosufficienza: ne è derivata anche l'idea, strettamente legata alla soluzione dello Sportello unico per la famiglia, dell'automaticità delle prestazioni per i cronici o i malati gravi: nel momento in cui io entro in un ospedale e mi viene diagnosticato un tumore al pancreas e ho necessità di tutta una serie di cure, ovviamente mi riferisco alle cure di ordine strettamente sanitario, il reparto di oncologia che mi prende in carico, si prende cura di me dal punto di vista sanitario. La stessa cosa però non avviene per le altre esigenze, e siamo un po' all'assurdo: se io ho necessità di prestazioni strettamente correlate ad una patologia già accertata – si pensi alla patologia oncologica, che magari richiede cure chemioterapiche che mi danno diritto a una pensione di accompagnamento –, non godrò dell'automaticità della prestazione, ma dovrò essere sottoposto nuovamente ad uno stress, nonché al rischio di non veder realizzata una prestazione, che invece dovrebbe essere concessa in modo automatico, come la pensione di accompagnamento. Potrei fare questo tipo di esempio anche rispetto ad altre questioni. Perché il cittadino che entra in un ospedale e al quale viene accertata una malattia neurodegenerativa, non deve ricevere in automatico, su input di chi ha fatto la diagnosi, la pensione di accompagnamento e il dispositivo medico al pari della dimissione protetta? Comprendiamo che tali prestazioni si realizzano a macchia di leopardo. Serve un meccanismo automatico, per cui nel momento in cui mi viene accertata una esigenza sanitaria, questa deve essere soddisfatta in tutti i luoghi in cui io la posso far valere, e lo Stato si deve occupare del paziente, anche rispetto a tutti questi altri luoghi. Come è facile comprendere, l'idea di fondo è la stessa anche per lo Sportello unico e la famiglia, che ha una gittata più bassa, perché pensa non soltanto ai problemi del paziente, quindi a quelli strettamente sanitari, ma anche ai problemi complessivi del nucleo familiare, in un'ottica di semplificazione come elemento di cura e come elemento per neutralizzare il disorientamento che la macchina Stato genera su cittadini fragili. L'idea di fondo risiede nel principio di automaticità delle prestazioni, che è un altro elemento di semplificazione amministrativa nell'accesso alle cure, seppure limitato al requisito strettamente sanitario: si tratta di una sorta di prima sperimentazione per far passare un tema che attraverso la semplificazione, vuol far sì che i cittadini, in particolare quei soggetti che hanno uno stato di deprivazione, uno stato di fragilità, possano avere tutta la gamma dei servizi che molto meritoriamente il nostro ordinamento e la nostra pubblica amministrazione mettono a disposizione, ai quali spesso tuttavia non si può accedere in quanto non si hanno la forza e la lucidità necessarie che, per definizione, mancano a chi vive in uno stato di particolare non-autosufficienza. È lapalissiano comprendere che manchi la lucidità quando in una famiglia si verifica una patologia grave e magari tale patologia grave riguarda il capofamiglia che è l'unico soggetto ad avere un reddito: ciò crea uno scombussolamento, una destabilizzazione totale per cui quello stesso cittadino e quel nucleo familiare difficilmente potranno avere la lucidità e la forza per orientarsi in un variegato mondo che offre tanto, ma non lo offre in modo integrato e in modo semplificato.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Budano per la sua relazione. Io, se siamo d'accordo, farei svolgere di seguito le relazioni, per passare poi alle domande, tenendo sempre a mente i tempi, in modo da consentire agli auditi di rispondere oggi. Qualora i parlamentari che ci stanno ascoltando sulla web-tv, ci inviassero richieste per iscritto nei prossimi giorni, noi le invieremo ai soggetti auditi, chiedendo loro di fornire risposte in forma scritta, in modo tale da poterne tenere conto per il documento finale dell'indagine conoscitiva. Quindi, nel ringraziare ancora il dottor Budano, darei la parola al dottor Marcocci di Confcooperative, prego.

  MARCO MARCOCCI, Consigliere di Confcooperative sanità. Buongiorno, presidente. Grazie dell'invito. Il ringraziamento va a tutta la Commissione parlamentare per la semplificazione. Rappresento oggi Confcooperative Pag. 7 sanità. Il presidente Giuseppe Milanese si scusa, ma per un impedimento non ha potuto partecipare all'audizione. La confederazione cooperativa italiana Confcooperative è la principale organizzazione di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo e delle imprese sociali italiane, per il numero di imprese (17.500), per le persone occupate (531.000) e per il fatturato realizzato (oltre 68 miliardi di euro). Rappresentiamo in totale circa 3 milioni e 150.000 soci. Confcooperative sanità è la federazione nazionale di Confcooperative di rappresentanza, tutela e promozione delle cooperative di medici, farmacisti e le altre cooperative che operano nell'ambito della sanità. La sensibilità al tema di indagine della Commissione da parte della cooperazione sanitaria è un po' alle origini stesse della cooperazione tra professionisti sanitari. Le cooperative sanitarie di Confcooperative si interessano a una strategia che guarda a un sistema assistenziale centrato sulla presa in carico dei bisogni sanitari e sociosanitari della persona. Questo è il tema centrale intorno al quale girerà il mio intervento: vorremmo passare da un intervento per aree di patologia al fatto di mettere al centro le persone. Noi vorremmo essere partner, espressione dell'economia civile, del sistema pubblico che, dall'erogazione di interventi settoriali a domanda del paziente, evolva per intercettare tempestivamente, e soprattutto nell'ambiente di vita, il suo bisogno assistenziale. Qui diventa centrale il ruolo della digitalizzazione e di quella che normalmente viene descritta come telemedicina, soprattutto perché questo bisogno assistenziale spesso è cronicizzato, spesso è soggetto a processi degenerativi ed è aggravato anche dalla presenza di molte patologie. Il tema della semplificazione dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione mediante l'impiego di strumenti digitali che permettono lo scambio immediato e diretto dell'informazione tra cittadino e servizio consente anche, soprattutto nelle persone che hanno più bisogno, di realizzare una rete con i propri familiari, e il follow-up diventa un evidente componente essenziale nella strategia dell'assistenza primaria. La convinzione che noi abbiamo è che la tecnologia digitale, nel momento in cui velocizza e facilita lo scambio a distanza di informazione fra paziente e operatore, è un potente strumento di miglioramento del servizio, sia sul versante della domanda che sul versante dell'offerta di servizio. La messa a disposizione di tutte queste informazioni di servizio ha la possibilità di abbattere le asimmetrie informative e riduce i problemi logistici che caratterizzano la ricerca e l'accesso del cittadino alle strutture di servizio. Questo insieme di azioni, l'interconnessione, la circolazione e la raccolta dei dati migliorano evidentemente l'offerta di servizio e ne riducono i costi sociali, ottimizzano la capacità di risposta al bisogno, aumentano l'efficacia delle cure, soprattutto per il paziente domiciliarizzato anche in caso di malattie infettive, come emerso nel corso della gestione della pandemia da coronavirus. Non è poco, ma lo strumento digitale non basta. È evidente che serve una reingegnerizzazione dei processi e delle prassi operative, soprattutto di quelli del medico e del sanitario. La digitalizzazione serve, ma serve a poco e può essere in alcuni casi un inutile costo aggiuntivo. Serve se si riesce a declinare la semplificazione, facendo della digitalizzazione della salute e delle cure un potente antidoto contro la resistenza al cambiamento del sistema sanitario. Quello che veramente vorremmo contrastare fortemente – e credo che la natura di questa Commissione ci aiuti e ci consenta di farlo – è la burocratizzazione degli apparati di servizio pubblico. Normalmente quello che viene riscontrato è un fenomeno di settorializzazione. Noi invece vorremmo vedere il tutto in un'ottica complessiva. In sanità la patologia della burocratizzazione è aggravata tra l'altro dal regionalismo, tratto genetico del sistema, perché in molti casi il fatto di aver in qualche maniera invocato la valorizzazione della specificità dei territori ha purtroppo rallentato i processi di omogeneizzazione che sono fondamentali in un tema come quello della salute. Dall'altra parte il ritardo sul fronte dell'assistenza è fortissimo. Il sistema dell'assistenza primaria, al quale la cooperazione sanitaria ispira la sua visione strategica, appare come una dimensione organizzativa antitetica alle attuali cure territoriali, che sono ancora in larghissima misura gestite Pag. 8 per patologie e strutturate per silos autoreferenziali, quali la medicina generale, la specialistica, la diagnostica e via dicendo. Invece e soprattutto nel settore dell'assistenza, come ricordato anche negli interventi dei rappresentanti delle Acli prima di me, la precarietà più rilevante è quella sperimentata dalle persone non autosufficienti, che pagano in misura più ampia questa distanza, spesso perché respinte dall'ospedale, in quanto non in condizioni di acuzie, incapaci di raggiungere con i propri mezzi le sedi dei servizi. In tutto questo, a nostro avviso, quelli che mancano sono i processi di programmazione dei trattamenti e gli strumenti amministrativi di affidamento all'esterno. Sono importanti i tratti di connessione tra medico di medicina generale e specialisti. Deboli e occasionali sono spesso le forme di continuità tra ospedale e territorio. Poi naturalmente, va promosso anche il collegamento con i servizi sociali del comune di residenza. Da questo punto di vista, anche il mancato sviluppo del partenariato virtuoso con il privato sociale rappresenta un problema fondamentale. La risposta spesso è quella dell'acquisto sul mercato di prestazioni professionali. Noi riteniamo invece che l'integrazione tra pubblico e privato debba essere centrale per il decollo di una vera relazione di partenariato sussidiaria evoluta e di medio-lungo periodo. C'è evidentemente anche un'anarchia nei sistemi informativi. Figlio del regionalismo, lo sviluppo dei sistemi informativi in sanità ha seguito percorsi e logiche autonomiste, il cui risultato è stato quello della proliferazione di tanti sistemi diversi che non dialogano tra di loro. Il caso più clamoroso è quello dei due pilastri del Sistema informativo sanitario, la tessera sanitaria elettronica e il fascicolo sanitario elettronico, due strumenti informatici che, integrandosi tra di loro, avrebbero dovuto aprire orizzonti nuovi per la fornitura delle informazioni provenienti dal cittadino e l'incrocio con i dati provenienti dalla gestione dei servizi. In realtà i due strumenti hanno proceduto su due strade divergenti. Ogni regione ha il suo progetto di fascicolo sanitario elettronico. Tutto questo, purtroppo, mette in una condizione in cui il dialogo tra regioni e l'utilità che se ne può ricavare a livello nazionale anche ai fini della ricerca, vengono profondamente minati, ancora di più per l'uso che può farne il cittadino. Da questo punto di vista, quindi, noi riteniamo centrale che ci sia un'armonizzazione a livello nazionale di tutti i sistemi e che si vada in un'unica direzione; altra cosa importante per noi è l'aspetto che riguarda l'esplosione disordinata del mercato dei dispositivi. C'è un proliferare di dispositivi elettronici utilizzati per monitorare le condizioni di salute. Da questo punto di vista ci sono due aspetti che sono, a nostro avviso, significativi. Il Ministero della Salute esercita esclusivamente la vigilanza, mediante un programma di controlli sulla catena di produzione e commercializzazione, ma non esiste un sistema di autorizzazione analogo a quello dei farmaci e degli altri dispositivi medici. Da questo punto di vista, il mancato riconoscimento della prestazione nei LEA (Livelli essenziali di assistenza) scoraggia l'investimento per l'acquisto della macchina e per la reingegnerizzazione del processo. La stessa industria di settore lamenta la scarsa messa a disposizione da parte del sistema informativo sanitario delle informazioni che potrebbero migliorare l'incontro virtuoso della ricerca tecnologica con la domanda. Dall'altra parte la sanità digitale sta vivendo evidentemente una crescita impetuosa e i provvedimenti nazionali di riferimento sono però del tutto privi di riferimenti alle tecnologie 4.0. Le linee di indirizzo dovrebbero quindi quantomeno essere aggiornate con l'obiettivo di sfruttare le potenzialità delle risorse ICT (Information and communication technologies) di nuova generazione. In questo caso il fascicolo sanitario elettronico tutt'oggi presenta notevoli limiti, anche perché è stato pensato dieci anni fa. Occorrerebbe quindi che lo stesso fosse reso interoperabile con app e device usati quotidianamente dagli assistiti, perché questo renderebbe effettivamente utile lo strumento, senza considerare la necessaria tracciabilità delle prestazioni erogate, non sempre garantite dalla pletora di piattaforme che stanno invadendo il mercato. Quanto all'appropriatezza e alla copertura degli strumenti, l'88 per cento dei medici oggi, a partire dal mio medico, ma penso anche dal vostro, usa e-mail o «WhatsApp» per scambiare informazioni Pag. 9 cliniche o comunicare con i pazienti, a dimostrazione che la telemedicina, intesa come televisita viene già ampiamente utilizzata. Tuttavia senza gli strumenti appropriati e dedicati a questo tipo di attività, tutto questo è vano: penso ad esempio all'assenza di tutela della privacy.
  Con riguardo alla ricetta dematerializzata in regime privato, la cosiddetta «ricetta bianca», si sottolinea infatti come i professionisti sanitari che operano in telemedicina in regime privato non sanno come comportarsi nel caso di prescrizioni. L'e-mail per la comunicazione di informazioni cliniche è stata esplicitamente criticata dal garante della privacy eppure è ancora ampiamente utilizzata. Le attività di televisita, teleconsulto, telemonitoraggio e telecooperazione con refertazione a distanza necessitano di regolamentazione per designare quali prestazioni possono essere effettivamente svolte, dove, come, ed eventualmente con quale rimborsabilità. Tutti questi elementi, e la relativa questione della rimborsabilità, renderebbero tutte le citate attività estremamente più pertinenti e utilizzabili da tutti. Noi siamo convinti che questo aspetto consentirebbe evidentemente una cura personalizzata e, quindi, anche una riduzione dei costi. Vado agli elementi per noi significativi. Su questo tema, la debolezza dell'investimento in ricerca e formazione ha nel corso degli anni prodotto gap importanti. L'assenza, ad esempio, della telemedicina tra gli argomenti trattati nei percorsi universitari destinati agli operatori sanitari è una lacuna importante, perché non consente una formazione adeguata per coloro che andranno a operare in contesti molto difficili, in cui ormai è inevitabile un ricorso alla telemedicina. Da questo punto di vista, quindi, sarebbe importante prevedere tale inserimento.
  Quanto alle conclusioni, nell'ottica di Confcooperative Sanità la semplificazione dell'accesso ai servizi sanitari, anche mediante la diffusione della digitalizzazione della salute e delle cure, passa necessariamente per una riorganizzazione complessiva del modello sanitario sui principi dell'assistenza primaria. Il nodo centrale, infatti, non è tanto la questione tecnologica in sé, quanto piuttosto la capacità del Servizio sanitario nazionale di muoversi sulle direttrici della presa in carico, della continuità ospedale-territorio, dell'integrazione socio-sanitaria e della collaborazione tra professionisti, dello sviluppo dell'assistenza domiciliare, tema per noi centrale, della definizione di adeguati percorsi diagnostico-terapeutici, dello sviluppo soprattutto della medicina proattiva e personalizzata e della prevenzione, che richiede un contatto diretto tra assistito e medico, quindi un modello di assistenza che responsabilizzi il paziente tramite l'uso di servizi digitali innovativi e alla portata di tutti. Si richiede quindi, come accennavo in premessa, una visione centrata non più sulla singola patologia, ma sulla persona, volta a fornire una pluralità di servizi integrati, focalizzandosi in particolare sulle problematiche connesse al rafforzamento dell'accesso ai servizi sanitari mediante processi di digitalizzazione dell'ecosistema sanitario. Per prima cosa, si tratta di processi che necessitano di una regia: noi l'abbiamo chiamata la politica delle quattro «R», visto che ormai va di moda la rappresentazione simbolica con le quattro lettere. Per noi si tratta evidentemente della necessità di una regia di sistema, capace di definire un disegno complessivo che contempli il peso dei diversi attori e dei sottosistemi in cui essi interagiscono, e in particolare una visione strategica, sistemica e integrata, indispensabile per orientare e supportare i decisori e gli stakeholder pubblici nel delicato processo di selezione all'interno del vasto panorama dell'offerta tecnologica delle soluzioni migliori per generare un valore aggiunto nel Sistema sanitario nazionale. Servono poi, in seconda istanza, regole condivise (la seconda «R») per l'identificazione di standard tecnologici e protocolli tecnici coordinati e flessibili che consentano soprattutto – e ne ho parlato in precedenza, con riguardo alla differenziazione delle regioni, l'interoperabilità dei sistemi ICT, riducendo il rischio di disallineamenti. È pazzesco che si raccolgano dati che restano fini a sé stessi, non avendo possibilità di comunicare con gli altri. In terzo luogo è fondamentale il riconoscimento del ruolo Pag. 10dei soggetti privati come volano di sviluppo tecnologico. La velocità con cui si evolve il mercato della sanità digitale rende difficile per la parte pubblica adattarsi con tempestività ai cambiamenti. L'attivazione di partnership con i provider privati più flessibili e responsivi alle sollecitazioni del mercato è la via maestra da percorrere per iniziative e tecnologie all'avanguardia nel quadro dei processi di cura territoriali. Tali partnership però dovrebbero essere istituzionalizzate, superando una volta per tutte lo stadio dello sperimentalismo locale, attraverso la definizione di requisiti e standard di accreditamento dei centri erogatori e di protocolli atti a garantire la tracciabilità delle prestazioni erogate a garanzia dei pazienti, degli operatori e dei soggetti finanziatori. Sarebbe auspicabile a riguardo anche promuovere collaborazioni pubblico-privato su piattaforme digitali che permettano una rete integrata ospedale-territorio-domicilio assolutamente improcrastinabile, da integrare con le nuove figure locali, come ad esempio i farmacisti, che rappresentano, soprattutto in alcuni luoghi – considerato che la nostra Italia è composta da moltissimi territori differenti –, l'interlocuzione primaria da questo punto di vista. Il quarto aspetto, infine, e forse quello più dirimente, è che senza rete di professionisti sul territorio le speranze di digitalizzare i processi assistenziali sono destinate a rimanere tali. Il ruolo dei professionisti, infatti, rimane centrale sia nella sua componente tecnica, sia nell'azione essenziale di empowerment alla base dei processi di telemedicina. È infatti l'operatore a stimolare la partecipazione degli utenti al processo, ad addestrare il paziente, ad aiutarlo, ma anche ad aiutare il caregiver nell'utilizzo dei device. Sarà impossibile, altrimenti, prevedere un pieno utilizzo di tali strumenti; al contrario ciò servirà a garantire l'inclusione di quei soggetti, in particolare di quelli più anziani, meno confidenti con gli strumenti informatici. È evidente quindi che l'investimento tecnologico avrà senso solamente se sostenuto dall'azione di professionalità formate, aggiornate e motivate; inoltre la tecnologia sarà tanto più utile, quanto più sarà complementare alle professionalità degli operatori e personalizzata sulla base delle loro esigenze e di quelle dei pazienti. Ringrazio per la possibilità che ci avete concesso, con l'invito all'audizione. Naturalmente, il materiale e la relazione nella forma più estesa sono a piena disposizione della Commissione. Grazie ancora.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Marcocci. Prima di dare la parola al presidente Gaudioso, vorrei ringraziare il dottor Marcocci per averci messo a disposizione la relazione anche per iscritto, in modo tale da lasciarla agli atti, consentendoci di utilizzarla successivamente. Stesso discorso vale per il dottor Budano, in merito alla documentazione per lo Sportello unico per la famiglia. Siamo ben lieti di avere tale documentazione agli atti. Ricordo inoltre a tutti i parlamentari, deputati e senatori, i quali ci ascoltano da remoto non essendo presenti in aula, che è possibile fare domande per iscritto, che inoltreremo nei prossimi giorni ai nostri relatori. Grazie ancora. Do quindi la parola al segretario generale di Cittadinanzattiva onlus, dottor Gaudioso.

  ANTONIO GAUDIOSO, segretario generale di Cittadinanzattiva onlus. Buongiorno presidente e buongiorno ai deputati e senatori presenti fisicamente, a quelli collegati e agli amici che mi hanno preceduto. Ho inviato a mia volta la relazione che potrà essere allegata agli atti, tuttavia prendendo spunto dagli interventi di chi mi ha preceduto, vorrei fare alcune considerazioni in merito alla discussione in atto, partendo da una consapevolezza. Quando la Commissione ha avviato il proprio lavoro istruttorio, la vicenda Covid non era ancora intervenuta nelle nostre vite e nel nostro Paese. Senza dubbio quello che è accaduto negli ultimi mesi ha cambiato radicalmente e drasticamente anche il rapporto tra cittadini e amministrazione, in particolare con riguardo al Servizio sanitario nazionale. Lo dico perché parto da una considerazione. Molto spesso, e noi per primi, negli ultimi vent'anni abbiamo discusso dei problemi che avevano a che fare con il Servizio sanitario nazionale, anche in relazione Pag. 11 alle risorse disponibili. Mi permetto di dire che in questo momento preciso non è un problema di soldi, nel senso che tra la legge di stabilità degli scorsi mesi, il patto per la salute, che per la prima volta ha messo a disposizione 3 miliardi e mezzo di euro nei prossimi due anni, e le disposizioni recenti, dal decreto «cura Italia» al decreto-legge «rilancio», di cui si sta discutendo in questi giorni, c'è stato – come forse mai nella storia recente del Servizio sanitario nazionale – un investimento strutturale importante in termini di risorse. Quindi non è un problema di risorse al momento. A questo punto, entrando nel merito, mi permetto di fare alcuni esempi che hanno a che vedere con la gestione dell'emergenza negli ultimi mesi. Lo dico perché da un lato abbiamo avuto risposte straordinarie in termini di reattività, anche dal punto di vista delle procedure, dall'altro diversi problemi: utilizzando un termine medico, si potrebbe parlare di stenosi veramente assurde, assolutamente inconcepibili. Queste sono le due facce della medaglia che ci parlano esattamente del nostro modo di investire nel Paese dal punto di vista della macchina burocratica amministrativa e dal punto di vista del Servizio sanitario nazionale. Si è parlato prima della ricetta elettronica, della ricetta dematerializzata, che senza dubbio è stata un'innovazione per il nostro Paese. Si aspettava da anni. Ebbene, in una condizione di emergenza, è stata attivata in ventiquattro ore. Si è dimostrato che quando c'è la disponibilità, oltre che la necessità di risolvere puntualmente i problemi, le cose si possono fare. Lo dico perché c'è stata la disponibilità di medici e farmacisti ad implementare la ricetta elettronica. Senza dubbio i problemi non sono risolti – e ci ritornerò successivamente, – ma anche questo va chiarito: quando passerà la fase di emergenza, sulle scelte che hanno semplificato la vita delle persone e degli operatori non si potrà tornare indietro. Lo dico non per mettere le mani avanti, ma perché, se la vicenda del Covid-19 ci ha insegnato qualcosa, è che bisogna partire dai bisogni delle persone e su questi adattare la macchina e non viceversa. Questa è una prima considerazione che mi permetto di fare. Dall'altra parte è altrettanto vero che non è che con un «clic» si siano risolti i problemi atavici e strutturali. Mi permetto di fare un altro esempio: nelle prime settimane dell'emergenza importanti soggetti privati hanno regalato alle aziende sanitarie tecnologie per poter fare i teleconsulti. Immaginate ad esempio i pazienti oncologici che si recano per il follow-up all'interno dell'ospedale, dovendo sottoporsi non ad esami ma a visite periodiche, come capita almeno per cinque anni dopo un intervento chirurgico o dopo la fine della chemioterapia. Ebbene, l'obiettivo di consentire a queste persone di ricevere il follow-up a casa, magari con strumentazioni tecnologiche, con videoconsulti e via dicendo, ha indotto alcuni soggetti a donare alle aziende sanitarie le tecnologie che hanno permesso di attivare la procedura. Ebbene, almeno in due casi, per la felicità – si fa per dire – dei primari, i direttori generali delle ASL hanno comunicato l'impossibilità di utilizzare questi strumenti, perché altrimenti avrebbero rischiato di essere denunciati per danno erariale dalla Corte dei conti: non essendo codificata la procedura, era come se la prestazione venisse erogata gratuitamente e, quindi, non potesse essere rimborsata dal Servizio sanitario regionale. Lo dico perché evidentemente c'è un problema strutturale, di mancato aggiornamento del sistema dei Diagnosis Related Groups (DRG) che regola i rimborsi delle prestazioni e che risale al 1996/1997. Immaginate che all'epoca si utilizzavano ancora i fax per le comunicazioni. E il mancato aggiornamento del sistema negli ultimi anni è il motivo per cui, ad esempio, la telemedicina non viene utilizzata nel nostro Paese. La telemedicina non rappresenta il fronte del domani, è già ieri, nel senso che viene utilizzata in moltissimi Paesi da decenni. Nel nostro Paese non viene utilizzata perché non si sono aggiornati i tariffari che permettono alla prestazione di essere rimborsata; ed è evidentemente un problema, perché se i tempi dell'amministrazione non coincidono con i bisogni delle persone, si crea un gap molto forte, uno iato. Mi permetto di aggiungere Pag. 12che questo gap è molto più forte per le persone che si trovano in condizioni di fragilità, che non è una condizione di fragilità soltanto economica. Non è una condizione di fragilità soltanto sanitaria, ma è una condizione di fragilità che è legata al codice di avviamento postale di residenza delle persone: è un problema non soltanto tra nord e sud, ma anche tra città e aree interne. Mi permetto di sottolineare che, con riguardo alle aree interne del nostro Paese, parliamo di circa 11 milioni di persone che ci vivono, che hanno la prima struttura sanitaria in alcuni casi a molte decine di chilometri di distanza e per le quali avere dei percorsi di assistenza personalizzata – e mi riferisco a un utilizzo efficiente della tecnologia, a un utilizzo efficiente delle prestazioni sanitarie da parte degli operatori che insistono sul territorio – darebbe già in tempi normali una risposta molto puntuale. Invece in condizioni come quelle attuali, come quelle che abbiamo vissuto, può essere anche la differenza tra la vita e la morte. Quindi la semplificazione – ma direi in questo caso l'adempimento dei processi amministrativi – cambia completamente la vita delle persone. Lo stesso discorso che abbiamo fatto per la telemedicina lo potremmo fare per il fascicolo sanitario elettronico. Mi permetto di dire che quando ho iniziato a fare l'attivista nella mia organizzazione nel 1996 si parlava già di fascicolo sanitario elettronico. Siamo a ventiquattro anni da quella data e discutiamo ancora se e come applicarlo, con modalità diverse e con un processo che sin dall'inizio è stato concepito male, nel senso che ci deve essere sempre il diritto di scelta delle persone ad aderire al fascicolo, ma bisogna operare in senso contrario all'attuale. Bisognerebbe quindi fare in modo che l'adesione sia automatica per tutti, salvo la possibilità per le persone di fare l'opt-out, comunicando la volontà di acconsentire all'utilizzo dei dati. Nel nostro Paese ogni singola persona deve formalmente aderire, il che vuol dire mobilitare 60 milioni di persone. Con una macchina organizzativa che funziona molto spesso male, ci troviamo con un ritardo mostruoso! Questo mi porta ad un'altra considerazione collegata al fascicolo sanitario elettronico, vale a dire al fatto che abbiamo un livello di informatizzazione delle cartelle cliniche drammaticamente basso. Più del 40 per cento delle cartelle cliniche del nostro Paese sono ancora scritte a mano! Ci troviamo in un contesto per cui oggi, nel 2020, se mi sposto da Roma a Milano, o da Ancona a Bologna, la struttura che mi riceve, mi dice: «Si porti le lastre». Non è una cosa normale. Il fatto che non vi sia nessuna obbligatorietà dell'interoperabilità delle banche dati rappresenta un problema drammatico. Perché non c'è l'interoperabilità? Perché in molte occasioni il fatto di avere avuto banche dati autonome, ha impedito alle regioni di ottenere una certificazione esterna dei propri dati. Il problema è che nessuno vuole essere controllato, e viviamo in un modello autoreferenziale. Se si ha a che fare con la dinamica di rapporto tra Stato e regioni, ciò ha un'incidenza drammatica sulla vita delle persone. (Non voglio entrare nella polemica di queste ore, per certi versi anche stucchevole, sui dati regionali delle morti da COVID). Se non c'è un flusso di dati interoperabile, certificato, accessibile, non c' è la possibilità di utilizzare quei dati non solo per il singolo cittadino, ma anche per finalità di interesse generale. Vi faccio un esempio molto concreto. Nel nostro Paese, in questo momento, non è possibile utilizzare il sistema delle banche dati già disponibili, a seguito di un parere negativo dato dall'Autorità Garante della privacy al Consiglio di Stato, rispetto ad una decisione del Ministero della Salute che prevedeva l'interoperabilità delle banche dati. Senza l'utilizzo delle banche dati – e mi riferisco a quelle a disposizione del Ministero della Salute, al di là delle banche dati regionali, di cui stiamo parlando – noi non sappiamo fondamentalmente quanti malati vi siano nel nostro Paese per singola patologia. E ciò impedisce, ad esempio, una ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale basata su criteri ovvi, vale a dire sulla base del numero di malati oncologici che ci sono in Campania (o di diabetici che ci sono nelle Marche), quindi sulla base di una taratura dei bisogni, cosa che in questo momento non Pag. 13accade, perché non sappiamo quanti malati ci sono. Questo perché le banche dati non sono interoperabili, e perché le normative già decise negli scorsi anni non sono state applicate dalle regioni. Ad esempio, il piano nazionale sulle cronicità, deciso nel 2019, in buona parte delle regioni è stato adottato dopo tre anni ma soltanto in pochissimi casi è stato implementato. Cosa prevedeva il piano tra le altre cose? Che ci fosse un registro delle patologie croniche, almeno per tracciare in ogni singola regione quanti malati ci sono di quella patologia, al fine di poterli curare al meglio. In questo momento invece non l'abbiamo. Le valutazioni sulle politiche sanitarie vengono fatte con il buon senso, che è un pessimo modo per governare i servizi sanitari, che invece si governano con visione, ma soprattutto con dati. Noi in questo momento non lo possiamo fare. Quindi abbiamo parlato di cartelle cliniche, di necessità di aggiornamento dei DRG, di percorsi di assistenza personalizzata, partendo dai bisogni delle persone e adattandoli ai singoli sulla base delle necessità, di aree interne versus realtà cittadine. Ribadisco pertanto che non è un problema di soldi. I soldi ci sono. È un problema di assunzione di responsabilità e di rendicontazione delle responsabilità; questo va detto in modo molto chiaro, molto trasparente: nell'attuale sistema istituzionale, nessuno risponde delle scelte che si fanno. Se nella Conferenza Stato-regioni si decide, come è successo in molte occasioni, di fare delle cose e poi queste cose non vengono fatte, non c'è il principio della sanzione. Non accade niente, e tutto è lasciato alla buona volontà delle persone. Questo non funziona, soprattutto in un sistema che deve avere la possibilità di rendere conto delle proprie scelte, come accade in ogni Paese normale. Riferisco alcune proposte concrete che sono presenti anche nel documento: in primo luogo, avere la possibilità di favorire la distribuzione per conto (DPC) dei farmaci, all'interno delle farmacie di comunità, come modalità ordinaria. Per molti anni, per una esigenza anche legittima di risparmio, si sono utilizzate le farmacie ospedaliere: i cittadini andavano nelle farmacie a prendere il farmaco e se lo portavano a casa. Già in condizioni normali, se vivi in un posto disagiato, ciò è complicatissimo, perché ti devi basare sugli orari di apertura di una farmacia ospedaliera, magari essendo costretto a prenderti una giornata di ferie. Avere la possibilità, come accade in buona parte delle regioni, di avere la distribuzione sotto casa, nella tua farmacia di comunità, è un modo molto migliore di organizzare il servizio.
  Quanto alle altre proposte, si tratta di: avere la possibilità di consegnare a domicilio farmaci e presidi sanitari per le fasce deboli (è una possibilità di migliorare gli standard di erogazione di questa importante prestazione, soprattutto per quanto riguarda le persone che hanno particolari fragilità) e di delocalizzare le terapie (prima ne ho parlato con riguardo alle terapie oncologiche, ma non solo). Fortunatamente, gran parte delle terapie per quanto riguarda i malati oncologici, vengono fatte in day hospital o in ambulatori ospedalieri con prestazioni ambulatoriali: avere la possibilità di farle a casa, allo stesso costo e utilizzando le stesse risorse, protegge le persone, decongestiona gli ospedali e permette un livello di cura e di umanizzazione della terapia e delle cure molto più alto. Qual è il problema? In un modello che parte dall'output e non dall'outcome (dal modello di gestione amministrativa e non dal bisogno delle persone), ci troviamo nel paradosso che se una prestazione è erogata in regime ambulatoriale (o in day hospital) e domani mattina voglio erogarla a casa della persona con lo stesso costo, senza un centesimo in più a carico del Servizio Sanitario Regionale, non lo posso fare, non è possibile farlo, perché c'è bisogno di una modifica normativa e di una delibera ad hoc. Questo non funziona, perché si crea un rimpallo di responsabilità anche su questo aspetto, tra livello regionale e livello nazionale. Occorre favorire la delocalizzazione a casa, laddove possibile, ma anche nei distretti territoriali, utilizzandoli e valorizzandoli. Ricordo a me stesso che nel decreto «Rilancio» circa un miliardo e trecento milioni di euro sono investiti sulla sanità territoriale e sui distretti. Avere la Pag. 14possibilità in questo modo di decongestionare gli ospedali è importantissimo. Un'altra proposta riguarda le anagrafi vaccinali e la delocalizzazione dei vaccini. Abbiamo infatti anche un problema di aggiornamento dell'anagrafe vaccinale del nostro Paese. Non ci sono le anagrafi dei vaccini: se porto mio figlio a fare un vaccino, e il dottore mi chiede se io sono vaccinato, la banca dati più efficiente è quella dei miei genitori, per cui dobbiamo chiamare loro per chiedere se si ricordano quali vaccini mi siano stati somministrati. E anche in questo caso è una cosa che non funziona, e bisogna porvi rimedio immediatamente. Siamo ancora indietro. Così come occorre semplificare l'erogazione dei vaccini, anche alla luce di quello che accadrà nei prossimi mesi, e della necessità di aumentare di molto le coperture per il vaccino antinfluenzale, utilizzando e rafforzando i presidi territoriali (vale a dire i medici di famiglia, i pediatri di libera scelta, gli operatori sanitari che operano a livello territoriale, le farmacie di comunità). Altro tema molto importante è quello dell'invalidità civile, e alcuni degli amici che mi hanno preceduto ne hanno parlato. Onestamente, non è una cosa normale che nel 2020 la certificazione dello Stato, che porta ai benefici dell'invalidità civile, venga fatta da commissioni dell'INPS che non sanno niente di quella patologia. Se in questo momento un malato di SLA viene curato in una struttura di eccellenza del nostro Paese, da un primario di eccellenza, il quale la certifica che il suo paziente ha la SLA (e magari quel primario è la persona che ne sa di più a livello mondiale su quella patologia), dal punto di vista dell'INPS tale certificazione vale zero, perché il soggetto deve essere sottoposto ad una verifica da parte di una commissione di soggetti che – non essendo i medici INPS tuttologi – non conoscono tutte le patologie e non hanno la possibilità di certificare la diagnosi. Il paradosso è che la certificazione dei benefici può essere fatta da persone che non conoscono la patologia, mentre quanto a quelli che la conoscono, la loro certificazione non vale niente ai fini INPS. Migliorare questo aspetto, partendo dai bisogni delle persone, adattando il sistema a questi ultimi e utilizzando i medici competenti del Servizio Sanitario Nazionale per fare le certificazioni (che poi servono anche ai fini INPS), è un modo per semplificare la vita delle persone, per risparmiare le risorse del Servizio Sanitario Nazionale e per utilizzare i medici INPS per migliori funzioni.
  Cito brevemente altre due proposte, dal momento che le altre sono descritte all'interno del documento che potete consultare con calma. Quanto alla prima, si tratta di fare in modo che tutti i titoli che attualmente sono validi esclusivamente nella propria regione di residenza, come i buoni per l'acquisto di prodotti privi di glutine per le persone celiache, diventino telematici e abbiano validità nazionale. Anche questa è una cosa paradossale, che a costo zero semplificherebbe molto la vita delle persone. Garantire la portabilità dei benefici che ti dà la tua regione, consentendo che tu possa usufruirne anche se ti trovi altrove (ottenendo il rimborso direttamente dalla regione che ha erogato il servizio), è una cosa che non richiede processi complicati, ma che semplifica la vita delle persone. Ci sarebbe bisogno – come ci siamo detti anche in altri casi – oltre che di decreti legge con nomi importanti, evocativi, anche di una sorta di «Umanizza Italia», vale a dire di un provvedimento che intervenga puntualmente con tutte quelle misure piccole e medie, che hanno il potere di cambiare radicalmente e potentemente la qualità di vita delle persone, evitando che esse vengano sottoposte a processi che sembrano quasi di vittimizzazione (perché quello a cui vengono sottoposte le persone con invalidità, con la rivedibilità periodica del proprio stato di invalidità, è veramente assurdo). Per chi ha problemi di distrofia muscolare o, ad esempio, per le 3000 persone del nostro Paese che sono prive di stomaco (perché gli è stato asportato) e che usufruiscono di tecnologie che li aiutano a vivere sottoporsi periodicamente alla rivedibilità dello stato di invalidità come se la situazione fosse cambiata, non ha alcun tipo di senso. Da oltre dieci anni c'è una legge nel nostro Paese che prevede la non rivedibilità per pazienti con patologie particolarmente Pag. 15 ingravescenti e che tuttora non viene applicata. Grazie ancora per la disponibilità al presidente, e a tutti i deputati e i senatori presenti e collegati.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Gaudioso. L'onorevole De Toma ha chiesto di intervenire. Prima di dargli la parola, vorrei ringraziare tutti i soggetti auditi per le loro relazioni. Il presidente Rossini è dovuto andare via. Pertanto prego il dottor Budano di trasmettergli i nostri saluti. Prego, onorevole De Toma.

  MASSIMILIANO DE TOMA (MISTO). Grazie, presidente. Buongiorno a tutti gli auditi. Innanzitutto grazie perché le vostre relazioni ci permettono di toccare con mano, con estrema accortezza, le difficoltà che voi ci state riportando, ma anche quelle che noi viviamo direttamente. Io faccio una piccola premessa: purtroppo, ahimè, sono un paziente oncologico, quindi alla fine, anche in questa esperienza, ho dovuto fare di necessità virtù. Le problematiche che avete elencato le conosco perfettamente. Non c'è da aggiungere qualcosa a quello che voi avete detto, perché è tutto confermato, soprattutto – lo sottoscrivo – nella mia duplice veste. Sono coinvolto anche con il mondo della disabilità, quindi con tutto ciò che è legato alla disabilità e alle sue problematiche. Come ha detto il presidente Gaudioso, abbiamo iniziato questo percorso ancor prima dell'epidemia di Coronavirus. E la sensibilità del presidente Stumpo e della Commissione era proprio quella di andare nella direzione indicata: cercare di spingere il Governo a prendere provvedimenti per una digitalizzazione sanitaria che è di fatto un'ottimizzazione delle risorse, soprattutto per migliorare effettivamente la qualità della vita del paziente, perché, avendola vissuta, mi sono sempre trovato in difficoltà dovunque andassi, con fascicoli, cartelle e documenti, e ogni volta ero costretto a ricominciare daccapo. Quindi comprendo perfettamente la situazione, però veniamo alla mia considerazione, che è anche una domanda: a parte tutto ciò che è pre-Covid, quello che è successo ormai lo conosciamo, ci siamo dentro e troveremo, immagino, le soluzioni ottimali. Rivolgo la domanda a tutti e tre, per me quindi va bene chiunque voglia rispondere o, come ha detto il presidente, approfondire anche successivamente. Visto che abbiamo svolto anche precedenti audizioni, parlando di regioni, di territori, nonché di altre associazioni, faccio riferimento alla vostra esperienza, capendo perfettamente che il modello deve essere nazionale: quindi se io mi sposto dal Lazio, la mia regione, e vado in Lombardia, posso portarmi dietro questa – definiamola – cartella. Siamo d'accordo. Ci sono le differenze fra regioni, lo sappiamo; però in base alle vostre esperienze, attraverso i vostri associati, attraverso i vostri iscritti, vi risultano modelli, in qualche territorio, che hanno funzionato meglio o avete indicazioni di strutture che si sono dimostrate più sensibili oppure che hanno fatto un buon lavoro? Quindi la domanda che vi pongo è questa: è un po' generale, lo capisco, però bastano alcuni esempi. Serve soltanto per capire se, pur essendo passati 24 anni dall'ideazione del fascicolo sanitario, qualcuno ci abbia lavorato, o abbia fatto qualcosa. Valorizziamo eventualmente questo lavoro e vediamo, con il contributo della Commissione bicamerale, di dare un corretto orientamento.

  PRESIDENTE. Sì, grazie all'onorevole De Toma, che ha posto la domanda. Io chiedo ai colleghi che seguono i lavori attraverso la web-tv di farci pervenire nei prossimi giorni le eventuali domande in modo tale che possiamo trasmetterle ai soggetti auditi, che possono fornirci tutte le risposte successivamente, in modo da poterle avere agli atti e utilizzarle in quella che sarà la relazione conclusiva di questa indagine, che, come è stato ricordato, abbiamo iniziato nell'altra fase del mondo, quella pre-Covid, avendo avuto la volontà di lavorare in primis sui problemi diretti dei cittadini. Lo stiamo facendo oggi sulla sanità, lo faremo successivamente sul rapporto cittadini-imprese.
  A me piacerebbe provare a introdurre nella relazione alcuni spunti, partendo dalle cose che gli auditi hanno detto. Secondo me è possibile utilizzare il seguente schema: Pag. 16una domanda, una risposta. Invece, ahimè, per ottenere un proprio diritto, i cittadini sono costretti a fare trenta domande e a ricevere, per ogni domanda fatta, cinquanta risposte, che non corrispondono, per cui trenta equivalgono ad un sì, cinque ad un no, e il risultato è che non si sa cosa fare. Penso a quello che è stato detto sull'invalidità civile, dove il tema, a mio modo di vedere, non è soltanto – e condivido quello che è stato dichiarato – l'impossibilità per un cittadino che ha contratto una malattia grave di aver accesso al beneficio dovuto. La prima cosa che gli passa per la mente non è quella di fare la domanda di invalidità; è capire se sia possibile guarire. Quello è un rapporto tra il cittadino e lo Stato, che deve avere un canale diretto. «Semplificazione» per me significa dare diritti certi ai cittadini. In realtà un cittadino che contrae una malattia, se dimentica di fare la domanda, non avrà diritto alla pensione di accompagnamento. In più, c'è il tema di cui si è parlato: quando il cittadino esce dall'ospedale con un referto firmato da un primario, deve iniziare una pratica burocratica che passa per canali infiniti, sotto la responsabilità di tre Ministeri (salute, interno ed economia) perché ci sono le verifiche da fare. E la conclusione finale è che aver aumentato la burocrazia per evitare brogli nell'assegnazione del beneficio, di fatto non garantisce ciò che dovrebbe essere l'effettivo diritto del malato, e neanche il suo diritto di parlare in modo diretto con il responsabile del procedimento. Per questo io dico: «una domanda e una risposta», perché chi lo ha avuto in cura presso un ospedale – e quindi il direttore del reparto, il primario, che firma le dimissioni – sa quello che firma e sa cosa ha quel paziente. E quindi io penso che, da questo punto di vista, in un lavoro comune che, mi auguro vada anche oltre la nostra relazione, «semplificare» significhi dare diritti certi e non costringere ad accedere ai diritti, che è altra cosa rispetto alla certezza del diritto. Un malato non ha la certezza di poter essere nelle condizioni di richiedere i propri diritti. E cosa succede se non si ha una famiglia alle spalle? Ciò vale anche per la cartella clinica, visto che nei viaggi della speranza che spesso i pazienti sono costretti a fare da un ospedale all'altro bisogna portare tre valigie di fogli, avendo a disposizione soltanto uno spazio limitato per lo spazzolino da denti, e non che quel percorso sia già una ricchezza del sistema sanitario. Al tempo stesso poi capita di non avere alcuna conoscenza, perché un cittadino non fa quello che sono costretti a fare i nostri ospiti: studiare la burocrazia italiana per agevolare i cittadini, visto che spesso molto del loro tempo passa a cercare di dare diritti a persone a cui quei diritti ancora vengono negati. Quindi, più che una domanda, il mio è un ringraziamento agli auditi, per quello che fanno e per la relazione che ci hanno fornito. Rinnovo pertanto i ringraziamenti, chiedendo loro ancora un po' di disponibilità nei prossimi giorni. Appena gli altri colleghi ci forniranno le domande, noi le inoltreremo alle associazioni qui presenti e cercheremo, infine, di fare un lavoro comune, non soltanto in vista del documento conclusivo, ma anche per il futuro. Se siamo d'accordo così, ringrazio nuovamente i nostri ospiti per essere stati presenti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.45.