XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 3 ottobre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGGE 15 MARZO 2010, N. 38, IN MATERIA DI ACCESSO ALLE CURE PALLIATIVE E ALLA TERAPIA DEL DOLORE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'AMBITO PEDIATRICO.

Audizione di rappresentanti della Società italiana di pediatria (SIP), della Federazione italiana medici pediatri (FIMP) e dell'Associazione culturale pediatri (ACP).
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Pession Andrea , referente societario per le cure palliative e componente della Commissione Bioetica della Società italiana pediatri (SIP) ... 3 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 5 
Flori Valdo , segretario alla presidenza nazionale della Federazione italiana medici pediatri (FIMP) ... 5 
Reali Laura , componente della segreteria «Dolore e cure palliative» e referente per la formazione dell'Associazione culturale pediatri (ACP) ... 6 
Cutrera Renato , presidente della Federazione italiana delle associazioni e società scientifiche dell'area pediatrica (FIARPED) ... 8 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 9 
Trizzino Giorgio (M5S)  ... 9 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 10 
Tiramani Paolo (LEGA)  ... 10 
Siani Paolo (PD)  ... 10 
Pagano Ubaldo (PD)  ... 11 
Novelli Roberto (FI)  ... 11 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 11 
Pession Andrea , referente societario per le cure palliative e componente della Commissione Bioetica della Società italiana pediatri (SIP) ... 11 
Cutrera Renato , presidente della Federazione italiana delle associazioni e società scientifiche dell'area pediatrica (FIARPED) ... 12 
Flori Valdo , segretario alla presidenza nazionale della Federazione italiana medici pediatri (FIMP) ... 13 
Reali Laura , componente della segreteria «Dolore e cure palliative» e referente per la formazione dell'Associazione culturale pediatri (ACP) ... 13 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 10.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Società italiana di pediatria (SIP), della Federazione italiana medici pediatri (FIMP) e dell'Associazione culturale pediatri (ACP).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge 15 marzo 2010, n. 38, in materia di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, con particolare riferimento all'ambito pediatrico, l'audizione di rappresentanti della Società Italiana di pediatria (SIP), della Federazione italiana medici pediatri (FIMPP) e dell'Associazione culturale pediatri (ACP).
  Sono presenti per la Società italiana di pediatria il professor Renato Cutrera, presidente della Federazione italiana delle associazioni e società scientifiche dell'area pediatrica, direttore dell'Unità operativa di broncopneumologia dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, il professor Andrea Pession, referente societario per le cure palliative e componente della Commissione Bioetica della SIP, professore ordinario di pediatria presso l'Università di Bologna, per la Federazione italiana medici pediatri il dottor Valdo Flori, segretario alla presidenza nazionale, per l'Associazione culturale pediatri la dottoressa Laura Reali, componente della segreteria «Dolore e cure palliative» e referente per la formazione della ACP.
  Pregherei i nostri ospiti di contenere gli interventi entro i dieci minuti, per dare modo ai deputati di porre domande cui seguiranno le repliche dei soggetti auditi. Ricordo inoltre che ciascun soggetto audito può consegnare un documento scritto alla segreteria di Commissione o farlo pervenire successivamente. Tali documenti saranno resi disponibili ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Do quindi la parola al professor Pession, referente societario per le cure palliative e componente della Commissione Bioetica della SIP.

  ANDREA PESSION, referente societario per le cure palliative e componente della Commissione Bioetica della Società italiana pediatri (SIP). Grazie, presidente. Innanzitutto ringrazio di questa opportunità che vede coinvolta la SIP e quindi tutte le società scientifiche affiliate.
  Io nasco come oncoematologo. Alla fine degli anni Settanta gli oncologi ed ematologi pediatri erano tutti palliativisti, 9 pazienti su 10 morivano entro tre mesi dal ricovero e nulla potevamo fare se non assicurare una buona qualità di vita. Oggi, a distanza di quarant'anni 9 pazienti su 10 per tumore guariscono, quindi solo in un caso su 10 devono affrontare il calvario della recidiva e spesso del fine vita.
  Questi pazienti per noi erano il prototipo dei pazienti eleggibili alle cure palliative, è passata tantissima acqua sotto quei ponti e oggi i pazienti oncologici rappresentano solo il 20 per cento di quella quota Pag. 4di pazienti. Il resto sono pazienti con malattie croniche.
  Oggi la medicina ha come orizzonte sfidante la cronicità, cioè i malati che nel tempo riescono a sopravvivere grazie alle tecnologie e agli interventi di una medicina e di un Servizio sanitario nazionale, che riesce, nonostante tantissime difficoltà, ad assicurare una sopravvivenza a questi soggetti, che, affetti da cinque categorie di malattie, sono considerati eleggibili alle cure palliative pediatriche.
  C'è una grande difficoltà da parte degli operatori a capire quando un paziente diventa eleggibile, e, mentre nell'adulto il paziente è eleggibile quando si avvicina il fine vita e quindi in hospice si va a morire, le cure domiciliari alleviano il dolore e niente altro, per il bambino questa prospettiva di lento avvicinarsi del fine vita è molto più lunga, molto più complessa, e si declina su un soggetto che intanto continua a svilupparsi e a crescere, un soggetto quindi che i palliativisti dell'adulto non conoscono (ecco perché le cure palliative sono riconosciute come peculiari anche in età pediatrica).
  In questo senso devo dire che la legge n. 38 del 2010 è una grandissima legge, che mette il nostro Paese rispetto al resto del mondo, come per il servizio sanitario che riconosce la peculiarità dell'età pediatrica, veramente all'avanguardia. È difficile dire in questa sede quanti sono i bambini che si dovrebbero giovare delle cure palliative, avrebbero bisogno delle cure palliative, perché in rapporto ai criteri di eleggibilità io posso definire questo numero: quelli che la letteratura anglosassone chiama pazienti cronici o cronici complessi, quelli che noi chiamiamo con un termine desueto disabili, che sono eleggibili alle cure palliative, in Italia oggi vanno dai 12.000 ai 15.000.
  C'è questa legge, ma purtroppo non è ancora sufficientemente applicata. Lo dico perché sono pochi gli hospice, sono 4 quelli costituiti, ma solo uno costituito a regola d'arte nell'ambito di una rete regionale, e sono molti i modelli delle regioni. Purtroppo il nostro Servizio sanitario nazionale anche su questi temi è diventato regionale e quindi (lo dico da componente del Comitato di bioetica della SIP e allegherò nella memoria il documento del Comitato) crea disparità nell'applicazione di questa legge sul territorio nazionale.
  L'altro problema è che le risorse andrebbero allocate in network. I prossimi saranno gli anni non della medicina ospedaliera, ma della medicina del territorio in rete, cioè si dovrà andare all’hospice quando c'è bisogno di fare ricoveri di sollievo, quando c'è bisogno di mettere a punto la terapia del dolore, per il resto si dovrà rimanere a casa. Per attuare pienamente questa legge c'è bisogno di grandi reti e di un monitoraggio continuo da parte dell'osservatorio istituito con la legge n. 38 delle attività che sono svolte.
  Un'ultima cosa di cui devo parlare per il mio ruolo di professore dell'Università di Bologna e comunque di professore universitario è il tema della formazione. Non c'è dubbio che oggi in Italia molti, anche tra noi, parlano di cure palliative e noi sorridendo diciamo che non sanno di cosa parlano, perché non ricevono una formazione specifica.
  Oggi noi abbiamo chiesto e ottenuto dal MIUR che un credito formativo pre laurea sia dedicato a preparare tutti i laureati in medicina, la stessa cosa sarà per i laureati in scienze infermieristiche e per gli psicologi, e occorrerà farlo anche per altri operatori, così tutti sapranno cosa sono le cure palliative quando arrivano a laurearsi.
  Poi c'è il problema della formazione post laurea, perché l'ordinamento delle scuole di specializzazione (il professor Lenzi ce lo ricorda in tutte le sedi) è una forzatura rispetto alla normativa europea, perché l'indirizzo in cure palliative che i pediatri possono scegliere nell'ultimo biennio (abbiamo una scuola di 5 anni, 3 anni più 2 ad indirizzo, che può essere anche in cure palliative pediatriche) non è professionalizzante, è solo un titolo curricolare. Nessuno chiede quindi all'operatore di avere quel titolo per lavorare nelle cure palliative, è solo un titolo di carattere curricolare.
  La formazione non si deve estinguere nella formazione universitaria, è necessario applicare quello che la legge prevedeva e Pag. 5che in alcune regioni (la nostra specificatamente, ma so che il Veneto, la Liguria e altre regioni sono partite) è stato realizzato, perché c'è bisogno di una formazione continua che gli operatori fanno.
  So bene che, tempo che i laureati in medicina che hanno fatto il corso, che hanno il credito sulle cure palliative, che hanno fatto l'esame arrivino ad una specialità e lo superino, parliamo di una generazione che arriverà ad essere operativa tra 8-10 anni, invece abbiamo bisogno di medici per attivare queste reti.
  Spero di essere più preciso nella mia memoria, che offrirà anche i riferimenti legislativi di queste mie considerazioni.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Pession, è stato molto preciso. Do ora la parola al dottor Valdo Flori, segretario della Federazione Italiana Medici pediatri (FIMP).

  VALDO FLORI, segretario alla presidenza nazionale della Federazione italiana medici pediatri (FIMP). Grazie dell'invito perché mi dà l'opportunità di portare il punto di vista del pediatra di famiglia (sono un pediatra di famiglia, quindi lavoro sul territorio) e di individuare le criticità nell'applicazione.
  Condivido pienamente le considerazioni del professor Pession, perché sono aspetti basilari importanti, a cominciare dalla peculiarità delle cure palliative pediatriche. Aggiungerei che, vista la tipologia clinica dei bambini inviati alle cure palliative, non solo la parte oncologica non è più predominante, le stesse durano anche molto nel tempo, perché riguardano patologie che non si limitano a un mese o a un anno, ma durano molto. C'è quindi un impegno fortissimo dal punto di vista non solo della terapia, ma anche assistenziale nel territorio, perché il problema grosso è quello.
  Sinceramente abbiamo avuto poco tempo per fare una ricerca completa, però conosciamo la situazione e abbiamo fatto alcune indagini per sapere cosa succede nel territorio. Ovviamente la problematica della formazione riguarda la formazione base, perché la formazione non è solo di laurea, non è solo di specializzazione, ma è la formazione di percorso; molti operatori delle cure palliative non sono pediatri, non hanno mai avuto una formazione pediatrica, molti sono palliativisti dell'adulto, non nascono nell'ambito pediatrico.
  Un'altra cosa importante è scindere le cure palliative dalla terapia del dolore, perché altrimenti facciamo un errore e individuiamo la terapia del dolore e i percorsi sul dolore solo nelle cure palliative. Il dolore in pediatria deve invece essere affrontato indipendentemente dalle cure palliative, e qui c'è un altro problema di applicazione, perché ci si trova in situazioni in cui i protocolli, che sono scarsissimi e solo post operatori, non tengono conto di tante metodiche e di tante tipologie di dolore che il bambino fin dai primi anni deve sopportare.
  Faccio un excursus molto veloce su quanto indicato nelle finalità del programma dell'indagine conoscitiva. Tutte le regioni hanno recepito la legge n. 38, quindi non c'è una regione inadempiente su questo, però il problema è stato poi nell'applicazione, nell'attuazione pratica di quanto deliberato (parlo dal punto di vista del territorio), quindi anche in regioni che si sono attivate attuando dei percorsi importanti non c'è stato un riscontro pratico.
  Per esempio il coinvolgimento dei pediatri di libera scelta nell’iter applicativo è stato molto sporadico, in alcune regioni c'è stato, sono stati coinvolti nei gruppi di coordinamento regionale, ma all'interno del gruppo di coordinamento regionale, che non è quello che attua il percorso, ma quello che dà le direttive del percorso a livello delle varie aziende, se manca il pediatra di famiglia, si configura una carenza. Il problema importante delle cure palliative, infatti, come ha detto bene il professor Pession, è quello di superare la logica degli hospice e avere come obiettivo la gestione domiciliare delle cure palliative. Rispetto a questo obiettivo ci sono due criticità forti, una è quella di fare acquisire un ruolo di importante di interlocutore Pag. 6 al pediatra di famiglia, quello più a contatto con la famiglia e in grado di coordinare i vari interventi, l'altra è l'attuale mancanza nel territorio di personale paramedico che possa attuare una terapia al bambino a domicilio.
  Non possiamo pensare infatti che la cura palliativa possa essere attuata con un'attività assistenziale programmata, per esempio due ore la mattina e due ore il pomeriggio, perché riguarda soggetti che hanno bisogno di interventi anche telefonici, La reperibilità telefonica spesso manca, per cui se come genitore o pediatra di famiglia ho un problema e non so a chi rivolgermi, mi trovo disarmato, quindi il bambino viene riportato in ospedale. Questa è una lacuna importante, perché con gli strumenti adeguati posso gestire nel territorio gran parte delle situazioni.
  Un altro problema riguarda la programmazione di eventi formativi per quanto riguarda i pediatri di libera scelta. In questi giorni ho posto delle domande ai miei colleghi delle varie regioni e qualcuno ha detto «boh, no», qualcuno «sì, ne ho sentito parlare», ma non c'è stato un intervento formativo regionale inserito nella formazione obbligatoria che i pediatri devono svolgere annualmente secondo quanto previsto dalla convenzione. In alcune regioni sono state fatte delle attività di formazione a distanza (FAD), ma purtroppo anche queste a volte si perdono; fare una FAD e limitarla ad una regione è uno spreco di risorse, perché rappresenterebbe uno strumento di cui tutti (operatori, medici, non medici) possono usufruire.
  Sul trattamento del dolore indipendentemente dalle cure palliative forse c'è stata una maggiore formazione, ma è stata una formazione a latere dei vari congressi e corsi autogestiti, non una formazione strutturata, per esempio non sono stati dati indicazioni o protocolli specifici, al di là di quelli post operatori, del trattamento del dolore e dei farmaci da utilizzare, perché purtroppo anche quello dei farmaci è un altro problema soprattutto sul territorio.
  Oggi, infatti, non ho più farmaci per il dolore medio-lieve, ma ho farmaci per il dolore lieve, i FANS, oppure farmaci per il dolore medio-alto, gli oppioidi, su cui, nonostante la legge abbia aperto anche alla prescrivibilità con il ricettario normale, che era un altro handicap importante, c'è ancora una certa resistenza al trattamento, considerando poi che molti di questi farmaci devono essere usati off-label perché non hanno indicazioni come farmaci per l'età pediatrica, per cui c'è anche questo aspetto da definire.
  Come Federazione italiana medici pediatri per migliorare l'applicazione della legge n. 38 cosa suggeriamo? Innanzitutto, nelle regioni dove non lo sono stati, istituire gruppi interdisciplinari di coordinamento regionale con la presenza stabile di un pediatra di famiglia che possa portare le proprie indicazioni, costituire inoltre all'interno di tutte le aziende gruppi interdisciplinari aziendali che devono attuare le direttive regionali e definire percorsi assistenziali ben precisi per chi fa cosa all'interno delle cure palliative, quindi il ruolo del pediatra, il ruolo del palliativista, il ruolo dell'ospedale.
  Evitare se possibile l'accentramento delle cure palliative in grossi centri regionali, perché il paziente ha il diritto di essere vicino al proprio domicilio, quindi è impossibile che l'ospedale periferico non sia in rete con l'ospedale centrale, che deve fare ovviamente da centro di riferimento, ma la gestione del paziente deve essere a livello periferico, e occorre soprattutto implementare la formazione delle figure professionali che agiscono all'interno delle cure palliative, oltre che definire percorsi diagnostico-differenziali e terapeutici per la terapia del dolore al di fuori delle cure palliative.

  LAURA REALI, componente della segreteria «Dolore e cure palliative» e referente per la formazione dell'Associazione culturale pediatri (ACP). Parlo come rappresentante di una piccola associazione di pediatri di valenza nazionale che si dedica da sempre alla formazione e ha un particolare interesse nella terapia del dolore Pag. 7e delle cure palliative con studi pubblicati sin dagli anni Duemila.
  Personalmente sono nata emato-oncologa pediatra e poi sono passata alla pediatria di famiglia, mi occupo specificatamente di formazione e in particolare faccio parte di una scuola di formazione in cure palliative e terapia del dolore. Ci tengo anch'io ad unirmi ai colleghi per sottolineare che la legge realizzata, la legge n. 38, è un'ottima legge, il mondo ce la invidia, l'OMS la indica come modello da seguire.
  È una legge particolarmente innovativa, perché è nata dall'analisi dei bisogni dei pazienti, una modalità che nella produzione di leggi in sanità era innovativa. Questa legge ha sicuramente stabilito degli aspetti che vanno mantenuti e ricordati, a cominciare dalla peculiarità del bambino. Un bambino che ha bisogno di terapia del dolore e cure palliative non è un adulto, basti pensare alle esigenze diverse di un prematuro, di un neonato, di un bambino piccolo, di un adolescente, sono mondi diversi con esigenze e bisogni diversi.
  Questa legge tiene anche conto dell'importanza della famiglia, perché la responsabilità della care resta alla famiglia, e questo è anche un mandato delle cure palliative. La famiglia va sostenuta, va aiutata, va educata, va informata, e tutto questo la legge lo prevede in maniera declinata chiaramente e sinteticamente.
  Nella legge era previsto che le reti dell'adulto e del bambino fossero separate nel rispetto della peculiarità, e che fossero separate le reti del dolore e delle cure palliative, perché 15.000 bambini hanno bisogno di cure palliative, e, se consideriamo anche gli altri che hanno bisogno di terapia del dolore (parlo non solo del dolore grave ospedaliero chirurgico, ma anche del dolore quotidiano dell'ambulatorio del pediatra di famiglia) arriviamo a 30.000 bambini, e tutti questi vanno seguiti.
  L’hospice nella legge rappresentava lo snodo, non l’hospice dell'adulto, che è un posto dove si va a morire, l’hospice dove il bambino viene accompagnato e che diventa un tramite tra le esigenze della famiglia e del bambino, esigenze di scuola, di lavoro dei genitori, di quotidianità, e le esigenze della terapia del bambino.
  Tutto questo con un concetto di ospedale che vorrei definire «liquido», nel senso che il bambino va seguito a casa, è l’équipe che eventualmente si sposta e (in questo la legge era molto chiara) il pediatra di famiglia ha il ruolo centrale di snodo per gestire a casa il bambino, chiaramente per quello che è nelle sue competenze, mentre l'urgenza, l'emergenza o la situazione grave, avendo un’équipe che lo supporta, può essere gestita o a domicilio o nell’hospice.
  Tutto questo costa meno (questo non mi sembra irrilevante), si riducono i costi facendo così e ci sono le dimostrazioni nelle realtà in cui questo è stato fatto, come ad esempio in Veneto e in Emilia-Romagna. Considerate tutto questo a fronte del fatto che oggi, a quasi dieci anni dalla legge, solo il 5 per cento dei bambini ha reale accesso a queste cure e per 30.000 bambini ipotetici ci sono solamente 4 hospice pediatrici, uno perfettamente funzionante, gli altri con 5-10 posti letto; a fronte di queste richieste si evidenzia che qualcosa non va.
  Perché si è bloccata l'applicazione di questa legge? È partita la formazione dei formatori, è stata prodotta documentazione con profusione di grande impegno ed expertise, sono stati fatti vari corsi, è stata formata buona parte di formatori, ma poi non si è andati avanti.
  Questa applicazione a macchia di leopardo causa quindi un ulteriore problema, un bambino che nasce in una regione che non ha applicato questa legge non ha gli stessi diritti riconosciuti di un bambino che nasce in un'altra regione, eppure la Costituzione, all'articolo 32, vieta tutto questo. Io lavoro in una regione, il Lazio, in cui la formazione obbligatoria, cui giustamente faceva riferimento il collega Flori, non è mai partita, per cui noi pediatri di famiglia nella nostra regione la facciamo autonomamente.
  Se una formazione parte da esigenze personali, è difficile pensare, nonostante ci sia 1 credito nella formazione pre Pag. 8laurea, che nel post laurea la formazione su base personale garantisca quella disponibilità e quella competenza che riteniamo assolutamente necessarie per questo tipo di bambini.
  Secondo l'ACP è molto importante che riparta la formazione in maniera organizzata, in termini di legge, centrale, con declinazione in tutte le regioni, che, secondo l'organizzazione della legge, dovrebbero fornire i dati di quanto hanno fatto in materia. L'Osservatorio ha raccolto i dati in materia di informazione ricaduta nella popolazione sulla legge e sono dati sconfortanti, solo il 7 per cento la conosce, in gran parte laureati, mentre chi ha la miglior health literacy ha meno bisogno di questi servizi. Nella legge c'è un'altra parte estremamente importante, l'informazione ai cittadini. Erano previste campagne informative, sociali, tramite i media, tutto questo è stato fatto un anno dopo la legge, dopodiché se ne è persa la notizia, quindi le famiglie non sanno di quali servizi potrebbero far uso e i pediatri di famiglia, i medici di medicina generale non adeguatamente formati non sanno a chi rivolgersi e fanno un cattivo uso del pronto soccorso. Tutto questo potrebbe essere risparmiato e risolto semplicemente seguendo la legge.
  È evidente che c'è un contesto politico-organizzativo piuttosto farraginoso, per cui l'applicazione regionale di normativa nazionale è complessa in Italia, però la buona volontà è in grado di superare tutto questo e la semplificazione potrebbe portare a rispondere a un bisogno assolutamente sentito. Considerate che per ogni bambino che ha una patologia di questo tipo (in questo momento penso particolarmente al dolore cronico e alle cure palliative) ci sono almeno 300 persone che ruotano intorno a lui, c'è una famiglia che nella metà dei casi scoppia, c'è una mamma che perde il lavoro e c'è un papà che è costretto a cambiarlo perché non sa più come gestire il figlio, quindi dobbiamo muoverci.

  RENATO CUTRERA, presidente della Federazione italiana delle associazioni e società scientifiche dell'area pediatrica (FIARPED). Solo tre minuti, presidente, perché i miei colleghi sono pediatri di famiglia, il professor Pession ha grande esperienza in campo oncologico ed è professore universitario, io sono un semplice ospedaliero anche se di un ospedale di terzo livello e vorrei parlare velocemente dei pazienti.
  Il professor Pession ha parlato dei pazienti, ma il vero problema non è la legge, che è bellissima, è il nome, «palliative», perché se chiedo a un uomo per la strada cosa significa palliative quello pensa al malato terminale, e forse tutti ci pensiamo.
  I miei colleghi palliativisti dell'adulto mi dicono che un paziente adulto che entra in hospice ha un'aspettativa di vita di 15 giorni, noi parliamo di altro riguardo ai bambini. I nostri bambini sono medicalmente complessi, possono essere attaccati a un ventilatore, avere una tracheotomia, mangiano con una gastrostomia, spesso assumono cinque o sei farmaci antiepilettici e qualche volta, nei casi più gravi, hanno anche una cistostomia.
  Questi pazienti non devono stare in ospedale, devono stare sul territorio, ma immaginate cosa succede a una famiglia innanzitutto, come diceva la dottoressa Reali, ma anche al medico di famiglia, al pediatra che lo deve assistere.
  Tutto questo in Italia non è che non avviene (ci mancherebbe altro, siamo una nazione civile), ma, vi posso dire, poiché come ospedale dreniamo pazienti da tutto il centro-sud, che l'assistenza domiciliare in Italia esiste, però non è equa, non è giusta, è a macchia di leopardo.
  Anche nella stessa regione Lazio ho pazienti con la stessa patologia, con gli stessi bisogni assistenziali e il centro di assistenza domiciliare (CAD) dà ad uno 12 ore di assistenza infermieristica, a uno 6 e a un altro 4, perché manca la rete. Questo è il problema rilevante.
  L’hospice è una parte della rete, ci deve essere, e nei LEA è previsto, tutte le regioni stanno cercando di attivarli, ma dei 4 hospice che esistono in Italia solo uno ha le caratteristiche previste dalla legge, per gli altri 3 hanno previsto delle Pag. 9stanze dentro gli ospedali, e non va bene perché quelli non sono hospice, sono letti per la cura del dolore.
  I ricoveri in hospice per i bambini sono dovuti, per ricoveri educazionali io faccio uscire prima il bambino e la famiglia, lo metto in hospice dove c'è una struttura che addestra la famiglia e possibilmente il pediatra che lo avrà in cura per poterlo gestire a domicilio; c'è un ricovero di sollievo che non vuol dire morte, non vuol dire terminalità, vuol dire dare a una famiglia che ha un bambino così grave una settimana per andare a Disneyland insieme con gli altri figli, perché esistono anche gli altri figli.
  Io sono così lieto che questa Commissione che si chiama affari sociali abbia preso in esame questo problema, perché il problema è socio-sanitario, non è mai solo sanitario, non è un problema di tecnica, è un problema di assistenza e presa in carico. Ci vorrebbe (scusatemi, io non sono un tecnico, non sono un politico e non sono un legale) un difensore civico di questi bambini, un garante per l'infanzia, come c'è in Italia, ma locale.
  Vi faccio questo esempio velocissimo: mi chiama una ASL della regione Lazio e mi dice: «c'è una madre che ha 6 ore di assistenza domiciliare e ne vorrebbe 12, potrebbe venire a controllare?». Siamo andati a domicilio e questa povera madre, il cui marito ha perso il lavoro, non aveva risorse per sopravvivere, quindi voleva andare a lavorare però aveva bisogno di altre 6 ore altrimenti non poteva guadagnare. Quanto andava a guadagnare? 800 euro al mese. Quanto costano 6 ore di assistenza infermieristica per tutto l'anno a un bambino del genere? Migliaia di euro al mese. Se tutto questo non è socio-sanitario, che cos'è? Ho finito, grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Cutrera. Lascio la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, raccomandando loro la sintesi.

  GIORGIO TRIZZINO. Ringrazio i nostri ospiti perché ci mettono davanti al fatto compiuto. Io mi sono chiesto perché abbiamo deliberato queste audizioni, perché abbiamo voluto fare questa indagine conoscitiva su un tema quando purtroppo è noto e noi ben sappiamo quello che c'è nel nostro Paese. Abbiamo voluto avere conferma? Sì, l'abbiamo, soprattutto nell'ambito pediatrico dove esistono delle criticità ancora più profonde.
  Il tema della eleggibilità alle cure palliative pediatriche è certamente un tema centrale, perché individua un particolarissimo caso, quello di un bambino che, come giustamente hanno sottolineato, ha bisogni diversi da quelli di un adulto. Ecco perché la legge n. 38 distingue con esattezza le cure palliative pediatriche dalle cure palliative per adulti, dove nelle cure palliative pediatriche sono ricomprese entrambe le reti, sia quella del dolore che quella delle cure palliative, perché c'è un'esigenza diversa di sviluppo e di organizzazione.
  Voglio ricordare (vorrei che rimanesse nella nostra mente) quello che l'Organizzazione mondiale della sanità ci dice sulle cure palliative: siamo tutti noi inevitabilmente (attenzione all'aggettivo perché avrebbe potuto utilizzarne un altro come coinvolti o motivati) compromessi con i bisogni di questi malati, cioè non abbiamo via di fuga davanti a questa responsabilità che ci pone l'Organizzazione mondiale della sanità.
  Questa indicazione però ci mette davanti un tema importante. Certo, la formazione, perché per fare cure palliative, per essere un bravo terapista del dolore bisogna saperlo fare. Ma la domanda che io rivolgo ai nostri ospiti e chi è in grado oggi di formare nelle cure palliative pediatriche in Italia? Se noi oggi avessimo le risorse finanziarie per avviare domattina le reti, chi è in grado di voi pediatri di formare altri pediatri che facciano cure palliative pediatriche, voi in coscienza sareste nelle condizioni di farlo?
  Si è detto che bisogna evitare di concentrare nei Centri di riferimento regionale tutte le risorse, è vero, però oggi la legge n. 38 ci consegna questo obiettivo di costituire non soltanto gli hospice, ma Pag. 10anche i Centri di riferimento regionale nelle cure palliative pediatriche, che sarebbero il modo per concentrare quelle pochissime competenze che esistono in ogni regione. Non credo che tutte le regioni abbiano queste competenze, ma comunque è un minimo di risposta che si può dare, creando una rete negli spoke, negli ambulatori periferici, collegata quantomeno da un telefono.
  Noi oggi non abbiamo neanche questo, questi bambini muoiono spesso in reparti di terapia intensiva o subintensiva assolutamente inappropriati alle loro esigenze, e i genitori sono costretti a stare accanto ad altri bambini che guariranno in questi reparti totalmente inadeguati.
  Ci sono dei bisogni assistenziali di cui bisogna tener conto, non dobbiamo vedere l’hospice come il luogo della morte e questo vale anche per gli adulti, l’hospice è il luogo dove si vive, dove si vive bene fino all'ultimo istante, guai a metterci in testa l'idea che nell’hospice si muore, sarebbe l'errore più grossolano che possiamo fare per diffondere la cultura di queste strutture perché altrimenti, altro che il termine «cure palliative», le persone non vi andranno perché avranno paura. Noi dobbiamo invece spiegare cos'è un hospice.
  Avrei tante altre domande, ma le riservo per le successive audizioni che avremo nei prossimi giorni. Grazie ancora ai nostri ospiti.

  CELESTE D'ARRANDO. Sarò molto breve. Volevo ringraziare gli auditi, in particolare mi ha colpito l'ultimo intervento, perché come operatore socio-sanitario ma anche per la mia attività di volontariato nella mia «vita precedente» ho avuto la possibilità di avere contatti con persone malate, non con bambini fortunatamente perché non so se sarei riuscita a gestirlo dal punto di emotivo e psicologico, e credo che l'approfondimento che stiamo facendo sia importante, perché i bambini sono il futuro e non hanno scelto di vivere determinate condizioni ma ci si trovano.
  Soprattutto è necessario un supporto ai genitori, spesso spiazzati da una realtà che non riescono a gestire, da parte di chi conosce queste problematiche, quindi vi ringrazio per questo ulteriore approfondimento.

  PAOLO TIRAMANI. Ringrazio anch'io gli auditi e vorrei fare un ragionamento sulla scorta della nostra esperienza regionale.
  Arrivo da una regione, il Piemonte, dove gli hospice sono stati delegati a fondazioni, mentre in altre regioni come la Lombardia vengono anche appaltati ad aziende esterne. Questo per dire che gli hospice si occupano di tutto il servizio, anche delle cure domiciliari e palliative, mentre abbiamo un unico punto di riferimento regionale, il Regina Margherita, che fa da centro di riferimento.
  Parlo anche per esperienza personale perché mia moglie è psico-oncologa presso un hospice e dirottano queste situazioni nel centro di riferimento, sebbene le morfologie territoriali causino problematiche alle famiglie. La mia domanda, e la domanda che più volte anche le aziende sanitarie si sono poste, è se bisogna puntare su questi centri di riferimento visto che le fondazioni si occupano delle reti palliative territoriali, o non convenga piuttosto riservare un posto in hospice e in cure domiciliari su base territoriale, quindi una sorta di riserva, in maniera tale che si formi sempre meglio tutto il personale che compone lo staff delle cure palliative e si possa ragionare su base territoriale.

  PAOLO SIANI. Grazie del tempo che ci dedicate perché vorremmo provare a fare qualcosa in più per migliorare l'attuazione di questa legge. Capisco che ci vuole la formazione, quindi aiutateci a capire chi fa questa formazione.
  Ho capito che l’hospice serve, ma non basta, sappiamo che il problema è sociosanitario ed è molto pesante l'aspetto sociale, perché noi sappiamo in sanità cosa fare, è il contesto che ci dà qualche problema.
  Volevo sapere una cosa a cui avete appena accennato: mettete in atto la prevenzione del dolore nei reparti di pediatria Pag. 11? Se cominciamo a fare questo di routine (non è facile, io ci ho provato e non è una cosa semplice), poi le mamme sanno di averne diritto e ciò migliora la formazione e l'approccio al problema.
  Vi chiedo quindi se lo fate, come lo fate e come si possano aiutare anche i piccoli ospedali a fare la prevenzione del dolore. In pronto soccorso purtroppo la prevenzione del dolore è notoriamente all'ultimo posto tra le cose che fa il pediatra, a volte si fanno anche manovre dolorosissime (penso agli ortopedici) senza pensare che il bambino ha diritto come l'adulto a non soffrire.

  UBALDO PAGANO. Abbiamo audito persone che operano nel settore con un grande spirito di abnegazione, che con puntualità ci hanno spiegato quali sono stati i limiti della normativa vigente. Mi ha particolarmente colpito l'ultimo intervento, come diceva anche la collega D'Arrando, perché ha inquadrato nella sua poliedricità la questione che ci sta occupando.
  Mi pare di capire che il dottor Cutrera abbia denunciato una sperequazione all'interno delle aziende sanitarie della stessa regione, che non rende esigibile in maniera univoca un diritto, e che, al di là della creazione, della costituzione, della presenza di strutture a carattere residenziale, manchi un'adeguata rete di assistenza domiciliare in grado di accompagnare e integrare l'assistenza erogata all'interno delle strutture.
  Rispetto all'ultimo passaggio ritengo quindi che il tema fondamentale in tutta questa vicenda sia di carattere economico. Volevo capire se aumentare le risorse per l'assistenza domiciliare, magari finalizzandole, possa essere una soluzione.

  ROBERTO NOVELLI. Ringrazio gli auditi perché ascoltare dalle persone che operano nel settore considerazioni che rappresentano la realtà delle cose crea sempre una certa emotività, però volevo soffermarmi su un punto.
  È stato sottolineato come ci sia un problema di formazione, è stato sottolineato come ci sia un problema di preparazione, è stato sottolineato come ci sia una differenziazione geografica nell'applicazione di una norma sacrosanta, però credo che in questo contesto, visto che noi abbiamo l'obbligo di una visione globale e complessiva del sistema, si debba anche ricondurre una ricerca e un'osservazione in termini di responsabilità, perché le responsabilità in questo Paese purtroppo sono spesso effimere.
  Il Sistema sanitario nazionale che si fraziona nel sistema sanitario regionale, dove non trovano applicazione le norme che questo Paese si è dato, deve effettuare anche una ricerca di quelle che sono le responsabilità. Le responsabilità possono essere anche indirette, possono essere legate alla mancanza di fondi, anche a disattenzione o impreparazione dei direttori sanitari o dei direttori medici dei vari distretti piuttosto che delle aziende ospedaliere o sanitarie.
  Credo che noi dovremmo cercare di avere uno spaccato di quello che è il nostro Paese intra regionale ed extra regionale su questo argomento, visto che di questo argomento trattiamo, ma non solo su questo argomento, e poi in base a quello che ne ricaviamo capire come possiamo agire a livello centrale per cercare di aiutare a dare delle risposte, anche incidendo sulle responsabilità, sulle disattenzioni e sulle noncuranze.

  PRESIDENTE. Darei quindi la parola agli auditi per una breve replica.

  ANDREA PESSION, referente societario per le cure palliative e componente della Commissione Bioetica della Società italiana pediatri (SIP). Un commento sull'ultimo intervento. La nostra Commissione di bioetica è stata incaricata dalla SIP di stendere un documento che è disponibile (lo allegherò), da cui risulta che, insieme allo screening neonatale e alle cure delle terapie intensive neonatali, le cure palliative rappresentano il prototipo della distribuzione non equa sul territorio nazionale di un tipo di intervento.
  Credo che tocchi a me tentare di rispondere alla domanda dell'onorevole Trizzino, Pag. 12 che conosce più di me il sistema, le leggi e le disposizioni che regolano gli insegnamenti. Credo che ci siamo mossi bene nel mondo accademico, perché abbiamo stabilito che un credito formativo, che per noi significa otto ore, debba essere contenuto nell'ambito della medicina interna, perché nell'era post genomica, dove tutti sembrano avere il delirio della guarigione ad ogni costo e nonostante tutto, bisogna richiamare la necessità di una medicina della persona e per la persona, una medicina olistica, che tenga presente e che per la prima volta parli ai nostri studenti di medicina e chirurgia anche del dolore, della sofferenza, del fine vita, perché nelle nostre Facoltà non si insegna questa cosa.
  Questo quindi è un richiamo fondamentale, che sia stato messo all'interno della medicina interna per me come pediatra è un'ottima scelta.
  Chi insegna queste cose? Nelle scuole di specialità lo insegnano coloro che affrontano il tema della terapia del dolore e delle cure palliative nelle diverse sotto specialità, in indirizzi che saranno attivati in scuole che hanno sufficiente casistica.
  Come direttore di due corsi di alta formazione e di due master di secondo livello, cioè per medici, e di un master di primo livello per infermieri, che il Ministero dice che devono essere separati per rispettare le nostre leggi, ho imparato che sono molte le figure che devono insegnare questa cosa, sono i medici che conoscono le singole specialità, il personale infermieristico che declina i bisogni, gli specialisti dei diversi organi e apparati che sono chiamati a stabilire le regole dei limiti dell'accanimento e degli interventi necessari, i medici che noi abbiamo inserito, i pediatri di famiglia e anche i rappresentanti delle associazioni di volontariato che si occupano di questi bambini, quindi nei nostri master lo abbiamo fatto insegnare a tutti.
  Adesso il MIUR, come l'onorevole Trizzino sa, ci ha chiesto il profilo delle persone che devono insegnare le cure palliative in quel credito affidato alla medicina interna. Questa è una sfida che stiamo affrontando; spero che in pochi mesi il gruppo di lavoro e la commissione disegnino questi profili, ma credo che dobbiamo fare ogni sforzo per far insegnare a coloro che fanno prima ancora che a coloro che dicono di conoscere.

  RENATO CUTRERA, presidente della Federazione italiana delle associazioni e società scientifiche dell'area pediatrica (FIARPED). Molto velocemente perché l'argomento sarebbe enorme e vasto, credo che il Centro di riferimento regionale sia proprio la chiave. Vedo che molte regioni hanno attivato gli hospice, ma gli hospice senza il Centro di riferimento regionale diventano delle strutture contenitive, è qualcosa, ma noi dobbiamo domiciliare questi pazienti.
  La legge dice che il Centro di riferimento regionale ha compiti molto importanti, anche quello formativo, quindi all'interno del Centro di riferimento dovrebbe esserci un'unità di valutazione specialistica che valuta il bisogno del bambino e fa formazione pratica sul territorio.
  Si è parlato di aumento dei costi. Qui non si tratta di dare 12 o 24 ore di infermiere a tutti i bambini, qua si tratta di essere equi e giusti. Ogni regione con la propria organizzazione, chi in senso più privatistico, chi in senso più pubblico, dovrebbe avere delle norme. Devo dire che la regione Piemonte per i bambini ventilati a domicilio è stata pionieristica, ha fatto un documento bellissimo preso ad esempio da molti specialisti, che definisce quali sono le esigenze e i bisogni di un bambino che ha un ventilatore a domicilio.
  I centri di riferimento regionali dovrebbero supportare le regioni e dire loro: «guardate, signori, se un bambino ha questo bisogno più questo, più questo, ha diritto (diritto, non spesa) di avere queste prestazioni». In questo modo noi saremmo equi e daremmo a tutti quelli che hanno bisogno quello che si può dare con le risorse già disponibili. Questo è fondamentale.
  C'è un altro problema: è vero, ci sono le competenze delle regioni, ma ci vuole un network nazionale. Quando noi dimettiamo Pag. 13 un bambino dal Bambino Gesù e lo rimettiamo in Basilicata, in Calabria o qualche volta anche al nord, devo avere dei riferimenti normativi altrimenti mi devo confrontare con i regolamenti regionali di venti regioni, incluse quelle a statuto speciale, e ognuna ha il suo. C'è bisogno di qualcosa che possa dire a noi operatori che le norme sono queste e sono differenti, io le rispetto, però dobbiamo cercare di interloquire anche tra Centri di riferimento che attualmente non ci sono.
  L'onorevole Siani ha parlato di prevenzione e ha colto il vero problema, ma gli ospedali pediatrici (sicuramente il nostro, ma anche il Gaslini e molti altri) si sono accreditati a Joint Commission International, un'associazione promossa dai pazienti che negli Stati Uniti obbliga ad alcuni criteri minimi tutti gli ospedali. Uno di questi è che tutti i bambini devono avere una scala del dolore dal pronto soccorso fino alla terapia intensiva, le scale del dolore vengono scritte in cartella e, se ci sono diversi livelli, interviene il medico del posto senza arrivare all'Unità di terapia del dolore.
  Se questa semplice norma, che è quella di avere dei cartoncini con la faccia del bambino che è allegro oppure molto sofferente, venisse approvata in tutti i posti dove i bambini entrano e negli studi dei pediatri, sarebbe una cosa a costo veramente infinitesimale, ma che darebbe immediatamente una percezione del dolore. Attualmente questo avviene su base volontaria, secondo me dovrebbe essere una norma.
  Arrivo quindi all'ultimo punto che era quello della responsabilità. Giustissimo, ma la responsabilità secondo me deve essere a vari livelli, istituzionale, organizzativo con i Centri di riferimento regionale con annesso hospice, come dice la legge, non l’hospice da solo, e poi a livello personale dei singoli operatori.
  Chiaramente non parlo di altri aspetti che sono la transizione, perché questi bambini per fortuna diventano adulti e a chi li passiamo? La telemedicina, il telefono, ma certamente il mio sogno è che ci sia un centro semplice che possa ricevere le telefonate della mamma che ha un problema e venga deciso dove intervenire, se a domicilio, in hospice o in ospedale per i casi più gravi. Si può chiamare telemedicina? Allora cominciamo con il telefono.

  VALDO FLORI, segretario alla presidenza nazionale della Federazione italiana medici pediatri (FIMP). Due osservazioni. Una sempre sulla prevenzione del dolore, confermando quello che diceva il dottor Cutrera, cioè che purtroppo è lasciata come atto volontario e questo dobbiamo definirlo bene.
  Come dicevo nella mia presentazione, c'è una carenza di protocolli che possano definire bene le attività da mettere in atto nelle varie procedure, anche le più banali (penso alle vaccinazioni nell'ambulatorio del pediatra di famiglia che si fanno quotidianamente). Sono cose banalissime da fare, perché non c'è bisogno neanche di farmaci, sono più atteggiamenti da tenere, e soprattutto dobbiamo avere la consapevolezza che devono essere condivise e quindi portate alla conoscenza di tutti.
  Cure domiciliari o hospice non devono essere alternative, c'è l'obbligo di effettuare percorsi che devono essere contestualizzati nel territorio per sapere quando, chi e come indirizzare all’hospice o alle cure domiciliari, cercando di dare nel prossimo futuro a seconda delle risorse disponibili una preferenza per le cure domiciliari, perché è quello l'obiettivo migliore per le famiglie per tutte le problematiche che ci sono intorno.

  LAURA REALI, componente della segreteria «Dolore e cure palliative» e referente per la formazione dell'Associazione culturale pediatri (ACP). Solo una piccola puntualizzazione perché le domande sono state tutte molto belle e pregnanti e le risposte assolutamente congrue. Volevo puntualizzare solo questo aspetto: il mio riferimento all'ospedale liquido non era un'alternativa rispetto al modello hub and spoke che prevede la legge, è semplicemente la declinazione in ambito territoriale. Pag. 14
  Laddove esista, come forse in una regione esiste, un Centro regionale che veramente funziona e che declina i bisogni, laddove esista lo spoke territoriale, aziendale o come lo si vuole declinare, sul territorio il bambino viene assistito dal pediatra di famiglia (dal medico di medicina generale se è un adulto) sulla base di criteri, di protocolli, di definizioni ben precise, ma che vengono poste possibilmente al letto del paziente. Laddove questo non sia possibile, andrà all’hospice.
  Quella liquidità riguarda quanto il territorio può gestire per la sua parte l'aspetto dello spoke di questo modello, che tale resta, ma è molto importante che i protocolli ci siano, perché ogni bambino ha le sue esigenze e come pediatra a casa di quel bambino devo sapere quali sono le sue richieste respiratorie, gastroenterologiche e così via, che sono diverse da quelle di un altro bambino.
  La formazione del singolo pediatra per quel bambino e per quella famiglia diventa quindi fondamentale.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il contributo che ci hanno dato e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.05.