XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 6 febbraio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI FONDI INTEGRATIVI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Audizione di rappresentanti dell'Agenzia delle entrate.
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Ariete Camilla , capo settore fiscalità e ... 3 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 5 
Ariete Camilla , capo settore fiscalità e ... 5 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 5 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE-SI)  ... 5 
Lapia Mara (M5S)  ... 6 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 6 
Ariete Camilla , capo settore fiscalità e ... 6 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE-SI)  ... 7 
Ariete Camilla , capo settore fiscalità e compliance delle persone fisiche dell'Agenzia delle entrate ... 7 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 7 

Audizione di rappresentanti del Centro Studi investimenti sociali (CENSIS):
Lorefice Marialucia , Presidente ... 8 
De Rita Giorgio , segretario generale del CENSIS ... 8 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 9 
De Rita Giorgio , segretario generale del CENSIS ... 9 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 9 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE-SI)  ... 9 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 10 
Siani Paolo (PD)  ... 11 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 11 
De Rita Giorgio , segretario generale del CENSIS ... 11 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 12 

Audizione di rappresentanti di Cittadinanzattiva e dell'Associazione difesa consumatori e ambiente (ADICONSUM):
Lorefice Marialucia , Presidente ... 12 
Moccia Francesca , vicesegretario generale di Cittadinanzattiva ... 12 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 14 
Gabriele Luigi , rappresentante dell'ADICONSUM ... 14 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 16 
Lapia Mara (M5S)  ... 16 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE-SI)  ... 16 
Sarli Doriana (M5S)  ... 17 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 17 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 17 
Moccia Francesca , vicesegretario generale di Cittadinanzattiva ... 17 
Gabriele Luigi , rappresentante dell'ADICONSUM ... 19 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 19 

Allegato 1: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'Agenzie delle entrate ... 20 

Allegato 2: Documentazione consegnata dai rappresentanti di ADICONSUM ... 31

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero-Sogno Italia: Misto-MAIE-SI;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 12.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Agenzia delle entrate.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, di rappresentanti dell'Agenzia delle entrate.
  Saluto le nostre ospiti, ringraziandole per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna. Sono presenti per l'Agenzia delle entrate Camilla Ariete, capo settore fiscalità e compliance delle persone fisiche, direzione centrale persone fisiche, lavoratori autonomi ed enti non commerciali della divisione contribuenti; Patrizia Russo, capufficio consulenza e imposte dirette del settore fiscalità e compliance delle persone fisiche della medesima direzione, e Carla Coppola, funzionario della divisione contribuenti.
  Pregherei le nostre ospiti di contenere il proprio intervento entro sette minuti, per dare modo ai deputati di porre delle domande, cui seguirà la replica. La documentazione consegnata sarà pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Do quindi, la parola alla dottoressa Ariete per lo svolgimento della sua relazione.

  CAMILLA ARIETE, capo settore fiscalità e compliance delle persone fisiche dell'Agenzia delle entrate. Signor presidente, signori onorevoli commissari, ringraziamo per l'opportunità offerta di illustrare taluni aspetti sui fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, che coinvolgono direttamente l'attività dell'agenzia e che riguardano in particolare l'applicazione delle agevolazioni fiscali previste per la contribuzione ai predetti fondi.
  Nel Testo unico delle imposte sui redditi, che di seguito nominerò «TUIR», sono infatti previste specifiche disposizioni che consentono la deduzione, detrazione o esclusione dal reddito dei contributi versati ai fondi negativi del Servizio sanitario nazionale, dei contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore a enti e casse aventi esclusivamente fine assistenziale e dei contributi associativi versati dai soci alle società di mutuo soccorso.
  Con riferimento ai contributi versati ai fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 10 del TUIR, sono deducibili dal reddito complessivo tutti i contributi versati ai fonti sanitari integrativi, istituiti o adeguati ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992.
  Non mi soffermo, atteso il poco tempo a disposizione, sulla tipologia delle prestazioni che possono essere erogate, che sono individuate dai commi 4 e 5 del citato articolo 9. Anche il decreto ministeriale del 31 marzo 2008 ha ulteriormente definito altri ambiti di intervento.
  I contributi versati ai fonti integrativi sono deducibili per un importo annuo complessivamente non superiore a 3.615,20 euro. Pag. 4Alla determinazione della somma massima deducibile concorrono anche i versamenti eseguiti dai lavoratori dipendenti e assimilati, nonché dai loro datori di lavoro, agli enti e casse aventi esclusivamente fini assistenziali, così come i contributi di assistenza sanitaria versati nell'interesse dei familiari fiscalmente a carico ai sensi dell'articolo 12 del TUIR.
  Sulla base dei dati estrapolati dalle dichiarazioni dei redditi – mi riferisco al modello 730 e al modello redditi persone fisiche – negli anni 2016 e 2017 sono stati portati in deduzione i seguenti importi. Con riferimento all'anno 2016 il numero di dichiarazioni in cui sono stati compilati i righi relativi alla deduzione dei contributi di cui stiamo parlando è 88.674 e l'importo dei contributi dedotti nell'anno d'imposta 2016, invece, è 63.296.443 euro.
  Per quando riguarda, invece, l'anno d'imposta 2017 il numero di dichiarazioni con la compilazione dei righi relativi alla deduzione di tali contributi sono 65.111 e l'importo dei contributi dedotti è pari 51.113.233 euro.
  È rilevante in questa sede fare un richiamo non solo ai fondi integrativi sanitari, ma anche agli enti e casse aventi esclusivamente fine assistenziale.
  L'articolo 51, comma 2, lettera a), del TUIR, infatti, stabilisce che non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in esecuzione di contratti, accordi o regolamenti aziendali ed enti e casse aventi esclusivamente fine assistenziale che operino negli ambiti d'intervento stabiliti con il predetto decreto del Ministro della salute del 31 marzo 2008.
  L'importo che non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente è di ammontare non superiore complessivamente a 3.615,20 euro. Al fine del predetto limite massimo si tiene conto anche dei contributi versati per l'assistenza sanitaria ai fondi integrativi. Ecco perché c'è il richiamo agli enti di assistenza con fine esclusivamente assistenziale. Detti contributi non concorrono, nei limiti e alle condizioni previste, anche nel caso siano versati a favore dei familiari, sia carico che non a carico, (a differenza dei contributi versati ai fondi integrativi) del dipendente.
  Possono, invece, versare i contributi di assistenza sanitaria anche i pensionati, cioè gli ex lavoratori dipendenti, se tali casse consentono agli ex lavoratori di rimanervi iscritti anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, continuando a corrispondere in proprio il contributo previsto, senza alcun onere a carico del datore di lavoro. Tali contributi non concorrono alla formazione del reddito anche se versati da lavoratori in quiescenza, sempre che rispondenti alle previsioni di contratto, accordo o regolamento aziendale, stante l'equiparazione dei redditi da pensione ai redditi da lavoro dipendente.
  Sempre sulla base dei dati estrapolati dalle certificazioni uniche dei sostituti d'imposta per gli anni di imposta 2016 e 2017, non hanno concorso al reddito da lavoro dipendente o da pensione i seguenti contributi. Con riferimento all'anno d'imposta 2016 il numero di contribuenti presenti nelle certificazioni uniche per le quali è stato compilato il campo 441 della certificazione unica (i contributi dedotti) sono 5.480.351. L'importo dei contributi inseriti nelle certificazioni unica risultano pari a 10.511.155.679 euro.
  Riguardo all'anno d'imposta 2017, invece, il numero di contribuenti presenti nelle certificazioni uniche per i quali risultano questi contributi sono 6.696.640 e l'importo dei contributi indicati è di 11.052.024.920 euro. Dal momento che la lettura dei dati prende molto tempo, non vi riporto quelli riguardanti i lavorati in quiescenza.
  Inoltre, sono previste agevolazioni anche per la contribuzione alle società di mutuo soccorso.
  L'articolo 83, comma 5, del codice del Terzo settore disciplina e prevede un'apposita detrazione dall'imposta lorda dei contributi associativi versati dai soci delle società di mutuo soccorso che operano esclusivamente nei settori previsti dall'articolo 1 della legge n. 3818 del 15 aprile 1886, al fine di assicurare ai soci un sussidio nei casi di malattia, di impotenza al lavoro o di Pag. 5vecchiaia, ovvero nel caso di decesso un aiuto alle loro famiglie. La detrazione è pari al 19 per cento su un massimale di 1.300 euro.
  Ai sensi dell'articolo 1 di questa legge del 1886, le società di mutuo soccorso, che non hanno finalità di lucro, ma perseguono finalità di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà, possono svolgere, in favore esclusivamente dei soci e dei familiari conviventi, diverse attività. Mi soffermerei solo su quelle attività che possono essere svolte anche attraverso l'istituzione e la gestione dei fondi sanitari integrativi, cioè la finalità relativa...

  PRESIDENTE. Dottoressa Ariete, siccome siamo oltre i sette minuti e abbiamo la memoria scritta, le chiedo se si può soffermare solamente sugli aspetti che ritiene salienti.

  CAMILLA ARIETE, capo settore fiscalità e compliance delle persone fisiche dell'Agenzia delle entrate. Ecco perché c'è questo richiamo ai fondi integrativi.
  A questo punto, tralascio i dati. Fiscalmente la rilevanza principale è legata al fatto che, ai sensi dell'articolo 15 del TUIR, spetta una detrazione ai fini dell'IRPEF nella misura del 19 per cento sulle spese sanitarie sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti. Laddove, invece, queste spese mediche e di assistenza specifiche sono sostenute dai soggetti portatori di handicap è prevista la deducibilità dal reddito complessivo.
  Si considerano rimaste a carico del contribuente anche le spese rimborsate per effetto di contributi o premi di assicurazione da lui versati e per i quali non spetta la detrazione di imposta o che non sono deducibili al suo reddito complessivo né dai redditi che concorrono a formarlo. Si considerano così rimaste a carico del contribuente le spese rimborsate per effetto di contributi o premi che, pur essendo vessati da altri, concorrono a formare il suo reddito.
  In pratica, laddove questi contributi non hanno concorso alla determinazione del reddito da lavoro dipendente o per gli stessi contributi non si è fruito di una detrazione-deduzione, la spesa rimborsata può essere oggetto comunque di detrazione in sede di dichiarazione. Questa è la sostanza.
  Non si considerano rimaste a carico del contribuente, tra l'altro, le spese rimborsate a fronte di contributi per assistenza sanitaria prestati dal sostituto d'imposta o dallo stesso contribuente a enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale, in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale che, come precisato, fino a un importo di 3.615,20 euro, non hanno concorso a formare il reddito imponibile.
  Nell'ipotesi in cui i contributi versati risultino di ammontare superiore a tale importo, è possibile portare in detrazione o deduzione, oltre alla somma non rimborsata, anche una quota parte di quella rimborsata, calcolata sulla base di una percentuale risultante nel rapporto tra i contributi versati in eccedenza rispetto al limite dei 3.615,20 euro e il totale dei contributi versati. Lo stesso principio si applica anche nell'ipotesi di contributi associativi versati alle società di mutuo soccorso.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA CECCONI. Premesso che ovviamente sarà disponibile la relazione e potremo vedere tutti i numeri, vorrei avere un chiarimento per vedere se ho capito bene.
  Le persone fisiche che, senza contratto collettivo e, quindi, senza il passaggio aziendale o sindacale, si appoggiano alle associazioni di mutuo soccorso in maniera autonoma, sono, da quel che ho capito, molto poche, cioè 60.000-70.000, un numero eccessivamente ridotto, con un importo a detrazione di pochi milioni (50-60 milioni di euro).
  Quello che, invece, fa la parte del leone è tutta la parte aziendale di contratto collettivo. Mi pare di aver capito che l'importo che non va a tassazione ammonta a circa 10-11 miliardi di euro. Se ho capito bene, 10 miliardi di euro è quello che viene Pag. 6versato, mentre quello che poi verrà tassato su questi 10 miliardi sarà il 20-25 per cento, quindi il mancato gettito per lo Stato, che viene riversato nelle tasche dei cittadini, è sui 2,5-3 miliardi, se vogliamo andare a spanne.
  Dunque, ci state dicendo che queste detrazioni impattano sul bilancio, per una minore entrata, perché viene riversata nelle tasche dei contribuenti, per circa 3-4 miliardi di euro complessivi. Per avere un dato dall'Agenzia delle entrate molto a spanne, con l'accetta, si sta parlando di circa 3-4 miliardi di euro all'anno che potrebbero essere usati dallo Stato per riversarli in servizi per la collettività e, invece, vengono rimborsati direttamente ad aziende e a cittadini come detrazione fiscale o deduzione.
  Quelli che ci avete portato sono i dati esclusivamente delle persone fisiche, ossia i 730, e non quanto viene imputato all'azienda stessa come non tassato. C'è anche quell'aspetto che non ci avete illustrato. Magari nella relazione c'è, però non ce l'avete riportato. Rispetto alle persone fisiche, le aziende stesse, o i sindacati che fanno da tramite, che tipo di agevolazione hanno sulla tassazione relativa a quei versamenti?

  MARA LAPIA. Nel mese di marzo del 2018 l'Agenzia delle entrate ha emanato la circolare n. 5/E, per chiarire alcuni aspetti normativi, fiscali e contributivi riguardanti le quote destinate dall'impresa alla previdenza complementare, alla sanità integrativa, alle polizze assicurative e ai benefit di welfare aziendale.
  In particolare si chiariscono i regimi di tassazione per i premi di risultato, che in base alla scelta del lavoratore possono essere convertiti in benefit e misure di welfare. Al riguardo, le somme premiali destinate per scelta del lavoratore alla previdenza complementare non concorrono alla determinazione del reddito da lavoro dipendente.
  In merito alle somme del premio destinate alla sanità integrativa, c'è da sottolineare che le spese sanitarie possono essere detratte dal dipendente solo nella quota non rimborsabile dall'azienda e per quanto riguarda l'iscrizione del lavoratore a casse o fondi sanitari una delle precisazioni più importanti riportate nella circolare citata si riferisce al rispetto del principio di mutualità.
  L'Agenzia delle entrate ritiene, infatti, che non sia possibile usufruire del vantaggio fiscale nel caso in cui esista per ciascun iscritto dipendente una stretta correlazione fra quanto percepito dalla cassa a titolo di contribuzione e il valore della prestazione resa nei confronti del lavoratore o dei suoi familiari conviventi, al punto che la prestazione sanitaria sotto forma di prestazione diretta ovvero di rimborso della spesa, ove erogata, non possa comunque mai eccedere in termini di valore il contributo versato dal dipendente o dal suo datore di lavoro.
  In altre parole, le casse e i fondi sanitari che prevedono prestazioni di un valore mai superiore agli importi versati dai lavoratori non rispettano appieno il principio di mutualità e non danno diritto al pieno favore fiscale.
  Le domande sono queste. Vorrei sapere se sia possibile desumere, in relazione alle agevolazioni richieste, quale sia il numero dei lavoratori che abbiano scelto di destinare le somme premiali legate alla produttività alla previdenza complementare e quale sia l'entità complessiva in termini di oneri per lo Stato di tali scelte dei lavoratori.
  In secondo luogo, le chiedo in quale misura non risulta rispettato il principio di mutualità, come indicato dalla premessa, e quanto, invece, sia più diffusa l'erogazione da parte delle casse e dei fondi sanitari di prestazioni o rimborsi che eccedono o comunque non corrispondono al premio o al contributo versato dal lavoratore o dal suo datore di lavoro.

  PRESIDENTE. Do la parola per la replica alla dottoressa Ariete.

  CAMILLA ARIETE, capo settore fiscalità e compliance delle persone fisiche dell'Agenzia delle entrate. In riferimento alla prima domanda, in effetti, laddove per contratti aziendali è prevista una contribuzione a favore di questi fondi e casse da parte del Pag. 7datore di lavoro per il lavoratore, lo stesso datore di lavoro ha la possibilità, come impresa, a una deduzione di tali costi.
  Non abbiamo inserito tali dati nella relazione in quanto siamo stati chiamati in causa in merito alle persone fisiche, quindi abbiamo pensato che l'interesse fosse limitato al discorso delle persone fisiche e non con riflessi al datore di lavoro.
  Con riferimento alla seconda domanda, relativa ai contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore a enti e casse aventi esclusivamente fine assistenziale, in effetti l'Agenzia delle entrate con la circolare n. 5 del 2018 si è soffermata, tra l'altro, sulle prestazioni fornite dalle casse sanitarie aventi esclusivamente fine assistenziale in ragione della contribuzione versata dall'iscritto dipendente e dal datore di lavoro in suo favore.
  Sappiamo che questi fondi e casse operano sulla base di un criterio mutualistico, senza posizioni individuali degli iscritti e, conseguentemente, non è possibile differenziare le prestazioni erogate in dipendenza dei maggiori contributi versati, quindi non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente i contributi versati alle casse sanitarie che operano rispettando i principi di mutualità.
  Alcune perplessità erano sorte, al contrario, per tutte quelle ipotesi in cui esiste per ciascun iscritto dipendente una stretta correlazione tra quanto percepito dalla cassa a titolo di contribuzione e il valore della prestazione resa nei confronti del lavoratore o dei suoi familiari, al punto che la prestazione sanitaria, laddove viene erogata, non può comunque mai eccedere in termini di valore il contributo versato dal dipendente o dal suo datore di lavoro.
  Laddove il valore della prestazione resa dalla cassa sanitaria in favore del lavoratore è strettamente collegata all'importo del contributo versato da quest'ultimo, nel senso che nell'ipotesi di rimborso delle spese sanitarie il ristoro delle somme non può essere maggiore del contributo versato, l'Agenzia ha ritenuto con tale circolare precisare che in tali casi non possa trovare applicazione il vantaggio fiscale disposto dall'articolo 51, comma 2, lettera a), del TUIR. In tali ipotesi, resta ferma la detraibilità della spesa sanitaria rimborsata, proprio perché a monte non c'è.
  Al momento non abbiamo ancora tali dati, perché l'applicazione della norma, con la normativa di favore e con la trasformazione sui premi di risultato, è avvenuta solo a partire dal 2018.

  ANDREA CECCONI. Non sono un fiscalista e si capisce dal mio eloquio. Capisco con difficoltà. Faccio il 730 da solo, ma a più di quello non arrivo.
  Vi chiedo se potete – anche con calma, visto che l'indagine conoscitiva andrà avanti per un po’ – fornirci anche il dato sulle aziende, perché noi stiamo cercando di capire quanti soldi si possono prelevare da un ambito per metterli nel Servizio sanitario nazionale. Dire che il Fondo sanitario nazionale, invece di essere 115 miliardi, è 120 miliardi, perché spostiamo i soldi in maniera diversa, significa cambiare molto il panorama politico del Servizio sanitario nazionale pubblico, andando ovviamente a incidere sul privato, mutualistico od ONLUS che sia.
  Abbiamo capito che sono molti soldi dalla persona fisica. A questo punto ci manca il dato di quanti soldi sono, invece, dal punto di vista aziendale, se sono molti di più o se sono molti di meno, per avere...

  CAMILLA ARIETE, capo settore fiscalità e compliance delle persone fisiche dell'Agenzia delle entrate. I dati relativi alle dichiarazioni dei redditi sono tutti gestiti dal nostro partner tecnologico SOGEI, al quale chiederemo un'apposita estrazione dei dati in tal senso, relativamente ai redditi delle imprese.

  PRESIDENTE. Benissimo, allora vi chiediamo questa integrazione.
  Ringrazio i nostri ospiti per il loro contributo, autorizzando la pubblicazione l'allegato al resoconto stenografico della documentazione consegnata (vedi allegato 1), e dichiaro conclusa l'audizione.

Pag. 8

Audizione di rappresentanti del Centro Studi investimenti sociali (CENSIS).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del segretario generale del CENSIS, il dottor Giorgio De Rita, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione.
  Pregherei il nostro ospite di contenere il proprio intervento entro i sette minuti, per dare modo ai deputati di porre domande, alle quali seguirà la sua replica.
  Do la parola al dottor De Rita per lo svolgimento della sua relazione.

  GIORGIO DE RITA, segretario generale del CENSIS. Grazie di questa opportunità. Dato il tempo limitato, svolgo alcune velocissime considerazioni e poi naturalmente rispondo a ogni domanda.
  Il Sistema sanitario nazionale è stato uno strumento di inclusione sociale e di riduzione delle diseguaglianze, sia sul piano sociale sia soprattutto su quello territoriale, straordinario. Negli ultimi cinquant'anni la sanità pubblica è riuscita, non soltanto a raggiungere capacità di eccellenza medica e capacità di servizio allargato, ma soprattutto a svolgere bene la propria funzione di motore della riduzione della diseguaglianza, di motore dell'inclusione sociale e del recupero dello sviluppo sociale.
  Per una serie di ragioni oggi questo non è più possibile. Credo che le ragioni siano note. Basti guardare all'incremento della popolazione anziana. Oggi circa il 6 per cento della popolazione italiana ha più di ottant'anni, mentre vent'anni fa era meno del 4 per cento e fra vent'anni saranno oltre l'8 per cento. Questo è un dato noto e difficilmente negabile.
  La seconda considerazione è sul significativo incremento del numero delle persone non autosufficienti, cioè coloro i quali non riescono a svolgere le normali mansioni quotidiane senza un ausilio esterno. Oggi sono poco più del 6 per cento del totale della popolazione con più di sei anni, escludendo quindi i bambini più piccoli, e nel giro di una ventina d'anni sfioreranno il 10 per cento della popolazione italiana.
  Chiaramente la sanità nel suo complesso, pubblica e privata, si trova ad affrontare una sfida particolarmente complessa, per la crescita del numero delle persone anziane, che richiedono generalmente più cura, per la crescita delle persone non autosufficienti, per la crescita di patologie degenerative sempre più importanti e per un cambiamento sociale di cresciuta attenzione al tema della cura, al tema della prevenzione, al tema della capacità di ottenere una risposta nel tempo giusto e della libertà di poter scegliere la prestazione sanitaria, il medico e la struttura sanitaria che più si preferisce.
  La seconda considerazione riguarda la spesa privata. La spesa sanitaria privata è cresciuta tanto negli ultimi anni e continuerà a crescere inevitabilmente negli anni futuri. Consideriamo che oggi l'ultimo dato Istat disponibile è del 2016 e vediamo che la spesa annua privata è di 37,3 miliardi di euro. Le stime dicono che intorno al 2019-2020 arriveremo a superare la quota dei 40 miliardi di euro all'anno. Di questi 37 miliardi, oltre il 90 per cento sono sostenuti direttamente dalle famiglie.
  L'incremento della spesa privata determina un'amplificazione della diseguaglianza e un'amplificazione di quello che noi del CENSIS abbiamo chiamato il «rancore», il risentimento, la rabbia nei confronti del sistema sanitario nel suo complesso. Perché? Innanzitutto perché la spesa sanitaria privata colpisce di più le famiglie meno abbienti, per l'ovvia considerazione che incide su redditi più bassi e, quindi, costringe a comprimere altri consumi essenziali, ma anche perché oggettivamente l'incremento della spesa pesa di più sulle famiglie che hanno meno disponibilità economiche. L'ultimo dato dell'Istat ci dice che l'incremento negli ultimi cinque anni di spesa sanitaria per una famiglia il cui capo famiglia è un operaio è stato di 86 euro, l'incremento medio di spesa sanitaria di una famiglia il cui capo famiglia è un libero professionista o un imprenditore è stato di 80 euro. Dunque, non soltanto pesa sui redditi più bassi, ma è maggiore in termini assoluti.
  Questa diseguaglianza genera rancore, genera preoccupazione e l'incremento della Pag. 9spesa privata inevitabile, per le ragioni che ho detto prima, aumenterà e amplificherà questo rancore.
  Oggi, come è riportato anche nella documentazione della Commissione, cresce il numero di persone che rinunciano a prestazioni sanitarie necessarie. Le possiamo considerare naturalmente in modo diverso, i numeri sono diversi, però parliamo di circa 12-13 milioni di persone. Infatti, circa il 38 per cento della popolazione dichiara di aver contratto i propri consumi per sostenere spese sanitarie, circa 7 milioni di persone lo scorso anno hanno contratto debiti per sostenere spese sanitarie e circa 2 milioni hanno venduto un immobile o hanno dismesso immobilizzazioni finanziarie.
  Cresce il risentimento nei confronti del Sistema sanitario nazionale. Oggi il 38 per cento della popolazione italiana si dichiara in qualche modo insoddisfatto, arrabbiato o deluso dalla malasanità, dalla corruzione, dall'allungamento delle liste d'attesa. Naturalmente anche in questo caso le motivazioni sono tante, ma il fenomeno sociale diventa via via più importante.
  La diseguaglianza e il rancore attecchiscono, fino al punto che, come dimostra un'indagine che abbiamo fatto lo scorso anno, circa 13 milioni di persone in Italia dichiarano che è bene che ognuno si curi a casa propria. Quella che è stata una delle caratteristiche del sistema sanitario nazionale, cioè la possibilità di spostarsi da una regione all'altra, di fatto oggi spinge a dire «ognuno stia a casa propria» per un numero significativo e crescente di persone.
  Vengo alla terza considerazione. Questo doppio fenomeno di crescita della domanda, sia in termini di qualità sia in termini di quantità di prestazioni sanitarie più diverse (la cura, ma anche la prevenzione, i dispositivi, le fisioterapie, le cure odontoiatriche) di fatto ha cambiato la natura del sistema sanitario o della salute nel nostro Paese. È passato – cito un'affermazione che abbiamo messo nell'ultimo rapporto – da un modello di carattere sistemico, cioè qualcosa di simile a un corpo umano, dove ciascuna parte svolge una funzione precisa, a un modello di ecosistema, cioè di un ambiente nel quale tanti soggetti fra loro diversi, tanti attori, tanti interessi, tante strutture cercano, più o meno faticosamente, di trovare una propria collocazione.
  Abbiamo di fronte un sistema che è sempre più frammentato, che è sempre più disomogeneo, che è sempre più articolato, che è sempre più difficile da governare, che in alcuni casi è opaco, che in alcuni casi è anche povero di regole o bisognoso di un nuovo sistema di regole.
  L'impressione, quindi, è che occorra inserire il ragionamento sui fondi integrativi, ma comunque sulle polizze sanitarie, sulle casse mutue, cioè su tutta quella componente di spesa sanitaria privata, non soltanto nella logica di una ricostruzione sistemica, ma nella messa in ordine di un ecosistema che è particolarmente complesso, dove ciascuno svolge un proprio ruolo, cerca una propria funzione, aiuta in qualche misura le famiglie italiane ad affrontare questa deriva di crescita della spesa e, attraverso l'incremento della spesa, della diseguaglianza e dell'esclusione sociale, che sono probabilmente il tratto caratteristico del nostro Paese.
  Se posso chiudere con una battuta, direi che oggi quello a cui ci troviamo di fronte non è tanto l'idea o la domanda di una riforma del sistema sanitario, quanto piuttosto il progetto di una nuova sanità.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor De Rita. Qualora avesse un contributo scritto da volerci mandare, anche successivamente, sarebbe molto apprezzato e lo metteremmo a disposizione della Commissione.

  GIORGIO DE RITA, segretario generale del CENSIS. Non ce l'ho in questo momento, ma volentieri posso mandare una sintesi o comunque ripercorrere quello che ho detto.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA CECCONI. Lei ci ha detto che la spesa sanitaria privata sta aumentando. Pag. 10Questo non è un mistero, sta arrivando sui 40 miliardi. Poi si può fare una disamina su cosa c'è all'interno di questa spesa privata.
  Di conseguenza, aumenta la diseguaglianza, perché chi ha i soldi li può spendere e chi non ce li ha non può, quindi ci sono un numero crescente di persone che rinunciano o si indebitano per spese sanitarie. Anche su questo bisogna fare una disanima: a cosa rinunciano? Alle spese odontoiatriche o a cosa? Tuttavia, questa rinuncia esiste. La politica guarda a chi non può accedere, quindi a chi rinuncia, non a quelli che ovviamente hanno i soldi e magari fanno anche prestazioni sanitarie superflue che, però, è nella loro facoltà.
  Sta anche aumentando la domanda di salute, ma soprattutto di assistenza, per l'età anagrafica e la connotazione demografica che abbiamo.
  Lei alla fine ci dice che bisogna ovviamente fare un progetto di nuova sanità e, di conseguenza, fare un ragionamento approfondito sulle assicurazioni sanitarie e le polizze sanitarie.
  Voi siete convinti ovviamente che quella è la strada, cioè fare un ragionamento per restringere le diseguaglianze o liberare fondi del Servizio sanitario nazionale, per cui chi ha i soldi può gestirsi la sua polizza sanitaria o la sua assicurazione sanitaria e, quindi, accedere in maniera privata o parzialmente privata o convenzionata alle cure, mentre lo Stato si riserva, con il Fondo sanitario nazionale, di coprire tutti i bisogni delle persone che invece non possono accedere a quel tipo di servizio. Penso ai poveri, ai pensionati o a quelli che non hanno un reddito perché in quel momento sono disoccupati.
  La domanda è: se noi, invece, ragionassimo al contrario, ossia non su polizze sanitarie o su assicurazioni, rinunciando alle detrazioni e alle deduzioni – ammesso che se uno ha i soldi, è ricco, può accedere a quello che vuole in libertà – e drenassimo tutte le risorse, le cosiddette «tax expenditures» e tutte le detrazioni riguardo alla sanità per riversarle nel Fondo sanitario nazionale? È il ragionamento completamente opposto, completamente pubblico: utilizzare tutti i soldi che anche oggi vengono utilizzati a sostegno della sanità integrativa per rimetterli all'interno del Fondo sanitario nazionale.
  Secondo lei, questo tipo di ragionamento è sostenibile con un'erogazione del servizio da parte del pubblico sufficiente a garantire un livello di salute adeguato a tutti, a chi è ricco, ma soprattutto a chi ricco non è e, quindi, ha una richiesta di salute anche in termini di cure odontoiatriche e di assistenza, che attualmente non sono coperte, ma che potrebbero essere coperte se vengono drenate dalla fiscalità generale? Secondo lei, il servizio pubblico è in grado di sopperire a questa mancanza di salute, cioè di far fronte alla battaglia che avrà davanti nei prossimi dieci o vent'anni, drenando risorse, quindi aumentando il Fondo sanitario nazionale, per garantire un livello di salute adeguato? Oppure è una lotta impari e di difficile gestione, quindi, secondo quello che voi avete proposto, è più utile appoggiarsi a un servizio misto pubblico-privato e garantire questo tipo di servizio?
  Non è oscuro. In molti Paesi, anche a noi vicini, funziona in questo modo, quindi vediamo come funziona, ne percepiamo benissimo quali sono i rischi e i benefici. È una proposta come tante altre.

  CELESTE D'ARRANDO. Innanzitutto la ringrazio, perché ha dato uno spaccato dell'attuale realtà rispetto alla sanità pubblica e al fatto che molte più persone oggi non hanno possibilità di accedere alle cure e di potersi curare.
  Il CENSIS ha svolto numerose ricerche, soprattutto sulla sanità integrativa. La più nota è quella che è stata commissionata dall'Assicurazione salute RBM. C'è stata anche la recente presentazione dell'ottavo rapporto RBM-CENSIS sulla sanità pubblica, privata e intermediata. Dal rapporto emerge anche la necessità improcrastinabile di intervenire sulla disciplina della sanità integrativa e in generale sul secondo pilastro del Sistema sanitario nazionale.
  Le chiedo: quale tipo di intervento, secondo lei, da parte del legislatore si ritiene necessario per rendere moderno il principio integrativo della salute, pur salvaguardando il principio di non sostitutività dei Pag. 11servizi e delle prestazioni sanitarie, che guida il nostro sistema di salute, che devono essere garantite nei livelli essenziali di assistenza?

  PAOLO SIANI. Dottore, ho capito male o la spesa ricade di più sulla classe sociale meno abbiente? Come spiega questo dato?
  In secondo luogo, vorrei sapere quali prestazioni sono in genere erogate dalla sanità integrativa e quali, invece, sulla sanità nazionale.
  Infine, ha affermato che il 38 per cento è insoddisfatto del nostro sistema sanitario nazionale. In realtà, questo dato è diverso se andiamo a chiedere ai cittadini se sono contenti del loro medico di famiglia o del loro pediatra di famiglia. Sono tutti contenti dell'assistenza che viene erogata, quindi questo dato va interpretato in base a cosa abbiamo chiesto a queste persone. Perché sono insoddisfatte del sistema sanitario nazionale? Se lo chiediamo al pronto soccorso, è evidente che la risposta è no, ma se lo chiediamo rispetto al medico di famiglia la risposta è quasi sempre sì, invece, perché sono molto soddisfatti.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor De Rita per la replica.

  GIORGIO DE RITA, segretario generale del CENSIS. La prima domanda riguarda, se non ho capito male, la sostenibilità di un progetto che veda un rafforzamento del ruolo pubblico, drenando tutte quelle risorse che oggi sono disperse in modo molto frammentato, quelle che chiamiamo «tax expenditure» sostanzialmente.
  La mia impressione è che non sia sostenibile un progetto di questo tipo, perché la storia e i numeri degli ultimi dieci anni dicono che lo sforzo che il sistema sanitario pubblico dovrebbe fare sarebbe talmente grande che poi alla fine non ce la farebbe.
  Se guardiamo agli ultimi dati, negli ultimi cinque anni la spesa sanitaria è cresciuta di circa 7 miliardi di euro e il 95 per cento di questo incremento di spesa è stato sostenuto interamente direttamente dalle famiglie. Oggi la mia impressione è che non ci sia la possibilità di ritrovare una regolamentazione del settore sanitario che consenta da parte del settore pubblico la piena garanzia dei livelli essenziali di assistenza, ma che, come dicevo prima, sia invece più utile e anche più percorribile e più sostenibile la strada di far parlare meglio le tantissime componenti del sistema sanitario pubblico e privato, trovare forme di aggregazione della spesa e trovare forme di tutela delle fasce più deboli. Infatti, inevitabilmente la spesa sanitaria pubblica e privata crescerà e, quindi, la sostenibilità andrà trovata su tutti e due i fronti.
  La seconda domanda è su cosa fare per sostenere i fondi integrativi. È un settore, come dicevo prima, che ha visto crescere in modo disordinato e in modo spesso non regolato moltissimi soggetti, sia dentro il sistema pubblico sia dentro il sistema privato. Credo, quindi, che un po’ di trasparenza, un po’ di monitoraggio, una migliore conoscenza delle cose che stanno capitando sia il primo punto.
  Spesso assistiamo a dei dibattiti di carattere semantico sul significato delle parole «sostitutivo» o «integrativo». Credo che bisogni andare oltre. Bisogna in qualche modo cercare di far crescere, per quanto possibile, in maniera ordinata le tante energie che stanno dando una risposta o provando a dare una risposta a una domanda crescente in termini di qualità e in termini di quantità di salute – ripeto – su tutti i fronti.
  Vengo alla terza domanda. Forse non mi sono spiegato bene. Comunque, la maggior spesa sanitaria ha un impatto più forte sulle famiglie a più basso reddito, per tante ragioni, sicuramente perché le famiglie a più basso reddito hanno meno disponibilità e, quindi, una spesa improvvisa di carattere sanitario va a colpire un limite di disponibilità piuttosto basso.
  La seconda ragione è che la capacità di prevenire spese sanitarie, assicurandosi, investendo qualche soldino, spendendo per attività preventive, in questo momento non è sostenibile da parte delle famiglie più povere. La spesa in prevenzione delle malattie soltanto per poco meno dell'1 per cento ricade sulle famiglie, mentre la spesa complessiva per il 25 per cento ricade sulle Pag. 12famiglie. Pertanto, il tema della prevenzione, che probabilmente è centrale nel dibattito di oggi, è un tema che va affrontato mettendo insieme i due fronti.
  L'insoddisfazione, mi riferisco alla seconda parte della domanda, naturalmente è un fatto molto soggettivo. Io posso essere soddisfatto del mio medico, soddisfatto del medico di base come del medico a cui mi sono rivolto o soddisfatto della struttura sanitaria con la quale mi sono interfacciato.
  La mia considerazione e i dati delle nostre ultime ricerche dicono che purtroppo c'è questo rancore montante, che è non tanto verso il singolo medico o la singola struttura, che probabilmente, invece, vengono riconosciuti per quello che sono, cioè una struttura o una professionalità di assoluta eccellenza, ma verso un sistema che oggi è incapace di dare, nei tempi, nei modi e nelle quantità giuste, risposte a domande che sono purtroppo crescenti, in termini non solo di numero, ma anche di qualità. Pensiamo a tutto il tema dell'assistenza domiciliare, al tema delle persone disabili, al tema dei dispositivi.
  Purtroppo il sistema pubblico in questo non è riuscito a dare quella risposta che la società italiana si attendeva, vuoi per ragioni di crisi economica, vuoi per ragioni quindi di contrazione della spesa complessiva per investimenti sociali, vuoi perché il sistema era diventato talmente complesso e talmente disarticolato che il sistema pubblico probabilmente non ha trovato la strada, la forza, l'architettura per poter dare quelle risposte attese.
  Non dimentichiamo che l'attesa di vita dei giovani italiani è la più alta al mondo insieme a quella dei giapponesi e degli svizzeri, quindi abbiamo per stile di vita e per capacità di cura una posizione di assoluta eccellenza nel mondo. Serve tuttavia un passo avanti nel modo in cui eroghiamo i servizi a tutela della salute e a prevenzione della salute.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il dottor De Rita per il suo intervento, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Cittadinanzattiva e dell'Associazione difesa consumatori e ambiente (ADICONSUM).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, l'audizione di rappresentanti di Cittadinanzattiva e dell'Associazione difesa consumatori e ambiente (ADICONSUM).
  Saluto i nostri ospiti, ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione. Sono presenti per Cittadinanzattiva Francesca Moccia, vicesegretaria generale, e Valentina Condò, dell'Ufficio relazioni istituzionali, e per l'Associazione difesa consumatori e ambiente Luigi Gabriele, public affairs Adiconsum nazionale.
  Pregherei i nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro sette minuti, per dare modo ai deputati di porre delle domande, a cui seguirà la replica dei soggetti auditi, che potranno consegnare alla segreteria della Commissione un documento scritto o farlo pervenire successivamente. La documentazione sarà pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Do quindi la parola a Francesca Moccia, vicesegretaria generale di Cittadinanzattiva.

  FRANCESCA MOCCIA, vicesegretario generale di Cittadinanzattiva. Grazie e buon pomeriggio a tutti. Siamo contenti di essere stati coinvolti in questo ciclo di audizioni, perché questo è un tema che ci sta molto a cuore.
  Cittadinanzattiva è un'organizzazione che da 40 anni si occupa di advocacy, tutela dei diritti, e molto ha fatto nel campo della salute e della sanità, quindi per questo ha la possibilità di offrire anche uno spaccato delle problematiche nel campo della salute.
  Abbiamo un osservatorio delle principali problematiche dei cittadini. Il primo dato di contesto che vorrei mettervi a disposizione – dato dell'ultimo Rapporto sulla sanità che pubblichiamo, il Rapporto PIT Pag. 13Salute, che si trova sul nostro sito per chi volesse approfondire – è che un cittadino su tre che si è rivolto a noi nell'ultimo anno per problemi di sanità lo ha fatto per chiedere tutela per mancato accesso ai servizi sanitari. Mancato accesso vuol dire per i cittadini che si sono rivolti a noi innanzitutto che ci sono delle difficoltà crescenti, perché questo è un trend degli ultimi 4-5 anni, dovute principalmente a due fenomeni: un problema di costi crescenti, dovuti sia a costi privati sia al costo del ticket o dell’intramoenia, che chiaramente sono costi che pesano sulle tasche dei cittadini italiani, e il problema dei tempi, del famoso fenomeno delle liste d'attesa.
  Queste sono le due barriere all'accesso, è un problema molto sentito soprattutto perché, come sappiamo dai dati di contesto, abbiamo una difficoltà generale di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, quindi ve li riporto rapidamente ma sono dati pubblici, conosciuti, di diverse fonti, che confermano anche una nostra preoccupazione.
  La difficoltà di accesso è dovuta molto al definanziamento del Sistema sanitario nazionale, al rapporto tra la spesa sanitaria pubblica e il PIL, che è in costante diminuzione, alla spesa sanitaria compartecipata, quindi ticket, superticket, intramoenia, che è in diminuzione anche questa, ma la spesa sanitaria privata delle famiglie italiane è in costante aumento, soprattutto la spesa sanitaria out of pocket. Dobbiamo tener conto di questi dati di contesto, con una disomogeneità regionale, quindi una sanità a più velocità nelle regioni del nostro Paese non solo per una differente organizzazione dei servizi sanitari, ma anche per una differenza nella spesa pro capite delle regioni, quindi si spende in modo differente nelle diverse regioni per la sanità.
  Questo ha acuito le differenze, che poi sono diventate delle forme di disuguaglianza di accesso alle cure. Consideriamo poi i dati sulla povertà crescente in Italia (5 milioni di persone in povertà assoluta, 10 milioni in povertà relativa) e il dato di 12 milioni di cittadini che rinunciano alle cure. Il contesto in cui si inserisce il tema della sanità integrativa è questo, c'è un problema di difficile riconoscimento ed effettività dei livelli essenziali di assistenza che il nostro Sistema sanitario nazionale dovrebbe assicurare e che invece evidenzia questa situazione sicuramente critica che volevamo ricordare.
  Se questo è il contesto, c'è da chiedersi cosa non abbia funzionato nei livelli essenziali di assistenza, cosa possa funzionare meglio, quali risposte in termini di nuove politiche pubbliche dobbiamo promuovere all'interno del nostro Servizio sanitario nazionale. È chiaro che una prima risposta è non continuare a definanziarlo.
  Contrastare il fenomeno delle diseguaglianze regionali è una seconda risposta di politiche pubbliche, su cui mi soffermo. Le diseguaglianze in generale e in sanità in particolare non sono un fenomeno ineluttabile, o meglio le diseguaglianze stanno emergendo a livello globale non soltanto nel nostro Paese, ma questo non vuol dire che dobbiamo rimanere inermi di fronte a questo, perché è scientificamente provato che le diseguaglianze sono anche il frutto di mancate politiche pubbliche che invece rafforzino l'equità e soprattutto cerchino di accompagnare una comunità verso una maggiore eguaglianza di opportunità, seppur in una diversità di condizioni.
  Questo vuol dire che le diseguaglianze sono un fenomeno dei nostri giorni, ma ci sono politiche pubbliche che le contrastano, e nel campo della salute questo è un tema, perché le diseguaglianze regionali nell'accesso ai servizi sono un problema, tanto che Cittadinanzattiva su questo ha una proposta molto forte che riguarda una modifica dell'articolo 117 della Costituzione, che vada a rafforzare proprio l'eguaglianza, cioè l'applicazione del diritto alla salute in tutte le regioni italiane, non soltanto in quelle più ricche e più forti, che hanno servizi più accessibili.
  Il tema della sanità integrativa ha questo tipo di cornice. Da una parte abbiamo una normativa che prevede fondi sanitari integrativi, quindi la prima macro questione che su questo va affrontata, come ci chiedete in questa audizione, è il tema della integrazione o sostituzione. Pag. 14
  La sanità integrativa non è nata con l'idea di sostituirsi al Servizio sanitario nazionale, quindi non deve essere la duplicazione del Servizio sanitario nazionale, non deve essere vista come la soluzione ai disservizi o al definanziamento del Servizio sanitario nazionale. Se è integrazione va valorizzata proprio questa natura, quindi bisogna fare più chiarezza anche la attraverso la normativa sull'attuale confusione tra integrazione e sostituzione.
  Il tema delle agevolazioni fiscali. Ci sono molti vantaggi fiscali oggi per le aziende e per gli iscritti che versano i contributi per i fondi, la normativa ha riconosciuto le medesime agevolazioni e anche qui va fatta chiarezza, perché un conto sono i fondi integrativi delle prestazioni e un conto sono quelli sostitutivi, quindi anche qui sul tema delle agevolazioni sicuramente va fatto un lavoro di chiarezza, anche perché la trasparenza va nella direzione di agevolare non solo le aziende e gli enti, ma anche i cittadini, che così sanno bene di fronte a cosa si trovino.
  In relazione all'anagrafe dei fondi siamo d'accordo che debba essere assicurata una trasparenza che al momento non è garantita, invece rappresenta sicuramente un'opportunità l'accesso ai dati sui fondi.
  Integrazione sì, sostituzione no, ma non attraverso una posizione ideologica su questo (ci teniamo molto a sottolinearlo), non c'è assolutamente una contrarietà ad integrare le prestazioni, anzi noi riteniamo che soprattutto il fenomeno del mutualismo, che è riconosciuto dal nostro sistema, sia una risorsa nel welfare, quindi non si debba contrastarlo, anzi in una fase di crisi come la nostra sicuramente è un'opportunità e una risorsa per i cittadini. Il mutualismo, la solidarietà, tutti questi soggetti che danno l'opportunità di avere un welfare sicuramente più forte costituiscono un fenomeno che non va assolutamente sottovalutato, anzi va rafforzato.
  Assicurata la chiarezza, la trasparenza e il funzionamento del Servizio sanitario nazionale, quindi LEA effettivi, rimane una questione aperta per la quale vale la pena cercare una soluzione. Se va rivista questa normativa e chiariti alcuni punti non troppo chiari, dobbiamo chiederci oggi, viste le grandi fasce di popolazione vulnerabili, le nuove povertà e tutto quello che ci siamo detti rispetto alle cronicità ma anche a tutte le famiglie oggi in difficoltà, come possiamo rendere anche i fondi integrativi una risorsa per tutti, cioè non solo per i pochi che se lo possono permettere. Questa è una questione alla quale vale la pena trovare una risposta anche di politica pubblica. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Qualora voleste mandarci un contributo scritto, lo metteremo a disposizione dei colleghi.
  Do la parola a Luigi Gabriele, public affairs ADICONSUM nazionale. Anche lei ha sette minuti a disposizione.

  LUIGI GABRIELE, rappresentante dell'ADICONSUM. Buongiorno a tutti, grazie per averci chiamato. ADICONSUM è una delle venti associazioni di consumatori del CNCU (Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti), da oltre 30 anni ci occupiamo anche di queste tematiche e cercheremo di darvi il punto di vista il più possibile dal lato del consumatore.
  Cosa pensiamo dell'integrazione attraverso i fondi delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale? Pensiamo che per fortuna in questi anni abbiamo avuto un paracadute di questo tipo, perché da quando sono nati, nel 1978, fino all'ultimo provvedimento normativo che riguarda la legge di bilancio del 2017, se non ci fosse stato qualcosa che andava a integrare il calo crescente che negli ultimi 40 anni (ha avuto una forte accelerazione negli ultimi 15 anni) ha avuto il Servizio sanitario nazionale, probabilmente oggi lo stato dei servizi rivolti a cittadini sarebbe stato molto peggiore.
  È vero che i fondi integrativi vanno ad integrare il Servizio sanitario nazionale e hanno riguardato una platea minore rispetto alla totalità della popolazione (sapete che prevalentemente fanno riferimento ai lavoratori dipendenti, ai liberi professionisti e ai pensionati), ma in questi anni lo stato di salute del Servizio sanitario nazionale è profondamente cambiato, direi addirittura radicalmente cambiato. Pag. 15
  Intanto è cresciuto un profondo divario tra nord e sud del Paese. Pensate che negli ultimi 15 anni siamo passati dal 4 per mille dei posti letto per abitante al 3,4 per mille. Il Sistema sanitario ha avuto una riduzione significativa del personale medico e personale sanitario, tanto che oggi sono vacanti circa 6.000 medici e nel 2030 si ipotizza che ne mancheranno circa 50.000.
  Vi è poi il tema legato agli sprechi, alla corruzione, all'utilizzo improprio dei fondi, che oggi si stimano approssimativamente in circa 23 miliardi dell'intero budget a disposizione del Servizio sanitario nazionale. Tra gli ultimi dati che abbiamo potuto consultare che avessero una fondatezza abbiamo preso quelli forniti da Eurispes (il XXIX Rapporto Italia del 2017), che sostanzialmente dicono che il disagio principale per il 75 per cento degli italiani riguarda le liste d'attesa. Oltre la metà degli italiani che si dovevano sottoporre a un intervento chirurgico hanno incontrato lunghe liste d'attesa per sottoporsi all'intervento, soltanto il 62 per cento degli italiani che risiede al nord-ovest preferirebbe la sanità pubblica rispetto ad altri tipi di sanità, e ovviamente potete immaginare che al centro e al sud il dato peggiora drammaticamente, fino al punto in cui solo il 30 per cento degli italiani che risiedono nelle isole vorrebbe fruire del Servizio sanitario pubblico.
  La decisione di risparmiare sulle spese sanitarie oggi riguarda addirittura quasi il 60 per cento degli italiani, in alcuni casi il 28 per cento non ha potuto effettuare fisioterapia e riabilitazione, il 33 per cento non ha potuto fare riabilitazione, il 31 per cento degli italiani non ha potuto fare cure dentistiche. I più toccati sono i cassaintegrati, che nel 73 per cento dei casi non hanno potuto fare cure odontoiatriche, nel 66 per cento fisioterapia e riabilitazione, nel 60 prevenzione, nel 46 non hanno potuto comprare le medicine.
  A questi seguono con leggere differenze chi è in cerca di prima occupazione, chi ha già un'occupazione, le casalinghe, i pensionati e soltanto alla fine troviamo gli studenti. In questo quadro in teoria, anche a seguito di un accordo Stato-regioni del 2012, avremmo diritto alle prestazioni mediche in tempi certi (sapete che ci sono i 30 giorni per le visite specialistiche e i 60 giorni per gli esami diagnostici). In questo panorama per fortuna in alcuni casi ci sono stati i fondi che hanno integrato le prestazioni, però hanno riguardato soltanto una parte della popolazione, in genere chi ha un contratto di lavoro oppure liberi professionisti che potevano permetterselo o pensionati che facevano riferimento alla loro categoria.
  Riteniamo che questo strumento debba essere potenziato, ma partiamo dal presupposto che ciò non deve costituire l'apertura alla privatizzazione dei servizi sanitari; su questo non si transige e nello stesso tempo non possiamo pensare di scaricare sui singoli cittadini il costo abnorme dello spreco sanitario. Vanno certamente potenziati, va trovata una serie di formule per il potenziamento, senza andarne a snaturare la natura stessa, ma adattandola ai tempi che cambiano.
  Per quanto ci riguarda potremmo vederla in un'ottica di welfare innovativo e partecipato. È ovvio che in tutto questo è fondamentale fare una corretta educazione, che è alla base di ogni cosa. Se riusciamo a sollecitare i consumatori ad un contenimento dell'autoprescrizione, dell'automedicazione, a spingere i mass media affinché si inizi a parlare finalmente di informazione sanitaria, di corretto consumo, di corretta alimentazione, probabilmente avremmo meno bisogno di dover ricorrere alle prestazioni sanitarie, al di là se siano pubbliche o private.
  Pensiamo che sia arrivato il momento di dare veramente seguito a una corretta tracciatura sia delle prestazioni sanitarie, sia dei farmaci. In questo la tecnologia ci aiuta, io sono uno dei 30 componenti del gruppo costituito dal Ministero dello sviluppo economico per lo studio della tecnologia blockchain e dei registri distribuiti, vi assicuro che se adottassimo modelli che in più Paesi sono stati redatti per la tracciatura dei farmaci e delle prestazioni sanitarie attraverso la blockchain, probabilmente risolveremmo il problema della corruzione, della trasparenza e tutte le altre Pag. 16problematiche di natura economica che si annidano nelle prestazioni sanitarie.
  Un altro elemento fondamentale sempre parlando di innovazione tecnologica è quello di verificare i dati genomici. Molti Paesi stanno mettendo a frutto l'utilizzo dei dati genomici, sappiamo ormai che i pazienti vanno incontro a malattie già ipotizzabili alla nascita, se iniziassimo a utilizzare i dati genomici e a costruire dei database che possano essere utilizzati in maniera dettagliata sia dal Servizio sanitario che dei soggetti privati che possano potenziarne l'utilizzo, potremmo avere addirittura delle previsioni quasi accurate.
  L'autosufficienza è un altro dei capitoli da valutare. La popolazione invecchia, spesso le indennità di accompagno vanno a sostituire quello che dovrebbe fare lo Stato, spesso però queste indennità di accompagno vengono utilizzate in maniera non produttiva, perché, come sapete, l'assistenza domiciliare non viene garantita da personale esperto, ma si ricorre all'aiuto di personale non qualificato, quindi va rivisto anche il supporto all'autosufficienza.
  La telemedicina ancora non è stata presa completamente sul serio, è un altro elemento su cui agire, quindi riteniamo che vada attuata una riorganizzazione dei ruoli, dove sia imprescindibile anche la nostra presenza come associazioni consumatori, perché il Servizio sanitario va visto nell'ottica di paziente, anche come utente e come consumatore finale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante di ADICONSUM (vedi allegato 2). Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARA LAPIA. Vi ringrazio e faccio una piccola premessa. Nel mese di dicembre del 2018 è stato presentato il XXI Rapporto PIT Salute di Cittadinanza, che afferma «l'accesso ai servizi può dunque trasformarsi in un'operazione complessa sia per i tempi che per i costi, e quando sono questi ultimi a dettare le condizioni per l'ottenimento di una visita o di un esame, si crea una pericolosa discriminazione, all'interno della quale non è più il meccanismo dell'appropriatezza a disciplinare l'erogazione delle prestazioni in rapporto alle condizioni ed esigenze, ma la disponibilità economica. A seconda dell'ambito ospedaliero, residenziale o domestico in cui tali differenziazioni si verificano, si può verificare una iniziale posticipazione dell'accesso tramite il servizio pubblico, una sostituzione del soggetto erogatore con il servizio di intramoenia o vari privati, oppure una completa rinuncia per motivi di indisponibilità economica».
  La domanda è questa: se potete indicarci dati e informazioni utili riguardo la frequenza della sostituzione del soggetto erogatore con il servizio intramoenia e privato, e se tale sostituzione sia in qualche misura incentivata dalla sanità integrativa.

  ANDREA CECCONI. Da qualche settimana stiamo facendo queste audizioni e il trend degli auditi è più o meno lo stesso: che la sanità sia in difficoltà è chiaro a tutti, che si sta invecchiando altrettanto; c'è sempre una divisione tra chi dice che bisogna incentivare i fondi integrativi e chi invece dice che bisogna incentivare la sanità pubblica.
  Il dottor Gabriele di ADICONSUM ci ha chiesto di intervenire incentivando i fondi sanitari integrativi o privati senza tradire l'aspetto pubblico. I dati a nostra disposizione sono scarsi e non completi, non riusciamo a capire questi fondi sanitari integrativi cosa effettivamente erogano, quanto e come erogano, il numero di iscritti, quanto sia sostitutivo perché non c'è un margine di trasparenza tale da capire bene come funzioni. Però c'è anche da dire che, se guardiamo oltre il nostro confine, sappiamo benissimo come funziona quando spostiamo il fulcro dal pubblico al privato, non è vero che il pubblico muore totalmente, ma il privato prende un sopravvento rispetto al quale è impossibile inserire dei paletti.
  Non tradire il pubblico spostandosi sul privato è quindi una speranza che uno si può porre all'inizio come legislatore, ma un risultato che sicuramente non può ottenere, Pag. 17 perché dopo il privato ha una sua autonomia, i cittadini fanno delle scelte autonome, chi ha i soldi si sposta e va dove può andare, chi non li ha invece rimane fermo in un punto in cui se il pubblico c'è e dà delle risposte, bene, se non c'è, si deve arrangiare. Il panorama esterno non mi pare che ci dia molte speranze rispetto a quello che ci prefissiamo inizialmente come legislatori.
  Faccio la stessa domanda che ho fatto nella precedente audizione: secondo voi, la scommessa di ridurre tutte le deduzioni e le agevolazioni di fiscalità che si danno ai fondi integrativi in maniera anche molto frammentata e portare tutti quei soldi all'interno del Servizio sanitario pubblico nazionale (poi può convenzionarsi o ovviamente appoggiarsi al privato, ma lo fa il pubblico, lo fa lo Stato, lo fa la regione, non è direttamente nell'autonomia del privato) è una scommessa che si può vincere, per dare una risposta generale a tutti?
  Ovviamente chi ha i soldi accederà ai fondi sanitari integrativi in ogni caso, però chi non li ha vedrebbe il Fondo sanitario nazionale, che è stato diciamo definanziato o finanziato troppo poco in questi anni, finalmente iniettato di una liquidità importante per edilizia, assunzioni, liste d'attese. Passare in un anno da 115 miliardi a 120-125 miliardi di euro è rilevante. Ci vuole tempo per fare una politica pubblica efficiente, come ci vuole tempo per fare una politica privata efficiente, cioè spostare l'attenzione dal pubblico al privato non si fa da un giorno all'altro, così come non si riuscirebbe da un giorno all'altro a spostare l'attenzione tutta dal pubblico.
  Secondo voi è possibile, cioè riusciamo con il nostro servizio pubblico, che avrà tutti i difetti del mondo ma ha anche tutti i pregi, finanziandolo adeguatamente, ad erogare un servizio efficace oppure non è possibile, siamo arrivati a un punto in cui è necessario delegare a un privato, che le cose le fa in maniera adeguata e anche bene, cercando quanto più di allargare la maglia e permettere a quanti più cittadini possibili di accedere a questo genere di servizio? Attualmente i dati che ci ha portato l'Agenzia delle entrate dicono che sono veramente poche le persone che accedono a questo tipo di sanità integrativa, quindi aumentare molto questa maglia è un lavoro non di poco conto.

  DORIANA SARLI. Vorrei rivolgere una domanda al vicesegretario di Cittadinanzattiva. Lei ha sottolineato una diseguaglianza del Sistema sanitario nazionale a livello regionale. Abbiamo dei dati generali rispetto al finanziamento erogato e alle percentuali di popolazione; il 34 per cento di popolazione al sud ha visto un 28 per cento di finanziamento generale, però vorrei sapere se voi avete dei dati più mirati sul finanziamento che viene dato dallo Stato alle regioni, di cui questa diseguaglianza è frutto.

  CELESTE D'ARRANDO. Ringrazio gli auditi perché confermano la realtà rispetto alla sanità pubblica e alla necessità negli ultimi anni dei fondi sanitari integrativi, che hanno supportato quella che è una carenza strutturale della sanità.
  Faccio una domanda molto semplice, ossia se e per quali motivi Cittadinanzattiva e ADICONSUM ritengano eventualmente compatibili, in assenza di conflitti di interesse, il ruolo di chi promuove la tutela dei diritti dei lavoratori, dei cittadini o dei consumatori con il ruolo di chi promuove invece forme di sanità integrativa.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, lascio la parola agli auditi per una breve replica.

  FRANCESCA MOCCIA, vicesegretario generale di Cittadinanzattiva. La prima domanda riguardava il tema dell’intramoenia e ci veniva chiesto se abbiamo dati su questo, su quanto si sostituisca l’intramoenia al canale istituzionale.
  Volevo specificare che i nostri dati, quelli citati del Rapporto PIT Salute, raccolgono circa 25.000 segnalazioni annuali dei cittadini, per cui hanno come fonte direttamente la voce dei cittadini, quindi da questi dati possiamo avere soltanto un'informazione (anche con percentuali di quanti lo hanno segnalato) di quanto l’intramoeniaPag. 18sia un costo, inteso come barriera all'accesso. Su questo abbiamo dei dati, ma ritengo che dati più generali su quanto questa sostituzione avvenga vadano cercati in fonti di carattere istituzionale, quindi non del nostro osservatorio, che è un osservatorio civico, basato su cittadini che segnalano problematiche che noi registriamo, analizziamo e restituiamo ovviamente alle istituzioni e a tutti gli altri soggetti interessati.
  Rispetto alla seconda questione, se il Servizio sanitario nazionale possa farcela o se dobbiamo rinunciare a questa idea che abbiamo una sanità pubblica che funziona, che riesce a curarci, che è accessibile, che rimane sicura e di qualità, e delegare al privato, la risposta che ci sentiamo di dare come organizzazione è che noi crediamo fortemente che il Servizio sanitario nazionale debba reggere, perché è davvero una grande risorsa del nostro ordinamento, del nostro Paese, e dobbiamo essere orgogliosi di questo.
  Sicuramente il privato e il privato convenzionato sono una realtà che ha reso semplicemente variegato il panorama di offerta di assistenza sanitaria di questo Paese e non bisogna essere ideologicamente contrari a questo, perché ha sempre incentivato anche una certa competizione che può essere sana, quindi questo non è un problema purché ci siano standard, purché ci sia il controllo del pubblico, soprattutto nel regime convenzionato.
  Quello che va salvato nel Servizio sanitario nazionale è la possibilità di essere finanziato adeguatamente, consentendo accessibilità all'innovazione, quindi cure innovative anche all'ultimo dei nostri cittadini, al più povero, al più vulnerabile. Questa è la forza del nostro sistema, curare anche l'ultimo.
  Va però impedito che il sistema sia prosciugato, vanno fatti dei disinvestimenti laddove non vale più la pena investire; occorre fare delle scelte d'investimento, sull'innovazione, quella vera, sulle terapie innovative che salvano la vita, mentre è opportuno disinvestire dove ci sono quelli che chiamiamo banalmente sprechi, che non sempre sono in malafede, ma a volte anche in buona fede. Ci sono forme di spreco di risorse e sicuramente vanno combattute.
  La tecnologia per quanto ci riguarda è una soluzione. Si citava la telemedicina, ci chiediamo se il sistema reggerà in futuro (non lo diciamo noi, lo vediamo da come stanno saltando i vari sistemi di welfare nel resto dell'Europa). Dobbiamo guardare anche fuori dal nostro Paese per vedere quello che sta succedendo, pensiamo a quello che sta succedendo al NICE nel Regno Unito, che per noi è stato sempre un punto di riferimento come sistema di welfare.
  È importante quindi che la tecnologia oggi dia risposte, consentendo di spendere meno e di arrivare a tutti. Per le diseguaglianze l'ultima area critica è quella delle aree interne del nostro Paese. Noi riusciamo a curare tutti anche nelle zone montane o nelle piccole isole se con la telemedicina, con sistemi di telemonitoraggio, riusciamo ad arrivare a tutti, e oggi questo si può fare ed è un investimento sano. Tanti altri sicuramente si possono valutare, ci sono dei sistemi di valutazione come l'HTA (Health Technology Assessment), che funzionano, quindi utilizziamoli bene perché sappiamo che le scelte si fanno coinvolgendo più soggetti, basandole sulle evidenze; così funziona la sanità nel resto del mondo e anche nel nostro Paese, quindi facciamola funzionare.
  La terza domanda riguardava i dati sui finanziamenti nazionali. Anche qui dobbiamo attingere a dati di carattere istituzionale quando ricerchiamo quanto si investe a livello di finanziamento nazionale. Il nostro – ripeto – è un osservatorio civico, che restituisce evidenze anche attraverso delle indagini che facciamo, focalizzate su alcuni temi; per quanto riguarda dati più istituzionali dobbiamo attingere ad altre fonti.
  L'ultima domanda, se riteniamo esista un conflitto di interesse tra chi si occupa di preservare i diritti dei lavoratori, dei cittadini e dei consumatori e chi offre servizi di sanità integrativa, sicuramente investe un tema delicato, quindi occorre sempre garantire massima trasparenza perché i conflitti d'interesse fanno parte di questo nostro sistema, l'importante è dichiararli ed Pag. 19essere trasparenti in questo. Non abbiamo un dato su questo, però una maggiore trasparenza sicuramente può essere utile.

  LUIGI GABRIELE, rappresentante dell'ADICONSUM. Direi che il gioco di spostare del denaro da una parte all'altra non premia mai, secondo noi ciò che andrebbe fatto è probabilmente andare a recuperare le somme che oggi sono sprecate.
  Abbiamo detto precedentemente che solo la corruzione e le frodi nel Servizio sanitario nazionale costano 6 miliardi di euro l'anno, che sono il 5 per cento della spesa, e altri 15 miliardi sono legati invece all'inefficienza di alcune regioni nel Servizio sanitario; complessivamente quindi fanno 21 miliardi che noi dovremmo recuperare.
  Tra l'altro, l'incentivazione economica per quanto riguarda i fondi non è nemmeno il plus per il quale il sottoscrittore lo fa o meno, perché nella sua preoccupazione c'è semplicemente il diritto alla prestazione, quindi a fare la visita medica, mentre dell'eventuale bonus che ottiene alla sottoscrizione del fondo beneficia piuttosto la fiscalità generale, perché fa emergere il nero, fa in modo che tutti richiedano le prestazioni in chiaro, in trasparenza, quindi vengono isolate le numerose attività non sempre lecite che vengono svolte in questo Paese.
  Il conflitto d'interessi dipende da cosa intendiamo. Noi pensiamo che il conflitto di interessi si possa contrastare con la piena trasparenza dell'utilizzo delle risorse e la tracciabilità di tutte le procedure. Il conflitto si annida nel momento in cui lo Stato non controlla e chi dovrebbe fare l'attività di vigilanza e monitoraggio lascia che questo avvenga.
  Pensiamo che il ruolo delle parti sociali in questo contesto sia fondamentale perché, come ho detto durante l'intervento, certamente va riscritto il modello del welfare, va creato un modello di welfare più innovativo e partecipativo. Riteniamo, quindi, che ci debbano essere le parti sociali, perché senza le parti sociali continuiamo a far fare agli uffici, o speriamo lo faccia almeno qualche intelligenza artificiale.
  Quando c'è un conflitto d'interesse che contrasta l'interesse generale accade perché lo Stato non controlla in totale trasparenza come si esplica la filiera, sia quella legata alle prestazioni che quella relativa all'utilizzo dei farmaci.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare gli ospiti per il loro contributo, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.

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