XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 3 dicembre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI POLITICHE DI PREVENZIONE ED ELIMINAZIONE DELL'EPATITE C

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Russo Francesca , direttore della Direzione prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria – regione Veneto ... 3 
Scroccaro Giovanna , direttore della Direzione assistenza farmaceutica – regione Veneto ... 4 
Coletto Luca , assessore alla salute e politiche sociali della regione Umbria ... 5 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 5 

Audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità e dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA):
Lorefice Marialucia , Presidente ... 5 
Kondili Loreta , ricercatore presso il Centro nazionale salute globale dell'ISS ... 6 
Li Bassi Luca , direttore generale dell'AIFA ... 7 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 9 
Rostan Michela (LeU)  ... 9 
Carnevali Elena (PD)  ... 10 
Gemmato Marcello (FDI)  ... 10 
Boldi Rossana , Presidente ... 10 
Li Bassi Luca , direttore generale dell'AIFA ... 11 
Kondili Loreta , ricercatore presso il Centro nazionale salute globale dell'ISS ... 11 
Li Bassi Luca , direttore generale dell'AIFA ... 11 
Nappi Silvana (M5S)  ... 12 
Li Bassi Luca , direttore generale dell'AIFA ... 12 
Nappi Silvana (M5S)  ... 12 
Li Bassi Luca , direttore generale dell'AIFA ... 12 
Carnevali Elena (PD)  ... 13 
Li Bassi Luca , direttore generale dell'AIFA ... 13 
Boldi Rossana , Presidente ... 13 
Li Bassi Luca , direttore generale dell'AIFA ... 13 
Boldi Rossana , Presidente ... 13 

Audizione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale:
Boldi Rossana , Presidente ... 13 
Palma Mauro , presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ... 13 
Boldi Rossana , Presidente ... 16 
Siani Paolo (PD)  ... 16 
Boldi Rossana , Presidente ... 16 
Palma Mauro , presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ... 16 
Siani Paolo (PD)  ... 17 
Boldi Rossana , Presidente ... 17 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata dal direttore dell'AIFA Luca Li Bassi ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 13.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di politiche di prevenzione ed eliminazione dell'epatite C, l'audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, che saluto, ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna.
  Sono presenti, per la Conferenza delle regioni e delle province autonome: Francesca Russo, direttore della Direzione prevenzione sicurezza alimentare e veterinaria della regione Veneto; Giovanna Scroccaro, direttore della Direzione assistenza farmaceutica della regione Veneto; il dottor Luca Coletto, assessore alla salute della regione Umbria; per la segreteria della Conferenza delle regioni e delle province autonome Alessandro Palmacci, dirigente politico della salute ed Emanuela Lista, funzionario Politiche sociali.
  Pregherei i nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro dieci minuti per dare modo ai deputati di porre domande, cui seguirà la vostra replica.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà pubblicata anche sul sito internet della Camera dei deputati.

  FRANCESCA RUSSO, direttore della Direzione prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria – regione Veneto. Per quanto riguarda il quadro relativo alle attività di prevenzione rivolte all'epatite C, la valutazione che abbiamo fatto specificatamente per questa audizione è stata quella di vedere qual era l'andamento epidemiologico, soprattutto in termini di incidenza. Gli ultimi dati pubblicati dall'Istituto superiore di sanità ci dicono che nei primi sei mesi del 2019 abbiamo avuto sedici casi, con una diminuzione in proiezione rispetto al 2018 quando i casi registrati furono quarantotto. Qui c'è un punto leggermente critico, perché al sistema SEIEVA (sistema di raccolta dei dati di notifica) non aderiscono tutte le regioni, perché l'adesione è volontaria, quindi si perde un 20 per cento delle segnalazioni.
  Tutte le azioni legate alla prevenzione sono contenute nel Piano nazionale per l'eliminazione e il controllo delle epatiti virali B e C che le regioni stanno mettendo in atto. I filoni all'interno del piano sono molti, tra cui c'è la sorveglianza di cui ho parlato prima, la sensibilizzazione nei confronti della popolazione e poi l'individuazione di strategie di prevenzione soprattutto per i contesti a rischio. Abbiamo visto dalla nostra disamina che la maggior parte delle regioni si sono concentrate soprattutto per quanto riguarda l'ambito penitenziario, che può rappresentare un bacino di soggetti con un'alta incidenza dell'infezione. In quel caso diverse regioni hanno portato avanti le loro attività attraverso uno screening all'ingresso e la prescrizione Pag. 4 della terapia con i farmaci di cui attualmente si dispone. Questo per quanto riguarda la maggior parte delle regioni.
  Le altre azioni di sensibilizzazione o per lo meno altre misure sono concentrate sugli altri due ambiti che portano all'infezione, in primo luogo quello ospedaliero, per cui attraverso i contatti con il rischio clinico si interviene per la stesura di procedure per il controllo delle infezioni. Per quanto riguarda poi i trattamenti estetici, soprattutto i tatuaggi e i piercing, c'è attualmente una revisione del documento ministeriale; il 5 dicembre c'è un incontro al Ministero e noi come Coordinamento della prevenzione stiamo portando tutte le osservazioni delle regioni, perché vengano rivisti sia i requisiti igienico-sanitari ma anche le prassi e la formazione di questi operatori, posto che c'è una certa percentuale di soggetti che si positivizzano in seguito a queste procedure.
  Per quanto riguarda l'altro meccanismo di trasmissione, quello attraverso le droghe, c'è una stretta collaborazione di tutte le regioni con i SERD sia nel recupero di questi soggetti e nell'utilizzare pratiche corrette per lo scambio di siringhe, ma anche per l'individuazione dei soggetti che possono essere arruolati al trattamento. Queste sono le principali azioni. Poi ci sono quelle di sensibilizzazione attraverso campagne, depliant e così via. Ci sono inoltre alcune regioni, come la regione Veneto – di cui parlerà la dottoressa Scroccaro – che hanno portato avanti diverse azioni, a cui altre regioni si sono ispirate. Avete l'esempio della provincia di Bolzano.
  Nonostante questo, io credo, come rappresentante del mio Coordinamento, che ci siano ancora delle cose da fare, non da soli ma insieme al Ministero: aumentare la sorveglianza, che abbiamo definito «sorveglianza volontaria», portata avanti dall'Istituto messa in connessione con i sistemi informativi del Ministero, che registra solo una parte delle notifiche; una maggiore attenzione all'ambito nosocomiale; una maggiore attenzione alle pratiche estetiche, con l'aiuto del Ministero e con le regioni, rafforzando la stesura dei documenti. Non è da trascurare anche l'azione di formazione e informazione che deve essere rivolta soprattutto ai giovani. Qui ci sono delle regioni che hanno delle procedure e dei programmi molto «evidence-based». Naturalmente la possibilità di continuare, nell'ambito dei soggetti che vengono recuperati come positivi, l'offerta della terapia antivirale. Credo che questo sia il quadro.

  GIOVANNA SCROCCARO, direttore della Direzione assistenza farmaceutica – regione Veneto. Io porto qualche dato della regione Veneto. Noi abbiamo trattato ad oggi 13.000 pazienti; la spesa netta che abbiamo sostenuto, perché voi sapete che i farmaci per l'epatite si acquistano, ma poi ci sono degli sconti «nascosti», ammonta a 180 milioni ed è stata totalmente ristorata dai fondi pervenuti dal Ministero. Quindi questo è il quadro.
  Oggi più o meno una terapia costa sui 6/7 mila euro per ogni trattamento, noi abbiamo notato nel corso soprattutto degli ultimi anni, nonostante il finanziamento fosse stato dato alle nostre aziende sanitarie, un calo del reclutamento. Quindi abbiamo avuto un reclutamento di 3.600 pazienti nel 2017, calati a 3.400 nel 2018. Notiamo ancora una certa difficoltà a reclutare questi pazienti. A fronte di questo, con delibera di Giunta è stato approvato un piano ed è stata attivata una cabina di regia che ha messo in atto tutta una serie di azioni proprio per aumentare il numero di pazienti che possono beneficiare di questi trattamenti. Sono state attivate una serie di azioni, tipo quelle che ha già illustrato la dottoressa Russo: l'invio di note ai medici di medicina generale; invio di note anche ai medici specialisti ospedalieri non esperti di epatite, per cercare di reclutare all'interno degli ospedali i pazienti quando transitano attraverso un ricovero o magari una visita specialistica; una informazione ai medici di medicina generale trasmettendo un documento che consente agli stessi di identificare le caratteristiche dei pazienti-tipo, che dovrebbero essere riferiti ai Centri specialistici; un'azione particolare nei SERD e nelle carceri. Rispetto al piano che ha attivato la regione questa è forse una di quelle che ha avuto più rilievo. È stato testato il 34 per cento dei 14.000 pazienti in carico ai nostri SERD alla fine del 2018, e coloro che Pag. 5sono risultati positivi sono stati riferiti ai Centri. Quindi abbiamo capito che al SERD venivano testati solo il 34 per cento degli utenti. Al contrario, nelle carceri su un totale di 2.400 carcerati l'80 per cento veniva sottoposto a test della positività ad epatite, in modo da vedere quelli che erano positivi e riferirli.
  Una iniziativa importante è stata anche quella che, attraverso i dati di laboratorio di tutti i pazienti transitati nei nostri ospedali o che avevano fatto dei prelievi nei nostri laboratori, ha incrociato i dati. Quindi tutti i pazienti che risultavano positivi al test per l'epatite e che risultavano non aver assunto nessun farmaco sono stati tracciati, hanno costituito una corte di pazienti e noi sulla metà delle nostre ASL possiamo dire di avere già identificato 4.500 pazienti che non sanno di avere l'epatite. Questa è la cosa più rilevante che è stata fatta. Quindi questi 4.500 pazienti su metà della nostra regione; successivamente faremo anche le altre ASL per completare tutta la regione; noi stimiamo possano esserci 9.000 pazienti che non sanno di avere l'epatite. Quindi che sono risultati positivi, ma non hanno assunto i farmaci. È stato attivato proprio in queste settimane un incontro con tutte le direzioni sanitarie di ASL per poter rendere questi dati, che sono anonimizzati ovviamente: la regione non dispone di dati con nomi e cognomi, sono stati trattati con tutto il rispetto delle norme sulla privacy, ma vengono resi alle differenti USL in modo che ognuna di queste abbia l'elenco – loro come USL potranno avere il dato in chiaro – e richiamare questi pazienti.
  Noi riteniamo che questa sia un'iniziativa importante, perché i nostri medici infettivologi riferivano di non vedere più pazienti con una sintomatologia avanzata. Si tratterà quindi di andare a ricercarli facendo campagne di sensibilizzazione, anche se queste arrivano dove arrivano, e soprattutto con questo progetto che ha incrociato i dati dei flussi con il quale avremo la possibilità di andarli a richiamare. Se poi vorranno, dovranno fare riferimento agli ambulatori specialistici, e i medici vedranno se c'è la possibilità di trattarli. Queste sono state le azioni più importanti.

  LUCA COLETTO, assessore alla salute e politiche sociali della regione Umbria. Condivido quanto detto nell'ambito generale dalle dottoresse che mi hanno preceduto, vorrei solo aggiungere che, per quanto riguarda i numeri, ovviamente quelli dell'Umbria sono molto minori: sono stati trattati circa 2.500 casi sui 3.500 che si aspettano. Ovviamente ci sono ancora dei casi sommersi, casi che non sono ancora stati scoperti, ma contiamo di intercettarli attraverso i medici di medicina generale, le verifiche dei SERD – come già detto – e altri ambiti dove, come sentinelle, stiamo agendo a trecentosessanta gradi. C'è stato un grande incremento, soprattutto dopo che l'AIFA ha ampliato i criteri di prioritarizzazione dei pazienti da trattare, di conseguenza ci attendiamo dei buoni risultati.

  PRESIDENTE. Non ci sono domande, quindi ringrazio i nostri ospiti per il loro contributo e dichiaro conclusa questa audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità e dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA).

  PRESIDENTE. La Commissione è ora convocata per lo svolgimento dell'audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità e dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di politiche di prevenzione ed eliminazione dell'epatite C.
  Saluto i nostri ospiti, ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna. Sono presenti per l'Istituto superiore di sanità Loreta Kondili, ricercatore presso il Centro nazionale salute globale dell'Istituto, e per l'Agenzia italiana del farmaco Luca Li Bassi, direttore generale, e Simona Montilla, dirigente delle professionalità sanitarie.
  Pregherei i nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro dieci minuti per Pag. 6dare modo ai deputati di porre eventuali domande, cui seguirà la replica.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà pubblicata anche sul sito internet della Camera dei deputati.
  A questo punto do la parola alla dottoressa Loreta Kondili.

  LORETA KONDILI, ricercatore presso il Centro nazionale salute globale dell'ISS. Grazie, Presidente. In questa breve relazione presenterò i lavori che abbiamo fatto all'Istituto superiore di sanità in collaborazione con l'Università di Tor Vergata (Facoltà di Economia) e con alcuni modellisti internazionali che si occupano delle stime internazionali per quanto riguarda l'infezione da epatite C.
  Noi stiamo valutando delle stime del sommerso, quindi identificare quanto potrebbe essere il sommerso in Italia e identificare le categorie di popolazione in cui questo sommerso si può trovare. Il primo studio che abbiamo fatto è quello del ritorno economico, quindi ci siamo chiesti se ci fosse un ritorno economico per la spesa sanitaria per i farmaci antiepatite; abbiamo redatto un modello sui dati «real life» dei pazienti trattati, basati sulla piattaforma PITER (dei pazienti in cura); abbiamo ripetuto il modello con i dati forniti dall'Agenzia del farmaco e i dati che vi presento adesso sono assolutamente sovrapponibili a quelli dell'AIFA. Abbiamo visto che nel 2015 non c'è stato un ritorno economico in quanto i farmaci costavano tanto e per il fatto che inizialmente sono stati trattati solo pazienti in grave stato di salute, quindi il burden economico dei pazienti trattati rimaneva anche post eradicazione virale. Invece è stato visualizzato un incredibile ritorno di investimento in tempi veramente molto brevi, che si stima intorno ai sei anni, nei pazienti trattati nel 2016 e nel 2017. Il modello dimostra che nel 2018 abbiamo un trend a 6,2 anni di ritorno dell'investimento, con una riduzione di casi di morte a vent'anni per il periodo 2017/2018 di 570 eventi clinici risparmiati per mille pazienti trattati. Quindi, se si fa la moltiplicazione, si riesce a capire il numero totale di casi risparmiati a vent'anni. Abbiamo il numero più alto in Europa di pazienti trattati per l'epatite C ma riusciamo a mantenere questo cammino? L'Italia è nei dodici Paesi che si sono incamminati verso il traguardo di eliminazione. Rimarremo alti in questo cammino se il numero dei trattamenti rimane in linea con la media dei trattamenti negli ultimi quattro anni. Il primo studio che abbiamo fatto dimostra, però, che con questo ritmo di trattamenti il pool dei pazienti da trattare (dei pazienti diagnosticati) finirà tra il 2023 e il 2025. Tutte le curve con i possibili scenari simulati mostrano che il pool dei pazienti finirà nel 2023/2025, lasciando un grosso numero di pazienti non diagnosticati, quindi ancora infetti. Un burden che può fermare il nostro cammino.
  Abbiamo stimato, sempre attraverso modelli, perché purtroppo il numero esatto di pazienti, sia quelli in cura che quelli infetti ma da scoprire, non si conosce in Italia, quindi un numero preciso attraverso studi definiti ad hoc per la prevalenza non esiste, pertanto attraverso modelli matematici (di alto livello scientifico) abbiamo potuto stimare una prevalenza di circa 280 mila pazienti ancora sommersi. Di questi 280 mila sommersi, la categoria più a rischio è quella di pazienti che usano o hanno usato sostanze stupefacenti. Il numero stimato è di circa 146 mila individui ancora infetti che non sanno di avere l'infezione. Circa ottantamila sono le persone che hanno preso l'infezione nel passato attraverso tatuaggi o trattamenti estetici. Nei dati che vi ho fornito è riportata la prevalenza, in proporzione, del potenziale sommerso in Italia. La fotografia del sommerso è diversa da quella dell'emerso. Nell'emerso la via principale di trasmissione dell'infezione è quella nosocomiale, quindi con le siringhe di vetro e trasfusioni e la popolazione ormai trattata ha un età media 65 anni. Invece per il sommerso ci aspettiamo una popolazione nettamente più giovane (di oltre dieci anni) e con vie di trasmissione diverse da quelle che conosciamo: uso di droghe, attuali e pregresse, e trattamenti estetici.
  Concludo con le potenziali strategie di screening. Un lavoro recente che mi fa Pag. 7piacere presentare in questa sede è quello sulle strategie di screening per scoprire il sommerso. Tutti i Paesi si sono indirizzati verso politiche sanitarie atte a individuare il sommerso. Abbiamo applicato lo screening universale, come in molti modelli si fa, e lo screening per coorti di nascita con target finale quello di identificare la strategia più costo-efficace per riuscire a raggiungere gli obiettivi dell'Organizzazione mondiale della sanità. Abbiamo identificato queste coorti di nascita attraverso studi precedenti, che dimostrano che sono quelle con più alta prevalenza del sommerso, e proponiamo lo screening graduato per individuare le popolazioni più a rischio, anche di diffusione dell'infezione. L'obiettivo è ridurre la spesa dello screening, riuscendo entro dieci anni a scoprire il sommerso e ad eliminare l'infezione.
  Vi ho fornito una tabella che riporta tutti i costi, sia di screening che degli eventi clinici risparmiati; ci sono gli input inseriti in questo modello matematico che dimostra proprio il costo-efficacia delle varie strategie di screening. Con lo screening graduato per coorti di nascita, quindi partendo dalle coorti di nascita più giovani (dal 1968 al 1988) dove si trova il sommerso stimato precedentemente, quindi le categorie con più fattori di rischio, andando avanti con le coorti di nascita più anziane (dal 1948 al 1968), otterremmo il raggiungimento dell'obiettivo dell'eliminazione con una strategia di screening molto costo-efficace.
  Concludo dicendo che la cifra di 3.552 (stima AISEL rapporto costo/efficacia) fa capire che siamo ben sotto la soglia di accettabilità (classificata a 25 mila euro), per cui si dimostra molto costo-efficace la strategia che proponiamo. In conclusione, quindi, attraverso una strategia di screening graduata in Italia per coorti di nascita potremo scoprire il sommerso e raggiungere gli obiettivi dell'Organizzazione mondiale della sanità per l'eliminazione dell'epatite C entro l'anno 2030.

  LUCA LI BASSI, direttore generale dell'AIFA. Grazie, Presidente. Abbiamo messo insieme qualche dato, che penso possa essere utile. Questi sono il totale dei pazienti trattati al 25 novembre con i farmaci anti epatite C. (vedi slide n. 1) Questa tabella comprende i programmi di uso compassionevole, che erano partiti già nel 2014, poi seguiti da un programma di trattamento basato sull'urgenza clinica (dal dicembre 2014 al marzo 2017), seguito dal vero piano di eradicazione AIFA attualmente in corso. Vediamo che il totale in assoluto, comprendendo questi tre tipi di programmi, ci porta a circa 201 mila pazienti.
  Questo è l'andamento della curva, in cui notiamo un graduale aumento dei trattamenti avviati per i pazienti eleggibili (vedi slide n. 2). Questi sono i criteri di eleggibilità per il trattamento dell'epatite C cronica (vedi slide n. 3), e comprendono gli undici criteri sviluppati inizialmente per il piano di trattamento, a cui si aggiunge un dodicesimo criterio che è stato introdotto solo a ottobre di quest'anno, che permette l'accesso a questi farmaci in caso di epatite cronica con cirrosi epatica nei pazienti che non possono accedere alla biopsia epatica e/o al fibroscan per motivi socioassistenziali. Quindi, anche laddove non ci fosse la possibilità di accedere a questo tipo di apparecchiature, c'è la possibilità di accedere al trattamento. Questo è un elemento importante.
  Questi rappresentano i trattamenti avviati per criterio (vedi slide n. 4). La maggioranza dei pazienti sono stati eleggibili tramite i criteri 1, 8 e 4. Come vi ho accennato, il criterio 12 è appena partito e, nonostante questo, abbiamo già ottantasette pazienti che hanno potuto accedere al trattamento. Quindi abbiamo cercato di allargare l'eleggibilità.
  Questa è una slide che riassume i trattamenti per classe di età e di genere (vedi slide n. 5). Anche qui vediamo che abbiamo una prevalenza nel sesso femminile, nel gruppo di età settanta/settantanove anni, mentre invece per i maschi è tra i cinquanta e i sessant'anni.
  Avete visto prima la curva, ma probabilmente non rendeva perfettamente l'idea: il massimo reclutamento dei pazienti è avvenuto nel periodo ottobre 2017 – maggio 2018, periodo nel quale avevamo circa 5.500 pazienti avviati al trattamento al mese. A Pag. 8febbraio/marzo 2018 è stato osservato quello che abbiamo visto essere il picco massimo, con circa 6.300 trattamenti avviati al mese. Da lì abbiamo assistito effettivamente a un rallentamento e a una decrescita, arrivando a circa 3.400 trattamenti/mese a fine maggio 2019, mentre a giugno di quest'anno abbiamo registrato un'ulteriore flessione con circa 2.600 trattamenti/mese. Quindi siamo ben al di sotto dei picchi massimi. Questo è abbastanza normale da un punto di vista di sanità pubblica. Quando si apre ad un trattamento, normalmente si ha un reclutamento molto più veloce agli inizi e poi la curva tende a raggiungere un plateau, perché – come sappiamo anche in questo caso in particolare – diventa più complicato reclutare i pazienti.
  Qui abbiamo reso nel grafico quanto ho già detto in termini di numero di trattamenti avviati al mese, con il picco appunto nel periodo febbraio/marzo 2018 (vedi slide n. 7).
  Questo è l'andamento invece dei trattamenti avviati rispetto ai relativi criteri (vedi slide n. 8). Abbiamo riassunto in questa tabella i criteri 1, 4, 7 e 8, poi nelle slide seguenti anche per i criteri 2 e 3 (vedi slide n. 9) per rendere un po’ più evidente l'andamento anche delle sottopopolazioni di pazienti. Questa slide invece riassume i criteri 5, 6, 9, 10, 11 e 12 (vedi slide n. 10).
  Abbiamo portato qualche dato per quanto riguarda la distribuzione territoriale dei trattamenti. Per singola regione si evidenzia una predominanza dei trattamenti in Lombardia, Campania, Emilia-Romagna, Puglia e Lazio, che assorbono oltre il 50 per cento dei trattamenti nazionali (vedi slide n. 12). Quando però andiamo a calcolare il numero di trattamenti per numero di abitanti (per diecimila abitanti), mentre le regioni Campania, Lombardia e Puglia sono ancora quelle con il maggior numero di trattamenti, si riduce la differenza tra le regioni (vedi slide n. 14).
  Anche i dati sulla mobilità non evidenziano comportamenti particolarmente difformi sul territorio. Come detto, abbiamo Lombardia, Campania, Emilia-Romagna, Puglia e Lazio che insieme assorbono il 56,4 per cento dei trattamenti. Questi sono i trattamenti avviati e chiusi per regione (vedi slide n. 13). Quando andiamo a evidenziare il numero dei trattamenti sulla popolazione residente, vediamo che le differenze si affievoliscono un po’, ma devono tener conto del fatto che epidemiologicamente dovremmo avere delle differenze anche tra Nord Centro e Sud del Paese, quindi il numero di trattamenti per popolazione residente va compensato con la prevalenza epidemiologica dell'infezione, di cui non abbiamo dei dati molto dettagliati per poterli affiancare a questi.
  Questo evidenzia la mobilità, quindi i trattamenti avviati per i non residenti sulla popolazione (vedi slide n. 15). Il numero dei trattamenti ai non residenti sono quelli in blu chiaro che vedete sotto. Vedete che non è un importante elemento da tenere in considerazione.
  Qui riassumiamo i Centri abilitati e i Centri attualmente attivi per regione (vedi slide n. 16). Anche qui non abbiamo una grandissima differenza, eccetto forse in Lombardia dove abbiamo quarantatré strutture abilitate, ma solo trentasette in questo momento attive. Sappiamo anche che la Lombardia è la regione che sta reclutando il maggior numero di pazienti, quindi anche questo va tenuto presente.
  Queste sono le tipologie di unità operativa per regione (vedi slide n. 17). Anche qui vediamo che le tipologie più rappresentative sono quelle dell'epatologia e gastroenterologia, malattie infettive, medicina interna e geriatria. Anche qui per regione ci sono le strutture attive, operative e le tipologie.
  Qui riportiamo invece i trattamenti avviati per ogni regione, per ogni tipologia di unità operativa (vedi slide n. 18).
  Un cenno sulla modalità di monitoraggio e rendicontazione delle terapie antiepatite. Sono incentrate sul nostro sistema «web based» dei registri di monitoraggio di AIFA, che sono resi attivi a partire già dal dicembre 2014, proprio immediatamente all'inizio della disponibilità della terapia. In questo caso il Sofosbuvir, il primo trattamento ad arrivare in commercio, e poi progressivamente per tutti gli altri farmaci in seguito autorizzati. I registri ci permettono Pag. 9 di tracciare l'impatto clinico, ma anche l'impatto economico attraverso la selezione dei pazienti, il monitoraggio dei dati nel contesto di utilizzo della pratica clinica reale. Il monitoraggio ha inoltre garantito l'applicazione dei «management agreement», gli accordi e le modalità contrattuali che AIFA è riuscita a ottenere in funzione per esempio di prezzo/volume, e permettono anche la rendicontazione della spesa ai fini dell'accesso alle risorse dei fondi farmaci innovativi non oncologici.
  Questo riassume la spesa a carico del sistema sanitario da quando è iniziato l'accesso a questa terapia fino a luglio 2019 (vedi slide n. 20). Possiamo dire che in totale le risorse impiegate per il trattamento dell'epatite C dal 2014 a oggi sono state di circa 2,5 miliardi, per un trattamento di circa duecentomila pazienti a carico del Sistema sanitario nazionale. Questo ci porta a fare una considerazione immediata, che in media il trattamento è costato circa 12.500 euro a paziente. Però ci sono state delle notevoli variazioni nel tempo, perché all'inizio il costo della terapia era molto elevato, poi AIFA è riuscita a negoziare degli accordi molto più favorevoli. In particolare quelli legati al prezzo/volume hanno portato a un efficientamento della spesa, che è rappresentata qui variare nel corso degli anni; io ho voluto associarci anche il numero di trattamenti per far vedere come l'effetto di queste contrattazioni abbia portato alla possibilità di trattare un gran numero di pazienti a un costo decisamente inferiore a questo medio che abbiamo detto, se prendiamo tutto l'arco temporale dal 2014 ad oggi. Quindi a partire dal 2016 la spesa si è andata gradualmente riducendo come effetto dell'applicazione di questi accordi e delle rinegoziazioni, intervenute in seguito all'ampliamento dei criteri di trattamento previsti dal Piano di eradicazione 2017.
  Questa slide riporta la spesa totale per farmaci innovativi (vedi slide n. 21). Abbiamo affiancato i non-oncologici con la spesa degli innovativi oncologici negli due anni (2017/2018), e vedete come per i non-oncologici (quelli che ci interessano di più) nel 2017 si era ampiamente al di sotto del tetto di questo fondo, perché la spesa totale, al netto del payback, ammontava a circa 144 milioni, mentre invece nel 2018 la spesa, al netto dei payback non-oncologici, si è assestata intorno ai 370 milioni. È da tener presente che non tutte le regioni accedono a questi fondi, quindi ci sono le regioni Friuli-Venezia Giulia, Valle d'Aosta, Sardegna e le Province autonome di Bolzano e Trento che non accedono alle risorse dei fondi, mentre la Sicilia vi accede solo per il 50 per cento. Quindi da queste tabelle andrebbe scontata la spesa totale in queste regioni.
  La scadenza dell'innovatività è l'altro elemento che vorrei portare alla vostra attenzione. A breve, a partire tra febbraio e aprile 2020 alcuni di questi farmaci perderanno l'innovatività acquisita tre anni fa. AIFA comunque si sta preparando già da oggi a delle nuove rinegoziazioni, tenendo conto di questi aspetti e tenendo conto anche di quello che sappiamo mancare da un punto di vista epidemiologico per arrivare all'eradicazione dell'epatite C. A grandi linee abbiamo messo in trattamento, nel corso degli ultimi anni, circa duecentomila pazienti; sappiamo epidemiologicamente che – anche qui a spanne – dovrebbero essercene almeno duecentoquarantamila rimanenti o duecentomila, siamo quindi a circa metà del pool totale dei pazienti che ci dovremo aspettare in Italia; tenendo conto di dover raggiungere la metà più difficile in un tempo ragionevole, usando i benefici che questi farmaci ci portano, l'idea è di contrattare per poter arrivare a questo obiettivo nella maniera più efficiente possibile.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questioni o formulare osservazioni.

  MICHELA ROSTAN. Più che altro una considerazione e un supplemento di riflessione da parte del direttore, che ringrazio.
  Questa indagine conoscitiva nasce proprio perché eravamo bene a conoscenza del fatto che scadessero a breve i criteri di innovatività, allora delle due l'una: o ci si avvia alla costituzione di un fondo ad hoc, Pag. 10di un fondo di scopo che possa consentire di non far perdere il risultato raggiunto finora; altrimenti occorre – e in questo credo che l'AIFA debba giocare un ruolo fondamentale – una proroga dei criteri di innovatività con un'eventuale ricontrattazione dei prezzi e dei costi. Adesso non entro nei tecnicismi, da parte politica sto provando a interpretare quello che è un interesse non soltanto dei pazienti, delle associazioni, ma credo un interesse generale della collettività. In questo senso mi farebbe piacere un supplemento di riflessione.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
ROSSANA BOLDI

  ELENA CARNEVALI. Ringrazio tutti gli auditi e pongo alcune questioni. La prima: 2,5 miliardi per circa duecentomila pazienti sottoposti a trattamento; giustamente è stato detto «siamo alla metà del guado», ma, se lo guardiamo in prospettiva, non dobbiamo certo immaginare che servano 2,5 miliardi per poter arrivare a fare l'altra metà, quindi sottoscrivo la domanda della collega Rostan volta a capire indicativamente di quale spesa possiamo parlare. Capisco che c'è poi tutto il tema della ricontrattazione – non ce la può anticipare qua –, però siamo a 4 mila euro a trattamento, mi auguro che in linea indicativa possa aiutarci a capire.
  Il tema del reclutamento di questa platea che attualmente non accede credo che vada di pari passo con le modalità con le quali noi lo facciamo il reclutamento, perché non si capisce come mai abbiamo 131 milioni di euro non spesi sul fondo dei farmaci innovativi. Quindi alla condizione attuale noi abbiamo una disponibilità di budget, ancorché – come ci ha ricordato – a febbraio i farmaci che servono per l'eliminazione dell'HCV usciranno da questo fondo, che di fatto non è stato utilizzato appieno, e qua vado a una terza domanda. Quindi una riguarda la questione dell'inserimento dei test gratuiti, già anticipata dall'Istituto superiore di sanità, di cui sono convinta sostenitrice; la seconda è invece riuscire a capire dove sta l'inghippo, perché una delle cose che SIMIT ci ha detto più volte è la preoccupazione che, se non esiste un fondo specifico, se non possiamo rinegoziare, rinegozieremo ma non sono più farmaci innovativi, vanno direttamente nei fondi delle regioni. Qui si apre il problema che ci ha esposto la società che rappresenta tutti gli infettivologi, che la disponibilità di questi farmaci non è così automatica. Quindi il tema vero è come mai abbiamo disponibilità di risorse, mezzi e strumenti, ma non riusciamo a coprire la platea e ci avanzano pure dei soldi. E di fronte a noi abbiamo una condizione che ci pone, se non un cambiamento, una grande incognita. Quindi come facciamo a reclutarli il più possibile, a utilizzare le risorse, a spendere meno e a rendere la spesa efficace, oltre che efficiente.

  MARCELLO GEMMATO. Io vorrei porre una domanda di carattere «ragionieristico», che ha un impatto nella prassi quotidiana, soprattutto di chi fa politica a livello amministrativo e gestionale. Mi spiego meglio. Si evince che vi è una spesa di 2,5 miliardi per la cura di duecentomila pazienti affetti da epatite C: c'è stato un calcolo corrispondente legato al fatto di determinare quanto in realtà si è risparmiato in costi diretti e indiretti, di mancate ospedalizzazioni, di qualità della vita, lavoro, eccetera?
  Qui apro una riflessione con i colleghi. In sanità, ma in politica in generale, si vive di presentismo: chi fa i bilanci, un assessore regionale alla sanità, giustamente lo fa pensando al bilancio dell'anno dopo, però non pensa a quanto potrebbe risparmiare in prospettiva dalla mancata ospedalizzazione. Ricordo ai colleghi che mediamente un giorno di ospedale costa intorno ai 1.200 euro. Quindi, al di là delle considerazioni ontologiche legate alla salute del cittadino, capire quanto ha comportato di risparmio l'utilizzo di questi farmaci e quanto ci possiamo spingere ad investire, avendo come orizzonte quello un po’ più lungo del bilancio stretto di una regione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per le repliche.

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  LUCA LI BASSI, direttore generale dell'AIFA. Grazie, presidente. Grazie per queste interessantissime domande. Partirei dall'ultima proprio per permettere all'Istituto superiore di sanità di dire qualcosa. Noi partecipiamo con loro a questo tipo di lavoro e di metodica proprio per calcolare i costi evitati. Detta proprio velocemente, penso che i costi evitati siano ampiamente superiori. Questa è una delle terapie più costo-efficace tra quelle attualmente in circolazione, e forse anche rispetto al passato, per il beneficio che crea su tutti i fronti: non sono solo economico per i costi evitati, ma anche effetti sociali importanti. Però lascio la parola alla collega dell'Istituto su questo.

  LORETA KONDILI, ricercatore presso il Centro nazionale salute globale dell'ISS. Attraverso questa collaborazione con AIFA si è calcolato che a vent'anni, perché ovviamente il risparmio non è immediato, per i pazienti trattati nel 2015 in quasi tutti i casi si risparmia in eventi clinici.
  Per quanto riguarda la popolazione trattata nel 2017 e 2018, quindi la popolazione più giovane, con una malattia meno severa, per mille pazienti trattati, in termini di cancro, morte virus correlata, trapianti di fegato si evitano più di cinquecento casi.
  Il ritorno completo dell'investimento, con i prezzi dei farmaci attuali, è intorno a 6,6 anni. Il risparmio a vent'anni per mille pazienti trattati è di 50 milioni di euro.
  Queste sono stime recentissime su tutti i casi trattati, prendendo i dati da AIFA, pazienti real life, inserendo nei modelli i pazienti per età, per sesso, dividendo le categorie di trattamenti per ogni anno di trattamento. Quindi i risparmi sono netti e il ritorno dell'investimento, se parliamo di negoziazioni con un prezzo di farmaco sicuramente più basso, si stima intorno ai quattro/cinque anni addirittura. Nel 2020 dovremmo essere nel punto di quasi guadagno rispetto ai trattamenti del 2016.

  LUCA LI BASSI, direttore generale dell'AIFA. Per le ulteriori riflessioni anche qui sono molto contento di poterle fare insieme a voi, anche se permettetemi di fare qualche commento che va al di là del ruolo di AIFA. Noi abbiamo un ruolo minore, partecipiamo senz'altro ai tavoli di lavoro dell'epatite C, soprattutto del Ministero, per l'implementazione del Piano nazionale, però è vero che, se dobbiamo ragionare in termini di come riusciamo ad andare a prendere la metà più complicata e più difficile dei pazienti, su questi aspetti AIFA non ha un ruolo diretto. Anche se, come specialista esperto di sanità pubblica, è un tema appassionante, perché, se la prima metà (quella più facile) è più immediata da raggiungere, per la metà più difficile dobbiamo essere sicuri di come procediamo. È importante ricordare come lo screening e la diagnosi dei pazienti siano il punto cardine, secondo me, per poter procedere lungo la strada del raggiungimento dell'eradicazione dell'epatite C. Quindi screening e diagnosi rappresentano il punto cardine attorno a cui tutto deve girare.
  Il secondo aspetto che mi sento di richiamare è il fatto di poter allargare il più possibile la platea dei prescrittori. Siamo di fronte a dei farmaci che sono molto efficaci e, allo stesso tempo, molto sicuri. Quindi abbiamo un'opportunità in salute pubblica, oggi come oggi, di debellare una malattia così importante e così seria con un mezzo estremamente efficace ed estremamente sicuro allo stesso tempo. In medicina non ci capita tutti i giorni di poter fare questo. Questi sono i due punti cardine.
  Dopo di che, se non c'è l'accesso al farmaco, entra in gioco AIFA. Abbiamo visto che dal 2014 a oggi, negli ultimi cinque-sei anni la spesa è stata in totale di 2,5 miliardi per circa duecentomila circa pazienti, che non vuol dire in alcun modo che ci costerà la stessa cifra per la restante parte dei pazienti. Proprio perché cinque, sei anni fa il farmaco era appena arrivato in commercio, ce n'era solo uno. Poi ne sono arrivati altri, si è creata una competizione, sono arrivati farmaci anche più efficaci dei primi arrivati, perché adesso ci sono farmaci o combinazioni che sono comunque efficaci per tutti i genotipi, e sono anche efficaci in un periodo di trattamento inferiore rispetto all'inizio. Quindi il mercato si è sviluppato nel frattempo, non è Pag. 12rimasto statico, quindi noi abbiamo cercato di coglierne tutti i frutti appena possibile. Quello che si ripresenta prima di aprile 2020 è un'opportunità di andare a raccogliere ulteriori frutti.
  Sicuramente in questo momento il costo terapia non si avvicina neanche a 12.500 euro: è molto inferiore, probabilmente intorno alla metà, in questo momento, con i contratti che abbiamo. Però abbiamo una situazione in cui è difficile quantificare esattamente i costi, perché con degli accordi prezzo/volume più ne trattiamo e meno ci costano. Quindi è un po’ come il gatto che si morde la coda, perché torniamo a quanto dicevamo prima. Siamo in una situazione in cui dobbiamo avere un focus massimo sugli screening e la diagnostica, in modo da poter reclutare più pazienti possibili e avere una platea di prescrizioni più ampia possibile per usare questi farmaci più velocemente e più massicciamente più possibile, proprio per riuscire a pagare meno in termini di costo unitario per trattamento.
  Questa è la situazione di oggi, con i contratti attuali. Quello che noi ci poniamo è un'apertura verso schemi di negoziazione innovativi, che vadano al di là di quanto fatto fino ad oggi con i meccanismi usati tipo prezzo/volume, capping o payback. Significa che oggi abbiamo registrato la disponibilità delle aziende a confrontarsi con degli schemi diversi rispetto a quelli usati in passato, che potrebbero consentire quello che cercavo di spiegare prima: di trattare il maggior numero di pazienti il più velocemente possibile. In questo senso potremmo pensare a degli schemi negoziali che prevedano una qualche forma di – chiamiamolo – «abbonamento», in modo da poter, in un tempo predefinito, pagare un fisso e poi la quantità di farmaco usata potrebbe non essere più legata al costo. Mi spiego. Oggi paghiamo, per ogni ciclo di trattamento, un tot: potremmo cominciare a ragionare rispetto a che cosa ci può costare negoziare per trattare i duecentomila che ci mancano in un tempo definito. Abbiamo una disponibilità da parte delle aziende di aprire un discorso diverso da quello che normalmente viene fatto per altre patologie, proprio per l'unicità della situazione che abbiamo di fronte. Quindi in questo senso io sono abbastanza ottimista che si possa arrivare a delle negoziazioni anche molto più attrattive di quello che abbiamo oggi, che ho definito prima essere attualmente circa sui 6 mila euro a ciclo di trattamento.

  SILVANA NAPPI. Se ho capito bene, è scaduto il brevetto di questi farmaci, per cui dal prossimo febbraio verrà stabilito il loro nuovo valore di mercato; abbiamo detto di aver raggiunto più o meno il 50 per cento dei pazienti infetti; abbiamo parlato di un sommerso che è pari alla metà degli infetti totali; ci avete comunicato che diminuirà il costo del farmaco, devo concludere che andremo incontro a una spesa che sarà di meno della metà di quella precedente.
  Ne approfitto per chiedere se il prezzo del farmaco in Italia sarà equiparato a quello europeo, perché noi paghiamo per la cura dell'HCV il doppio di quello che viene pagato nelle altre nazioni.

  LUCA LI BASSI, direttore generale dell'AIFA. Su questo non ho elementi per poter comparare...

  SILVANA NAPPI. Però c'è gente che è andata all'estero a curare l'HCV negli anni precedenti, perché il costo era altissimo qui in Italia.

  LUCA LI BASSI, direttore generale dell'AIFA. Questo è successo all'inizio, lo confermo. Però non è il caso attuale. Assolutamente no. Non ho elementi di comparazione, perché le nostre contrattazioni sono riservate e noi stessi non possiamo confrontare il nostro prezzo con quello di altri Paesi. Gli altri Paesi molto probabilmente hanno clausole di riservatezza simili, per cui è difficile fare paragoni. È quello su cui ci siamo battuti quest'anno per cercare di aprire questo tipo di informazione al mercato, per renderlo più competitivo.
  Quello che è importante capire è che qui non c'è una barriera di prezzo. Anche oggi, se noi riuscissimo a reclutare cinquemila Pag. 13 pazienti, ci costerebbe di meno, proprio perché abbiamo degli accordi prezzo/volume. Quindi non abbiamo una situazione in cui il prezzo del farmaco è una barriera all'accesso. Abbiamo una realtà in cui quello che costituisce una barriera all'accesso è più il trovare, è fare lo screening e diagnosticare questi pazienti. Dopodiché il ruolo di AIFA sarà quello di efficientare questa spesa ancora di più. Cosa possibilissima, perché, vista la competizione che si è creata sul mercato, noi contiamo di fare anche meglio delle attuali negoziazioni.

  ELENA CARNEVALI. Vorrei risposta sulla questione del fatto che con la perdita dell'innovatività escono dal fondo, quindi le risorse dovrebbero andare direttamente alle regioni.

  LUCA LI BASSI, direttore generale dell'AIFA. Confermo che con la perdita dell'innovatività escono dal fondo. Ovviamente il Fondo degli innovativi era stato stabilito da leggi specifiche, dopo di che noi come AIFA ci adeguiamo a quello che viene normato. In questo senso tengo solo a precisare che – come vi ho fatto vedere – in questo momento i fondi sono stati ampiamente capienti per poter gestire i farmaci non oncologici. In questo caso anche quelli dell'epatite C. Non so se posso dire più di questo.

  PRESIDENTE. Forse l'onorevole Carnevali intendeva se da parte di AIFA c'è, in prospettiva, una qualche proposta rispetto al fatto che finisce l'innovatività o se invece dobbiamo lasciare che siano il Parlamento o il Ministero della salute a fare proposte in questo senso.

  LUCA LI BASSI, direttore generale dell'AIFA. Quello che mi sento di dire è relativo a quello che potrebbe essere l'impatto del fatto che non ci sia più l'innovatività. In assenza di innovatività alle aziende produttrici verrà richiesto di pagare il payback in caso di sfondamento della spesa. Questo è il tipo di impatto che si verifica.
  Attualmente i fondi mettono a disposizione delle risorse per le regioni o allocate per specifici farmaci, che comunque riceverebbero ugualmente come fondi sanitari; quello che va a cambiare, nel momento in cui scade l'innovatività, è il fatto che la spesa andrà a concorrere alla spesa totale farmaceutica, che quindi è assoggettata al payback.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per i loro contributi, autorizzando la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della presentazione informatica illustrata dal direttore Li Bassi (vedi allegato), e dichiaro conclusa questa audizione.

Audizione di rappresentanti del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di politiche di prevenzione ed eliminazione dell'epatite C, l'audizione di rappresentanti del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
  È presente il presidente Mauro Palma, che saluto e ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna e lo pregherei di contenere l'intervento entro dieci minuti, anche per dare modo ai deputati di porre eventuali domande, a cui seguirà la replica.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà altresì pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
  Do quindi la parola al presidente Mauro Palma.

  MAURO PALMA, presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Grazie per aver richiesto questa audizione. Preciso subito che – come loro sanno – il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà esercita la sua azione in una serie più complessa di situazioni di persone ristrette, che non riguarda soltanto il carcere, ma che coinvolge tutte le situazioni di privazione della libertà amministrativa dei Pag. 14migranti, i trattamenti sanitari obbligatori, oltre che le stazioni di Polizia e dei Carabinieri. Quindi una realtà complessa, dove però la realtà carceraria ha una specificità che, nel contesto dell'indagine che questa Commissione sta conducendo, è particolarmente rilevante. Quindi loro mi permetteranno di partire da alcuni dati che consentono di avere una fotografia di quale sia la composizione sociale della popolazione detenuta attuale, e come tale composizione sociale abbia poi dei riflessi sui problemi epidemiologici o, più in generale, sui problemi di trasmissibilità di fattori di rischio alla popolazione esterna.
  Questa mattina in carcere, il Garante nazionale ha accesso ai dati in tempo reale, i detenuti erano 61.187. Di questo dato, che è un dato generico, quello che è importante nel nostro contesto di discussione è il fatto che 1.654 detenuti stanno scontando una pena, non un residuo di pena, inferiore a un anno, e 3.258 una pena compresa tra un anno e due anni. Cosa ci dice questo dato, prima di vederne altri? Ci dice di una quota di popolazione detenuta (intorno alle cinquemila persone, se sommo quelle con pene inferiori a un anno a quelle con pene di due anni) che ha commesso reati di entità minore, se la pena inflitta è stata inferiore a un anno, che però molto spesso rischia di essere una popolazione ricorrente che ha una forte recidiva, dei forti ritorni, delle frequenti presenze in carcere. Questo dal punto di vista epidemiologico e della trasmissibilità di fattori di rischio diventa estremamente importante. Molto spesso sono l'immagine di una minorità sociale. Loro sanno che il nostro ordinamento ha tutti gli strumenti per prevedere delle forme alternative alla detenzione per una popolazione con questa entità di pena da scontare: se non accedono, è perché si tratta di persone che hanno minori strumenti, di comunicazione, di solidità sociale, complessivi. E il fatto che rappresentino già delle aree di quasi segregazione nel contesto esterno e che si ripropongano all'interno, pone alcuni interrogativi, anche dal punto di vista non solo dell'assistenza e non solo della finalità della pena. Loro possono ben immaginare che per una persona che sconta una pena di cinque mesi è molto difficile parlare di rieducazione, è molto difficile elaborare un programma: è semplicemente un tempo per stare dentro, poi si torna fuori e si rientra. Questa la prima riflessione; una composizione attuale con una quota di pene brevi ma molto ripetute, con frequenti contatti con l'esterno. A volte ciò è dovuto anche a comportamenti soggettivi di tossicodipendenza e via dicendo, con ingressi e uscite continue.
  Attualmente in carcere abbiamo, dati di questa mattina, 23.003 persone che hanno, una pena o un residuo di pena questa volta inferiore ai tre anni. Sono tutte persone che a breve torneranno nel contesto sociale esterno, e le indagini epidemiologiche ci dicono che, rispetto a queste persone, mentre scema l'infezione relativa all'HIV (sta andando decrescendo), ricompare con una frequenza significativa la questione della tubercolosi e si mantiene stabile l'infezione HCV (l'epatite C). Come loro, sanno l'articolo 32 della Costituzione prevede una doppia tutela: da un lato c'è la tutela del singolo; dall'altro lato c'è la tutela della collettività rispetto al singolo, perché la salute complessiva possa essere un elemento realmente tutelato come diritto del singolo e come diritto a non essere esposti al rischio da parte degli esterni.
  Questo elemento ci porta a ragionare su questa popolazione mobile. Ho parlato di ventitremila individui, quindi sto parlando di un terzo della popolazione carceraria, una mobilità abbastanza accentuata. Questa popolazione è spesso in condizioni igienico-sanitarie, dovute anche all'affollamento carcerario, che non garantiscono, al di là dello sforzo di chi ne ha responsabilità amministrativa, di direzione sanitaria e via dicendo, quell'ambiente che possa essere ben salvaguardato rispetto alla trasmissibilità di fattori patogeni degli uni con gli altri. Ecco che quindi la questione delle condizioni di detenzione e la questione della tipologia detentiva finiscono per essere due aspetti della stessa difficoltà nel contesto dell'esame che questa Commissione sta conducendo. Pag. 15
  I dati che cosa ci dicono? Prima ancora di comunicare i dati sull'HCV, vorrei aggiungere un'altra osservazione. Sempre più noi abbiamo negli istituti di detenzione una sorta di assistenza sanitaria, che io chiamo «a domanda» («on call»): laddove si è già evidenziato l'elemento patologico, la situazione patologica, c'è una risposta che – lo riconosco – il nostro Servizio sanitario nazionale riesce a dare, ma è molto scarsa invece l'attenzione di tipo educativo-preventiva. In questo senso io dico «a domanda»: a fattore patologico già evidenziato si è in grado di rispondere, ma non si è altrettanto in grado invece di costruire una cultura di prevenzione, una cultura dell'attenzione al non diffondersi delle possibilità di rischio di malattia. Questo si è un po’ accentuato anche con il meritorio passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, che però, se è meritorio dal punto di vista concettuale complessivo, dal punto di vista operativo spesso comporta che ci sia una scarsa presa in carico dei soggetti, ci sia un rapido alternarsi di medici, per esempio, che l'Azienda sanitaria manda negli istituti con una mobilità molto forte, anche perché devo riconoscere che, anche da parte medica, quando ci sono gli interpelli per tali posizioni, non sono i più ambiti, quindi vi è un certo mutamento. Questa questione della non presa in carico accentua l'elemento di risposta alla patologia già manifestata, ma è abbastanza carente sull'elemento di costruzione di una cultura, che richiede tempi e rieducazione dei comportamenti. Vorrei sottolineare che, al di là di parlare di «rieducazione in carcere», occorre parlare di «educazione in carcere», perché a volte molti di quei soggetti della minorità sociale non l'hanno avuta a monte. Questo è un primo punto da cambiare.
  L'incidenza – sappiamo – è fortemente dovuta alle sostanze, è dovuta quindi alle siringhe per intenderci, è dovuta moltissimo ai tatuaggi. Parlo dell'ambiente carcerario. In misura minore è dovuta, pur esistente, al problema della sessualità con partner infetti. Però molto è sulla questione tatuaggi e sulla questione siringhe.
  Che dati abbiamo. I dati EPAC ci dicono che l'elemento stimato è tra le 4.800 e le 8.500 persone. La stima è sempre un po’ ampia perché c'è la popolazione non consapevole. È una proiezione sostanzialmente. Sappiamo – e questa è una cosa positiva – che di recente è stato messo a disposizione della popolazione detenuta in carcere, come popolazione di rischio specifico, un particolare nuovo criterio di trattamento (l'AIFA me lo ha comunicato), cosiddetto «criterio 12», che è stato formulato proprio per pazienti che non possono accedere alla biopsia epatica o al fibroscan per motivi socioassistenziali vari, che dà una grande speranza di poter intervenire.
  Il problema di intervenire è stato risolto in alcune situazioni. Io prendo per esempio il dato di Milano Opera: registrava 114 persone infette nel 2018 (il 9,5 per cento allo screening della popolazione complessiva), nel 2019 ha raggiunto il «free». Le campagne pagano molto più che l'intervento, quando le cose si sono rivelate. Un buon dato di miglioramento si ha in Toscana, dove siamo comunque ancora al 4,3 per cento della popolazione. Un punto da tener presente è che tutto ciò, anche dal punto di vista economico, è pagante anche come tipo di impegno. Loro pensino un attimo a quella popolazione che io descrivevo all'inizio: in pene così brevi e ricorrenti quanto è poco pagante già il carcere di per sé, poi la messa in moto di un meccanismo anche sanitario specifico all'interno rispetto invece a programmi che forse, portati avanti in maniera controllata nel territorio, potrebbero dare maggiore continuità e quindi portare a eradicare il fenomeno.
  C'è un ultimo progetto (ENEHIDE) – parlo dei progetti più recenti – che è stato avviato a Viterbo portato avanti dalla Società italiana di medicina penitenziaria, progetto su cui ci sono diverse attese, molto basato sull'educazione preventiva delle persone, purtroppo devo registrare un dato: una scarsa partecipazione da parte degli operatori, in particolare gli operatori della Polizia penitenziaria, ai corsi alla formazione (solo il 13,5 per cento ha voluto Pag. 16partecipare). Mentre il coinvolgimento degli operatori è essenziale, perché sono esposti al rischio. Un carcere affollato, poco igienico, con una popolazione come quella che vi ho descritto, dove molto spesso ci sono anche fenomeni di autolesionismo per esempio, quindi di esposizione a materiale organico potenzialmente infetto; secondo me c'è ancora molto da fare perché si capisca che partecipare a un corso non è una valutazione sul soggetto, ma è uno strumento che viene dato al soggetto. Mi fermo qua, Presidente.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questioni o formulare osservazioni.

  PAOLO SIANI. Ringrazio molto il nostro ospite per questa interessantissima audizione, ricca di dati. Interessate anche perché ci pone un problema che non riguarda questa Commissione: «persone in carcere per uno o due anni – lei ci sta dicendo – tirateli fuori, perché sono un costo esagerato». Non c'è educazione.
  Vorrei capire due cose. Prima cosa. Capisco che chi entra in carcere non fa lo screening né per HCV né per tubercolosi né per HIV. Vorrei capire se viene fatto o meno, perché ho capito che c'è un intervento quando c'è un problema. Il medico viene chiamato perché uno sta male e forse fa in quell'occasione il test dell'HCV. Seconda cosa. Sarebbero invece proprio gli individui che entrano ed escono da sottoporre a screening. I ripetenti in carcere come i ripetenti a scuola sono la stessa popolazione. Io potrei dire che da bambini ho ripetenti in ospedale per le gastroenteriti, non si vaccinano, vanno male a scuola, arrivano in carcere e sono ripetenti in carcere. Sono questi che lo prendono in carcere e che lo portano fuori. Quindi in realtà – ci hanno raccontato adesso i colleghi dell'AIFA, i colleghi medici – sono questi da intercettare, che contraggono l'infezione in carcere. Oltre che con i tatuaggi. Ma i tatuaggi, chi se li fa e ha i soldi, se li fa in posto sicuro. Io credo che siano questi ventitremila e più (perché sono più di ventitremila) che entrano in carcere per pene brevi, entrano ed escono, contraggono l'HCV in carcere e lo portano fuori. Questo è il senso. Ora non so se questo corrisponde, ma tutta la parte che noi non troviamo nello screening, che non trattiamo, sono questi probabilmente.

  PRESIDENTE. Faccio io una domanda, ricollegandomi proprio a quello che diceva l'onorevole Siani. Magari mi sbaglio, ma, siccome qui si tratta di una popolazione carceraria definita e circoscritta, in questo caso quello che è un problema sulla popolazione totale, del reclutamento dei pazienti da trattare con i farmaci, in realtà dovrebbe essere un problema risolto, perché è una popolazione circoscritta, se a tutti venisse fatto lo screening; mi domando se c'è un problema di volontarietà o meno nel sottoporsi allo screening, se è possibile obbligare queste persone o se invece non lo è. Qui entriamo in un problema anche di tipo giuridico. Se fosse possibile sottoporre questa popolazione, ristretta e ben identificata, a uno screening, il reclutamento sarebbe facile, i farmaci a disposizione ci sono, i fondi ci sono, secondo me dovrebbe essere altrettanto facile arrivare in tutte le carceri al risultato che abbiamo avuto nel carcere di Opera.

  MAURO PALMA, presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Confermo entrambe le valutazioni, però vi dico anche quali sono le difficoltà. Mentre il sistema, se fosse in una situazione di popolazione detenuta stabile, continua, avrebbe un suo naturale svolgimento, è molto difficile imporre lo screening a persone che magari passano due giorni in carcere. Vi faccio un esempio. Scusate la parentesi. Una battaglia che come Garante ho portato avanti, come istituzione portiamo avanti, è di togliere il peso sul sistema carcerario di quei passaggi per le direttissime (l'udienza del giorno dopo), che avvengono laddove non sono funzionanti le camere di sicurezza di Polizia e Carabinieri. Questo, seppure ciò è diminuito rispetto al passato, ha comportato per esempio più di tredicimila passaggi nell'ultimo anno. Gente che sta una notte. Pag. 17Sono meccanismi, tra l'altro, che stressano il sistema, perché, per stare una notte, devi fare comunque la matricola e seguire tutto l’iter. Purtroppo questo determina un'accentuazione di popolazione instabile. Sulle camere di sicurezza stiamo cercando, con il prefetto Gabrielli da un lato e con il generale Nistri dall'altro lato, con i quali abbiamo protocolli d'intesa, di farle risistemare, quindi si può anche risolvere. Però questi problemi di brevità si registrano in un sistema che non impone l'obbligatorietà del test, per non aprire problemi giuridici rispetto alla tutela del diritto della persona a non essere sottoposto in maniera obbligatoria a un trattamento medico, problemi del mantenimento dei dati e problemi della privatezza della persona (è un universo a tre). Un sistema che non lo impone deve costruire tanto sul convincere, sul far partecipare a progetti. Ma il convincimento in soggetti che, anche per la propria connotazione criminale, a volte sono molto «eversivi» rispetto al comportamento normale, richiede tempi. È molto più facile che si sottoponga al test il detenuto che deve scontare un certo numero di anni, perché c'è stato un tipo di costruzione. Quindi ritorno al solito modello, che è poi il mio modello: io ricordo sempre che la Costituzione, all'articolo 27, non richiama «la pena» ma «le pene», quindi parla di una pluralità; per certe situazioni ci sarebbe bisogno di altre forme di punizione e controllo, in un tessuto un po’ diverso da quello strettamente detentivo.

  PAOLO SIANI. Questa è una doppia pena: li teniamo in carcere (e potrebbero star fuori) e li facciamo infettare da HCV, che poi non cureranno. Sarebbe logico e obbligatorio convincerli che è un bene fare il test di screening per evitare questa doppia pena.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Mauro Palma per i suoi contributi, e dichiaro conclusa l'audizione odierna.

  La seduta termina alle 15.25.

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