XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 22 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 2 

I INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI POLITICHE DI PREVENZIONE ED ELIMINAZIONE DELL'EPATITE C.
Lorefice Marialucia , Presidente ... 2 
Venesia Roberto , responsabile nazionale area farmaco della FIMMG ... 2 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Petta Salvatore , segretario dell'AISF ... 3 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 4 
Galli Massimo , presidente della SIMIT ... 5 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 7 
Carnevali Elena (PD)  ... 7 
Novelli Roberto (FI)  ... 7 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 8 
Venesia Roberto , responsabile nazionale Area farmaco della FIMMG ... 8 
Petta Salvatore , segretario dell'AISF ... 8 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 10 
Petta Salvatore , segretario dell'AISF ... 10 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 10 
Carnevali Elena (PD)  ... 10 
Petta Salvatore , segretario dell'AISF ... 10 
Galli Massimo , presidente della SIMIT ... 10 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 13.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Federazione italiana medici di medicina generale (FIMMG), della Società italiana di malattie infettive e tropicali (SIMIT) e dell'Associazione italiana per lo studio del fegato (AISF).

  PRESIDENTE. La Commissione inizia oggi le audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di politiche di prevenzione ed eliminazione dell'epatite C. Saluto i nostri ospiti ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione odierna. Sono presenti: per la Federazione italiana medici di medicina generale Roberto Venesia, responsabile nazionale area farmaco; per l'Associazione italiana per lo studio del fegato, Salvatore Petta, segretario, mentre attendiamo l'arrivo della Società italiana di malattie infettive e tropicali, quindi il presidente Massimo Galli e Massimo Andreoni, direttore scientifico.
  Pregherei ciascuno dei nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro i dieci minuti per dare modo ai deputati di porre domande, a cui seguirà la replica.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà, altresì, pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati.
  Cominciamo dando la parola al dottor Roberto Venesia, per la FIMMG.

  ROBERTO VENESIA, responsabile nazionale area farmaco della FIMMG. Io sono un medico di medicina generale e medico di famiglia e rappresento qui la Federazione italiana dei medici di medicina generale, associazione professionale e sindacato maggioritario dei medici di famiglia.
  Ritengo che sia fondamentale il ruolo del medico di medicina generale per una società senza epatite C. Dovremo inquadrare il problema in un aspetto più ampio, inserendo le epatiti virali come un modello patognomonico di patologia cronica, perché è una malattia che evolve in genere nell'arco di alcuni decenni e solo una parte dei pazienti arriverà a sviluppare la cirrosi con le sue complicanze.
  Sappiamo tutti che le patologie croniche vanno prevenute, precocemente diagnosticate e continuamente governate; la gestione della cronicità presuppone un paziente attore e gestore consapevole, un approccio multidisciplinare (il team), un approccio integrato (la gestione integrata) e la definizione di percorsi di cura (dei PDTA, Percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali). È necessario quindi promuovere una medicina di iniziativa, definendo percorsi di prevenzione, diagnosi precoce e follow-up programmato quale primo irrinunciabile strumento per la sostenibilità del Sistema sanitario nazionale, garanzia di equità di accesso al servizio stesso.
  La medicina generale è chiamata a svolgere un ruolo centrale e anche di coordinamento alla luce anche del nuovo Piano della cronicità, attraverso una riorganizzazione Pag. 3 territoriale che sposti necessariamente il focus dall'ospedale al territorio in modo da poter gestire la cronicità nella sua complessità. Come Federazione dei medici di medicina generale siamo in prima fila per promuovere politiche di passaggio da una assistenza reattiva a un'assistenza di tipo proattivo e siamo fortemente impegnati perché le cure primarie diventino finalmente il punto centrale dei processi assistenziali.
  La medicina generale, laddove è stata valorizzata e sostenuta adeguatamente, ha dimostrato, dati alla mano, di assicurare la diffusione della prevenzione delle patologie croniche ad un costo accettabile. Il medico di famiglia è in grado di combinare una strategia dell'alto rischio con una strategia di popolazione, perché è l'unico che può agire su tutta la popolazione utilizzando il tempo della vita. Sappiamo che nel campo dell'epatite C c'è un sommerso, che va individuato e successivamente affrontato con un investimento importante che però dà, laddove viene messo a frutto, dei vantaggi anche di tipo economico.
  Le proposte. Una gestione condivisa tra il medico di medicina generale e specialista epatologo, attraverso i rispettivi compiti, appare assolutamente necessaria affinché il percorso assistenziale complessivo del paziente con epatite virale risulti appropriato, efficace e sostenibile. Quindi, per quanto sin qui esposto, proponiamo che siano previsti degli interventi normativi innanzitutto, ma anche con risorse vincolate, da mettere a disposizione della contrattazione collettiva nazionale e/o regionale per promuovere da subito modelli condivisi e sostenibili di gestione integrata, anche utilizzando fondi già stanziati (e non impiegati) che rischiano di confluire nella quota di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard. Mettiamo a disposizione un semplice strumento, un algoritmo diagnostico terapeutico dell'epatite C dall'identificazione del paziente alla guarigione, ed è uno strumento semplice e attuabile: l'algoritmo sinteticamente prevede criteri per l'identificazione del paziente con HCV da parte del medico di medicina generale, interventi sullo stile di vita, criteri e modalità di invio allo specialista di condivisione, follow-up a lungo termine.

  PRESIDENTE. Do adesso la parola al dottor Petta dell'Associazione italiana per lo studio del fegato. Dieci minuti a sua disposizione, prego.

  SALVATORE PETTA, segretario dell'AISF. Parto da un presupposto; nel 2016 l'Organizzazione mondiale della sanità ha definito per il 2030 un obiettivo chiaro, a cui l'Italia ha aderito: l'eradicazione dell'infezione da HCV, il che corrisponde a una riduzione di circa il 65 per cento dei decessi legati a questa malattia e del 90 per cento dei nuovi casi di infezione. Tale obiettivo è possibile realizzarlo soprattutto grazie (negli ultimi anni) alla disponibilità di regimi antivirali estremamente sicuri, efficaci e di breve durata. Parliamo di farmaci che possono essere utilizzati anche da chi ha una malattia di fegato avanzata con tassi di guarigione virologica superiori al 95 per cento. Quindi sicuramente una rivoluzione. Dal 2017 soltanto nove Paesi si presentano in grado di arrivare a questo obiettivo, e fra questi vi è proprio l'Italia, quindi dobbiamo essere orgogliosi di questo.
  In Italia non abbiamo dei dati epidemiologici estremamente sicuri e certi, ma possiamo stimare, alla luce dei dati disponibili, che tra l'1 e il 2 per cento della popolazione generale abbia un'infezione, e sino ad ora una collaborazione molto fruttuosa fra istituzioni, medici e pazienti ha permesso di trattare più di 190.000 soggetti. Questo è un risultato che pone l'Italia tra i primi Paesi al mondo nella lotta a questa infezione.
  Tuttavia non dobbiamo essere troppo ottimisti. Se guardiamo i trattamenti avviati nell'ultimo anno, sicuramente c'è stato un trend in riduzione legato al fatto che i pazienti già afferenti ai centri si sono sostanzialmente ridotti, perché abbiamo ancora circa 200.000 pazienti da trattare, di cui una quota sommersa (che non sa di avere l'infezione). Quindi, per poter portare a termine l'obiettivo dell'eradicazione dell'infezione in Italia, dobbiamo attuare dei programmi specifici di screening e di Pag. 4identificazione dei pazienti e inviarli ai centri autorizzati per il trattamento.
  Ci sono dei bacini su cui lavorare. Diceva correttamente prima il collega della medicina generale, parliamo di pazienti afferenti agli studi di medici di medicina generale, cioè una popolazione di pazienti da recuperare con infezione nota e altri da sottoporre a screening, perché hanno fattori di rischio, perché hanno più di sessanta o sessantacinque anni. Vi sono pazienti in centri non autorizzati per il trattamento, che vanno avviati a centri autorizzati oppure va ampliato il numero dei centri che possono prescrivere i farmaci. Poi vi sono dei bacini particolari, come i SERD o le carceri, laddove vi è un'alta prevalenza di infezione da HCV e bisogna agire in modo mirato, con personale specifico sul campo per poter trattare e identificare questi pazienti.
  Per ultimo, ma non meno importante, appare fondamentale sottolineare come l'eradicazione dell'infezione da HCV sia un vero e proprio investimento per il Sistema sanitario nazionale, reso possibile nel 2015 dall'istituzione di un fondo innovativo che ha permesso di trattare i pazienti facendo sì che il costo dei farmaci non gravasse sulle singole regioni ma su questo fondo. Con la chiusura di questo fondo (prevista nel 2020) sarà necessario assicurare una copertura per l'acquisto di farmaci, per poter continuare a trattare i pazienti. Però dobbiamo ulteriormente sottolineare come il prezzo dei farmaci negli ultimi anni si è ridotto estremamente (siamo intorno a 5 mila euro per ciclo terapeutico), e questo è molto importante perché rende conto del fatto che, seppur manterremo – come auspichiamo – elevato il numero di pazienti trattati nei prossimi anni, la spesa per l'acquisto dei farmaci tenderà a ridursi. A tal proposito infatti il rapporto OsMed, appena uscito, per il 2018 ci dice come la spesa per i farmaci antivirali sia soltanto la quindicesima voce di spesa farmaceutica e rappresenti solo l'1,9 per cento della spesa sanitaria per farmaci e che, rispetto al 2017, nel 2018, nonostante abbiamo trattato più pazienti, la spesa finale si è ridotta del 56 per cento, perché i farmaci costano di meno. Inoltre, molto importante, abbiamo oramai i dati di costo-efficacia chiari che ci dicono che, nonostante noi oggi stiamo spendendo per acquistare i farmaci, stiamo guadagnando in termini di salute e a medio e a breve termine avremo anche un guadagno in termini di costi, perché ridurremo i costi della gestione delle complicanze della malattia.
  In conclusione possiamo dire di essere in un momento storico unico, che ci potrebbe permettere di arrivare all'eradicazione dell'infezione dal nostro Paese, fra i primi al mondo. Quindi quello che riteniamo importante, come società scientifica, è l'istituzione di un tavolo permanente, che includa le istituzioni, le regioni, le società scientifiche, i pazienti che integrino le loro competenze; un tavolo permanente che abbia come obiettivo la generazione di un piano nazionale reale per l'eliminazione delle epatiti virali e che sia dotato di fondi, quindi non un piano virtuale ma un piano reale, e – ancora – la generazione di un percorso diagnostico-terapeutico nazionale da condividere con le regioni, che venga declinato in modo obbligatorio in ogni singola regione, seppure con varie differenze. L'altro punto fondamentale è che vi sia l'istituzione di un fondo ad hoc dedicato, che permetta di continuare ad acquistare i farmaci, ma che permetta anche di attuare tutte le altre strategie necessarie per scovare il sommerso, quindi: programmi di formazione e informazione di personale medico e popolazione; presenza nelle carceri e nei SERD di personale in grado di gestire sia lo screening che di prescrivere dei farmaci; screening delle popolazioni a rischio (molto importante); network tra medici di medicina generale, altri specialisti e coloro che trattano in centri autorizzati, perché soltanto un network agile può favorire il trattamento dei pazienti; l'ampliamento dei centri autorizzati alla prescrizione; semplificazione dei percorsi di diagnosi; attività di comunicazione verso i diversi attori.

  PRESIDENTE. A questo punto diamo la parola alla Società italiana di malattie infettive e tropicali, interviene il presidente Galli. Dieci minuti a sua disposizione, prego.

Pag. 5

  MASSIMO GALLI, presidente della SIMIT. Grazie, presidente. Credo che il collega Salvo Petta, con cui lavoriamo gomito a gomito su questa problematica da tempo, abbia già sottolineato quanto l'Organizzazione mondiale della sanità ha fissato come obiettivi da conseguire per il 2030, obiettivi che sono: la riduzione del 65 per cento della mortalità da epatite A e da epatite C e la riduzione del 90 per cento dell'incidenza dell'epatite C per quella data (obiettivo globale), rispetto ai quali noi siamo allineati finora soltanto per il numero importante di trattamenti che abbiamo potuto ottenere. Abbiamo però un problema serio di emersione del sommerso. Taglio altri punti per andare direttamente a questo, perché è su questo che effettivamente è necessario che ci si muova, e lo si faccia rapidamente. Abbiamo necessità di interventi mirati e necessità di affrontare le problematiche che emergono dalla cessazione, il 31 dicembre di quest'anno, della copertura del costo dei farmaci ad azione diretta contro il virus da parte del Fondo farmaci innovativi presso l'AIFA e il passaggio del tutto alle regioni.
  Noi siamo in un contesto in cui non si è mai investito un centesimo di euro in maniera significativa sull'emersione del sommerso, si è invece rimpolpato in maniera importante il silo della possibile fornitura dei farmaci, ma non si sta governando la transizione tra il momento in cui questa fornitura dei farmaci è a carico di AIFA e il momento in cui tutto questo passerà alle regioni. Non ci siamo ancora peritati di intervenire con interventi elementari come ad esempio la gratuità del test per l'HCV nella stessa modalità con cui garantiamo la gratuità del test per l'HIV, che, per una malattia che ha ovviamente una portata e un interesse sociale, potrebbe essere un grande elemento di facilitazione delle procedure per l'emersione del sommerso. Un sommerso che rischia di comparire nel prossimo futuro come un rubinetto che sgocciola piuttosto che come qualche cosa che più razionalmente e in maniera definita si può manifestare. Manca completamente (e anche questo ha degli aspetti al limite del grottesco) un vero studio gestito direttamente a livello nazionale dalle autorità sanitarie per arrivare a un'effettiva stima della prevalenza delle infezioni attive ancora da trattare. Andiamo soltanto su stime di buona volontà, organizzate e finanziate con quello che possono fare in autonomia le associazioni, i ricercatori, che danno dei risultati che non possono che essere parziali. Ancora adesso stiamo discutendo intorno a una cifra di soggetti da trattare tra i 200 e i 300 mila: metà dei quali probabilmente già noti (elemento di riflessione: perché questi già noti non sono stati inviati al trattamento), e l'altra metà invece non ancora noti.
  I programmi non possono prescindere, oltre che puntare sulle popolazioni a elevato rischio (utenze dei SERD, dei centri per l'assistenza alle dipendenze, carceri con persone che escono dal mondo della droga che stanno in carcere e che hanno quindi problematiche di questo tipo), dal contesto immigrazione, non in termini di intervento stigmatizzante ma ricordandoci che, se abbiamo sei milioni circa di immigrati in Italia (molti provenienti da Paesi ad alta endemia di questa infezione), è altamente verosimile che anche lì si debba studiare il problema, perché altrimenti faremmo la classica – scusatemi la banalizzazione – «scarpa e ciabatta». Un concetto chiave che dovrebbe essere chiaro a tutti noi è che qui non si sta soltanto facendo un rapporto costi/benefici per l'acquisizione di anni di vita e di anni di vita in buona salute delle persone che hanno l'infezione: qui si sta facendo un discorso di sanità pubblica, perché con questi numeri e con queste possibilità noi possiamo essere vicini all'eliminazione del virus in questo Paese, per quanto possa essere ottenuta con dei farmaci. Ricordiamoci che non c'è vaccino e non avremo vaccino: la variabilità del virus è troppo elevata per far pensare che un vaccino possa emergere in tempi utili e brevi. Quindi in un contesto di questo genere si ragiona per la comunità e non solo per il singolo. Credo che questo vada ricordato e sottolineato in maniera importante.
  Dove trovare quanto va fatto emergere? Ricordiamoci che le persone che hanno più Pag. 6di cinquanta o sessant'anni – abbiamo già parlato di tossicodipendenti, ex tossicodipendenti, immigrati e quant'altro – in generale hanno passato una parte importante della loro vita prima dell'introduzione del materiale a perdere nelle pratiche parenterali e prima della scoperta del virus. Per molti buoni motivi possono aver avuto occasione di esposizione più degli altri, infatti il grosso del sommerso probabilmente sta lì. È ora di cominciare a progettare interventi, alla luce magari di uno studio nazionale fatto come deve essere fatto, però senza perdere ulteriore tempo, in questa chiave e in questa direzione. Pensare a chiamate attive o altro. C'è un lavoro, che sta per essere pubblicato, del gruppo che si è occupato di seguire la più grossa corte italiana di persone con trattamento e che ha ragionato su dove e come si possa fare meglio questo genere di studio. Ricordiamoci che, se al 21 ottobre (quindi ieri l'altro) avevano 195.291 trattamenti avviati, la curva di questi trattamenti ha subito una flessione netta ultimamente: i grossi centri, soprattutto al Nord, hanno visto un calo vistosissimo delle persone in trattamento, perché non ci vengono più mandati. Ricordiamoci che, se nel 2018 avevamo 4.600 pazienti in media al mese aggiunti al trattamento, tra il gennaio e il maggio del 2019 siamo stati sotto i 3.000. Va sottolineato che, se si teme di non avere le risorse necessarie, lo stesso fatto che in aprile dell'anno prossimo si perde l'innovatività dei farmaci, va a significare che a fronte di un costo per paziente che nel 2016 era superiore ai 20 mila euro per trattamento, già oggi siamo a 4.955 euro e con circa il 9 per cento di riduzione con la perdita dell'innovatività, si passa a 4.500 euro a trattamento. Vuol dire che, se trattassimo quarantamila persone, avremmo un costo di 180 milioni di euro l'anno prossimo; visto che non sarà così, perché con il trend attuale, se arriviamo a trentamila, è tanto, fatevi i conti: siamo sui 150 milioni circa di spesa prevedibile. Forse 135 milioni di spesa prevedibile. Se non cambia nulla. In ogni caso non si può prevedere di poter andare a reclutare rapidamente per il trattamento, anche se si facessero iniziative significative per l'emersione del sommerso. Quindi con 30.000 pazienti la cifra è questa, con 36.000 pazienti sarebbero 162 milioni di euro.
  Brutti segnali? Sì. La regione Veneto chiede ad AIFA l'equivalenza di due composti farmaceutici utili, quelli attivi su tutti i genotipi nell'ambito dell'epatite C, una via per tentare di risparmiare che sembra però avere basi scientificamente assolutamente non provate e sostenibili. Vi abbiamo trasmesso un documento che abbiamo inviato come Società di malattie infettive tropicali ad AIFA, facendo opposizione a questo; stiamo articolando ulteriormente il discorso in ambito di ACE (Alleanza contro l'epatite) che ha la stessa posizione (tutte le tre organizzazioni che ne fanno parte). Ci sono solo alcune regioni che prevedono programmi iniziali per l'emersione del sommerso, qualche cosa sul tema ce lo hanno: Campania, Lazio, Sicilia, Toscana e Veneto, con caratteristiche e implicazioni diverse.
  Per quanto riguarda le proposte che facciamo, in primo luogo c'è un PDTA nazionale unico (lo stiamo sviluppando al tavolo del Ministero). Il dottor Petta e il sottoscritto sono coordinatori delle attività in questo momento del tavolo che è presente al Ministero. Attenzione, la mia personale posizione è che, se è vero che questo PDTA deve avere delle flessibilità per le regioni, è anche vero che i PDTA regionali sono fonti enormi di diseguaglianza sul territorio nazionale nel trattamento dei pazienti, in qualsiasi patologia. Meditate, perché questo è un dato di fatto. Serve inoltre l'istituzione di un fondo ad hoc, perché non possiamo non governare e non trovare una transizione più dolce di questa cosa alle regioni, se non vogliamo trovarci delle barriere, dando anche tempo alle stesse di sviluppare dei piani di eliminazione che tengano conto delle diverse attività regionali. Di tante altre cose ha già parlato il dottor Petta.
  Come SIMIT – ma credo che siamo d'accordo tutti anche su questo – siamo convinti che ci voglia un protocollo definito per la rilevazione della presenza o meno dell'infezione nei pazienti ricoverati e nei pazienti che si recano in ospedale presso i vari ambulatori specialistici. Senza nulla Pag. 7togliere e lavorando in sinergia ovviamente con i medici di base. Molti pazienti che hanno una frequentazione dell'ospedale maggiore rispetto a quella con il loro medico di base, finiscono altrimenti per sfuggire alla possibilità di sottoporsi a un test. I test ovviamente devono essere finalizzati, perché, se si fa anche un ottimo test, ma non c'è un protocollo che avvii la persona risultata positiva al trattamento, succede quello che succede attualmente: che abbiamo un numero elevato (forse la metà) delle persone che vivono con HCV attivo in Italia che lo sanno, ma non sono state avviate al trattamento.

  PRESIDENTE. Ci sono domande da parte dei colleghi?
  Onorevole Carnevali, prego.

  ELENA CARNEVALI. Devo dire che sono state delle audizioni particolarmente corpose e molto dettagliate.
  La prima questione che voglio toccare riguarda l'istituzione di un fondo ad hoc e la vostra preoccupazione per questa transizione dal fondo alle regioni, con il quadro che ci avete dipinto. A parte la questione dei PDTA regionali che sarebbero fonti di disuguaglianze, e devo dire che nella mia forse scarsa conoscenza pensavo che almeno i PDTA garantissero non solo il diritto di uguaglianza ma anche, al di là delle modalità organizzative, uno standard che valesse su tutto il territorio nazionale, la prima domanda è se secondo voi la richiesta, vista anche la peculiarità di quello che stiamo trattando, di poter avere dei PDTA il più possibile conformi a livello regionale può essere considerata una lesione dell'autonomia organizzativa a livello regionale o se questo potrebbe essere uno strumento comune.
  Seconda questione. Voi avete sempre giustamente parlato di eliminazione e non di eradicazione, secondo me questa è un'altra differenza che dobbiamo rendere in modo ben specifico e possiamo essere nelle condizioni – e questa è la domanda – di eliminare o di eradicare? Io penso di aver capito che siamo nelle condizioni di poter eliminare. Però ditemi, se ho capito male.
  La terza questione invece riguarda l'emersione del sommerso. Voi ci avete detto una cosa molto importante: che l'abbattimento di fatto del costo, dovuto all'esclusione dall'innovatività, darebbe la possibilità di poter avere un ampliamento della platea delle persone che stiamo curando.
  L'ultima. Secondo voi che impatto economico potrebbe avere – bisognerebbe calcolarlo anche come benefìci in termini di salute e questa dovrebbe essere la nostra priorità –, se avete mai fatto questa stima, la gratuità del test, esattamente come si utilizza per l'HIV.
  Mi ha molto colpito questa preoccupazione che avete sollevato sull'equivalenza richiesta da alcune regioni, che mi sembra un altro tema non irrilevante.
  Una domanda per i medici di medicina generale. I malati di epatite sono considerati malati cronici (forse ho capito male io), avete detto che oltre a una interazione maggiore tra medici specializzati e di medicina generale si potrebbe ragionare nell'ottica di prevedere un fondo o un riconoscimento economico per garantire un finanziamento che assicuri la continuità assistenziale tra ospedale e territorio: vorrei capire se questo non rientra già tra le attività che possono essere riconducibili al piano della cronicità.

  ROBERTO NOVELLI. Ringrazio anche da parte nostra gli auditi, perché hanno dato delle indicazioni molto importanti.
  Io definirei quest'opera di eradicazione la «grande incompiuta», perché qualche anno fa i malati di epatite C seguivano un percorso farmacologico ben preciso, che sembrava fosse quello che sarebbe continuato ancora per molto tempo, poi in realtà questi farmaci hanno dato speranza e hanno guarito molte persone. La prima cosa che mi viene da chiedere è questa: indubbiamente il fatto che delle persone vengano curate in modo definitivo da questa patologia porta, in successione, tutta una serie di risparmi importanti, oltre che per la salute naturalmente, per la sanità nazionale, ma è stato fatto un bilancio di una possibile, ideale eradicazione della malattia, se ci sono dei risparmi che compensano – come io credo – ampiamente i costi Pag. 8dei farmaci che vengono o che verrebbero utilizzati. Questa è la prima domanda.
  La seconda domanda riguarda le regioni. Abbiamo venti sistemi sanitari regionali differenti e sappiamo che le regioni si comportano, sulle diverse patologie e malattie, in modo differente, chiedo in questo caso se i fondi a disposizione per i farmaci per curare l'epatite C vengono utilizzati integralmente da tutte le regioni o se ce ne sono alcune che non prestano sufficiente attenzione e peso a questa malattia, questa possibilità di cura.
  Sulla gratuità del test HCV, come avviene già per l'HIV, una domanda sempre riferita al differente comportamento delle regioni; chiedo se siete a conoscenza se in qualche regione esiste già una normativa che rende gratuito il test per l'HCV.

  PRESIDENTE. Non vedo altre richieste, quindi cominciamo con le risposte nello stesso ordine degli interventi. Dottor Venesia, prego, se vuole replicare.

  ROBERTO VENESIA, responsabile nazionale Area farmaco della FIMMG. Grazie, presidente. Quello dell'eradicazione e dell'eliminazione è un problema, ma non è l'unico. Se lo inquadriamo in una patologia cronica, bisogna cambiare l'approccio e avere un approccio proattivo.
  Il medico di medicina generale quali competenze ha o può avere? Sicuramente quella della precoce identificazione e dello screening dei soggetti a rischio, ma anche il sostegno del counseling sull'informazione della malattia, sulle misure comportamentali, sulle indicazioni degli stili di vita, abitudini e attività fisica, gestione del rischio, indicazione per i familiari conviventi. Noi siamo i medici delle persone, ma queste non vivono sotto le campane di vetro: vivono nei sistemi (il sistema famiglia, il sistema sociale, il paese, la comunità). Dobbiamo sviluppare anche l’empowerment del paziente attraverso dei percorsi educazionali sulla patologia; coinvolgere la famiglia; coinvolgere la società; inquadrare e trattare le patologie associate. Spesso questi pazienti non hanno un problema solo; la cronicità io la definirei complessità (è la sfida alla complessità): hanno diabete, osteoporosi, malassorbimento. Dobbiamo porre attenzione sulla somministrazione dei farmaci per le interferenze, per la potenzialità epatotossica; dobbiamo vaccinarli perché sono soggetti facili a contrarre complicazioni (influenza, polmonite, eccetera); far osservare anche un corretto follow-up, cosa succede una volta che un paziente è stato curato, chi se ne prende cura, quali analisi bioumorali vanno fatte? Chi verifica l'aderenza alla terapia? Occorre controllare anche i parametri di efficacia e gli effetti collaterali delle terapie. Quindi c'è un lavoro complesso che non può essere lasciato al caso, che necessita un cambio di paradigma, che vuol dire prendersi in cura, in carico la persona.
  Un notissimo economista diceva che si ottiene quello che si riesce a pagare: si vuole parlare dell'integrazione ospedale e territorio? Bisogna in qualche modo promuoverla e non solo con atteggiamenti proattivi. Ci vogliono verifiche. Nel setting della medicina generale non si può lasciare il medico da solo; ha bisogno di supporti, personale di studio adeguatamente formato, infermieri; soltanto in questo modo è possibile farsi carico in maniera proattiva ed efficace e verificabile della cronicità. In questa cronicità rientra anche il tema di cui trattiamo oggi, che ho cercato di descrivere nella sua complessità. Quindi non solo l'accesso alle terapie è fondamentale per l'eradicazione ma la gestione a tutto tondo di queste persone.
  Aggiungo, in chiusura, che è fondamentale il discorso di linee guida nazionali, quindi il tavolo nazionale deve dare indicazioni alle regioni, però queste devono essere vincolate nei fondi, promuovere l'integrazione, verificare l'efficacia delle cure, dare supporto ai medici, dare supporto alla presa in carico della cronicità più vicino possibile al paziente, sul territorio.

  SALVATORE PETTA, segretario dell'AISF. Cercherò di essere breve affrontando i parecchi punti sottolineati.
  Il primo punto è fondamentale, il PDTA. Il PDTA che è sicuramente una cosa buona e giusta, non lo dobbiamo demonizzare, perché rappresenta un modo tramite il Pag. 9quale riusciamo ad uniformare un sistema garantendo a tutti equità di approccio alle varie risorse. Quindi il PDTA è sicuramente un qualcosa di giusto che va fatto dagli esperti e va condiviso con le parti politiche. Però quello che ad oggi sta succedendo, è che abbiamo in ogni regione un PDTA diverso. I PDTA sono fatti dagli esperti, ma questo non garantisce uguaglianza fra regioni, perché addirittura abbiamo regioni che non hanno alcun PDTA, quindi tutto è lasciato un po’ alla fantasia o alla buona volontà di pochi. Quindi lo sforzo deve essere un PDTA nazionale, che però venga approvato dalla Conferenza Stato-regioni, in modo che possa essere applicato in modo più simile nelle varie regioni. Ovviamente con delle inclinazioni che possono cambiare in funzione della realtà, ma seguendo sempre la traccia di un PDTA nazionale. Il PDTA non va assolutamente demonizzato, è il modo più corretto che noi abbiamo per approcciare le diverse malattie.
  Il PDTA deve essere inserito nel contesto di una rete, perché, se noi dettiamo le regole (il paziente va gestito in questo modo), ma poi non c'è una rete che ci permette di far passare agilmente il paziente dal medico di medicina generale allo specialista, dal centro non prescrittore al centro prescrittore, abbiamo scritto una tavola di leggi senza che poi vi siano le vie per raggiungere l'obiettivo. Quindi PDTA nazionale con una rete, con un network che lo renda fattibile. Ovviamente nel PDTA si sta scrivendo una parte importante – come diceva il collega della medicina generale –: il follow-up, il controllo post terapia. Questa sarà una parte integrante che chiarirà quale paziente dovrà rimanere allo specialista, quale paziente dovrà essere gestito dal medico di medicina generale, sempre in una interrelazione importante. Però ricordo che queste cose già le avevamo: un documento della Società italiana delle malattie del fegato, pubblicato già da un anno e mezzo, che dà delle indicazioni su come seguire il paziente nel post eradicazione virologica. Questo documento è stato condiviso in un ulteriore documento con la Società italiana di medicina generale. Quindi stiamo parlando di un qualcosa che già c'è, che ora andrà riposizionato a livello nazionale, ma il problema più importante è declinarlo a livello regionale e farlo applicare. Quindi Ministero e regioni devono parlarsi.
  Altra cosa importante, si è parlato dei fondi. Fino ad ora in realtà le regioni non hanno avuto problemi particolari nella gestione dei fondi per acquistare il farmaco, perché c'è stato un fondo unico che inizialmente veniva anticipato dalla regione e poi, con un meccanismo di pay-back abbastanza complicato che credo nessuno abbia capito, c'era un rimborso a favore delle regioni; il problema reale è che, nel momento in cui il fondo per i farmaci innovativi andrà a finire, il costo del farmaco graverà direttamente sui bilanci regionali, sarà uno dei tanti farmaci che il bilancio regionale si troverà di fronte e in quel momento potrà essere che un paziente, che dovrà iniziare la terapia a settembre, dovrà aspettare forse marzo dell'anno successivo, perché il budget sta chiudendo, perché bisognerà dare priorità a qualcos'altro. Questo è un problema molto importante per quanto riguarda il fondo, che potrà creare una discriminazione tra una regione e l'altra in modo molto rilevante. Quindi va giustamente guidata questa transizione con un fondo dedicato ad hoc oppure facendo delle stime su quanti pazienti verranno trattati e vincolando a livello regionale quanti soldi investire.
  Sempre sul costo. Il costo dei farmaci è sceso tantissimo, quindi – come accennavo prima – paradossalmente, se noi continueremo a mantenere un elevato numero di trattamenti o li aumenteremo nel corso degli anni, la spesa finale sarà inferiore a quella degli anni precedenti. Il rapporto OsMed 2019 ci dice che tra il 2018 e il 2017 abbiamo trattato più pazienti, ma abbiamo speso molto meno. Quindi questo è un punto estremamente rilevante: non aumenteranno le spese, assolutamente! Ci sono già degli studi di costo/efficacia pubblicati (quindi disponibili), che chiariscono come questa piccola spesa che stiamo facendo ora, già in un orizzonte a medio e breve termine (non fra quaranta o cinquanta anni) ci permetterà di cogliere i frutti di un Pag. 10importantissimo risparmio, perché togliere l'infezione da HCV significa annullare il rischio di scompenso della malattia e di trapianto e ridurre il rischio di epatocarcinoma: tutte patologie importanti, impegnative che hanno, al di là del problema sanitario importantissimo, un problema di costi molto rilevante. Quindi è un investimento oggi per risparmiare tantissimo fra poco tempo.
  Per quanto riguarda la gratuità del test HCV in Italia attualmente non è gratuito in nessuna regione, c'è però un programma che sta partendo nella regione Basilicata, in cui sembra (però bisognerà vedere cosa verrà fatto, perché è ancora in potenza) che per esempio i medici di medicina generale saranno forniti di un test orale che permette uno screening del paziente, quando viene visitato. Ci sono tanti piccoli progetti pilota fatti autonomamente dai ricercatori, ma di codificato a livello regionale o nazionale nessuno.

  PRESIDENTE. I costi di questi test?

  SALVATORE PETTA, segretario dell'AISF. Per il test orale siamo intorno ai 10/12 euro, se non ricordo male. Anche qui, se viene centralizzato l'acquisto a livello nazionale, quindi non a livello della singola regione, e se ne compra una quantità ingente, il costo viene abbattuto. Però regioni e Stato si devono parlare, altrimenti non facciamo nulla.

  PRESIDENTE. L'onorevole Carnevali chiede di fare una rapida precisazione, prego.

  ELENA CARNEVALI. Avete, sulla base dei dati epidemiologici attuali divisi per regione, il tasso di copertura oppure il tasso di pazienti che sono seguiti?

  SALVATORE PETTA, segretario dell'AISF. Ci sono delle regioni, quelle indicate prima dal professor Galli (Sicilia, Campania, Lazio, Veneto), che hanno dei registri, quindi in regione Sicilia posso dirvi ad oggi il numero esatto di pazienti registrati, però non abbiamo assolutamente un dato epidemiologico italiano. Non c'è assolutamente nulla.

  MASSIMO GALLI, presidente della SIMIT. Il punto che sottolineavo prima: l'assenza di uno studio nazionale serio ci toglie la possibilità di avere chiara contezza del denominatore. Sappiamo di averne trattati molti, sospettiamo di essere forse a meno della metà dell'opera o poco più della metà dell'opera, ma non siamo in grado di poterlo dire con certezza e con chiara cognizione. Questo è un elemento che dovrebbe, tra l'altro anche a un costo abbastanza basso, essere risolto con uno studio di campionatura nazionale tale da avere una robustezza sufficiente a darci una realtà effettiva della cosa. Ma non è stato mai fatto – sottolineo –, tranne i pochi interventi delle regioni che ho citato prima e adesso anche della Basilicata, apprendo molto volentieri, un serio investimento da parte del nostro Paese su questo aspetto dell'emersione del sommerso e della valutazione del dato.
  Non possiamo pensare di continuare a basarci su stime che qualche anno fa parlavano di un milione e mezzo, un milione e ottocentomila persone, che sono diventate seicentomila; forse questo dato è abbastanza attendibile e ora ne abbiamo trattate quasi 195 mila, ma siamo ancora a dare i numeri e non ad avere precisa cognizione. Certo, è più facile farlo in Danimarca che in Italia, però da altre parti l'hanno fatto.
  Vado per punti. Su costi e fondi ha già risposto il dottor Petta, basta un solo slogan da fissarci in capo: quanto costa un solo trapianto di fegato? A parte alla persona che lo deve fare. Ragionare sui costi/benefìci su una cosa di questo genere, sapendo che una fetta importante di questi pazienti avranno un tumore al fegato, un linfoma o una cirrosi epatica. È evidente che, in prospettiva, più li lasci lì, più avremo problemi. Attenzione che poi di trapianti ne dovremo fare probabilmente purtroppo per altre cose in prospettiva, per cui togliere almeno questo problema potrebbe essere estremamente importante.
  Per quanto riguarda il fondo può darsi che i buoi siano già scappati, che si sia in Pag. 11ritardo, ma i segnali da parte delle regioni non sono confortanti. Non sono confortanti e si può capire, perché di questo problema a bilancio si sono dovuti occupare soltanto in termini contabili per questo vai e vieni di risorse rispetto al pay-back. I centri sono stati lasciati quasi ovunque completamente da soli; mi risulta che la sola Toscana abbia fatto un intervento riguardante personale da aggiungere alle attività di centri che magari, da un giorno all'altro, si sono presi in carico alcune migliaia di pazienti da trattare. Pazienti che peraltro vengono trattati tra le otto e le dodici settimane. Quindi, dal punto di vista della gestione della cronicità, il punto non è il follow-up durante il trattamento, che va gestito dai centri specialistici: il punto è che molti hanno un diabete e continueranno ad averlo; che alcuni non avranno una completa reversibilità della condizione di danno epatico; che altri hanno avuto una patologia cardiaca che si è associata con la lunga permanenza del virus C dell'epatite; che – se vogliamo andare al caso proprio più paradigmatico – almeno un quarto delle crioglobulinemie HCV correlate non guarisce, e pertanto il malato diventa un paziente più reumatologico e immunologico che un paziente con malattia infettiva. Quindi non possiamo pensare all'abolizione tout court dell'esenzione, che attualmente questi pazienti hanno, per epatite cronica C. È una questione che va quindi valutata anche da questo punto di vista in termini amministrativi.
  Continuando, sui PDTA ha già risposto molto bene il dottor Petta. È evidente che un PDTA è una garanzia, ma, se viene articolato fino al livello della singola azienda ospedaliera, mi dite voi se è una garanzia o un ginepraio di diseguaglianze alla fine di tutto il discorso? Se chiunque è autorizzato ad adattarsi le cose come meglio ritiene. Esistono linee guida nazionali e internazionali che dicono come devi trattare determinati pazienti, esiste una situazione per cui bisogna stabilire se il diritto del cittadino ad essere trattato al meglio è l'elemento fondamentale o se devono comunque intervenire fattori contabili, adattati alle singole regioni, che sono – ricordo, comprese le Province autonome – ventuno. Credo che questo valga la pena di ricordarlo.
  L'equivalenza. Se la regione Campania ha avuto una performance di 98/99 per cento per i suoi trattamenti, l'ha avuta perché ai medici è stato lasciato fare il loro lavoro: scegliere il farmaco più adatto per il singolo paziente. I farmaci che ci sono non sono equivalenti, hanno molte differenze per il tipo di paziente che può essere trattato: qualcuno non va bene per la cirrosi avanzata; un altro non va bene per i nefropatici seri; hanno un profilo diverso dal punto di vista della tolleranza e dell'associabilità con la polifarmacia dei pazienti anziani che devono prendere molti altri farmaci. Perché ci dobbiamo limitare sulle possibilità di scelta, quando si può agire alla fonte per ottenere un'ulteriore riduzione del costo del farmaco e uno strumento che non sia limitativo dell'attività clinica dei clinici? Questa è una domanda che mi sento in dovere di fare, perché ci limita nelle nostre possibilità di lavoro e di risultato. Ricordiamoci che poi avremo sempre quel 2 o 3 per cento (speriamo ancora di meno) di fallimenti, per i quali non è che siamo messi benissimo, perché in Italia abbiamo un farmaco solo per trattare i falliti, che ha risolto il problema nell'80 per cento circa dei trattati, ma che ti lascia un ulteriore margine su cui non abbiamo ancora capito cosa è bene fare, e ci lavoreremo sopra.
  Sulla cronicità ho già risposto. Sui costi del test. Quando si è trattato di fare il test per l'HIV, nessuno si è messo a ragionare sul costo/beneficio di questa cosa: si è deciso di fare questa cosa, perché era evidente che fosse importante. In una condizione in cui noi stiamo limitando l'ulteriore diffusione della malattia, che è comunque diversa rispetto alla situazione dell'HIV (lì identifichi la situazione del paziente, lo tratti, ti metti nelle condizioni, quindi, di evitare che lo stesso paziente diffonda il virus), in quanto il trattamento nella grandissima maggioranza dei casi risolve il problema.
  Tutte le regioni hanno fatto le stesse cose? Per rispondere alla domanda del Pag. 12deputato Novelli. Non tutte allo stesso modo, ma alcune regioni chiave si sono mosse molto poco.
  La gratuità del test, con qualche escamotage, esiste in qualche regione. Per quanto riguarda l'eliminazione/eradicazione possiamo dire con orgoglio di essere quasi riusciti a eliminare il virus nelle persone con co-infezione da virus HIV, perché sono molto medicalizzate, perché vengono tutte da noi, tranne quel 5/10 per cento di persone che non raggiungiamo perché stanno nei SERD e non vengono da noi per qualche motivo o non si capisce dove sono o perché sono persone in cui è impossibile fare questo genere di trattamento (pazienti psichiatrici o altro); li abbiamo veramente tolti tutti quanti dal campo degli infettati con HCV.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo per il vostro interessantissimo contributo e dichiaro conclusa l'audizione odierna.

  La seduta termina alle 14.05.