XVIII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Mercoledì 23 giugno 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mura Romina , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE NUOVE DISUGUAGLIANZE PRODOTTE DALLA PANDEMIA NEL MONDO DEL LAVORO

Audizione di rappresentanti del Forum disuguaglianze e diversità.
Mura Romina , Presidente ... 3 
Luongo Patrizia , rappresentante del Forum disuguaglianze e diversità (intervento da remoto) ... 3 
Mura Romina , Presidente ... 5 
Sacconi Lorenzo , rappresentante del Forum disuguaglianze e diversità (intervento da remoto) ... 5 
Mura Romina , Presidente ... 5 
Viscomi Antonio (PD)  ... 5 
Mura Romina , Presidente ... 6 
Sacconi Lorenzo , rappresentante del Forum disuguaglianze e diversità (intervento da remoto) ... 6 
Mura Romina , Presidente ... 7 

Audizione del professor Michele Alacevich, associato di storia economica e di storia del pensiero economico presso l'Università degli studi di Bologna, e dell'avvocato Giampiero Falasca:
Mura Romina , Presidente ... 8 
Alacevich Michele , professore associato di storia economica e di storia del pensiero economico presso l'Università degli studi di Bologna (intervento da remoto) ... 8 
Mura Romina , Presidente ... 9 
Falasca Giampiero , avvocato (intervento da remoto) ... 9 
Mura Romina , Presidente ... 10 
Viscomi Antonio (PD)  ... 10 
Mura Romina , Presidente ... 11 
Barzotti Valentina (M5S)  ... 11 
Mura Romina , Presidente ... 11 
Alacevich Michele , professore associato di storia economica e di storia del pensiero economico presso l'Università degli studi di Bologna (intervento da remoto) ... 11 
Mura Romina , Presidente ... 12 
Falasca Giampiero , avvocato (intervento da remoto) ... 12 
Mura Romina , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Facciamo Eco-Federazione dei Verdi: Misto-FE-FDV;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROMINA MURA

  La seduta comincia alle 13.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv.

Audizione di rappresentanti del Forum disuguaglianze e diversità.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione di rappresentanti del Forum disuguaglianze e diversità, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza degli auditi e dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.
  Intervengono in collegamento da remoto, in rappresentanza del Forum disuguaglianze e diversità, la dottoressa Patrizia Luongo e il professor Lorenzo Sacconi, ordinario di politica economica presso l'Università degli studi di Milano.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per la partecipazione, ricordo che il tempo complessivo a loro disposizione è complessivamente di dieci minuti in modo da consentire poi eventuali successivi interventi da parte dei deputati interessati e la replica.
  Cedo quindi la parola alla dottoressa Patrizia Luongo. Prego.

  PATRIZIA LUONGO, rappresentante del Forum disuguaglianze e diversità (intervento da remoto). Grazie e buongiorno a tutte e tutti. Come sapete anche meglio di me, nell'ultimo anno – tra aprile 2020 e aprile 2021 – il numero degli occupati si è ridotto di 177 mila unità. Questa contrazione ha riguardato soltanto i lavoratori indipendenti, mentre tra i lavoratori dipendenti c'è stato un aumento che ha riguardato solo ed esclusivamente i lavoratori e le lavoratrici con contratto a termine. Per cui, tra i lavoratori dipendenti c'è stato un aumento dell'incidenza di quelli con contratto a termine.
  Complessivamente il tasso di disoccupazione è cresciuto di 3 punti percentuali e questa crescita ha colpito prevalentemente le donne e i giovani. Infatti, nelle due fasce d'età 15-24 anni e 25-34 anni c'è stato un aumento del tasso di disoccupazione di, rispettivamente, 7 e 5 punti percentuali, mentre la crescita è stata più contenuta per le altre fasce d'età, in cui il tasso di disoccupazione era già più basso.
  Questi dati sono ancora più preoccupanti, se pensiamo che avere un lavoro non garantisce di vivere in condizioni dignitose. Questo lo dice l'ISTAT nell'ultima rilevazione sulla povertà, che certifica che c'è stato un aumento preoccupante dell'incidenza della povertà assoluta tra le famiglie in cui la persona di riferimento è occupata, ma lo dice anche l'Eurostat, che misura annualmente i dati sui cosiddetti working poor, ovvero quelle persone che, pur lavorando, non riescono a superare la soglia di povertà. Questo fenomeno in Italia riguarda il 12 per cento dei lavoratori e delle lavoratrici ed è molto più marcato per Pag. 4coloro che hanno un basso livello di istruzione.
  Inoltre, l'incidenza della povertà per chi lavora è tripla tra i lavoratori che hanno un contratto a tempo determinato rispetto a chi ce l'ha, invece, a tempo indeterminato ed è doppia tra i lavoratori part time rispetto a quelli che hanno un lavoro full time. Questo va ricordato e tenuto in mente, soprattutto perché ad avere contratti part time sono prevalentemente le donne.
  Questo quadro è abbastanza allarmante, ma possiamo immaginare che la situazione che si verificherà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi sarà peggiore.
  Se ci concentriamo, nello specifico, sul tema delle disuguaglianze, senza considerare soltanto i tassi di disoccupazione e di povertà, possiamo fare una distinzione tra le disuguaglianze che sono emerse nel corso della pandemia e quelle che, invece, ci possiamo aspettare per il futuro.
  Per quanto riguarda le prime, ve ne sono di due tipi. Innanzitutto per chi ha interrotto il lavoro, c'è stata una forte disuguaglianza tra chi ha avuto accesso in modo più rapido o addirittura automatico a strumenti di sostegno al reddito e chi, in molti casi, ha dovuto attendere che venissero introdotte misure ad hoc per determinate categorie, nelle quali spesso si trovano molte di quelle persone che non avevano a propria disposizione risparmi su cui contare e che, quindi, è più probabile siano scivolate in situazioni di disagio o di povertà. Un secondo tipo di disuguaglianza emersa nel corso della pandemia ha riguardato coloro che hanno continuato a lavorare. Infatti, all'interno di questa categoria si è verificata una distinzione tra quanti hanno potuto ricorrere a modalità di lavoro da remoto e quanti, invece, si sono dovuti recare fisicamente sul posto di lavoro – quindi tutti quei lavoratori e quelle lavoratrici che abbiamo imparato a definire «essenziali» nel corso della pandemia. Eppure, se si fa eccezione per il comparto sanitario, una volta terminata l'emergenza, non è stato fatto granché per migliorare le condizioni di lavoro o salariali di questi lavoratori, come quelli della logistica, della distribuzione e così via.
  Nei prossimi mesi ci possiamo aspettare un aumento delle disparità tra chi lavora nei settori che sono stati maggiormente colpiti dalla pandemia e chi, invece, lavora in quei settori che sono stati toccati meno o che, addirittura, hanno guadagnato a seguito della pandemia. All'interno di quest'ultimo gruppo – penso al settore del digitale, della comunicazione o della farmaceutica – sarà interessante vedere come i guadagni generati dalla crisi saranno stati distribuiti non solo tra capitale e lavoro, ma anche lungo la distribuzione salariale tra lavoratori e lavoratrici che hanno livelli di competenze e di qualifiche diversi, ma che operano all'interno dello stesso settore.
  Esistono soluzioni per le situazioni che si sono già verificate e per quelle che è probabile che si verifichino in futuro. Penso, in particolare, ad alcune proposte che sono già l'esame sia della Camera sia del Senato, riguardanti, ad esempio, l'introduzione di un salario minimo legale, che ultimamente ci ha chiesto e sollecitato anche la Commissione europea. Tuttavia, il salario minimo legale non può bastare da solo, bensì deve essere accompagnato non solo dall'estensione erga omnes dei contratti collettivi nazionali del lavoro, ma anche da un aumento delle ispezioni, quindi da un aumento degli ispettori a disposizione dell'INAIL, come prevede un progetto di legge all'esame del Parlamento.
  Una seconda modifica di cui si è tanto parlato, di cui si continua a parlare in questo periodo e sulla quale si è già iniziato a lavorare riguarda la disciplina degli ammortizzatori sociali, che vanno certamente riformati in senso universalistico per rispondere alle diverse esigenze di un mercato del lavoro che è completamente cambiato. Tuttavia, non bisogna utilizzare questa riforma come una scusante per accrescere maggiormente la flessibilità nel mercato del lavoro.
  L'ultima proposta del Forum riguarda, invece, la necessità di accrescere la disponibilità dei dati a nostra disposizione per conoscere come i salari sono distribuiti tra aziende che operano in diversi settori e tra aziende che hanno diverse dimensioni, per rendere il confronto – come quello che Pag. 5stiamo avendo oggi in questa sede – più approfondito e più efficace.
  Per quanto riguarda il lavoro da remoto che ho citato prima, sicuramente una possibile proposta è quella elaborata dal Forum – che, se ritenete opportuno, sarò ben lieta di condividere con voi – riguardante le officine municipali, ovvero la creazione di spazi alternativi, in cui i lavoratori e le lavoratrici possono recarsi per svolgere il lavoro da remoto e che possono essere utili anche per recuperare degli spazi abbandonati in diversi contesti delle città, periferici o centrali.
  Tuttavia, al di là di queste soluzioni di cui ho parlato, che sono di tipo più «macro», occorre considerare anche le forti differenze che esistono tra settori, tra aree e tra imprese di diverse dimensioni. Una possibile soluzione è riuscire a dare voce ai saperi del lavoro, luogo per luogo, attraverso un meccanismo di democratizzazione dell'economia, di cui vi parlerà in modo più approfondito il professor Sacconi, a cui cedo la parola. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Prego, professor Sacconi.

  LORENZO SACCONI, rappresentante del Forum disuguaglianze e diversità (intervento da remoto). La ringrazio, presidente. Dei fenomeni che sono stati richiamati, vorrei sottolinearne solamente tre: il venir meno – in alcuni casi molto grave – della funzione assicurativa dei contratti di lavoro; la differenza tra i lavoratori cosiddetti essenziali, nel senso di «indispensabili», anche se alcuni di questi sono stati indispensabili nella fase acuta della pandemia, ma poi sono diventati immediatamente deboli – nulla è stato fatto per i lavoratori della logistica, per quelli che lavorano per Amazon o per quelli che fanno la distribuzione del cibo –, mettendo in evidenza una disuguaglianza molto grave tra i lavoratori essenziali; sarà, poi, interessante capire come verranno distribuiti gli extra profitti dovuti a una contingenza del tutto straordinaria e senza merito per le imprese tecnologiche o del settore sanitario.
  È chiaro che tutte queste disuguaglianze hanno a che fare con la distribuzione dei poteri e del potere negoziale. Se si vuole aggredire alla radice questi problemi di disuguaglianza, oltre a mettere toppe o a prevedere livelli minimi generali per i salari attraverso l'introduzione del salario minimo legale, bisogna aggredire il tema della democrazia economica in questo Paese – poiché siamo drammaticamente in ritardo rispetto ad altri Paesi europei –, rispetto al quale persino pensatori e politici americani indicano la necessità di una transizione del capitalismo americano in direzione di un capitalismo di stakeholder con elementi di democrazia economica.
  Non voglio entrare nei dettagli della proposta, perché non c'è il tempo – il Forum propone l'istituzione di consigli del lavoro e della cittadinanza, che sono la rielaborazione delle esperienze centro-europee –, ma pensate soltanto a cosa potrebbe accadere se, una volta ripristinata la possibilità di licenziare, cosa che accadrà prima o poi – meglio poi che prima –, nelle imprese ci fossero consigli del lavoro con potere di codecisione sulla gestione dei licenziamenti collettivi per le questioni di ristrutturazione.
  L'impatto di una misura del genere sulle disuguaglianze e sulla povertà sarebbe radicalmente diverso. Questa è una questione di oggi o dei prossimi mesi e non una questione di prospettiva o di dibattito culturale sulla governance delle imprese. Pensiamo all'immediata urgenza di far fronte, con la democrazia economica e industriale, all'impatto dei licenziamenti nei prossimi mesi. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore. Chiedo ai colleghi se vogliono intervenire. Onorevole Viscomi, prego.

  ANTONIO VISCOMI. Grazie, presidente. Grazie agli auditi e, in particolare, al professor Sacconi, per la chiara ma sintetica riflessione.
  Confesso che mi interessa molto e sarebbe per me estremamente piacevole – ma non abbiamo molto tempo – riflettere sulla funzione assicurativa del contratto di lavoro e sul fatto che questa funzione sia venuta meno – come si è discusso anche Pag. 6sul piano accademico e politico negli ultimi anni –, perché credo che sia il punto centrale.
  Da questo punto di vista – questa è la mia impressione e vorrei chiedere al professor Sacconi se la condivide – mi chiedo se un'eccessiva enfatizzazione dei diritti e dei diritti individuali, ovvero quelli esigibili di fronte al giudice, non abbia forse preso, in qualche misura, il posto della dimensione collettiva e dell'azione di autotutela nei luoghi di lavoro. La responsabilità di ciò è anche riconducibile all'approccio seguito a livello istituzionale e parlamentare, in cui prevale la dimensione del diritto individuale rispetto a quella dell'azione dell'organizzazione collettiva, su cui forse dovremmo tutti riprendere a ragionare, perché il problema della democrazia industriale, che diventa democrazia economica, significa esattamente porre la questione di chi fa cosa e di chi decide come, di chi è il gestore dei poteri.
  Lei ha fatto l'esempio dei licenziamenti, ma potrei fare un esempio speculare e parallelo, per alcuni versi, cioè quello del contratto a termine e dell'individuazione delle sue causali. Una forte enfasi sui diritti ha portato a una tipizzazione delle causali e a una estromissione dell'azione collettiva nel controllo dell'esercizio dei poteri datoriali di individuare le causali del contratto a termine. È questo, ad esempio, il motivo per cui il Partito Democratico sta dicendo da tempo che l'individuazione delle causali deve essere attribuita al negoziato fra le parti sociali. Poi verrà fuori la questione della capacità di rappresentanza delle parti sociali, della misurazione della loro capacità di rappresentanza e così via, però sono due logiche del tutto differenti: una esalta la prospettiva individuale, tutelata dal nostro ordinamento giudiziario; l'altra, invece, esalta l'azione collettiva.
  Da questo punto di vista – anche su questo chiederei una sua valutazione – credo che sia maturo il tempo per ragionare su una seria disciplina della partecipazione all'interno delle imprese con tutte le difficoltà che questa materia porta con sé, come il campo di applicazione, il rapporto fra piccole e grandi imprese, il tessuto imprenditoriale del nostro Paese, così frantumato e frastagliato, però credo che sia il momento di iniziare a ragionare su un sistema un po' più consolidato e ordinato di partecipazione. Non dico di cogestione – non arrivo a questo livello –, ma almeno di partecipazione all'interno del sistema imprenditoriale, che può realizzarsi a livello di singola impresa, ma anche, per molti versi e su alcuni aspetti specifici, a livello territoriale, considerate le micro e le piccole imprese del nostro sistema imprenditoriale.
  Per chiudere, la ringrazio per la sua osservazione, ma temo che l'individualizzazione, enfatizzata dalla logica dei diritti, stia facendo perdere di vista la logica dell'azione e della presenza sindacale sui luoghi di lavoro. Le due cose probabilmente si tengono insieme, perché, da un certo punto di vista, l'una nasce dalla debolezza dell'altra e, da un altro punto di vista, l'una viene messa in crisi dall'enfatizzazione dell'altra, ma credo che se non torniamo a questa logica collettiva, con quello che ne segue sul piano della contrattazione e della negoziazione, forse avremo difficoltà ad affrontare i grandi cambiamenti che abbiamo davanti. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Viscomi. Se non ci sono altri interventi, cedo la parola per la replica alla dottoressa Luongo e al professor Sacconi. Prego.

  LORENZO SACCONI, rappresentante del Forum disuguaglianze e diversità (intervento da remoto). Credo che la domanda dell'onorevole Viscomi fosse rivolta a me. Condivido largamente l'enfasi posta sul tema della partecipazione.
  Facendo riferimento all'argomento «diritti versus azione collettiva», vi è una complementarietà tra questi aspetti. In un contesto nel quale esiste un'enfasi sulla relazione contrattuale nelle relazioni industriali, ma non c'è partecipazione alla gestione, è chiaro che il ruolo di extrema ratio del giudice ha avuto un senso. Se non si vuole tornare a quello, se si ritiene che l'assetto fosse inefficiente – il che è probabilmente vero – bisogna cambiare modello e fare, come lei dice, un approfondimentoPag. 7 sulla determinazione, sulla partecipazione dei lavoratori e sulla gestione del governo delle imprese, quindi, su una distribuzione del potere tra i diversi stakeholder essenziali, in modo tale che possano decidere loro prima che, eventualmente, sia attivata l'extrema ratio dell'azione giudiziaria. È un fatto che il ruolo del giudice sia stato molto ridotto, ma non siamo andati in quella direzione.
  Si è persa l'opportunità, in occasione della riforma della disciplina dei licenziamenti, di fare ciò che si doveva fare, ovvero introdurre la partecipazione dei lavoratori al governo dell'impresa. È stato un grave errore e questo l'ho anche scritto.
  Adesso si tratta di fare un passo in questa direzione, che in realtà è maturo anche per l'Europa, dove finalmente si parla di governance e di coinvolgimento degli stakeholder. Quella del Forum è – esattamente come lei suggeriva – una proposta concreta, ovvero la creazione di consigli del lavoro e della cittadinanza, che possono essere realizzati nella grande e media impresa, con il coinvolgimento della catena di fornitura, ma anche a livello territoriale o distrettuale per coinvolgere i lavoratori di un distretto, ma, in una realtà di questo tipo, ci devono essere relazioni d'affari che coinvolgano i lavoratori di imprese diverse, tra loro connesse – il distretto deve essere visto come un'entità economica rilevante – e che coinvolgano anche altri portatori di interessi importanti, come quelli di tipo ambientale.
  È un cambiamento rispetto all'esperienza olandese o tedesca, fatta per unificare il mondo del lavoro, per tenere conto dei diversi stakeholder e della piccola impresa. Abbiamo fatto una proposta che, tenendo conto di ciò che esiste in questi Paesi, è abbastanza concreta, poiché è articolata in diritti di informazione, diritti di consultazione e anche diritti di codeterminazione. Questa è la base, che può implicare una presenza nei consigli di amministrazione o – se si volesse fare le cose sul serio – tradursi nell'introduzione del modello duale, in modo tale che in un consiglio ci sono i manager e nell'altro ci sono gli stakeholder, che verificano che i doveri fiduciari nei loro confronti siano rispettati. Il modello duale esiste anche nel nostro ordinamento, ma è utilizzato per scopi diversi da quello per il quale è stato pensato. Nel consiglio di sorveglianza, infatti, dovremmo avere i rappresentanti dei soci, ovvero degli shareholder, e degli altri stakeholder.
  Il modello può essere diverso, nel senso che quello che conta è che esista un consiglio del lavoro che può esprimere rappresentanti – e questo si può fare subito, anche senza una riforma del diritto societario. Non ha senso la partecipazione a livello di board se non cambia il diritto societario e se non cambia il modo di intendere lo scopo sociale dell'impresa.
  Anche nella discussione internazionale – ne parla il Business Roundtable – si blatera sul fatto che Corporate America avrebbe come obiettivo gli interessi degli stakeholder.
  Lo scopo sociale dell'impresa è perseguire interessi molteplici e non semplicemente quello dei soci ed è allora che la partecipazione a livello del board è interessante e logica, altrimenti la partecipazione è solo per uno scopo non coerente con la rappresentanza di uno stakeholder. In tal caso, va bene la nostra proposta, ovvero il consiglio dei lavoratori e della cittadinanza con una rappresentanza nel board per portare un bilanciamento tra interessi diversi, ma esplicitamente rappresentati.
  In realtà, ci sarebbe da aprire una discussione molto seria – spero che la Camera dei deputati e la Commissione lo vogliano fare –, perché diversi sono i livelli sui quali si può intervenire. Si può scegliere una strategia più rapida oppure una più di lunga lena, ma sta a voi scegliere la strada migliore. Penso che questa opportunità sia molto importante e, se la volete cogliere, il Forum è a disposizione in tutti i modi, mettendo in campo tutte le sue competenze, collaborando nel coinvolgimento di altri soggetti con competenze e opinioni diverse esistenti nel Paese, ma sarebbe assai utile che lo stimolo, proposto dall'onorevole Viscomi, venisse colto dalla Commissione. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti del Forum disuguaglianze e diversità per il contributo reso ai lavori della Commissione.Pag. 8 Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

Audizione del professor Michele Alacevich, associato di storia economica e di storia del pensiero economico presso l'Università degli studi di Bologna, e dell'avvocato Giampiero Falasca.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento,
  l'audizione del professor Michele Alacevich, associato di storia economica e di storia del pensiero economico presso l'Università degli studi di Bologna, e dell'avvocato Giampiero Falasca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza degli auditi e dei deputati, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.
  Nel ringraziare ancora una volta i nostri ospiti per la disponibilità, cedo immediatamente la parola al professor Alacevich, ricordando che il suo intervento potrà avere una durata di circa dieci minuti. Prego.

  MICHELE ALACEVICH, professore associato di storia economica e di storia del pensiero economico presso l'Università degli studi di Bologna (intervento da remoto). Buongiorno. Grazie di questo invito. È la prima audizione che faccio e, per questo, mi aspettavo di dovere rispondere a vostre domande. Se non ne avete, il mio intervento sarà più breve di dieci minuti che mi sono stati assegnati.
  Vi posso dare un paio di spunti di riferimento per quanto riguarda lo sviluppo delle disuguaglianze in seguito alla pandemia, citando i dati dell'egregio studio della Banca d'Italia.
  Come sappiamo, i lavoratori più colpiti sono i lavoratori precari, i lavoratori autonomi, soprattutto nel settore dei servizi, i giovani e le donne. La questione di genere e la crescente disuguaglianza in seguito alle ripercussioni della pandemia sul mondo del lavoro sono un problema che riguarda diversi aspetti.
  Come vi dicevo, su questo mi aspettavo delle domande, quindi rinvio allo studio della Banca d'Italia.
  Come storico, aggiungo che le misure messe in campo dal Governo per far fronte ai problemi delle crescenti disuguaglianze nel mondo del lavoro sono state, tutto sommato, efficaci nel breve periodo – e di questo va dato atto. Nonostante si sarebbe potuto fare di meglio, tutto sommato, sono state misure efficaci. Tuttavia, sono misure di breve periodo.
  Nel lungo periodo, tutto quello che è stato messo in campo non riuscirà a fronteggiare un peggioramento notevole della disuguaglianza di diversi punti Gini – non entrerò nello specifico di questo indice, molto conosciuto, ma ricordo che anche solo un paio di punti Gini rappresentano una crescita notevolissima della disuguaglianza e che abbiamo rischiato una crescita della disuguaglianza di circa 4 punti Gini, se non ci fossero state le misure messe in campo dal Governo.
  Sul lungo periodo – questo è il contributo che posso dare come storico – la disuguaglianza si combatte con misure strutturali di redistribuzione del reddito. La riforma fiscale, di cui si parla da sempre e che non si è ancora vista, è sempre più necessaria e forse la speranza è che questa emergenza ci costringa ad affrontarla.
  Aggiungo che la riforma fiscale può andare in tante direzioni, ma ciò che la storia ci dimostra è che, nei decenni di maggiore crescita delle democrazie capitalistiche cosiddette «avanzate» nel secondo dopoguerra, la progressività fiscale è stata molto maggiore di quanto sia stata negli ultimi trenta o quaranta anni.
  Vi faccio l'esempio di un Paese che non può essere accusato di tendenze socialiste. Durante gli anni Cinquanta del secolo scorso sotto la presidenza repubblicana di Eisenhower, l'aliquota più alta era del 90 per cento. Ciò non ha impedito processi di investimento, di crescita economica e di redistribuzione. Aggiungo anche che un'eccessiva disuguaglianza, soprattutto nel compartoPag. 9 finanziario – questo è stato dimostrato e lo sostengono anche economisti del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale –, tende a rendere i mercati più instabili e a produrre processi cumulativi di crescente sperequazione.
  Vi ringrazio per l'attenzione e mi scuso se la mia ignoranza della procedura di audizione mi ha portato a parlare a braccio piuttosto che preparare una relazione.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Gli spunti che ci ha fornito sono utili e preziosi. La invito, se lei fosse disponibile, a farci pervenire una memoria, nella quale può fornirci, oltre alle cose che ha detto in audizione, anche ulteriori elementi che potrebbero aiutarci nel nostro lavoro. Adesso do la parola all'avvocato Falasca. Prego.

  GIAMPIERO FALASCA, avvocato (intervento da remoto). Grazie a tutti i deputati. Io concentrerò la mia analisi esclusivamente sulla parte del programma dell'indagine conoscitiva che conosco meglio, cioè sull'impatto delle politiche giuslavoristiche e delle politiche del lavoro attuate in questo biennio per fronteggiare le nuove diseguaglianze prodotte dalla pandemia, nonché sulle misure più generali, perché non sempre quelle che sono state adottate in questo periodo sono state politiche strutturali.
  A mio avviso, meritano attenzione in particolare tre macro-questioni: la questione del cosiddetto smart working, che nella nostra legislazione si chiama «lavoro agile»; la questione del blocco dei licenziamenti; la questione delle competenze. Per ciascuno di questi tre macro-insiemi – lavoro agile, blocco dei licenziamenti e il grande tema delle competenze – si sono viste forme di forte diseguaglianza, accentuate dalla pandemia. Vado rapidamente a spiegare il mio ragionamento.
  Per quanto riguarda il cosiddetto smart working, non c'è dubbio che nella prima fase dell'emergenza fosse necessario «scappare tutti in caverna». Siamo andati in cantina – intendo una cantina virtuale, che poi sono le nostre case – ci siamo chiusi lì e abbiamo cercato di trasferire dentro il «tubo catodico digitale» tutte le nostre relazioni umane. C'è stato anche un momento di euforia. Sembrava un nuovo modo di lavorare particolarmente efficiente e anche una nuova forma di bilanciamento delle varie esigenze di vita e di lavoro. Poi ci si è resi conto, invece, che queste caverne stanno diventando delle gabbie digitali e sono gabbie digitali particolarmente penalizzanti per alcune categorie specifiche di lavoratori.
  La combinazione con la chiusura delle scuole, tanto per parlare chiaro, ha spesso messo le donne di fronte a un carico enorme di responsabilità, che ha in qualche modo enfatizzato quella che già era una ripartizione diseguale di compiti all'interno delle famiglie e nella società. Lo smart working è diventato, senza che fosse questo lo scopo di chi lo aveva incentivato, un modo per enfatizzare alcune differenze e diseguaglianze di opportunità, perché una donna che doveva gestire la famiglia, gestire la DAD e poi anche gestire il lavoro ha avuto enormi difficoltà.
  Persino il legislatore non se ne è accorto ed è arrivato ad adottare provvedimenti assolutamente poco intelligenti, dal mio punto di vista, come la norma, più volte prorogata nei decreti che si sono succeduti, che non concede permessi aggiuntivi ai lavoratori in smart working, come a dire che chi è in smart working non ha bisogno dei permessi per occuparsi dei figli.
  Questo è assolutamente un tema da affrontare. Come? In generale, quando usciremo dalla pandemia, bisogna dimenticare quello che è stato fatto quest'anno. Quest'anno, a causa dell'emergenza, le aziende hanno potuto collocare unilateralmente i lavoratori in smart working. Bisogna evitare che questa modalità sia la norma. Non solo bisogna ripristinare la legge n. 81 del 2017, che prevede un accordo con il dipendente, ma anche imparare la lezione. La legge n. 81, in relazione allo smart working ha un grave limite: si è dimenticata delle parti sociali. In una fase storica di grande antipatia per la mediazione collettiva, si è volutamente omesso di rinviare all'accordo collettivo. Il nuovo smart working dovrà stare dentro una cornice collettiva per essere sostenibile e per non generare diseguaglianze. Non mi dilungo sul rischio che diventi anche uno strumento Pag. 10di segregazione del lavoro. Ci vorrà la previsione dell'autonomia collettiva, con bilanciamenti importanti.
  Sul blocco dei licenziamenti voglio dire una cosa scomoda e davvero poco popolare. A mio avviso, il blocco dei licenziamenti ha enfatizzato il dualismo, che già c'è nel mercato del lavoro, tra garantiti e non garantiti. È chiaro che questo, anche in questo caso, non era lo scopo di chi ha approvato la misura che, a mio avviso, nelle prime settimane, financo nei primi mesi di pandemia, era necessaria e indispensabile. Ma quando, finita l'emergenza, è diventata una misura strutturale, oltre a generare un poderoso conflitto con l'articolo 41 della Costituzione, ha comportato una cosa ben precisa: il mercato del lavoro è congelato in uscita, ma anche in entrata.
  Provate a pensare quante opportunità ha avuto, da marzo ad oggi, un giovane laureato con le aziende che non potevano fare alcun ricambio professionale, neanche quello che fisiologicamente sarebbe avvenuto in assenza di pandemia. C'è un mercato del lavoro congelato in entrata e in uscita, talmente congelato che le conseguenze occupazionali sono ricadute sulle spalle di chi era meno tutelato, quindi dei titolari di contratti precari, di contratti a termine, di false partite IVA, di false collaborazioni, e così via. Non è casuale che i numeri ci raccontino che le donne e i giovani sono stati più penalizzati durante la pandemia, perché erano titolari degli unici contratti su cui si poteva applicare la leva delle interruzioni senza troppi problemi. Si è accentuato il dualismo tra chi aveva legittime e non derogabili tutele e chi non le aveva.
  La terza questione, quella un po' più difficile da inquadrare, riguarda le competenze. La grande digitalizzazione del lavoro indotta dalla pandemia è, forse, uno dei pochi aspetti positivi di questa sciagura mondiale. Però la digitalizzazione del lavoro è stata talmente rapida che molti lavoratori non erano pronti. C'è bisogno di un massiccio investimento sulle competenze dei lavoratori. Ancora approcciamo il lavoro digitale come se fosse un'appendice dello smartphone. Utilizziamo lo smartphone come se fosse un giocattolo e non c'è nulla di professionale, mediamente, nell'approccio con cui, invece, le tecnologie vengono utilizzate. Chi frequenta le aziende lo sa. C'è bisogno di un grande piano di riduzione delle diseguaglianze anche dal punto di vista delle competenze delle lavoratrici e dei lavoratori.
  Ho cercato di fare una sintesi. Poi raccoglierò anche io l'invito a mandare una memoria scritta, in cui articolare meglio il mio pensiero, se riterrete opportuno. Vi ringrazio ancora per l'invito e per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola all'onorevole Viscomi. Prego.

  ANTONIO VISCOMI. Grazie, presidente. Grazie agli auditi. Sarò sintetico nelle mie domande, come richiesto dal professor Alacevich, al quale vorrei sottoporre questa prima riflessione: lei propone, come strumento cardine per aggredire le diseguaglianze, la riforma fiscale, questione estremamente delicata. Io vorrei, però, capire meglio il suo punto di vista su due questioni probabilmente collegate.
  La prima è la questione retributiva, cioè la redistribuzione del profitto di un'azienda – chiamiamolo così, in modo sintetico e in modo tecnicamente molto improprio – perché la mia impressione è che le retribuzioni nel nostro Paese siano, di per sé, estremamente basse. Da questo punto di vista, c'è una questione salariale che – su questo chiedo conferma al professore Alacevich – dovrebbe essere affrontata, sia dal punto di vista della costruzione intellettuale sia da quello dell'azione operativa, insieme alla riforma fiscale.
  A questa questione retributiva aggiungerei anche la questione della flessibilità nel mercato del lavoro. Mi chiedo, sulla base delle sue ricerche sulla storia della diseguaglianza, se e in che misura le condizioni di erogazione della prestazione lavorativa impattano con la diffusione delle condizioni di diseguaglianza. Quindi non solo fisco, ma anche retribuzione e mercato del lavoro.
  Per quanto riguarda l'avvocato Falasca, apprezzo in modo significativo il richiamo all'esigenza di una cornice collettiva per quanto concerne lo smart working, anche Pag. 11perché mi consente di richiamare l'attenzione sui rischi di una sostanziale individualizzazione dei diritti del lavoro. In situazioni di crisi, ma anche in situazioni più affluenti e più opulente, sappiamo bene che la riconduzione a livello individuale della posizione lavorativa, rompendo i legami collettivi, può essere un rischio.
  Per quanto riguarda i licenziamenti, mi chiedo se veramente sia stato il blocco dei licenziamenti ad aver enfatizzato o rafforzato il dualismo tra garantiti e non garantiti, o se questa difficoltà nasca più radicalmente da un'interpretazione, e quindi da una ricostruzione regolativa, degli assetti giuridici e istituzionali di un mercato del lavoro che guarda più al passato che al futuro. In fondo, siamo abituati alla classica distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato e poi, all'interno delle due categorie, distinguiamo lavoratori più garantiti e lavoratori meno garantiti.
  In realtà, credo che l'emergenza epidemica abbia portato in evidenza l'esigenza di considerare il lavoratore autonomo, possibilmente giovane professionista, donna, meridionale, come il vero soggetto non garantito in questo momento. Mi chiedo allora se non sia il caso di ripensare un mercato del lavoro e un assetto giuridico-istituzionale del mercato del lavoro in grado di superare, per alcuni versi o per molti versi, la separazione o la distinzione tradizionale tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. A tale proposito, chiedo all'avvocato Falasca, sulla base della sua esperienza professionale, se non sia giunto il momento di creare ponti un po' più solidi e un po' più duraturi tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, rinunciando alle consolidate tradizioni che ci portiamo appresso.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Barzotti. Prego.

  VALENTINA BARZOTTI. Grazie, presidente. Anch'io ringrazio gli auditi per le loro considerazioni. In particolare, mi rivolgo all'avvocato Falasca, dato che ha fatto riferimento a un tema che a me è molto caro, quello del lavoro agile, e a un'eventuale riforma, proprio per il fatto che la legge n. 81 del 2017 non considera in maniera incisiva le parti sociali. Condivido pienamente tutte le considerazioni che sono state fatte. È vero che ci sono stati diversi interventi sul lavoro agile in questo ultimo anno, alcuni condivisibili e altri meno, però, di certo, si è tentato di incentivare in modo considerevole questo modo di lavorare. Mi chiedo se ha delle proposte e se può parlarne nella sua memoria, che sicuramente studieremo e leggeremo con molto interesse. Condivido, poi, le domande che ha fatto il collega Viscomi e aspetto una risposta anche su quelle. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Barzotti. Chiedo al professor Alacevich e all'avvocato Falasca di replicare. Prego, professor Alacevich.

  MICHELE ALACEVICH, professore associato di storia economica e di storia del pensiero economico presso l'Università degli studi di Bologna (intervento da remoto). Grazie mille per queste riflessioni. Io sono totalmente d'accordo con gli ulteriori argomenti che sono stati affrontati nel corso dell'audizione. È vero, la riforma fiscale è solo un aspetto della questione. Il problema delle retribuzioni – ha totalmente ragione l'onorevole Viscomi – è altrettanto centrale. Questo si ricollega anche a quanto diceva l'avvocato Falasca: è attraverso una contrattazione collettiva che si affrontano argomenti di questo tipo, ma – anche in questo caso io fornisco solo una prospettiva storica – sono decenni in cui il lavoro, per usare un vocabolario forse un po' antico ma che, secondo me, esprime bene questi concetti, ha perso molto in termini di potere negoziale e di retribuzioni rispetto al capitale. Questo problema va affrontato. Si parla di un nuovo patto sociale, di un nuovo patto tra lavoro e imprenditori, ma questo poi va calato nella pratica.
  Tra l'altro, stanno cambiando le forme del lavoro – arriviamo alla seconda questione che era stata posta. L'Italia è un Paese che non ha fatto politica industriale, anche in questo caso, da decenni. Non c'è una politica sui nuovi lavori, sulle nuove competenze ad alta qualificazione. Siamo Pag. 12un Paese allo sbando e ciò significa che partecipiamo alle catene globali del valore in maniera minoritaria, nei settori spesso non più competitivi. Abbiamo solo alcune piccole eccellenze, che non bastano a cambiare il quadro italiano.
  Sono argomenti enormi, che io condivido. Vanno ridiscussi a livello strategico, vanno affrontati con competenze, ovviamente molto più specifiche delle mie, sia a livello di negoziazione, sia a livello di futuro del Paese, o – per meglio dire – del futuro industriale produttivo o di partecipazione a servizi ad alta qualificazione del Paese.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Prego, avvocato Falasca.

  GIAMPIERO FALASCA, avvocato (intervento da remoto). Io ringrazio l'onorevole Viscomi e l'onorevole Barzotti per le loro riflessioni. Parto dall'onorevole Viscomi, con cui molto spesso mi trovo d'accordo. È chiaro che non è colpa del blocco dei licenziamenti. Questo ha enfatizzato un problema che nasce prima e altrove. Non volevo arrivare a questo paradosso. Quel problema c'era e si è sedimentato. A mio avviso, però, bisogna dirci le cose anche in maniera un po' fuori dagli schemi. Questo dualismo nasce un po' come conseguenza del mito del lavoro subordinato, per non intaccare il quale si creano mille eccezioni.
  Io sono d'accordo sul tema dell'avvicinare le tutele previste per gli altri settori a quelle del lavoro subordinato. Personalmente, onorevole – non so se lo sa – mi sono occupato in questi mesi, curandolo direttamente, proprio dell'accordo relativo ai rider della società Just Eat. In tale occasione, ci siamo accorti che, rimboccandosi le maniche e scendendo sul terreno concreto delle tutele, non è impossibile coniugare la modernizzazione del lavoro e i diritti. Semplicemente, va fatto un aggiornamento di quello che esiste. Va salvato il nucleo centrale dei diritti e va modernizzato quello che deve essere modernizzato. In quel caso, si trattava dell'organizzazione del lavoro, in altri casi può essere altro. Mi trova pienamente d'accordo. Non do la colpa al blocco dei licenziamenti, dico che questo ha enfatizzato un problema che già esisteva.
  Quanto alle considerazioni dell'onorevole Barzotti, molto volentieri do seguito alla sua richiesta. Prima, per esigenze di sintesi, non ho aggiunto altro, ma oltre al necessario passaggio dell'accordo collettivo – che poi già esiste, ad esempio in materia di part time –, secondo me, va fatta una scelta ancora più netta e ancora più chiara sul diritto alla disconnessione. C'è stato di recente un intervento normativo in materia, ma la questione va affrontata con una chiarezza che ancora manca, perché un anno e mezzo di pandemia, in cui nessuno era pronto a gestire lo smart working, ha dimostrato che nessuno si è reso conto che smart working non significa devastare completamente la propria vita personale e abbattere ogni limite orario relativo al quando e al come fare le cose.
  Non scambiamo l'invasione nella vita altrui come libertà. Il diritto alla disconnessione, per i difensori, come me, dello smart working, è un punto di partenza essenziale. Bisogna dire una parola chiara e non negoziabile sul fatto che ci sono fasce precise della giornata, che saranno decise dalle parti, in cui non si è e non bisogna essere reperibili con nessuno strumento digitale, perché altrimenti questa storia diventa pericolosa. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, avvocato. Ringrazio ancora una volta i nostri ospiti per il contributo fornito all'indagine conoscitiva e dichiaro conclusa l'audizione. Grazie.

  La seduta termina alle 14.20.