XVIII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Martedì 5 ottobre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mura Romina , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI LAVORATORI CHE SVOLGONO ATTIVITÀ DI CREAZIONE DI CONTENUTI DIGITALI

Audizione della dottoressa Annarosa Pesole, componente del gruppo di studio sulla governance algoritmica e sul futuro del lavoro, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Mura Romina , Presidente ... 3 
Pesole Annarosa , componente del gruppo di studio sulla ... 3 
Mura Romina , Presidente ... 8 
Barzotti Valentina (M5S)  ... 8 
Viscomi Antonio (PD)  ... 9 
Mura Romina , Presidente ... 10 
Pesole Annarosa , componente del gruppo di studio sulla ... 10 
Mura Romina , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROMINA MURA

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web tv.

Audizione della dottoressa Annarosa Pesole, componente del gruppo di studio sulla governance algoritmica e sul futuro del lavoro, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione della dottoressa Annarosa Pesole, componente del gruppo di studio sulla governance algoritmica e sul futuro del lavoro, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza degli auditi e dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.
  Nel ringraziare la dottoressa Pesole per la sua disponibilità, le cedo immediatamente la parola, ricordando che la sua relazione dovrebbe avere una durata orientativa di quindici minuti. Prego, dottoressa.

  ANNAROSA PESOLE, componente del gruppo di studio sulla governance algoritmica e sul futuro del lavoro, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Buonasera e grazie per questo invito. Grazie, presidente.
  L'oggetto dell'audizione di oggi si inserisce all'interno di un quadro più ampio, di cui il Ministero si sta occupando, che è quello dei prestatori di servizi digitali tramite l'utilizzo di piattaforme.
  Nello specifico, i lavoratori digitali, i cosiddetti lavoratori delle piattaforme digitali, si possono distinguere, seguendo una terminologia che è ormai consolidata a livello internazionale, in «prestatori di servizi online» e «prestatori di servizi on location» a seconda delle modalità di erogazione della prestazione.
  I digital creator rientrerebbero nella categoria dei cosiddetti «lavoratori online» in quanto la loro prestazione è normalmente erogata interamente tramite la piattaforma e non c'è mai un momento di contatto diretto con il pubblico nel momento in cui si svolge la loro prestazione.
  Questa precisazione è importante ai fini di un'analisi conoscitiva perché ci permette di delineare in maniera più concreta quali sono i tratti che accomunano e che differenziano questi due tipi di lavoratori delle piattaforme, sia sotto l'aspetto dell'inquadramento giuridico sia per la definizione di un efficace e appropriato sistema di tutele, che si vorrebbe implementare.
  Un tratto che accomuna questi tipi di lavoratori è la sottoscrizione dei termini e delle condizioni contrattuali, che vengono normalmente definiti in maniera unilaterale dalla piattaforma. Questa è l'unica modalità per loro di erogare effettivamente il servizio. I lavoratori in questione si trovano obbligati ad accettare una serie di Pag. 4regole di trattamento e una serie di regole di condotta senza, di fatto, avere nessuna possibilità di contrattarne i termini.
  Al fine di individuare in maniera efficace che tipo di interventi permetterebbe di definire in maniera trasparente i diritti e i doveri che derivano da questo tipo di rapporto di lavoro tra piattaforme e prestatori di servizi digitali e quali sarebbero le forme di tutela più adeguate, credo che sia necessario considerare in maniera ampia tre aspetti. Cercherò di dividere il mio intervento seguendo questa linea di pensiero.
  Il primo aspetto è quello della misurazione, poiché è fondamentale, affinché si possa ipotizzare un intervento efficace, avere una quantificazione di questo fenomeno, altrimenti non sappiamo bene né a quante persone ci stiamo rivolgendo né quali sono le caratteristiche effettive di questo tipo di lavoratori.
  Un secondo punto è cercare di chiarire quale è l'inquadramento giuridico, quale è la natura del rapporto giuridico che si instaura tra i lavoratori delle piattaforme digitali e le piattaforme stesse.
  Il terzo punto è legato alla trasparenza delle condizioni di lavoro e dell'utilizzo degli algoritmi nella definizione dell'organizzazione della prestazione di lavoro.
  Seguendo questa linea che vi ho appena esposto, inizierò parlando del problema della misurazione. È fondamentale avere dati certi sul numero di lavoratori che oggi in Italia forniscono questo tipo di servizi tramite piattaforme digitali, da un lato, perché questo ci aiuta a comprendere anche quali sono le categorie socioeconomiche più interessate da questa nuova tipologia di mercato del lavoro e di interazione e, dall'altro lato, perché abbiamo necessità di raccogliere informazioni sulle caratteristiche dell'esecuzione della prestazione di lavoro che ci permettano, non solo, di dare indicazioni sul tipo di inquadramento giuridico, ma anche di avere una visione più corretta dell'eterogeneità dei servizi che vengono offerti tramite piattaforme.
  Per definire un adeguato programma di sistema di tutele e valutare anche l'efficienza di eventuali interventi di policy è necessario, prima di tutto, individuare il grado di dipendenza funzionale dalla piattaforma.
  Mi spiego meglio: occorre stabilire per quanti di questi lavoratori il lavoro tramite piattaforma costituisce la principale forma di reddito e quanto il lavoratore sia effettivamente vincolato a fornire la sua prestazione su un'unica piattaforma, perché questo ha risvolti anche in termini di concorrenza. Questo è il cosiddetto lock-in tecnologico, un aspetto fondamentale perché mette il lavoratore in posizione di ulteriore subalternanza rispetto alla piattaforma.
  Sempre legato all'esigenza della misurazione, c'è un altro aspetto fondamentale per la definizione delle caratteristiche della prestazione lavorativa, ovvero cercare di capire quanta autonomia conserva il lavoratore nell'esecuzione della prestazione e con quale frequenza e continuità fornisce la sua prestazione tramite la piattaforma.
  Questi elementi ci permetterebbero di avere un quadro completo sul fenomeno e di indirizzare in maniera più corretta gli interventi di policy, cercando anche di distinguere tra coloro che svolgono questo tipo di attività a livello amatoriale e coloro che, invece, possono essere paragonati a una categoria di professionisti.
  So che avete audito anche l'ISTAT su questo tema. Come probabilmente vi hanno già anticipato i colleghi dell'ISTAT, le difficoltà metodologiche per la misurazione statistica di questo tipo di lavoratori sono molteplici. A queste si aggiunge la necessità di individuare, all'interno di questa categoria di lavoratori, quelli che effettivamente sono l'oggetto dell'indagine conoscitiva, i digital creator, perché sono una parte minima di un fenomeno che in realtà è molto più vasto.
  Perché vi sono queste difficoltà? Le difficoltà di tale misurazione sono due. Da un lato, sebbene questo fenomeno sia in espansione, di fatto riguarda ancora una piccola parte della forza lavoro e, soprattutto, una parte della forza lavoro concentrata in specifiche zone metropolitane e in specifiche fasce di età. Dal punto di vista del campionamento statistico, è molto facile che questi soggetti sfuggano alla raccolta Pag. 5 delle informazioni che normalmente si raccolgono attraverso l'indagine sulla forza lavoro.
  Dall'altro lato, poiché, di solito, questi lavoratori non svolgono un'unica funzione, ma possono prestare una serie di servizi tramite le piattaforme online, c'è anche eterogeneità rispetto al lavoro che essi prestano, rendendo ancora più difficile riuscire a capire in maniera netta se appartengono a un'unica categoria o se, invece, appartengono a più categorie di lavoratori delle piattaforme.
  Poiché vorrei sottolineare il fatto che è veramente importante avere dati concreti e chiari, un'alternativa alla misurazione statistica potrebbe essere il ricorso al cosiddetto «dato amministrativo». Per dati amministrativi normalmente si intendono tutti i dati che il lavoratore stesso o il datore di lavoro trasmettono direttamente alle pubbliche amministrazioni e che sono già, di fatto, in possesso delle pubbliche amministrazioni.
  In questa direzione, seguendo questa strada alternativa rispetto alla misurazione statistica, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si sta muovendo verso una proposta di estensione delle comunicazioni obbligatorie a tutti i prestatori di lavoro occasionale. Questo significherebbe che tutti i lavoratori delle piattaforme digitali rientrerebbero tra le categorie soggette alla comunicazione obbligatoria e sarebbero parte della fattispecie di lavoratori oggetto della comunicazione.
  In questo caso, il vantaggio sarebbe che sarà possibile individuare in maniera certa il numero di lavoratori delle piattaforme e, all'interno di questo numero complessivo dei lavoratori delle piattaforme, sarà possibile individuare i digital creator risalendo alla piattaforma che ha trasmesso la comunicazione.
  Tuttavia, occorre sempre tenere a mente che, per quanto concerne sia la misurazione di tipo amministrativo sia quella di tipo statistico, di solito le informazioni riguardano soltanto prestazioni retribuite. Ciò significa che, automaticamente, tutti coloro che fanno questo tipo di lavoro a livello amatoriale o che non ricevono nessun compenso sarebbero comunque esclusi da questo tipo di rilevazione.
  Una volta ottenuto un numero concreto e sapendo qual è la fascia di riferimento a cui stiamo guardando, il secondo aspetto – è l'aspetto su cui si sta dibattendo in Europa e nella giurisprudenza italiana – riguarda la definizione della natura del rapporto giuridico, ovvero la necessità di inquadrare giuridicamente questo tipo di lavoratore. Il lavoratore delle piattaforme, in molti casi, presta servizi che, di fatto, mescolano elementi di autonomia ed elementi di subordinazione, rendendo difficile un'interpretazione univoca della natura del rapporto di lavoro.
  Anche qualora ci fossero elementi caratterizzanti un unico tipo di rapporto, alle difficoltà di definizione si aggiungono la frammentarietà e la discontinuità della prestazione che, per come è costruito il nostro ordinamento giuridico, non aiutano a definire un rapporto di lavoro, che sicuramente non è di subordinazione, ma che è comunque un rapporto piuttosto strutturato.
  Se la questione è un po' più facile nel caso dei lavoratori cosiddetti «on location», come i fattorini o gli autisti di Uber, diventa più complicata per coloro che forniscono prestazioni online, perché, per chi fornisce servizi interamente online, normalmente la natura del tipo di servizio fornito è più riconducibile a quella del lavoro autonomo. Infatti, esso è tradizionalmente classificabile all'interno dell'alveo del lavoro autonomo, sebbene, a seguito dell'introduzione di nuove tecnologie e a seguito del cambiamento dell'organizzazione del lavoro imposto dall'intermediazione della piattaforma, questo elemento di piena autonomia un po' sfuma e perde le sue caratteristiche principali.
  Nel caso concreto dei digital creator, ci troviamo di fronte a una prestazione che resta, di fatto, autonoma nella sua esecuzione, poiché i lavoratori mantengono la loro autonomia nel momento in cui decidono come creare il contenuto digitale, ma che presenta elementi abbastanza importanti di subalternanza alla piattaforma nella sua organizzazione. Pag. 6
  Questa dualità è problematica dal punto di vista dell'inquadramento giuridico perché, da un lato, sottolinea come ci sia effettivamente la necessità di un intervento perequativo, essendo un indice di squilibrio di rapporti tra poteri, dall'altro, rende l'accostamento con la figura dei rider non del tutto appropriato. Infatti, nel caso dei digital creator, sembrerebbe meno semplice ricondurre questa forma di lavoro al concetto di eterodirezione ed eterorganizzazione rendendo, di conseguenza, difficile anche l'estensione della tutela propria dei rapporti di subordinazione o la tutela specifica prevista dalla cosiddetta «legge sui rider».
  Questo non toglie che, anche per i digital creator come per tutti gli altri lavoratori delle piattaforme, andrebbero previste tutele che mirino a un'estensione di tipo universalistico dei diritti minimi, in primis le tutele sindacali, il rafforzamento delle tutele previste per i lavoratori autonomi in condizioni di debolezza contrattuale e il diritto a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, che sarà l'ultimo punto che riprenderò.
  Ho visto che nelle precedenti audizioni il tema dell'inquadramento giuridico era già stato trattato. Su questo vorrei dare la mia opinione in maniera abbastanza netta. La mia opinione è che un intervento dovrebbe essere di tipo globale e fornire una struttura di riferimento di diritti e tutele minimi, imprescindibili per tutti i lavoratori delle piattaforme, e che questo sia preferibile al disciplinamento delle singole figure professionali.
  Questo soprattutto perché occorre tener conto di due aspetti. Il primo è che, siccome i lavoratori delle piattaforme e le stesse piattaforme sono un fenomeno in costante evoluzione, con un intervento legislativo troppo circoscritto e poco elastico rischieremmo di rendere l'intervento legislativo stesso obsoleto in un periodo breve di tempo. Inoltre, diventerebbe anche oneroso individuare tutte le figure professionali che dopo avrebbero bisogno, eventualmente, di una tutela specifica.
  Al contrario, definire un quadro di regole che garantisca il rispetto di tutte le tutele minime e che incoraggi la creazione di relazioni industriali stabili ci aiuterebbe a depotenziare anche il contenzioso sulla natura giuridica del rapporto, poiché verrebbe meno la questione di collegare le tutele al concetto di subordinazione o di autonomia, in quanto le tutele sarebbero riconosciute semplicemente sulla base del fatto che questo lavoro è stato erogato in una condizione effettivamente di subalternanza rispetto alla piattaforma. Inoltre, questo permetterebbe anche di riconoscere un accesso a strumenti di welfare e a tutele minime a tutti i lavoratori delle piattaforme, indipendentemente dalla natura contrattuale del rapporto. Questo sarebbe un primo aspetto positivo.
  Un ulteriore aspetto positivo, legato alla creazione di relazioni industriali stabili, è quello di incoraggiare la creazione di reti di network tra gli stessi lavoratori delle piattaforme digitali. Questo è un vantaggio perché, di fatto, il legislatore non ha sempre la capacità di individuare quali sono le esigenze delle specifiche categorie.
  Invece, creare una rete di network e anche una rete di relazioni industriali, che permettano un dialogo aperto e trasparente soprattutto all'interno di un perimetro ben definito di norme e tutele minime che devono essere rispettate, favorirebbe anche uno scambio più efficiente rispetto alle richieste e alle tutele minime che devono essere garantite per ciascuna specifica categoria di lavoratori delle piattaforme.
  In questo quadro, affinché una soluzione di questo tipo diventi perseguibile, è assolutamente necessario che le condizioni contrattuali e di lavoro tra piattaforme e lavoratori siano trasparenti e prevedibili.
  Con questo mi aggancio all'ultimo punto della mia relazione, che riguarda l'utilizzo degli algoritmi e la necessità di prevedere che le condizioni di lavoro siano trasparenti e prevedibili. A tale riguardo il Ministero sta lavorando al recepimento della direttiva (UE) 2019/1152, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea. La direttiva mira espressamente a rendere più trasparenti e prevedibili le condizioni di lavoro, introducendo nuovi diritti minimi e nuove norme Pag. 7sulle informazioni da fornire ai lavoratori in merito alle rispettive condizioni di lavoro, con l'obiettivo di rispondere alle nuove sfide del mercato del lavoro legate alla digitalizzazione e allo sviluppo di queste nuove forme ibride di lavoro.
  In particolare, la direttiva sancisce all'articolo 2 gli obblighi informativi a carico dei datori di lavoro in materia di programmazione del lavoro, ore e giorni di riferimento e organizzazione del lavoro, esplicitando, all'articolo 4, gli elementi considerati essenziali per la definizione del rapporto di lavoro.
  Inoltre, la direttiva tiene anche in considerazione i casi in cui l'organizzazione del lavoro non è interamente prevedibile – anzi al contrario è in gran parte imprevedibile – e questo è il caso in cui ricadrebbero tutti i lavoratori delle piattaforme. In quel caso, la direttiva definisce i requisiti per stabilire, in conformità alle legislazioni vigenti, gli elementi di cosiddetta «prevedibilità minima» del lavoro.
  In aggiunta, questa direttiva richiede anche che gli Stati membri debbano impegnarsi nell'individuazione di misure preventive per limitare l'uso abusivo di contratti di lavoro a chiamata o di contratti analoghi.
  All'interno di queste linee guida, il Ministero sta lavorando per il recepimento di questa direttiva, mantenendo come bussola quanto è stato esposto prima, ovvero fornire un quadro all'interno del quale si possano muovere in maniera più libera le specifiche categorie professionali che lavorano con le piattaforme digitali.
  Un ulteriore aspetto di interesse per il Ministero è quello che riguarda l'utilizzo degli algoritmi nella definizione delle condizioni di lavoro. Nell'ottica di agevolare la contrattazione dell'algoritmo – di fatto stiamo parlando del tentativo di creare strumenti che permettano di rendere più eque la contrattazione dei termini unilateralmente definiti dalla piattaforma e le condizioni a cui possono sottostare e che possono negoziare i lavoratori – il Ministero ha avviato un gruppo di lavoro, che è quello che citava la presidente all'inizio, con esperti di alto profilo, al fine di valutare le direzioni di policy più corrette e, allo stesso tempo, ha anche avviato uno specifico tavolo di confronto sull'argomento con le parti sociali, per cercare di capire quali sono le istanze che provengono dai diversi attori e che vengono portate avanti dalle parti sociali riguardo alla questione della governance algoritmica.
  Queste azioni intraprese dal Ministero vanno nella direzione di risolvere le problematiche legate all'opacità dei rapporti e delle condizioni contrattuali, che, di fatto, rappresentano in gran parte le problematiche che erano state espresse nel manifesto degli streamer di Twitch e che sono alla base anche di questa indagine conoscitiva. Infatti, se andiamo a guardare quel manifesto, non c'è una richiesta diretta di inquadramento giuridico o una richiesta di tutele legate alla forma e alla natura del rapporto di lavoro, ma tutta la serie di richieste di tutele è più legata alla necessità di rendere più trasparenti le condizioni contrattuali e di avere strumenti per poter eventualmente negoziare queste condizioni non del tutto eque dal punto di vista dei lavoratori delle piattaforme.
  Il lavoro che sta facendo il Ministero andrebbe in questa direzione e sarebbe sostanzialmente volto a fare sì che, una volta che ci sono gli elementi determinanti e caratterizzanti della prestazione di lavoro, questi non possono più essere regolati in base ai termini di servizio stabiliti unilateralmente dalle piattaforme, ma, al contrario, rientrano di diritto nell'alveo delle condizioni di lavoro e quindi devono essere contrattate come condizioni di lavoro all'interno delle strutture di competenza. Questo includerebbe anche il permaban, per esempio. Questo diventerebbe una condizione di lavoro e non potrebbe essere più considerato esclusivamente come una regola di condotta stabilita unilateralmente dalla piattaforma.
  In conclusione, ritengo che sarebbe opportuno pensare più a un intervento generale, che sia capace di creare regole certe che definiscano il perimetro di azione delle piattaforme e gli strumenti di tutela minimi riconosciuti a tutti i lavoratori digitali, evitando di disciplinare le singole professioni Pag. 8caso per caso e, quindi, evitando anche di creare ulteriori frammentazioni in un mercato che già è fortemente deregolamentato, avendo come obiettivo quello di introdurre strumenti di policy che siano capaci di coprire tutti i lavoratori digitali e di smarcarsi dalla dicotomia autonomia-subordinazione nel momento del riconoscimento dei diritti di accesso a tutele di tipo welfaristico. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottoressa Pesole per il contributo molto interessante. Do la parola all'onorevole Barzotti e poi all'onorevole Viscomi.

  VALENTINA BARZOTTI. Grazie, presidente. Ringrazio la dottoressa Pesole per questo contributo davvero articolato, che ha toccato quasi tutte le problematiche che abbiamo affrontato in questi mesi di indagine conoscitiva su questo tema, molto interessante ma anche molto complesso.
  Per fare un po' il punto, si è parlato della misurazione del fenomeno, del rapporto giuridico e della trasparenza delle condizioni.
  Per quanto riguarda la misurazione, sicuramente il tema va affrontato nel modo più veloce possibile, senza creare ulteriori aggravi a carico di coloro che intendono diventare creatori digitali, perché si tratta spesso di ragazzi che non hanno neanche la formazione adeguata, a livello burocratico e amministrativo, per approcciare il problema. Secondo me, la misurazione va fatta e in America la fanno. È di sei ore fa un report molto interessante sulla creator economy in America, in cui è esposta tutta una serie di declinazioni delle attitudini dei creatori digitali e da cui si evince molto chiaramente la differenza tra l'influencer e il content creator, che è un'altra cosa – e lo dobbiamo dare per assodato – perché l'influencer non è il content creator, per tanti motivi che adesso non stiamo qui a ricordare, però è chiaro che questo è un primo passaggio.
  Quello che i creator hanno chiesto, non solo con il manifesto scritto durante il No Stream Day di Twitch, ma anche nel corso dell'indagine conoscitiva e in occasione del Festival sull'innovazione digitale di Rimini, è stato sintetizzato nelle memorie che hanno trasmesso alla Commissione gli auditi, in cui si parla anche dell'introduzione di un codice ATECO specifico per queste categorie di lavoratori.
  È vero che nessuno vuole frammentare ulteriormente il mercato del lavoro, però è chiaro che si tratta di attività differenti, come ha giustamente ricordato lei, rispetto a quella di rider, di autista di Uber o di ciclofattorino di Foodora. Sicuramente questo va tenuto in considerazione e paragonare questo tipo di attività a quelle, secondo me, sarebbe – questa è la mia opinione – molto controproducente.
  Secondo me, il modo per quantificare il fenomeno può essere trovato senza dover modificare la disciplina della comunicazione obbligatoria. Magari si potrebbe anche istituire un tavolo di confronto con le piattaforme. Ho letto nel report che ho citato che le piattaforme più utilizzate sono Tik Tok, al primo posto, Instagram e Facebook al secondo posto. In teoria, si potrebbe avviare contatti con queste piattaforme per cercare di capire, sulla base di dati anonimi, quante persone sono coinvolte in questo tipo di attività a livello professionale o amatoriale. Questo per quanto riguarda la misurazione.
  Sul rapporto giuridico e sulla trasparenza delle condizioni, in effetti concordo con tutto quello che è stato detto, perché, di fatto, questi due aspetti vanno considerati insieme.
  Per quanto riguarda invece le relazioni industriali, sicuramente è importante che vengano costituiti network, però non deve essere l'unica modalità di relazioni industriali. Infatti, al Festival di Rimini ci è stato detto da tanti creator che il network non convince i creator, che non vogliono essere legati da relazioni industriali, cioè non vogliono essere vincolati a persone che si interpongono tra loro e la piattaforma. Qui siamo davanti a «infosfere» differenti, ma molto grandi, e dare un potere di relazione industriale solo ad alcune categorie forse rischia di diventare complicato, se non controproducente. Pag. 9
  Molti creator hanno chiesto l'istituzione di un tavolo di monitoraggio, mediato dal Ministero, delle dinamiche che cambiano molto velocemente, come diceva anche la dottoressa Pesole. Non ho altro da aggiungere. Grazie.

  ANTONIO VISCOMI. Ringrazio la dottoressa Pesole e spero di leggere presto il suo rapporto, che sembra completo e puntuale in tutti i suoi aspetti. Vorrei soffermarmi su due o tre questioni.
  Innanzitutto, la ringrazio per aver detto che intervenire con legge in questa materia, così come anche in altri campi dell'innovazione digitale, che non si esaurisce con le piattaforme e gli algoritmi, è particolarmente rischioso, perché la velocità di evoluzione di questi sistemi tecnologici spesso contrasta con la rigidità regolativa della legge. In questo modo, con l'ossessione regolativa rischiamo di congelare una dimensione di movimento rispetto alla quale, invece, dovremmo avere una grande capacità di osservazione di dettaglio, perché soltanto con un'osservazione di dettaglio potremmo cercare di comprendere in qualche modo il carattere plurale di queste figure e di questa creator economy.
  Mi sembra che il maggior rischio in cui possiamo incorrere in questo momento sia quello di riportare l'ignoto al noto e pensare che tutto si esaurisca nella distinzione fra autonomia e subordinazione e, quindi, rivendicare sempre e comunque la riconduzione della nuova figura alla condizione di lavoratore subordinato, ritenendo che questa sia la migliore forma di tutela della fattispecie concreta che abbiamo davanti, ma così non è.
  Per questo motivo, la ringrazio, perché altre volte abbiamo sentito in quest'Aula, anche da parte di autorità amministrative centrali, un rinvio alla disciplina generale sull'autonomia e sulla subordinazione, in modo particolare alla subordinazione, come strumento di tutela di una fattispecie che sfugge. È difficile definirla e lei stessa ha avuto difficoltà a definirla.
  Questo è un contesto in cui si parla abitualmente in inglese, ma vorrei citare un vecchio brocardo latino che dice: «Omnis determinatio est negatio», perché dare una definizione significa lasciare fuori tutto quello che in quella definizione non rientra.
  Passando alla seconda questione, lei lo chiama «rete di network», ma io lo chiamerei «sistema sindacale». Se vogliamo, chiamiamo «rete di network» una rappresentanza sindacale, cioè un'autorganizzazione degli interessi da parte di questi soggetti. Per questo motivo credo che l'organizzazione degli interessi, proprio in quanto autorganizzazione, non possa che nascere dalla consapevolezza di questi soggetti di essere accomunati dagli stessi problemi. Fino a quando questi soggetti penseranno ognuno di essere autonomo nel mondo del lavoro o finché saranno effettivamente autonomi nel mondo del lavoro, è difficile far nascere la consapevolezza di un interesse comune, che una volta si chiamava «interesse collettivo». Peccato, perché anche chi pensa di essere autonomo e di lavorare in modo autonomo ha necessità di un confronto con una controparte ed è questo il vero problema che abbiamo davanti.
  Il vero contenuto regolatorio, se proprio vogliamo parlare di questi contenuti, lo intravedrei non tanto o non solo nella trasparenza delle informazioni – per dire la verità, ne abbiamo già per qualunque forma di lavoro, poiché abbiamo già direttive europee che impongono al datore di lavoro la trasparenza delle informazioni –, ma sposterei piuttosto l'attenzione sulla questione di quello che pure potremmo chiamare «abuso di posizione dominante», ovvero sul fatto che il rapporto di lavoro cosiddetto «autonomo» fra la piattaforma e un creatore di contenuti digitali, che è significativamente capace di negoziare il proprio status giuridico ed economico, in realtà poi si scontra con il fatto che il titolare della piattaforma può semplicemente chiudere e trasferire la piattaforma.
  È su questo versante che forse noi dovremmo cercare di focalizzare l'attenzione, ovvero su come temperare un eventuale abuso di posizione dominante. La posizione dominante in questo caso non è tanto quella relativa alle informazioni – se la piattaforma è localizzata in uno Stato straniero, Pag. 10 avremmo un po' di problemi nell'esigibilità di queste stesse informazioni –, ma di come possiamo temperare questo eventuale abuso di posizione dominante.
  Mi fermo qui, però la ringrazio veramente perché credo sia stata una delle audizioni più interessanti che abbiamo avuto nel corso di questa indagine conoscitiva e la prego di farci avere, se non l'ha già fatto, il testo della sua relazione. Grazie.

  PRESIDENTE. Dottoressa Pesole, le cedo la parola. Prego.

  ANNAROSA PESOLE, componente del gruppo di studio sulla governance algoritmica e sul futuro del lavoro, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Grazie mille. Rispondo prima all'onorevole Barzotti. Per quanto riguarda la questione delle comunicazioni obbligatorie, vorrei chiarire che non ci sarebbe nessun onere a carico del lavoratore, perché la comunicazione obbligatoria viene fatta dal datore di lavoro, e sarebbe semplicemente la piattaforma ad avere l'obbligo di comunicare. Stiamo ancora definendo quali possano essere i criteri migliori perché, chiaramente, non possiamo utilizzare lo stesso sistema che si utilizza per le comunicazioni obbligatorie classiche per vari motivi, prima di tutto perché è diversa la forma di organizzazione del lavoro, ma anche perché non si può chiedere a un datore di lavoro delle piattaforme lo stesso livello dettagliato di informazioni, che oggi viene chiesto a un datore di lavoro «tradizionale».
  La comunicazione è immaginata come una cosa molto più snella e molto più rapida. Si potrà fare la comunicazione in maniera congiunta per tutti i lavoratori che sono stati effettivamente utilizzati in un certo periodo e questo comunque non creerebbe nessun onere per i lavoratori, ma sarebbe semplicemente una forma di registrazione e di invio di informazioni direttamente dalla piattaforma al Ministero.
  Da quel punto di vista, non c'è un vero rischio, è abbastanza facile e non è onerosa nemmeno per le piattaforme.
  Qual è il vantaggio di avere questo tipo di comunicazione? Prima di lavorare al Ministero ho lavorato per anni anche a livello internazionale proprio sul tema della misurazione dei lavoratori delle piattaforme e conosco bene anche il sistema americano a cui l'onorevole Barzotti faceva riferimento.
  Questi sistemi hanno una loro validità se applicati in misure che purtroppo in Italia sarebbero difficilmente applicabili in questo momento, sia per una questione di estensione del fenomeno a livello territoriale, sia per una questione di diversità dei sistemi di raccolta di informazioni, che sono completamente diversi tra i due Paesi.
  In realtà, il sistema della comunicazione obbligatoria, paradossalmente, si avvicina molto a quel sistema a cui l'onorevole Barzotti faceva riferimento, perché non si deve immaginare come il classico sistema di comunicazione obbligatoria fatto dal datore di lavoro del settore manifatturiero in relazione all'operaio, in cui viene fornita tutta una serie di informazioni, ma sarebbe una cosa molto più snella.
  Questo sarebbe un vantaggio perché ci permetterebbe veramente di capire anche quanti di questi lavoratori lavorano per piattaforme straniere. Si tratta di una informazione che, ricollegandomi anche a quanto detto dall'onorevole Viscomi sulle questioni legate alla concorrenza, alla competitività e alla possibilità reale di iniziare una sorta di relazione industriale, sarebbe veramente importante per il Ministero e per l'Italia in generale è.
  Per quanto riguarda la richiesta dell'introduzione di un codice ATECO, io ho ascoltato la richiesta fatta da uno dei rappresentanti delle piattaforme che avete audito qualche tempo fa. Il codice ATECO, di fatto, non è un codice che disciplina una categoria professionale, ma è un codice che disciplina il settore industriale.
  So che l'ISTAT vi ha già fatto presente le difficoltà di fare questo, però il codice ATECO da un punto di vista della tutela – tranne il periodo del lockdown in cui definiva chi poteva continuare l'attività e chi no – non ha un grande ruolo all'interno dell'ordinamento giuridico, nella definizione e nel collegamento di specifiche tutele. Pag. 11
  Per quanto riguarda la questione delle relazioni industriali – la rete di network è una sorta di rappresentanza sindacale –, secondo me il tavolo di monitoraggio è una misura aggiuntiva e non sono due elementi esclusivi uno dell'altro. Il tavolo di monitoraggio è una misura che noi abbiamo già introdotto per i rider, però si riduce a essere solo un tavolo di monitoraggio. Quando c'è da prendere delle decisioni, che possono incidere in maniera un po' più forte e concreta sulle condizioni di lavoro, il tavolo di monitoraggio non ha potere. Io non escluderei le due cose, le accompagnerei, questo sì. Credo ci sia un'apertura assoluta e totale rispetto a questa questione.
  Per quanto riguarda le questioni sollevate dall'onorevole Viscomi, vorrei dire che non si può congelare l'innovazione in un sistema rigido, però, allo stesso tempo, non si può nemmeno pensare di lasciare completamente libero arbitrio a chi, di fatto, si trova in una posizione dominante.
  Per questo ritengo e continuo a sostenere che l'intervento migliore sia quello di definire una cornice, un perimetro, all'interno del quale le piattaforme e i lavoratori hanno una certa autonomia. Come diceva l'onorevole Barzotti, molti lavoratori non vogliono essere vincolati da una decisione presa a livello nazionale con i sindacati in un contratto collettivo. L'importante è stabilire un perimetro di tutele e diritti invalicabili, all'interno del quale viene lasciata una certa autonomia contrattuale.
  Personalmente ritengo che anche il sindacato debba fare un passo in avanti. Il sindacato di oggi deve incominciare a riflettere su come essere rappresentativo di queste nuove forme di lavoro e credo che, sebbene con qualche difficoltà, il percorso sia stato intrapreso almeno nelle rappresentanze sindacali più grandi. Questo, secondo me, potrebbe essere un elemento di vantaggio per tutti i lavoratori.
  Dopodiché, resta sempre la libertà di scelta del lavoratore di aderire o di non aderire, però avere una rappresentanza comune, che sia capace di interagire con questi che, in molti casi, sono monopoli assoluti, è la forma di tutela migliore che si può dare ai singoli lavoratori.
  Consideriamo che c'è un altro problema. Per i lavoratori cosiddetti «on location», per i rider, le piattaforme, anche quelle internazionali, hanno necessariamente bisogno di aprire una sede locale per fornire questo tipo di servizio, mentre per i lavoratori online questo non è vero. Infatti, si può contrattare un lavoro da qualsiasi Paese, anche fuori dall'Unione europea. Questo presuppone tutta una serie di problemi di extraterritorialità giurisdizionale – non è questa la sede opportuna per parlarne – che vanno tenuti in considerazione.
  L'arma migliore che possiamo dare a questi lavoratori per difendersi è quella di unirsi in un tipo di azione comune contro quelli che sono eventualmente gli abusi esercitati da queste piattaforme.
  Per quanto riguarda il rafforzamento delle tutele dei lavoratori autonomi e la concorrenza, queste sono misure che vanno di pari passo. Proprio perché il problema della posizione dominante e del relativo abuso che operano queste piattaforme è ormai abbastanza palese, la stessa Commissione europea sta lavorando a una modifica della legge antitrust per permettere ai lavoratori autonomi di riunirsi in associazioni sindacali. Mentre prima questo veniva considerato un cartello ed era impedito di fatto dalla normativa antitrust, adesso la Commissione sta iniziando a muoversi verso la liberalizzazione delle organizzazioni sindacali anche dei lavoratori autonomi, proprio perché ci si è resi conto che questa è l'unica strada perseguibile per far sì che certe istanze siano portate ai tavoli di discussione.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Pesole, per il contributo reso ai lavori della Commissione e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.