XVIII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 13 luglio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mura Romina , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI LAVORATORI CHE SVOLGONO ATTIVITÀ DI CREAZIONE DI CONTENUTI DIGITALI

Audizione dell'avvocata Alberta Antonucci, dell'avvocata Tatiana Biagioni e dell'avvocata Aurora Notarianni.
Mura Romina , Presidente ... 3 
Biagioni Tatiana , avvocata ... 3 
Mura Romina , Presidente ... 5 
Notarianni Aurora , avvocata ... 5 
Mura Romina , Presidente ... 7 
Notarianni Aurora , avvocata ... 7 
Mura Romina , Presidente ... 8 
Antonucci Alberta , avvocata ... 8 
Mura Romina , Presidente ... 10 
Barzotti Valentina (M5S)  ... 10 
Mura Romina , Presidente ... 11 
Biagioni Tatiana , avvocata ... 11 
Mura Romina , Presidente ... 11 
Notarianni Aurora , avvocata ... 11 
Mura Romina , Presidente ... 11 
Antonucci Alberta , avvocata ... 11 
Mura Romina , Presidente ... 12 

Audizione della professoressa Mariella Magnani, ordinaria di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Pavia:
Mura Romina , Presidente ... 12 
Magnani Mariella , professoressa ordinaria di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Pavia (intervento da remoto) ... 12 
Mura Romina , Presidente ... 13 
Barzotti Valentina (M5S)  ... 14 
Mura Romina , Presidente ... 14 
Magnani Mariella , professoressa ordinaria di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Pavia (intervento da remoto) ... 14 
Mura Romina , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Facciamo Eco-Federazione dei Verdi: Misto-FE-FDV;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROMINA MURA

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web tv.

Audizione dell'avvocata Alberta Antonucci, dell'avvocata Tatiana Biagioni e dell'avvocata Aurora Notarianni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione dell'avvocata Alberta Antonucci, dell'avvocata Tatiana Biagioni e dell'avvocata Aurora Notarianni, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza delle audite e dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.
  Nel ringraziare le nostre ospiti per la loro partecipazione, ricordo che ciascuna di loro avrà a disposizione per il proprio intervento circa dieci minuti, in modo da consentire i successivi interventi da parte dei deputati interessati e la loro replica.
  Secondo quanto convenuto, cedo la parola per prima all'avvocata Tatiana Biagioni. Prego.

  TATIANA BIAGIONI, avvocata (intervento da remoto). Buongiorno, presidente. In relazione all'indagine conoscitiva sulle lavoratrici e sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali, avviata da codesta Commissione, abbiamo affrontato il tema sviluppando alcuni punti critici del rapporto di lavoro dei creatori di contenuti digitali, che riteniamo meritevoli di specifica previsione normativa di tutela, e individuando, in particolare, i principi, le norme applicabili e gli ambiti di un possibile intervento legislativo, anche a livello europeo.
  Abbiamo pensato di dividere l'intervento in una parte generale, di qualificazione del rapporto, e una parte più pratica, di proposta normativa che regoli i principali nodi che, secondo noi, non sono in alcun modo demandabili all'autonomia contrattuale delle parti, proprio in ragione dell'evidente squilibrio delle rispettive posizioni sostanziali.
  Siamo consapevoli di essere di fronte a un fenomeno molto complesso, che coinvolge tantissimi interessi economici del mercato digitale. Cercando di analizzare questo argomento, mi sono resa conto che YouTube Stars, secondo Forbes, produce un fatturato complessivo di oltre 54 milioni di dollari; quindi siamo di fronte a interessi economici enormi e a un nuovo modo di fare impresa, in cui le piattaforme rappresentano sempre più un luogo di produzione e di generazione di contenuti e, soprattutto, anche di nuove forme di lavoro.
  L'attività riguarda moltissime e moltissimi giovani. Pare che l'80 per cento di chi sceglie questo percorso sia sotto i 35 anni. Essi creano contenuti non in maniera occasionale o spontanea, ma proprio in modo professionale e continuativo. Chi sono questi lavoratori e queste lavoratrici? Per lo Pag. 4più si tratta di soggetti titolari di partita IVA che, privi di un proprio codice identificativo, del famoso codice ATECO, utilizzano, di volta in volta, quello di altre categorie. Ho visto che nel corso di precedenti audizioni si è parlato del fatto che sono utilizzati codici ATECO riferiti ad altre categorie, come Altre presentazioni artistiche, che ha un proprio codice, Altre attività professionali, Marketing online.
  Su queste piattaforme si trovano contenuti di ogni tipo: videogiochi, ma anche intrattenimento, attualità, arte, pittura, cinema, politica. I creatori e le creatrici di questi contenuti digitali invocano una regolamentazione del rapporto, ma che non sia quella tipica del lavoro subordinato, perché non lo è e non lo può essere, ma nemmeno quella di fornitore-utente-consumatore, perché il rapporto presenta un chiaro ed evidente squilibrio, che dipende dalla condizione dominante di una parte sull'altra; ma questi lavoratori e queste lavoratrici non possono determinarsi in modo autonomo sul mercato, perché la piattaforma rappresenta, in realtà, l'infrastruttura indispensabile per svolgere la prestazione e ne stabilisce le condizioni e, sicuramente, i limiti.
  Non riteniamo che occorra un intervento normativo generalizzato – abbiamo preparato questa relazione con altre colleghe – che regolamenti in modo rigido un rapporto che riconosciamo essere in continua evoluzione, tale da non poter essere in alcun modo vincolato in categorie giuridiche predeterminate; ma, in particolare, riteniamo che il lavoro dei creatori e delle creatrici di contenuti digitali non possa essere paragonato a quello dei riders. Nel caso dei rider, il matching è digitale, ma la prestazione è eseguita fuori, nel mondo reale. Invece, nel caso dei cosiddetti «creatori di contenuti digitali» sia il matching sia l'esecuzione sono digitali. Ciò nonostante, non possiamo consentire che i creatori di contenuti digitali diventino i rider del web e attendere poi, come è successo per i rider, l'intervento della magistratura per delimitare i confini del rapporto e approntare le tutele. L'intervento della magistratura, per sua natura, può essere differente, caso per caso, e quindi creerebbe sicuramente incertezza in relazione alla gestione dei rapporti in questione e renderebbe necessari interventi legislativi, magari di emergenza, volti a rimediare in relazione a situazioni identiche su cui le pronunce sono state difformi, con tutte le evidenti conseguenze che questa situazione può comportare.
  Riteniamo necessaria, in osservanza del principio fondamentale della certezza dei rapporti giuridici – che è molto importante per lo sviluppo di qualsiasi realtà economica – una regolamentazione normativa minima, che intervenga sugli aspetti di rilevanza pubblicistica del rapporto di lavoro – in particolare, sul compenso, che ha evidenti ricadute fiscali, previdenziali e assicurative, e sui diritti fondamentali, in particolare, la maternità, le ferie, la malattia e tutte le cause di sospensione della prestazione; su tutte le tematiche correlate alla risoluzione del rapporto; sulla giurisdizione e sul diritto al ricorso effettivo dinanzi a un giudice imparziale.
  Riteniamo anche che una regolamentazione minima possa rappresentare una significativa prevenzione rispetto a forme di lavoro autonomo, però economicamente dipendente, non genuine, che configurano casi di abuso. Al tempo stesso, riteniamo importante, in vista anche di un intervento legislativo, fare un'analisi delle fonti alle quali fare riferimento per non sovrapporsi e per non creare problematiche relative proprio alla gerarchia delle fonti.
  Tutte le norme applicabili sono, secondo me, già rinvenibili. Alcune verranno analizzate con maggior dettaglio dalla collega Notarianni, che interverrà dopo di me. In particolare, molto velocemente – spero di rientrare nel tempo – si tratta delle norme sul lavoro autonomo del codice civile, gli articoli 2222 e 2230 e seguenti; il cosiddetto «Statuto del lavoro autonomo», di cui alla legge n. 81 del 2017, che reca misure per la tutela del lavoro autonomo ma non imprenditoriale, anche con riferimento al lavoro agile.
  È fondamentale richiamare la Carta di Nizza e, in particolare, l'articolo 47, sul diritto a un ricorso effettivo e a un giudice Pag. 5imparziale; l'articolo 16, sulla libertà di impresa; l'articolo 17, comma 2, sulla protezione della proprietà intellettuale; l'articolo 27, sul diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa; l'articolo 31, sulle condizioni di lavoro eque e giuste.
  Ancora sulle fonti, il Regolamento 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio del giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online, proprio con l'obiettivo di garantire un contesto commerciale on line equo, sostenibile e sicuro.
  Ancora, la direttiva 2019/790 sul copyright, ancora non recepita, ma che dovrebbe essere recepita in questi giorni. In particolare, l'articolo 17, paragrafi 7 e 9, prevede, nell'ambito del rapporto tra il creator e le piattaforme, meccanismi che non pregiudichino l'applicazione di limiti al diritto d'autore, garantiscano la libertà di espressione dei creator e istituiscano meccanismi di reclamo e ricorso efficaci e celeri, per consentire agli utenti di contestare le misure adottate – penso, in particolare, ai ban e alle sospensioni. Si tratta, quindi, di una regolamentazione dei meccanismi di reclamo tra creator e piattaforme in un quadro normativo da implementare e applicare.
  Ancora, le risoluzioni del Parlamento europeo n. 73 del 2021, sul dovere di diligenza e di responsabilità delle imprese, e n. 44 del 2021, sulla riduzione delle disuguaglianze, con particolare attenzione alla povertà lavorativa.
  Da ultimo, cito le proposte di legge C. 3179 e abbinate sull'equo compenso, in discussione alla Camera dei deputati, dove forse sarebbe possibile introdurre un emendamento volto a estendere la disciplina anche alle professioni non ordinistiche.
  Per concludere, è fondamentale analizzare con attenzione le fonti al fine di un intervento normativo sui creatori e sulle creatrici di contenuti digitali. Per un'analisi più approfondita delle nostre proposte rinvio all'intervento della collega Notarianni. Concludo, insistendo sull'importanza della certezza dei rapporti giuridici e del contrasto e della prevenzione delle forme di lavoro autonomo non genuine, che tante inaccettabili ingiustizie sociali hanno creato negli anni nel nostro Paese. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, avvocata Biagioni. Adesso la parola all'avvocata Notarianni. Prego.

  AURORA NOTARIANNI, avvocata (intervento da remoto). Grazie presidente. In realtà non riteniamo assolutamente corretto né conveniente imporre schemi classificatori ai lavoratori e alle lavoratrici che creano contenuti digitali; però, al tempo stesso, è necessario stabilire un confine entro il quale il legislatore può muoversi per garantire quella certezza dei rapporti giuridici che la collega Biagioni auspicava.
  Sino a oggi non c'è una casistica giurisprudenziale e giuslavoristica che ci può orientare; però io credo che sia da subito interessante richiamare la recente ordinanza dell'Autorità garante della privacy, che rappresenta un'importante decisione pilota, perché distingue l'uso corretto dall'uso illecito degli algoritmi che controllano la prestazione resa dai lavoratori. In questo caso, si tratta dei rider di una società di food delivery.
  L'ordinanza è del 10 giugno del 2021 ed è iscritta al Registro al n. 234. Viene adottata dall'Autorità al termine di un'attività di controllo che riguarda proprio il trattamento dei dati personali dei rider, controllati dal datore di lavoro a mezzo di una piattaforma digitale. La piattaforma, attraverso un algoritmo, controllava gli ordini effettuati dai clienti che chiedevano la fornitura di beni o di servizi e i tempi di consegna.
  Ebbene, l'Autorità, in questo caso, ha riscontrato gravi irregolarità e la violazione non solo del Regolamento UE 2016/679 (General Data Protection Regulation – GDPR), ma anche dell'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, di cui alla legge n. 300 del 1970, con riferimento a due elementi fondamentali: il diritto dei lavoratori di ricevere un'informativa precisa sulle condizioni di lavoro e sul trattamento dei propri dati e il diritto di richiedere un Pag. 6intervento umano al fine di verificare come sono elaborati i dati e contestare la decisione che sanziona la condotta del rider, del prestatore di lavoro.
  Ebbene, l'Autorità garante ha accertato la violazione e ha sanzionato pesantemente la società con una multa di 2,6 milioni di euro. In questo caso, la decisione è interessante, perché l'Autorità stigmatizza come l'algoritmo utilizzasse calcoli che non erano verificabili ex ante e che non potevano essere verificati ex post. La violazione rilevata dall'Autorità garante della privacy è proprio quella dell'articolo 22 del Regolamento, che prevede il diritto degli interessati alla trasparenza dei dati, ma soprattutto alla prevalenza del fattore umano. Io credo che questo sia un elemento di grandissima importanza nella valutazione della norma, perché costituisce la modalità per una verifica effettiva.
  Naturalmente, ci sono contratti di partnership, ci sono adesioni alle polizze. Il mondo della contrattualistica è variegato ed estremamente complesso. Però, se possiamo formulare un'ipotesi di contratto con alcuni requisiti minimi, dobbiamo innanzitutto prevedere una forma scritta e la condivisione delle condizioni del contratto e, ove possibile e ove preferibile, non con condizioni predeterminate dal datore di lavoro, come spesso accade, e quindi non l'utilizzo di moduli o di formulari a cui si aderisce.
  Innanzitutto, è importante distinguere le parti che stipulano. Il creatore di contenuti digitali è sicuramente il professionista o la professionista responsabile dell'ideazione del contenuto. Può essere una persona fisica, ma già si sono costituite società – in genere piccole società, anche Srl – che lavorano con le piattaforme web e che traggono da quell'attività la principale, se non esclusiva, fonte di sostentamento. Questo, secondo me, è necessario per distinguere tutte le forme sicuramente meritevoli di tutela.
  Il Regolamento UE 2019/1150, di cui parlava la collega, che interviene sull'intermediazione online, dà, all'articolo 2, una definizione che può essere utilizzata per individuare il contraente creatore di contenuti digitali, perché anche in tale disposizione viene distinta la persona che agisce nell'ambito delle proprie attività commerciali o professionali offrendo beni o servizi ai consumatori tramite i servizi di intermediazione online e per fini legati alla propria attività. Questa classificazione minima, come risulta dalle precedenti audizioni che ho avuto modo di ascoltare, necessita di un codice ATECO e di una riflessione sui codici da attribuire. In genere, si fa ricorso ai codici già esistenti, come, ad esempio, per i servizi legali o per gli organizzatori di eventi, ma potrebbe ipotizzarsi un codice anche di natura neutra, che possa ricomprendere tutto ciò che non è espressamente regolato.
  Quindi, abbiamo il creatore di contenuti e l'impresa. L'impresa, in genere, è la piattaforma, che con l'algoritmo, elabora i dati di rating. I dati di rating in genere sono commisurati al numero dei follower o dei contenuti prodotti. È importante distinguere nella figura datoriale quelle piattaforme che organizzano la prestazione e la controllano, che sono veri datori di lavoro, ed escludere le piattaforme che, invece, fanno un'attività di mera vetrina, veicolando gli annunci autoprodotti dai creator.
  In quest'ambito, per la delimitazione della nozione di impresa, a mio avviso è importante ricordare la risoluzione del Parlamento europeo n. 73 del 10 marzo 2021 sul dovere di diligenza e di responsabilità dell'impresa, perché, anche in questo caso, c'è un forte cambiamento nella visione del legislatore europeo, che valorizza anche la responsabilità sociale dell'impresa. A questo riguardo, è importante ricordare la risoluzione del Parlamento europeo n. 51 del 16 febbraio 2017, che reca raccomandazioni alla Commissione in materia di diritto civile sulla robotica, che possono interessare ai fini dell'indagine conoscitiva perché riaffermano quella che viene definita la «prima legge di Isaac Asimov», che prevede che un robot non può recare danno a un essere umano e non può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. È un po' l'esemplificazione del principio, di cui ho parlato all'inizio del mio intervento, Pag. 7applicato dall'Autorità garante della privacy quando ha affermato che deve essere previsto come necessario l'intervento umano quando si va a contestare l'elaborazione di un dato algoritmo.
  Individuate così le parti, vado velocemente alle conclusioni. Quali sono gli istituti fondamentali che occorre disciplinare nell'accordo, che deve essere un vero accordo? Sicuramente, la durata del contratto e il vincolo di esclusiva. La maggior parte dei contratti sono a tempo indeterminato e non prevedono un vincolo di esclusiva; ma questo vincolo si va affermando con Twitch, che risulta aver stipulato contratti che prevedono un vincolo di esclusività, soprattutto con i suoi live streamer e gli affiliati. Questo aspetto della contrattazione, naturalmente, ha una sua refluenza economica, perché il vincolo di esclusiva deve essere in qualche modo compensato con un corrispettivo maggiore e deve essere garantito quello che accade dopo la risoluzione del rapporto di lavoro, ossia quanto e per quale durata il creatore di contenuti è vincolato al datore di lavoro, all'impresa, o meglio, alla piattaforma.
  Il secondo aspetto, quello fondamentale, anche come principio pubblicistico, come ben diceva l'avvocata Biagioni, è quello del compenso. Sul compenso si è letto di tutto. In ogni caso, il compenso deve essere commisurato alla retribuzione minima del contratto collettivo di categoria dei lavoratori comparabili. Chi crea contenuti di informazione guarderà al contratto dei giornalisti; chi crea siti sul web o sistemi di comunicazione guarderà al contratto dei quadri o dei produttori digitali; chi produce musica guarderà al contratto degli enti lirici. Però l'identificazione del minimo di retribuzione può ben essere presa da tutti i contratti settoriali esistenti, ovvero dal salario minimo, ma, in questo caso, è necessario richiamarsi non solo alla direttiva europea, ma anche alle proposte di legge in corso di esame da parte del Parlamento. In ogni caso tutti i criteri che servono a determinare il compenso devono avere, se previste da un algoritmo, metriche certe e certificate da terzi.
  Sul compenso, è importante ricordare che l'Unione europea esclude, per un'evidente violazione delle regole sul libero mercato, compensi predeterminati da tariffe. Sul punto le pronunce ci sono e sono diverse, soprattutto quella recente della Corte di giustizia europea in relazione alla causa C-377/17. Nel decidere sulla compatibilità della tariffa, determinata nel minimo e nel massimo, degli ingegneri tedeschi con la direttiva 2006/123/CE, la Corte riafferma il principio che è vietato un sistema tariffario perché è incompatibile con il mercato e con la libertà del mercato.
  La Corte di giustizia europea stabilisce un'unica deroga, per motivi imperativi di interesse generale, come ad esempio la tutela dei consumatori, la qualità del servizio e la trasparenza dei prezzi. Nella stessa direttiva 2006/123/CE ritroviamo, ai consideranda 91 e 92, la delicatezza del tema che stiamo trattando, con riguardo proprio alla digitalizzazione e alla globalizzazione, che hanno determinato il significativo aumento del numero dei rapporti di lavoro autonomo e atipico.
  La direttiva si esprime con un monito verso i lavoratori autonomi, perché invita ad associarsi per concludere contratti collettivi. E comunque ricorda ai lavoratori che devono ricevere informazioni complete, in particolare sui diritti retributivi e occupazionali, e auspica un numero di sicurezza sociale europeo digitale.

  PRESIDENTE. Avvocata, le chiedo cortesemente di avviarsi alla conclusione.

  AURORA NOTARIANNI, avvocata (intervento da remoto). La proposta di legge C. 3179 e abbinate, in discussione in questi giorni alla Camera dei deputati, estende l'applicazione della disciplina relativa alle categorie di professionisti iscritti ad albi, cosiddetti professionisti «ordinistici», e modificando l'articolo 2233 del codice civile, mira a garantire l'equo compenso a tutte le categorie di lavoro autonomo, e quindi a tutti i professionisti. Eventualmente, può essere introdotto un emendamento che specifichi che l'equo compenso deve essere garantito con un accordo anche ai creatori di contenuti digitali. Pag. 8
  La norma è interessante perché dispone la nullità della clausola che prevede un compenso non equo né proporzionato al lavoro svolto e soprattutto perché individua nel tribunale del luogo di residenza del lavoratore quello competente a decidere sul ricorso proposto, dando così certezza ed effettività al diritto di proporre ricorso.
  Abbiamo parlato della durata del contratto e del vincolo di esclusiva; abbiamo parlato del compenso, che è il nucleo centrale del tema in discussione, perché poi da esso discendono gli obblighi previdenziali e assicurativi e gli obblighi fiscali.
  La quarta e la quinta condizione necessarie per un minimo di regolamentazione sono quelle relative alla risoluzione del rapporto di lavoro e agli obblighi connessi, in particolare il preavviso. Le direttive che abbiamo richiamato, soprattutto quella sul commercio online, prevedono comunque obblighi di preavviso, che va dai 15 ai 30 giorni; ma soprattutto prevedono condizioni per la portabilità dei dati del content creator, dei giudizi di rating e di tutto ciò che serve a conservare quell'identità digitale che è stata condivisa con l'attività di lavoro prestato attraverso la piattaforma. Sarebbe anche interessante prevedere un diritto al risarcimento del danno nel caso di recesso ingiustificato, quindi nei casi di ban permanenti o di oscuramento dei dati, che possa preservare non solo l'identità digitale del creator, ma anche il suo prodotto.
  L'ultimo punto è quello della giurisdizione, del foro competente e della legge applicabile. Ho letto nei resoconti delle precedenti audizioni che per questo genere di rapporti si auspica una definizione alternativa delle controversie e che l'Autorità garante a cui ricorrere in alternativa al giudice può essere individuata in un'Autorità indipendente, anche non creata specificamente, per la risoluzione di questo tipo di contenzioso. Il contratto dovrebbe espressamente prevedere che la legge applicabile sia la legge italiana, che la giurisdizione sia quella ordinaria e dovrebbe indicare il foro competente, escludendo le deroghe al foro che hanno impedito in questi anni la tutela effettiva dei diritti. Penso a quello che è accaduto con Google AdSense, che prevede il diritto inglese come diritto applicabile e il tribunale di Londra come foro competente, con un evidente disincentivo a qualsiasi forma di contenzioso per la tutela dei propri diritti. In questo caso, la scelta di un foro convenzionale nazionale, secondo me, è assolutamente necessaria perché possa essere garantito il diritto a un ricorso effettivo, che è affermato dall'articolo 47 della Carta di Nizza, ma che è tutelato anche a livello convenzionale; penso alla Convenzione di Strasburgo per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
  Io avrei concluso. Spero di essere rimasta nei tempi e vi ringrazio molto.

  PRESIDENTE. Grazie, avvocata Notarianni. È andata ben oltre i tempi, ma poiché ha detto cose molto interessanti, l'abbiamo ascoltata con piacere. Ora do la parola all'avvocata Antonucci. Prego.

  ALBERTA ANTONUCCI, avvocata (intervento da remoto). Grazie e buon pomeriggio, presidente. Io ho analizzato il fenomeno del ban rapportato alla figura dell'influencer. Con l'evoluzione tecnologica e la crescita incessante dei social network si è assistito e si assiste tuttora, a un mutamento della realtà lavorativa, che si trasla nel mondo virtuale. Si vengono così a creare nuove tipologie di professionisti che esercitano la propria attività in maniera del tutto digitale, operando all'interno di piattaforme di social network messe a disposizione sul web. Questi professionisti influencer creano contenuti digitali che trasmettono, tramite i social network, alla comunità di seguaci. La maggior parte di questi contenuti, però, veicolano messaggi promozionali, debitamente segnalati, che influenzano inevitabilmente le scelte di mercato dei seguaci.
  Già negli anni passati esisteva il fenomeno del lavoro digitale – che si è acuito nella fase del lockdown dovuto alla pandemia da COVID-19 – e, in questo contesto, i marchi e le aziende che operano in diversi settori, come la moda, l'alimentazione, la cosmesi, per elencarne alcuni, hanno iniziato Pag. 9 a comunicare le proprie iniziative di mercato a mezzo degli influencer. L'influencer, tramite la creazione di un contenuto fotografico o video, cosa fa? In primo luogo, veicola il messaggio promozionale e porta a conoscenza della comunità digitale il prodotto; in secondo luogo, ed è un aspetto importante, converte il tutto in vendite.
  Nonostante l'autonomia che contraddistingue gli imprenditori digitali per quanto concerne la creazione di contenuti e la loro pubblicazione, questi rimangono e permangono in uno stato di subordinazione rispetto alle scelte, spesso arbitrarie e totalmente discrezionali, che i regolatori dei social network operano ad nutum, con inevitabili ripercussioni sull'attività dei creatori di contenuti.
  In virtù di questo fenomeno si è reso necessario comprendere sotto quale categoria di diritto sostanziale sussumere questa figura, quali tutele approntare ai fini di un pacifico svolgimento dell'attività lavorativa digitale alla stregua del classico luogo di lavoro fisico, perché, di fatto, le piattaforme digitali sono diventati gli uffici virtuali degli influencer.
  Per quanto concerne lo stato di subordinazione dell'influencer rispetto al social network, risulta di fondamentale importanza capire quali tutele possono essere approntate nei confronti della discrezionalità che il social ha sui contenuti e sui profili che gli imprenditori digitali utilizzano per il proprio lavoro. Nell'esercizio di questa attività, a parte l'iscrizione e la creazione del profilo, che sono obbligatori per accedere ai social network, i professionisti non intrattengono alcun rapporto con essi. Infatti non vi è alcuna possibilità di interazione diretta con i regolatori della piattaforma, se non la possibilità di segnalazione di contenuti che si assumono lesivi del regolamento del social network medesimo.
  Per di più, risulta problematico, e attualmente è esente da una specifica tutela positiva, il fenomeno del ban, quindi del blocco, temporaneo o permanente, del profilo social del soggetto che è sottoposto alla sanzione. Su questa questione, nei mesi scorsi la giurisprudenza di merito, in particolare, il tribunale di Bologna, con un'ordinanza del 10 marzo 2021 ha, per la prima volta, preso una decisione in relazione alla cancellazione senza motivazione di alcuni profili da parte del social network Facebook, che ha causato un ingente danno a un utente italiano. Nella fattispecie, questo soggetto si è visto cancellare il proprio profilo personale, che esisteva da oltre dieci anni, oltre a un paio di pagine commerciali, senza alcuna motivazione o spiegazione, senza possibilità di recuperare i dati del proprio profilo. Il giudice ha condannato Facebook al risarcimento, in favore dell'attore, del danno causato dalla cancellazione, argomentando un concetto molto importante: Facebook non è un'occasione ludica di intrattenimento, ma è un luogo virtuale di proiezione della propria identità, di tessitura di rapporti personali e lavorativi e di espressione e comunicazione del proprio pensiero.
  Con questa ordinanza, il tribunale ha verificato i presupposti della cancellazione senza valida ragione e la relativa distruzione in tempi brevi dei dati che erano contenuti nei profili, sostenendo un concetto nuovo: la sfera virtuale di un individuo è oggi un'estrinsecazione importante della vita sociale della persona.
  Benché il caso citato riguardasse un privato, non un'influencer, questa pronuncia comunque segna l'affermazione di un importante punto di vista sulla sfera virtuale. Pensiamo ora ai casi di cancellazione o di ban permanente del profilo social di un influencer, quindi di un profilo di carattere puramente lavorativo, attraverso il quale l'influencer esercita la propria attività lavorativa e adempie alle obbligazioni contrattuali assunte con aziende terze per la comunicazione e la sponsorizzazione di prodotti dietro un corrispettivo.
  È importante precisare che esistono hashtag proibiti da alcuni social, che possono provocare uno shadow ban, un oscuramento. Questi sono noti tra gli influencer, che li evitano. Però, è altresì vero che alcuni hashtag non sono segnalati come vietati, ma possono avere un elevato quantitativo di spam o contenuti inappropriati e avere il medesimo effetto punitivo. Individuarli Pag. 10 è macchinoso, considerato che gli algoritmi di queste liste nere di hashtag borderline sono in continuo aggiornamento. È un'incertezza inaccettabile, che colpisce l'attività lavorativa dell'imprenditore digitale.
  In caso di ban si verifica una situazione nella quale il professionista è posto nell'impossibilità di adempiere alle proprie obbligazioni assunte con i terzi, perdendo il corrispettivo derivante dai contratti stipulati, senza nessuna garanzia o possibilità di agire per qualche forma di responsabilità del gestore del social network. Esiste una bolla, dal momento che tutti questi professionisti potrebbero essere spazzati via o ridimensionati dall'oggi al domani dai gestori delle piattaforme, quali Google, YouTube, Facebook, Instagram.
  Il rischio serio è che le piattaforme possano decidere a un certo punto che gli influencer sono diventati scomodi oppure pesanti. Ricordiamoci che c'è un equilibrio, perché l'influencer crea interesse e gli utenti che stanno sulla piattaforma spendono tempo e vedono tanta pubblicità. Che pubblicità troviamo? Nella piattaforma troviamo la pubblicità diretta degli inserzionisti, da cui i soci guadagnano, e la pubblicità dell'influencer. Se questo equilibrio si sbilancia a favore dell'influencer, questi social possono fare scelte diverse. Non dimentichiamoci che, da un punto di vista del ruolo, l'influencer è in una posizione di concorrenza con il social. Il social vende spazi pubblicitari e campagne per i brand, così come l'influencer.
  In conclusione, dovendo considerare l'attività di influencer nel mondo digitale alla stregua di quella di un lavoratore nel mondo fisico, sarà necessario approntare una specifica tutela legale per i rapporti digitali intercorrenti tra l'imprenditore digitale e la piattaforma social, viste anche le notevoli ripercussioni che un abuso da parte di quest'ultima può scatenare in capo agli utenti.
  Occorre, quindi, una pianificazione dei rapporti contrattuali tra imprenditori digitali e piattaforme di social network, perché siano chiari e trasparenti, con una regolamentazione specifica dell'attività di influencer marketing tramite la sottoscrizione di contratti ad hoc e di clausole di tutela preventiva nei confronti dei possibili abusi da parte delle piattaforme social.
  Chiudo dicendo che lavoro in modo verticale nel web e, nell'ultimo periodo, ho affrontati diversi di questi casi a danno di influencer. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, avvocata Antonucci. Cedo la parola alla collega Barzotti, prego.

  VALENTINA BARZOTTI. Grazie, presidente. Ringrazio le audite, a cui faccio i miei complimenti, perché hanno fatto interventi davvero molto puntuali e centrati e perché sono state molto brave. Vi ringrazio, perché c'è un gran bisogno di contributi strutturati su questi temi, che ci mettono di fronte a un mondo nuovo e a un nuovo modo di lavorare. Per questo è importante che ci sia un contributo corale da tutti i professionisti che si occupano di questi temi.
  Ho solo una domanda da fare, dato che, per ragioni di tempo, non posso dilungarmi. Spero che avremo modo di confrontarci, lo farò molto volentieri, e spero anche che abbiate modo di trasmettere le memorie dei vostri interventi, che sicuramente analizzeremo in vista della sintesi che dovremmo fare alla fine dell'indagine conoscitiva.
  La domanda riguarda le clausole di esclusiva. Ne ho sentito parlare oggi e concordo su quanto si è detto sull'esclusiva nel mondo dei contratti oggi, con particolare riferimento alla previsione di una compensazione per coloro che sono soggetti al vincolo di esclusiva.
  Tuttavia, ho un forte dubbio rispetto ai creatori di contenuti digitali. Secondo me – questa è una riflessione che offro al dibattito – l'esclusiva nel mondo dei creatori di contenuti digitali è ontologicamente contraria alla loro professionalità, alla loro tipologia di lavoro e a all'ambiente in cui lavorano. Dovendo i creatori operare esclusivamente nel mondo digitale ed essendoci pochissime piattaforme, nel momento in cui si ritrovassero vincolati all'esclusiva, Pag. 11temo che sarebbero bloccati nel loro modo di lavorare, nel loro modo di esprimersi e nel loro modo di crescere nel mondo digitale, trovandosi veramente in grosse difficoltà nel momento in cui si risolvesse il rapporto di lavoro con la piattaforma con cui hanno collaborato per anni e si ritrovassero a lavorare con un'altra. Ho paura che per loro sia un vero e proprio impoverimento lavorare solamente per una piattaforma.
  Spero di essermi spiegata e vi ringrazio per la risposta che vorrete fornirmi.

  PRESIDENTE. Grazie all'onorevole Barzotti. Chiederei alle avvocate di rispondere nell'ordine in cui sono intervenute durante l'audizione. Do la parola all'avvocata Biagioni.

  TATIANA BIAGIONI, avvocata (intervento da remoto). Credo che bisognerebbe capire caso per caso e situazione per situazione. Proprio il fatto che ci siano poche piattaforma forse può portare a una situazione di autonomia.
  L'importante è che, come diceva giustamente la collega Notarianni, se ci sono situazioni di questo genere, ci devono essere adeguate riflessioni sul tema del compenso adeguato e sul tema della risoluzione del rapporto.
  Secondo me, attraverso l'attenzione contrattuale e anche attraverso l'intervento normativo si possono risolvere queste problematiche ed è ovvio che senza nessuna regolamentazione quello che lei ha detto è sicuramente un problema esistente.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola all'avvocata Notarianni.

  AURORA NOTARIANNI, avvocata (intervento da remoto). Il problema posto dalla deputata Barzotti nasce soprattutto con la piattaforma di Twitch, che impone l'esclusiva ai suoi content creator. Le piattaforme, essendo poche ed essendo in concorrenza tra loro, agevolano questa clausola che, però, è una clausola che siamo abituati a vedere tante volte, come nei rapporti di agenzia, che possiamo definire connaturata all'autonomia contrattuale delle parti e che può avere un limite nella misura in cui siano previsti un limite di durata alla cessazione del rapporto e un compenso che sia corrispettivo al vincolo di esclusiva dato.
  Io rimanderei, anche per l'esame di questa condizione, ai limiti dell'autonomia delle parti nella stipula di un contratto, che davvero non può essere per adesione, ma deve essere frutto della condivisione tra piattaforma e content creator.
  Inoltre, il vincolo non necessariamente deve riguardare tutti i contenuti. Ad esempio, per Twitch riguarda i contenuti live, quelli che vengono concepiti nell'immediatezza. Altri contenuti possono essere esclusi dal vincolo di esclusiva, in modo che il lavoratore possa accedere anche ad altre piattaforme e ad altre fonti di reddito.
  Auspico una regolamentazione anche in questo senso, ove venga contrattata l'esclusiva. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Do la parola all'avvocata Antonucci.

  ALBERTA ANTONUCCI, avvocata (intervento da remoto). Grazie. Posso confermare, come diceva la collega Notarianni, che questa casistica si manifesta soltanto con Twitch, che è una piattaforma di Amazon.
  Personalmente, nella mia esperienza lavoro molto su altri social, Facebook o sul social cinese TikTok, e non ho mai incontrato questo tipo di clausola, perché i gestori non sono interessati.
  È altresì vero che in Twitch le figure e le aree che vengono toccate dagli streamer riguardano tematiche totalmente diverse, perché si parla più del mondo del gaming, mentre il mondo della moda, della cosmesi, dell'arredamento o del food, non sono ancora arrivati su Twitch. Ci sono i primi pionieri, ma devo dire che su altre piattaforme non ho mai incontrato l'esclusiva e non ne ho mai sentito parlare. Mi sento anche in obbligo di dover ridimensionare un po' questa emergenza relativamente alle piattaforme facenti capo a Google o a Facebook.

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  PRESIDENTE. Ringrazio le audite, per il contributo fornito all'indagine conoscitiva e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione della professoressa Mariella Magnani, ordinaria di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Pavia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione della professoressa Mariella Magnani, ordinaria di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Pavia, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza dell'audita e dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.
  Nel ringraziare la nostra ospite per la sua partecipazione, le cedo immediatamente la parola, ricordando che la sua relazione dovrebbe avere una durata orientativa di dieci minuti. Prego.

  MARIELLA MAGNANI, professoressa ordinaria di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Pavia (intervento da remoto). Grazie, presidente. Ringrazio la Commissione per questa audizione che mi ha dato la possibilità di accostarmi a un fenomeno ancora ignoto alla gran parte, se non alla totalità, dei giuslavoristi.
  L'indagine conoscitiva promossa dalla Commissione sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali è quanto mai opportuna, stanti non solo la vastità del fenomeno in espansione, ma anche il suo carattere estremamente variegato.
  Per questo motivo, acquisire precisi elementi di conoscenza del substrato economico-sociale è quanto mai opportuno prima di procedere a qualsiasi prospettiva regolatoria e, soprattutto, al fine di comprendere se sia appropriato ipotizzare di estendere i princìpi e le tutele recentemente introdotti per i cosiddetti «rider» – i lavoratori adibiti tramite piattaforma digitale alla consegna di beni a domicilio – come ipotizzato dal Governo in risposta all'interrogazione dell'onorevole Barzotti.
  Inoltre, sono quanto mai utili e necessarie le audizioni degli operatori del settore, fermo restando che non è facile l'individuazione degli interlocutori, che non possono ancora giovarsi di forme di rappresentanza consolidata – come, del resto, è accaduto per i rider – e forse, per la verità, come è consono a questi tipi di figure professionali. Proprio per questo, occorre procedere con prudenza.
  Le audizioni precedenti, di cui ho potuto leggere i resoconti, hanno comunque già contribuito a delineare, almeno in termini generali, i contorni della figura del creatore di contenuti digitali, di cui ci stiamo occupando e di cui ci accorti, nonostante l'effervescenza di questo mondo già nei primi anni 2000, in occasione del Manifesto No stream day pubblicato nel dicembre dello scorso anno, contenente precise richieste degli streamer nei confronti di Twitch.
  Mi sembra che all'interno della figura del creatore di contenuti digitali, definibile in termini generali come chiunque crei contenuti da pubblicare sul web, si possono distinguere almeno due, se non tre, categorie: gli operatori amatoriali, cioè coloro che producono e pubblicano contenuti per hobby o per passione; gli intermedi, ovvero coloro che operano per passione con l'obiettivo secondario di creare redditi; i professionali, cioè coloro che producono i contenuti per professione, dai quali sono partite le istanze contenute nel Manifesto di cui ho parlato prima.
  Mi sembra che, se ci occupiamo della terza e anche della seconda categoria, l'accostamento alla figura dei rider sia fuorviante. Infatti, nel nostro caso si tratta di una vera e propria categoria professionale, di piccole imprese o magari anche di grandi, collocabile nell'alveo del lavoro autonomo. Il fatto che si tratti di lavoro autonomo non esclude l'applicazione di uno specifico apparato di tutele e anzi lo potrebbe richiedere, secondo le più moderne prospettazioni di tutela del lavoro in tutte le sue forme di applicazione, come dice l'articolo 35 della Costituzione. Pag. 13
  Per la verità, questo avviene tutte le volte in cui, pur nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo, uno dei contraenti sia in condizione di debolezza contrattuale nei confronti dell'altro contraente, nel nostro caso la piattaforma digitale. In questo senso, si è mossa, seppur timidamente, la legge n. 81 del 2017 sulla tutela del lavoro autonomo, che non credo sia risolutiva ai nostri fini.
  Quali sono i problemi denunciati in parte anche nel Manifesto? Da quello che ho potuto comprendere, riguardano essenzialmente l'opacità delle decisioni e delle politiche adottate dalle piattaforme, non oggetto di scambio contrattuale, in ordine ai contenuti pubblicati e alle modalità di erogazione dei corrispettivi, non verificabili adeguatamente dai creatori di prodotti digitali.
  Uno dei problemi centrali è proprio il cosiddetto «ban» e soprattutto il ban permanente, che deve essere regolato in qualche misura, chiarendone a monte, seppur in modo non particolarmente stringente, le condizioni, ma anche le procedure di adozione, consentendo al professionista un contraddittorio.
  Non bisogna dimenticare che, in un qualsiasi rapporto di durata, il recesso in tronco deve essere giustificato. Qualche indicazione in più potrebbe in effetti essere ricavata dal regolamento n. 2019/1150 UE, che è già stato citato in una delle precedenti audizioni, in materia di equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online, che prevede proprio obblighi di preavviso, di motivazione e anche un diritto di contraddittorio, nel caso in cui vengano esclusi i servizi per gli utenti.
  Potrebbe essere opportuna la regolazione dell'eventuale esclusiva e – ma qui si travalicherebbe il campo meramente giuslavoristico per invadere e toccare un campo che non è di mia specifica competenza – del profilo della tutela della proprietà intellettuale e del diritto d'autore.
  Non è ora il caso di andare oltre, finché non ci sarà assoluta chiarezza sulla figura sociologica di riferimento su cui noi stiamo riflettendo, ma non si può escludere di concepire, con meccanismi assicurativi, anche tutele di tipo welfaristico nei confronti di questi soggetti, ad esempio in caso di malattia e così via, il che andrebbe nel senso dell'universalismo, sia pur differenziato, delle tutele, verso cui si sta sempre più spingendo il nostro ordinamento.
  La mia conclusione è che, nell'alveo del lavoro autonomo, ben può essere regolata specificamente la figura professionale del digital creator, munita delle specifiche garanzie richieste da questa forma contrattuale.
  Sotto il profilo evidenziato della necessità o dell'opportunità di una disciplina specifica, mi sembrano equilibrate le «piste» normative proposte da Lombardo in una precedente audizione.
  La rapidissima evoluzione tecnologica e dei modi di organizzazione delle imprese rende per il legislatore obbligatoria la strada della regolazione specifica di singole figure contrattuali, essendosi rivelata inadeguata la semplice dicotomia tra il lavoratore autonomo e il lavoratore subordinato.
  Anche la creazione di un'ulteriore figura generale, quale quella del lavoro eterorganizzato, prevista dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015, applicata ai rider, figura estranea al nostro tema per i motivi che ho accennato, ha creato più problemi di quanti ne abbia risolti sia per la difficoltà di distinguere tra eterodirezione ed eterorganizzazione sia per la difficoltà di selezionare la disciplina applicabile. Ne è testimonianza l'ambigua decisione della Corte di Cassazione n. 1663 del 2020. Questo è solo un esempio, stante l'estraneità del lavoro organizzato dal committente rispetto alla nostra figura, a sostegno della crescente necessità di regolazioni ad hoc ritagliate sulle caratteristiche delle singole figure lavorative. Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professoressa. Do la parola alla collega Barzotti, prego.

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  VALENTINA BARZOTTI. Grazie, presidente. Ringrazio la professoressa Magnani per il suo contributo, che ho trovato molto utile, e le chiederei, se è possibile, di trasmettere alla Commissione le memorie del suo intervento, in modo da potere approfondire e utilizzare il contributo anche per il nostro lavoro a conclusione dell'indagine.
  Avrei due considerazioni da fare sul tema dell'inquadramento. Concordo assolutamente anche io sul fatto che la figura del creatore di contenuti digitali sia molto diversa da quella dei rider. Infatti, non perché il lavoro si svolge sulla piattaforma il creator deve essere considerato analogo al rider, perché la sua figura – come è stato correttamente detto dalla professoressa – è molto variegata e ci sono diverse professionalità. A tal proposito, volevo chiederle, visto che una delle domande che è stata fatta più spesso riguarda la possibilità di introdurre un codice ATECO dedicato, se secondo lei questo debba essere neutro e applicarsi a tutti coloro che svolgono attività di creazione di contenuti digitali online, oppure se ha senso prevedere delle macrocategorie come diceva lei.
  Un'altra domanda riguarda l'inquadramento nel sistema normativo attuale. Volevo capire se la legge n. 81 del 2017 può essere la sede corretta in cui introdurre qualche norma di dettaglio su questa figura.
  Infine, ho un'altra domanda da fare, riferita all'eventualità di indicare il tribunale competente attraverso una clausola all'interno dei contratti con le piattaforme, che sono stipulati tramite moduli o formulari – come è già stato detto più volte – e, quindi, vorrei chiedere se ha senso individuare un foro nazionale convenzionale dove far confluire eventuali contenziosi sull'applicazione dei contratti. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Barzotti. Prego, professoressa, a lei la parola.

  MARIELLA MAGNANI, professoressa ordinaria di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Pavia (intervento da remoto). Per quanto riguarda la questione dei codici ATECO, non mi sono fatta un'idea precisa, ma, se è vero che per aprire questa attività dal punto di vista professionale e per aprire la partita IVA occorre un codice ATECO, ritengo che possa anche essere neutro. Tuttavia, confesso che non mi sono soffermata su questo punto.
  Per quanto riguarda la legge sul lavoro autonomo, è inseribile un'eventuale futura normativa ed è idealmente inseribile nel solco della disciplina del lavoro autonomo, che ha introdotto le tutele per i lavoratori autonomi, alcune delle quali di stampo civilistico e altre di stampo lavoristico. Tuttavia, non credo che il problema si possa risolvere semplicemente introducendo qualche articolo ulteriore in questo provvedimento legislativo di carattere generale, bensì credo che si presterebbe meglio una normativa specifica, che poi idealmente si ricondurrà alla legge sul lavoro autonomo del 2017.
  Per quanto riguarda, invece, il problema della legge applicabile e del tribunale competente, non è proprio specificamente la mia materia, ma credo che non possiamo discostarci dai tradizionali princìpi internazionalprivatistici. Se concordiamo che si tratta di lavoro autonomo, non è un contratto concluso con un lavoratore subordinato e, quindi, dovrebbero valere le regole del diritto internazionale privato, in base al quale si applica la legge scelta dalla volontà delle parti. Se non c'è una legge scelta dalla volontà delle parti, allora si applica la legge del luogo in cui chi svolge la prestazione caratteristica – in questo caso ritengo che sia lo streamer o lo youtuber – ha la sua residenza.
  Tra l'altro, mi è capitato di scorrere le condizioni contrattuali di queste piattaforme, in particolare di YouTube, in cui si dice chiaramente che il foro competente e la legge applicabile sono quelle del luogo di residenza dello youtuber.
  Forse questo problema c'è sicuramente, ma non so se sia tra i problemi più importanti visto che la regolamentazione Pag. 15 convenzionale esiste già. Non so se mi sono spiegata a sufficienza su questo punto.

  PRESIDENTE. Ringrazio la professoressa Magnani, per il contributo reso all'indagine conoscitiva e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.