XVIII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 25 maggio 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mura Romina , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI LAVORATORI CHE SVOLGONO ATTIVITÀ DI CREAZIONE DI CONTENUTI DIGITALI

Audizione di Luca La Mesa, esperto di social media , e di Michele Squeglia, professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano.
Mura Romina , Presidente ... 3 
La Mesa Luca , esperto di ... 3 
Mura Romina , Presidente ... 6 
Squeglia Michele , professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 6 
Mura Romina , Presidente ... 9 
Squeglia Michele , professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 9 
Mura Romina , Presidente ... 9 
Squeglia Michele , professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 10 
Mura Romina , Presidente ... 10 
Barzotti Valentina (M5S)  ... 10 
Mura Romina , Presidente ... 10 
La Mesa Luca , esperto di ... 10 
Mura Romina , Presidente ... 11 
Squeglia Michele , professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto) ... 11 
Mura Romina , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Cambiamo!-Popolo Protagonista: Misto-C!-PP;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Facciamo Eco-Federazione dei Verdi: Misto-FE-FDV;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROMINA MURA

  La seduta comincia alle 15.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web tv.

Audizione di Luca La Mesa, esperto di social media , e di Michele Squeglia, professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali, l'audizione del dottor Luca La Mesa, esperto di social media, qui presente, e, in collegamento da remoto, di Michele Squeglia, professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza degli auditi e dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per la loro partecipazione, ricordo che ciascun audito ha a disposizione per il proprio intervento dieci minuti, in modo da consentire i successivi interventi da parte dei deputati interessati e la replica dei soggetti auditi.
  Cedo quindi la parola al dottor Luca La Mesa. Prego.

  LUCA LA MESA, esperto di social media. Buongiorno a tutti i membri della Commissione. Ringrazio per l'invito e per avermi offerto l'opportunità di dare il mio parere e qualche consiglio concreto su una materia a me molto cara.
  Ascoltando anche quanto è emerso nelle audizioni precedenti, è ormai chiaro che esistono decine di migliaia di persone che sul piano professionale possono essere definite «content creator», ma che ad oggi sono prive di alcune tutele che ritengo corrette e opportune.
  Ci sarebbe tanto da dire, ma proverò a fare qualche chiaro esempio per permettervi di comprendere meglio la situazione attuale.
  Immaginate un artista, un cantante o un musicista che al di fuori dei social media – quindi nella vita reale – viaggi in macchina di paese in paese per esibirsi e per fare i suoi spettacoli, andando a cercare, di volta in volta, un pubblico felice di assistere al suo concerto e di pagare un biglietto. Immaginate adesso che quest'artista venga fermato da un vigile che gli dica che deve sequestrare i due strumenti fondamentali per il suo lavoro: la chitarra per esibirsi e la macchina per spostarsi. La prima cosa che farebbe l'artista sicuramente sarebbe chiedere informazioni: «Cosa ho fatto di così grave per una simile sanzione?». Immaginate adesso che il vigile si rifiuti di motivare il perché lo ha fermato e perché ha deciso di sequestrare la chitarra e la macchina e che gli dica semplicemente che la decisione è definitiva e che lui non può farci niente. Con lui perderebbero il lavoro anche il resto dello staff, i collaboratori e anche tutto l'indotto che in genere vi è dietro gli eventi artistici in giro per il territorio. Pag. 4
  Immaginate adesso un altro esempio molto più vicino al luogo in cui siamo riuniti oggi: immaginate un parlamentare che sta tenendo un discorso alla Camera dei deputati: a un certo punto gli spengono il microfono e gli ritirano il tesserino per entrare in Parlamento. Sarebbe uno scandalo incredibile, vero?
  Allora perché vogliamo correre il rischio che tutto questo possa succedere on line?
  Le piattaforme non sono cattive, non vogliono fare censura, ma soffrono di un problema direttamente legato alla loro più grande fortuna, cioè la crescita esponenziale degli utenti. Infatti, hanno abituato miliardi di utenti a collegarsi in continuazione e, quindi, hanno il problema di riuscire a gestire tutte le casistiche che possono verificarsi.
  Credo che oggi la più grande tutela a cui potremmo pensare per difendere i creatori di contenuti, ma anche, in generale, gli utenti, sia assicurarsi che le piattaforme abbiano un servizio di assistenza o di customer care adeguato e proporzionato al numero dei loro iscritti, anche perché oggi la tecnologia e l'intelligenza artificiale già permetterebbero di fare controlli massivi per verificare se ci sono casi che meritano di essere sanzionati oppure no.
  Ciò che va subito cambiato è il concetto di trasparenza con cui vengono applicate eventuali sanzioni, in particolare quelle verso i content creator.
  Sicuramente, il vigile che ha fermato l'artista nell'esempio con cui ho voluto iniziare il mio intervento avrà riscontrato gravi irregolarità, ma non può essere più accettato che le piattaforme si rifiutino di dichiarare le piccole o grandi violazioni che hanno riscontrato nel comportamento degli utenti, anche perché ricevo veramente tantissime segnalazioni, da parte di studenti o di amici, di casi in cui non è per niente chiaro se effettivamente c'è stata una violazione oppure no. La piattaforma, semplicemente, decide di sanzionare un utente senza mai argomentare qual è il problema alla base.
  Dobbiamo assicurarci che le piattaforme facciano di tutto per minimizzare il rischio di ingiustizie ai danni dei content creator, anche perché abbiamo visto che i content creator molto spesso sono persone per le quali quella è l'unica fonte di ricavo e l'unico modo di lavorare.
  Porto ad esempio un'esperienza personale: negli ultimi mesi hanno clonato il mio profilo su una piattaforma, creando un profilo simile, rubando la mia identità e la mia immagine di profilo, e hanno provato a fare una truffa ai 10 mila studenti che si fidano di me, provando a contattarli per proporre un concorso finto o l'acquisto di criptovalute. Ho segnalato all'assistenza della piattaforma che era stato creato un profilo clone con la mia stessa immagine di profilo e che mi avevano rubato l'identità. Mi è stato risposto che avevano controllato e che secondo loro non c'era alcuna irregolarità. Nonostante la foto fosse palesemente la stessa, la piattaforma non riusciva ad accorgersi che la foto era la mia, operando un controllo che anche la tecnologia meno evoluta avrebbe consentito correttamente e senza alcun margine di errore. Ho ricevuto anche le testimonianze di tanti studenti truffati con questa tecnica.
  In realtà, basterebbe utilizzare meglio la tecnologia per risolvere situazioni che ad oggi possono anche creare danni. Tutto questo è veramente facile da risolvere.
  Ciò che sto provando a ipotizzare, ovvero che le piattaforme debbano investire per avere un servizio di customer care, cioè un'assistenza ai clienti proporzionata al numero di utenti è un tema puramente economico, ma richiede la volontà di affrontarlo con policy chiare – dobbiamo capire le regole di comportamento –, ma soprattutto con decisioni trasparenti.
  Non vedo alcun motivo per cui le piattaforme possano continuare a rifugiarsi nel loro silenzio potendo continuare a dire: «Ti abbiamo sanzionato e non siamo tenuti a dirti il perché», anche perché le stesse piattaforme – non voglio dipingerle come negative – hanno fatto tantissimi passi avanti nel campo della trasparenza, soprattutto per quanto riguarda i temi politici e di interesse nazionale.
  Negli anni passati ci sono stati scandali molto grossi in relazione all'utilizzo delle Pag. 5piattaforme per tentare di influenzare le elezioni politiche dall'altra parte del mondo, a seguito dei quali le piattaforme hanno reso possibile a tutti di vedere le pubblicità che chiunque può pianificare. Posso controllare su qualunque pagina Facebook se la persona che mi interessa ha pubblicità attive, posso sapere chi sta finanziando una campagna. Nelle pagine dei partiti politici posso vedere se hanno inserzione attive, vedere chi sta pagando per quell'inserzione e scoprire anche se quello stesso finanziatore sta finanziando altre dieci pagine con altre dieci campagne. Posso sapere addirittura, se le pubblicità sono di interesse sociale o politico, quanto hanno speso i finanziatori e a chi hanno provato a far arrivare quel messaggio. Quindi, sulla trasparenza le piattaforme hanno già fatto tanto.
  Con l'intervento di oggi vorrei chiedere che le piattaforme facciano gli stessi sforzi sul tema della trasparenza anche quando si parla di loro stesse e non solo del comportamento degli utenti e, soprattutto, sul tema della trasparenza dei meccanismi con cui prendono le decisioni che possono realmente compromettere la carriera dei creatori di contenuto. Se sbaglio in quanto creatore di contenuto, deve essere mio diritto sapere cosa ho sbagliato e magari provare anche a sanare la mia situazione, se è la prima volta che ricevo una sanzione.
  Dobbiamo partire dal concetto della buona fede di chi fa un errore, anche perché vi invito a stampare le policy delle piattaforme in materia di termini e condizioni. Un artista fantastico una volta in un museo ha stampato le privacy policy delle varie piattaforme e ha fatto vedere quanto erano lunghe, per dimostrare che è quasi impossibile leggerle in maniera completa.
  Concludo con una riflessione anche sui creatori di contenuti, su tutti coloro che ogni giorno creano contenuti come professione. Ci tengo a dire che, al crescere della loro visibilità, cresce anche la loro responsabilità. Quando potete comunicare a tante persone, dovete sentire veramente una maggiore responsabilità. Dunque, chiedo di smettere di creare contenuti di bassa qualità, contenuti finti, le famose fake news, contenuti pericolosi o studiati appositamente per fare polemica, con l'unico fine di elemosinare un po' di visibilità, perché quando ci sono polemiche e molti commenti, le piattaforme tendono a dare maggiore visibilità a queste notizie.
  A tal proposito, ricordo una delle tante definizioni di «creator», richiamata anche dai miei colleghi in audizioni precedenti: il creator è il responsabile dell'ideazione di un contenuto. Quindi, basta con i continui «copia e incolla». Intere piattaforme oggi sono popolate di video di trasmissioni televisive, «tagliuzzate» senza alcun diritto, che ottengono milioni di visualizzazioni.
  Anche su questo aspetto, le piattaforme devono essere più rigide nei controlli su chi vìola la proprietà intellettuale di terzi e gli stessi creatori di contenuto devono essere più responsabili nel creare valore senza violare i diritti di terzi, copiandone i contenuti.
  Ho avuto il piacere di lavorare con diversi personaggi pubblici ed è una continua lotta per difendersi da chi prova ad arricchirsi pubblicando contenuti di cui non possiede i diritti solo perché le piattaforme li rendono virali e pagano qualcun altro senza aver controllato se i diritti sono suoi.
  Tanti anni fa creare contenuti costava tantissimo. Quando i primi editori producevano un giornale, produrre era veramente costoso. Quindi, creavano contenuti solo coloro che avevano qualcosa di interessante da dire e non si creava il contenuto tanto per crearlo.
  Oggi, per fortuna, abbiamo tutti a portata di mano la tecnologia – tendenzialmente lo smartphone – per creare e diffondere qualunque tipo di contenuto, ma questo ha un grande costo, che talvolta non vediamo, che è il costo del tempo che tutti noi dedichiamo a leggere tutte le informazioni che vengono create.
  Per dare un'idea, tutto quello che sappiamo dell'origine dell'uomo, dalle origini agli anni Novanta del secolo scorso, sono riassumibili in 5 exabyte di contenuto – si tratta di un ordine di grandezza molto superiori rispetto ai gigabyte o ai terabyte che conoscete. Tutta questa mole di informazioni Pag. 6 viene replicata ogni due giorni con la tecnologia digitale.
  Quindi, è esplosa la quantità di contenuti a disposizione perché, democraticamente, tutti possono diventare content creator, ma è calata drasticamente la qualità. Abbiamo raggiunto un punto di non ritorno, che si definisce «content shock», dove in futuro resteranno solo coloro che lavoreranno per creare contenuti di qualità.
  Consiglio a tutti quanti di muoversi subito nella direzione di creare meno contenuti, ma di qualità maggiore. Vi ringrazio per l'attenzione e auguro buon lavoro a tutti.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor La Mesa. Adesso cedo la parola al professor Michele Squeglia. Prego.

  MICHELE SQUEGLIA, professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). Grazie, presidente e onorevoli deputati, per l'invito a discutere su un tema così delicato e attuale.
  Una delle sfide più stimolanti per gli studiosi di diritto è esaminare le realtà lavorative, in alcuni casi organicamente disciplinate e in altri casi, invece, frammentariamente regolate, ma di forte attualità per la loro rilevanza e diffusione.
  Le trasformazioni che hanno interessato i tradizionali modelli economici, fin qui variamente denominati come «post-fordismo», «terziarizzazione», «economia della conoscenza» e «globalizzazione», hanno senza dubbio innescato processi di convergenza tra vecchie e nuove professioni in direzione della formazione di un bacino di lavoro della conoscenza e della creatività, caratterizzato da una forte consonanza. Si tratta di una domanda di servizi innovativi, correlati alla trasformazione dei mercati e delle tecnologie in continua evoluzione, che coinvolge i lavoratori autonomi e i consulenti con partita IVA in ruoli non solo strettamente tecnici, ma attinenti anche all'attività di ricerca e selezione del personale, alla comunicazione social o alla formazione.
  La rappresentazione forse più nota di questa realtà è stata fornita attraverso la nozione di «lavoro autonomo di seconda generazione», così definito allo scopo di rimarcare la radicale diversità rispetto al tradizionale lavoro degli artigiani, dei commercianti e dei liberi professionisti. Indubbiamente la figura del digital content creator è quella che evidenzia maggiori possibilità di crescita e di sviluppo, ed è una figura nella quale si tende a ricomprendere un profilo la cui competenza attiene non solo alla mera e già di per sé complessa produzione del contenuto digitale per i siti web esistenti, ma anche allo studio e alla programmazione del progetto comunicativo dell'impresa committente.
  Si tratta, dunque, di una figura professionale che, operando nell'ambito della comunicazione digitale, realizza contenuti digitali multimediali per il web e si incarica di presentarli nella forma più efficace e idonea. In alcuni esempi di attività, quali per esempio il marketing, tale figura professionale assume un ruolo strategico nelle policy di digital marketing.
  Sul piano giuslavoristico, le novità non sono da ascrivere alle modalità con le quali è instaurato il rapporto di lavoro del digital creator – autonomo, subordinato, di collaborazione coordinata e continuativa –, bensì all'evoluzione della figura datoriale e della committenza, le cui funzioni possono essere svolte tanto da un soggetto tradizionalmente organizzato in senso verticale, quanto, invece, da piattaforme di lavoro on demand.
  Analogamente a quanto avviene in altri settori, come quelli della distribuzione alimentare, della logistica o dell'intrattenimento, le piattaforme digitali che operano nel mercato delle conoscenze digitali, in alcuni casi, organizzano la prestazione di lavoro e ne controllano l'esecuzione, in altri casi, promuovono e gestiscono in modalità digitale l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro e, in altri casi ancora, si propongono come vetrine di inserzioni di annunci di lavoro dei digital creator.
  La difficoltà di inquadrare la figura datoriale – nello schema della piattaforma datrice di lavoro – nelle categorie classificatorie Pag. 7 tradizionali, in particolare nella categoria del lavoro subordinato, induce a prospettare uno statuto protettivo a favore di questi lavoratori autonomi di nuova generazione, che tenga però conto delle particolarità di svolgimento del lavoro digitale, richiamando alla mente quanto la dottrina giuslavoristica più avveduta aveva utilizzato sin dall'inizio degli anni Duemila per quei lavori che non si prestavano a una precisa caratterizzazione tipologica.
  Peraltro, nel caso del digital creator sia il matchmaking tra domanda e offerta di lavoro sia l'esecuzione della prestazione lavorativa si muovono in modo virtuale, differenziandosi da altre attività nelle quali il matching è on line, mentre la fase di esecuzione si materializza nel mondo fisico. In quest'ultimo caso, si pensi all'esempio emblematico dei riders.
  Occorre considerare che il digital creator molto spesso opera, per lo più attraverso contratti di consulenza, al servizio di una clientela ristretta, quando non di una committenza unica, circostanza che tende ad avvicinarlo alle forme di lavoro autonomo e parasubordinato, con le quali spesso condivide lo statuto. Differentemente dal professionista tradizionale, egli non gode, salvo nei casi in cui non sia anche iscritto ad un ordine, di alcuna protezione del e dal mercato.
  Sotto questo profilo, la figura del digital creator è emblematica, perché esemplifica tutta la complessità che il progresso tecnologico chiede al giurista di inseguire e di razionalizzare sul piano delle tutele e dei diritti.
  L'idea di lasciare sullo sfondo la definizione della fattispecie e assegnare alla fonte eteronoma il compito di adottare un approccio selettivo, non generico, alle tutele da riconoscere al digital creator e, più in generale, al lavoratore digitale, senza imporre nuovi schemi classificatori, appare la soluzione non solo ragionevole, ma, a mio avviso, anche la più coerente con l'assetto delle norme lavoristiche vigenti.
  D'altra parte questa è anche la posizione della Commissione europea, che, ai sensi dell'articolo 154 del Trattato sul funzionamento dell'Unione, il 24 febbraio 2021 ha lanciato una prima fase di consultazione delle parti sociali al fine di esplorare possibili linee di intervento per il miglioramento delle condizioni di lavoro nel settore delle piattaforme digitali. In particolare, questa soluzione si porrebbe in linea di continuità con quanto il legislatore domestico ha specificatamente previsto per i prestatori di lavoro autonomo genuinamente indipendenti, con l'introduzione di uno statuto di lavoro autonomo, e per i lavoratori autonomi adibiti tramite le piattaforme digitali alle consegne a domicilio, ai quali è riconosciuto un ventaglio di diritti e forme specifiche di tutela.
  Già in queste discipline il superamento dei confini categoriali è evidente con l'estensione di molte tutele lavoristiche, fattispecie che confinano con il lavoro autonomo.
  Escludendo il ricorso al Capo V-bis del decreto legislativo n. 81 del 2015, che detta norme espressamente riferibili al lavoro dei ciclofattorini e dei lavoratori autonomi delle piattaforme digitali, all'opposto, l'ambito di applicazione della legge n. 81 del 2017 si presenta significativamente ampio, riguardando tutti i rapporti di lavoro autonomo, di cui al Titolo III del Libro V del codice civile, e dunque è a tale legge che il digital creator autonomo deve fare riferimento per vedersi riconosciute le tutele sostanziali e le garanzie.
  Tuttavia, la legge del 2017 si presenta solo in parte efficace, dal momento che difetta proprio di quella selettività nelle tutele contrattuali e «welfaristiche» a cui si faceva prima riferimento, perché si riferisce indistintamente a tutte le forme di lavoro autonomo, senza operare alcuna riserva per i prestatori con partita IVA operanti in regime di monocommittenza e di committenza ristretta, come nel caso dei digital creator e di altri profili professionali, ma soprattutto sembra presentarsi in parte già superata, se applicata alle modalità di svolgimento delle attività di lavoro autonomo e alla funzione svolta dalle piattaforme digitali.
  Questa è la ragione per la quale sarebbe auspicabile che nello statuto del lavoro Pag. 8autonomo fossero contemplate norme specifiche in grado di tutelare l'ampia fascia di lavoratori autonomi che operano con le nuove tecnologie. Si tratterebbe, in alcuni casi, di diritti e forme di tutela rivisitati – nel senso che sarebbero, almeno in parte, riformulati dal legislatore –, mentre, in altri casi, sarebbero nuovi, perché individuano un identikit concettuale del lavoro digitale su piattaforma.
  Gettando uno sguardo sul rapporto di lavoro autonomo instaurato dal digital creator con un'impresa committente o con una piattaforma digitale, si individuano diversi profili critici, che non ricevono, o ricevono solo in parte, adeguate risposte dal legislatore del 2017, con riguardo, in particolare, alle forme di tutela riguardanti l'instaurazione del rapporto contrattuale, quelle di natura previdenziale di sicurezza del lavoro, quelle attinenti all'accesso dei lavori e quelle sindacali.
  Con riferimento ai contenuti del rapporto contrattuale del digital creator si possono menzionare: l'obbligo di individuare un contenuto contrattuale minimo – quindi non solo l'obbligo, come prescritto attualmente, della sola forma scritta del contratto con il lavoratore autonomo; la modifica della disciplina sul diritto di autore; la modifica della disciplina del recesso ingiustificato; il compenso; l'obbligo, nel caso del rapporto di lavoro autonomo intrattenuto con una piattaforma digitale, di rendere trasparenti i parametri, i valori e i meccanismi che guidano la valutazione algoritmica, al fine di consentire l'emersione di fenomeni discriminatori; la portabilità dei dati attinenti alle referenze dei digital creator, che si riferiscono ai giudizi di rating elaborati dalla piattaforma digitale.
  Nell'ambito di questi diritti mi soffermo, in particolare, sul compenso, perché è vero che il legislatore ha esteso la previsione dell'equo compenso anche ai lavoratori non iscritti ad albi professionali – dunque anche ai lavoratori autonomi –, ma è anche vero che tale estensione si presta ad almeno due osservazioni critiche che coinvolgono anche i digital creator.
  La prima riguarda l'ambito di applicazione, che si presenta segnatamente circoscritto, dal momento che esclude espressamente dal perimetro dell'equo compenso i rapporti tra lavoratore autonomo e microimprese, medie imprese e piccole imprese, il che significa che la maggior parte dei rapporti che intercorrono tra il digital creator e le piattaforme digitali e committenti privati è esclusa dalla disciplina dell'equo compenso.
  La seconda attiene al procedimento per la determinazione dei parametri ai fini della liquidazione giudiziale dei compensi in caso di mancato accordo tra le parti. Per i lavoratori autonomi non iscritti a ordini e collegi non è previsto alcun procedimento per la determinazione dei parametri, differentemente dalle professioni ordinistiche.
  Considerata l'assenza di una contrattazione collettiva specifica per il lavoro autonomo, l'intervento della fonte eteronoma sarebbe auspicabile, oltre che necessario. Segnatamente, andrebbe riconosciuto quale parametro un compenso non inferiore, tenuto conto dell'estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste nei contratti collettivi di categoria del settore di riferimento per le figure professionali il cui profilo di competenza sia analogo a quello del digital creator. D'altra parte, la risoluzione del Parlamento europeo n. 44 del 2021 auspica la previsione di un salario minimo per i lavoratori delle piattaforme digitali come strumento per combattere la povertà e prevenire la povertà lavorativa.
  Per quanto riguarda la specificazione di tutte queste forme di tutela dei diritti, rinvio alla relazione che trasmetterò alla Commissione.
  Con riferimento, invece, alle tutele «welfaristiche» e previdenziali, si ha la sensazione che la materia previdenziale – e soprattutto pensionistica – non venga affrontata con l'attenzione che esigerebbero i giovani. Il tentativo, il più delle volte apprezzabile, di soddisfare un bisogno socialmente rilevante, quali per esempio l'assenza del reddito, la copertura contributiva oppure la presenza di un bisogno altrettanto Pag. 9 qualificato nell'epoca presente, non trova una contropartita in quella futura, con la sensazione di differire a un tempo successivo e lontano il deficit della copertura assicurativa.
  Si può menzionare, per esempio, anche l'impossibilità di applicare ai giovani digital creator e ai collaboratori coordinati e continuativi l'integrazione al trattamento minimo disposta dall'articolo 6 della legge n. 683 del 1983, mentre la previsione, peraltro sperimentale, contenuta nell'articolo 20, commi da 1 a 5, del decreto-legge n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, che ha previsto una forma di ampliamento delle posizioni assicurative – la cosiddetta «pace contributiva» –, si fonda su un sistema di calcolo fortemente oneroso che lo rende di fatto poco o per niente utilizzabile.
  In secondo luogo, vi è l'introduzione di norme che consentono ai digital creator autonomi di accedere alla tutela previdenziale e assicurativa, nel caso in cui non abbiano operato un versamento dei relativi contributi. In questo modo la prestazione previdenziale o pensionistica sarebbe comunque esigibile, a condizione che la posizione contributiva venga sanata nel termine di prescrizione, secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali.

  PRESIDENTE. Le chiedo cortesemente di avviarsi alle conclusioni.

  MICHELE SQUEGLIA, professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). Altra criticità è la mancata previsione di sostegno del reddito, oltre che nei casi di forza maggiore, anche per motivi economici e organizzativi che impediscono la prosecuzione dell'attività digitale, dal momento che lo schema dell'assicurazione è selettivo e, quindi, non estensibile ai lavoratori autonomi, ma solo ai collaboratori coordinati e continuativi.
  Per quanto riguarda, invece, il riferimento all'accesso al lavoro tramite le nuove tecnologie, per la soluzione della piattaforma digitale che promuove e gestisce in via digitale l'incrocio tra la domanda e l'offerta di lavoro occorrerebbe un raccordo normativo tra l'articolo 6 del decreto legislativo n. 276 del 2003 e l'articolo 10 dello statuto del lavoro autonomo, al fine di regolamentare un mercato del lavoro nel quale l'attività di intermediazione, ora svolta dai gestori di siti Internet, possa rivolgersi non solo ai lavoratori subordinati, ma anche ai lavoratori autonomi, superando l'attuale ambiguità della disciplina in materia di concorrenza con gli altri operatori fisici.
  Nel caso in cui, invece, la piattaforma digitale pubblichi solo un annuncio o un'offerta di lavoro, astenendosi dalla successiva eventuale fase del contatto e della valutazione del profilo del digital creator, occorrerebbe prendere in considerazione l'introduzione di una norma, analoga, sul piano dei contenuti, a quella contenuta nell'articolo 8 dello statuto dei lavoratori per i lavoratori subordinati, che stabilisca il divieto di indagini sull'opinione, al fine di contrastare o eliminare i rischi di profilazione indiretta e occulta dei dati, le cui informazioni, sebbene volontariamente inserite su profili web pienamente accessibili, sarebbero a disposizione di qualunque potenziale committente, al quale non sarebbe precluso di effettuare una valutazione di fatti non rilevanti o comunque indagini sulle opinioni del possibile candidato.
  Resta il terzo modello, quello più invasivo, sulla base del quale la piattaforma non si limita a intermediare tra domanda e offerta di lavoro, ma organizza il lavoro del digital creator per la fornitura di uno specifico servizio digitale. Indubbiamente, questo schema concretizza una relazione triangolare nella quale il datore di lavoro algoritmico soppianta il vecchio controllore dei tempi e dei metodi di lavoro. La dottrina si è concentrata a comprenderne il funzionamento e le possibili e differenti configurazioni, però, sul punto, occorre rammentare che una soluzione è contenuta nella nuova formulazione dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015.

  PRESIDENTE. Mi perdoni se la interrompo, ma dobbiamo concludere. Quando Pag. 10ci manderà la memoria, avremo modo di leggerla con cura.

  MICHELE SQUEGLIA, professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). La riforma del 2019 presenta un ambito di applicazione molto più esteso rispetto al settore del food delivery e, quindi, dello stesso lavoro tramite le piattaforme digitali.
  Infine, con riferimento al ruolo della fonte contrattuale, è indubbio che la contrattazione collettiva, pur potendo essere esercitata oltre l'ambito della subordinazione, si scontra, a livello sovranazionale, con le regole della concorrenza europea, le quali rischiano di impedire ai lavoratori digitali di esercitare tale attività. Essa, tuttavia, va sostenuta e, per certi versi, promossa dal legislatore nazionale, perché molte delle tutele di cui si è riferito in precedenza potrebbero trovare anche spazio nell'ambito dell'autonomia contrattuale collettiva.
  Grazie scusate per avere sforato i tempi.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore. Chiedo se ci sono colleghi che intendono intervenire. Ha chiesto di intervenire la collega Barzotti. Prego.

  VALENTINA BARZOTTI. Grazie, presidente. Ringrazio i nostri auditi. Avremo cura di leggere le memorie, che, immagino, saranno analitiche. Sono molto contenta di questa audizione perché abbiamo toccato diversi punti critici che riguardano non solo la parte più operativa di questo nuovo lavoro, ma anche la parte di inquadramento contrattuale, che era stata toccata poche volte. Per questo, penso che sia stato molto utile il contributo del professor Squeglia, rispetto anche al possibile orientamento di un intervento normativo, se riterremo opportuno di farlo.
  Per quanto riguarda le domande, i punti che sono stati toccati sono diversi. Riferendomi al primo intervento, abbiamo sentito parlare del ban, della trasparenza e delle policy adeguate.
  Laddove si dovessero predisporre delle policy aggiornate, penso che sia importante capire meglio quali possano essere i meccanismi di risoluzione delle eventuali controversie. Ho alcuni dubbi su quale legislazione e quale giurisdizione siano attualmente applicabili, perché noi riteniamo che siano la legislazione e la giurisdizione italiana. Tuttavia, al momento non mi risulta che sia così e quindi volevo avere qualche informazione su questo punto.
  Oltre a questo, chiedo agli auditi se possiamo essere d'aiuto prevedendo organismi ad hoc o se nell'ordinamento ci sono organismi o autorità, come l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che possano essere deputati alla risoluzione di eventuali controversie.
  Infine, ho un'altra domanda che riguarda il salario. Volevo sapere se secondo voi ha senso che vi sia più trasparenza nei metodi di determinazione dei guadagni dei creator rispetto ai contenuti pubblicitari che sono da loro stessi pubblicati. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie alla collega Barzotti. Se non ci sono altri colleghi che vogliono intervenire, do la parola per la replica agli auditi, cominciando dal dottor Luca La Mesa.

  LUCA LA MESA, esperto di social media. Molte grazie. Ho ascoltato con interesse e, in particolare, credo che le domande siano molto pertinenti.
  Per quanto riguarda la domanda sui guadagni dei content creator, in realtà è abbastanza facile rispondere, in quanto sono le piattaforme a decidere quanto pagare i singoli content creator. Dovremmo aprire una discussione molto più ampia sulla certezza dei parametri: poiché si è pagati in proporzione alle visualizzazioni che ciascuno di noi riesce a ottenere in una piattaforma, dobbiamo assicurarci che, in futuro, i parametri siano certi e certificati da una parte terza.
  I content creator guadagnano anche in maniera autonoma sulla base di accordi che hanno con le aziende: ad esempio, posso essere contattato da un'azienda, che decide di pagarmi per creare un contenuto nel quale parlo bene dei loro prodotti, Pag. 11oppure posso convincere chi mi segue a valutare di scegliere quell'azienda piuttosto che un'altra. In quel caso, si tratta di un accordo tra privati.
  Sul tema del ban, della trasparenza, delle sanzioni e sul perché si viene sanzionati, la domanda era se si tratta di un argomento da definire dal punto di vista normativo all'interno dell'ordinamento italiano o a livello internazionale. Non mi occupo degli aspetti legali, per cui non sono la persona più adatta a rispondere, ma credo che nei riguardi delle piattaforme saranno avviati presto confronti internazionali ben più ampi, che riguarderanno anche il tema della tassazione. Occorre iniziare a dire in tali sedi: «Poiché vieni nel mio territorio, prendi i soldi dal mio territorio e crei anche opportunità di lavoro, ti chiedo trasparenza, se decidi di punire qualcuno».
  Sicuramente ci saranno sedi opportune in cui proporre queste cose, anche perché sono convinto che le piattaforme ragionino con buonsenso. Oggi si nascondono dicendo: «Non sono tenuto a dirti perché ti ho bloccato», ma in realtà credo che possano cedere facilmente, perché non vogliono diventare antipatiche. In realtà, vogliono dire: «Io ti banno perché tu hai sbagliato», ma passano dalla parte del torto quando si rifugiano in policy scritte forse più da legali che da persone che si occupano del marketing o delle relazioni con i clienti.

  PRESIDENTE. Grazie al dottor La Mesa. Adesso do la parola al professor Michele Squeglia per la replica. Prego.

  MICHELE SQUEGLIA, professore associato di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Milano (intervento da remoto). Per quanto riguarda il compenso, bisogna capire bene la forma con la quale viene corrisposto.
  Nella mia relazione ho fatto presente che è prevista una forma di garanzia attraverso l'equo compenso anche per i lavoratori non iscritti ad albi professionali e, quindi, anche per i lavoratori autonomi.
  Come vi dicevo, è chiaro che ci sono alcuni problemi che occorre considerare. Uno di questi riguarda l'individuazione dei parametri per la determinazione dell'importo del compenso equo, la cui previsione normativa non è stata ancora attuata.
  Questo rappresenta uno dei grossi problemi per quanto riguarda i lavoratori autonomi in generale e, nello specifico, i digital creator, considerando, come dicevo prima, che siamo in presenza di lavoratori che, il più delle volte, risultano essere contraenti deboli nei confronti della piattaforma.
  Sarebbe indispensabile prevedere, soprattutto nei confronti di tali lavoratori – ma anche nei confronti più generali dei lavoratori digitali –, un compenso definito come compenso minimo.
  Per quanto riguarda, invece, la domanda sulla questione dei controlli, ritengo che sia indispensabile rendere trasparenti i meccanismi, i valori e i parametri utilizzati dalla piattaforma digitale. Se ciò fosse fatto dalla stessa piattaforma, si consentirebbe anche al lavoratore di ricevere una tutela specifica, soprattutto sul piano delle discriminazioni.
  A questo riguardo, dobbiamo tener presente che il nostro diritto antidiscriminatorio risulta essere molto moderno, anche se occorre fornire gli argomenti di prova e gli elementi per ottenere un'effettiva tutela. Gli argomenti di prova potrebbero essere ricavati da parametri, valori e meccanismi che costituirebbero un elemento decisivo, qualora le piattaforme digitali li fornissero.
  Ritengo importante considerare anche le referenze dei digital creator. I giudizi di rating elaborati dalle piattaforme digitali devono essere necessariamente oggetto della cosiddetta «portabilità dei dati». La possibilità del digital creator di portare con sé i rating favorirebbe la competizione tra imprese committenti e piattaforme digitali.
  Attualmente, la portabilità dei dati è possibile soltanto per i dati forniti dall'utente, ovvero i dati che sono volontariamente e consapevolmente forniti nel corso dell'esecuzione di un rapporto contrattuale, ma non per quelli che, invece, Pag. 12risultano elaborati dalla piattaforma digitale.
  A mio avviso, andrebbe disciplinato e tutelato anche l'aspetto della portabilità dei dati attinenti ai giudizi di rating.

  PRESIDENTE. Grazie al professor Squeglia. Ringrazio i nostri ospiti per il contributo fornito all'indagine conoscitiva e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.15.