XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (XI e XIII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Martedì 8 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori.
Gallinella Filippo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL FENOMENO DEL COSIDDETTO «CAPORALATO» IN AGRICOLTURA

Audizione del dottor Raffaele Grassi, Prefetto di Foggia e Commissario straordinario del Governo nell'area del Comune di Manfredonia.
Gallinella Filippo , Presidente ... 3 
Grassi Raffaele , Prefetto di Foggia e Commissario straordinario del Governo nell'area del Comune di Manfredonia ... 3 
Gallinella Filippo , Presidente ... 5 
Tripiedi Davide (M5S)  ... 5 
Gallinella Filippo , Presidente ... 6 
Liuni Marzio (LEGA)  ... 6 
Gallinella Filippo , Presidente ... 7 
De Carlo Luca (FDI)  ... 7 
Gallinella Filippo , Presidente ... 7 
Cenni Susanna (PD)  ... 7 
Gallinella Filippo , Presidente ... 8 
Martina Maurizio (PD)  ... 8 
Gallinella Filippo , Presidente ... 9 
Costanzo Jessica (M5S)  ... 9 
Gallinella Filippo , Presidente ... 9 
Soverini Serse (PD)  ... 9 
Gallinella Filippo , Presidente ... 10 
Grassi Raffaele , Prefetto di Foggia e Commissario straordinario del Governo nell'area del Comune di Manfredonia ... 10 
Gallinella Filippo , Presidente ... 10 

Audizione del dottor Paolo Borrometi, esperto della materia.
Gallinella Filippo , Presidente ... 11 
Borrometi Paolo , esperto della materia ... 11 
Gallinella Filippo , Presidente ... 13 
Cimino Rosalba (M5S)  ... 13 
Gallinella Filippo , Presidente ... 13 
Pignatone Dedalo Cosimo Gaetano (M5S)  ... 13 
Gallinella Filippo , Presidente ... 13 
Incerti Antonella (PD)  ... 13 
Gallinella Filippo , Presidente ... 14 
Cillis Luciano (M5S)  ... 14 
Gallinella Filippo , Presidente ... 14 
Cenni Susanna (PD)  ... 14 
Gallinella Filippo , Presidente ... 14 
Borrometi Paolo , esperto della materia ... 14 
Gallinella Filippo , Presidente ... 15 

Allegato 1: documento consegnato dal dottor Raffaele Grassi ... 16 

Allegato 2: documento consegnato dal dottor Paolo Borrometi ... 22

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA XIII COMMISSIONE
FILIPPO GALLINELLA

  La seduta comincia alle 12.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del dottor Raffaele Grassi, Prefetto di Foggia e Commissario straordinario del Governo nell'area del Comune di Manfredonia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Raffaele Grassi, Prefetto di Foggia e Commissario Straordinario del Governo nell'area del Comune di Manfredonia, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno detto del caporalato in agricoltura.
  Ringrazio il dottor Grassi per aver accolto l'invito delle Commissioni. Prima di cedergli la parola, avverto che il tempo complessivamente a disposizione delle Commissioni per questa audizione è di trenta minuti. Propongo quindi che l'intervento del nostro ospite abbia una durata massima di venti minuti e ricordo che ad esso faranno seguito le domande e le osservazioni dei deputati, cui il dottor Grassi potrà replicare. Prego quindi tutti i deputati che intendano intervenire di comunicare i loro nomi alla Presidenza prima che abbia inizio il dibattito.

  RAFFAELE GRASSI, Prefetto di Foggia e Commissario straordinario del Governo nell'area del Comune di Manfredonia. Ringrazio dell'invito le Commissioni Lavoro e Agricoltura e tutti voi, onorevoli parlamentari.
  Sono Prefetto di Foggia dallo scorso maggio, quindi riferirò gli esiti delle attività e delle osservazioni condotte da maggio in poi, pur avendo svolto nel passato attività investigative sul caporalato in quanto provengo dal settore investigativo della Polizia di Stato.
  Il problema del caporalato c'è e va affrontato per trovare un punto di equilibrio. Vi descrivo innanzitutto la realtà foggiana.
  La realtà foggiana è una realtà di grande complessità per una pervasiva presenza della criminalità organizzata mafiosa in tutta la provincia, una microcriminalità diffusa estremamente effervescente e per la problematica dei «ghetti».
  In provincia di Foggia esistono due «“ghetti”»: quello di Borgo Mezzanone e quello del «Gran “ghetto” di Rignano» nel territorio di San Severo, che accolgono circa 1.600–1.700 migranti l'uno e 1.000 migranti l'altro, per un totale di circa 2.700. Quindi si tratta sicuramente di due «serbatoi» dai quali attingere la manovalanza per il lavoro nei campi.
  Nell'analisi di quella realtà occorre partire da un dato: l'economia agricola costituisce il principale cespite dell'economia generale della provincia di Foggia. Non vi è una lavorazione a livello industriale; c'è un'attività che si concentra nella raccolta dei prodotti, in particolar modo del pomodoro.
  Una prima considerazione che si può fare è se e in che modo la criminalità organizzata mafiosa possa gestire il fenomeno del caporalato. Ebbene, dalle evidenze investigative e dalle attività di prevenzione svolte su tale aspetto, sembra che allo stato si possa affermare che non c'è Pag. 4nessun interesse diretto della criminalità organizzata mafiosa foggiana nella gestione del fenomeno. Magari vi è un interesse che si manifesta in altre forme, sui datori di lavoro e con altri sistemi, ma certamente un interesse diretto nella gestione del caporalato da parte della criminalità mafiosa foggiana, non c'è, almeno allo stato attuale delle cose.
  Emerge che questi «ghetti» sono «non luoghi» dove succede di tutto: vengono commesse attività illecite, ci sono fenomeni diffusi di criminalità, al di là del furto di energia e dell'utilizzo di bombole, che sono delle autentiche bombe, che determinano poi gli incendi che, come è accaduto, provocano la morte dei migranti presenti nelle baracche. Vi si registrano fenomeni come quello del traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, taglieggiamenti, estorsioni e lo stesso caporalato. Da questi dati emerge che il fenomeno del caporalato in provincia di Foggia, praticamente, è quindi gestito prevalentemente da soggetti della stessa etnia, perché si formano dei centri di potere all'interno dei «ghetti», con dei capi caporali che incidono sullo smistamento della manodopera.
  L'azione di contrasto che viene svolta dallo Stato è particolarmente efficace, come confermano i dati. Quello che rileva sotto il profilo della prevenzione, è che il Prefetto, con i suoi poteri di coordinamento delle Forze di polizia, ha istituito da maggio ad oggi, con servizi che continuano a essere erogati, delle task force interistituzionali, che vedono la presenza della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, dell'Ispettorato del lavoro, con il compito specifico di svolgere attività di controllo sui mezzi di trasporto. I mezzi di trasporto che portano i braccianti sul posto di lavoro, il più delle volte, sono, infatti, per così dire, fatiscenti e taroccati. Tali strutture svolgono attività di controllo anche nei confronti dei datori di lavoro, perché se il caporalato esiste è perché il datore di lavoro si rivolge al mercato della manodopera illegale.
  Queste attività preventive ed investigative sono culminate nel giugno del 2019 in un'azione molto significativa e forte, svolta applicando, probabilmente per la prima volta in Puglia e una delle prime volte in Italia, l'articolo 3 della così detta legge Martina (legge n. 199 del 2016), allorquando le indagini dell'Arma dei Carabinieri, dirette dalla Procura della Repubblica di Foggia, hanno consentito di addivenire all'arresto di due imprenditori per sfruttamento della manodopera, con il sequestro di un'azienda molto importante, di oltre 50 ettari, e la nomina di un amministratore giudiziario, dando la possibilità ai lavoratori di mantenere il posto di lavoro con il riconoscimento di permessi di soggiorno speciali.
  Questo in un certo senso ha smosso le coscienze anche degli imprenditori e dei datori di lavoro, perché è di tutta evidenza che si tratta di un problema culturale, che purtroppo, come tale, è difficile superare. Gli imprenditori hanno chiesto poi incontri con il sottoscritto per cercare di trovare un punto di equilibrio e d'incontro, ben consapevoli della necessità di sostenere l'azione per reprimere il fenomeno e per evitare forme di sfruttamento dei lavoratori, avanzando però al Prefetto la richiesta di una forma di attenuazione nell'azione di controllo, che chiaramente non ho potuto accettare, perché l'azione di repressione e di prevenzione va mantenuta. Purtuttavia, aderendo alle loro istanze e al fine di trovare un punto di equilibrio per garantire la dignità dei lavoratori, da una parte, e, dall'altra parte, per garantire una buona agricoltura, abbiamo organizzato, attraverso dei tavoli permanenti, degli incontri con tutti gli enti interessati: sindacati, enti di categoria, INPS, INAIL, proprio per cercare di individuare delle buone prassi da compendiare poi in un protocollo operativo.
  A mio avviso, il problema necessita di un attento esame degli equilibri che caratterizzano il contesto foggiano, ma, al di là di tutto, credo che il reclutamento della manodopera debba avvenire in maniera legale e non certamente in maniera illegale. Il punto di incontro tra la domanda e l'offerta esiste perché la legge lo prevede ed è il centro per l'impiego. I centri per l'impiego sono, quindi, il bacino di riferimento Pag. 5dal quale reclutare manodopera in maniera legale.
  Il problema dunque è che il datore di lavoro o per consuetudine o per prassi o per abitudini consolidate nel corso degli anni non si rivolge ai centri per l'Impiego, come, invece, dovrebbe fare, ma utilizza canali che poi portano agli intermediari e quindi a favorire il fenomeno del caporalato. In base alla mia esperienza, sarebbe opportuno individuare determinate tematiche sulle quali affrontare dei tavoli di confronto, tra le quali, in primis, quella della formazione dei datori di lavoro.
  Ritengo che molti datori di lavoro non conoscano le regole che caratterizzano il settore o non le conoscono completamente. Quindi c'è tanta ignoranza sul punto – ignoranza perché si ignora il contenuto di una norma o la sanzione amministrativa che viene irrogata dall'Ispettorato del Lavoro – e credo che le organizzazioni di categoria debbano farsi carico di svolgere una formazione più adeguata per i datori di lavoro.
  Il collocamento della manodopera è dunque un tema centrale e, secondo le nostre osservazioni, va individuato nel centro per l'impiego.
  Un altro tema di grande sensibilità è quello del trasporto dei braccianti nei posti di lavoro. Dietro impulso della Prefettura di Foggia, la Regione Puglia e la Provincia di Foggia hanno realizzato delle convenzioni in base alle quali i trasporti vengono assicurati in determinati siti da pulmini messi a disposizione proprio da questi enti, e devo dire che il servizio funziona e non funziona. Funziona nella misura in cui alcuni lavoratori accettano questo trasferimento sui luoghi di lavoro, ma altri lavoratori, invece, per paura di ritorsioni da parte dei caporali, non vogliono neanche salire sul pulmino. È di tutta evidenza che tra il «carnefice» e la «vittima» si viene a creare un rapporto tale per cui la logica è: «io ti do il lavoro e tu stai alle mie regole»; quindi è ovvio che si determina un clima di omertà. Il clima di omertà incide chiaramente sull'applicazione della così detta legge Martina, che è una legge eccezionale, che va assolutamente sfruttata, e va scrupolosamente applicata nei casi in cui si manifestino i presupposti. Questo clima di omertà impedisce al bracciante di denunciare le situazioni che registra in un «“ghetto”», e costituisce indubbiamente un freno, perché la paura è tanta e induce il bracciante ad evitare di sporgere denuncia o di rendere note situazioni di illegalità.
  Queste sono, in sostanza, le osservazioni principali che si possono fare sul tema e sono a vostra disposizione per ogni domanda o necessità di chiarimento.
  In conclusione, vorrei soltanto sottolineare che i «ghetti» devono essere abbattuti, perché sono dei «non luoghi». Devono intervenire delle politiche di integrazione, a livello regionale e locale, che prevedano per coloro che ne hanno diritto delle soluzioni alternative che possono essere rappresentate dai moduli abitativi in terreni regionali, come stiamo facendo in provincia di Foggia, o dall'applicazione di moduli abitativi proprio all'interno dei terreni di proprietà, in maniera tale che si possa consentire ai lavoratori di vivere dignitosamente, perché questi «ghetti» certamente non consentono la benché minima condizione di dignità dell'essere umano. Queste sono le considerazioni di massima che mi permetto di formulare sull'argomento.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Tripiedi.

  DAVIDE TRIPIEDI (M5S). Ringrazio il Prefetto per il suo intervento. Oggi noi sappiamo che la legge sul caporalato va a colpire il caporale, esclusivamente il caporale. Ma se io, Davide Tripiedi, sono un bracciante agricolo e lavoro per una certa azienda e l'Ispettorato del lavoro mi trova in quell'azienda, ritengo sia ingiusto accusare e incolpare solo il caporale. Penso che l'azienda abbia anche un po’ di responsabilità, perché se non si accorge che all'interno dei suoi campi ci sono dei caporali, ciò vuol dire che la legge sul caporalato, che da alcuni è stata definita bellissima, in realtà, presenta una lacuna che spesso consente poi di trovare un escamotage. Le domando, quindi, se, a suo avviso, è opportuno attribuire anche un po’ di responsabilità Pag. 6 all'azienda al cui interno lavorano i braccianti. La mia considerazione nasce anche dal fatto che mia madre e le mie zie arrivano dalla Puglia, io stesso provengo da quelle terre, da Taranto, dove ci sono stati morti nei campi; quindi vivo sulla pelle delle mie zie lo sfruttamento che è insito in queste drammatiche situazioni di vita, e non trovo giusto dare la colpa solo al caporale.
  Le chiedo, inoltre, se ritiene che usare le tecnologie, cioè i famosi droni, come ha proposto il Presidente dell'INPS, Pasquale Tridico, potrebbe essere una soluzione.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Liuni.

  MARZIO LIUNI (LEGA). La ringrazio per il suo intervento, signor Prefetto.
  Il suo è uno dei tanti interventi che abbiamo ascoltato nel corso dell'indagine conoscitiva che però non chiarisce molti dubbi, perché quando parliamo di caporalato mettiamo insieme tutto.
  Lei ha affermato che ci sono due «ghetti», a San Severo e a Borgo Mezzanone e già partiamo male, perché questi due «ghetti», come lei ha affermato, non dovrebbero esistere e nulla hanno a che vedere con l'agricoltura. In quei luoghi si svolgono, infatti, attività illecite di ogni tipo: dallo spaccio, alla prostituzione. Sono parole sue che descrivono una realtà che conosciamo anche in altre regioni del Sud, purtroppo. Ritengo pertanto che il punto di partenza debba essere l'eliminazione dei «ghetti» che niente hanno a che vedere con l'agricoltura. Poi sicuramente all'interno del «ghetto», purtroppo, ci saranno persone che utilizzano questo «ghetto» per dormire o per mangiare, non spendendo soldi o magari spendendo meno di quanto altrimenti dovrebbero fare.
  La prima domanda che rivolgo a lei, che è il Prefetto di Foggia, come ho fatto ad altri Prefetti, è: perché non smontate i «ghetti» che sono totalmente irregolari? Se non si eliminano i «ghetti» qualunque norma dello Stato, del Ministero dell'Agricoltura e la stessa legge sul caporalato dell'ex Ministro Martina, diventa inutile se esistono questi luoghi dove viene tollerato tutto – lo ripeto: tutto – come lei ci ha spiegato, ma come è dimostrato anche da numerose trasmissioni televisive e da altri Prefetti venuti in audizione.
  Lei giustamente ha detto che la mafia o la malavita organizzata non è tanto interessata a guadagnare così poco, a prendere i 2 euro per il trasporto dei braccianti o cose di questo tipo, per cui si tratta di un fenomeno locale, che coinvolge etnie che si occupano di quel tipo di lavoro. Pertanto, per prima cosa, le chiedo, Prefetto, di iniziare a darci una mano ad eliminare i «ghetti», che non hanno alcun senso.
  In secondo luogo – mi dispiace contraddirla, Prefetto – le faccio presente che gli agricoltori sono molto più avanti di quello che pensa lei: non hanno bisogno di corsi o di essere istruiti su cosa sia un contratto di lavoro o cosa occorra fare nei campi. Le assicuro che non hanno bisogno di corsi ulteriori rispetto a quelli che già devono fare.
  Inoltre, io a volte, anche quando lavoro, se non trovo delle soluzioni cerco di guardare indietro a cosa facevano i nostri padri e i nostri nonni. Io vengo da Novara. Il Piemonte è chiaramente riconosciuto come il territorio nel quale, insieme alla Lombardia, si produce più riso, e nel quale un tempo c'era bisogno di una grandissima manovalanza in alcuni specifici periodi. Nessuno è mai andato a chiedere alla Regione di realizzare in quei luoghi delle case per le lavoratrici; il mondo agricolo si è attivato tant'è che ancora oggi si vedono degli enormi cascinali, in relazione ai quali, se farà una ricerca, potrà vedere che nel contratto di lavoro delle mondine era previsto tutto: l'alloggio, il riso, il mangiare, tutto quello che doveva essere garantito.
  Pertanto, se voi ci date una mano ad eliminare i «ghetti», noi, come legislatori, riusciamo, con delle politiche agricole intelligenti, a dare un contributo importante a quelle aziende che hanno bisogno di molta manodopera per periodi di tempo molto limitati, come accade per la raccolta del pomodoro e della frutta in genere, al fine di consentire a tali aziende di realizzare delle strutture al loro interno. Tutti gli Pag. 7anni, infatti, avranno lo stesso problema: avranno sempre bisogno di un certo numero di lavoratori per un periodo limitato di tempo. Ritengo, quindi, che sia più opportuno agevolare le imprese in modo che siano loro a provvedere alla costruzione di tali strutture, non lo Stato e nemmeno la Regione.
  Ho visitato in Basilicata un capannone, vicino al quale, purtroppo, poco tempo fa è morta una donna, che tutti gli anni viene messo in piedi dalla Regione, con costi spaventosi, e che tra l'altro non viene sfruttato come si dovrebbe, perché a fronte di 200 postazioni che vengono messe a disposizione, ne vengono occupate solo 60, 70, 80, in quanto gli altri braccianti vivono nel campo abusivo nel quale purtroppo si è verificato quell'incidente. Qualcosa, quindi, non funziona.
  È necessario, dunque, eliminare i «ghetti» che niente hanno a che fare con l'agricoltura, proprio niente: quella è malavita! E quello è un compito vostro.
  Il settore agricolo poi dovrà lavorare sicuramente per fare altro, ma se non eliminiamo i «ghetti», in molti dei quali ci sono dei migranti irregolari, è tutto inutile, perché a me, imprenditore, cosa viene in tasca ad assumere un migrante regolare che ha il permesso di lavorare? Se voglio risparmiare, però, devo cercare la forza lavoro dall'altra parte e fare il furbo.
  Non si capisce come mai tutti sanno da dove partono i camioncini la mattina per trasportare queste persone, eppure non si riesce a fare i controlli. Nella mia regione per cercare tre cinesi in una risaia si utilizzano droni e un numero significativo di macchine. C'è qualcosa che non funziona. Sembra che solo in una parte dell'Italia il controllo ci sia e anche in maniera significativa. Anche da noi vengono utilizzati i lavoratori stagionali per la raccolta dell'uva e del riso, però non ci sono i «ghetti», non ci sono questi problemi. Come mai?
  Le chiedo, dunque, Prefetto, di darci una mano, perché noi possiamo inventare tutte le leggi possibili, ma tutto sarà inutile. A me non piace molto la cosiddetta legge Martina, però è un punto di partenza, ma le chiedo come possa essere applicata bene se comunque teniamo il vivaio di irregolarità sempre vivo. Non riusciremo ad applicare mai nulla.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole De Carlo.

  LUCA DE CARLO (FDI). Ringrazio il signor Prefetto. Parto, riferendomi alla precedente amministrazione, dall'indagine sulle periferie, frutto di un lavoro copioso, che, di fatto, descriveva il fenomeno dei «ghetti» in Puglia, proprio in provincia di Foggia. Chiedo a lei, signor Prefetto, visto il suo entusiasmo, il suo trasporto per la legge sul caporalato dell'ex Ministro Martina, quali sono gli effetti oggi di quella legge? Considerato il suo entusiasmo, oggi dovremmo aver debellato il problema, perché se una legge è meravigliosa, come lei ritiene, i suoi effetti dovrebbero essere meravigliosi, e quindi dovrebbe adempiere alle finalità per le quali è stata approvata.
  Le chiedo, inoltre, Prefetto, se è sicuro che possano essere solo gli enti locali, Regioni e Comuni in questo caso, a risolvere il problema dei «ghetti». Ne è fermamente convinto? In qualità di sa sindaco, le dico che i sindaci e le amministrazioni locali non hanno strumenti per debellare questo problema. Lei magari mi smentirà dicendo che con la cosiddetta legge Martina lo abbiamo fatto, ma se non riusciamo ad essere incisivi con le leggi nazionali, come può pensare che possa esserlo il sindaco di un comune?

  PRESIDENTE. Ha chiesto la parola l'onorevole Cenni.

  SUSANNA CENNI (PD). Grazie Presidente. Voglio innanzitutto ringraziare il Prefetto Grassi per la sua audizione ed evidenziare anche che, in questa lunga indagine conoscitiva che abbiamo avviato – voglio ricordarlo – per iniziativa del Gruppo Partito Democratico, le audizioni svolte dai Prefetti e dai Commissari, sono state, a mio parere, particolarmente utili per entrare nel merito di alcune esperienze locali e di alcuni progetti pilota, che hanno prodotto Pag. 8interessanti risultati, utilizzando la legge sul caporalato.
  Credo che le leggi vadano applicate, fino in fondo, e quindi poi monitorate, ma che vadano anche studiate, perché la legge sul caporalato non consente di intervenire soltanto nei confronti dei caporali, ma anche di fare altro. Ritengo sia giusto ricordarlo, almeno tra di noi.
  Noi ricordiamo bene quello che è accaduto ad agosto 2018 nel foggiano, con la morte di tutti quei braccianti agricoli nei due incidenti che si sono svolti nel giro di tre giorni. Il Prefetto ci diceva che, da questo punto di vista, ci sono state delle novità, anche per le iniziative assunte dagli enti locali, applicando la norma sul tema dei trasporti. Vorrei quindi capire quanto è cambiata la situazione da quella vicenda così grave in poi, chiedendo al Prefetto se può darci qualche altra informazione.
  Mi permetto anche di fare un passaggio sulla questione che è stata affrontata dai colleghi intervenuti prima di me dei «ghetti», che sicuramente sono una realtà gravissima, che certo dobbiamo chiudere, fornendo però un'alternativa, nell'ambito della legge ovviamente, alle persone che si trovano nel nostro Paese per lavorare. Occorre però anche stare un po’ attenti, perché vorrei ricordare che due signori, che si chiamavano Pasquale Fusco e Paola Clemente, non vivevano nei «ghetti», ma sono state comunque vittime del caporalato. Quindi, dobbiamo prestare attenzione a non leggere interamente il fenomeno del caporalato sulla base della situazione dei «ghetti». Quindi, affrontiamo la questione dei «ghetti», ma cerchiamo di avere molto chiaro che il caporalato non guarda in faccia a nessuno, quindi sfrutta chi è nelle condizioni di essere sfruttato, o per condizioni economiche o per varie situazioni, come accade a coloro che scappano dalla povertà, dalla guerra o da altro.
  Credo che il nostro obiettivo, anche alla luce di questa indagine conoscitiva che le Commissioni Lavoro e Agricoltura stanno portando avanti, sia monitorare lo stato di applicazione della legge n. 199 del 2016 per capire quali sono gli aspetti che funzionano bene e quali aspetti, invece, vanno migliorati, ma avendo ben presente che l'obiettivo al quale dobbiamo mirare è quello della tutela della dignità delle persone e di evitare che ci sia sfruttamento, che si tratti di italiani, di immigrati o comunque di persone che vengono sfruttate in un contesto in cui non possiamo nemmeno accettare che continui ad esserci una competizione tutta basata sul ribasso dei prezzi agricoli, che è una delle ragioni per cui poi si arriva anche al caporalato.
  Noi abbiamo ascoltato, fra i tanti soggetti che abbiamo audito, anche i rappresentanti di alcune importanti esperienze molto positive, nate soprattutto nel Sud: mi riferisco a Goel per la raccolta delle arance e all'Associazione No Cap, che riguarda proprio la raccolta del pomodoro; esperienze che, forse grazie anche ad un supporto istituzionale accanto a quello delle imprese, hanno proprio investito sulla trasparenza delle filiere e sulla dignità dei lavoratori. Vorrei capire se anche su questo versante c'è qualcosa che si sta muovendo, e se quindi dobbiamo continuare ad aiutare questo tipo di esperienze.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Martina.

  MAURIZIO MARTINA (PD). Ringrazio il Prefetto per averci fornito quest'occasione di confronto e soprattutto per il lavoro che si sta facendo in una provincia che, obiettivamente, è da sempre una delle province più esposte, se non la più esposta in assoluto, anche per la tipologia di produzioni agricole, che storicamente sono lì insediate.
  Voglio solo ricordare che l'intervento normativo che noi abbiamo voluto negli anni passati, rappresentato dalla legge n. 199 del 2016, affronta proprio il tema che veniva invece segnalato, «a rovescio», dal collega Tripiedi in apertura di dibattito. Mi riferisco al fatto che, per la prima volta, si ha la possibilità di colpire i patrimoni delle imprese che utilizzano il caporalato e i caporali e di attivare controlli giudiziari direttamente sull'azienda, quando questa viene segnalata nel caso di vicende come quelle in esame. L'estensione delle responsabilità Pag. 9 e delle sanzioni all'impresa è il vero fatto nuovo, insieme alla riscrittura di quell'articolo 603-bis del codice penale, della legge n. 199.
  Noi sappiamo che oggettivamente gli interventi repressivi, figli anche di quella legge, stanno funzionando. Mi pare che il giudizio sia abbastanza consolidato da parte degli operatori della giustizia e dei massimi rappresentanti delle istituzioni sui territori; quello che non funziona ancora come dovrebbe sono gli interventi preventivi.
  Le mie domande, signor Prefetto, sono semplici e sono legate a due aspetti. La sezione territoriale della Rete del lavoro agricolo di qualità che attivammo proprio a Foggia, sperimentalmente, per provare a capire se attraverso quella sezione territoriale della Rete potevamo avanzare proprio dal lato anche degli interventi preventivi, sta funzionando? Com'è la situazione dal punto di vista dell'operatività della sezione territoriale?
  La seconda domanda è legata alle attività di controllo su strada, che puntualmente voi avete messo in opera. La mia richiesta è di sapere se immaginate di intensificare l'attività di controllo su strada delle Forze dell'ordine, proprio perché quella è un'attività che colpisce concretamente un elemento chiave di questa partita, che è, appunto, il trasporto delle persone.
  Sul tema dei trasporti, condivido la riflessione che è stata fatta, sulla necessità di fare un check, diciamo, anche tra Parlamento e Governo ed istituzioni locali, soprattutto le Regioni, perché è chiaro che se si riesce ad intervenire sulle modalità di trasporto e si attivano stabili strumenti di trasporto pubblico di quella manodopera, si leva anche una parte del problema; laddove non si fa, noi abbiamo un gigantesco tema irrisolvibile, se non, purtroppo, a commento delle tragedie, come è avvenuto nel caso di Foggia di qualche tempo fa. Quindi su questo aspetto bisognerebbe fare un maggiore approfondimento.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Costanzo.

  JESSICA COSTANZO (M5S). Ringrazio il Prefetto per l'analisi che ci ha fatto. Prendiamo atto che dalle indagini, dalle ricerche e dagli studi che sono stati condotti non perviene un interesse diretto della criminalità organizzata mafiosa, ma c'è una microcriminalità che è insita in particolare in queste due realtà che vengono chiamate «ghetti».
  Sono rimasta moto colpita dall'idea di utilizzare i droni, quindi nuove tecnologie. Pertanto, associandomi alla domanda posta del collega Tripiedi, le chiedo, Prefetto, se sono già stati utilizzati i droni e, nel caso in cui la risposta fosse positiva, se abbiano dato dei riscontri positivi.
  Lei ha fatto riferimento ai Centri per l'Impiego come punto nevralgico dove si potrebbe snodare un tipo di lavoro più regolare. Noi sappiamo che i Centri per l'Impiego sono realtà che in questo momento si stanno rivoluzionando, nel senso che li stiamo ristrutturando; quindi vorrei sapere se eventualmente negli accordi Stato–Regione, nelle sedi più opportune, si era pensato anche ad un ruolo più esteso dei navigator in Puglia che potesse incidere anche sulla parte dell'intercettazione di questo lavoro regolare e portarlo ad un iter che diventi regolare.
  Da ultimo, riporto l'esperienza della mia Regione, il Piemonte, nella quale vige una legge regionale per la sistemazione temporanea dei salariati agricoli, in base alla quale gli oneri della sistemazione non sono solo a carico degli enti locali, ma anche degli imprenditori agricoli, che possono eventualmente accogliere temporaneamente i lavoratori, in base ovviamente alle richieste. Per quanto sia differente la realtà, perché mi rendo conto che nella provincia di Foggia è molto più grave, osservo che anche da noi ci sono stati episodi di sfruttamento, di caporalato, ricordo, ad esempio, la tendopoli di Saluzzo. Le chiedo, signor Prefetto, se questa complementarietà tra imprenditori agricoli ed enti locali possa essere presa in considerazione per risolvere il problema dell'accoglienza.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Soverini.

  SERSE SOVERINI (PD). Signor Prefetto, innanzitutto volevo ringraziarla per Pag. 10la fotografia che ci è stata data della realtà foggiana; d'altronde, c'è una tale complessità, un tale incastro di fattori, che non è poi possibile pensare di lavorare solo su un elemento. Quando si parla del problema dei «ghetti», è chiaro che non basta spostare un «ghetto», perché tanto poi si ricompone in un'altra area. Lì il problema è processare le cose secondo una logica di domanda, che è il lavoro a basso costo per produzioni povere, e offerta; quindi, immigrazione che si può sfruttare con bassissima retribuzione e lasciata in condizioni di degrado. Tra l'altro in quel territorio c'è un retaggio storico, basti pensare ai lavoratori molisani che scendevano giù nelle campagne del foggiano, molti dei quali morivano, è una vecchia storia. Quindi, a mio avviso, occorre processare le cose secondo la logica della domanda e dell'offerta. Ci sono produzioni povere che chiedono lavoro povero. Poi c'è tutto un degrado, se volete, nella gestione di queste persone, che è insopportabile. Io penso che la cosiddetta legge Martina ha inciso molto sulle imprese, ci sono state più di 300 imprese coinvolte e da questo punto di vista anche l'ex Ministro Centinaio ha detto che la legge Martina è efficace.
  Considerato che il problema è il prezzo e che il caporalato è un fenomeno che è legato alla struttura del prezzo di queste produzioni, vorrei sapere, visto che in Commissione Lavoro tempo fa si è discusso di questo tema, se quegli esperimenti di consorzi di qualità che assicurano che le produzioni e le raccolte non siano fatte utilizzando lo strumento del caporalato, sono delle realtà che vanno avanti o se si sono dimostrate del tutto inutili.
  Da ultimo, credo che la formazione degli imprenditori sia sempre molto utile, specialmente quando si devi prendere in considerazione che il mondo cambia, che il modo di produrre è diverso, perché l'imprenditore non è una realtà data ed immutata, anche l'imprenditore intelligente ed onesto ha bisogno di formazione.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il Prefetto Grassi.

  RAFFAELE GRASSI, Prefetto di Foggia e Commissario straordinario del Governo nell'area del Comune di Manfredonia. La cosiddetta legge Martina serve proprio per colpire sia i caporali, sia i datori di lavoro che sfruttano il caporalato.
  Ribadisco ancora che la ritengo uno strumento di straordinaria efficacia. È chiaro che la sua applicazione necessita di attività investigative che sono dirette dalla Procura della Repubblica, ma devo dire che la sua applicazione in provincia di Foggia, nel giugno 2019, ha «dato una sveglia» a tutto il mondo agricolo, perché è fuori discussione che se il mondo agricolo è venuto da me a chiedere un tavolo di confronto per trovare un punto di equilibrio, questo lo si deve appunto alla legge Martina. Questo è fuori discussione.
  I «ghetti» sono dei non luoghi che vanno eliminati. Noi stiamo procedendo all'eliminazione del «ghetto» di Borgo Mezzanone con operazioni sistematiche, siamo alla quinta fase di abbattimento. Si tratta, praticamente, di abbattere altri 13 ettari di terreno dove insistono le baracche. L'azione, quindi, è congiunta tra la Procura della Repubblica, che sta conducendo delle inchieste penali, e il Prefetto che interviene ai sensi dell'articolo 2 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza con l'abbattimento delle baracche. Contiamo di proseguire nelle ulteriori fasi e l'obiettivo è quello di destrutturare il «ghetto».
  L'operazione di polizia si chiama «Legalità e umanità» e mira al ripristino della legalità, in primis, tenendo conto che i migranti che hanno titolo a soggiornare nel territorio italiano devono avere una dimora. Quindi, è ovvio che l'abbattimento è contestuale all'individuazione di moduli abitativi messi a disposizione dalla Regione o di strutture che vengono individuate con politiche di integrazione sociale. Non credo che si possa fare diversamente. Non possono essere lasciati per strada, coloro che hanno diritto a rimanere sul territorio italiano, avendo un valido permesso di soggiorno.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del documento presentato Pag. 11 dal Prefetto Grassi (vedi allegato 1), che ringrazio. Dichiaro, quindi, conclusa l'audizione.

Audizione del dottor Paolo Borrometi, esperto della materia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Paolo Borrometi, giornalista e vicedirettore dell'Agenzia giornalistica italiana (AGI), in qualità di esperto della materia, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno del cosiddetto «caporalato» in agricoltura.
  Ringrazio il dottor Borrometi per aver accolto l'invito delle Commissioni. Prima di cedergli la parola, avverto che il tempo complessivamente a disposizione delle Commissioni per questa audizione è di trenta minuti. Propongo quindi che l'intervento del nostro ospite abbia una durata massima di dieci minuti e ricordo che ad esso faranno seguito le domande e le osservazioni dei deputati, cui il dottor Grassi potrà replicare. Prego dunque tutti i deputati che intendano intervenire di comunicare i loro nomi alla Presidenza prima che abbia inizio il dibattito.
  Cedo quindi la parola al dottor Borrometi.

  PAOLO BORROMETI, esperto della materia. Buongiorno Presidente, vi ringrazio per l'invito. Preannuncio che lascerò a vostra disposizione il testo della mia relazione, che ora mi accingo ad illustrare nei suoi passaggi principali.
  Il fenomeno del caporalato, in particolare nel sud–est siciliano, ma in generale in tutta la Sicilia, è una vera e propria piaga sociale: lungo tutta la fascia trasformata del territorio ibleo si concentra un numero elevatissimo di braccianti agricoli, molto dei quali provenienti da Paesi dell'Est.
  Se prima il lavoro nelle serre era maggiormente appannaggio dei magrebini, adesso infatti le cose nelle campagne del Ragusano sono cambiate, con gli africani che, nei fatti, non riescono più a fronteggiare la concorrenza dei rumeni, che lavorano a costi decisamente più bassi e non sono assolutamente sindacalizzati, a differenza, ad esempio, dei tunisini, presenti ormai in quella zona da diverse generazioni, raggiungendo un altissimo livello d'integrazione e di sindacalizzazione.
  Le storie che si nascondono dietro a numeri, che potrebbero sembrare molto asettici, raccontano invece vicende diversissime, eppure tutte uguali, in cui a farla da padrone è sempre la stessa miseria, perché la disperazione le accomuna tutte.
  Ribellarsi, ben che vada, significa perdere il proprio posto di lavoro e rischiare di finire sulla strada, magari con dei bambini che sono arrivati in Italia al seguito dei genitori. Le denunce sono assolutamente un miraggio. Chi lavora nei campi è ricattabile, privo di riferimenti e di qualsiasi risorsa.
  Se pochi tra loro trovano il coraggio di parlare è anche perché qui a tanti fa comodo tacere. Le inchieste giornalistiche, va da sé, danno fastidio. C'è chi addirittura considera lo sfruttamento come il risultato delle dinamiche di mercato. Il sistema trae forza dal cinismo di molti e da controlli che ancora oggi sono troppo poco incisivi, ma appena qualche muro viene abbattuto, scattano gli arresti. Mi piace ricordare, e dare merito alle Forze dell'ordine, che, a giugno del 2018, dietro la denuncia di un lavoratore rumeno, la polizia di Ragusa ha fermato 5 suoi connazionali, accusati a vario titolo di caporalato, associazione a delinquere, traffico di esseri umani e sfruttamento pluriaggravato della prostituzione, anche minorile. Quest'operazione di polizia, che dagli inquirenti è stata denominata «Boschetari», deve il suo nome (che significa «senza tetto» in rumeno) al fatto che il gruppo reclutava in Romania persone in estremo stato di bisogno, capaci poco più che di leggere e di scrivere.
  Vale la pena fornirci qualche dato di quest'operazione, che era stata anticipata da alcune inchieste giornalistiche. Le vittime venivano attirate con l'inganno e la falsa promessa di un'occupazione lavorativa, di una sistemazione abitativa dignitosa, e poi, invece, private di ogni facoltà di negoziare condizioni di lavoro, di vita, private della facoltà stessa di pianificare il proprio futuro. Si trovavano ad affrontare Pag. 12una dimensione paraschiavistica: oltre a non percepire nessuna somma di denaro per il lavoro prestato, venivano sottratti loro i documenti d'identità; venivano mantenuti in una condizione di totale isolamento sia dal Paese di origine, in quanto i contatti con i familiari erano del tutto impediti, sia dal Paese in cui erano arrivati, dimorando nelle stesse abitazioni, quando andava bene, dei loro trafficanti, che lasciavano solo per esser condotti sul posto di lavoro.
  All'arrivo in Italia tutte le vittime venivano costrette ad abitare in immobili privi di qualsiasi forma di riscaldamento, a vestirsi con indumenti prelevati dai rifiuti, a cibarsi di alimenti scaduti o di pessima qualità ed in minime quantità, condotte nei vari terreni dai sodali e qui controllate al fine di mantenerne alta la produttività, e quindi i margini di guadagno del sodalizio. L'aberrante strumentalizzazione determinava talvolta alcuni di essi alla fuga che, tuttavia, durava molto poco, perché i sodali erano in grado di «recuperare» le vittime fuggite, facendo pagare loro amaramente la ribellione, con una violenza inaudita.
  Il sistema attuato dal sodalizio, che è quello che vige in quei territori, era semplice e abbastanza rozzo, se vogliamo, ma purtroppo molto efficace: impiegare nel settore agricolo una squadra di operai in modo da percepire un compenso commisurato al lavoro svolto dai soggetti. Il lavoro veniva pagato «a cassetta»; quindi, ad un maggior numero di braccianti impiegati, maggiore sarebbe stato il ricavato complessivo ottenuto dal sodalizio atteso, però, che nulla sarebbe stato riconosciuto al singolo lavoratore, sicché l'unico costo per il gruppo criminale sarebbe stato rappresentato dalle spese sostenute per garantire gli esigui mezzi di sussistenza agli operai. Al fine di ottenere la massimizzazione dei guadagni il sodalizio, doveva quindi contenere al minimo le spese di vitto ed alloggio.
  L'attività della Polizia di Ragusa ha permesso di identificare numerose vittime del traffico di esseri umani, gestito da quelli che poi sono diventati indagati, e di provare l'abilità degli associati nel gestire l'attività senza soluzione di continuità e con modalità altamente professionali.
  È in corso il processo, ma per darvi qualche dato ho chiesto ufficialmente agli inquirenti i numeri del biennio 2017 – 2019 relativi ai controlli, pur non essendoci pressoché nessuna denuncia, e quindi rendendo il lavoro degli inquirenti incredibilmente difficile. Qualche piccola denuncia l'abbiamo fatta noi giornalisti. Pensate che in 3 anni sono state denunciate 45 persone ed arrestate 21. Singole storie che raccontano solo qualcuna tra le tante vite disperate fatte di violenze sordide, abusi, diritti negati e ricatti e storie di terre su cui gravano anche le guardianie imposte dai mafiosi – un tema che non va assolutamente sottovalutato – che costringono chi le possiede ad assumere con mansioni di guardiani gli appartenenti ai clan.
  Infine l'ultimo capitolo di queste drammatiche storie che vorrei affrontare è quello dell'altissima percentuale di aborti tra le donne rumene in questo lembo di terra. La percentuale di aborti, nel solo vittoriese, è altissima in assoluto, e più di un terzo riguarda donne rumene, alcune ancora ragazzine e molto lontane dalla maggiore età.
  A seguito di alcune inchieste giornalistiche mie, dell'Espresso e di altre testate, la Procura di Ragusa ha avviato un'indagine, delegandola alla Polizia. Gli inquirenti hanno svolto un lavoro massacrante, ascoltando moltissime tra le donne che hanno abortito e che si trovavano ancora in Italia. Nessuna ha dichiarato che ci sia stata intimidazione o, peggio ancora, obbligo, anche se è un dato – che è l'unico dato oggettivo che abbiamo – che proprio nell'operazione che vi ho prima citato, «Boschetari», una minorenne rumena, venne costretta ad abortire dagli organizzatori, e tuttavia, visto che il caso era diventato di dominio pubblico, venne obbligata a rientrare nel Paese d'origine, ad abortire lì per poi rientrare immediatamente dopo e riprendere il suo lavoro.
  La verità è che ritorniamo al punto di partenza: non ci sono denunce e se pretendiamo di valutare la gravità del fenomeno dal numero delle denunce delle donne rumene significa che abbiamo deciso di Pag. 13non aggredirlo. Nessuna di loro, in assenza di alternative lavorative, e vivendo in una condizione di totale segregazione fisica e sociale, andrà con i propri piedi a sporgere denuncia.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Cimino.

  ROSALBA CIMINO (M5S). Ringrazio il dottor Paolo Borrometi per il prezioso contributo di oggi, ma anche per il quotidiano lavoro che conduce di contrasto alle mafie, in particolar modo quelle che affliggono la mia regione, la Sicilia.
  Abbiamo parlato fino a poco fa del caporalato presente nella Regione Puglia, ma abbiamo visto che anche in Sicilia è un fenomeno ben radicato. La sua inchiesta, infatti, ha ampiamente affrontato il tema delle agromafie per quanto riguarda le province di Siracusa e Ragusa, e quindi sia dall'indagine conoscitiva che stiamo portando avanti in questi lunghi mesi, sia dagli ultimi spunti di oggi, possiamo capire quanto questo fenomeno sia ormai una piaga per il nostro Paese, soprattutto nel settore dell'agricoltura.
  Per tale ragione, quindi, occorrerà sicuramente predisporre a livello legislativo delle misure di prevenzione e di contrasto al fenomeno volte a rendere ancor più efficace l'applicazione della normativa già esistente. A tale proposito, vorrei chiederle qual è il peso oggi della criminalità organizzata mafiosa nel fenomeno del caporalato e se, di conseguenza, può considerarsi un nuovo business per le mafie locali. Vorrei sapere, inoltre, se esistono delle divergenze del fenomeno tra il Nord e il Sud del Paese e, per quanto riguarda le sue inchieste giornalistiche da cui è emersa una maggiore diffusione del fenomeno nel sud-est siciliano, il motivo per cui proprio la città di Vittoria può considerarsi un centro nevralgico di questo fenomeno.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Pignatone.

  DEDALO COSIMO GAETANO PIGNATONE (M5S). Ringrazio il dottor Borrometi per la presenza e l'interessante relazione. Il caporalato è un fenomeno locale, ma anche internazionale, che interessa lavoratori che vengono reclutati all'estero in particolari contesti. È indubbiamente una situazione che muove non solo piccoli interessi, non solo pochi lavoratori, ma anche interessi economici molto rilevanti in Sicilia, che è la mia regione. Chiedo al dottor Borrometi se è possibile avere alcuni approfondimenti sul rapporto tra la mafia e questo fenomeno, perché ritengo che, anche se è vero che il caporalato viene gestito dai connazionali, vi siano comunque dei collegamenti, delle connessioni, uno scambio economico tra la criminalità locale, la mafia, e questa forma di sfruttamento che possiamo anche definire come una sorta di nuova schiavitù.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Incerti.

  ANTONELLA INCERTI (PD). Intervengo, innanzitutto, per ringraziare il dottor Borrometi per l'audizione di oggi, ma, soprattutto, per le inchieste che porta avanti, perché, vista la dimensione e soprattutto la gravità del fenomeno, è importante nella rete di interventi, tenere conto anche del valore dell'informazione e di quello che l'informazione può fare.
  Le rivolgo un ulteriore ringraziamento, anche tenuto conto delle risoluzioni che abbiamo esaminato in Commissione Agricoltura sul tema del lavoro femminile in agricoltura, per aver sollevato il problema di un ulteriore aggravamento della situazione che riguarda il lavoro delle donne. Questo suo riferimento ci può anche aiutare a capire in quale direzione intervenire, non tanto sul caporalato, sul quale, come abbiamo sottolineato anche nella precedente audizione, ci sono stati alcuni passaggi rilevantissimi, come la cosiddetta legge Martina che è stata fondamentale perché ha spostato il campo di azione anche sugli imprenditori, segnando così un passaggio di grande rilevanza anche sul piano culturale, oltre che operativo.
  Le chiedo pertanto se la Rete del lavoro agricolo di qualità possa essere un elemento Pag. 14 da incentivare e se ci sono anche in Sicilia delle esperienze che hanno attivato un'utilizzazione del lavoro più equilibrata e virtuosa.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire l'onorevole Cillis.

  LUCIANO CILLIS (M5S). Ringrazio l'audito per l'esperienza che ha voluto condividere con tutti noi. Giornalisticamente volevo chiederle se lei, dottor Borrometi, ha avuto anche l'opportunità di approfondire altri aspetti legati non al fenomeno del caporalato in sé, ma a tutti gli altri anelli della catena che vengono successivamente. Mi riferisco all'acquisto dei prodotti agricoli che sono il frutto dell'utilizzo di questa manodopera. Chi li acquista? Com'è gestita la catena del valore aggiunto che arriva fino alle nostre tavole? Al di là degli elementi che emergono in maniera più evidenti e che fa male ascoltare in una sede come questa, chi approfitta poi di questo disvalore, come lei prima ha accennato, e fa su questo un rincaro economico?

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Cenni.

  SUSANNA CENNI (PD). Ringrazio il dottor Borrometi per la sua audizione ed anche per il suo prezioso lavoro di giornalista, cogliendo l'occasione per esprimerle anche tutta la nostra solidarietà per le minacce che ha subìto.
  Nel contesto che lei ha rappresentato e che ci racconta una storia non solo di caporalato, ma anche sostanzialmente di schiavitù – perché questa mi pare la giusta denominazione – lei ha fatto riferimento al fatto che i controlli ci sono, ma sono ancora troppo poco incisivi. Vorrei chiederle se può essere un po’ più preciso su questo, chiarendo se il problema è che i controlli sono pochi, perché mancano gli ispettori, oppure se, per questo tipo di situazione occorre proprio un'altra strategia.
  Inoltre, lei ha fatto un riferimento molto preciso a comunità ed etnie, diciamo, sindacalizzate, che quindi riescono in qualche modo anche ad avere un potere contrattuale diverso, e a realtà, come quella rumena, in cui non c'è assolutamente niente di tutto ciò. Le chiedo, quindi, se nemmeno le forme di sindacato di strada riescono in qualche modo ad infilarsi in questa situazione.

  PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Borrometi.

  PAOLO BORROMETI, esperto della materia. Nel poco tempo che ho a disposizione, cercherò di dare una breve risposta a ciascuno degli onorevoli intervenuti, riservandomi di inviare successivamente un documento contenente delle integrazioni.
  In relazione alla domanda rivoltami dall'onorevole Cimino sul peso della criminalità mafiosa nel caporalato, che collego al quesito dell'onorevole Cillis relativo agli anelli della catena che si realizzano successivamente al verificarsi del fenomeno del caporalato, osservo che il peso della criminalità mafiosa nel caporalato è difficile da quantificare direttamente, ma indirettamente è fortissimo.
  Rilevo poi che il passaggio dal caporalato al prodotto sulle nostre tavole avviene nell'ambito della stessa filiera. Non abbiamo certezze o contezze giuridiche e processuali di un'infiltrazione, o meglio, di una gestione diretta delle mafie del fenomeno del caporalato. Io, nelle tante inchieste giornalistiche che ho fatto fino ad oggi, non me la sentirei di dire che le mafie arrivano a gestire e a reclutare direttamente manodopera negli altri Stati per portarla nel nostro Paese. È altrettanto vero, però, che le mafie e le organizzazioni criminali, soprattutto locali, «gestiscono il silenzio» anche in favore delle organizzazioni che poi nei fatti gestiscono il traffico. Ecco perché vi ho fatto l'esempio dell'operazione di polizia denominata «Boschetari», perché era in quel clima di omertà, che è – voglio ricordarlo – uno degli elementi alla base del reato di associazione criminale di stampo mafioso, di cui all'articolo 416-bis del codice penale, che veniva e viene ad essere tutt'oggi, favorito il traffico di esseri umani, e quindi poi nei fatti il caporalato.
  La domanda dell'onorevole Cillis sugli anelli della catena che si realizzano successivamente Pag. 15 al fenomeno del caporalato, meriterebbe una risposta lunghissima. Io ho scritto un libro su questo, sulla filiera che va dal caporalato fino alle tavole. Rispondendo in maniera molto sintetica, posso dire che le mafie hanno fatto già anni fa un accordo, il famoso accordo tra Gaetano Riina, fratello del più celebre Totò Riina, e Sandokan, per dividersi la filiera dell'agricoltura, in quello che è il comparto delle agromafie, che è da sempre considerato come un fenomeno di serie B. Dal caporalato si arriva immediatamente al confezionamento di quei prodotti che avviene attraverso un monopolio, o peggio, un oligopolio, di aziende, alcune delle quali oggi sono state sequestrate, che permettono di portare il prodotto all'interno del mercato ortofrutticolo di Vittoria, che è il secondo più importante in Italia, ed è secondo solo al mercato di Fondi. Il triangolo dell'ortofrutta è: Vittoria – Fondi – Milano.
  Dov'è l'accordo tra le mafie? Le organizzazioni criminali locali di stampo mafioso, quindi Cosa nostra e la Stidda, gestiscono gli affari locali; dunque l'accordo si estende è dal caporalato, cioè dalla fine, da quella copertura che offrono alle associazioni criminali non di stampo mafioso, o almeno non intense in maniera classica, fino all'arrivo all'ingresso nel mercato, all'uscita dal mercato e al caricamento dei prodotti sui tir che percorrono l'Italia in lungo e in largo. Fino a lì arriva il lavoro, se così lo possiamo definire, di Cosa Nostra e della Stidda. Poi si inseriscono i Casalesi, e quindi la Camorra che gestisce per intero il traffico dei trasporti, e infine la Ndrangheta. Lo ripeto, la domanda meriterebbe veramente una risposta lunghissima, ci ho dedicato una vita a questo tema.
  Vi faccio un esempio per capire la dinamica del fenomeno. Ogni confezione di frutta e verdura che viene caricata è di 1000 chili e si chiama bancale. Un tir può contenere tra i 24 e i 26 bancali. Immaginate cosa può essere nascosto, in termini di armi e di droga, tra 24 e 26 bancali in un tir, che vengono controllati solo a campione perché non possono essere scaricati. Quindi è un affare, un business enorme, che però noi non colleghiamo, perché dal caporalato alle tavole è una filiera unica e comune. Mi pare quindi così di aver risposto all'onorevole Pignatone sulle connessioni tra mafia e caporalato.
  La legge sul caporalato, cosiddetta legge Martina, è stata straordinaria, efficacissima, importantissima, lo voglio dire chiaramente. Dall'entrata in vigore di tale legge ho riscontrato, se non altro, un'inversione di rotta sotto il profilo dell'attenzione delle Forze dell'ordine e degli inquirenti. Ciò non basta però, per tante ragioni.
  Vi porto un esempio. Con l'entrata in vigore della legge sul caporalato iniziano immediatamente i controlli, che poi però terminarono per colpa (o secondo qualcuno per merito) di un'enorme manifestazione che venne fatta sotto la Prefettura di Ragusa per chiedere di far cessare l'attività di controllo perché stava arrecando un danno all'economia. Il problema vero è che culturalmente abbiamo un approccio sbagliato: non sono i controlli che rovinano l'economia, sono questi reati odiosissimi che rovinano l'economia! Anche noi giornalisti quando ci occupiamo di questi temi veniamo attaccati proprio perché la prima cosa che ci viene detta dai produttori, dagli imprenditori, devo dire, in maniera, purtroppo, molto generalizzata, è che, scrivendo queste cose, roviniamo l'economia intera e mettiamo in ginocchio una comunità. Io non mi rassegnerò mai al fatto che l'articolo 21 della nostra Costituzione debba piegarsi agli interessi di pochi!

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del documento consegnato dal dottor Borrometi (vedi allegato 2), che ringrazio. Dichiaro, quindi, conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.45.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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