XVIII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 28 di Mercoledì 23 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Benamati Gianluca , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PROSPETTIVE DI ATTUAZIONE E DI ADEGUAMENTO DELLA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE AL PIANO NAZIONALE ENERGIA E CLIMA PER IL 2030

Audizione di rappresentanti di WWF Italia, Legambiente e Greenpeace Italia.
Benamati Gianluca , Presidente ... 2 
Midulla Maria Grazia , responsabile clima ed energia di WWF Italia ... 2 
Onufrio Giuseppe , direttore esecutivo di Greenpeace Italia ... 3 
Benamati Gianluca , Presidente ... 5 
Zanchini Edoardo , vicepresidente di Legambiente ... 5 
Benamati Gianluca , Presidente ... 7 
Squeri Luca (FI)  ... 7 
Patassini Tullio (LEGA)  ... 8 
Benamati Gianluca , Presidente ... 9 
Midulla Maria Grazia , responsabile clima e energia di WWF Italia ... 9 
Onufrio Giuseppe , direttore esecutivo di Greenpeace Italia ... 9 
Zanchini Edoardo , vicepresidente di Legambiente ... 10 
Benamati Gianluca , Presidente ... 12 
Midulla Maria Grazia , Responsabile clima ed energia di WWF Italia ... 12 
Benamati Gianluca , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIANLUCA BENAMATI

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di WWF Italia, Legambiente e Greenpeace Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle prospettive di attuazione e di adeguamento della Strategia energetica nazionale al Piano nazionale energia e clima per il 2030, l'audizione di rappresentanti di WWF Italia, Legambiente e Greenpeace Italia.
  Saluto Maria Grazia Midulla, responsabile clima ed energia di WWF Italia e il dottor Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. Il dottor Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, ha comunicato di essere in lieve ritardo e ci raggiungerà a breve.
  Ricordo che l'audizione è finalizzata esclusivamente a ottenere elementi istruttori ad approfondire le tematiche oggetto del programma dell'indagine conoscitiva.
  Chiedo quindi agli auditi, per l'economia dei nostri lavori, di formulare la loro relazione in circa dieci – dodici minuti per consentire ai colleghi di porre eventuali quesiti e di avere un tempo congruo per le risposte.
  Do la parola per prima alla dottoressa Maria Grazia Midulla di WWF Italia.

  MARIA GRAZIA MIDULLA, responsabile clima ed energia di WWF Italia. Come WWF abbiamo più volte espresso la nostra condivisione dell'elemento, già contenuto dalla SEN nel 2017 e confermato nel PNIEC, del phase out del carbone entro il 2025. Riaffermiamo la data 2025. Naturalmente riteniamo che questo sia un elemento necessario, ma non sufficiente, per assicurare la decarbonizzazione. Notiamo che, mentre le politiche che vanno nel senso di un trasferimento dal carbone al gas viaggiano molto velocemente, le politiche che riguardano le energie rinnovabili sono al palo e non sono neanche chiare all'interno dei provvedimenti del PNIEC. Ricordo che a livello europeo il PNIEC si configura come uno strumento operativo che fornisce la strumentazione di policy per andare verso gli obiettivi di riduzione delle emissioni innanzitutto e di incremento della quota di rinnovabili e di efficienza energetica.
  In questo senso noi riteniamo che sia necessario dare impulso nel PNIEC alle politiche che favoriscono lo sviluppo delle rinnovabili che, lo ribadisco, sono al palo. I dati di ENEA di qualche giorno fa relativi al primo semestre del 2019 ci indicano che non solo il decapping non è avvenuto, ma che addirittura, in presenza di un non aumento del prodotto interno lordo e della produzione industriale, abbiamo un aumento delle emissioni. Questo significa che il nostro sistema rischia di essere vecchio, nonostante il carbone sia stato usato meno e nonostante il Paese stia cominciando a parlare di green new deal e stia cercando di capire come porsi nell'economia del futuro.
  Nella nota scritta trasmessa alla Commissione, noi rileviamo, in particolare, che il meccanismo del capacity market o del Pag. 3capacity payment, che non vogliamo criminalizzare, è un meccanismo che va usato nel momento in cui c'è un quadro chiaro a favore dello sviluppo delle rinnovabili. Oggi il meccanismo è usato semplicemente a favore del gas, con un incremento veramente preoccupante, perché ottomila nuovi megawatt a gas sono un elemento molto preoccupante. C'è un'assenza totale di politiche a favore delle rinnovabili; la revisione degli incentivi, purtroppo generosi, ha dato un segnale al mercato sbagliato, per cui il mercato oggi, soprattutto gli investitori internazionali non investono nelle energie rinnovabili; manca tutta la strumentazione per far fronte sia ai meccanismi di incentivo e disincentivo (le aste, eccetera) sia ai meccanismi di mercato e i PPA (i contratti a lungo termine).
  Noi proponiamo, per rendere una misura sancita la fuoriuscita dal carbone, l'introduzione di un carbon floor price, un prezzo minimo del carbone, perché è noto che la tonnellata di CO2 è sottoposta a numerose fluttuazioni. Proponiamo che venga fatta una policy per le rinnovabili. Proponiamo un limite massimo di emissioni di CO2, politica che a livello europeo è nelle cose e noi stessi l'abbiamo attuata nel capacity market. Proponiamo in generale di pensare – e noi ce ne faremo promotori insieme a tutti gli altri che ci staranno- a una legislazione quadro sul clima, perché in Italia si sente la fortissima mancanza di questa legislazione quadro, di una visione di lungo termine, che non è affermata adeguatamente nel PNIEC.
  Infine, ultimo ma non ultimo, vorrei sottolineare la serietà del fatto che, mentre noi parliamo di togliere i sussidi ai combustibili fossili, l'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA) concede delle esenzioni alle centrali a gas, in particolare dei provvedimenti di efficienza energetica, cosa che dal nostro punto di vista non è accettabile. Lo diremo all'Autorità, però è anche vero che tutti gli enti vanno richiamati al principio della decarbonizzazione. Questo andrebbe fatto a livello governativo e di Parlamento, soprattutto in vista di una legislazione specifica.

  GIUSEPPE ONUFRIO, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. Ringrazio dell'invito. Concordo con quello che ha detto Maria Grazia Midulla in merito all'insufficienza del PNIEC. Il piano ha di positivo il phase out del carbone, però, anche per consentire una politica ordinata del settore energia, non si può immaginare che il phase out sia una ghigliottina che al 2025 chiude gli impianti. Sarebbe opportuno inserire nel PNIEC una progressività in maniera tale da avere questo phase out gestito nella maniera più facile e digeribile per l'operatore della rete e per gli altri operatori.
  Di positivo nel Piano c'è il discorso che si fa sulle comunità energetiche, sui sistemi di accumulo e di autoconsumo, anche se aspettiamo ancora i decreti.
  Per il resto io direi che questo Piano è un'occasione mancata di politica industriale, e spiego perché. È un'occasione mancata, perché da gennaio 2019 ad oggi le cose si stanno muovendo, sappiamo che per Parigi l'anno prossimo l'Europa rivedrà i suoi impegni e questo Piano viene eseguito in modo burocratico sui vecchi obiettivi, con qualche peggioramento relativo rispetto alla Strategia energetica nazionale messa in atto dall'allora ministro Calenda. Spiego perché. Intanto sulla intelligibilità dei dati la Strategia energetica nazionale era più chiara: io mi occupo di energia e di clima da più di trent'anni e devo dire che ho fatto più fatica a leggere la proposta del PNIEC che non la Strategia energetica di Calenda. Nella strategia energetica di Calenda c'era un elemento importante per il decisore politico: Calenda dice nella sua strategia, anche se è un documento di natura diversa, «io arrivo al 2030 con queste politiche» e fa vedere il gap che c'è dal 2030 al 2050 rispetto agli allora obiettivi della road map europea. Qui c'è una tendenza da parte dei settori più recalcitranti a tirare la palla in calcio d'angolo, mentre, siccome dobbiamo correre, l'idea che noi rinviamo a dopo il 2030 il grosso del lavoro è sbagliata, perché più andremo avanti, più i settori più difficili da trattare avranno costi crescenti sulla marginalità del taglio. È chiaro che ci sono settori obiettivamente in cui è più difficile. La SEN di Calenda Pag. 4partiva con il 50 per cento di FER elettriche, l'amministratore delegato dell'ENEL all'epoca nel dibattito partiva con il 50, l'amministratore delegato di ENI disse che era possibile arrivare tranquillamente al 60, il ministro Calenda mediò tra l'interesse del gas a tenere basse le rinnovabili e l'interesse di chi è già convertito sulle rinnovabili ad andare avanti, quindi fece 55, ma all'epoca vi ricordo che l'obiettivo complessivo era di 28; ora è salito e, pur essendo salito l'obiettivo generale, l'elettrico rimane al palo. Io la chiamo la rivincita del gas. Questo Piano sembra più mettere paletti alla difesa del mercato del gas piuttosto che portare una politica per costringere tutti gli attori, inclusi gli attuali produttori di gas, a sviluppare nuove tecnologie, nuove prospettive in campo rinnovabile. E c'è uno spostamento di parte dell'obiettivo sulle termiche.
  L'efficienza energetica è citata, ma sappiamo che non è finanziata, quindi dell'efficienza energetica c'è semplicemente il valore ed è dichiarato dal Piano, che è onesto in questo: inserisce l'efficienza come prevede la direttiva, inserisce alti livelli di FER termiche nel settore termico, e noi non siamo contrari, ma, se tu non ha gli strumenti per incentivare l'efficienza e per fare le FER termiche e blocchi le rinnovabili elettriche, dove invece gli operatori del mercato già ci sono, significa creare una riserva per il gas. Questa è tutta una «ammuina» del gas.
  Greenpeace non ce l'ha con nessuno: se domani l'ENI diventa campione delle rinnovabili, saremo i primi ad essere contenti che l'ENI faccia l'eolico off-shore o investa in rinnovabili termiche, però, il fatto è che mancano gli obiettivi. Lo stesso recente scenario di SNAM prevede una quantità notevole di gas ancora al 2040. Quindi il Governo e il Parlamento dovrebbero essere più chiari: se vogliamo decarbonizzare, questo PNIEC è insufficiente.
  L'altra grande assente è l'industria automotive. Per andare sulle cifre: sulle FER elettriche bisognerebbe avere il 65 per cento al 2030, perché è qualcosa che si può fare; le tecnologie e gli operatori ci sono, il mercato c'è, sappiamo come si può fare, si possono creare molti posti di lavoro, quindi dobbiamo andare avanti, dove già possiamo farlo, il più velocemente possibile. L’automotive. Delle sei milioni di automobili elettrificate solo 1,6 milioni sono elettriche, ma negli scenari internazionali sappiamo che nella competizione tra l'elettrico puro e l'ibrido (da rapporti non di Greenpeace ma dell'Agenzia di Parigi e di altri) il trend di costo al sorpasso è tra pochi anni. Quindi l'altra idea sbagliata, pericolosa per il Paese, è che la nostra industria dell'auto si attesti con un ritardo di trent'anni sull'ibrido (i giapponesi lo fanno da trent'anni); non facciamo abbastanza per entrare nell'elettrico e ci troveremo in seria difficoltà, tenuto conto che in Italia, tra l'industria dell'auto e l'indotto, ci sono trecentocinquantamila posti di lavoro. Quindi c'è necessità di un tavolo sulla mobilità che viaggia con serietà verso l'elettrico, dove pure c'è un tema che non si può eludere: c'è un problema di accumuli, per cui non c'è nessuna iniziativa seria sulla tecnologia fondamentale sia per l’automotive che per le rinnovabili elettriche, perché sappiamo che avremo bisogno di accumuli. Abbiamo qualche impresa importante che è stata inopinatamente ceduta ad operatori esteri, invece sarebbe interesse nazionale, oltre che europeo, e noi vediamo il fiorire di iniziative industriali dalla Scandinavia alla Germania, mentre in Italia siamo fermi. Questo è un altro rischio per la politica industriale, oltre che per l'ambiente.
  Terzo e ultimo. Abbiamo un'industria, quella delle costruzioni, che è in grave difficoltà da anni, il Politecnico di Milano ha dimostrato che le operazioni di deep renovation (interventi importanti) sugli involucri degli edifici per tagliare il 60 o l'80 per cento dei consumi si possono fare anche con le piccole imprese. Non è vero che è una specialità soltanto in quei Paesi dove l'industria dell'edilizia è fatta perlopiù da prefabbricati: si può fare. E questo è un tema socialmente molto rilevante, perché, se noi avessimo un sufficiente investimento in detassazione e facessimo un piano nazionale per il rinnovamento profondo degli edifici, cosa che dovremmo fare perché abbiamo un parco case vetusto, credo che Pag. 5sarebbe interesse di qualunque Governo di qualunque colore mettere al centro tutto quello che fa occupazione, economia e che difende l'ambiente. Su questo io credo ci dovrebbe essere il coraggio anche del Parlamento di esprimere voti bipartisan, perché certe cose non sono né di destra né di sinistra, ma sono nell'interesse del Paese.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Onufrio. Ci ha raggiunti il dottor Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente, che saluto e a cui lascio la parola.

  EDOARDO ZANCHINI, vicepresidente di Legambiente. Prima di tutto mi scuso per il ritardo. Aggiungo qualche considerazione rispetto a quanto ha già detto il dottor Onufrio rispetto alla situazione del PNIEC e al giudizio che noi diamo nel passaggio dalla SEN a questo nuovo Piano, inquadrato in una Strategia europea che all'epoca non c'era.
  Noi avevamo indicato due difetti della SEN all'epoca: il primo riguardava la mancanza di ambizione, l'ambizione nel voler traghettare il Paese dentro la transizione con degli obiettivi davvero sfidanti che mettessero l'Italia, rispetto ai punti su cui può essere forte, davvero come Paese guida. In parte, con l'ultima versione della SEN, su questo si sono fatti dei passi avanti: ne è un esempio l'obiettivo sul carbone che all'inizio non c'era. Se guardiamo al PNIEC, questa ambizione non c'è, perché si sta dentro gli obiettivi europei e ora, da quello che ha annunciato il ministro Patuanelli, si rimarrà dentro quei numeri senza alcuna modifica, perché non si vuole dare dei vantaggi competitivi ad altri Paesi. In realtà il problema vero è che dentro la SEN e all'interno del PNIEC non c'è una visione del Paese, non c'è una visione di come questo Paese può trarre benefici per le proprie industrie, per i propri cittadini e per i territori da questa transizione.
  Qui vengo al secondo punto: quello della credibilità di quanto c'è nel PNIEC. Stesso difetto della SEN: il problema è che quei numeri scritti nel PNIEC risultano non credibili nella possibilità di muovere davvero qualcosa, perché, se uno va a vedere in che modo si dovrebbero raggiungere quei risultati, i conti non tornano per una ragione molto banale, non c'è un'analisi delle politiche. Ci sono in campo delle politiche che si possono attuare e degli effetti che potrebbero produrre. È del tutto evidente che con quanto ad oggi è previsto per le rinnovabili, quei numeri, assolutamente alla portata di un Paese come l'Italia, con le risorse che ha l'Italia per esempio di sole ma anche di vento, sono irraggiungibili, perché si è arrivati con eccessivo ritardo con il FER 1, il primo decreto incentivi; del FER 2, per le tecnologie innovative in cui noi ci auguriamo entri anche l'eolico offshore con un progetto industriale del Paese, non si hanno notizie; rispetto al ruolo che il fotovoltaico potrebbe avere, anche attraverso il PPA, con un ruolo forte dei privati, non si ha un quadro di decisioni, mentre bisognerebbe correre; ad oggi non si ha alcuna notizia neanche del recepimento della direttiva sulle comunità energetiche (prosumer), che da domani in teoria potrebbe diventare legge, essendo una direttiva; non è stata aperta una discussione né c'è qualcosa che possa permettere di superare uno dei grandi problemi che, come ambientalisti, viviamo come enorme contraddizione nei confronti della questione dello sviluppo delle rinnovabili, che è il tema delle autorizzazioni. È evidente che nel nostro Paese il tema delle autorizzazioni è molto rilevante e, se non si decide di aprire un tavolo con le Regioni e il Ministero dei beni e delle attività culturali per superare questi problemi, realizzando delle procedure di protezione dell'impatto ambientale e del paesaggio davvero trasparenti e chiare, quei numeri saranno irraggiungibili.
  Uno dei temi sul tappeto per chiunque si occupa di questi temi è quello del fotovoltaico a terra, che oggi non ha più bisogno di incentivi e, mentre il fotovoltaico a terra è vietato con incentivi, quello senza incentivi si può fare. Ovviamente si stanno aprendo delle polemiche gigantesche nelle Regioni, dal Lazio fino alla Sicilia, perché non si è in grado di gestire un qualcosa che invece può essere fatto bene nei luoghi giusti. Pag. 6
  Il secondo grande tema, che purtroppo non è stato affrontato in maniera corretta e con la serietà dovuta né nella SEN né nel PNIEC, è quello dell'efficienza. Il tema dell'efficienza viene posto con grande enfasi (viene definita la gamba forte per ridurre le necessità di rinnovabili) e, se uno va a vedere i risultati degli strumenti in questo momento a disposizione delle imprese, come anche degli operatori dell'edilizia, i numeri sono insignificanti, del tutto inadeguati rispetto a quanto si potrebbe fare nel nostro Paese. Basta andare a vedere quanto viene realizzato grazie ai certificati bianchi, quanto viene realizzato rispetto agli ecobonus. Bisognerebbe intervenire per semplificare e per dare certezze. Anche la discussione che c'è in questo momento sulla legge di bilancio è del tutto inadeguata rispetto alla situazione. Ora è uscita la proposta del bonus facciate, in teoria bellissimo, ma non so se lo sapete: quasi tutte le discussioni a livello condominiale si sono bloccate, perché non si è capito se il bonus facciate è alternativo all’ecobonus, per cui nel frattempo tutti hanno fermato le decisioni. Non ci si è neanche resi conto inoltre di un problema che ha l’ecobonus, che nasce con delle ottime intenzioni, perché poteva permettere di superare il problema, con la cessione del credito, degli incapienti, ma, siccome ora ci si è attrezzati e finalmente le imprese sono pronte, il problema è che, siccome viene premiato con il 75 per cento di detrazione (che arriva all'85 in caso di sisma bonus), per il salto di due classi, per esempio, passando dalla classe C alla classe E, non c'è nessun Paese al mondo che ti dà il 75 per cento di detrazione, concessione allo Stato. Ve lo dico da ambientalista: è troppo. Si danno troppi incentivi a fronte di risultati che da un punto di vista energetico sono insignificanti.
  Negli altri Paesi europei si concedono detrazioni a fronte di risparmi, riduzioni, perché noi dobbiamo fare gli interessi delle famiglie, non delle imprese che realizzano l'intervento, che hanno il 75 per cento di detrazione. Il Ministero dello sviluppo economico dovrebbe presentare un'analisi dei risultati dei certificati bianchi e dell’ecobonus; aprire una consultazione sui problemi, che vi racconterebbero per primi i costruttori e coloro che si occupano di efficienza energetica. Invece non ci sarà alcun intervento sui condomini e ci sarà una proroga per le altre tecnologie. Non si lavora così, così non si raggiungono gli obiettivi e non si fanno gli interessi delle imprese né degli obiettivi energetici. Sul tema dell'efficienza ci vuole una regia, bisogna riuscire a capire quali sono le priorità, perché non è tutto uguale.
  Chiudo sull'efficienza, aprendo il terzo tema che penso sia importante sottolineare, che nel PNIEC non c'è una visione del Paese e, soprattutto, non c'è una visione di come si possano raggiungere quegli obiettivi, laddove in questi anni non si è fatto nulla. In questi anni questo Paese è cambiato sull'energia, nella produzione da energia elettrica, dove indubbiamente sono avvenuti molti cambiamenti: è sparito il petrolio, si uscirà dal carbone, il problema è che il Piano energia e clima dovrebbe ragionare e avere una visione anche su come traghettare gli altri settori. Sui trasporti c'è qualcosa di accennato, ma del tutto inadeguato rispetto anche alle sfide del nostro Paese, che non è solo la mobilità elettrica, anche se è fondamentale, ma è anche come riesco a intervenire rispetto alle due questioni che abbiamo di fronte e che non riusciamo ad affrontare: la prima è la mobilità urbana, dove si concentrano i due terzi della domanda di mobilità e dove il nostro Paese ancora oggi investe troppo poco per recuperare il gap con gli altri Paesi europei, e nella mobilità urbana si possono ridurre i consumi energetici e cambiare, lo dimostrano i dati del trasporto pubblico di Milano e di Firenze dove sono stati fatti gli interventi sulle tranvie e sulle metropolitane. Le cose si possono cambiare anche grazie a quanto si sta facendo oggi nello sharing e alle innovazioni in corso anche nella mobilità elettrica. L'altro grande tema è il trasporto merci, dove al 90 per cento il trasporto avviene su gomma e dove non c'è nessuna politica di integrazione modale di logistica che possa pensare di dare un'alternativa.
  Come diceva Onufrio, sull'edilizia sostanzialmente non c'è uno scenario di spinta, Pag. 7ma aggiungo anche che nel PNIEC bisognerebbe parlare molto di più di agricoltura e di foreste, anche perché, è una polemica di questi giorni, come si vuole affrontare la questione sussidi in agricoltura? Costruendo, insieme agli interlocutori di questi mondi, una transizione che dica loro in che direzione si vuole andare e che contributo può dare il mondo dell'agricoltura e il mondo delle foreste. Considerate anche il tema dell'assorbimento. Queste cose nel PNIEC non sono affrontate. Noi abbiamo chiesto con le nostre osservazioni di integrarle. Essendo oggi il 23 ottobre, ci auguriamo che qualcuno stia facendo questo lavoro. Al momento non abbiamo notizie in questa direzione.
  L'altro grande tema non disegnato nel PNIEC, di cui invece ci sarebbe un gran bisogno, soprattutto per la crisi che sta vivendo il nostro Paese, in particolare dal punto di vista della produzione industriale, è quale messaggio si dà al mondo dell'industria nei prossimi anni rispetto alle sfide della riduzione della spesa energetica, delle emissioni e dei consumi, in che modo lo si vuole traghettare fuori da questa situazione. Con la SEN il messaggio dato all'epoca dal ministro Calenda e dal Governo era occuparsi degli energivori e puntare sul gas. Ancora oggi quello è l'unico messaggio. Agli energivori garantiamo per alcuni anni ancora una ridotta spesa, ma sono i grandi consumatori, e poi puntiamo sul gas. Per cui tutte le dichiarazioni del nuovo Governo, anche in questi mesi, sono sul gas. Ultima quella di pochi giorni fa del Sottosegretario Scalfarotto per i nuovi accordi in Egitto sul gas. Al Ministero dello sviluppo economico si parla sempre di gas. Anche rispetto alla transizione l'unico tema che sembra al centro dell'attenzione è la chiusura delle centrali a carbone per andare sul gas.
  Il problema è che manca una visione per il settore industriale nel nostro Paese. Quando prima parlavo delle comunità energetiche, dell'autoconsumo e dell'autoconsumo collettivo, perché questa cosa è importante? Non è perché noi ragioniamo da ambientalisti, di «piccolo è bello» e di scambio locale, al contrario: per le piccole e medie imprese italiane l'unica loro possibilità di ridurre i consumi nei prossimi anni è di aprire a questo tipo di scambio nei distretti, di scambio tra aziende, tra i condomini, a livello locale, perché in questa prospettiva si possono costruire delle economie di scala attraverso rinnovabili, efficienza e gestione delle reti. Questo è il terzo punto fondamentale, quello per cui il PNIEC deve allargare il proprio sguardo.
  Chiudo su un tema che non c'entra direttamente con questo, ma che deve essere considerato analogamente: a questo Paese manca un piano di adattamento al clima, che sarebbe la risposta a quello a cui abbiamo assistito in questi giorni ad Alessandria, il problema delle città italiane che, in seguito alle piogge estreme e alle ondate di calore, riportano morti, feriti e danni. Il tema si incrocia, perché nella visione al 2040 e al 2050 questo Paese deve capire anche che ruolo vuole dare agli assorbimenti, per esempio, che possono venire dalle foreste. In questo ancora non c'è una visione, in cui si parla come Ministeri delle politiche agricole e forestali, dello sviluppo economico e anche dell'economia, nel raccontare a questi settori e a questi campi così importanti, dell'agricoltura e foreste qual è il ruolo che dovranno svolgere nei prossimi anni.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LUCA SQUERI. Devo dire che ho trovato molto interessanti queste relazioni. Io spesso partecipo con alcuni colleghi, il presidente Benamati incluso, ai vari convegni che vengono fatti sulla transizione energetica, sulla decarbonizzazione, sul PNIEC e devo dire che queste parole che ho sentito oggi poche volte le ho sentite. Alcune volte mi sono trovato a disagio ad essere, tra tutti gli intervenuti, quello che sottolinea i punti critici sia della SEN che del PNIEC.
  Oggi ho sentito parole che condivido, secondo me dettate, a parte l'interesse molto attento che queste associazioni hanno sulla transizione energetica e sull'ambiente, da persone competenti. Rinnovabili al palo ho Pag. 8sentito dire; addirittura si mette in discussione il PNIEC e condivido, anch'io sono tra quelli che lo mette in discussione. L'analisi è corretta: è un PNIEC che ha come conseguenza quella di difendere il gas. Abbiamo il paradosso che andiamo verso una decarbonizzazione e vediamo nei grafici del PNIEC che il gas invece di diminuire, perché il gas non è rinnovabile, anche quello deve essere al 2050 teoricamente, se volessimo rispettare gli accordi, messo al bando, invece aumenta. Questo avviene perché con la SEN prima e poi con il PNIEC che lo conferma, si vuole elettrificare il sistema energetico. Per cui tutto quello che ne consegue è declinato a questo obiettivo di elettrificare sempre di più il consumo. Inutile che ripeta, sappiamo tutti che in realtà l'energia elettrica non è un'energia, ma è un prodotto della stessa energia, per cui l'energia elettrica non è l'obiettivo principale rispetto alla decarbonizzazione: è un vettore importante da valorizzare, ma non avendolo come obiettivo primario. Mettendolo invece come obiettivo primario, la conseguenza è che abbiamo le rinnovabili al palo, abbiamo il gas che, invece di diminuire, aumenta e abbiamo le strutture di una mancanza di visione del Paese.
  Arrivo alla domanda. Dal 2000 al 2018 le rinnovabili sono aumentate come componenti dell'energia in generale. Fino a questo momento le bioenergie hanno sempre avuto il 70 per cento rispetto al 100 per cento delle rinnovabili, media che anche in Europa è similare: fatto 100 la torta delle rinnovabili, il 70 per cento è rappresentata da bioenergie. Non dell'elettrico, in generale dico. Vale anche per l'Europa. Nei PNIEC europei questa proporzione è rispettata: nella transizione energetica si rispetta il fatto che, andando verso una componente rinnovabile al 100 per cento, guarda caso le bioenergie rimangono al 70 per cento. Io mi chiedo perché in Italia, invece, l'obiettivo finale sarebbe, e non potrà esserlo, perché si scontra con la realtà delle cose, che le bioenergie scendano, se non sbaglio, al 20/25 per cento. Perché si vuole elettrificare anche la mobilità e il termico. In Francia, dove attualmente il termico è basato sull'elettricità prodotta dall'energia nucleare, mettendo al bando l'energia nucleare, trasformano il termico in bioenergie, non più in elettrico.
  La domanda. Vi siete posti queste perplessità e cosa ne pensate rispetto a queste riflessioni?

  TULLIO PATASSINI. Ringrazio per gli interventi di oggi, che sono, concordo con il collega Squeri, innovativi, perché sentir dire da chi opera nel mondo ambientale che questo PNIEC manca di visione è per noi un approccio positivo, perché in effetti sembra quasi un copia/incolla venuto male di quanto fatto prima. Anche perché viene dato qualche strumento e comunque le soluzioni sono ancora di là da venire. Poi potremmo discutere sul fatto che ci hanno chiesto di raggiungere un obiettivo e noi abbiamo rilanciato come in una partita, quasi che dovessimo dimostrare all'Europa di essere più bravi degli altri, e questo è quello che ci troviamo.
  È evidente che noi siamo – e voi ce lo insegnate – un Paese senza risorse energetiche, quindi dobbiamo per forza adeguarci a quello che possiamo fare con quello che abbiamo di risorse naturali (eolico, solare, termico e così via). Ho due domande semplici. La prima. C'è un grande dibattito in questo momento sul revamping degli impianti, perché oggi rinnovare un impianto presuppone un miglioramento forte della capacità di produzione di energia, magari con un leggero ampliamento dello stesso, posso fare l'esempio di una pala eolica: aumento la pala del 5 per cento e mi produce un più 50 per cento. Qual è quindi il vostro pensiero sul revamping in generale degli impianti esistenti tout court? Se aveste qualche suggerimento da darci, anche da un punto di vista normativo, che è il nostro compito, vi pregherei di darcelo in questa sede o successivamente con un documento a parte.
  Il secondo aspetto è sugli incentivi, sulla questione della produzione di elettricità. È evidente che le rinnovabili hanno un po’ di strada da fare, perché siamo ancora oggettivamente indietro. Abbiamo una soluzione facile che è il gas. Io vi vorrei chiedere un parere su una soluzione più particolare, ma che potrebbe essere un grande produttore Pag. 9 di energia, ovvero tutta la questione derivante dall'economia circolare e dalla termovalorizzazione dei rifiuti.

  PRESIDENTE. Pongo anch'io alcuni brevissimi quesiti. Uno è relativo alla relazione della dottoressa Midulla, molto interessante. Lei ha fatto cenno, a latere della questione del PNIEC naturalmente, ma riguardava l'utilizzo del mercato e della capacità nelle forme in cui è stato definito negli ultimi dodici mesi, a una nuova autorizzazione alla realizzazione di impianti a gas; lei si riferisce al fatto, se capisco bene, che TERNA ha avviato le doverose e necessarie aste per il mercato di sicurezza non solo richiamando gli impianti esistenti, ma anche fornendo delle compensazioni significative rispetto agli esistenti per quelli che dovessero essere nuovi. Per capirci su questo, perché questo è un punto importante ed è stata una scelta di TERNA, come è una scelta di ARERA anche il tema relativo al gas sulle centrali.
  Vorrei poi chiedere, sul tema del fotovoltaico a terra, come si può coniugare questo tema, molto sensibile peraltro (adesso noi abbiamo questa importantissima quantità di fotovoltaico per raggiungere gli obiettivi del 2030 da installare), come si può coniugare questo tipo di installazioni (naturalmente saranno da preferire quelle su terreni dismessi di uso industriale o di carattere ancora industriale) con la situazione in molte regioni, in cui c'è un consumo zero di suolo. Legislazione che viene portata avanti non solo nel campo dell'energia ma anche nel campo delle costruzioni e dello sviluppo industriale, in cui il tema del consumo zero diventa una stella polare della pianificazione.
  Un'ultima domanda, il tema delle bioenergie che il collega Squeri estendeva a tutta la filiera delle bioenergie. C'è la questione dei biocombustibili che vanno a spegnersi, a ridursi nel PNIEC, conosciamo bene anche la questione degli oli che è stata usata; ci sono però anche i temi collegati, e una frazione di questa era la filiera corta nel senso di realtà che derivano nel settore dell'agroalimentare dagli scarti di lavorazione di prodotti o anche da sistemi di coltivazione locale, è chiaro che è una parte del tutto. Voi pensate che si debba fare una distinzione fra le diverse metodologie?
  Do la parola agli auditi per la loro replica, ad iniziare dalla dottoressa Midulla.

  MARIA GRAZIA MIDULLA, responsabile clima e energia di WWF Italia. Io darò alcune risposte, poi i colleghi penseranno alle altre domande. La questione capacity TERNA-ARERA – è noto che si tratta di un decreto ministeriale, fatto in tempi record- per noi è stata affrontata male, perché non è stata impiegata tutta la strumentazione che andava messa in campo. Non a caso, se pure ci viene ripetuto che il capacity potrebbe riguardare le rinnovabili e gli accumuli, oggi non si sa come potrebbe farlo, ma si sa molto bene che si faranno delle aste per contratti a quindici anni per le nuove centrali. Questa è la realtà delle cose.
  Sulla questione fotovoltaico a terra rispondo, perché è una cosa che interessa molto il WWF. Noi l'anno prossimo vorremmo fare delle linee guida che, secondo noi, andrebbero riemanate, perché quelle del 2012 sono ampiamente superate. Linee guida che dovrebbero sicuramente favorire le energie rinnovabili in due modi: individuando le aree in cui viene consigliata e favorita l'istallazione delle rinnovabili e individuare le aree in cui non si devono fare le rinnovabili. Le Regioni dovrebbero fare questo doppio lavoro, che forse andrebbe ripreso in esame con degli obiettivi dati regionalmente che obblighino le Regioni a sentirsi parte in causa e non solamente parte passiva. Ovviamente tutto questo nasce da un problema, di cui il Parlamento dovrebbe farsi carico: la programmazione del territorio, perché noi, insieme alle altre associazioni, siamo i promotori del consumo di suolo zero, ma ci sono tantissime aree degradate che non vengono sfruttate. Abbiamo molti anni fa avviato con TERNA una ricerca, che però non era assolutamente esaustiva. Ce ne sono molte di più di aree degradate.

  GIUSEPPE ONUFRIO, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. Io riparto dal Pag. 10fotovoltaico a terra e aggiungo che sono possibili anche forme di agrivoltaico, cioè di impianti sostenuti da piloni con solare a inseguimento, sui campi in cui si coltiva. Quindi possono convivere attività produttive e attività agricole. Esistono esperienze di serre solari, per cui si possono produrre prodotti di alta fascia, ad alto valore aggiunto producendo anche elettricità.
  Sul tema delle bioenergie, la prima domanda posta. L'elettrificazione dei consumi è un dato ineludibile: al di là di quello che a noi piace (questo lo dice l'Agenzia dell'OCSE a Parigi), c'è una tendenza per cui nella metà di questo secolo avremo una penetrazione delle tecnologie elettriche in molti settori, dal termico alla mobilità.
  Voglio ricordare, lo dico perché noi siamo un Paese strano, che nel 2011 abbiamo installato 11 gigawatt di rinnovabili in un anno, il record precedente era della Germania con 9 gigawatt: la Germania ha un mercato elettrico doppio del nostro, abbiamo vinto 22 a 9 nel 2011. Nel 2011 (da lì partono le polemiche sugli incentivi) tutta questa elettricità rinnovabile ha nuociuto al settore del gas. Da allora, dal governo Monti fino ad oggi è stato bloccato per consentire al gas di recuperare. Quindi il problema non è che si punta troppo sulle rinnovabili elettriche, è che le rinnovabili elettriche sono state viste dal settore del gas come fumo negli occhi.
  Sulle bioenergie vorrei ricordare che i biocarburanti stanno al 21 per cento. Noi abbiamo un obiettivo di biocarburanti più alto di quello europeo, perché ci sono progetti industriali, di ENI in particolare, di convertire in biocarburanti anche i rifiuti. Noi non siamo contrari all'utilizzo del biogas: ovviamente nessun pasto è gratis, tutte le fonti hanno un loro impatto. Ci sono impatti importanti, ci sono impatti minori, ma tutto va fatto con delle procedure di controllo.
  Sul revamping siamo assolutamente d'accordo che sugli impianti esistenti dell'eolico, ma anche del solare, vadano fatte delle procedure semplificate, perché oggi le tecnologie consentono di sfruttare gli stessi siti con maggiore rendimento. Quindi è stupido non farlo, perché sono impianti già esistenti che vanno rinnovati.

  EDOARDO ZANCHINI, vicepresidente di Legambiente. Provo a rispondere alle tre domande. Dico all'onorevole Squeri che io non credo che la visione del PNIEC sia quella di voler puntare sull'elettrificazione: è un dato di fatto che si sta andando in quella direzione, perché tutte le tendenze vanno in quella direzione. A me invece pare che il PNIEC sia più che altro un compromesso tra questa tendenza naturale e il ruolo forte del gas che si vuole cercare di mantenere, perché l'unica vera politica che sembra esserci nel PNIEC è quella di dare forza al gas. È vero, però, che dentro alla mancanza di una visione si perdono le opportunità. Per esempio il PNIEC risulta indietro come visione rispetto a quello che la stessa SNAM ha raccontato questa settimana. Questa settimana la SNAM ha raccontato che il potenziale in Italia di biometano arriverebbe a dodici miliardi di metri cubi: nel PNIEC non c'è nulla sul biometano, è appena accennato. Noi vediamo molto positivamente questa previsione di SNAM, perché pensiamo che davvero in Italia ci siano delle importanti potenzialità per il biometano, fatto dalla frazione organica dei rifiuti che già oggi nel nostro Paese sta dando degli importanti risultati, soprattutto in termini di economia locale. Andate a vedere in Veneto e in Friuli come si gestiscono gli impianti di gestione anaerobica dei rifiuti organici: è un modello di successo. Molti di voi credo che vivano a Roma: larga parte dei rifiuti organici che vengono buttati nei cassonetti a Roma partono con dei camion per Belluno e Pordenone, dove ci sono impianti di gestione anaerobica, che tra l'altro prendono i soldi da noi, in più vendono il biogas, in più vendono il fertilizzante. Se queste cose si fanno sui territori, si capisce come la transizione possa portare benefici a livello locale. Pensiamo al disastro della gestione dei rifiuti a Roma e quanto si potrebbe produrre valore aggiunto con questi impianti di biodigestione anaerobica. Questo è il ruolo che noi vediamo di grande innovazione per quanto riguarda le bioenergie. Pag. 11
  In Francia le bioenergie non le considerano nell'elettrico, le vedono molto di più invece negli utilizzi dei trasporti o nel riscaldamento, perché considerano il biometano prodotto come il sostitutivo del gas fossile. In questa direzione diventa interessante anche ragionare di un tema grande come una casa che ha questo Paese: se al 2040, al 2050 dovremo arrivare alla transizione energetica, che facciamo di queste grandi reti del gas? Per cui dentro questa visione il biometano fatto bene può essere una parte della soluzione, l'altra probabilmente non c'è. O forse si capirà nel 2040: tutte le cose che vengono raccontate ora sull'idrogeno, sul gas da rinnovabili e tutte queste cose qui. Però intanto cominciamo a fare il biometano, cominciamo a mettere il biometano al posto del gas fossile e facciamo anche chiarezza rispetto agli incentivi che stiamo dando ai biocombustibili, perché stiamo spingendo la deforestazione attraverso l'utilizzo dell'olio di palma. E parlo di ENI, non è che sto facendo ragionamenti in generale.
  Per quanto riguarda le domande dell'onorevole Patassini, sul revamping confermo quanto dicevano Onufrio e Midulla: il tema è la semplificazione delle autorizzazioni. Su questo noi abbiamo fatto anche un lavoro con le imprese. Peraltro con le imprese dell'eolico noi condividiamo una posizione comune. Non ci possiamo nascondere su questo: il tema qui è il Ministero dei beni e delle attività culturali. Siccome sostanzialmente il 40 per cento del territorio italiano ha un vincolo paesaggistico e con le linee guida del 2010 fu scritto addirittura che la soprintendenza poteva intervenire nelle autorizzazioni, anche laddove l'impianto era fuori dalle zone con vincolo paesaggistico, e siccome, ce lo dobbiamo dire, esiste un pregiudizio negativo da parte delle soprintendenze e del Ministero dei beni culturali sull'eolico, se non si affronta questo tema, il problema ce l'hanno anche i revamping. Senza una procedura semplificata, il revamping rischia di essere bloccato, quando gli impianti eolici nel nostro Paese in larga parte sono stati fatti nelle zone in cui c'è la risorsa vento. È lì intanto si deve vedere e quindi è lì che si deve continuamente sostituire con impianti più efficienti. Poi ci sono anche nuovi impianti da fare, però è un'altra questione.
  Dico però che il revamping vale per il fotovoltaico, che sta arrivando a fine vita e, quindi, bisogna ragionarne, e vale per l'idroelettrico. Questo Paese nei prossimi anni prevede nel PNIEC di rimanere su quella produzione. Quella produzione dell'idroelettrico potrà essere garantita, in uno scenario di cambiamenti climatici, solo se quegli impianti vengono gestiti molto meglio. È interesse del Paese gestire quegli impianti per la produzione e per i pompaggi in maniera molto più trasparente; è un punto che nel PNIEC non è affrontato, che invece è di grande interesse.
  Rispetto alle due osservazioni del Presidente. Il capacity sarà la gestione dei prossimi anni della transizione energetica: se uno crede che la transizione energetica è fatta anche da rinnovabili, accumulo e innovazione, queste cose le deve dire a TERNA, perché è la politica che decide cosa fa TERNA. Lo ricordo questo, TERNA è un concessionario. Siccome queste cose non sono chiare nella legislazione e nel decreto, TERNA può gestirle in questo modo. Il Ministero deve dire a TERNA che il ruolo dell'accumulo e dell'accumulo legato alle rinnovabili nei prossimi anni deve crescere, deve avere tutto lo spazio opportuno, perché in questo modo valorizziamo le risorse italiane, perché questo è il punto.
  Sul fotovoltaico a terra è già stato detto, ma il tema vero è come riesco, da un lato, a semplificare le procedure nelle aree dismesse e nelle aree industriali e artigianali, perché noi abbiamo una quantità di aree dismesse artigianali e industriali enorme, una larga parte da bonificare e la procedura è talmente complicata che si rinuncia. Le prime aree in cui bisognerebbe fare questi interventi sono a Gela, a Priolo e a Brindisi. Qualcuno ci ha anche provato: dopo due anni ha rinunciato dopo aver buttato centinaia di migliaia di euro. Lì ci vuole una procedura che permetta di garantire bonifica e certezza dei tempi. Su questo non si può chiedere al fotovoltaico di fare la bonifica, perché non ha senso: è lo Stato che si deve fare carico di garantire Pag. 12le bonifiche e quindi di rimettere in gioco le aree. Su questo punto non faremo un passo in avanti, se non decidiamo di prendere il toro per le corna, di affrontarlo davvero, perché altrimenti continuiamo a rimanere in quella situazione.
  L'altra questione sono le aree agricole. Gli esempi che faceva prima Onufrio non sono in Germania, sono in aziende di questo Paese. In alcune aziende di questo Paese già hanno fatto l'integrazione del fotovoltaico con l'agricoltura. Noi lo raccontiamo ogni anno con il rapporto «Comuni rinnovabili», in cui raccontiamo queste innovazioni fatte sul territorio italiano. Il punto è che queste cose sono state fatte al tempo degli incentivi per il fotovoltaico, una stagione fa, quando si guadagnava molto e, quindi, si poteva ragionare di queste cose. Oggi, se tu vuoi spingere in quella direzione, devi fare in modo che queste cose siano consentite in area agricola e che, anzi, tu premi chi fa più integrazione, aiuti chi permette di continuare la produzione agricola, chiarendo che il fotovoltaico non è sostitutivo. Questa cosa si può fare in due modi: facendo convivere gli impianti con la produzione oppure garantendo che il fotovoltaico sia fatto su una parte di quell'area. Anche perché si tratta di dieci anni e comunque sotto può essere permeabile, non andrebbe stravolto tutto. Su questo però bisogna che qualcuno decida di intervenire con una norma, perché ad oggi questa cosa non è possibile. Si deve decidere che il nostro Paese nei prossimi mesi interverrà con una norma, rivedendo le linee guida. Però in questo caso davvero si chiama in causa il Governo. Il Ministero dello sviluppo economico deve decidere di intervenire e coinvolgere in questo caso anche il Ministero delle politiche agricole oltre al Ministero dei beni culturali, perché altrimenti si mandano allo sbaraglio gli imprenditori. Negli ultimi mesi impianti fotovoltaici a terra sono stati bocciati nel Lazio, in Sicilia e in Puglia, perché non c'è una norma di riferimento. Quindi, se le linee guida sono quelle del 2010, tu puoi avere l'impianto bocciato.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Midulla, che ha chiesto di intervenire per un'ulteriore precisazione.

  MARIA GRAZIA MIDULLA, Responsabile clima ed energia di WWF Italia. Un telegramma sugli obiettivi. È facile molto spesso sentire gli obiettivi come un'imposizione, ma in realtà gli obiettivi sono un modo per incentivare l'innovazione da parte del sistema Paese e il fatto che gli obiettivi non sono abbastanza sfidanti provoca la situazione di oggi. La situazione di oggi è questa proprio perché gli obiettivi non sono abbastanza sfidanti.
  Lo dico perché il Parlamento molto presto si troverà a discutere dell'aumento di questi obiettivi e non dobbiamo vederla come una cosa calata dall'alto, ma come una cosa necessaria per l'innovazione del Paese.

  PRESIDENTE. Io ringrazio la dottoressa Midulla del WWF Italia, il dottor Zanchini di Legambiente e il dottor Onufrio di Greenpeace Italia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.