XVIII Legislatura

IX Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 17 di Giovedì 4 luglio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Morelli Alessandro , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE NUOVE TECNOLOGIE DELLE TELECOMUNICAZIONI, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA TRANSIZIONE VERSO IL 5G ED ALLA GESTIONE DEI BIG DATA

Audizione del professor Mario Rasetti, presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico.
Morelli Alessandro , Presidente ... 3 
Rasetti Mario , presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico ... 3 
Morelli Alessandro , Presidente ... 12 
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 12 
Morelli Alessandro , Presidente ... 12 
Rasetti Mario , presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico ... 14 
Morelli Alessandro , Presidente ... 15 
Rasetti Mario , presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico ... 15 
Morelli Alessandro , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal prof. Mario Rasetti presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALESSANDRO MORELLI

  La seduta comincia alle 13.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Mario Rasetti, presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle nuove tecnologie delle telecomunicazioni, con particolare riguardo alla transizione verso il 5G ed alla gestione dei big data, l'audizione del professor Mario Rasetti, presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico, che ringrazio per aver accettato l'invito della Commissione.
  Do la parola al professor Mario Rasetti per lo svolgimento della sua relazione.

  MARIO RASETTI, presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico. Presidente, se lei mi permette, vorrei stare in piedi. Ho insegnato per quarant'anni sempre in piedi e non riesco a stare seduto.
  Buonasera a tutti e grazie per questo invito, del quale sono onorato. Spero mi sentiate, perché non ho molta voce. Mi è stato detto di intervenire in questa vostra indagine conoscitiva sul 5G. Sia per le mie competenze, sia per il mio impegno in ambito scientifico vorrei coprire un aspetto che forse non è stato, almeno per quanto ho saputo dagli altri intervenuti, molto coperto.
  Vorrei darvi, invece, un quadro di riferimento soprattutto culturale, etico e sociale, con un punto di vista da scienziato e non da tecnologo o da tecnico. Seguirò un percorso logico che prima vi parla dei dati, di quelli che si chiamano i big data. Si chiamano così impropriamente, perché i dati sono importanti, al di là del fatto che siano big. Se sono big, pongono qualche problema in più.
  Parlerò poi dell'intelligenza artificiale e degli impatti che questa combinata di fattori, immense quantità di dati e intelligenza artificiale, che è lo strumento per estrarne valore, hanno a livello etico, a livello di impatto sociale, a livello di generare rischi.
  Soltanto alla fine del mio percorso parlerò di 5G. Mi accompagnerò con delle slide che proietto, che non sono una vera presentazione power point, ma sono soltanto le figure di appoggio.
  Voglio cominciare, parlando di big data, a darvi qualche numero. Che cosa sono questi big data? Quanti ne produciamo? Perché li chiamiamo big data? La cosa è abbastanza sottile, perché da un lato c'è il mondo della scienza e il mondo della scienza da sempre produce dati. Da Galileo in avanti il mestiere dello scienziato è di fare esperimenti e ricavarne dati e dall'analisi di questi dati ricavare le leggi della natura.
  Tuttavia, le cose sono cambiate enormemente nel momento in cui questi dati hanno coinvolto la società. È molto più difficile analizzare i dati delle reti sociali che non quelli che fanno i miei amici al CERN (Comitato Europeo per le Ricerche Nucleari) quando cercano il bosone di Higgs. Pag. 4Loro hanno petabyte di dati, ma li analizzano in maniera brutale. Se si devono analizzare, invece, i dati della società, questo è molto più complesso.
  Vi do solo due numeri di riferimento. Il primo è quanti dati produciamo. Non voglio annoiarvi con dei numeri. Dovrei spiegarvi cosa sono gli yottabyte e gli zettabyte, ma forse in quest'occasione non è così importante.
  Nel 2018, guardando soltanto i dati generati attraverso le telecomunicazioni, quindi dati che arrivano da e-mail, da reti sociali, da sms, abbiamo prodotto una quantità di byte che, se mi permettete, con tutto il rispetto dovuto a questa Commissione, di dirvelo come lo dico ai miei studenti, sono l'equivalente di aver scritto 340 miliardi di volte Guerra e pace. Pensate a un bel librone da 1.500 pagine. Sul pianeta in un anno noi abbiamo scritto l'equivalente di 340 miliardi di copie di quel libro. È un numero assolutamente strepitoso.
  C'è un altro numero che è necessario avere presente, che è il tempo di raddoppio, ovvero in quanto tempo noi produciamo una quantità di dati uguali a quella prodotta in tutta la storia dell'umanità fino a quel momento.
  Nel 2018 il tempo di raddoppio era un anno, cioè quel 340 miliardi di volte di Guerra e pace era l'equivalente di tutti i dati generati fino al 2017. Oggi, però, cominciano a entrare in gioco i dispositivi dell'internet delle cose.
  Sapete benissimo che stanno entrando in campo i dati prodotti da questi dispositivi, appunto internet delle cose, con i quali noi stiamo riempiendo, letteralmente riempiendo, il mondo. I dispositivi sono di tutti i tipi, anche del livello più basso. Avrete il vostro frigorifero che parla con la lavatrice, con il sistema di riscaldamento per ottimizzare i consumi energetici, ma avrete anche, fra non molto, un'automobile alla quale dite dove volete andare e decide da sola, non facendovi urtare le auto che ha di fronte e se vi manca la benzina facendovi fare il giro per fare benzina.
  Tutto questo, nell'arco di cinque o sette anni, che è un tempo caratteristico nella scala di queste innovazioni, farà sì che entro cinque o sette anni noi avremo in rete, oltre agli umani, 150 miliardi di dispositivi che parlano fra di loro e parlano con gli umani.
  A quel punto, fra cinque anni, quindi domani, il tempo di raddoppio sarà dodici ore, cioè noi produrremo in mezza giornata tanti dati quanti in tutta la nostra storia. Questa è una rivoluzione. È una rivoluzione che ci sta travolgendo come uno tsunami ed è una rivoluzione interessante perché ha due aspetti diversi. Da un lato è una rivoluzione culturale. Io uso sempre la metafora che dice che la rivoluzione digitale sarà importante nella storia dell'umanità quanto l'invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg, perché otterrà lo stesso effetto, anzi effetti molto maggiori in termini di ridistribuzione del potere di accesso alla conoscenza, di capacità di intervenire sul patrimonio di conoscenza degli esseri umani. Quindi, è una profonda rivoluzione culturale che cambia e cambierà il nostro modo di essere. Tornerò su questo fra un momento.
  È anche un'enorme rivoluzione industriale, perché naturalmente il digitale, come ben sapete – siamo qui a parlare di 5G infatti – è la tecnologia del futuro. Il tutto avviene in una società molto complessa, perché oltre a questa quantità di dati di cui vi ho parlato non dimentichiamo che noi siamo un pianeta sul quale circolano 1,8 miliardi di automobili, dove 2,9 miliardi di persone volano ogni anno sugli aerei, c'è una crescita del 43 per cento all'anno degli edifici che vengono costruiti e così via.
  In parallelo a questa cosa dei big data, c'è l'intelligenza artificiale, che è lo strumento con il quale noi cerchiamo di estrarre valore dai dati, perché tutti questi dati hanno un enorme valore che noi siamo in grado di tirare fuori con un processo, che è un processo semplice, standard. In realtà, quando parliamo di intelligenza artificiale facciamo sempre gli stessi tre passi. In primo luogo passiamo dai dati, cerchiamo nei dati, analizziamo i dati, cerchiamo di estrarne i pattern di informazione, di capire se in quei dati ci sono delle relazioni, cioè c'è un'informazione codificata oppure no. Secondo passo: passiamo dall'informazione Pag. 5 alla conoscenza. È un passo analogo, perché la conoscenza non è altro che informazione correlata, informazione strutturata. Infine, quando noi parliamo di conoscenza vuol dire che abbiamo nel nostro computer una rappresentazione fedele del sistema a cui i dati si riferiscono e siamo in grado di costruire dei modelli, di fare degli algoritmi predittivi che ci dicono dove questa cosa va.
  La prima diapositiva che vi ho mostrato la mostro perché – ve ne mostro solo una, dovrei mostrarvene anche un'altra – è intitolata «La gran parte della storia dell'umanità è noiosa» (vedi Allegato slide n. 1). Quel grafico porta, in funzione del tempo, quindi sull'ascisse c'è il tempo dall'8.000 A. C. ai giorni nostri, due grandezze. La prima, la curva grigia, è l'indice di sviluppo. Sociologi e antropologi hanno individuato delle grandezze che, misurate, ci dicono l'indice di sviluppo di una società. Quello è l'indice di sviluppo dell'intero pianeta.
  La curva nera, più sottile, invece, è la popolazione del pianeta, il numero degli abitanti del pianeta. Osservando questa curva vedete subito di colpo due cose importanti. Quella curva è praticamente piatta fino al 1.700, addirittura non contano quasi nulla il rinascimento e l'illuminismo. Quella curva è quasi piatta. Quelle curve, improvvisamente, nel 1.750 mostrano un ginocchio, questo ripiegamento verso l'alto, dopo il quale, negli ultimi 500 anni quelle curve sono praticamente verticali. Quel ginocchio corrisponde all'invenzione della macchina a vapore di Watt. È l'inizio della rivoluzione industriale.
  La seconda cosa che vedete ad occhio – è implicita anche nelle cose che vi ho detto – è che queste due curve sono sostanzialmente parallele. Lo sviluppo cresce con la popolazione.
  La cosa impressionante è che questo tratto quasi verticale, che sostanzialmente va dal 1.800 ad oggi, nasconde all'interno due guerre mondiali e due altre grandi rivoluzioni industriali, l'elettricità e l'elettronica. Non le vedete. Quelle curve sono praticamente verticali.
  Per vederle dovreste andare in scala logaritmica, cioè prendere i logaritmi, che vuol dire dove c'è scritto «1.000» scrivete «3», dove c'è scritto «un milione» scrivete «sei» e così via. Se le portate in scala logaritmica, vi accorgete che la rivoluzione digitale sta avendo un andamento sostanzialmente uguale a quello per l'indice di sviluppo, cioè c'è stato un gomito e sta iniziando una crescita praticamente verticale mentre per la prima volta la popolazione è sotto, cresce molto più lentamente in tutto il mondo.
  In questo quadro cosa fa l'intelligenza artificiale? L'intelligenza artificiale intanto – perdonatemi, in questo sono un po’ partigiano – secondo me è un nome sbagliato. Bisognerebbe chiamarla, come fanno gli americani, «machine intelligence» (macchine intelligenti), nel senso che stiamo parlando di macchine – la parola «macchina» in senso lato naturalmente – che svolgono compiti che noi svolgiamo con la testa. Non ha nulla a che fare con l'intelligenza dell'uomo. Ritornerò su questo punto, perché il mio lavoro scientifico si basa su quello. Quella che noi chiamiamo «intelligenza artificiale» sono semplicemente strumenti, sistemi esperti molto efficienti, per fare in modo appunto molto efficiente, cioè più veloce e con meno errori, quello che noi facciamo con la mente.
  Tutto questo avviene in un contesto socio-tecnico globale che è sempre più complicato. Ci avete sicuramente pensato, ma non l'avete mai sentito dire in questi termini. Noi siamo una società che ormai non è più una società di essere umani, è una società di esseri umani con protesi. Tutti noi abbiamo in tasca almeno una protesi. I numeri sono molto interessanti: pensate che nel mondo oggi ci sono 7,6 miliardi di persone e di queste 5,2 hanno almeno un cellulare. Questa da un lato è un'eccellente notizia, perché vuol dire che questi strumenti non sono caratteristiche solo dei Paesi industrializzati.
  In effetti – scusate se apro un piccolo inciso – per esempio il cellulare in questo momento è uno strumento di redenzione straordinario per l'Africa. L'Africa nel processo di sviluppo industriale ha saltato il telefono, perché non ha avuto i mezzi e la capacità di tendere migliaia di chilometri Pag. 6di fili di rame che erano necessari per il telefono. Col cellulare, se voi andate in internet, è un fiorire di straordinarie start-up, spin-off e piccole imprese. Per esempio c'è un giovinotto del Ghana che produce una bicicletta fatta di canne di bambù legate con le liane, più leggera di una bicicletta in lega leggera e che costa 300 dollari, quando quella in lega leggera ne costa 3.500. Questo è positivo.
  Noi non siamo più una società fatta solo di uomini, ma siamo una società fatta di uomini la cui connettività, cioè capacità di comunicare con gli altri, è aumentata a dismisura. Siamo anche, però, una società che è posta di fronte a problemi che non hanno precedenti. Io ve li elenco, anche magari con qualche figurina che li illustra.
  Non c'è bisogno che vi dica io qual è il primo grande problema. Vi sto facendo vedere la distribuzione delle temperature sul pianeta dal 1870 in avanti. Fra un po’ vedrete date che ci sono più vicine. Il colore blu vuol dire più freddo della media, il bianco è la media degli ultimi anni.
  Il fatto è che la temperatura del pianeta è andata crescendo negli ultimi 300 anni sostanzialmente in maniera drammatica. Oggi noi siamo qui, siamo a questo punto di snodo, che è un punto chiave, perché in quella diapositiva vedete in linea fissa gli anni e in ordinata la variazione della temperatura media del globo rispetto alla media degli ultimi 200 anni. Noi oggi siamo più o meno intorno a un grado in più della media.
  Quello che ci aspetta nel futuro è una di queste tre alternative. Se saremo bravi a fare delle politiche ambientali e stiamo su un solo grado, certamente abbiamo indotto delle variazioni climatiche ma ce le teniamo. Se fossimo pessimi, cioè se andassimo avanti con il trend che stiamo mostrando in questi anni, entro il 2100, quindi in un'ottantina d'anni, noi avremmo raggiunto un numero fatidico, che è quattro gradi più della media. Attenzione, quattro gradi più della media vuol dire che il pianeta diventa un luogo nel quale non è sostenibile la vita umana come specie animale, cioè l'uomo diventa un animale che non esiste più sulla terra. Quindi, il clima con tutte le sue conseguenze.
  Il secondo problema – ve lo mostro in maniera molto schematica – che i dati ci insegnano e su cui ci fanno suonare dei campanelli di allarme sono le risorse. Anche in questo caso io ve lo racconto in maniera metaforica. Si definisce «overshooting day» il giorno nell'anno in cui l'uomo sul pianeta ha consumato tutte le risorse rinnovabili che il pianeta gli mette a disposizione per quell'anno. Nel 2017 l’overshooting day è stato il 6 agosto. Io ho scritto il 2017 e non il 2018, perché per un fisico il 6 agosto è una data drammatica, essendo l'anniversario di Hiroshima.
  Anche qui siamo nella stessa situazione di prima. Noi in questo momento siamo qua. Se applichiamo politiche virtuose rispetto alle risorse, possiamo scendere o per lo meno mantenerci costanti. Se proseguissimo in maniera invariata il trend attuale, nel 2030 l’overshooting day sarebbe il primo gennaio, cioè noi avremmo bisogno di due terre per vivere il tipo di vita che stiamo vivendo.
  Il terzo aspetto che vi voglio segnalare è quello economico. Noi dobbiamo fare i conti con questo fatto. Questa immagine (vedi slide n. 6 Allegato) vi mostra i consumi della classe media, ovvero la frazione dei consumi attribuibile alla classe media della popolazione del pianeta. Queste curve sono dati acquisiti fino a oggi, fino al 2019, e di qui in poi sono dati estrapolati con algoritmi predittivi.
  Quello che voi vedete è che nel 2000 la somma di Europa, Stati Uniti e Giappone costituiva l'85 per cento dei consumi della classe media. Se credete alle nostre curve, nel 2040 la somma di questi tre blocchi (Stati Uniti, Europa e Giappone) sarà scesa al 15 per cento, quindi c'è in atto una redistribuzione a livello mondiale della capacità di vivere che ci deve far riflettere.
  Date queste premesse (io vi ho detto cosa sono i big data, che cos'è l'intelligenza artificiale che di questi big data ci consente di estrarre il contenuto informativo importante e vi ho detto in quale contesto globale ci muoviamo), lasciatemi provare a dire Pag. 7alcune cose sugli impatti che tutto questo avrà sulla società.
  Ripeto che le cose che vi dico sono effetti di simulazione, di adozione di algoritmi predittivi, di analisi di dati in grande quantità. Il primo impatto sarà un impatto etico. Io su questo voglio fermarmi un momento, perché è un impatto etico a livelli dei quali non ci stiamo rendendo conto. Vi ho detto prima che nel mondo ci sono 7,6 miliardi di persone, di cui 5,2 hanno un cellulare, ma oggi a internet accedono grosso modo 2,8 miliardi di persone, quindi c'è da aspettarsi che nei prossimi soliti cinque anni a internet accedano altri 3 miliardi di persone, pertanto nel 2025 noi avremo 6 miliardi di utenti di internet, dei quali più della metà nuovi.
  Dov'è il problema etico? Uno può pensare: «Va be’, chi se ne frega? Cresce internet». Il fatto è che sappiamo – perché lo sappiamo – che di questi 3 miliardi di nuovi utenti di internet 1,3 miliardi saranno analfabeti. Voi immaginate il quadro di questa situazione, che è un quadro che ci tocca da vicino e vi tocca nel problema che state analizzando, perché il 5G sarà l'autostrada sulla quale tutte queste cose passano.
  Voi avete 1,2-1,3 miliardi di persone che accedono a internet e che sono analfabeti: analfabeti funzionali, analfabeti di ritorno o analfabeti tout court, cioè gente che non ha mai imparato a leggere e a scrivere. Per inciso, la cosa non è molto stupefacente. Voi sicuramente sapete che in Italia il numero di analfabeti funzionali è il 19 per cento. Voi camminate su un marciapiede e quasi una persona su cinque fra quelle che incontrate in media è un analfabeta funzionale, il che vuol dire che ha imparato a leggere e a scrivere, se gli fate vedere una parola la sa leggere, ma se gli fate leggere un testo di dieci righe non lo sa comprendere. È il 19 per cento, presidente, è un numero impressionante.
  La domanda vera è: che linguaggio si inventerà Internet per parlare con costoro? È chiaro che lo spettro di soluzioni sarà uno spettro molto ampio e molto complesso, ma vi cito i due estremi. Un estremo sono i super ottimisti come sono io, quelli che gli inglesi chiamerebbero «utopians». Io sono quello che dice: «Pensate che meraviglia, un analfabeta accede a internet, cioè a tutto lo scibile dell'umanità». Infatti, voi sapete che Wikipedia contiene veramente tutto lo scibile. Per di più, c'è l'intelligenza artificiale che gli permette, per esempio, di sentire le lezioni di filosofia di Edgar Morin al College de France in lingua swahili in tempo reale. È stupendo, quindi è una società in cui tutti potranno, se vorranno, diventare filosofi e scienziati.
  Dall'altro estremo, c'è una cosa ben più drammatica, cioè Internet è una macchina disegnata per trasformare tutti noi in consumatori. Allora che linguaggio si inventerà per questo suo obiettivo? Guardate, le premesse sono drammatiche, perché il linguaggio che sta emergendo in maniera sempre più prepotente è la pornografia. Si capisce anche perché: non distingue fra uomini e donne, si rivolge ugualmente uomini e donne, a giovani e vecchi, è un pugno nello stomaco, sono messaggi molto forti, anche se molto elementari, coi quali si fanno passare le cose.
  Io dico sempre che questa sarà la madre dei problemi etici che l'umanità deve affrontare, perché, detta in modo enfatico, è chiaro che non sarà così, ma la scelta che abbiamo di fronte è: vogliamo una società di pornografi o una società di filosofi? È chiaro che bisogna vigilare – lo dico a voi a ragion veduta – bisogna regolamentare queste cose, bisogna creare leggi che permettano di intervenire su questo.
  La grande funzione di Internet, ma soprattutto del digitale in senso lato, come ho già detto, è quella di aumentare a dismisura la nostra connettività. Questo sta producendo dei problemi, dovuti a due ragioni. La prima è che si creano queste reti di persone che sono connesse le une con le altre. È un teorema di teoria dei grafi. Non ve lo dimostro come teorema, ma è una proprietà delle reti il fatto che gli utenti di queste reti in maniera naturale, in base ai loro interessi e al modo col quale operano, si raggruppano a cluster. Se voi immaginate lo spazio informatico appunto come uno spazio, ci sono tante nuvole dove all'interno di un cluster l'informazione si propaga con Pag. 8velocità altissima, perché sono tutti connessi con tutti, mentre fra cluster la comunicazione è molto più lenta, difficile e problematica.
  Questo produce due effetti. Il primo è che naturalmente la tendenza di chi appartiene a queste reti sociali è di considerare il suo cluster di riferimento come il tenutario di tutte le verità. Se io sto in un cluster dove si sostiene che la terra è piatta, posso mandare Newton a scrivere che lui ha dimostrato che non è vero che è piatta, ma quelli continueranno a sostenere che la terra è piatta. Dunque, si induce la quasi totale mancanza di senso critico, cioè il cluster diventa riferimento.
  Più sottile è l'altra cosa e questo lo vediamo molto sui nostri ragazzi, sui giovani e, quindi, sono cose sulle quali bisognerebbe che il legislatore intervenisse. Questa connettività incredibile è generatrice di solitudini. Se voi chiedete a me quanti amici ho, io ci penso un momento e dico una decina, forse quindici. Se lo chiedo al mio pronipote, lui mi dice 3.700, la settimana dopo mi telefona e mi dice «sono arrivato a 3.800». È chiaro che è diverso il concetto, ma è chiaro anche che il sistema sta cambiando la scala dei nostri valori. Per esempio, nei ragazzi della generazione del mio pronipote – 18 anni – il numero di «amici» è segno di successo, non rendendosi conto che quanto più questo numero cresce tanto più il legame di amicizia si diluisce, si annacqua. In realtà, sono numeri sterminati di amici che non sono amici.
  C'è un paradosso qui, fatta questa premessa su questa nostra società di solitudini. A me è capitato – ma sarà capitato a tutti, credo – di vedere coppiette sulla panchina che, invece di farsi le coccole, come si usava ai miei tempi, smanettano sui propri cellulari. Sapete, in parallelo a questo, quali sono le richieste più forti che l'utenza fa a chi si occupa di intelligenza artificiale? Sono tre. Ci chiedono robot che si occupino degli anziani, robot che si occupino dei bambini e – mi spiace dirlo – bambole robot del sesso. Mi riferisco alla famosa Lil Miquela, una bambola giapponese per il sesso dotata di intelligenza artificiale.
  Attenzione. Quello che sta succedendo è che funzioni fondamentali dell'essere umano, come occuparsi dei genitori e occuparsi dei figli, si richiede vengano delegate a delle macchine. Addirittura, in questa solitudine infinita, uno usa le bambole del sesso alle quali chiede di rispondere in maniera parzialmente intelligente, dicendo paroline dolci. Stiamo costruendo una società che ha aspetti un po’ terrorizzanti.
  Il secondo punto che voglio citarvi riguarda il lavoro. L'intelligenza artificiale sta cambiando fortemente la natura del lavoro, al punto che si stima – mi fermi se necessario; poi dirò due parole sul 5G – che nell'arco di cinque anni il 60 per cento dei lavori che noi conosciamo sarà obsoleto, non esisterà più. Dove sta, anche qui, la chiave di volta del problema? La chiave di volta sta nel fatto che non sono lavori manuali della vecchia cara classe operaia, ma sono lavori dei colletti bianchi. In internet – se vi interessa, ve li posso indicare – ci sono siti in cui trovate le classifiche dei lavori a rischio. Il primo in assoluto è quello dei bancari, ma questa non è una sorpresa per nessuno. Quanti di voi sono andati di persona in banca nell'ultimo anno? Il bancario del front office è un mestiere destinato a scomparire. Ci sono, però, lavori inattesi. Per esempio, i radiologi. Oggi la macchina intelligente analizza radiografie, risonanze magnetiche, TAC eccetera in maniera molto più efficiente, con meno errori.
  Cosa capita? Capita che il digitale, come tutte le tecnologie nella storia... La tecnologia nasce sempre con l'obiettivo di rendere il nostro lavoro più semplice, più efficiente, più veloce, meno faticoso. Anche il digitale fa questo. La differenza è che lo fa su lavori che richiedono la testa e non le mani. Cosa sta capitando? Sta capitando che, mentre io sono certo (non solo io; ne siamo certi tutti) che a regime, quando questo transitorio che stiamo vivendo sarà passato, l'intelligenza artificiale renderà la nostra vita molto più bella, più facile, migliore, con più tempo libero e così via, nel transitorio noi stiamo bruciando generazioni, Pag. 9 quelle persone tra i 55 anni e l'età della pensione, quelle persone che non hanno avuto una formazione sul digitale, quelli che con un vocabolo straordinario, assolutamente ben azzeccato, Papa Francesco I ha chiamato «scartati». Noi stiamo scartando un'intera generazione di persone che hanno competenze professionali, hanno esperienze irripetibili, hanno in una vita imparato a gestire il lavoro. Le stiamo estromettendo dal mercato del lavoro.
  Il fatto è che, come tutte le tecnologie della storia, il digitale sta facendo questo. Non sta cancellando i lavori. Per esempio, la paura che i robot tolgano lavoro è sbagliata. In realtà, i robot creano lavoro alzando l'asticella, cioè creano lavori anche in numero superiore a quelli che stanno cancellando, ma che richiedono skill, competenze diverse. Un robot va progettato, costruito, manutenuto, e questo non lo fa la tuta blu che ha costruito la prima generazione di robot.
  Ci sono altre tematiche di impatto fortissimo. Fatemene citare solo una per il luogo nel quale mi trovo. Credo che sulla democrazia tutto questo avrà un impatto che non possiamo ignorare. Vi parlo brevissimamente dei sistemi di voto. Anche se potrei fare riferimento ad elezioni che sono più vicine nel tempo, faccio riferimento alle elezioni del Presidente Trump negli Stati Uniti. Quelle elezioni abbiamo evidenza che sono state vinte con l'uso massiccio di quelli che si chiamano «bot». Cos'è un bot? Un bot è un programma software che ha questa funzione. In rete supponete che qualcuno scriva un messaggio e dica: «Mario Rasetti è una brava persona perché ho visto che parcheggiava l'auto e pagava il biglietto». Automaticamente il bot genera «n» messaggi negativi su Mario Rasetti per soffocare – la filosofia è quella di soffocare – il messaggio positivo.
  L'aspetto impressionante è questo «n». Noi ne abbiamo contati fino a 150.000-190.000 negativi per uno positivo. La cosa ancora più tremenda è che questi «n» messaggi non importa se sono corretti o scorretti, non importa se sono veri o falsi, non importa se uno dice «Mario Rasetti è un farabutto perché l'ho visto passare con il rosso». Magari una volta o due nella vita mi è anche capitato. Se, però, scrive «Mario Rasetti molesta le sue studentesse» ovviamente mi fa un danno. Questo è il grande problema della disinformazione. La disinformazione è uno strumento sul quale immagino, ovviamente, non lo so in prima persona, ma mi auguro che anche i nostri servizi di sicurezza dedichino un'attenzione assoluta. Oggi è lo strumento principale di intervento terroristico. Io, se fossi un terrorista, non andrei certo in giro a mettere bombe. Interverrei sulla rete. Gli effetti possono essere molto più devastanti.
  Cerco di arrivare alla fine velocemente. Quali sono i rischi di questo quadro generale? Uno dei rischi è di non accorgersi che l'intelligenza artificiale, in realtà, è uno strumento prezioso. Va controllato, va regolamentato, ma è uno strumento prezioso. Ve lo assicuro, è uno strumento prezioso più di quanto possiate immaginare. Come scienziato, la mia ricerca personale la dedico al cervello. Io mi occupo del cervello. Credetemi, senza darvi dettagli perché non ho il tempo, il cervello è veramente l'oggetto più straordinario, più complesso che esista nell'universo che noi conosciamo. Pensateci un secondo. Il cervello è un chilo e mezzo di materia biologica, fatto da 90 miliardi di cellule molto specializzate, che sono i neuroni. Questi neuroni comunicano tra di loro attraverso porte molecolari che ogni neurone ha lì vicino, intorno, che si chiamano «sinapsi» e attraverso veri e propri cavi di trasmissione, gli «assoni». Le sinapsi sono 100.000 miliardi, quindi grosso modo un migliaio per ogni neurone. Se provaste a mettere gli assoni lungo una linea retta non ci riuscireste. Parliamo di due milioni di chilometri, sei volte il percorso tra la terra e la luna.
  Il nostro cervello lavora con 20 watt di potenza. Se a casa avete una lampadina da 20 watt la buttate via perché non serve a nulla. Noi, per simulare con un computer la funzione più bassa del cervello, ossia la memoria di un singolo cervello, se volessimo simularla tutta, avremmo bisogno di 20 terawatt, cioè 100 miliardi di volte in più solo di potenza. Il cervello, poi, fa cose straordinarie. Pag. 10
  Non c'è nessun bisogno di avere paura dell'intelligenza artificiale. Se non mettiamo il nostro cervello all'ammasso e lo facciamo funzionare collettivamente non ci sarà mai una macchina, un artefatto dell'uomo che anche solo lontanamente possa eguagliarlo. Nel mio lavoro ho realizzato quella che si chiama «mappa semantica». Abbiamo costruito una mappa della corteccia cerebrale che vi dice per ogni parola qual è il punto della corteccia cerebrale che viene stimolato. La dimensione dello spazio delle configurazioni di tutte le semantiche che un cervello umano saprebbe costruire è 10 alla 700. Miliardi, miliardi, miliardi. Dite ottanta volte la parola. Non c'è nell'universo nessuna cosa che abbia questa dimensione. Il numero di protoni nell'universo è un numero «solo» di ottantasette cifre.
  La cosa più assurda, quindi, è avere paura dell'intelligenza artificiale. Certo, bisogna regolamentarla. Noi siamo creature deboli e indifese. I bambini, i ragazzi sono enormemente aperti a queste cose. Le nuove generazioni sono più intelligenti grazie al digitale. Un dato che è bene ripetere è che i bambini di tre o quattro anni oggi, quelli che sono abituati al touch, a giocare sul cellulare dei genitori, hanno un quoziente di intelligenza che è una volta e mezza quello della mia generazione, quindi c'è un mucchio di cose buone.
  Fatemi chiudere, perché sono al limite coi tempi. Il 5G è un passaggio di questo scenario che io, sia pure molto rapidamente... Credetemi, avrei potuto farvi una conferenza noiosa su ognuno dei punti che ho sollevato. Il 5G è uno degli strumenti di questa crescita esponenziale della connettività.
  Anche su questo vi do solo un numero. Soltanto pensando al trasferimento di immagini (fotografie, filmati, disegni, testi, mappe, quello che volete), la proiezione conservativa è che si passi da 56 exabyte – exabyte vuol dire un miliardo di miliardi di gigabyte, tutti voi sapete cos'è un giga – del 2017 a 240 exabyte nel 2021, cioè si moltiplichi quasi per cinque in cinque anni.
  È facile immaginare le conseguenze che questo ha sulle nostre conoscenze naturalmente e sul mercato. Noi tutti in questo momento, attraverso la rete, siamo oggetto di profilatura. Quello che il mercato fa è che ogni volta che noi entriamo in internet aggiunge un pezzetto al nostro profilo. Vi è mai capitato di comprare un libro su Amazon? Sono certo di sì. Quando comprate un libro, sotto Amazon vi mostra altri sei o sette libri, dicendo «chi ha comprato quello lì ha comprato anche questo» e ci azzecca naturalmente. A me è capitato che di sei o sette libri cinque ne avevo già comprati e i due mancanti decidevo di comprarli.
  Sui servizi di telecomunicazione, industrie come la televisione e il cinema dovranno fare i conti con questa cosa, perché noi avremo accesso davvero a delle autostrade attraverso le quali vedere in alta definizione un film e ci costerà un secondo scaricarlo.
  Un tema essenziale è la sicurezza. Lo dico perché credo che sia la cosa sulla quale chi scrive leggi, come fate voi, deve riflettere. C'è una ragione logico-matematica profonda sotto quello che sto dicendo adesso. Passando a quel livello di quantità di dati che fluiscono nella rete, si pone, per chi analizza la rete, per la prima volta nella storia, un problema di decidibilità. Noi non avremo gli strumenti sufficienti per decidere se una cosa è vera o falsa e questo aumenterà a dismisura la potenza di chi vuole utilizzare la rete per far circolare disinformazione o notizie false.
  L'altra cosa che accompagnerà il 5G è naturalmente il fatto che ci sarà un'esplosione di industrie verticalizzate, come l'automobile a guida autonoma. Una importante per chi governa è naturalmente la medicina, perché questo influisce in maniera molto positiva sulla qualità della nostra vita. Con questo, presidente, concludo il mio intervento.
  Questo riguarderà la medicina in due aspetti, che sono molto nuovi ma ormai anche molto avanzati. Il primo è quella che si chiama «la medicina di precisione». Il lavoro che internet fa o Amazon fa con i vostri gusti di consumatori si può fare sulla salute. Io posso fare il profilo sanitario del presidente a partire dal microscopico, il DNA, il genoma. Se lei è giovane e ha la Pag. 11fortuna di avere i genitori, anche il genoma dei suoi genitori, perché quello che conta nelle malattie genetiche, per esempio, sulle mutazioni è sapere cos'è successo dai genitori ai figli. Partendo dal livello microscopico, passando attraverso tutta la storia clinica (le malattie che uno ha avuto, gli esami che ha fatto), arrivando allo stile di vita (fa sport, non fa sport, che cosa mangia, in quale città vive)... Infatti, una cosa è vivere a Torino, dove ci sono polveri sottili a gogò, e una cosa è vivere a Cortina d'Ampezzo. Tutto questo è il profilo digitale sanitario di una persona.
  Oggi – ne avrete sentito parlare, il mio istituto ha contribuito a questo progetto – IBM ha elaborato un prodotto che si chiama «Watson», che è una super-macchina che nel settore sanitario, parlando di salute, ha letto 35 milioni di articoli scientifici negli ultimi vent'anni e ha degli strumenti di intelligenza artificiale per mettere in correlazione gli effetti ed estrarre diagnosi da queste correlazioni.
  Supponiamo, per usare l'esempio di prima, che il presidente – Dio non voglia – abbia dei sintomi di qualcosa. Voi entrate in Watson con il suo profilo digitale e i sintomi e in pochi secondi Watson vi produce due, tre o quattro scenari diagnostici. A quel punto, lui va dal suo medico, il quale lo conosce personalmente, sa quali sono i suoi problemi personali (la Camera che lo fa lavorare troppo per esempio), interviene e gli dà la cura.
  Pensi che potenza di capacità diagnostica ha il suo medico. Il mio medico personale è un professore dell'Università di Torino e sono certo che non ha letto neanche 3.500 pubblicazioni, ne verrà lette e studiate 300, quindi è una potenza straordinaria, in un quadro – e chiudo con questa cosa, perché credo sia una delle grandi vie che bisognerà sfruttare per il 5G – in cui la situazione della medicina... Lo dico in modo grossolano, non essendo un medico, ve la riassumo in maniera proprio super schematica.
  «Medicina» cosa vuol dire? Le malattie. Le malattie sono di due grandi classi: ci sono le malattie contagiose (virus, batteri e così via) e le malattie non trasmissibili, che sono tutte le altre.
  Tutte le altre (malattie metaboliche come il diabete, malattie cardiovascolari come gli infarti, malattie mentali come Parkinson, Alzheimer e così via, anche le malattie oncologiche in misura minore) sono legate a un cattivo stile di vita. Dipendono praticamente tutte dal cattivo stile di vita: quelle metaboliche ovviamente dall'alimentazione; quelle cardiovascolari dall'alimentazione, dal fumo e così via; quelle mentali dal comportamento, dal fatto di vivere in ambienti con forti tensioni psicologiche; quelle mentali e quelle oncologiche hanno anche una forte componente genetica.
  Ma che cosa capita? Che queste malattie sono tutte cronicizzabili, cioè quando uno ce l'ha, poi si cronicizzano.
  Noi abbiamo una grande massa di medici che le cure, straordinari medici di base, straordinari specialisti, che le curano. Impegniamo, quindi, la quasi totalità del nostro parco medici a curare malattie croniche nate da un cattivo stile di vita.
  Se vi dico che nascono per lo più, naturalmente non tutte, da un cattivo stile di vita, la prima cosa che vi viene in mente è: allora, posso fare prevenzione. Oggi, col digitale si può fare prevenzione in maniera anche apparentemente banale.
  Avrete letto sui giornali recentemente che l'Italia è al primo posto per la presenza di batteri antibiotico-resistenti. Questo è dovuto a che cosa? Al fatto che nelle farmacie non c'è un controllo, che uno va a comprarsi un antibiotico e glielo danno e lui lo prende; inoltre, se il medico dice di prendere l'antibiotico per cinque giorni e uno, arrivato al quarto, si sente bene, non ha più la febbre e smette di prenderlo, il quinto giorno sono sopravvissuti solo i batteri antibiotico-resistenti, e quindi la volta successiva che questo si ammala quell'antibiotico non basterà più, bisognerà assumerne uno molto più forte.
  Questo è il 5G. È foriero di interventi straordinari sulla qualità della nostra vita e foriero di possibilità molto preoccupanti in termini di sicurezza e di qualità della vita dei nostri ragazzi.

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  PRESIDENTE. Grazie, professore, per la sua lezione magistrale.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Devo dire che sono rimasta, come credo tutti, molto colpita da quest'intervento. Oltretutto, ha avuto naturalmente la capacità di affrontare le questioni di fronte alle quali ci troviamo ogni giorno, quindi vorrei fare qualche domanda molto specifica, innanzitutto sul tema, per me tra i più importanti, delle competenze digitali.
  Io sono convinta, come lei, che i robot non ruberanno il lavoro, ma che anzi, proprio per le caratteristiche del cervello umano che lei ha descritto, possano addirittura migliorare la qualità del lavoro, a patto che però si sviluppino queste competenze e anche queste predisposizioni.
  A parte la capacità di sviluppare l'intelligenza anche con il touch, pensa che lo studio fin dai primi anni di scuola primaria del pensiero computazionale, quindi con il coding, possa aiutare effettivamente ad andare in questa direzione?
  Sono molto colpita, poi, dal fatto che circa il 19 per cento in Italia è costituito da analfabeti funzionali. Farei una battuta, che potrebbe essere offensiva, ma coincide più o meno con il movimento di chi non vota in maniera definita? Siamo intorno al 17-18 per cento, ma sarà magari una coincidenza. Parliamo dei cosiddetti indecisi, che cambiano repentinamente posizione da un anno all'altro.
  A parte questo, anche questo discorso dell'analfabetismo funzionale, guardiamolo dal punto di vista ottimistico – io sono convinta che si possa guardarlo da un punto di vista ottimistico – e cioè per il modo in cui l'utilizzo di Internet può effettivamente aiutare. Si è citato il 6 agosto, Hiroshima: il nucleare è stato usato per provare a distruggere l'umanità. Internet è stato usato nelle elezioni attraverso i BOT per distruggere l'informazione e la conoscenza, e quindi sostanzialmente la libera scelta del cittadino. Se poi c'è un analfabetismo funzionale, aggravato dalla non competenza digitale...
  Come Internet può aiutare a superare l'analfabetismo funzionale, che invece paradossalmente potrebbe essere aggravato dal digitale?
  Ancora, e concludo – questa è una mia fissazione, la ripeto sempre – quello della profilazione dell'utente è un tema drammatico dal punto di vista della reputazione. Oggi, per trovare il suo nome, io vado a cercare e trovo una serie di cose, naturalmente importantissime, che lei ha fatto. Se, però, ci fosse per esempio un giornale on line che decide di colpirla e praticamente di utilizzare delle cose più o meno vere che sono accadute, anche attraverso una giusta indicizzazione ci potrebbe essere la prevalenza delle notizie negative sul suo conto.
  Google, soprattutto, il motore di ricerca fondamentale, spesso invece identificato con Internet – io credo che la maggior parte dei cittadini pensi che Internet e Google siano la stessa cosa – ha firmato codici etici, regolamentazioni e via discorrendo, ma nei fatti a vincere è il business, il mercato, il rapporto tra domanda e offerta. La reputazione, allora, viene generata da una profilazione che nasce probabilmente da un business, perché appunto Google o altri social network non sono Onlus.
  Anche in merito a questo, come si può fare, oltre che sperare nella buona volontà che i social network aderiscano convintamente a questo tipo di progetto dell'umanità di migliorare se stessi?

  PRESIDENTE. Chiaramente, speriamo tutti che vada tutto bene, ma, a differenza della collega Bruno Bossio, io non ho un quadro così positivo.
  I numeri che lei ci ha descritto, professore, ci dicono che tra cinque anni ci sarà una crisi per alcuni settori del mercato del lavoro, che avverranno alcune grandi innovazioni. Ora, a prescindere da noi, dalle singole persone, l'uomo ha delle necessità temporali: è un bimbo fino a sei anni, ha delle necessità fino a sei anni, fino a quattordici ne ha delle altre, fino a diciotto-venti rimane adolescente o inizia a diventare un uomo, un uomo in senso compiuto. Non siamo una macchina, non possiamo accelerare le nostre necessità. Dai cinquanta, sessant'anni, entriamo in un'altra Pag. 13fase, e poi... Non possiamo allungare o accorciare le nostre tempistiche naturali, intrinseche all'essere umano.
  Come lei ci dimostra con quanto ha illustrato, invece, con l'intelligenza artificiale, con l'innovazione rispetto all'intelligenza artificiale, questi tempi si sono abbreviati. Se il cambio di una tecnologia prima poteva durare più di una generazione, e pensiamo al telegrafo, al telefono e a quello che poi è succeduto, oggi questi tempi sono assolutamente ristretti, tanto che lei ci dice che il numero di dati una volta era di 8.000, poi si è passati a 300 anni, poi si passerà, tra un lustro, a un giorno.
  Come facciamo a essere coerenti con questo sviluppo così veloce a fronte di uno sviluppo nostro, ribadisco intrinseco per la nostra natura, che non può essere così veloce?
  La questione che pongo è, quindi: forse, da un lato ci viene in aiuto il fatto che in teoria tra cinque anni potrebbe essere come lei ci illustra; nella pratica, è un po’ più complesso. In teoria – chiaramente qui faccio un'iperbole – tra cinque anni potrebbe esserci la macchina senza pilota; nella realtà, comincia a mettere le antenne, comincia a fare il codice della strada, comincia ad adeguare l'infrastruttura stradale a quella vettura, comincia a pensare che, se pensi che tra cinque anni tutte le macchine saranno così, in realtà vi ricordo che tra cinque anni sarà ancora in giro la Fiat Regata di mio zio, la Ritmo... Chiaramente, la buttiamo anche sul sorriso, ma è per renderci conto.
  Sono tutti argomenti sui quali come facciamo a essere coerenti con la nostra naturale e incomprimibile natura. Possiamo avere un cervello non paragonabile a livello universale anche con le nuove tecnologie, ma per arrivare ad avere quelle performance che lei ci dice, questo cervello ha bisogno di un periodo di rodaggio, che, come sappiamo, è abbastanza lungo. Io ho due bimbi molto piccoli, che dovranno arrivare ad avere le nostre competenze. Come si riesce a conciliare tutto questo?
  Le dico in maniera molto semplice che noi facciamo delle proposte di legge e che le nostre leggi di bilancio hanno un periodo triennale. Chiaramente, la legge di bilancio che facciamo oggi non prevede quello che lei ci sta dicendo, ma non per colpa nostra. Semplicemente, oggi non esiste questa realtà. Lei ci sta dando una visione, e io di questo sono ben contento, perché potremmo pensare nella prossima legge di bilancio a ragionare su quello che potrà essere tra tre anni, quando l'attuale legge di bilancio avrà la sua ultima coda. Corretto?
  Come facciamo, però, a conciliare i due interessi? Logicamente, ci deve essere una visione, che oggi abbiamo a livello strategico per quanto riguarda, per esempio, le infrastrutture. È una domanda che dovremmo porci, lo dico in maniera totalmente acritica. Oggi, pensiamo per esempio di realizzare grandi infrastrutture che avranno necessità di trasporto, trasporto merci o persone, avranno necessità di collegare attraverso l'attuale modello di mobilità milioni di persone.
  Se domani, per esempio, ci fossero realmente nuove possibilità, attraverso le nuove tecnologie, e dopodomani potrò produrre a casa mia, con la mia stampante, non più quella digitale, ma quella fisica, questi tappi oggi prodotti probabilmente in una provincia cinese, non ci sarà più bisogno delle mega infrastrutture di cui stiamo parlando in maniera approfondita da settimane, da mesi, all'interno di questa Commissione.
  Tra quanto potrò produrre questo tappo a casa mia? È questo il ragionamento che dobbiamo fare, sono queste le domande che dobbiamo porci. Vale la pena investire in mega infrastrutture per trasportare questo tappo da Shenzhen a Milano o a Roma in questo momento, se tra cinque, otto, dieci anni, chiedo e mi producono qui questo tappo grazie a quell'aggeggio, magari un po’ diverso?
  La ringraziamo per la visione, ma cerchiamo di collegarla con la realtà, che è una realtà a volte, ribadisco, non colpevole perché non ci stiamo pensando, ma incomprimibile perché siamo fatti così. C'era un famoso cartone animato, quando ero piccolino, che si chiamava «Siamo fatti così». Pag. 14
  Do la parola al nostro ospite per la replica.

  MARIO RASETTI, presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico. Due domande da 6 milioni di dollari l'una!
  Comincio con le domande dell'onorevole Bruno Bossio. È chiaro che la risposta a tutti questi problemi sta nella formazione. I veri investimenti che noi dovremmo fare sono in formazione, tenendo conto che la cosa che diceva il presidente prima ha un altro risvolto: noi oggi, come Paese, rispetto al digitale, siamo arretrati. In tutte le classifiche che voi andate a vedere noi siamo agli ultimi posti. Tutti ci diciamo che bisogna investire nella formazione. Attenzione, è vero, assolutamente, credo sia l'unica cura possibile, ma bisogna investire in più che nella formazione, bisogna riuscire a immaginare una formazione che guardi oltre, perché se io oggi formo, come sta succedendo...
  Le università italiane si sono rese conto, improvvisamente, che sui big data e l'intelligenza artificiale non avevano gli strumenti, non stavano educando nessuno. Adesso stanno facendo dei corsi sui big data, facendo dei corsi di add up.
  Lo studente che entra oggi in quei percorsi, ammesso che noi siamo bravi a prepararli in tempi brevi, esce fra otto anni. Noi non sappiamo dove saranno i big data fra otto anni. Una persona che vi consiglio di sentire è il dottor Storto, che è il direttore della Luiss. Lui sta cercando di portare in Italia un polo di quella che si chiama Les Écoles 42, che è una scuola concepita dalle grandi école francesi, proprio per rispondere a questo problema. Come facciamo preparare persone che siano in grado di stare al passo con l'evoluzione tecnologica? Lei dice, giustamente, che l'evoluzione tecnologica fa passi da gigante. D'altra parte, viviamo in una società complessa in cui ci accorgiamo che siamo circondati da analfabeti, ovviamente non voi e non io che viviamo in ambienti protetti, ma elitari. Il mondo intorno a noi, però, è quello.
  È un grande processo formativo al quale bisogna dedicare grandi energie, perché io ho fatto prima il paragone con la stampa a caratteri mobili di Gutenberg. Per fortuna, quella non ha prodotto una società solo di letterati. Il mondo è evoluto. Da Gutenberg ci ha messo 500 anni, non sono processi veloci.
  Il mondo è evoluto, creando generazioni che sapevano scrivere e leggere, che hanno avuto accesso ai testi che hanno prodotto altri testi. Tutto il percorso rinascimento, illuminismo, rivoluzione industriale parte da Gutenberg.
  Stiamo iniziando un percorso di questo genere dove i nostri grandi nemici sono i components che lei ha citato. Noi stiamo assistendo a cose che sono...
  Nonostante la mia età riesco ancora a indignarmi. Facebook è una compagnia pirata. Il comportamento etico di Facebook è stato da sempre tremendo. Non so se posso dirlo, non scrivetelo nei verbali, ma Zuckerberg è un poco di buono.
  Comunque, al di là di Zuckerberg, il problema delle fake news, della disinformazione è un problema di cui, in realtà, è prossima la soluzione. Noi siamo vicini ad avere algoritmi che ci permetteranno in maniera vera di decidere se una notizia è vera o falsa. Questa, spero, sia buona notizia.
  Deve essere fatto dalle macchine. Zuckerberg dice: «Io ho risolto il problema delle fake news. Ho messo venti persone che decidono se una news è vera o falsa». Ha nascosto la polvere sotto il tappeto, non ha risolto il problema. È vero, quindi, che l'investimento deve essere tutto sulla cultura e tutto sulla formazione, anche ai livelli dell'analfabetismo di ritorno, che è davvero un grande problema.
  Per quanto riguarda la sua domanda, io non ho raccontato una visione. Ho raccontato la realtà in queste cose che vi ho detto. Se vi avessi raccontato una visione, vi avrei raccontato cose molto più straordinarie e molto più avanzate. Il mondo sta andando in quella direzione. Il nostro Paese è fortemente arretrato. Ovviamente ci sono Paesi più arretrati di noi, ma questa non è, naturalmente, una consolazione. Anzi. Io vedo un rischio, che non è un rischio da poco. Io vedo il rischio di un luddismo Pag. 15digitale. Con l'invenzione della macchina a vapore – come voi sapete certamente molto meglio di me – a Londra i tessili improvvisamente si sono trovati in questa situazione: il loro lavoro da artigiani superpagati, raffinatissimi eccetera, veniva fatto dalle macchine più velocemente, con meno sprechi di materiale, con più precisione e – a me colpisce sempre questo punto quando leggo la storia – con macchine che lavoravano la notte al buio.
  È stato un bagno di sangue il luddismo, risolto – questo ci fa sorridere, ma è un messaggio – dalla Camera dei Lord. Se pensiamo alla Camera dei Lord immaginiamo cento vecchioni con le parrucche bianche finte denotare la conservazione più estrema. C'è un bellissimo discorso di Lord Byron (era un poeta, ma era anche un lord) in cui si dice una cosa ovvia, che io a voi non ho detto: noi siamo arrivati a un punto in cui dobbiamo cambiare i nostri modelli sociali. Noi dobbiamo immaginare non solo la redistribuzione dei redditi. Dobbiamo immaginare la redistribuzione del lavoro. Io sono vecchio abbastanza da essere stato sulle barricate – non tanto, devo dire la verità – nel ’68. Nel ’68 uno slogan diceva: lavorare meno, lavorare tutti. Ci siamo arrivati. Se non adotteremo una cosa così, la forbice tra chi lavora e chi non lavora diventerà drammatica.
  Io non stavo parlando di un futuro immaginario. Sto parlando di un futuro che esiste, che lentamente sta penetrando nel nostro modo di essere, ed è preoccupante. Anche se non l'ho detto, è ovvio che problemi come il clima o come le risorse richiedono certo sforzi individuali, certo sforzi locali dei singoli Governi, che facciano qualche operazione per calmierare l'uso sfrenato delle risorse o per lasciare che i mari vengano riempiti di plastica, ma soprattutto richiedono che ci sia una trattativa e un accordo globale nel mondo. Altrimenti, se il Presidente Trump esce e dice «io non ci sto», il problema è irrisolto per definizione visto che lui, in termini di inquinamento e di consumo delle risorse, rappresenta quasi l'80 per cento.
  Che cosa succederà? Nella mia visione, e questa è una visione, nella storia dell'uomo, ma non solo dell'uomo, di tutte le specie animali, l'evoluzione avviene perché ci sono dei condizionamenti dell'ambiente. Queste cose che noi ci portiamo in tasca, che ci connettono a miliardi di altre persone, stanno cambiando l'ambiente in cui viviamo. Vi ho detto un segnale bassissimo: i bambini oggi sono più intelligenti, hanno un quoziente di intelligenza maggiore.
  Io credo che con questo abbiamo avviato un'accelerazione anche del processo di evoluzione della specie. Tutte le specie animali prima poi si estinguono, e l'uomo non farà certamente eccezione. Non credo che l'uomo sparirà dalla faccia della terra perché il sole diventerà una gigante rossa o perché ci cascherà un meteorite addosso. Credo che ci sarà un'evoluzione da Homo sapiens sapiens a Homo sapiens sapiens sapiens, che le protesi digitali condizioneranno quest'evoluzione. La speranza è che avvenga molto rapidamente.
  Esponga i suoi figli al digitale. Nella formazione, non dobbiamo immaginare di creare una società di informatici. Anzitutto, sarebbe da suicidio vivere in una società di informatici, ma dobbiamo fare come ha fatto la stampa, cioè creare una cultura. Questo è uno strumento che non si può non avere, perché ormai la tecnologia fa parte di quella cosa.
  Pensiamo ai nostri bambini, ai nostri figli. Sono loro le vittime. Noi, ormai, non lo siamo più. Io vi auguro una vita lunghissima, ma entro ottant'anni non succederà nulla di drammatico che noi adulti non possiamo... Non conosco l'età dei suoi figli, sicuramente molto bassa.

  PRESIDENTE. Due anni.

  MARIO RASETTI, presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico. Tra ottant'anni, i suoi figli saranno vivi e vegeti, visto che l'aspettazione di vita cresce a dismisura, sta veramente crescendo.
  Faccio un inciso. Oggi, si leggono sui giornali delle cose strane. È un risultato scientifico dimostrato che le cellule del cervello hanno un estremo superiore alla lunghezza della vita di 126 anni. Se qualcuno Pag. 16 vi promette una vita più lunga di 126 anni, sta mentendo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Mario Rasetti, presidente della Fondazione ISI – Istituto per l'interscambio scientifico, per il suo prezioso contributo e autorizzo la pubblicazione della documentazione depositata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.40.

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