XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (VII e XI)

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 25 giugno 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Frassinetti Paola , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI LAVORO E PREVIDENZA NEL SETTORE DELLO SPETTACOLO

Audizione del dottor Romolo De Camillis, direttore della Direzione generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e del dottor Onofrio Cutaia, direttore della Direzione generale dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali.
Frassinetti Paola , Presidente ... 3 
De Camillis Romolo , direttore della Direzione generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 3 
Frassinetti Paola , Presidente ... 5 
Cutaia Onofrio , direttore della Direzione generale dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali ... 5 
Frassinetti Paola , Presidente ... 7 
Aprea Valentina (FI)  ... 7 
Epifani Ettore Guglielmo (LeU)  ... 8 
Mollicone Federico (FDI)  ... 9 
Frassinetti Paola , Presidente ... 10 
Mollicone Federico (FDI)  ... 10 
Frassinetti Paola , Presidente ... 10 
Mollicone Federico (FDI)  ... 10 
Carbonaro Alessandra (M5S)  ... 11 
Acunzo Nicola (M5S)  ... 12 
Polverini Renata (FI)  ... 13 
Cantone Carla (PD)  ... 15 
Piccoli Nardelli Flavia (PD)  ... 15 
Frassinetti Paola , Presidente ... 15 
De Camillis Romolo , direttore della Direzione generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 15 
Cutaia Onofrio , direttore della Direzione generale dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali ... 16 
Frassinetti Paola , Presidente ... 18 

ALLEGATO: Documentazione depositata da Onofrio Cutaia, direttore della Direzione generale dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
DELLA VII COMMISSIONE
PAOLA FRASSINETTI

  La seduta comincia alle 10.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del dottor Romolo De Camillis, direttore della Direzione generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e del dottor Onofrio Cutaia, direttore della Direzione generale dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo, l'audizione del dottor Romolo De Camillis, direttore della Direzione generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e del dottor Onofrio Cutaia, direttore della Direzione generale dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali.
  Do la parola al dottor Romolo De Camillis.

  ROMOLO DE CAMILLIS, direttore della Direzione generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Buongiorno presidente, grazie per l'invito e per la possibilità di portare qualche elemento di riflessione in relazione all'indagine conoscitiva che è in corso di svolgimento presso le Commissioni riunite.
  Il lavoro nel mondo dello spettacolo incrocia in parte le competenze della Direzione generale che ho l'onore di coordinare, perché riguarda lavoratrici e lavoratori cui si applica la disciplina in materia di rapporti di lavoro, al pari della generalità dei lavoratori. Per alcuni aspetti, tuttavia, questi lavoratori sono stati negli anni interessati da alcune deroghe nella disciplina dei loro rapporti di lavoro, perché si è ritenuto che le loro prestazioni fossero svolte con caratteristiche peculiari, in alcuni casi in parte diverse dalla generalità dei lavori, con orari e tempistiche diverse, e perché, nell'indirizzo generale del nostro sistema di regolazione dei rapporti di lavoro, il loro luogo di lavoro non è la fabbrica, non è il campo, non è il cantiere, e questo ha determinato, per certi versi, alcune discipline peculiari, che dopo vedremo.
  Un primo dato che può essere utile condividere riguarda le attivazioni di rapporti di lavoro, così come abbiamo potuto rilevarle dal sistema delle comunicazioni obbligatorie gestito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Poiché il sistema delle comunicazioni obbligatorie tiene conto delle comunicazioni che riguardano i lavoratori subordinati e parasubordinati, nei dati che fornirò non sono ricompresi i lavoratori autonomi, che rappresentano comunque una parte significativa dei lavoratori dello spettacolo.
  Se ci fermiamo a dicembre del 2018, il sistema delle comunicazioni obbligatorie ha registrato poco più di 743.000 nuove assunzioni. Di queste, circa il 58 per cento Pag. 4riguarda lavoratori di sesso maschile e la restante parte lavoratrici donne. Si tratta, tutto sommato, di una ripartizione abbastanza omogenea.
  Per quanto riguarda le classi di età, si registra che gran parte delle nuove assunzioni del 2018 riguarda fasce d'età fino a 44 anni, c'è poi una parte che riguarda la fascia di età 45-54 anni e, a decrescere, fino ai 65 anni ed oltre.
  Un dato significativo (lo vedremo più avanti quando parleremo della legislazione applicabile) riguarda la durata dei rapporti di lavoro. Il 68 per cento dei rapporti di lavoro ha una durata fino a 30 giorni, una quota marginale, intorno al 20 per cento, riguarda i lavori che vanno dai 30 ai 360 giorni, a conferma del fatto che, nella gran parte dei casi, i lavoratori di questo settore hanno prestazioni di durata limitata nel tempo.
  Se infatti guardiamo l'ultimo dato che abbiamo potuto fornire, il 40 per cento dei lavoratori ha rapporti di lavoro a tempo determinato, soltanto una minima parte ha rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Su questo ultimo punto, tuttavia, il nostro sistema non fornisce dati più affidabili perché abbiamo altre tipologie di rapporti di lavoro che riguardano una considerevole parte di lavoratori, che rappresentano circa un altro 40 per cento del totale. Su questo il sistema delle comunicazioni obbligatorie non ci aiuta, siamo legati alle informazioni che ci trasmettono i datori di lavoro, quindi probabilmente ci sono anche rapporti di lavoro parasubordinato che, evidentemente, sfuggono alle definizioni tradizionali.
  Un dato che può essere interessante considerare per quanto riguarda la disciplina dei rapporti di lavoro attiene ai rapporti di lavoro a termine. Come sappiamo, il rapporto di lavoro a tempo determinato è da sempre oggetto di costante attenzione da parte del regolatore politico e degli addetti ai lavori.
  Il lavoro a termine rappresenta lo strumento privilegiato in questo settore, al punto che negli anni si è consolidata una serie di deroghe ai limiti abitualmente posti a questo tipo di contratto. I lavoratori dello spettacolo non soggiacciono, infatti, né al limite del 20 per cento come percentuale massima di lavoratori impiegabili con questo contratto, né al limite della durata di 24 mesi, né all'obbligo di indicare le causali in caso di rinnovo del contratto.
  Peraltro, come da costante interpretazione del Ministero del lavoro attraverso gli interpelli, questi lavoratori sono stati in gran parte attratti nella più ampia categoria dei lavoratori stagionali, perché caratterizzati da prestazioni discontinue nel tempo e spesso rese in periodi limitati nell'arco dell'anno. Questo li sottrae alle ordinarie regole che riguardano i rapporti di lavoro della generalità dei lavoratori.
  Mi pare che nel programma di questa indagine conoscitiva si preveda anche di incontrare le parti sociali. Un tema interessante è, infatti, il ruolo delle parti sociali, perché nell'aprile del 2018, quindi poco più di un anno fa, è stato sottoscritto l'accordo per il rinnovo del contratto collettivo, un contratto collettivo che risale al 2008, che si rivolge al personale artistico, tecnico e amministrativo per i teatri, i centri di produzione e le compagnie teatrali professionali, un contratto, sottoscritto dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, che ha rafforzato il quadro delle regole per questi lavoratori.
  Come spesso accade nel nostro sistema, le parti sociali con la contrattazione collettiva riescono ad integrare il quadro normativo generale con previsioni specifiche, che sono in grado di meglio regolare alcuni settori in ragione delle loro peculiarità. Infatti, questo contratto collettivo si è occupato di declinare in maniera più puntuale le tipologie di rapporti di lavoro nel settore dello spettacolo. La novità più recente è un protocollo aggiuntivo al contratto collettivo, che si pone l'obiettivo, per certi versi ambizioso e molto specifico per il settore, di fissare elementi minimi per i rapporti di lavoro autonomo.
  I puristi ci diranno che può sembrare una contraddizione, perché il contratto collettivo di solito si occupa del rapporto di lavoro subordinato, però le parti sociali, consapevoli del fatto che spesso una parte di lavoratrici e di lavoratori viene impiegata con contratti di lavoro autonomo, hanno Pag. 5ritenuto di fissare con questo protocollo delle tutele minime in materia di assicurazione contro gli infortuni, che è posta a carico del datore di lavoro con un'assicurazione privata, perché, come sappiamo, questi lavoratori non possono essere assicurati all'INAIL.
  Sono stati individuati criteri minimi per la definizione dei compensi e per i tempi di pagamento di questi lavoratori, prendendo spunto probabilmente dai princìpi affermati nella legge n. 81 del 2017, che introduce una serie di princìpi anche per i lavoratori autonomi.
  Se posso offrire una riflessione personale, un tema che può essere analizzato anche nelle audizioni con le parti sociali è quello delle caratteristiche più specifiche di questo contratto, perché promana direttamente da loro.
  Sempre restando alle parti sociali, poiché la Direzione generale che ho l'onore di coordinare si occupa anche di rappresentatività sindacale, può essere utile richiamare i dati sulla rappresentatività, che sono sostanzialmente analoghi a quelli degli altri settori. Abbiamo le organizzazioni che anche nel settore dello spettacolo, per quanto riguarda i lavoratori, sono maggiormente rappresentative, quindi CGIL, CISL, UIL, UGL e CISAL, anche se, ovviamente, i numeri sono estremamente ridotti perché riguardano una platea molto particolare.
  Per quanto riguarda i vari settori, ci sono piccole organizzazioni molto specializzate che raggruppano lavoratori e artisti nel settore della musica, del teatro, della danza, del cinema, quindi consentono di garantire tutela e rappresentanza a piccoli gruppi di lavoratori impiegati in questi settori.
  Un ultimo aspetto riguarda il tema della vigilanza e della verifica delle irregolarità del lavoro in questo settore. Come sapete, da ormai tre anni l'Ispettorato nazionale del lavoro è stato costituito come Agenzia separata dal Ministero, benché dallo stesso Ministero vigilata, quindi le Commissioni riunite, qualora si ritenesse utile affrontare il tema del lavoro irregolare in questo settore, potrebbero eventualmente audire un rappresentante dell'Ispettorato nazionale del lavoro, cui compete la vigilanza per quanto riguarda la regolarità dei rapporti di lavoro.
  Io non ho altri elementi, quindi mi fermo qui per il momento.

  PRESIDENTE. La ringrazio, dottor De Camillis. Passo ora la parola al dottor Onofrio Cutaia.

  ONOFRIO CUTAIA, direttore della Direzione generale dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali. La ringrazio, presidente, grazie per questo invito. Mi sembra molto importante cercare di mettere insieme le due materie, cosa che negli anni passati si è potuta fare con difficoltà, anche se sono davvero due aspetti che continuamente parlano tra loro, perché, come è noto e come sicuramente condividerete, la parte più importante dell'attività produttiva artistica è generata proprio dal capitale umano: le persone che lavorano dentro le istituzioni, dentro i teatri, che lavorano per piccole o grandi compagnie, infatti, costituiscono il bene più prezioso della stessa attività.
  Questo, che può sembrare un luogo comune, ogni tanto sfugge agli stessi operatori, ma è davvero la cosa più importante.
  Mi ha fatto molto piacere ascoltare il direttore generale De Camillis, che mi ha preceduto. Dal punto di vista generale, è evidente che vi è una fragilità di questo comparto, dovuta, rispetto ad altri Paesi come la Francia o la Germania, alla naturale tendenza a trattarlo come un problema «dopolavoristico»; ma non è affatto così, come sapete, conoscendo molto bene la materia. Dal punto di vista tecnico, per quanto possa sembrare superfluo o inopportuno dirlo, non è assolutamente qualcosa di «dopolavoristico», in quanto si tratta di professioni a tutti gli effetti, importantissime, che producono una quota molto significativa del nostro PIL.
  Ho l'obbligo di parlarvi, intanto, del contesto nel quale la Direzione generale dello spettacolo si muove, che è quello relativo soprattutto alle norme che regolano il modo in cui lo Stato contribuisce al sostegno dei vari soggetti che operano nel Pag. 6territorio. Voi sapete che è stato istituito nel 1985 il Fondo unico dello spettacolo (FUS) – lo dico solo perché è ancora quello la madre di tutti i provvedimenti che seguono – e, dall'altra parte, c'è il mondo delle fondazioni lirico-sinfoniche, disciplinato da alcune leggi che si sono succedute l'una dietro l'altra in maniera disordinata (parlo naturalmente del passato), e, anche sotto l'aspetto del lavoro, forse non hanno molto giovato alla situazione, come vediamo oggi.
  Il Fondo unico dello spettacolo è oggi dotato di circa 346 milioni di euro e si suddivide in due sezioni: una finalizzata al sostegno da parte dello Stato alle fondazioni lirico-sinfoniche – circa 182 milioni di euro per le quattordici fondazioni lirico-sinfoniche – e l'altra finalizzata a tutto il restante settore dello spettacolo, ossia teatro, danza, musica, circhi, spettacolo viaggiante, insomma tutto il resto dell'attività di spettacolo che esiste nel nostro Paese.
  Sapete bene quanto incida anche sull'immagine, a volte positiva, del nostro Paese il fatto che vi sia un genere «musical-teatrale» così importante, che rappresenta il nostro Paese nel mondo; basta guardare ad alcuni esempi importanti, che sono sotto gli occhi di tutti.
  Per rimanere nel tema dell'indagine, sebbene non potessi non affrontare lo sfondo, il tema del lavoro ha un peso molto importante anche negli strumenti che sono stati predisposti per l'assegnazione delle sovvenzioni, dei contributi a questo mondo. Lascerò agli atti una relazione che può essere utile, ma siamo pronti a fornire ogni dato eventualmente richiesto che sia in nostro possesso.
  In questo momento mi concentro per comodità sullo Stato; ma, se avessimo tempo, potremmo concentrarci anche sull'intervento degli enti locali, che si aggiunge a quello dello Stato come intervento pubblico. Se i 346 milioni del FUS sono una cifra probabilmente non sufficiente a sostenere questo mondo, in termini di effettivo valore del nostro intervento, è chiaro che, negli anni, il sostegno finanziario dello Stato è significativamente diminuito rispetto agli altri Paesi.
  Tuttavia, pur nella difficoltà, questo intervento, che naturalmente gli operatori auspicherebbero superiore, costituisce comunque un investimento di lavoro notevolissimo. Solo l'intervento rivolto alle fondazioni lirico-sinfoniche genera un investimento nel capitale umano di circa 306-307 milioni di euro, in quanto le imprese alle quali lo Stato contribuisce fanno un investimento molto superiore all'investimento dello Stato.
  Tutto è correggibile e si può fare meglio. Anzi, è stato presentato al Senato un disegno di legge delega per il riordino della disciplina in materia di spettacolo e per la modifica del codice dei beni culturali e del paesaggio (Atto Senato n. 1312), che speriamo si possa correggere e migliorare. Tuttavia, il dato di partenza è molto importante e dimostra che un investimento pubblico, per quanto limitato, genera molto lavoro. Nel 2016 le fondazioni investono nel lavoro 306 milioni di euro, ma tutto il resto (musica, teatro, danza) che opera nel territorio nazionale (sono oggi più di ottocento i soggetti che vengono sostenuti con il Fondo unico dello spettacolo, si può fare certamente meglio, però sono già ottocento) fa investimenti nel mondo del lavoro per circa 85 milioni di euro.
  Se quindi sommiamo gli 85 milioni di euro ai 305 milioni di euro delle fondazioni lirico-sinfoniche, solo in lavoro l'investimento iniziale dello Stato ne genera un altro molto significativo proprio nella forza lavoro. Questo è un dato da tenere bene in considerazione per il futuro, perché è evidente che l'investimento in lavoro è una parte della spesa di questi istituti; c'è poi tutta l'attività teatrale, l'attività musicale. Le cifre che vi ho fornito sono proprio le risorse spese per i lavoratori. Questo, approssimativamente, ci permette di dire che i soldi spesi in promozione culturale, in questo caso nello spettacolo dal vivo, sono ben spesi dal punto di vista del lavoro.
  Naturalmente, rimane tutta la fragilità, della quale parlava anche il collega, della tipologia dei rapporti di lavoro dei lavoratori delle imprese di questo settore. È chiaro che c'è una discontinuità notevolissima, che in altri Paesi è stata trattata in un certo Pag. 7modo. Tutto si può fare, ma occorre vedere quante sono le risorse finanziarie a disposizione.
  Poiché a breve inizierà la discussione sul citato disegno di legge delega al Governo, che riguarda anche lo spettacolo dal vivo, in relazione al quale non era stata esercitata la delega conferita con la legge n. 175 del 2017, da tecnico dico che potrebbe essere un momento molto importante per definire i criteri (saranno il Parlamento e il Governo a doverlo fare) in base ai quali lo Stato contribuisce alla crescita dello spettacolo dal vivo, ma anche per affrontare la questione dei rapporti di lavoro. Lo dico sommessamente perché è una materia su cui la Direzione che mi onoro di coordinare non ha competenza esclusiva, perché ricordo che l'intervento dello Stato a sostegno dello spettacolo dal vivo è rivolto alle imprese dello spettacolo dal vivo, come previsto dalla legge n. 63 del 1985, che ha bisogno di essere rivista, cosa che il Parlamento ha già fatto, ma ora bisognerà entrare nel merito delle disposizioni che regolano la materia in modo puntuale.
  Mi fermo qui, aspettando le vostre eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie. Autorizzo la pubblicazione della documentazione depositata, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VALENTINA APREA. Ringrazio gli auditi per le loro relazioni e informazioni, sono argomenti di cui è giusto e opportuno che il Parlamento si occupi insieme ai Ministeri competenti, perché (voglio partire dalla questione che mi è più cara) il sistema educativo ha rafforzato la formazione anche dei giovani nel mondo dello spettacolo.
  Siamo arrivati tardi, ma bene: abbiamo istituito i licei musicali e coreutici, abbiamo previsto istituti di formazione superiore, stiamo qualificando la risorsa umana in queste arti, che hanno una grande tradizione nel nostro Paese e che rafforzano il made in Italy, perché c'è una forte attrattività di questi settori (penso alla musica, all'arte, alla danza), nei quali ormai è sempre più facile vedere giovani cinesi, giapponesi o di altre nazionalità, per non parlare degli altri giovani europei, interessati a formarsi in questi campi.
  Succede però che c'è chi diventa una star, si impone, dopo tanta gavetta e tanta fatica ha contratti milionari, ma non possiamo andare avanti così, né pensare che sia un secondo lavoro, come giustamente ha detto lei. Abbiamo ragazzi che frequentano licei musicali e coreutici, che ottengono titoli di studio superiori e hanno bisogno non di carriere, perché se le devono costruire, ma di garanzie se cominciano a lavorare; non possono andare avanti restando più precari degli altri. Ci interessiamo dei ragazzi precari negli altri settori e non vogliamo interessarci di questi, che in più hanno talento? Mi sembrerebbe veramente strano. Quindi chiedo innanzitutto se sia possibile capire che prospettive abbiamo, insieme alla Commissione Lavoro, di arrivare a individuare non dico delle carriere, ma certamente alcune garanzie per chi vuole tentare un percorso di lavoro e di qualificazione anche in questi settori.
  C'è un argomento di attualità, perché siamo quasi arrivati al 1° luglio: il biglietto nominale per le attività di spettacolo nelle strutture con capienza superiore a 5.000 spettatori, che è stato introdotto con la legge di bilancio 2019 con un obiettivo nobile, quello di combattere le pratiche di bagarinaggio, il secondary ticketing. Sappiamo però che sta creando molti problemi agli organizzatori di spettacoli di musica dal vivo, per le grosse difficoltà e i significativi costi che comporta la gestione dei controlli dei biglietti ai cancelli: tutto sulle spalle degli organizzatori e con costi aggiuntivi. Poiché non navigano nell'oro, questo sistema va a incidere molto sui costi di organizzazione, oltre che per problemi di sicurezza, anche perché potrebbe generare un significativo allungamento dei tempi per i controlli. Pag. 8
  Stiamo pensando in questo momento a quel ragazzo morto nel tentativo di partecipare a una festa organizzata abusivamente nella città universitaria della Sapienza a Roma – che, per carità, ha sbagliato, perché tentava di entrare irregolarmente e la manifestazione era illegale – però, l'idea di creare con una norma disservizio o problemi, non credo possa essere il massimo auspicabile.
  È necessario almeno (è una richiesta che viene dal mondo dello spettacolo) valutare una proroga dell'entrata in vigore di questa norma, prevista per il 1° luglio, per consentire al sistema di valutare gli effetti e l'impatto della normativa sul settore. Gli operatori si stanno organizzando, però vedono più problemi, quindi, magari sarebbe opportuno ritardare l'efficacia della nuova disciplina o comunque far salva questa estate per andare loro incontro. Si potrebbe aiutarli con investimenti oppure con una proroga che potrebbe consentire almeno per questa estate modalità diverse. Grazie.

  ETTORE GUGLIELMO EPIFANI. Ringrazio gli auditi per il quadro fornito, in realtà quello che è mancato in tutti questi anni è una politica organica nel campo dello spettacolo, cioè che contemplasse contestualmente l'intervento delle risorse pubbliche, le modalità attraverso cui le risorse pubbliche sono indirizzate, il ruolo dei privati, il rapporto con gli enti locali, le capacità di innovazione, qualità e produttività del sistema, un equilibrio più attento ai diversi elementi che compongono il mondo dello spettacolo, e, insieme a tali aspetti, anche un ragionamento sulle forme di tutela contrattuale dei lavoratori, dei dipendenti. Prima si faceva riferimento alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, quando si è istituito il Fondo unico dello spettacolo. Per dieci anni, proprio in quegli anni, ho fatto il Segretario generale del sindacato dell'informazione e dello spettacolo della CGIL e ho firmato tutti i contratti siglati in quei dieci anni.
  Al tempo, il Fondo dello spettacolo aveva risorse superiori a quelle di oggi, ma le modalità attraverso cui esse venivano erogate erano molto discutibili. Ricordo una discussione infinita che riguardava le modalità con cui si interveniva nel mondo degli enti lirico-sinfonici, allora si pagava il costo delle masse artistiche, chi aveva più masse artistiche riceveva più soldi. Se le masse artistiche (chi suonava, il coro, chi danzava) lavoravano per cento giornate o per una giornata era indifferente: così capitava che il Teatro Massimo di Palermo riceveva un sacco di soldi e non faceva nulla!
  Quando cominciammo a introdurre qualche elemento di meritocrazia e provammo a distinguere la Scala e l'Accademia di Santa Cecilia dalle altre istituzioni, perché sono più importanti, ci fu una polemica senza fine. Cosa voglio dire? Che c'è il problema del quanto lo Stato spende, ma c'è soprattutto il problema di come questi soldi sono spesi.
  Temo che questo problema, su cui ho raccontato solo un fatto, ma ne potrei raccontare altri, non sia pienamente risolto, perché c'è sempre stata una tendenza a favorire alcuni settori a scapito di altri. Oggi chi vive la situazione più precaria è tutto il mondo dello spettacolo dal vivo, dello spettacolo viaggiante, sia gli imprenditori che i lavoratori, quando, invece, proprio i circhi, le attrazioni viaggianti sono un fenomeno della nostra tradizione culturale.
  Il cinema è stato finanziato a intermittenza e male, il modo con cui abbiamo finanziato le istituzioni teatrali non sempre è stato corretto, quindi la riflessione che penso vada fatta riguarda sia quanto è stato speso, sia, con un minimo di aggiornamento ad oggi, anche gli altri problemi del mondo dello spettacolo, perché dietro ognuna delle sue tipologie c'è una diversa condizione del lavoro.
  Nel campo dello spettacolo dal vivo la condizione è più drammatica e più precaria; nel mondo del cinema, non avendo grandi situazioni strutturate come abbiamo avuto nei trent'anni passati, comincia ad aversi, come anche nel mondo del teatro, una situazione di difficoltà, quindi va bene occuparsi dei rapporti di lavoro, però dobbiamo stare attenti anche agli altri aspetti. Pag. 9
  Aggiungo che negli investimenti andrebbero premiate la capacità di innovazione, la capacità di fare lavori di qualità e la produttività, perché è vero che non si può misurare la produttività, in un mondo come quello dello spettacolo e della cultura, come si misura in un'azienda, però l'equilibrio di un bilancio può prescindere dalle modalità di lavoro, perché è chiaro che queste potrebbero rappresentare un problema.
  Starei anche molto attento al rapporto tra il denaro pubblico e le sponsorizzazioni. Oggi grandi istituzioni hanno una quota di finanziamento privato molto alta, istituzioni più piccole ma altrettanto prestigiose non ne hanno, quindi andrebbero stabiliti criteri più ancorati al valore delle singole istituzioni.
  Per quanto riguarda il mercato del lavoro, valutiamo quali problemi determinino le nuove discipline introdotte. Ricordo che era prevista una previdenza particolare per il mondo dello spettacolo, adesso non saprei dire cosa è cambiato rispetto a prima, ma è chiaro che un ballerino a 45 anni andava in pensione, perché non poteva ballare fino a 60 anni, oggi fino a 67 anni! Sono tipologie di lavoro e di prestazioni molto specifiche, quindi, per questo, va considerato il quadro d'insieme, non c'è una parte che non abbia conseguenze anche sull'altra.

  FEDERICO MOLLICONE. Ringrazio gli auditi perché ci hanno dato modo di confermare un quadro, quello sottolineato anche dal collega Epifani, nel quale è previsto il contributo dello Stato, ma in cui la figura del lavoratore dello spettacolo, in molti casi gli artisti, ma anche i reparti tecnici e tutte le tipologie di lavori dello spettacolo, sono ancora percepiti come «dopolavoristi», come facenti parte di un contesto amatoriale. Invece il mondo dello spettacolo onora l'Italia e la rappresenta in tutto il mondo e, oltre alle grandi eccellenze, c'è anche il tessuto culturale dei lavoratori dello spettacolo, ci sono i piccoli teatri, le piccole compagnie di danza, le orchestre, le compagnie circensi, che questo Governo sta attaccando frontalmente con il cosiddetto «decreto Costa», che, con un tratto di penna, vuole abolire i circhi.
  Su questo daremo battaglia. Ricordo, infatti, che è stato fondato un Intergruppo parlamentare «Spettacolo popolare e commedia dell'arte» per difendere una tradizione secolare, perché quando si governa bisogna conoscere l'ambito in cui lo si fa, ma ho il sospetto che questo Governo, purtroppo, non conosca la storia secolare del circo e della commedia dell'arte, che poi si è evoluta nel teatro.
  Su questo sono sempre andato al di là delle parti politiche e ringrazio il collega Acunzo e tutti gli altri colleghi che hanno sostenuto queste istanze. Il dottor Cutaia può essere testimone della battaglia fatta a favore dei soggetti esclusi dal finanziamento del FUS. Esorto, quindi, a entrare nel merito di quello che questo meccanismo perverso, più volte modificato nel corso dei decenni, ha portato, trasformando il mondo dello spettacolo.
  Abbiamo un Fondo unico dello spettacolo, che dagli anni Ottanta del secolo scorso è stato gestito in maniera molto «italiana», per cui prima vi erano le Commissioni che selezionavano i progetti da finanziare secondo criteri che poi sono cambiati, poi è arrivato il «dio algoritmo», in base al quale la qualità artistica e tecnica viene computata attraverso un calcolo automatico, come se l'arte potesse essere valutata attraverso un algoritmo, cosa su cui ci sarebbe da discutere, anche se, almeno, l'algoritmo è imparziale.
  C'è invece un aspetto che non è imparziale e che umilia gli artisti, i lavoratori dello spettacolo e le fondazioni lirico-sinfoniche e che Fratelli d'Italia contrasta aspramente. A tale proposito presenteremo come Fratelli d'Italia una proposta di legge di riforma radicale del Fondo unico dello spettacolo, a cominciare dal nome (Fondo unico spettacolo evoca l'Unione Sovietica, chiamiamolo Fondo per le arti italiane, diamogli un respiro positivo, un'immagine positiva che possa rappresentare l'eccellenza artistica italiana nel mondo); ma, al di là del nome, c'è un punto sostanziale che critichiamo. Parliamo di quelli che vivono del mercato e fanno ricorso a un minimo aiuto dello Stato, che quando vanno a fare domanda si ritrovano esaminati secondo Pag. 10una griglia di valutazione che per due criteri è automatica, legata all'algoritmo e computata attraverso calcoli automatici, e per un criterio è calcolata sulla base della decisione di commissioni consultive.
  Siamo in Italia, quindi immaginate la contraddizione di farsi esaminare in maniera definitiva, come fosse una determinazione, da una commissione consultiva. Creiamo una commissione consultiva per tutte le arti (danza, teatro, fondazioni, musica e circhi), le chiamiamo consultive e poi queste Commissioni consultive danno un punteggio che determina la valutazione da parte del Ministero per l'assegnazione o l'esclusione dei finanziamenti.
  Da questo è nata la grande vertenza – devo dire trasversale e ringrazio i colleghi per questo – di agosto dello scorso anno, appena insediato il Governo. In quell'occasione devo riconoscere al Ministro Bonisoli e agli uffici la capacità di ascolto, grazie alla quale si è arrivati a un riesame dei casi di esclusione dai finanziamenti del FUS. Erano talmente tanti e su basi così criticabili – alcune veramente meritevoli di esposto penale – che, alla fine, si è trovata una soluzione di buonsenso. Per questo ringrazio, perché attacco quando c'è l'errore, ma riconosco quando c'è la capacità d'ascolto, grazie anche al ruolo dell'opposizione, in questo sicuramente rappresentata da Fratelli d'Italia.
  Se queste commissioni sono consultive, non possono avere poteri decisionali, e se li hanno, non si devono chiamare commissioni consultive. Inoltre, adesso sono state rinnovate, ma su quelle che hanno portato all'esclusione dai finanziamenti di più di cento realtà ci sarebbe molto da dire.
  Questo per parlare innanzitutto della necessità di una riforma radicale del FUS. Cosa sta facendo il Ministero rispetto a questo? Il Governo, con il disegno di legge delega che veniva citato, che noi ovviamente studieremo, emenderemo, contrasteremo laddove non ci veda d'accordo, di fatto si prende la delega di riformare tutto il settore senza il confronto con il Parlamento. Su questo il Ministro Bonisoli non ha rispettato la parola data ad agosto dello scorso anno, quando aveva detto che avrebbe fatto la riforma con il Parlamento. Presenta, invece, un disegno di legge delega, come tutti gli altri Ministri, si attribuisce la delega e la eserciterà.
  La riforma del FUS, quindi, come avverrà? Verranno modificati questi criteri assurdi, che hanno portato a esclusioni arbitrarie? Quale sarà il criterio di selezione adottato dalle nuove commissioni? Nelle ultime commissioni non c'erano esperti, c'erano clamorosi conflitti di interesse e non c'erano gli esperti necessari a valutare attori, danzatori e così via.

  PRESIDENTE. Onorevole Mollicone, la invito a concludere.

  FEDERICO MOLLICONE. Non è previsto il contingentamento degli interventi, presidente.

  PRESIDENTE. Alle 12 iniziano i lavori dell'Assemblea.

  FEDERICO MOLLICONE. Vuol dire che aggiorneremo la seduta, perché nell'indagine conoscitiva, come sapete, non c'è un contingentamento dei tempi di intervento, se non è stato previsto precedentemente. Comunque arrivo a parlare delle fondazioni lirico-sinfoniche e completo il ragionamento.
  L'altra domanda riguarda, appunto, le fondazioni lirico-sinfoniche. Attenzione, perché se c'è un luogo dove è necessario ribadire i diritti dei lavoratori dello spettacolo (il collega Epifani dovrebbe saperlo bene e dovrebbe insegnarmelo) sono proprio le fondazioni lirico-sinfoniche. È di questi giorni la mobilitazione di tutti i sindacati delle fondazioni di Roma, Milano e Firenze. Quelle di Roma, in particolare, denunciano il mancato versamento da parte del Sovrintendente Fuortes di 12 milioni di euro a titolo di contributi IRPEF in favore delle fondazioni, e, nonostante questo, i loro bilanci sono stati approvati dal Ministero (approvati nel senso politico).
  Come il dottor Cutaia sa bene, il Commissario straordinario del Governo per il risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche, Gianluca Sole, fa una relazione trimestrale Pag. 11 sul bilancio delle fondazioni, sulla base della quale vengono decisi o meno ulteriori stanziamenti. La Fondazione di Roma è risultata essere molto mal gestita, proprio con riguardo al rapporto con i lavoratori: il sovrintendente ha in corso un contenzioso del valore di 1,5 milioni di euro per consulenze legali per contributi non versati ai lavoratori, configurandosi quasi un danno erariale.
  Al di là di questo, a differenza di quello che dice il dottor Cutaia, nonostante ci sia addirittura un commissario che valuta i bilanci delle fondazioni e i piani di rientro e nonostante le fondazioni lirico-sinfoniche di Roma e Firenze non abbiano rispettato i piani di rientro, nell'ambito degli ulteriori 10 milioni di euro a disposizione, altri 3,5 milioni, invece che essere dati ai lavoratori dello spettacolo e, quindi, alle compagnie teatrali di danza e allo spettacolo viaggiante, sono stati dati alle fondazioni lirico-sinfoniche.
  Indovinate quali? Esattamente quelle che sui giornali, come a Roma accade spesso, vengono presentate come esempio di buona gestione, quando, invece, non pagano i contributi dei lavoratori.
  Noi di Fratelli d'Italia abbiamo chiesto la convocazione dei sovrintendenti delle fondazioni di Roma e Firenze, quelle che risultano essere peggio gestite, a sostegno dei lavoratori che denunciano – non siamo noi che denunciamo, ma i lavoratori – questo stato di umiliazione, con sovrintendenti che non vanno alle trattative, che non si confrontano con i lavoratori. Su questo attendiamo una risposta anche del Ministero, che deve vigilare. Non approva i bilanci, ma vigila sulla gestione e, attraverso il meccanismo della cosiddetta «legge Bray», poi superato, decide se erogare o meno i finanziamenti. È stato deciso di aiutare queste fondazioni nonostante la mala gestio, ma su questo ci confronteremo con il sovrintendente responsabile.
  Concludo con i corpi di ballo. Si è parlato di 346 milioni di euro. Per quale ragione l'Italia, che rappresenta nel mondo la lirica e la danza, distrugge la propria tradizione tersicorea chiudendo i corpi di ballo delle fondazioni, che costano in media 1,5 milioni di euro l'anno ciascuno? Questo sta accadendo, colleghi. A proposito delle condizioni dei lavoratori dello spettacolo, i Governi precedenti, e purtroppo anche questo, si stanno contraddistinguendo per l'umiliazione e la chiusura dei corpi di ballo.
  Noi chiediamo ufficialmente, in occasione di quest'indagine conoscitiva, che venga fatto un report specifico sulla situazione dei corpi di ballo in Italia e che venga invertita la tendenza. I corpi di ballo devono essere ricostituiti. Non sono uno spreco di soldi. I corpi di ballo producono eccellenza. La Abbagnato, che si esibirà il 30 giugno prossimo e che dirige il corpo di ballo di Roma, è dovuta andare in Francia per diventare étoile, perché in Italia non veniva riconosciuta la sua capacità. Adesso, finalmente, dopo anni, è stata nominata direttrice del corpo di ballo.
  Altri corpi di ballo di grande tradizione sono stati chiusi per risparmiare 1,5 milioni, e poi scopriamo che i sovrintendenti delle fondazioni non versano 12 milioni di euro a titolo di ritenuta IRPEF dei lavoratori e li iscrivono a bilancio come debito.
  Su questi temi saremo sempre più presenti e chiediamo spiegazioni al Ministero.

  ALESSANDRA CARBONARO. Voglio ringraziare gli auditi.
  Questa è un'indagine conoscitiva sul lavoro che abbiamo fortemente voluto, perché quello del lavoro dello spettacolo è un tema che, a mio avviso, va affrontato. Voglio ringraziare per l'inquadramento generale delle questioni fatto dall'onorevole Epifani. Negli anni c'è stata una progressiva gestione della materia un po’ a compartimenti stagni. Vedere il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero per i beni e le attività culturali (MiBAC) e, in particolare, la Direzione generale dello spettacolo, insieme in quest'audizione potrebbe essere l'inizio di una maggiore concertazione tra Ministeri. Se ne potrebbero aggiungere altri, per esempio, il Ministero dello sviluppo economico (MISE), la stessa Presidenza del Consiglio dei ministri. Quello dello spettacolo è un tema a 360 gradi, che ha bisogno di essere concertato da più punti di vista. Pag. 12
  Il dato che il dottor De Camillis ci ha fornito è secondo me un po’ il cuore di questa nostra indagine. Il 68 per cento dei contratti è a trenta giorni. È un dato comunque importante.
  Riprendo anche quello che diceva l'onorevole Aprea: quali possono essere le prospettive che diamo ai giovani? Io vengo dal conservatorio. Per chi si appresta a entrare nel mondo dello spettacolo, quali sono le garanzie che può avere? Sono poche. Tante volte si sente la famosa frase: «Di lavoro che cosa fai?». Credo sia ricorrente, purtroppo. Vorrei che fosse una frase che sempre meno si potesse sentir pronunciare.
  Ho posto la questione sia a INPS sia a ISTAT in una precedente audizione: forse, l'idea di lavorare a una normativa ad hoc per i lavoratori dello spettacolo, anche per quanto riguarda, per esempio, la previdenza, di concerto con più Ministeri, può essere una prima via d'uscita. È chiaro che parlare di lavoro nello spettacolo non è come parlare di lavoro in altri settori.
  È vero che viene generato un grande capitale umano e che è utile che si generi, soprattutto in questo settore. È chiaro che la gestione del FUS deve sicuramente essere migliorata. L'esame del disegno di legge delega può essere un'occasione in più per poterne parlare.
  Ritengo però opportuno, e qui credo che anche le memorie che i due dirigenti hanno depositato possano essere utili ai fini dell'indagine, cercare di guardare ad altri modelli di gestione. Il dottor Cutaia citava, per esempio, la Francia, dove magari si possono avere gestioni più virtuose del settore e vi possono essere modelli e best practice che si possono anche importare nel nostro territorio.

  NICOLA ACUNZO. Un ringraziamento agli auditi e un ringraziamento in modo particolare a chi ha voluto quest'indagine conoscitiva. Ci dovremmo ricordare che siamo qui a fare questa riflessione perché c'è stato un Gruppo, e forse, più di tutti, l'onorevole Carbonaro, che ha voluto quest'audizione, questo momento di confronto in cui, forse, soprattutto i membri della Commissione cultura dovrebbero posare l'ascia della guerra politico-mediatica e considerare il fatto che sono membri di una Commissione importantissima, forse l'unica che potrebbe cambiare questo Paese un po’ alla volta.
  Nei ragionamenti che abbiamo fatto, anche interpersonali, interpartitici, trasversali, ci siamo resi conto un po’ tutti che quello di cui ha bisogno questo Paese è proprio un'attenzione maggiore allo spettacolo dal vivo, al mondo del cinema, al mondo della cultura in senso lato.
  Se, però, non iniziamo noi componenti della Commissione cultura a ragionare in maniera diversa, forse non riusciremo a trasmettere ai colleghi della Commissione lavoro qui presenti, che ringrazio per la loro disponibilità e per la loro presenza, il senso, e soprattutto l'anima, il motivo per cui li abbiamo disturbati. Devo anche notare, però, ed evidenziare che il vero problema è nella nostra Commissione. Disturbare il dottor Cutaia e gli altri auditi affinché si ponga attenzione a una problematica per cercare di risolverla, e poi essere presenti in pochi componenti della Commissione cultura, dà un messaggio al Paese non eccessivamente felice.
  Da rappresentante delle Istituzioni e soprattutto da chiamato in causa – conosco bene il mondo della commedia dell'arte, perché sono un attore, e quindi ringrazio ancora di più chi ha voluto quest'indagine conoscitiva – vorrei che ci ricordassimo che la cosa principale che dovremmo fare, che la Commissione cultura dovrebbe fare, è trasmettere un messaggio, ma non dal podio o dalla nostra casa politica.
  Quando si parla di cultura, quando si parla di teatro o di cinema, si parla di qualcosa che forse dovrebbe diventare intoccabile. Ed è questo il messaggio che dobbiamo dare al Paese: la cultura in Italia deve diventare qualcosa di intoccabile, da porre sotto osservazione un po’ più degli altri settori, qualcosa di sacro. E insieme a queste cose c'è il teatro dal vivo, e c'è il cinema, in modo particolare.
  Ringrazio l'onorevole Epifani, che ha esposto un passaggio importante dicendo: quando si parla di arte o di un'azienda artistica, non si può valutarla un po’ come Pag. 13tutte le altre aziende, perché una serie di componenti purtroppo ti costringono a non poter ragionare solo, grazie a Dio, sui numeri.
  Se non possiamo ragionare solo sui numeri, cerchiamo, ripeto, da membri della Commissione cultura, di confrontarci con chi di numeri si intende: i membri della Commissione lavoro. Facciamo in modo che il ragionamento possa fondersi e lanciamo un messaggio e una soluzione politica che il Paese merita e che il comparto merita. La politica a questo serve, a evidenziare una criticità e a trovare una soluzione al problema. Troviamola, perché questo comparto ne ha bisogno.

  RENATA POLVERINI. Con il permesso dell'onorevole Acunzo, anche noi della Commissione lavoro ci vorremmo occupare dell'indagine conoscitiva titolata «Indagine conoscitiva in materia di lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo».
  Mi dispiace dover constatare che, evidentemente, il collega ritiene che il lavoro nello spettacolo sia un mondo non contaminato dal resto del mondo del lavoro. Io, invece, siccome sono stata per tanti anni sindacalista, presidente di Regione e deputata, le posso assicurare che per tutti i Paesi, e in particolare per un Paese come l'Italia, la cultura è un grandissimo «polmone» – fatemelo definire così – per il mondo del lavoro. Anche la Commissione Lavoro, quindi, penso con la stessa e pari dignità, si occuperà di questa materia. La ringrazio di averci ringraziato, ma noi siamo qui per fare il nostro mestiere e siamo anche nella nostra aula di Commissione, quindi non ci sentiamo di troppo.
  Ringrazio i nostri auditi, che hanno sicuramente una visione più completa di quella che possiamo avere noi in termini di numeri, di legislazione con la quale si confrontano, di istituzioni con le quali si confrontano, perché non ci sono soltanto i Ministeri, bensì anche le regioni, gli enti locali. Sappiamo benissimo che cosa succede. Questo è un ulteriore elemento che condiziona anche la possibilità di accesso al mondo della cultura e dello spettacolo in generale.
  Laddove, infatti, c'è un'Istituzione del territorio che investe in maniera significativa, mettendo in campo, non soltanto risorse, ma anche elementi formativi o di aggregazione, è chiaro che noi non poniamo, per esempio, tutti i ragazzi, per non dire i cittadini, nelle stesse condizioni di accesso al mondo della cultura e dello spettacolo. Questa è una questione che secondo me va valutata con grande attenzione.
  In tutte le materie nelle quali c'è concorrenza tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, è evidente che, purtroppo, non si crea un arricchimento. Nel momento in cui, su alcune materie, e in particolare su questa, non c'è uno strumento che garantisca pari opportunità, purtroppo tale concorrenza diventa un elemento di discrimine.
  Nella mia esperienza, mi sono occupata anche di una regione, in particolare del Lazio, e, per esempio, con riferimento al FUS, di cui ha parlato il dottor Cutaia, soltanto chi ha avuto a che fare con i dati si rende conto che stiamo parlando del nulla rispetto all'intervento economico che sarebbe necessario. Parliamo di circa 350 milioni di euro. Nel Lazio, in tre anni avevamo stanziato 46 milioni di euro soltanto per il settore del cinema. Se parliamo di queste cifre, ci rendiamo conto che forse lo strumento non è adeguato, non solo dal punto di vista normativo e legislativo, al sistema dello spettacolo, ma anche dal punto di vista economico. Chiaramente, può dare un supporto, ma direi quasi insignificante.
  Peraltro, la collega Carbonaro, e io la penso come lei, guarda con attenzione al sistema francese, ma se guardiamo le cifre che la Francia investe soltanto nel settore del teatro, ci rendiamo chiaramente conto che noi italiani partiamo già sostanzialmente battuti.
  Parliamo di una cosa molto più complessa di quanto magari a noi stessi non appaia, tanto che io penso, addirittura, che il termine di conclusione della indagine al 30 settembre che ci siamo dati sia oggettivamente irrealistico. Secondo me, tanti sono i dati da vedere, tanti sono gli strumenti da approfondire, tanto esteso è, secondo me, il Pag. 14campo al quale dobbiamo estendere la nostra indagine, comprendendovi anche le regioni e i comuni. Secondo me, anche questo è un elemento che può arricchire sicuramente la nostra indagine e darci un quadro più esaustivo.
  Io aggiungerei anche un altro Ministero da audire. Aggiungerei il Ministero della giustizia a quelli che sono stati ascoltati. La cultura è uno strumento straordinario per redimere le persone che in carcere stanno scontando una pena, attraverso strumenti di formazione. Il film Cesare deve morire, diventato per noi un fiore all'occhiello, è stato finanziato dalla mia regione, anzi dalla sottoscritta: nel momento in cui mi trovai a consegnare dei diplomi alla conclusione dei corsi di formazione teatrali organizzati dalla regione all'interno del carcere di Rebibbia, con i registi che erano lì insieme a me a consegnare questi diplomi ci siamo chiesti se fosse possibile fare un film.
  Costò pochissimo, 50.000 euro, veramente nulla, ma ha dato una straordinaria possibilità di riscatto, non soltanto agli attori, ma a tutto il complesso del carcere di Rebibbia. Li facemmo addirittura uscire – erano «fine pena mai» – per partecipare alla prima del film alla presenza del Presidente Napolitano.
  Quando parliamo di questa questione, lo facciamo consapevoli di che cosa stiamo parlando? Perché, secondo me, è importante parlare anche con le istituzioni del territorio. Perché solo attraverso la cultura generiamo nei giovani una speranza, non perché, necessariamente, debbano fare teatro, cinema, spettacolo dal vivo, circo, ma perché, attraverso quella, si elevano comunque, anche rispetto a tante periferie in cui ormai la cultura non arriva più, perché i piccoli teatri sono stati tutti chiusi, i cinema sostanzialmente non ci sono più, perché, ormai, abbiamo questi grandi centri dove si va per mangiare popcorn e non per guardare un film che possa essere anche arricchente sul piano culturale. Secondo me, dovremmo indagare anche questo aspetto.
  Io mi sono sempre domandata, da deputata oggi, da amministratore prima: perché non c'è in questo Paese uno strumento che possa realmente scoprire dei talenti? Perché non ci sono delle scuole di musica dentro le parrocchie, dentro gli oratori o dentro un centro commerciale in cui un ragazzo possa esercitare il suo talento, non perché il padre si possa permettere di fargli studiare musica, ma semplicemente perché trova un luogo in cui può farlo? Magari, noi abbiamo tanti talenti che non riusciamo a individuare.
  Non sottovalutiamo i problemi e non abbiamo fretta in quest'indagine. Secondo me, la chiave di volta di questo Paese sta veramente in questo. Tutto quello che arriva dopo è lavoro, è professionalità, è competenza, è crescita, ma si può partire da una buona base, ampliando, appunto, anche il novero dei soggetti da audire, non necessariamente qui, ma, magari, chiedendo loro informazioni, andando veramente nel profondo delle legislazioni e delle norme degli altri Paesi più simili a noi. Non facciamo come quando eravamo più giovani, quando parlavamo di welfare e guardavamo la Danimarca, che, tutto sommato, non ci assomigliava per niente per tanti motivi.
  Io allargherei addirittura lo spettro dell'indagine, e chiederei soprattutto ai rappresentanti dei Ministeri oggi presenti se hanno già dati sul mondo delle fondazioni, sui contributi che vengono dati. Loro, comunque, un quadro ce l'hanno. In particolare, chiaramente, mi riferisco al Ministero per i beni e le attività culturali.
  Concludo dicendo che vedo tanti colleghi giovani, che invidio. Tornerei indietro, vorrei avere la loro età. Giustamente, la collega Carbonaro parlava della previdenza nel mondo dello spettacolo.
  Il mio primo impatto con la previdenza del mondo dello spettacolo è stato all'epoca della chiusura dell'ENPALS: forse, l'impianto previdenziale di questo Stato non era poi così male. Era stato dedicato ai lavoratori dello spettacolo uno specifico istituto di previdenza perché tali lavoratori avevano delle specificità totalmente differenti dagli altri lavoratori e differenti tra loro, molto di più di tutti gli altri comparti. Pag. 15
  Quando facemmo la riforma col Ministro Maroni, mentre io uscivo dal Ministero del lavoro, entrava di corsa Lia Ghisani, che allora era ancora presidente dell'ENPALS, e disse: «Vado a salvare le mie ballerine. Come faccio a mandare a 57 anni la mia ballerina alla Scala?». In quel momento ci rendemmo conto che non eravamo in grado di capire la specificità di quel settore. E, chiaramente, il problema non era limitato alle ballerine. Anche questa è una cosa importante.
  Forse, anche l'accorpamento dell'istituto previdenziale nell'INPS, insieme a tutte le altre gestioni, non è andato nella direzione giusta. Quando si tratta una materia così complessa come la previdenza per così tanti lavoratori, così diversi tra loro, non si riesce ad andare al fondo delle specificità, che in questo settore sicuramente sono molto più profonde.

  CARLA CANTONE. Molto brevemente, penso che l'indagine sia sicuramente importante. Anch'io ringrazio chi ha deciso che forse era il momento di fare un'indagine approfondita. I temi e i problemi sono veramente tanti. Sono stati esposti dagli auditi, che abbiamo invitato e che ringrazio, ma sono veramente tanti i problemi riguardanti i lavoratori: come vengono retribuiti, da chi vengono retribuiti, per quanto tempo vengono retribuiti e che cosa significa, poi, avere un minimo di sostegno al reddito quando perdono la possibilità di lavorare, cosa che costituisce un grande problema.
  È vero che ci sono i problemi delle pensioni, ma è anche vero che c'è un problema di sostegno al reddito. Quando chiude un teatro, diventa un problema generale. Poi, non sempre ci rendiamo conto che lì dentro ci sono persone che lavorano, non solo gli attori, ma anche tutto lo staff e l’équipe di un teatro ne risente. Questo è per fare un piccolo esempio.
  Io penso che le riflessioni di oggi siano importanti e penso che ogni Gruppo dovrà approfondire ancora meglio. Non possiamo accontentarci di quest'audizione.
  Inoltre, come è già stato detto, bisogna riflettere sui tempi e sulle modalità per dare continuità all'audizione di oggi. Io penso che l'onorevole Polverini abbia ragione quando dice di allargare il campo dell'indagine. Abbiamo bisogno di allargare il campo, perché ci sono gli attori, è vero, ma ci sono anche tanti lavoratori e lavoratrici nel mondo dello spettacolo.
  Se, poi, vogliamo parlare di cultura, e concludo, proprio una battuta, mi piacerebbe parlare anche del ruolo della cultura nel settore radiotelevisivo. Alcuni dei colleghi presenti, fanno parte anche della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
  Bisogna parlarne e capire cosa fare. A volte, nella politica la mano destra non sa che cosa fa la mano sinistra. Penso che mettere insieme le cose sia necessario per evitare di assumere decisioni che poi non vanno in porto proprio perché emergono le contraddizioni.
  Benissimo. Vediamo a quali campi allargare l'indagine conoscitiva. Io penso che i presidenti delle due Commissioni ragioneranno su questo, per poi vedere come procedere.

  FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Mi scuso per essere arrivata in ritardo. Vorrei solo ricordare, ma forse ne ha già parlato il dottor Cutaia, come sia stato fatto anche un grande tentativo di intervenire sulla fase iniziale delle carriere professionali, cioè sulla creatività. E voglio ricordare l'impegno della SIAE, che, con riferimento alla fattispecie della copia privata, ha costruito un meccanismo importante di sostegno alla creatività dei giovani. Mi pare che stia funzionando molto bene. Stanno operando e distribuendo le risorse – mi pare addirittura 12 milioni di euro per quest'anno – proprio per progetti legati alla creatività e volti a far nascere e a sostenere giovani artisti nel loro percorso.
  Anche questo è un altro degli spunti, e sono tanti mi pare, emersi nella giornata di oggi.

  PRESIDENTE. Nei dieci minuti che restano prima di concludere l'audizione, darei la parola per la replica ai nostri ospiti.

  ROMOLO DE CAMILLIS, direttore della Direzione generale dei rapporti di lavoro e Pag. 16delle relazioni industriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Non ho molti elementi da aggiungere. La gran parte delle questioni emerse riguarda, evidentemente, il Ministero per i beni e le attività culturali.
  Da un punto di vista tecnico, è evidente che il nostro punto di osservazione, come Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ci restituisce una serie di interventi molto frammentati tra loro, molto estemporanei e, probabilmente, dettati dalla contingenza del momento. Penso, appunto, alle deroghe per quanto riguarda alcune tipologie di rapporti di lavoro. Il tema di una riflessione organica complessiva credo possa essere sicuramente centrale nell'ipotesi di una riforma.
  Un altro elemento che è emerso su alcuni punti specifici, incidentalmente, quando siamo stati coinvolti dai colleghi del Ministero per i beni e le attività culturali, per esempio, è la necessità di aggiornare alcuni meccanismi perché, come si diceva prima, tengano conto anche della produttività di questo settore. Questo non vuol dire negare le specificità di questo settore specifico. L'ho detto all'inizio: non è la fabbrica, non è il cantiere, non è il treno, ma di sicuro ci sono alcuni aspetti, quando si guarda alle piante organiche e ai contratti collettivi per declinare mansioni, turni di lavoro e impegno, che possono essere in prospettiva meglio considerati.
  Una riforma organica potrebbe tener conto degli aspetti che riguardano il sostegno e il finanziamento pubblico, delle connessioni con competenze di altre amministrazioni, e magari dedicare... Mi viene in mente l'esempio più facile della gente di mare: siamo un Paese di mare, in Italia abbiamo una legislazione specifica per la gente di mare, con una serie di tutele e di strumenti tagliati su misura.
  Un Paese come l'Italia potrebbe avere un quadro normativo per le persone che si occupano di cultura, di spettacolo, di teatro o di cinema. Una riforma organica potrebbe sicuramente dare alcune delle risposte alle questioni sollevate oggi qui in audizione.

  ONOFRIO CUTAIA, direttore della Direzione generale dello spettacolo del Ministero per i beni e le attività culturali. Brevemente, a causa dei pochi minuti a mia disposizione: davvero mi sembra che la raccomandazione a lavorare sull'insieme sia molto importante.
  Come dicono l'onorevole Epifani e l'onorevole Polverini, qui il punto è che è vero che lo Stato mette una parte delle risorse – ora vado un po’ più nel concreto – ma gli enti locali e le regioni ne hanno messo una parte molto considerevole, fino a oggi. Oggi, però, c'è una grande occasione, sperando che poi la si colga nel modo migliore, e cioè appunto la proposta di delega, che potrebbe mettere insieme tutti gli aspetti evidenziati. La mano sinistra non sa spesso che cosa fa la mano destra. È esattamente così. È esattamente come diceva l'onorevole Cantone. È inutile girare intorno al tema. Quello del coordinamento tra intervento dello Stato e intervento delle regioni e degli enti locali è un tema centrale, non c'è niente da fare. Da lì si prendono delle «scorciatoie».
  Lo dico davvero grazie al mio osservatorio del Ministero. Naturalmente, non faccio valutazioni di natura politica, ma dall'osservatorio che abbiamo è molto evidente: come mai un comune, rispetto, ad esempio, a una fondazione lirico-sinfonica, dà 1 e un altro, per una situazione simile (abitanti, lavoratori e altro), dà 10? È il risultato di uno sforzo, per quanto complesso. Molte delle critiche al meccanismo dei finanziamenti sono assolutamente condivisibili e si deve guardare avanti. C'è oggi la possibilità di andare avanti, ma se non si mette insieme la mano sinistra con la mano destra, non ci sarà un risultato molto positivo, anche ai fini – lo dicevo all'inizio – proprio dell'investimento sulla cosa più importante, che è il cuore della cultura teatrale, ovvero il capitale umano. Alla fine, anche quello viene a cadere.
  Assolutamente, se dal punto di vista politico c'è concordia rispetto a questo aspetto, è un vantaggio per il settore, non solo per chi ci lavora, ma anche per i cittadini che ne usufruiscono, che, purtroppo, ne usufruiranno – se le cose andranno avanti senza un coordinamento – sempre peggio e sempre meno. L'intervento Pag. 17dello Stato, ma anche degli altri enti pubblici, dovrebbe essere legato, per l'appunto, al beneficio che ne hanno i cittadini e le persone che stanno nei vari territori. Certamente, ci sono alcune cose che andrebbero cambiate.
  Concordo, se posso permettermi, sempre dal punto di vista tecnico, con l'opinione dell'onorevole Mollicone sui corpi di ballo. Da tre anni me ne occupo come dirigente del Ministero, ma chi mi conosce sa che me ne occupo da sempre, tra l'altro, dall'altra parte della barricata, e credo che l'onorevole Mollicone abbia perfettamente ragione sui corpi di ballo. È un dato di fatto che vadano assolutamente ricostituiti, che vada fatto un lavoro di cesello, al quale, vi posso assicurare, il Ministro Bonisoli sta pensando, esattamente in questi giorni, in queste settimane, con specifico riferimento proprio alla danza.
  Il settore della danza, peraltro, è non solo quello legato ai corpi di ballo, ma è legato anche ad altre manifestazioni: nelle viscere dei territori si muovono piccole e medie strutture che si occupano di danza e che hanno una relazione fortissima, per esempio, con tutto il mondo delle scuole di danza. Naturalmente, però, è un mondo che va aiutato, sostenuto, perché è poi il polmone dal quale arrivano i nostri danzatori.
  Abbiamo qualche migliaio di danzatori italiani all'estero di grandissimo valore, che lavorano in altri Paesi perché il nostro non offre reali garanzie, in questo momento, di ospitare in maniera dignitosa quest'arte. Se non si comprende questo, la possibilità di andare avanti non c'è. Il peccato originale risale agli anni Ottanta del secolo scorso, anche in questo caso. Negli anni Ottanta, sulla danza – il tema sollevato mi appassiona davvero molto ed è, dal punto di vista tecnico e della progettazione culturale, molto importante – l'Italia perse una grandissima occasione. C'era la «nouvelle danse» in Francia e c'era la «danza nuova» in Italia. Non è che tutto quello che fanno all'estero sia meglio, ma negli anni Ottanta, onorevole Epifani, costituirono i centri di coreografia in tutta la Francia e diedero a quei coreografi giovanissimi un'opportunità enorme di poter sviluppare la danza.
  I nostri danzatori erano più bravi di quelli francesi. Lo dico perché lo so. Eppure, purtroppo, a quell'esperienza – parlo degli anni Ottanta – non fu dato seguito dal contesto normativo, politico e istituzionale. Lo dobbiamo sapere. La Francia oggi ha un enorme livello di sviluppo della progettazione della danza nei territori. È anche un fattore di sviluppo economico: infatti il PIL francese è più alto anche per questo. Noi non abbiamo fatto altrettanto, ma molte cose si possono fare oggi. Il nostro Ministro, in questo momento, ha intenzione di affrontare il tema in maniera radicale. Lo vuol fare, naturalmente, con i mezzi che le norme consentono oggi, e il disegno di legge delega per il riordino della disciplina in materia di spettacolo è uno di questi. Sinceramente, la delega può porre alcuni capisaldi per una rivisitazione del modo in cui lo spettacolo dal vivo sta nei nostri territori, e può farlo seriamente.
  Tenete conto, ma lo sapete bene – lo dico davvero da operatore pubblico pro tempore, ma, comunque da operatore – che non abbiamo mai avuto in Italia la possibilità di emanare i decreti attuativi su questa materia. Le norme dovevano essere adottate dopo l'introduzione del Fondo unico dello spettacolo nel 1985. Il nostro Paese è in ritardo. Lo dobbiamo sapere. Se, però, lo sappiamo e ne siamo coscienti, si può recuperare molto rapidamente. Sapete come sono le leggi: se la situazione è molto critica, forse si può migliorare; naturalmente se si fanno interventi oculati e con la partecipazione delle forze politiche.
  Dal punto di vista dei territori, lo Stato da solo non ce la fa. Lo Stato da solo non ce la può fare, perché le risorse finanziarie devono provenire da quei territori che investono e ci credono. Quando insegno all'università questo è un punto davvero importantissimo per gli studenti.
  Perché abbiamo due «Italie»? Abbiamo il centro-nord e il sud. Se andaste a vedere – è veramente un piccolo esempio – quante risorse del Fondo unico dello spettacolo arrivano al sud, vi rendereste conto, ma lo sapete benissimo, che si tratta di una quota Pag. 18veramente infinitesimale rispetto a quella che arriva al centro-nord. Il centro-nord merita tutto questo, ci mancherebbe, perché è molto organizzato e strutturato. Però abbiamo un gravissimo problema, se mi posso permettere, dal punto di vista dei dati.
  Non posso affrontare vicende di natura politica perché faccio il tecnico, ma posso affermare che abbiamo un'Italia completamente diversa nel sud, che potrebbe essere sicuramente sostenuta con norme legislative, finalmente, che non siano quelle semplicemente regolamentari di un decreto ministeriale, come quello in vigore attualmente – quello precedente e quello che stiamo utilizzando – ma norme primarie, leggi dello Stato che creino uno spartiacque rispetto alla situazione che c'è oggi.
  Sui biglietti nominali, onorevole Aprea, c'è una legge. Ci sono state molte deroghe – per carità, tutto si può fare – già sul limite, se non ricordo male, dei 5.000 posti, ma è stata introdotta una disciplina davvero importante. Ora, si può apportare qualche correttivo, ma è una decisione di natura politica, trattandosi di una legge. In effetti, però, c'è il problema del secondary ticketing e c'è un problema anche di ordine pubblico, sollevato, in particolare, dagli enti locali.
  Il tema è questo: ci sono state, se non ricordo male, eccezioni per alcuni luoghi legati a una fruizione un po’ più «ordinata», come l'Arena di Verona, che non ha questo limite. Mi sembra che sia stata avanzata una richiesta di deroga da parte del mondo dello spettacolo viaggiante, per l'appunto. Se mi chiedessero un parere dal punto di vista tecnico, direi: concediamo la deroga anche allo spettacolo viaggiante.
  Il vero problema sono i grandissimi concerti che sollevano le questioni della vendita del biglietto e di ordine pubblico. In parte il tema è stato affrontato. Forse non è risolto. Come per tutte le cose, si deve vedere. Mi pare che per primo il Ministro Bonisoli abbia detto: proviamo la strada già tracciata e vediamo se c'è da fare qualche correttivo. Magari, si può fare.
  Scusate se mi sono dilungato.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli ospiti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.05.

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